Studi e ricerche Economìa agraria e azienda contadina

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Studi e ricerche Economìa agraria e azienda contadina Le teorie di Cajanov e la ricerca storica Umberto Baldocchi La teoria cajanoviana deireconomia contadina, lungi dall’essere una costruzione ideologica, si presenta come una ipotesi scientifica che vuol colmare le aporie dell’approccio liberale classico e di quello marxista alla realtà contadina. L’eco- nomia contadina non è riducibile a semplice for- ma di transizione né è spiegabile con la finzione teorica della combinazione in una unica entità delle figure di imprenditore e di salariato. Le categorie economiche capitalistiche non sono applicabili all’economia contadina. L’azienda contadina familiare infatti costituisce una unità economica la cui motivazione non è il profitto del capitale investito, ma il mantenimento del- l’equilibrio economico di base tra la domanda familiare soddisfatta e l’intensità dello sforzo di lavoro, e quindi tra i bisogni di consumo e la quantità di forza-lavoro disponibile. La dinamica economica e sociale di un sistema di aziende contadino non è comprensibile per l’economista agrario — non è ricostruibile per lo storico — sulla base di indicatori come la quantità di mezzi di produzione posseduti, il ca- pitale agrario disponibile o la quantità di lavoro prestato fuori azienda. Ne deriva che la individuazione, su questa base, dei fenomeni noti della proletarizzazione o della capitalizzazione di sistemi di azienda contadine deve essere messa largamente in discussione. Il discorso vale ancor di più, ovviamente, laddove questa individuazione è stata condizionata da fattori ideologici, come nella storiografia tradi- zionalista, non solo est europea, influenzata dalla visione leninista. Cajanov ha prodotto un lavoro essenziale per gli economisti e gli studiosi dello sviluppo del Terzo mondo, che si trovano oggi davanti a problemi straordinariamente analoghi a quelli da lui indi- viduati. Ma la sua opera è fondamentale anche per gli storici economici e sociali che possono trovare nelle sue pagine un questionario cui la ricerca ha finora risposto in minima parte. Cajanov’s theory of peasant economy, far from being an ideological construction, appears to supply a scientific analysis capable o ffilling the gaps o f both the liberal and the marxist ap- proach to the realities ofpeasant “society”. Pea- sant economy cannot be reduced to a sheer tran- sition form, nor can it be explained in terms o f a conceptual trick based on the combination of the enterpreneur’s and the labourer’s functions in one single figure. Capitalist economic categories do not apply to peasant economy. The peasant domestic farm represents indeed an economic unit, the motiva- tion o f which does not lie in the profitability of invested capital, but rather in the maintainace o f a basic economic balance between the sati- sfaction of the family demand and the intensity of the working performance, that is to say bet- ween consumption needs and available labour force. The economic and social dynamics of a system o f peasant farms cannot therefore be rightly in- terpreted by the agrarian economist, nor can they be reconstructed by the historian, just rel- ying on such quantitative indicators as the means o f production possessed, the available agrarian capital or the working activities perfor- med outside the farm. In the light o f these assumptions, the definition o f such classic phenomena as proletarization and capitalization in a system of peasant farms needs to be largely reconsidered. This is even truer, o f couse, with interpretations clearly con- ditioned by an ideological bias, as is the case of most leninist-influenced historiography, not only on the East-european versant. Cajanov’s studies are o fpriceless value both to the economist and to the expert in the Third World development, who are nowadays coping with pro- blems strikingly similar to the ones he managed to bring to light. But his work is o f doubtless impor- tance even for social and economic historians, who may find in his pages a set o f questions so far largely eluded by current research. Italia contemporanea”, settembre 1992, n. 188

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S tu d i e ricerche

Economìa agraria e azienda contadinaLe teorie di Cajanov e la ricerca storica

Umberto Baldocchi

La teoria cajanoviana deireconomia contadina, lungi dall’essere una costruzione ideologica, si presenta come una ipotesi scientifica che vuol colmare le aporie dell’approccio liberale classico e di quello marxista alla realtà contadina. L’eco­nomia contadina non è riducibile a semplice for­ma di transizione né è spiegabile con la finzione teorica della combinazione in una unica entità delle figure di imprenditore e di salariato.Le categorie economiche capitalistiche non sono applicabili all’economia contadina. L’azienda contadina familiare infatti costituisce una unità economica la cui motivazione non è il profitto del capitale investito, ma il mantenimento del­l’equilibrio economico di base tra la domanda familiare soddisfatta e l’intensità dello sforzo di lavoro, e quindi tra i bisogni di consumo e la quantità di forza-lavoro disponibile.La dinamica economica e sociale di un sistema di aziende contadino non è comprensibile per l’economista agrario — non è ricostruibile per lo storico — sulla base di indicatori come la quantità di mezzi di produzione posseduti, il ca­pitale agrario disponibile o la quantità di lavoro prestato fuori azienda.Ne deriva che la individuazione, su questa base, dei fenomeni noti della proletarizzazione o della capitalizzazione di sistemi di azienda contadine deve essere messa largamente in discussione. Il discorso vale ancor di più, ovviamente, laddove questa individuazione è stata condizionata da fattori ideologici, come nella storiografia tradi­zionalista, non solo est europea, influenzata dalla visione leninista.Cajanov ha prodotto un lavoro essenziale per gli economisti e gli studiosi dello sviluppo del Terzo mondo, che si trovano oggi davanti a problemi straordinariamente analoghi a quelli da lui indi­viduati. Ma la sua opera è fondamentale anche per gli storici economici e sociali che possono trovare nelle sue pagine un questionario cui la ricerca ha finora risposto in minima parte.

Cajanov’s theory o f peasant economy, fa r from being an ideological construction, appears to supply a scientific analysis capable o f filling the gaps o f both the liberal and the marxist ap­proach to the realities o f peasant “society”. Pea­sant economy cannot be reduced to a sheer tran­sition form , nor can it be explained in terms o f a conceptual trick based on the combination o f the enterpreneur’s and the labourer’s functions in one single figure.Capitalist economic categories do not apply to peasant economy. The peasant domestic farm represents indeed an economic unit, the motiva­tion o f which does not lie in the profitability o f invested capital, but rather in the maintainace o f a basic economic balance between the sati­sfaction o f the family demand and the intensity o f the working performance, that is to say bet­ween consumption needs and available labour force.The economic and social dynamics o f a system o f peasant farms cannot therefore be rightly in­terpreted by the agrarian economist, nor can they be reconstructed by the historian, just rel­ying on such quantitative indicators as the means o f production possessed, the available agrarian capital or the working activities perfor­med outside the farm.In the light o f these assumptions, the definition o f such classic phenomena as proletarization and capitalization in a system o f peasant farms needs to be largely reconsidered. This is even truer, o f couse, with interpretations clearly con­ditioned by an ideological bias, as is the case o f most leninist-influenced historiography, not only on the East-european versant.Cajanov’s studies are o f priceless value both to the economist and to the expert in the Third World development, who are nowadays coping with pro­blems strikingly similar to the ones he managed to bring to light. But his work is o f doubtless impor­tance even fo r social and economic historians, who may find in his pages a set o f questions so far largely eluded by current research.

Italia contemporanea”, settembre 1992, n. 188

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Novità e attualità del pensiero di Cajanov

Spesso il questionario di ricerca e le ipotesi­guida con cui lavora lo storico si costruisco­no, utilizzando i materiali più vari, nei punti di intersezione e di contatto con le altre disci­pline sociali, specialmente quando i paradig­mi tradizionali appaiono esauriti. La analisi cajanoviana della azienda contadina ha for­nito certamente uno stimolo all’arricchimen­to di tale questionario, ma le sue potenzialità euristiche non sono state completamente esplorate.La teoria di Cajanov è stata infatti conosciu­ta in modo indiretto e mediata da interpreta­zioni che hanno indebolito quelle potenziali­tà. E non poteva essere altrimenti, se si pensa che non solo le sue opere principali, ma fi­nanche il suo nome, erano sino a due decenni fa quasi sconosciuti in Europa occidentale e specialmente in Italia. La scoperta cajano­viana della economia contadina è, prima di tutto, la scoperta di un soggetto economico anomalo che possiede una dinamica propria, mai completamente subordinata a quella del mercato o a quella dello Stato, cioè alla Scil­la e alla Cariddi moderne, lontano dalle qua­li non sembrano esser date altre rotte possibi­li per la navigazione della società contempo­ranea. E come soggetto anomalo, l’econo­mia contadina necessita di nuovi strumenti analitici che non possono più essere quelli tradizionali elaborati dal marxismo e dal li­beralismo.

L’opera fondamentale di Cajanov, edita

in tedesco nel 1923, riedita con alcune va­rianti in russo nel 1925 col titolo Organiza- cija krest’janskogo chozjajstva (L’organiz­zazione della azienda contadina), è stata conosciuta da un largo numero di studiosi soltanto con l’edizione in lingua inglese del 1966, Peasant Farm Organization, inserita entro l’opera più ampia, contenente un al­tro scritto di Cajanov e alcuni saggi sulla sua opera, dal titolo The Theory o f Pea­sant Economy, curata da B. Kerblay, D. Thorner e R.E. Smith. Indice dell’ulteriore ampliamento di questo interesse è l’edizio­ne francese del 1990 (L ’organisation de Té- conomie paysanne), per i tipi della Librai­rie du Regard, arricchita da alcuni inediti del 1927 sulla situazione dell’agricoltura so­vietica.

Aleksandr V. Cajanov (1888-1939) è una delle grandi figure della intellighenzia russa del nostro secolo. Intellettuale dal genio multidisciplinare, conoscitore delle lingue europee occidentali — ne parlava fluente- mente quattro — si è occupato di economia, sociologia, politica agraria, di agronomia, ma anche di arte, poesia, letteratura e sto­ria, pur essendo economista di professione. Professore dal 1913 all’Istituto agricolo di Petrovskoe Razumovskoe, attivo nel movi­mento cooperativo agrario panrusso, ha de­dicato le sue energie allo studio della agri­coltura russa contemporanea e ai proble­mi complessi del suo sviluppo tecnologico. Il periodo della tempesta rivoluzionaria del 1917-1918 lo vede impegnato nella dife-

Ringrazio Maria Malatesta per il contributo di osservazioni, consigli e soprattutto di incoraggiamento che mi ha fornito sin dall’inizio del lavoro. Sua è l’idea originaria da cui è nato l’articolo. Ringrazio anche Izaslaw Frenkel, dell’Istituto per lo sviluppo delle campagne e dell’agricoltura dell’Accademia polacca delle scienze di Varsavia che mi ha fornito dettagli, informazioni, chiarimenti e materiali sulla realtà delle agricolture est europee e dell’agricol­tura polacca. Un grazie infine anche al Cnr che nel 1988 ha finanziato un mio soggiorno a Varsavia per sviluppare una ricerca sul pensiero sociale agrario polacco, che ho qui largamente utilizzato come elemento di comparazione nell’analisi delle teorie di Cajanov.I testi citati appartenenti a lavori pubblicati in francese, in inglese, in ungherese e in polacco sono tradotti in italia­no a cura dell’autore dell’articolo. Le traslitterazioni dal russo, quando sono riferite a opere citate, sono quelle ri­portate nelle lingue di edizione delle opere.

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sa di una sua visione della questione agraria, visione che lo distingue tanto dai populisti che dai bolscevichi e dalle altre correnti poli­tiche. Nel 1917 è membro del comitato esecu­tivo della Lega per le riforme agrarie1, una “associazione trasversale”, formata da eco­nomisti agrari e funzionari agricoli di diverse tendenze politiche. Il suo lavoro di ricerca continua e si sviluppa poi nel medesimo isti­tuto, divenuto Istituto per lo studio di econo­mia e politica agraria dal 1919, attraverso gli anni del comuniSmo di guerra e della Nep, fi­no alla conferenza dei marxisti agrari di Mo­sca del 1929, in cui ha il tragico privilegio di esser citato (e attaccato) personalmente da Stalin, con l’accusa di “cospirazione contro­rivoluzionaria” che, nel 1930, lo colpisce as­sieme a Makarov, Kondrat’ev, Celincev e al­tri economisti. Quasi a ribadire la totale estraneità del pensiero di Cajanov alle strut­ture del potere sovietico, l’annullamento del­la sentenza di condanna di Cajanov da parte della Corte suprema dell’Urss si è avuto solo nel luglio del 1987, ormai non lontano dal collasso finale del potere sovietico.

