Storie della nostra Bassa racconti che andremo a narrare sono forse la riesumazione di questa...
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ISTITUTO COMPRENSIVO SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO "B. BARBARANI" MINERBE (VR)
ANNO SCOL-2015-2016-CL-IB
Preside: Monica di Marcello
Docente: Ornella Princivalle
Classe 1^B: Soufien Aacher, Alice Bellini, Gianluca Benhanna, Manuel Bernamonte, Giada Bertoli, Kevin Bighinatti, Riccardo Bosetto, Ilaria Bottacini, Giada Calearo, Michele Furlani, Carolina De La Carid Garcuia Garcia, Alberto Lanzarotto, Edoardo Lovato, Costanza Mantovani, Samuele Marconcini, Alessio Melegaro, Matteo Ottaviani, Leonardo Roncoletta, Enrico Spimpolo, Martina Tolin.
Storie della nostra Bassa
• Introduzione
• Una malattia oscura
• Il diavolo alla festa
• La povera Ceta
• Misteriose presenze
INDICE
Da una terra di confine, dove la vita per secoli è fluita lenta come i fossati di pianura, ma che
ha conosciuto poi l’impietoso` scardinamento del suo mondo rurale, condannato ad
andarsene per sempre, nemmeno il progresso ha saputo però eliminare il bisogno del magico:
forse una società senza credi e senza paure sarebbe una società di automi e se in essa malattia
e morte fossero sconfitte con esse morirebbero anche la fantasia e i sogni. Così ancora oggi è
possibile raccogliere disordinate rivelazioni, popolate di metamorfosi magiche, di patti
diabolici, di strumenti malefici, di apparizioni, evocazioni, sparizioni minacciose, che
divengono l’attestazione di una civiltà minore ma insostituibile. All’uomo disincantato che non
crede nelle streghe e non ha mai visto l’orco e i folletti non resta che sorridere con un po’ di
nostalgia e commiserazione a queste storie così lontane da toccare i confini del mondo della
fiaba. Eppure esse nulla hanno in comune con le festose trame della fiaba popolare: qui le
streghe, sporche e solitarie, sono vestite di nero, il colore delle vedove e della morte; sostano
sulla porta di case miserabili, si aggirano maledette e rabbiose nella notte di pianura spazzata
dal vento, intrecciano fatture che indirizzano su altra povera gente che ne riconosce i segni
funesti: piume intrecciate in cuscini e materassi, incomprensibili malattie, chiodi, aghi, croci
sacrileghe e mortali. Sono le prove degli oscuri incantesimi che moltiplicavano paure e
fantasmi tra le case di campagna.
INTRODUZIONE (1)
Questi racconti che andremo a narrare sono forse la riesumazione di questa coscienza
collettiva non ancora perduta del tutto. Essa appartiene ad una società contadina
culturalmente emarginata ma anche particolarmente testarda e fedele alla propria
credulità. Infatti ogni storia è riportata agli anni infantili dei nostri bisnonni, sentita da loro
bambini in famiglia o al fìlò. Sono storie che chiamano in causa la fame che in quegli anni
lontani favoriva le visioni e dava corpo alle ombre, forse meno paurose delle nostre. E poi
bastava una medaglietta portata al collo o nascosta sotto il vestito per difendersi dai cattivi
incontri e per liberare i giorni e le notti dall’assedio del Male. Tra le case della campagna
veronese c’è chi sa riconoscere ancora le streghe. Racconta che fanno del male ai neonati,
che storpiano le vacche, che bevono il vino dalle botti. Sa perché talvolta la polenta e il latte
si arrossano di sangue, chi fa perdere la strada nel buio, che cos’è: il basilico e la biscia
galletto. C’è ancora chi vede processioni di esseri vestiti di bianco e con candele in mano che
vanno di notte nei campi. Una Bassa antica eppure ancora viva. A due passi dall’autostrada
e dai supermercati ... .