Il “ritorno” all’Europa della sua opera è — lo si è detto — cosa degli ultimi decenni. Il pensiero economico di Cajanov, che pur si era formato entro la cultura mitteleuropea d’inizio Novecento, inabissatosi prima nella notte dello stalinismo, e travolto poi dalla frattura culturale dell’Europa apertasi con le scelte di Jalta, è ritornato alla superficie in modi imprevedibili, come un fiume carsico, mostrando rilevanti potenzialità innovative. Se neH’Urss il dibattito sulle idee di Cajanov

si può considerare chiuso con il suo arresto all’inizio della collettivizzazione (fino alla metà degli anni settanta gli studiosi russi non ne citeranno più nemmeno il nome), nell’Eu­ropa occidentale tra le due guerre i suoi scrit­ti sono stati conosciuti da pochi economisti e sociologi, quali Werner Sombart e Alexan­der Gerschenkron. Tra il 1945 e il 1966 la sua opera fondamentale è probabilmente circola­ta in un ambito ristretto di studiosi dell’est europeo. In Polonia ha costituito un punto di riferimento essenziale per alcuni storici e sociologi. Witold Kula nel 1962, nella sua Teoria economica del sistema feudale, rico­nosce apertamente il suo debito teorico nei confronti di Cajanov; Bogusfaw GaFçski, nella Sociologia rurale. Concetti fondamen­tali del 1966, utilizza ampiamente il suo pa­trimonio teorico2.

La fortuna del modello di Cajanov inizia col dibattito interdisciplinare sull’economia contadina della seconda metà degli anni ses­santa, ma appartiene soprattutto agli anni settanta e ottanta, quando esso è stato stu­diato non solo da economisti e da sociologi, ma anche da antropologi, storici economici e storici della famiglia, da quelli legati alle “Annales” a quelli facenti capo al “Journal of Peasant Studies”3. Negli anni ottanta nuovi elementi hanno concorso a rinnovare l’interesse per un terreno di ricerca, quello delle economie contadine, che poteva appari­re ormai già lavorato in profondità dalla ri­cerca storica, o, piuttosto, esaurito da un lungo dibattito ideologico. La crisi delle prospettive di progresso del capitalismo e

1 Basile Kerblay, A. V. Cajanov: life, career, works, in Aa.Vv., A. V. Chayanov on the theory o f peasant economy, Manchester, 1986, p. XXXVI.2 Per comprendere come funzionasse il podere contadino precapitalistico mi hanno aiutato molto gli studi di A. Cajanov, Die Lehere von der bauerlichen Wirtschaft. Versuch einer Theorie der Familienwirtschaft im Landbau, Berlin 1923, e Zur Froge der nichtkapitalistischen Wirtschaftssysteme, Tubingen 1924, Witold Kula, Teoria econo­mica del sistema feudale, Torino, Einaudi, 1970 (ediz. polacca 1962), p. 67, n. 1 ; Bogusfaw Gafçski, Socjologia wsi. Pp/'çcia podstawowe (Sociologia rurale concetti basilari), Warszawa, 1966.3 Sulle colonne del “Journal o f Peasant Studies” si è svolto, nella seconda metà degli anni settanta, un ampio di­battito sulla teoria cajanoviana dell’azienda familiare, con interventi di M. Harrison, U. Patnaik, N. Georgescu- Roegen, C. Deere e altri.

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delle economie di stato del ‘socialismo rea­le’, il tramonto definitivo delle teorie del ta- ke-off nel Terzo mondo, la eterogeneità cre­scente di tutti i sistemi economici e, infine, il crollo rapidissimo dei sistemi economici e politici comunisti hanno reso sempre più ur­gente il bisogno di nuovi strumenti analitici. Basti pensare all’attenzione rivolta da parte degli storici alle determinanti non economi­che della economia, alla moral economy, al­le ‘seconde economie’ e alle ‘economie in­formali’, sempre più diffuse a fianco delle pigre e mastodontiche ‘economie di Stato’. Oppure si pensi alla scoperta della pluralità delle forme di razionalità del comportamen­to economico e sociale: per esempio alla sco­perta della intrinseca razionalità delle strate­gie demografiche contadine del Terzo mon­do, strategie assurde per i teorici dello svi­luppo dei paesi avanzati4. Ma forse l’ele­mento più importante è il ruolo decisivo as­sunto in molti paesi dell’Est europeo dalle economie contadine. È sempre più frequente sentir affermare che, nei paesi che furono del ‘socialismo reale’, “lo sviluppo dell’ap- pezzamento domestico ha prodotto la prima crepa entro il sistema della concezione del­l’economia basata sulla grande azienda di Stato, con sovvenzioni e dotazioni statali e

retta da una pianificazione imperativa5. Ed è un dato comune di queste aree la coinciden­za dell’appezzamento domestico, per minu­scolo che sia, con l’azienda agricola familia­re che è l’oggetto dello studio di Cajanov. L’azienda agricola familiare sembra oggi una categoria che in ampie aree dell’Europa orientale sopravvive o rinasce proprio per­ché si inserisce come terzo soggetto tra Stato e mercato, fornendo risorse intellettuali e morali che rafforzano la capacità della so­cietà civile di esercitare un’azione di freno sullo stesso potere politico6.

Uno dei motivi che hanno ostacolato la discussione scientifica su Cajanov è l’eti­chetta di neopopulista con cui quasi tutti gli studiosi hanno qualificato il suo pensiero, ripetendo fedelmente in questo le accuse sta- liniste e continuando a sovrapporre al suo pensiero una cifra ideologica. Teodor Sha- nin ci ricorda invece che “la descrizione del­l’opera di Cajanov e dei punti di vista condi­visi dalla cosiddetta scuola della organizza­zione e della produzione come neopopuliste, specialmente quando il termine è usato come sinonimo di peasantism programmatico che idealizza o promette speranze di un universo contadino è poco informata e fuorviarne”7. Cajanov non nega affatto la possibilità di

4 “I paesi ricchi dicono a quelli poveri: smettete di moltiplicarvi e sarete più ricchi. La stessa cosa ripetono ai pro­pri cittadini i leaders di molti paesi sovrappopolati... Ma le iniziative razionali dal punto di vista della bilancia ali­mentare o dell’analisi delle possibilità di formazione ed occupazione di una massa crescente di giovani, non sono necessariamente tali anche dal punto di vista della famiglia contadina. Per il contadino (anche se conosce le possibi­lità tecniche di controllo delle nascite) i figli non sono soltanto un valore apprezzato nella società tradizionale, non sono soltanto — diciamolo pure — talvolta l’unica felicità della vita, ma anche una riserva di forza-lavoro futura ed una assicurazione per la vecchiaia.” W. Kula e J. Kochanowicz, Kim sg chfopi? (Chi sono i contadini?), “Znak” (Il segno), n. 1-2, 1985, p. 29.5 Zoltan Taganyi, Csajanov agrdrkòzgazdasdgi elmélete: a csalddi gazdasdgtól a mezógazdasdgi nagyüzemig (La teoria dell’economia agraria di Cajanov: dall’azienda familiare alla grande impresa agricola), Budapest, 1989, p. 8.6 Questo sembra a Galçski il senso della lunga resistenza dei contadini polacchi al potere comunista durante il pe­riodo della Polonia popolare, una resistenza culminata nelle agitazioni contadine del 1980. “L’agricoltura indivi­duale era stata considerata da questa amministrazione [quella della Polonia popolare] come un ostacolo alla realiz­zazione del monopolio del potere sulla società” (Bogusfaw Galçski, Przeslanki do perspektywicznego modelu rol- nictwa (Le premesse per un modello disviluppo dell’agricoltura), “Wies Wspólczesna”, 1981, n. 1, p. 59.7 Teodor Shanin, Chayanov’s message: illuminations, miscomprehensions and the contemporary “development theory’’, Aa.Vv., Chayanov on the theory, cit., p. 15. È vero però che lo stesso Shanin, in un’opera precedente,

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un futuro sviluppo capitalistico della Russia, ma afferma anzi che già nel presente l’econo­mia contadina è dovunque inclusa nel siste­ma del mercato capitalistico mondiale.

Il rapido successo degli anni sessanta ha però giocato altri brutti scherzi a Cajanov, perché ha sovrapposto schemi preconfezio­nati a un pensiero difficile da catalogare. Per esempio non bisognerà confondere il conte­nuto concreto della sua opera con le costru­zioni teoriche e ideologiche elaborate da altri partendo dalle sue riflessioni. Il concetto di modo di produzione contadino8, frutto di una contaminazione tra il suo pensiero e la categoria marxiana, è una generalizzazione incompatibile col suo metodo analitico, che si fonda sul rifiuto di stabilire collegamenti meccanici tra società e sistemi economici. Cajanov si propone infatti di scrivere un ca­pitolo di Betriebslehere, di teoria delle forme organizzative aziendali, non di fare la descri­zione di un tipo di economia nazionale9. Il paradigma scientifico del suo lavoro si carat­terizza per il rifiuto di categorie lineari ed evolutive come quelle di transizione e di pro­letarizzazione, e per il rifiuto dei paradigmi in cui la totalità spiega sempre la parte. Per que­sto motivo si è parlato di una epistemologia

della molteplicità delle forme10, alludendo al­la rottura, attuata da Cajanov nei confronti dell’identificazione tra sistemi economici e forme produttive e, dall’altra parte, modelli di società. Questa epistemologia si caratteriz­za per l’utilizzazione di ‘analisi dal basso’11, fondate su una antropologia che, respingen­do tutte le forme di meccanicismo, rifiuta di spiegare l’azione economica unicamente sulle basi delle determinanti materiali, pur evitan­do al contempo psicologismo e soggettivi­smo. Questo modello concettuale della astra­zione e della purposeful simplification12 ha però favorito equivoci e interpretazioni fuor­viami. Cajanov infatti, per sviluppare le sue costruzioni teoriche, ha bisogno di isolare volta per volta i fenomeni dal contesto socia­le, dal mercato e dalla produttività, per ri­comporre il mosaico in un momento successi­vo. Questo procedimento può causare frain­tendimenti nei lettori che scambiano una sin­gola tappa per una asserzione definitiva13.

L’equilibrio produzione/consumo nell’a­zienda agricola familiare

L’azienda agricola familiare (o più semplice- mente, in quest’articolo, l’azienda contadi-

The awkward class. Political sociology o f peasantry in a developing society. Russia 1910-25, Oxford, 1972, p. 102, aveva incluso Cajanov e la scuola della organizzazione della produzione tra i neopopulisti.8 La formulazione compare in Jerzy Tepicht, Marxisme et agriculture: le paysan Polonais, Paris, 1973, p. 17 ss., e si presenta come un tentativo di costruire un modello di funzionamento dell’economia contadina, fondendo ele­menti marxisti col pensiero di Cajanov. Per esempio lo stesso termine “modo di produzione” non è usato nella tra­dizionale accezione marxista di generatore di formazione sociale, come l’autore rileva a p. 127.9 B. Kerblay, A. V. Chayanov: life, cit., p. LUI.10 T. Shanin, Chayanov e a questào de campesinato, Textos de estudo n. 07/89, Universidade Federai do Rio Gran­de do Sul, Porto Aiegre, 1989, pp. 4 e 7.11 T. Shanin, Chayanov’s message, cit., p. 5. Questa “analisi dal basso” si è però rivelata come un approccio in­completo e insufficiente alla questione (T. Shanin, Chayanov’s message, cit., p. 19) specialmente per l’analisi della economia contadina nei periodi più recenti. Essa sembra, infatti, prescindere dalla crescente integrazione delle varie forme sociali entro i sistemi macroeconomici.12 T. Shanin, Chayanov’s message, cit., p. 12.13 È il caso di alcuni dei rilievi critici mossi al modello da Utsa Patnaik, Neopopulism and marxism: chayanovian view o f the agrarian question and its fundamental fallacy, “Journal o f Peasant Studies”, n. 4, 1979. Cajanov, pe­rò, diversamente da ciò che gli attribuisce Patnaik, non sostiene mai il postulato delle uguali funzioni produttive delle aziende contadine e di quelle capitalistiche. Semplicemente ipotizza questa assunzione nella costruzione di un modello di correlazione.

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na, anche se a rigore i due termini non sono sinonimi) è nel modello di Cajanov un’unità produttrice di merci, o meglio in via di mer- cantilizzazione. L’impossibilità del ricorso alla contabilità capitalistica, secondo Caja­nov, è il punto di partenza per definire la na­tura della contabilità contadina. Nell’econo­mia capitalistica le categorie di capitale, sala­rio, profitto e rendita sono inseparabili. Nel­l’economia fondata sul lavoro familiare, quindi nell’economia di un’azienda contadi­na, non è possibile suddividere ulteriormente in categorie economiche il prodotto del lavo­ro, né da un punto di vista analitico, né da uno obiettivo, data l’inesistenza della catego­ria salario e l’impossibilità di una sua identi­ficazione anche a posteriori, sulla base dei sa­lari imputati. Le numerosissime infrazioni dell’azienda familiare alla ‘teoria dell’impre­sa’ confermano l’inapplicabilità di quest’ulti- ma all’economia contadina. La definizione teorica dell’economia agricola contadina ne­cessita allora di altri strumenti. Cajanov ri­fiuta la tesi sostenuta all’epoca da Alfred We­ber, secondo la quale nel contadino si con­giungevano le figure dell’imprenditore capi­talista e dell’operaio sfruttato14, facendone un “lavoratore dimezzato” in linea con la tra­dizione marxista. Il marxismo negava infatti la possibilità di una teoria organica dell’a­zienda contadina perché la considerava un ibrido o una forma di transizione, “una spe­cie di protomateria — per ricorrere a un’e­spressione di Cajanov — dalla quale si sareb­bero dovute cristallizzare le forme superiori della grande azienda collettiva”15, e vedeva il

contadino come una figura composita, per metà “futuro proletario” e per metà “aggrap­pato ad un incarnato spirito di proprietà”16. L’ipotesi di Cajanov è invece radicalmente diversa. Egli vedenelle motivazioni dell’attività economica del con­tadino non quelle dell’imprenditore che ottiene la differenza tra il reddito lordo ed i costi di produ­zione come risultato di un investimento di capitali, ma piuttosto quelle dell’operaio, che, lavorando secondo un sistema particolare di pagamento a cottimo, può determinare da solo durata ed inten­sità del lavoro17.

Tutte le altre deduzioni della propria teoria — aggiunge Cajanov — derivano in stretta logica da questa premessa di base. Che cosa determina allora il volume di attività econo­mica di questa azienda familiare, le cui moti­vazioni di lavoro sono analoghe a quelle di un operaio che determina da solo il suo cottimo? Nell’azienda agricola capitalistica il regolato­re dell’attività economica è la produttività dell’unità di lavoro, a sua volta condizionata dal livello dei capitali posseduti e della rendi­ta, dai prezzi di mercato, dal progresso tecno­logico. Tale produttività deve assicurare una remunerazione del capitale adeguata al sag­gio medio di profitto, altrimenti il capitale agrario deve “migrare” verso altri settori di investimento. Nell’azienda contadina il livel­lo della produzione è invece determinato da tre fattori: la produttività dell’unità di lavo­ro, la composizione della famiglia e, soprat­tutto, il grado di utilizzazione della forza la­voro familiare, o del suo autosfruttamento. Le osservazioni di Cajanov prendono le mos-

14 A. Tchayanov, L ’organisation de l ’économie paysanne, trad, di Alexis Berelowitch, Paris, Libraire du Regard, 1990, pp. 43-44. Si tratterebbe, in questa costruzione teorica, di un operaio sottoposto a disoccupazione cronica, che obbliga il padrone, in nome dei suoi interessi di operaio, a gestir male l ’azienda e a comportarsi in modo svan­taggioso ai suoi interessi di imprenditore.15 Ivan Kremnev (pseud, di A. Cajanov), Viaggio del mio fratello Aleksej nel paese dell’utopia contadina (Putese- stvie moego brata Aleksaja v stranu krest’janskoi utopii, Moskva 1920), Torino, Einaudi, 1979, p. 87.16 Friedrich Engels, La questione contadina in Francia e in Germania (1894), in K. Marx-F. Engels, Opere scelte, Roma, Editori Riuniti, 1969, p. 1219.17 A. Tchayanov, L ’organisation de l ’économie paysanne, cit., p. 44. A quest’opera, che contiene VOrganizacjia krest’janskogo chozjajstva e altri scritti minori di Cajanov fanno riferimento le nostre citazioni.

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se dalle teorie sulla differenziazione sociale sviluppatesi negli anni venti in Unione sovie­tica. Alcuni studiosi russi, analizzando la differenziazione sociale del settore contadi­no, avevano ipotizzato un’influenza della struttura demografica familiare (numero dei membri componenti e rapporto tra maschi e femmine e tra livelli di età) sul volume della attività agricola, tale per cui l’unità familiare sarebbe stata indotta ad aumentare e a re­stringere l’area coltivata in funzione del rap­porto tra esigenze di consumo e forza lavoro disponibile. Si determinerebbe così un ciclo biologico aziendale, che si ripeterebbe con andamenti diversi per ogni azienda e che pro­durrebbe una “differenziazione demografi­ca” tra aziende. Le aziende più ampie sareb­bero quelle all’apice della espansione demo­grafica, le aziende più piccole quelle in cui il ciclo biologico familiare è agli inizi. Ma la teoria della differenziazione demografica — espressione che non fu coniata da Cajanov — è solo il punto di avvio della riflessione di Cajanov, non un suo postulato essenziale18. L’autore stesso sottolinea come in molti casi

europei, l’influenza del ciclo biologico fami­liare sulle dimensioni della superficie azien­dale, per esempio dove vige il sistema dell’e­redità indivisa, sia inesistente19, pur conser­vando il modello la sua validità. L’analisi del ciclo domestico necessita degli strumenti ela­borati dagli storici della famiglia, delle men­talità, delle istituzioni giuridiche e sociali. Alcuni studi recenti sembrano indicare che, almeno per l’Europa moderna, proprio lad­dove prevale la famiglia di tipo patriarcale o comunitario, siano la composizione e la struttura familiare ad adattarsi alle superfici aziendali e non viceversa20. Altri studi però, anch’essi aventi per oggetto l’Europa moder­na, attestano che, dove è diffusa la famiglia di tipo nucleare, in presenza di meccanismi ereditari ugualitari che consentono una forte circolazione e mercantilizzazione della terra e implicano un forte frazionamento del cor­po aziendale, il ciclo biologico familiare con­diziona l’ampiezza aziendale. Sono le super­fici aziendali ad adattarsi continuamente alle dimensioni degli aggregati familiari e non il contrario21.

18 Nemmeno i dati di Kuscenko, citati da Cajanov (L ’organisation, cit., p. 70), dati che evidenziano il passaggio in massa delle aziende più piccole alle categorie superiori e di quelle più ampie nelle categorie inferiori, costituiscono una prova definitiva che sia unicamente il mutamento demografico della famiglia a spiegare i mutamenti della su­perficie aziendale e, quindi, la mobilità sociale interna al settore. In questo caso mi sembrano condivisibili le osser­vazioni di U. Patnaik (Neopopulism and marxism, cit., p. 381) che fa notare riprendendo alcune osservazioni di Lenin, che nella tabella di Kuscenko le aziende sono raggruppate in base alla terra comunitaria posseduta da cia­scuna, senza considerare la terra di proprietà privata acquisita da fonti esterne al mir.19 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 71.20 “Ciò che struttura la famiglia contadina, secondo Cajanov, è uno sforzo costante per adattare la sua superficie produttiva all’evoluzione del suo ciclo domestico. La logica del nostro modello comunitario smentisce la nota teo­ria dell’economia contadina. Si ha l ’impressione, scrive W. Kula, a proposito delle grandi proprietà polacche del XVIII secolo, che la composizione e la struttura della famiglia si adattino alle risorse invariabili delle forze produt­tive familiari. Come nella grande proprietà russa, è spesso il signore che impone alle famiglie contadine le misure appropriate a conservare la loro capacità produttiva.” E ancora: “nel caso della mezzadria per esempio, la preoccu­pazione di mantenere un rapporto costante tra le dimensioni della famiglia conduttrice e l’ampiezza del fondo a mezzadria provoca una circolazione incessante di mezzadri, attirati da una mezzadria più importante o rigettati verso una mezzadria più modesta in conseguenza della decurtazione della loro forza-lavoro” (André Burguiere, Pour une typologie des formes d ’organisation domestique de l ’Europe moderne (XVI-XIX siècles)), “Annales E .S.C .”, 1986, n. 3, pp. 647 e 648. È da rilevare, curiosamente, che l’autore, così drastico nel negare la correlazio­ne ipotizzata da Cajanov, nelle sue esemplificazioni concrete fa sempre riferimento a famiglie contadine non indi- pendenti, ma inserite nel quadro di una proprietà fondiaria più ampia (grande proprietà russa o polacca, tenuta mezzadrile, proprietà collettiva indivisa ecc.).21 Bernard Derouet, Famille, ménage paysan et mobilité de la terre et des personnes en Thimerais au XVIII siècle, “Etudes rurales” , 1982, n. 86, pp. 54-55.

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Indipendentemente dai riflessi del fattore demografico sulla superficie aziendale, Ca- janov non mette in dubbio la sua influenza sul volume delle attività economiche fami­liari. Anzi si può affermare che

se è vero che l’equilibrio dipende sia dalle esigen­ze di consumo, che dalle condizioni produttive, le prime rivestono, in un’economia contadina, un’importanza superiore ai vincoli produttivi22.

Nella agricoltura familiare, dove le norme di intensità del lavoro non raggiungono mai quelle del pieno impiego, da un lato vi è una sottoccupazione strutturale, dall’al­tra una flessibilità potenziale di impiego della massa di lavoro che rende notevoli le differenze di lavoro erogato non solo a pa­rità di manodopera, ma anche di capitale investito e di ampiezza aziendale. Secondo Cajanov questa flessibilità — che è poi la flessibilità del grado di autosfruttamento o di utilizzazione della manodopera familiare — si spiega con la nozione cardine di equi­librio interno aziendale o equilibrio consu- mo/lavoro (C/L), ossia l’equilibrio tra la domanda familiare soddisfatta e l’intensità dello sforzo di lavoro23. Secondo Daniel Thorner

una volta compreso, questo concetto fornisce la chiave di tutta la sua teoria e del suo modo di presentazione [...] Questa nozione è una delle armi principali che utilizza nelle sue dure criti­che tanto dell’economia marxista in Russia, quanto dell’economia ortodossa classica e neo­classica dell’Occidente24.

Per comprendere questo concetto chiave bi­sogna considerare che per Cajanov l’attivi­

tà economica del podere contadino si di­spiega sotto la pressione determinante di al­cuni fattori demografici. Qualcosa di simile è rinvenibile nella economia contadina feu­dale.

Studiando l’economia del podere dei contadini-servi entro la riserva signorile po­lacca del Settecento Witold Kula, fondan­dosi tra l’altro proprio sulle osservazioni di Cajanov, ha individuato un meccanismo di arricchimento che si basa sulla quantità di forza lavoro familiare: si tratta del podere supplementare preso in affitto dalla fami­glia colonica che dispone di una forza lavo­ro eccedente, una volta svolte le corvées padronali. Questo fenomeno dimostrerebbe che “in questo sistema economico dove, co­me è noto, le famiglie di contadini ricchi sono quelle che contano più membri, esse non siano più numerose perché ricche, ma al contrario, siano più ricche perché più numerose”25.