INTRODUZIONE (2)
UNA MALATTIA OSCURA (1)
Una povera giovane ventenne, allegra e
scanzonata, per burla aveva preso il vizio di
deridere tutte le vecchie che passavano per via,
davanti alla porta di casa sua, mentre lei se ne
stava seduta sul far della sera a intrecciare fili di
paglia per preparare cappelli. Un giorno ella però
venne colpita da una malattia che, in breve tempo
la portò all’apatia, alla tristezza e ad un
dimagrimento talmente spaventoso, che se ne
doveva stare a letto avendo perso tutte le forze;
ella non mangiava, soffriva di terribili mal di
stomaco e sembrava impazzire. Dopo diverse
diagnosi e relative cure, il medico del paese
rinunciò al suo compito e indirizzò la giovane dal
prete il quale ordinò ai famigliari di ripulire
periodicamente il povero materasso di penne di
gallina sul quale stava la giovane. Con iniziale
sorpresa in esso ogni volta venivano trovati chiodi,
aghi, penne intrecciate e croci sacrileghe.
Tutto ciò si ripeté per parecchio tempo, finché un
giorno la giovane volle vedere dalla finestra di casa
il funerale di una vecchia. Era morta una brutta e
piccola donna anziana, il cui aspetto fisico
contribuiva a spaventare tutti, tranne la giovane che
non aveva nessun timore e che si divertiva anche
con lei. La vecchia era sdentata, con i capelli
bianchi scompigliati e sempre vestita di nero e,
finché era in vita, partiva da un boschetto posto ai
piedi dell’argine di un fiume dove viveva in una
catapecchia e passava sempre a piedi per la via,
davanti alla povera casa della giovane. Si diceva
che ella si aggirasse soprattutto di notte
intrecciando fatture. Alla vista del carro funebre
con la vecchia morta la ragazza si sentì
improvvisamente liberata e cominciò a sorridere
alla vita.
Da quel giorno non fu più trovato nulla nel suo
materasso.
UNA MALATTIA OSCURA (2)
Si narra che ai confini del paese abitasse la famiglia benestante di una certa Maria Burana, le cui due figlie, giovani, ancora nubili, amavano il ballo e le feste a tal punto che, anche nel periodo quaresimale non resistettero dall’organizzare una festa nella loro casa. A nulla erano valse le suppliche dei loro genitori a dissuaderle. Maria, piangendo, le aveva supplicate, dicendo loro che era un sacrilegio; “Figlie mie, - aveva detto - il periodo della quaresima deve essere dedicato alla penitenza e alla mortificazione del corpo, affinché le anime siano purificate e lo spirito sia preparato alla redenzione di Cristo.”
Le giovani non vollero ascoltare nessuno, né tanto meno si commossero alle lacrime della madre, anzi, cominciarono a darsi ancor più da fare per avere più invitati possibile alla festa, alla quale molti si dimostravano però titubanti. Maria aveva detto loro: “Ma chi volete che venga in questo periodo? E loro, pronte, avevano risposto: “Venga pure anche il diavolo, anch’egli sarà ben accetto”. A tale risposta Maria si disperò, ma non poté far altro che piangere.
Giunta la sera del festino, le due giovani si prepararono, disposero le sedie in cerchio in una stanza per accogliere le danze al centro e fecero entrare gli invitati. Al colmo dell’allegria bussò alla porta qualcuno. Una di loro andò ad aprire e vide un bel ragazzo sconosciuto che chiedeva di partecipare al ballo. Stupita e sorpresa per il nuovo arrivo, ella lo fece entrare ed egli, dopo aver salutato, si accomodò in un angolo della sala.
IL DIAVOLO ALLA FESTA (1)
Tutti ballavano, ma lui no.
Se ne stava silenzioso a guardare ciascuno dei presenti. Lo stupore per quella presenza cresceva, e scoppiò in panico allorquando un’invitata piantò gli occhi sui piedi dello sconosciuto; erano grosse zampe di gallo, con aguzzi artigli e speroni.
Atterrita per la scoperta, la giovane in un primo momento restò impietrita, poi, cercando di farsi forza, chiamò mamma Maria, che se ne stava nella stanza accanto, a pregare affinché Dio perdonasse quei festaioli scapestrati. La povera donna temendo di perdere le due figlie, si fece forza e entrò nella stanza per invitare lo strano sconosciuto ad andarsene. Egli però non voleva abbandonare la sala poiché diceva di essere stato invitato.
Al colmo della disperazione la donna uscì, si recò dal prete, a lui raccontò l’accaduto e gli chiese aiuto. Allora il prete prese l’acqua santa, la croce e si recò in quella casa dove effettivamente il diavolo era entrato e dalla quale non voleva più uscire. Dopo sovrumani sforzo il prete riuscì a svolgere la sua missione e a scacciare ,in una nuvola di fumo maleodorante, il demonio. Da allora le due giovani abbandonarono le dissolutezze e condussero una vita dedita al lavoro e a metter su una buona famiglia.