La teoria di Cajanov si spinge oltre. L’at­tività economica maggiore per unità lavora­tiva si realizzerebbe infatti non in proporzio­ne alla crescita delle “braccia da lavoro” di­sponibili, ma dello squilibrio tra le “bocche” e le “braccia” a tutto vantaggio delle prime; nella misura in cui vi è un più alto numero di consumatori per lavoratore o nella misura in cui, fermo restando il numero delle unità consumatrici, crescono i consumi sotto l’in­flusso di fattori macroeconomici e comun­que extraziendali. Cajanov verifica questa ipotesi mettendo in correlazione il coeffi­ciente consumo/lavoro con la quantità di la­voro erogata procapite26. Cajanov sa benis­simo che stabilire una correlazione non si-

22 Alessandro Stanziani, L ’impresa familiare nel pensiero di A. V. Cajanov, “Studi economici”, 1987, n. 32, p. 75.23 II termine russo adoperato da Cajanov, tyagostnost truda, che indica gli inputs di lavoro come soggettivamente percepiti dai contadini, è stato reso in inglese con il termine drudgery o f labor, in francese con pénibilité du travail.24 Daniel Thorner, Une théorie néo-populiste de l’économie paysanne: l ’Ecole de A. V. Cajanov, in A.V. Tchaya- nov, L ’organisation, cit., p. 14.25 W. Kula, Teoria economica del sistema feudale, cit., p. 80.26 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 84, tab. II.8.

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gnifica istituire tout court un rapporto di causa-effetto27, come sa anche che riportare gli effetti alle cause nell’ambito dei fenome­ni economici è uno dei problemi più compli­cati dell’economia come della storia econo­mica. Cajanov procede, proprio per questo motivo, con molte cautele, attraverso tabelle sempre volutamente disomogenee tra loro, che neutralizzano in successione una deter­minata variabile. Si potrebbe infatti ipotiz­zare che il livello di attività economica della singola azienda sia determinato dalla quan­tità di forza lavoro, dalla superficie azienda­le e, soprattutto, dal livello di capitalizzazio­ne. Per esempio le aziende con un più forte squilibrio tra le “bocche” e le “braccia” po­trebbero essere quelle in cui il singolo lavo­ratore è in grado di erogare un maggior vo­lume di lavoro, soltanto perché la maggior disponibilità di capitali consente alla fami­glia di mettere al mondo più figli e/o di aver un più basso tasso di mortalità. Come nella azienda capitalistica, dunque, il capitale e non le esigenze di consumo determinerebbe­ro la quantità di lavoro.

Cajanov dimostra che nessuno dei tre ele­menti citati svolge un ruolo determinante, anche se ognuno di essi ha un ruolo condi­zionante28. Non è la variabile “numero di unità lavoratrici” per azienda a determinare l’attività economica familiare. Infatti i red­diti annui familiari non aumentano progres­sivamente passando ad aziende con un nu­mero più elevato di unità lavoratrici, ma con quantità identica di unità consumatrici. E neppure l’ampiezza aziendale determina l’attività economica del singolo lavoratore. Infatti a parità di superficie aziendale per la­voratore vi sono ampie oscillazioni nella produzione procapite: tale produzione au­

menta, quanto maggiore è lo squilibrio tra le “bocche” e le “braccia” , il coefficiente C/L (unità consumatrici/unità lavoratrici) nella terminologia dell’autore. Queste oscillazioni non sono determinate dalla diversa produtti­vità, e quindi anche dal diverso livello di ca­pitalizzazione. Infatti, a parità di superficie aziendale, al crescere della produzione pro­capite non si accompagna alcun incremento del fondo di consumo per unità consumatri­ce, segno che le condizioni della produzione, e quindi la capitalizzazione, non migliorano. Si può anzi notare che la crescita della pro­duttività del lavoro porta a una diminuzione della massa di lavoro erogata su scala an­nua. Infatti al crescere della remunerazione di una giornata di lavoro per lavoratore, cresce molto più lentamente il budget perso­nale per consumatore, segno che l’intensità di lavoro su scala annua diminuisce con una miglior remunerazione di esso. Non è, allo­ra, nemmeno la variabile produttività del la­voro a determinare il volume di attività del­l’azienda. Anzi, in questo caso abbiamo una correlazione inversa: a condizioni di produ­zione immutate, una crescita della produtti­vità del lavoro determinerà una diminuzione del volume di attività economica.

Cajanov può delineare così il modello di equilibrio interno dell’azienda29, facendo ri­corso agli strumenti della scuola marginali- stica:

Dato che l’utilità marginale decresce nella misura in cui cresce la somma totale dei valori disponibi­li per il conduttore aziendale, ad un certo punto della crescita del reddito del lavoro, la penosità (disutilità) delle unità di lavoro marginali erogate eguaglierà l’apprezzamento soggettivo dell’utilità marginale della somma di valori ottenuta dal la­voro. La produzione del lavoratore dell’azienda

27 U. Patnaik, Neopopulism and marxism, cit. p. 381. La critica di Patnaik si fonda qui sulla pretesa identificazio­ne da parte di Cajanov di correlazione e causazione.28 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., pp. 85-86, tabb. II.9, 11.10,11.12.29 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p.88, fig. II.3.

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contadina familiare si fisserà a questo punto di equilibrio naturale, dato che ogni spesa supple­mentare di lavoro sarà soggettivamente svantag­giosa30.

In altre parole, il conduttore a un certo pun­to valuterà, più o meno consapevolmente, che ogni ulteriore fatica non è più compen­sata da una soddisfazione ancora apprezza­bile di un bisogno familiare e a quel punto egli fisserà l’equilibrio interno dell’azienda. Il piccolo proprietario piemontese del Sette­cento non introduce volentieri il mais, nono­stante questo possa alleviare i suoi problemi alimentari, perché la necessità di zappare anziché di arare la terra, la più difficile com­merciabilità del prodotto, la qualità inferio­re di esso dal punto di vista alimentare pre­valgono, nella sua valutazione soggettiva, sulla crescita della quantità di prodotto di­sponibile al consumo31. O, al contrario, se si determineranno nuovi bisogni, il conduttore sposterà in avanti il punto di equilibrio: in questo caso, il funzionamento del modello rimanda a regolarità sociali già scoperte nel­le antiche civiltà, alla comparsa dell’azienda contadina. Già nella antica sapienza ebrai­ca, come Cajanov sottolinea, si sa che “l’ap­petito del lavoratore lavora per lui, perché su lui fa forza la sua bocca”32.

Se il criterio distintivo della efficienza del­la azienda capitalistica è la produzione netta della singola unità di lavoro entro un tempo dato, il criterio corrispondente nella azienda contadina sarà invece la remunerazione glo­

bale del lavoro familiare. A questi elementi vanno ricondotte le riflessioni sulla stabilità e resistenza del settore contadino33. Cajanov afferma l’impossibilità di comparare i due sistemi economici per la loro intrinseca di­versità, non quantitativa ma qualitativa34, superando in tal modo sia la querelle tardot- tocentesca sulla superiorità tecnica della pic­cola o della grande azienda, che la sua ripre­sa, a opera del pensiero agrario di Lenin, avvenuta in un contesto teorico in cui si tor­nava a negare ogni possibilità di distinzione scientifica del settore contadino rispetto a quello capitalistico, si affermava il carattere capitalistico, sia pur mascherato, di tutte le componenti sociali della agricoltura e, di conseguenza, il carattere transitorio del set­tore contadino35. Tuttavia (ed è necessaria questa precisazione al fine di riconoscere i condizionamenti storici del modello cajano- viano), anche questo strumento analitico, come le teorie marxiste della questione agra­ria, è stato elaborato entro l’orizzonte stori­co della seconda rivoluzione agricola dell’e­vo moderno36, o, per dir meglio, al suo ac­me. Nel periodo 1860-1940 i progressi dell’a­gricoltura in Europa sono legati ai rendi­menti, più che alla produttività. L’impiego di nuovi macchinari e attrezzi (soprattutto mietitrebbie e mietitrici) non si è accompa­gnato a un forte incremento della produtti­vità del lavoro o a un incremento annuo di quest’ultima superiore a quello della prima rivoluzione agricola; la forte crescita demo­grafica europea ha spinto all’incremento an-

30 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 88.31 Giovanni Levi, Innovazione tecnica e resistenza contadina: il mais nel Piemonte del ’600, “Quaderni storici”, n. 42, 1979, p. 1096.32 Proverbi, XVI, 26. La citazione biblica compare in A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 245, n. 3.33 A. Tchayanov, L ’organisation cit., p. 95.34 A.V. Cajanov, Che cos’è la questione agraria? (Cto takoe agrarnyj vopros? Moskva 1917), in A.V. Cajanov, L ’economia di lavoro, Milano, 1988, p. 148.35 V.I. Lenin, I signori borghesi sull’agricoltura dei lavoratori (1913), in Teoria della questione agraria, Roma, Editori Riuniti, 1969, pp. 257-261.36 Paul Bairoch, Les trois révolutions agricoles du monde développé: rendements et productivité de 1800 a 1985, “Annales E .S.C .”, n. 2, 1989, pp. 317-347, in particolare pp. 338-341.

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che del numero assoluto degli attivi in agri­coltura e alla messa a coltura di terre margi­nali. Questo può spiegare il limite rilevato da Jacek Kochanowicz nel modello di Caja- nov che, a suo avviso,interpreta relativamente bene la modernizzazione agricola basata sulla crescita della produttività della terra e decremento della produttività del la­voro, ma, almeno a un primo sguardo, interpreta in modo molto più debole la modernizzazione ba­sata sull’incremento della produttività del lavo­ro37.

Resta aperto il problema della possibilità di introdurre varianti che adattino il modello anche ad un’agricoltura ad alto ritmo di cre­scita della produttività dell’unità di lavoro, quale quello che ha caratterizzato la terza ri­voluzione agricola della nostra epoca.

Il lavoro familiare

In una azienda contadina la forza lavoro è l’elemento fisso che determina le variazioni di capitale e dell’area aziendale38. A diffe­renza della organizzazione capitalistica, in cui il volume della attività economica è limi­tato dalla produttività dell’unità di lavoro (e quindi dal livello dei capitali, dai prezzi di mercato ecc.), qui gli elementi dati non sono né la terra né i capitali. Di conseguenza, per la famiglia contadina, l’ottimizzazione del rapporto tra i fattori produttivi non è un im­perativo assoluto. Se la terra o i capitali so­no a un livello minimo, la famiglia contadi­

na bilancerà i fattori mancanti con una ac­cresciuta intensità di lavoro, fintanto che non riuscirà eventualmente a portarli a un li­vello più accettabile. Di fatto però il lavoro erogato dalla famiglia contadina è sempre inferiore alle sue potenzialità. La sottoccu­pazione è un elemento strutturale, connatu­rato al modello. Questo dato, raramente preso in considerazione, è di importanza ca­pitale per la lettura delle statistiche agrarie, che sottovalutano sistematicamente la pro­duttività della unità di lavoro dell’azienda contadina, deducendola arbitrariamente dal quoziente di offerta globale di lavoro fami­liare e produzione aziendale39.

Una volta individuati i fattori determi­nanti il volume delle attività economiche della famiglia contadina, è necessario indi­viduare il rapporto intercorrente tra le varie componenti della produttività (i capitali tec­nici, edifici, bestiame e attrezzi).

Nell’azienda familiare — secondo Caja- nov — il capitale non determina “in modo aritmetico” il volume della attività azienda­le, ma è solo una delle condizioni, a partire dalle quali la famiglia definisce questo volu­me40. Non può sfuggire l’importanza di questa ipotesi teorica ai fini dell’analisi sto­rica: esiste una dinamica economica, anche entro società di tipo capitalistico, che non può essere ricondotta alla semplice capi­talizzazione delle aziende, alla dotazione tecnologica, ma che si spiega sulle basi di altre determinanti. Cajanov come anche al­tri studiosi russi degli anni venti (Kritsman

37 Jacek Kochanowicz, Spór o teorie gospodarki chVopskiej. Gospodarstwo chl/opskie w teorii ekonomii i historii gospodarczej (La quérelle sulla teorìa dell’economia contadina. L ’azienda contadina nella teoria dell’economia e della storia economica), tesi di abilitazione-dattiloscritto, Warszawa, 1990, p. 106.38 B. Kerblay, A. V. Chayanov: life, cit., p. LI.39 “La maggior parte delle stime della produttività del lavoro in agricoltura, da parte degli economisti, rapporta l’offerta globale di lavoro familiare alla produzione aziendale, giungendo così, perciò, alla conclusione errata che la produttività del lavoro in agricoltura è, più o meno, al di sotto del livello della produttività del lavoro fuori dal settore agricolo” (Gunther Schmitt, Why Collectivization o f Agriculture in Socialist Countries really has failed: a Transaction Cost Approach, paper presentato a Ninth International Conference on Ussr and East European Agri­culture, Ciechocinek, Poland, September 1990, p. 10.40 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., pp. 103-104.

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per esempio) mette in guardia contro le facili generalizzazioni costruite sugli indicatori in­diretti e statici di inuguaglianza e stratifica­zione sociale, quali i capitali aziendali, la su­perficie agraria, il lavoro extraziendale. Dif­ferenziazione non necessariamente significa rapporto di sfruttamento tra aziende o gruppi di aziende. È da questa consapevolezza che nasce la metodologia sofisticata della scuola cajanoviana, fondata sull’analisi dei bilanci aziendali e dei processi e delle transazioni im­plicite nella organizzazione aziendale. Va det­to che nella storiografia dell’azienda contadi­na si sono, nella maggior parte dei casi, privi­legiati proprio quegli indicatori indiretti da cui mettevano in guardia gli studiosi russi de­gli anni venti.

Studiando i bilanci delle famiglie contadine russe dell’inizio del Novecento, Cajanov nota infatti che, a un medesimo livello di capitale impiegato per azienda, l’attività agricola fa­miliare si amplia al crescere del numero dei la­voratori per famiglia: il capitale mancante è rimpiazzato dalla crescita della intensità di la­voro. D’altra parte, nemmeno la presenza a livello minimale di uno dei fattori della pro­duzione (per esempio la terra) determina mec­canicamente, da solo, il volume della produ­zione. Tra Tuna e l’altro si realizza un com­plesso processo di adattamento che si esprime nella adozione di differenti strategie di sussi­stenza da parte della famiglia, interpretate dalla storiografia marxista come fenomeni di pura e semplice proletarizzazione. Per Caja­nov l’organizzazione aziendale non è un ele­mento secondario, una volta che sia indivi­duato il modo di produzione dominante. Essa non è né una sovrastruttura ideologica, né un mito. Jeffrey R. Jones asserisce che “la mani­polazione delle differenti strategie di sussi­

stenza da parte dei contadini è l’essenza del concetto caj anoviano di organizzazione del­l’azienda agricola familiare”41. Studiando le reazioni dei contadini boliviani di Cocha­bamba, tra il 1968 e il 1976, di fronte alla di­minuzione del prezzo delle patate, Jones no­ta comele varianti tecnologiche possano essere applicate per mantenere entrate monetarie del tutto costanti in condizioni sfavorevoli di mercato attraverso la ricombinazione delle risorse e gli adattamenti dei piani organizzativi aziendali42 43.

Questo, per Jones, sarebbe stato lo strumen­to adoperato dai contadini boliviani per man­tenere inalterato il reddito di fronte alla dimi­nuzione del prezzo di mercato del prodotto. Un sistema di raccolti alternati nel corso del­l’annata agraria avrebbe consentito, grazie all’elasticità della manodopera familiare, di mutare tecnica produttiva, passando a una qualità di patata a più bassa resa unitaria (loj- ru), ma a costi minori per unità di prodotto (la semente non è acquistata sul mercato, ma è prodotta in azienda dagli altri appezzamenti a patate a più alta resa unitaria, mishka, e a maggior intensità di lavoro — doppia conci­mazione e irrigazione). Tra le due strategie di sussistenza che Cajanov analizza, la più tipi­ca della Russia di inizio secolo è senza dubbio la sovrintensificazione del lavoro agricolo. Laddove l’azienda, con alcuni fattori di pro­duzione a livello minimale, ha una quantità notevole di lavoro eccedente e di bisogni in­soddisfatti e nessun altra possibilità di elimi­nare lo squilibrio, la famiglia accetta una re­munerazione minore dell’unità di lavoro. Essa può intensificare i suoi metodi di lavoro, come anche scegliere colture di tipo labour- intensiveA3. Oppure, come dimostrano le aziende contadine svizzere e cecoslovacche,

41 Jeffrey R. Jones, Chayanov in Bolivia: changes in potato productivity among Cochabamba peasants, in E. Paul Durrenberger, Chayanov, Peasants and Economic Anthropology, Orlando (Florida), Academic Press, 1984, p. 160.42 Jeffrey R. Jones, Chayanov in Bolivia, cit., pp. 161-162.43 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., tab. III-26, p. 123.

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può estrarre un reddito lordo crescente da ogni unità di capitale aziendale posseduto, abbassando contemporaneamente la remune­razione unitaria del lavoro e fissando l’equili­brio economico di base a un tenore di vita più basso44. Si tratta dunque, in questi casi, di una “pauperizzazione” che non si traduce ne­cessariamente in “proletarizzazione” . Questo fenomeno permette di spiegare il tratto tipico dell’alta produzione unitaria nell’azienda contadina, rispetto a quella capitalistica, sen­za ricorrere a valutazioni astratte sullo spreco di lavoro e sulla dispersione di capitali che dovrebbe essere il senso dell’alta densità di la­voro umano rispetto ai capitali posseduti. Un’altra strategia di sussistenza può essere anche il ricorso al lavoro extraziendale di qualche componente del nucleo familiare. Come è noto, nelle campagne russe dell’inizio del Novecento lo sviluppo del capitalismo è caratterizzato da una graduale penetrazione all’interno di quelle attività collaterali all’a­gricoltura, estremamente diffuse presso tutti i tipi di azienda agricola, attività che vengono gradualmente subordinate alla sfera del capi­talismo commerciale prima e industriale poi. Cajanov fa riferimento ai promysly, cioè ai servizi e alle attività produttive extra agricole svolte all’interno del villaggio, e agli otchody, ovvero alle attività svolte fuori del villaggio. I redditi provenienti da queste attività sono in rapporto alla dinamica interna dell’azienda e al suo equilibrio economico di base. Anche in questo caso le considerazioni di Cajanov ci permettono di leggere i fenomeni delle presta­zioni esterne di manodopera come fenomeni complessi, non riconducibili alle tipologie classiche della proletarizzazione.

La ripartizione del lavoro familiare in lavo­ro contadino e lavoro extraziendale non è de­terminata soltanto dalla mancanza di terra o

di capitali. Un altro fattore decisivo è la in­sopprimibile irregolarità stagionale del lavo­ro agricolo, una irregolarità che spinge la fa­miglia a cercare soluzioni che rendano il più omogenea possibile l’occupazione annua. L’intensità del lavoro tende infatti a livellar­si tra le varie famiglie, proprio grazie all’ap­porto del lavoro extraziendale nei vari grup­pi aziendali con superficie agraria diversa45. In secondo luogo il mercato del lavoro, in determinate congiunture di prezzi e di salari, offre una retribuzione maggiore dell’unità di lavoro marginale della famiglia agricola. In questo caso — Cajanov non ha difficoltà ad ammetterlo — la famiglia ha assunto, scegliendo la remunerazione massima per unità di lavoro, un punto di vista analogo a quello del capitalista che sceglie il massimo profitto netto, con la differenza però che il primo investe la totalità del capitale mentre la famiglia non utilizza mai per intero la sua forza lavoro. Il lavoro extraziendale non è pertanto il segno né di un peggioramento dell’equilibrio interno né, tantomeno, di un processo di transizione che conduce alla li­quidazione della azienda. Esso è un caso di ripartizione del lavoro ai fini di una com­pensazione produttiva e di una redistribu­zione equilibrata dell’attività fra tutti i membri della famiglia.

I due fenomeni sopra citati spiegano un altro tratto tipico dell’azienda familiare, os­sia la tendenza — quando è possibile — al­l’ampliamento della base produttiva. Per Cajanov infatti

se in ogni annata particolare, il volume di attività è determinato dai mezzi di produzione disponibili nell’anno medesimo, la disponibilità di tali mezzi di per sé è, nel lungo periodo, regolata dalla fa­miglia o, più precisamente, tende ad esser regola­ta sull’oggettivo volume ottimale di attività46.

44 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., tab. III-ll, p. 106.45 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 195, fig. IV-20.46 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., pp. 121-122.

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La famiglia contadina tende ad accumulare in terreni, a ottimizzare il rapporto tra su­perficie agricola e le sue dimensioni? I dati forniti dagli studi dinamici russi sembrano confermarlo: nei casi in cui le aziende non riescono ad ampliarsi tramite la “ripartizio­ne periodica”, il ruolo di quest’ultima è as­sunto dall’affitto di terra47. Non sempre dunque è la “fame di terra” il vincolo più ri­gido della produzione contadina. Questa elasticità della superficie aziendale (premes­sa essenziale di una eventuale differenziazio­ne demografica) non sembra, secondo Caja- nov, trovare però riscontro in Europa occi­dentale, o, a dir meglio, in alcune aree di es­sa. In questi casi la maggior rigidità del mer­cato fondiario, la sovrappopolazione agra­ria, i sistemi ereditari a erede unico, la pre­senza di un sistema agricolo intensivo di tipo capitalistico, la forte coerenza delle compo­nenti di ciascun apparato produttivo, limita­no fortemente tale elasticità. Al posto della elasticità della superficie si troverà qui più spesso l’elasticità dell’intensità di lavoro, la sovrintensificazione del lavoro.

La strana accumulazione

Cajanov ha già sottolineato la diversità del ruolo dei capitali impiegati nell’azienda con­tadina, rispetto a quelli dell’azienda capitali­stica. Ma questa diversità, a suo avviso, va estesa anche alla sfera della riproduzione del capitale, della sua circolazione. Punto di partenza del suo ragionamento è la indivisi­bilità del reddito lordo aziendale. Diversa- mente da altri, egli ritiene impossibile indivi­duare una remunerazione distinta dei diversi fattori della produzione. Nell’azienda conta­dina infatti il lavoro è anticipato assieme al

capitale, e non è acquisito in cambio di un capitale per cui, a processo di produzione concluso, la somma dei valori che servono a ricostituire la forza lavoro non può essere determinata da categorie macroeconomiche oggettive ed esterne all’azienda come il sala­rio. A maggior ragione non sarà possibile calcolare alcun profitto sul capitale investi­to: l’unità temporale di calcolo della redditi­vità non potrà essere l’annata, ma sarà un arco di tempo più ampio. A differenza della produzione capitalistica, per l’azienda con­tadina il tempo non può essere tutto.

Come si stabilisce, allora, la divisione del reddito lordo in una parte destinata alle spe­se di consumo improduttivo e in una desti­nata alle spese di capitale? Nelle aziende contadine studiate da Cajanov si registra un aumento delle spese produttive fino a un de­terminato livello48 raggiunto il quale le spese diminuiscono progressivamente se confron­tate con le spese di consumo procapite. Il conduttore dell’azienda rinuncia a massi­mizzare il suo capitale, punta invece a otti­mizzarlo, in modo da realizzare le potenzia­lità produttive della famiglia. Il conduttore non porta la formazione di capitale al punto in cui l’azienda potrebbe avere un reddito massimo. Si comporta più come un target producer (produttore per un obiettivo pre­fissato, produttore su ordinazione) che co­me un market producer (produttore per il mercato).

“Il tradizionale processo di massimizza­zione dell’utilità non costituisce affatto, tranne che in età dell’oro, il criterio di guida al processo allocativo, viceversa legato all’o­biettivo di conseguire un determinato livello di reddito”49. D’altro canto ciò dimostra che spese di investimento e spese di consumo provengono da un medesimo fondo al cui

47 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., tab. III-24, p. 120.48 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 217, tab. V-3, p. 218, fig. V-3.49 A. Stanziani, L ’impresa familiare, cit., p. 79.

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interno è impossibile distinguerle. Se i biso­gni familiari fossero una categoria residuale, come spiegare la riduzione della quota di reddito investita dopo le annate di buoni rac­colti, o di congiunture di mercato favorevoli e l’incremento di tale quota dopo le annate cattive? Stanziani ha messo in rilievo come la tesi di un muzik volto alla speculazione, nella Russia degli anni venti, con cui la storiogra­fia tradizionale ha interpretato il fenomeno dell’astensione dagli investimenti da parte delle aziende contadine e il loro ritiro dal mercato, debba essere reinterpretato in mo­do radicalmente diverso50. Esiste dunque una correlazione tra processo di formazione-rico­stituzione del capitale ed equilibrio economi­co di base, cioè bisogni di consumo fami­liare.