IL DIAVOLO ALLA FESTA (2)
Viveva sola e in miseria una certa Ceta, ovvero Concetta, una povera donna, talmente mal ridotta nel suo aspetto da sembrare una vecchia strega. Ella era però affettuosa con tutti e, nelle lunghe giornate invernali che nella Bassa diventano interminabili, cercava di sfuggire come poteva alla solitudine e al freddo della sua povera dimora, girovagando, finché qualche buona donna non la invitava a trascorrere del tempo a casa sua. Un giorno la vecchia andò a casa di una certa Armida, la quale disse a Ceta che sarebbe potuta ritornare anche all’indomani. In quell’abitazione, dall’ingresso sempre aperto, si accedeva attraverso un lungo corridoio, abbellito con uno specchio e due o tre suppellettili, dapprima in una sala arredata di mobili ma sempre fredda e poi si arrivava in una cucina accogliente e ben riscaldata dove era solita stare Armida con le amiche. Il giorno dopo, mentre Armida conversava tranquilla con due altre donne, Ceta piombò in cucina tutta spaventata, dicendo che in quella casa era entrata una “stria” la quale la guardava muovendo la bocca, ma senza rispondere alla domanda di chi fosse.
LA POVERA CETA (1)
Armida e le amiche si meravigliarono, presero anche un bel po’ di paura, anche perché queste figure malefiche erano solite entrare nelle case e compiere malefici; esse facevano arrossare il latte e la polenta e se entravano nella stalle, azzoppavano le bestie; oltre tutto Armida aveva nella stalletta una vaccherella che le procurava latte ogni mattina. Fattosi forza, le donne chiesero a Ceta di essere accompagnate tutte insieme là dove ella aveva visto la “stria”. Ripercorsero il corridoio dove Ceta disse di aver fatto il brutto incontro. Ella però non riusciva più a vedere nessuno è cercò di spiegare l’accaduto dicendo loro che forse la stria se ne era andata; ma mentre stava concludendo la sua deduzione, ella esclamò: “Eccola là, è tornata!” e indicò con il dito la sua immagine riflessa sullo specchio che in vita sua finora non aveva mai visto così grande e bello.
LA POVERA CETA (2)
Un giorno mio nonno mi parlò della seconda
guerra mondiale e mi disse che, sul finire della
guerra, un suo amico, infiltratosi fra i nazisti,
scoprì che questi avevano in mente di
impadronirsi del Castello di Bevilacqua per poi
farlo saltare in aria. Egli però, astutamente
s’introdusse nell’ufficio dei nemici e rubò il
piano. Poi, portando con sé i preziosi documenti,
trovò rifugio in uno cunicolo misterioso che
partiva proprio dal castello. Là si trovò in
compagnia di un fantasma che forse da secoli
girovagava in quei luoghi. Il giovane non sapeva
chi fosse quella strana figura, ma, impavido,
cominciò a seguirla. Finì così con il percorrere un
cunicolo perpendicolare al castello e con il
trovarsi nella cantina di villa Bergolo- Bottagisio,
la quale sorgeva proprio nel terreno dove è stato
edificata la nostra scuola media.
MISTERIOSE PRESENZE (1)
Il trovarsi in un luogo confortevole, come in
quella cantina, lo incuorò e instaurò una
conversazione con lo spirito. Il giovane
scoperse così che si trattava del fantasma di
un certo Lucio Terranio, la cui tomba fu
profanata durante la costruzione della chiesa
di San Zenone e che perciò si trovò disperso
nell’umidità dei cunicoli finché non trovò una
confortevole sistemazione nella cantina della
villa. Lì il giovane vi rimase nascosto per un
po’ di tempo finché non si ritenne sicuro dalla
cattura dei tedeschi. Fu così che il ragazzo, fra
una bevuta e un discorso con lo spirito di
Lucio, salvò il Castello di Bevilacqua dalla
distruzione nazista. Chissà ora se quel povero
fantasma, sfrattato anche da quella cantina,
vaga per qualche cunicolo proprio sotto la
nostra scuola.
MISTERIOSE PRESENZE (2)