La tesi di Cajanov è che il processo di for­mazione del capitale dipende, anch’esso, co­me il volume di attività economica, dall’e­quilibrio di base. La ripartizione del reddito in consumi e investimenti si effettua in fun­zione del desiderio di conservare in futuro il medesimo tenore di vita, il che può anche si­gnificare aumentarlo o diminuirlo volonta­riamente nelle singole annate, in relazione ai mutamenti nell’economia nazionale. Ecco perché la crescita della formazione di capita­le e del reddito lordo sono entità direttamen­te proporzionali: in questo caso è possibile mantenere il tenore di vita contemporanea­mente a un più elevato volume di investimen­ti, dato che diminuisce l’incidenza relativa del “lavoro necessario” sul lavoro globale. A differenza della azienda capitalistica, dun­que, le spese di investimento non variano in

relazione ai redditi agricoli, ma al fondo per­sonale disponibile per consumatore (che, a sua volta, sarà condizionato dal livello dei prezzi dei beni di origine industriale o dalla presenza deipromysly). È interessante il fatto che il lavoro extraziendale si accompagni in molti casi non a una proletarizzazione, ma a una capitalizzazione dell’azienda. Questo fe­nomeno non ha caratterizzato soltanto la Russia di inizio secolo. Torniamo al caso del­la Polonia in epoca recente.Tra le conseguenze ricordate della biprofessionali- tà, un memorialista [ci si riferisce ai dati di una in­dagine sociologica storica basata su memorie per­sonali commissionate allo scopo tra il 1960 e il 1970] su tre dava informazioni sulla ristrutturazio­ne e il miglioramento della sua azienda. Tra le ca­ratteristiche più rilevanti vi era questa, che molti proprietari delle aziende più ampie, collegando la loro prospettiva esclusivamente all’azienda, ave­vano intrapreso un lavoro extraziendale tempora­neo, per procurarsi i fondi per determinati obietti­vi di investimento. Inoltre questa categoria di con­tadini-operai, subordinando la stabilità dell’esi­stenza futura all’incremento immediato dei consu­mi, dava la priorità agli investimenti produttivi51.I contadini-operai, vera e propria nuova awk­ward class per i dirigenti della politica agraria esteuropea, lungi dall’essere un elemento di transizione verso la classe operaia si rivelava­no spesso un elemento di consolidamento del­la struttura contadina, quasi una fase del suo ciclo economico tradizionale.

Se l’equilibrio di base dell’azienda condi­ziona il processo di capitalizzazione, que­st’ultimo a sua volta è in grado di influenzare tale equilibrio. Questo è il motivo per cui non ogni tipo di investimento che comporti un au-

50 A. Stanziani, L ’impresa familiare, cit., p. 80. “L’elaborazione di Cajanov trovava conferma nella Russia degli anni venti. Se andiamo infatti ad esaminare i dati aggregati del settore agricolo e i budget delle singole aziende, possiamo notare come nella stragrande maggioranza delle aree agricole sovietiche... le aziende contadine tendesse­ro a ridurre la quota di reddito investito dopo le buone annate, e anche in presenza di prezzi agricoli crescenti, co­me accadde ad es. nel 1925/26. Viceversa nelle regioni colpite dalla carestia del 1921/22... si ebbe dal 22 al 24 un incremento della quota di reddito investita” (pp. 79-80).51 Henryk Sïabek, ChJopska ludnosc dwuzawodowa w Polsce 1945/70 {La popolazione contadina biprofessionale in Polonia 1945/70), in Dzieje Najnowsze, Warszawa, 1986, n. 2, p. 139.

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mento della produttività del lavoro è accet­tato dalla famiglia contadina. Condizione necessaria e indispensabile dell’investimento sarà che il punto di equilibrio dell’attività economica si fissi a un livello al quale corri­spondono una minor “penosità” dell’eroga­zione di lavoro marginale e, contempora­neamente, una soddisfazione maggiore dei bisogni. Questo punto di equilibrio più van­taggioso non sempre si raggiunge con inve­stimenti che aumentano la produttività del lavoro e che potrebbero essere introdotti utilmente data l’ampiezza aziendale.

L’azienda contadina si caratterizza allora per una dinamica degli investimenti che ha poco a che fare con quella delle aziende ca­pitalistiche. Questa dinamica emerge anche all’interno di aree diverse dalla Russia, ca­ratterizzate da un potente slancio borghese e capitalistico. Barbara Karsky, studiando la realtà dell’economia contadina degli Stati Uniti d’America alla fine del Settecento, tro­va adeguato il concetto caj anoviano di equi­librio consumo/lavoro per interpretare la di­namica degli investimenti nelle aziende di quelli che definisce fittavoli-speculatori.Un buon investimento è un mezzo per alleggerire il peso del lavoro. Senza voler cercare a tutti i co­sti il tesoro nascosto, al fittavolo-speculatore pia­cerà trovare delle occasioni di assicurarsi un gruz­zolo per l’avvenire, per i tempi più difficili o per la sua vecchiaia, contemporaneamente alla sicu­rezza per il presente52.

In altri termini, a differenza dell’azienda ca­pitalistica, l’azienda familiare non spingerà gli investimenti sino al limite in cui ogni au­mento di essi sarà obiettivamente redditizio, ma limiterà l’investimento alla quantità di capitale necessaria a mettere in equilibrio

tempo di lavoro e remunerazione di essi. Il criterio sarà, ancora una volta, un criterio soggettivo. All’inverso, in altri casi, il mac­chinario può essere introdotto anche sotto la soglia minima di convenienza se la diminu­zione della remunerazione unitaria del lavo­ro (dovuta ai costi della macchina) è com­pensata dall’aumento del volume delle altre attività aziendali o dalla crescita del reddito lordo53. L’equilibrio interno agisce quasi co­me un elemento di autorazionalizzazione de­gli investimenti. Di qui la funzione raziona- lizzatrice che secondo alcuni è svolta in certe economie dai sistemi di aziende contadine.

Se per razionalizzazione intendiamo la massimizzazione del risultato con l’impiego di un dato input, l’azienda contadina pre­senta potenzialità positive almeno sotto due punti di vista. Quello dell’innalzamento del­la efficienza dei fattori utilizzati e quello della capacità di adattamento a condizioni di gestione economica mutevoli accettando, in casi particolari, di sopravvivere a costo di un temporaneo regresso54. Secondo Paul Bairoch le nuove tecnologie agricole della prima metà dell’Ottocento avrebbero fatto crescere non la produttività per unità di la­voro, ma la durata annua del lavoro effetti­vo e anche la sua intensità55. Questo tipo di crescita della produttività, che Bairoch ritie­ne decisiva per lo sviluppo del resto dell’eco­nomia, può interessare soltanto un’azienda familiare che ponga in essere quella partico­lare dinamica degli investimenti individuata da Caj ano v. Alla azienda agricola capitali­stica interessa soprattutto la produttività della unità di lavoro che non coincide neces­sariamente con la produttività per persona attiva. È invece l’azienda contadina che, mi-

52 Barbara Karsky, Le paysan américain et la terre à la fin du XVIII siècle, “Annales E .S.C .”, n. 6, 1983, p. 1383.53 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., pp. 228-229.54 Jerzy Wilkin, Przemiany w rolnictwie a teoria gospodarki socjalistycznej ( / mutamenti nell’agricoltura e la teo­ria dell’economia socialista), “Wies i Rolnictwo”, n. 2, 1986, p. 18.55 P. Bairoch, Les trois révolutions agricoles, cit., p. 336.

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rando a ottimizzare il rapporto tra i fattori produttivi più che a massimizzare il prodot­to netto, si preoccuperà di aumentare il gra­do di attività della famiglia e quindi la pro­duttività del lavoratore più che quella del la­voro. La storia economica si è spesso occu­pata dei rapporti tra agricoltura e rivoluzio­ne industriale, tra modelli di sviluppo indu­striale e loro background agricolo, ma ha, per converso, dedicato poca attenzione alla funzione delle aziende contadine entro i pro­cessi di industrializzazione e di crescita eco­nomica. Il modello di Cajanov indica, in questo caso, linee di ricerca ancora poco esplorate.

I paradossi della organizzazione aziendale

L’azienda contadina analizzata da Cajanov è un’azienda inserita nel mercato, benché l’autoconsumo continui ad avere un peso ri­levante. L’autarchia aziendale è un ideale quasi mai tradotto in realtà, o il privilegio di una ristrettissima minoranza di aziende, così nella Russia del Novecento, come nella Francia del Settecento, sulla cui realtà Mau­rice Aymard verifica il modello di Caja­nov56. Cajanov ritiene che il grado di inseri­mento nel mercato abbia influito, più che sugli aspetti economici dell’azienda contadi­na, sulla sua organizzazione tecnica e pro­duttiva. Qui starebbero le radici di un siste­ma di produzione agricola che si presenta tanto differenziato, pur rimanendo costante

il suo fondamento economico, l’economia contadina. La realtà contadina è dovunque diversa e dovunque la stessa, come afferma­no Kula e Kochanowicz57. Va però detto che Cajanov riconosce anche all’economia con­tadina, al di là degli elementi di persistenza nel tempo, una serie di mutamenti a livello di categorie macroeconomiche. È infatti lui stesso a rilevare nella azienda contadina di ti­po naturale l’assenza di una serie di categorie economiche fondamentali (i prezzi delle mer­ci, gli interessi sul capitale, la rendita diffe­renziale, il prezzo della terra) e, per converso, la presenza di una categoria economica man­cante invece nella azienda contadina di tipo mercantile (controllo extraeconomico neces­sario per tenere in vita il sistema)58.

Il conduttore di azienda, anche se non contabilizza i costi di produzione e i profitti come in un’azienda capitalistica, non si limi­ta a seguire passivamente e meccanicamente una “routine” tradizionale. Tradizionalismo e conservatorismo contadino sono, in buona parte, i risultati di una rappresentazione astratta, frutto di un approccio esterno e su­perficiale al mondo rurale. È un ritornello frequente nella pubblicistica di politica agra­ria la denuncia della irrazionalità di una ec­cessiva dotazione di forza trazione per unità di superficie, che sarebbe tipica di molte aziende contadine. Questo elemento farebbe salire i costi di produzione, bloccherebbe la razionalizzazione delle strutture produttive e i processi di cooperativizzazione. Dall’altro lato il rifiuto dell’acquisizione in proprio

56 Maurice Aymard, Autoconsommation et marchés: Chayanov, Labrousse ou Le Roy Ladurie?, “Annales E.S.C .”, 1983, p. 1394.57 W. Kula e J. Kochanowicz, Kìm sg chlopi cit., p. 25.58 A. Chayanov, A theory o f non-capitalistic, cit., p. 25. Quest’ultima categoria economica accomuna economia contadina naturale, economia schiavistica, feudale (signorile e contadina), servile livellaria e comunista. La storia recente di alcuni paesi dell’est-europeo può fornire elementi interessanti per sviluppare un modello di azienda con­tadina in condizioni di economia naturale. Negli anni 1971-82 la politica agraria polacca ha istituzionalizzato un si­stema ampio e articolato di relazioni non mercantili e non monetarie con le aziende contadine, col risultato non previsto di un rafforzamento del carattere contadino della produzione agricola privata. Cfr. Maria Halamska, Uwarunkowania swiadomosci chlopów polskich (I condizionamenti operanti sulla coscienza sociale dei contadini polacchi), “Wies i Rolnictwo”, n. 4, 1985, p. 84.

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della forza trazione sarebbe un segno di tra­dizionalismo e di arretratezza, una dimo­strazione inoppugnabile di ostilità all’inno­vazione. Più semplicemente il contadino userebbe sempre o troppa forza trazione o troppa poca. In effetti però i paesi europei a economia contadina sono quelli in cui si registra ancor oggi la massima densità di forza trazione. La Polonia del 1980 occupa­va il quarto posto in Europa per la densità dei trattori posseduti nel settore privato e aveva contemporaneamente la più alta den­sità nel mondo di cavalli da lavoro59. Di per sé una situazione del genere non significa necessariamente sperpero di capitali e di forze produttive. Nell’azienda contadina il calcolo della forza-trazione necessaria non è mai un calcolo astratto fondato sulla possi­bilità di massimo risparmio, ma un calcolo fatto a partire dal bisogno di forza-trazione per i periodi di massima richiesta di lavoro delle colture praticate. Non poter svolgere entro i termini agrotecnici opportuni le la­vorazioni significa perdere percentuali signi­ficative di prodotto e quindi far crescere i costi.

Analizzando uno degli aspetti dell’orga­nizzazione aziendale, il macchinario, Caja- nov arriva alla conclusione che il calcolo ca­pitalistico e il calcolo contadino della con­venienza del ricorso al macchinario sono due procedimenti distinti. Per Kautsky, che non fa alcuna distinzione tra i due criteri, la introduzione del macchinario assolve a una funzione essenziale, non quella di rispar­

miare il lavoro, ma la massa salariale60; per questo la finalità essenziale della sua intro­duzione sarà quella di realizzare economie di scala e la divisione del lavoro più ampia pos­sibile, quindi l’utilizzazione ottimale del macchinario sarà quella individuata dalla maggior superficie lavorabile da un dato macchinario entro i termini agrotecnici di una data cultura. Cajanov distingue invece tra l’azienda capitalistica e l’azienda conta­dina. Per la prima egli integra e corregge il ragionamento di Kautsky, considerando, ac­canto alla superficie per cui il macchinario è utilizzato, anche il confronto tra il costo sa­lariale del lavoro manuale e il costo del lavo­ro meccanizzato, i rendimenti del lavoro ri­sultanti dalla qualità diversa dei due tipi di lavoro, nonché le eventuali diseconomie di scala, dato che esistono punti ottimali di combinazione tra i fattori produttivi in agri­coltura61. Ma la distanza da Kautsky è ancor più evidente nel calcolo contadino della con­venienza dell’introduzione del macchinario. In primo luogo qui viene meno la necessità di una utilizzazione piena del tempo di lavo­ro potenziale del macchinario. Ancor meno Kautsky tiene conto che lo sviluppo della tecnologia agricola spinge in direzioni diver­se i punti di ottimizzazione del rapporto tra i vari fattori della produzione, dunque anche fra la terra e il capitale. La storia agraria del Novecento avrebbe poi dimostrato che il progresso tecnico in agricoltura può essere un elemento di individualizzazione invece che di socializzazione62 della produzione.

59 Edward Pietraszek, ChVopska produkcja narzgdzy rolniczych i ciggników (La produzione contadina di attrezzi agricoli e trattori), “Wies Wspófczesna”, n. 12, 1983, p. 43.60 Karl Kautsky, La questione agraria, Milano, Feltrinelli, 1959, p. 54, pp. 114 e 125 (ediz. tedesca Die Agrarfrage, 1899).61 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., pp. 200-204. In queste pagine Cajanov costruisce la formula del calcolo ca­pitalistico della convenienza del macchinario sviluppando alcune acquisizioni dell’economista francese François Be- cu. Cajanov individua (p. 203) soglie aziendali di convenienza della meccanizzazione sensibilmente diverse da quel­le individuate da Kautsky (La questione agraria, cit., p. 114).62 “I nuovi attrezzi agricoli rendono meno costose alcune operazioni, ma ciò non sempre ha luogo. I vantaggi del macchinario consistono nel fatto che, grazie ad essi, si può portare a termine una data operazione più rapidamente

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Anche dalla incomprensione di questo punto sarebbero poi derivati i programmi sovietici di cooperazione orizzontale, o, detto altri­menti, di collettivizzazione stalinista delle campagne, cui Cajanov oppose, finché gli fu possibile, una resistenza assoluta.

L’azienda contadina non rispetta la logica della utilizzazione piena del tempo di lavoro della macchina, scendendo in molti casi al di sotto della soglia minima di convenienza del­la utilizzazione della macchina stessa. Se “uno dei compiti della azienda familiare [...] è di ottenere una ripartizione del lavoro la più regolare possibile nel tempo”63, allora la diminuzione del tempo del lavoro sarà con­veniente, solo se permetterà alla famiglia di ampliare altrove il suo volume di lavoro su­perando le strozzature che lo ostacolano. Nell’azienda contadina la meccanizzazione non ha quindi solo un ruolo sostitutivo della manodopera, né il suo progresso è destinato a far crescere inevitabilmente la sottoccupa­zione strutturale. Accanto alla meccanizza­zione che rimpiazza le braccia espellendo forza lavoro (tramite il meccanismo dei prez­zi), c’è anche quella che attrezza le braccia in sovrannumero, trattenendo manodopera nel settore. Sarebbe interessante verificare le ipotesi qui avanzate nell’ambito delle vicen­

de delle aziende mezzadrili italiane che sem­brano presentare, tra Ottocento e Novecen­to, un interessante terreno di confronto tra logica contadina e logica capitalistica.

A quale fase di sviluppo diviene conve­niente l’introduzione massiccia dei macchi­nari? È rispondente alla realtà il quadro di una mezzadria ostacolata nei processi di in­vestimento soltanto dalla sovrabbondanza delle braccia, dal suo stesso “elemento magi­co”, dalla disponibilità di sopralavoro conta­dino? Qual è il tipo di calcolo cui ricorrono mezzadro e concedente? È il calcolo pura­mente capitalistico descritto da Cajanov? O è il calcolo contadino? Il modello di Cajanov ci permette di spiegare a livello teorico l’ele­mento “magico”, la grande disponibilità di lavoro dell’azienda mezzadrile. La manipo­lazione operata sulle dimensioni del fondo (per esempio col rimpicciolimento dei fondi che caratterizzerà ampie aree mezzadrili nel XIX e nel XX secolo) e sulle dimensioni della famiglia, cioè sugli elementi essenziali dell’e­quilibrio interno, spiegano il forte aumento del volume di attività economica causato tanto dalla sovrintensificazione del lavoro, quanto dall’aumento globale della massa di lavoro erogata. Le vicende della meccanizza­zione della mezzadria toscana64, sembrano

e spesso in un modo più accurato, ma da questo non risultano rivoluzioni per l’agricoltura. Come la zootecnia, così anche la meccanica è solo una parte del progresso agricolo generale, ma esso si fonda soprattutto sul perfeziona­mento del lavoro umano conseguito grazie ad un suo più preciso adattamento agli obiettivi della produzione, alla natura del terreno, alle specificità dell’apparato produttivo agricolo. Questo fondamento generale del progresso agricolo è indubbiamente un fattore che rafforza l’individualismo in agricoltura.” Così nel 1903 Wfadysfaw Grab- ski in Kweslia rolna u p.L. Krzywickiego (La questione agraria per il signor Krzywicki), “Gazeta rolnicza”, n. 23, 6 giugno 1903, Warszawa, cit. in L. Krzywicki, Kwestia rolna, cit., p. 370. A questa considerazione se ne può colle­gare un’altra concernente i condizionamenti esercitati dalle forme del progresso tecnologico di fine XIX secolo per spiegare perché così pochi studiosi della questione agraria intravidero questa tendenza all’individualismo in agricol­tura e perché il marxismo in particolare non la percepì. “Il periodo della macchina a vapore offrì l’immagine della grande azienda agricola con un proprio binario ferroviario, con l’ormai dimenticata locomobile e con un centro di lavorazione dei prodotti agricoli. Il motore a combustione interna ed il motore elettrico fecero sì che questa divenis­se una tendenza effimera che nei paesi più sviluppati non riuscì a produrre mutamenti strutturali di rilievo... Pur­troppo questa tendenza effimera venne a cadere nel periodo di formazione della dottrina marxista, divenendo così una pietra angolare della ortodossia marxista, da cui non seppero liberarsi nemmeno i marxisti più revisionisti” (Andrzej Koraszewski, Chlop a sprawa polska (I contadini e la questione polacca), “Kultura”, n. 12,411, 1981, pp. 9-10.63 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 204.64 Cfr. “Annali dell’Istituto Alcide Cervi”, n. 2, 1980, in particolare, Zeffiro Ciuffoletti, L ’introduzione delle mac­chine nell’agricoltura mezzadrile toscana dall’Unità al fascismo, pp. 101-120.

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così far emergere una logica composita, quasi un risultato di linee di forza diverse, ora coo­peranti tra loro, ora conflittuali. Una logica comunque non riducibile al solo confronto co­sti di investimento/costi di sussistenza, ma che evidenzia un forte elemento di condiziona­mento da parte del calcolo “contadino”, che lungi dall’esser soltanto elemento di resistenza determina, combinandosi con la logica padro­nale, linee di evoluzione originali e caratteriz­zate da una razionalità sui generis. L’introdu­zione delle macchine trebbiatrici — a cavalli e a vapore — nella Toscana della fine dell’Otto­cento si scontra con atteggiamenti e valutazio­ni da parte delle famiglie coloniche non dissi­mili da quelle degli agricoltori russi che Caja- nov analizza per lo stesso periodo. Solo in un’ottica banalizzante potremmo parlare di una resistenza assoluta all’innovazione propo­sta dai proprietari. Per la famiglia colonica il fine essenziale della utilizzazione della trebbia­trice al posto delle tecniche tradizionali del correggiato, del banco o dei piedi di cavallo, non può essere né la “liberazione” della forza lavoro familiare né l’accelerazione di un’ope­razione produttiva di per sé considerata. Tale fine può essere invece l’abbreviazione dei tem­pi di tali operazioni laddove si può utilmente disporre di quel tempo per altre colture. Non è un caso che la diffusione della macchine sia av­venuta prima delle aree mezzadrili in cui il pro­cesso di commercializzazione aveva investito direttamente la quota colonica. I coloni sono poi dei veri pionieri della diffusione e dell’ac­quisto (in forma cooperativa) della trebbiatri­ce laddove, come nella Romagna all’inizio del Novecento, la forte pressione delle organizza­

zioni bracciantili che gestiscono i servizi di trebbiatura è arrivata ad imporre contrattual­mente ai mezzadri l’abolizione totale dello scambio di opere per la trebbiatura ed il mono­polio di fatto nelle mani dei braccianti dell’e­rogazione del servizio rischia di compromette­re continuità e rapidità del lavoro di trebbiatu­ra65. Nei casi di altri macchinari, dove non c’è conflitto tra le due “logiche”, sembra operare un modello di meccanizzazione radicalmente diverso da quello delle aziende capitalistiche di tipo classico. Frutto del condizionamento pro­veniente dai caratteri “contadino-familiari” del lavoro? Sembra di sì, anche se sarebbe op­portuno un ampliamento del quadro di verifi­ca. È il caso della trattorizzazione, che si è avu­ta a partire dagli armi venti di questo secolo, una trattorizzazione che non comporta espul­sione di forza lavoro dai poderi mezzadrili, di­versamente da quanto succede nelle aree della grande azienda a salariati. Evidentemente la trattorizzazione è inserita entro un insieme di trasformazioni degli ordinamenti colturali che la rendono accettabile anche per i contadini. È un dato ormai accertato dalla storia agraria che laddove i salari agricoli sono particolar­mente bassi, e ciò accade nell’Europa dell’Ot­tocento in ampie aree del centro e dell’est, l’in­troduzione delle macchine è particolarmente difficile. All’opposto, laddove i salari sono elevati e/o la manodopera è carente o insubor­dinata, il ricorso al macchinario non è più il ri­sultato di un calcolo applicato alla compara­zione dei costi, ma una soluzione obbliga­ta, conseguenza della mancanza di forza la­voro e il loro uso può essere persino più caro del salario del lavoro manuale sostituito66,

65 “Se il lavoro della famiglia contadina ha un impiego conveniente nel periodo invernale, l ’agronomo farà opera utile diffondendo le trebbiatrici e liberando così una parte considerevole del lavoro contadino per altri compiti pro­duttivi. Ma se il comandino d’inverno non ha nient’altro da fare che battere il grano, allora la diffusione delle treb­biatrici non potrà essere considerata che come una spesa improduttiva per il misero capitale del contadino “Cosi l’agronomo D.I. Kirsanov nel 1900, cit. in: A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 206. Per la Romagna del Nove­cento, cfr. Antonio Graziadei, Mezzadria e bracciantato in Romagna. “La questione delle macchine trebbiatrici”, “Critica sociale”, 15 ottobre 1912.66 Leon WKadysKaw Biegeleisen, Teoria maVej i wiekiej wVasnosci (Teoria della grande e della piccola proprietà), Krakow, 1918, p. 117.

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come altri studiosi della questione contadi­na dell’Europa orientale venivano rilevando più o meno contemporaneamente a Caja- nov. In questo caso il capitalista agrario ha una gamma di scelte più ristrette di quelle della azienda contadina per la quale la mac­china è solo un malum necessarium61. Nella azienda contadina i processi di modernizza­zione tecnologica sono, dunque, molto più raramente che in quella capitalistica, pro­cessi di pura e semplice sostituzione della manodopera, soprattutto quando le innova­zioni concernono la forza trazione e il mac­chinario. Niente di strano che nel Novecen­to la lotta contro la logica dell’economia contadina, la modernizzazione perseguita dall’alto, nei paesi che furono del “sociali­smo reale” con l’ausilio delle strutture bu­rocratiche statali, si sia caratterizzata per una crescita colossale dei costi di produzio­ne, soprattutto di quelli energetici, anche dove le trasformazioni sociali sono state perseguite con maggior gradualità e intelli­genza, come nel caso ungherese. Secondo le stime dell’Ufficio centrale di statistica (KSH), tra il 1958 e il 1965 era divenuto ne­cessario riservare l’88 per cento degli inve­stimenti alla sostituzione delle fonti di ener­gia uscite di produzione67 68. La collettivizza­zione aveva infatti allontanato di colpo am­pie masse rurali dall’agricoltura, e la mecca­nizzazione aveva dovuto seguire, anziché precedere, il deflusso delle forze di lavoro. È indiscutibile che uno dei primi fattori di debolezza e di crollo delle agricolture del­l’Europa orientale e di quella russa, manife­statisi con evidenza a partire dagli anni set­tanta, sia stato l’incremento colossale dei costi di produzione, dovuti a ristrutturazio­ni di tipo “industrialista”, ristrutturazioni

più distruttive laddove l’agricoltura era più “decontadinizzata” , per così dire.

In conclusione, questi aspetti peculiari del­la organizzazione aziendale contadina, in li­nea con le peculiarità del processo di accu­mulazione e di investimento, possono contri­buire a spiegare perché, mentre l’azienda fa­miliare possiede, nell’equilibrio di base, un elemento automatico di razionalizzazione, l’azienda capitalistica, che pure può contare su migliori condizioni economiche (vantaggi commerciali, creditizi ecc.) è condizionata maggiormente dagli elementi esterni, in pri­mo luogo dal funzionamento corretto del mercato di tutti i fattori produttivi.

Il livello macroeconomico della teoria

Per Cajanov l’economia nazionale non può essere studiata a partire dalle categorie gene­rali come quella di formazione economico- sociale, né si possono ricondurre le forme di produzione o i sistemi economici non corri­spondenti al modo di produzione capitalisti- co alle forme di reddito di quest’ultimo. L’epistemologia della molteplicità delle for­me, che contraddistingue questo approccio, rovescia il procedimento deduttivo ricardia- no e marxiano. Invece che porre al centro della sua analisi l 'homo oeconomicus astrat­to e di generalizzare i suoi comportamenti per spiegare il funzionamento dell’economia nazionale, Cajanov parte da un uomo che non è imprenditore capitalistico, ma orga­nizzatore di una azienda familiare e ipotizza un’economia nazionale composta solo da ta­li aziende. Questo spostamento è simile al passaggio dalla geometria euclidea a quella di Lobacevskji e Bolyai, che consente di pensare forme diverse di organizzazione del­

67 L. WKadysKaw Biegeleisen, Teoria maSfej i wiekiej WVasnosci, cit., p. 118.68 Ferenc Donâth, Tulajdon és hatékonysag (Proprietà ed efficienza), “Medvetanc”, n. 4, 1982; n. 1, 1983, p. 175. L’affermazione di Donâth si riferisce soprattutto alla seconda collettivizzazione ungherese, che ebbe luogo negli anni tra il 1958 ed il 1965.

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lo spazio e di concepire le verità matemati­che come conseguenze di assiomi, che altro non sono che ipotesi69. Cajanov pensa a una pluralità di sistemi economici coesistenti e interagenti tra loro, ben distinti però nei lo­ro principi di funzionamento e insiste sem­pre sul carattere ipotetico delle correlazioni di causa-effetto che stabilisce. Siamo al polo opposto rispetto alla categoria di formazio­ne economica della società intesa come unità e totalità del processo storico, da cui discen­dono le leggi generali dello sviluppo econo­mico. Il problema è allora posto in questi termini: quale influenza esercita una massa di aziende contadine su un’economia nazio­nale di tipo capitalistico? Essa esercita un’influenza o è sussunta all’interno del meccanismo capitalistico? Cajanov nega questo assorbimento e ritiene che sia neces­sario rifondare le categorie macroeconomi­che che definiscono l’azienda contadina, a partire da quella della rendita fondiaria. Nell’azienda contadina, dove non esistono redditi esterni al lavoro, la rendita fondiaria è per Cajanov una realtà puramente conta­bile. Tuttavia i fattori che determinano la rendita hanno un’influenza notevole sulla formazione del capitale, sul livello di inten­sità di lavoro e sul budget personale. Questi fattori, laddove operano in senso positivo, producono una diminuzione dei costi di pro­duzione o un aumento del reddito lordo, mi­gliorando l’utilizzazione del lavoro e la sua produttività. Da questa specificità della “rendita” contadina deriva una conseguenza essenziale. Mentre la rendita capitalistica è inconcepibile fuori della interazione di tutte le categorie macroeconomiche classiche: sa­lario, interesse, prezzo di mercato, la rendita contadina, intesa come accrescimento del­la produttività del lavoro, esiste indipen­

dentemente dalle categorie classiche del ca­pitalismo, eccettuati i prezzi di mercato. L’azienda contadina può così essere conce­pita in situazione di autarchia perfetta70.

Al problema della rendita fondiaria si col­lega quello del prezzo della terra. Nei paesi dove esistono molte aziende contadine, que­ste non prendono in affitto né acquistano terra al prezzo dettato dalla rendita capita­lizzata. Lo fanno quando grazie a essa ot­tengono una migliore remunerazione del la­voro, quando cioè possono soddisfare un maggior numero di bisogni con la stessa quantità di lavoro. Se la terra è abbondante e i contadini lavorano in condizioni di inten­sità capitalistica ottimale, essi saranno di­sposti a pagare per la terra un prezzo uguale o inferiore a quello della rendita capitalizza­ta. Nelle regioni sovrappopolate, dove l’in­tensità del lavoro è spinta al massimo per compensare la carenza di terra, le famiglie contadine saranno disposte ad accettare P“affitto per fame”, il quale consente co­munque, attraverso l’intensificazione dello sforzo di lavoro fino ai limiti dell’abbruti­mento fisico, di soddisfare le esigenze mini­me di consumo.

Alcune analisi storiche concernenti le aree sovrappopolate della Russia, ma anche del­l’Europa confermano una realtà a prima vi­sta sorprendente. Sono i contadini più pove­ri quelli che pagano a un prezzo più alto la terra, come, a suo tempo, aveva rilevato Marx a proposito della analisi della proprie­tà parcellare71. Così, nella Polonia degli an­ni venti le terre peggiori delle aree sovrappo­polate sono molto più care di quelle migliori delle aree con minor pressione demografica: nel 1928 nella Piccola Polonia un ettaro di terra umida e sabbiosa costava sul mercato libero 2240 zloti, mentre nei voivodati orien­

69 II riferimento a Lobacevskij è dello stesso Cajanov (cfr. A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 245).70 A. Tchayanov, L ’organisation cit., p. 252.71 Karl Marx, Il capitale, vol. Ill, sez. VI, Roma, Avanzini e Torraca, 1970, pp. 377-379.

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tali la terra di miglior tipo, da barbabietole e frumento, costava solo 1940 zloti72. Dove i due meccanismi di formazione del prezzo della ter­ra si incontrano, il prezzo contadino finisce con l’avere la meglio e si ha “un trasferimento brutale di terra dall’agricoltura capitalistica verso quella a manodopera familiare”73. Men­tre nell’Inghilterra del Settecento, grazie alla congiuntura di mercato, la grande proprietà capitalistica riesce a pagare una rendita ecce­zionale e ad annientare l’azienda familiare, nella Russia dopo il 1861 la coesistenza di aziende capitalistiche e contadineha portato alla distruzione del capitalismo, dato che i contadini, che possedevano una quantità piuttosto limitata di terra pagavano per essa un prezzo superiore alla rendita capitalizzata nell’a­gricoltura capitalistica74.

In Polonial’economia familiare-contadina ha soppiantato quella della grande azienda capitalistica con l’ec­cezione delle terre del settore prussiano, ma solo nel periodo iniziale dopo l’affrancamento. Nell’a­gricoltura si è svolto un processo di deconcentra­zione della struttura agraria, di diffusione della proprietà e rimpicciolimento delle aziende75.

Un’influenza rilevante e poco esplorata an­cor oggi, come ai tempi di Cajanov, è quella del settore contadino sul processo di forma­zione dei prezzi, sulle strutture di mercato e

sulle crisi economiche. Cajanov sottolineava il peculiare movimento dei prezzi agricoli nel­la realtà russa di inizio del secolo, ma ipotiz­zando tale movimento come una caratteristi­ca più generale delle economie contadine. Da tempo in Europa e in America la dinamica dei prezzi agricoli è regolata dalla crescente pro­duttività del lavoro delle aziende capitalisti- che e non più da processi di trasformazione labour-intensive. Ma in molte aree europee questa dinamica contadina si è intrecciata e confrontata a lungo con quella innescata dal­le aziende capitalistiche. Estremamente im­portante è poi la notazione di Cajanov sul­l’influenza dell’azienda contadina sulla cate­goria salario dove la classe operaia è in via di formazione e il sistema di aziende contadine è particolarmente diffuso. In questi casi è il si­stema capitalistico a essere condizionato, perché l’entità dei salari, invece di attestarsi sui livelli di sussistenza propri della remune­razione del lavoro delle imprese marginali, dipende dalla necessità, maggiore o minore delle aziende familiari, di integrare i redditi agricoli. Ciò significa che il salario in queste aree può scendere ben al di sotto del livello di sussistenza minima della forza lavoro in quanto è regolato da una variabile estranea alla dinamica capitalistica, “l’entità del defi­cit che rimane dopo aver sottratto ai costi di sussistenza annui il reddito fornito dal pro-

72 Stefan Czarnowski, PodVoze ruchu chfopskiego (La base del movimento contadino), in Dzieka (Opere), vol. II, Warszawa, 1956, p. 178.73 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 256.74 A. Chayanov, On the theory o f non capitalistic, cit., p. 28. Una versione polacca del testo (traduz. di Stefan MaKecki-Tepicht in “Roczniki Socjologii Wsi Warszawa”, 1988, p. 203) riporta l’espressione “collasso del capitali­smo” (upadek kapitalizmu) al posto di “distruzione” (Destruction) della versione inglese citata. Secondo Shanin “non esisteva in Russia un sistema agrario dualistico di grandi proprietà condotte con criteri commerciali e aziende contadine familiari operanti fianco a fianco (come esistono oggi in alcune società in via di sviluppo). La nobiltà possedeva un po’ di terra nella Russia settentrionale ed in quella asiatica e solo una modesta quantità di terra nel sud-est. Ma più importante ancora, la nobiltà russa, nel complesso, non riuscì ad accettare la sfida della produzio­ne capitalistica moderna. Nel 1913 circa la metà della terra appartenuta alla nobiltà al tempo dell’emancipazione era stata venduta, specie a contadini. Metà del rimanente era stato affittato, ancora una volta, ai contadini” (T. Shanin, The awkward class, cit., pp. 19-20).75 Jan Borkowski, Problemy badawcze historii chkopów polskich w epoce kapitalizmu (Problemi di ricerca di sto­ria dei contadini polacchi in epoca capitalistica), “Dzieje Najnowsze”, 1976, p. 45.

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prio appezzamento di terra”76. In questo modo il livello del salario agricolo viene a essere determinato dal reddito dei contadini particellari e tende a variare in modo consi­stente a seconda del luogo, dell’annata, del­l’andamento stagionale. Più che di salario si dovrebbe parlare di remunerazione del lavo­ro, seguendo una osservazione di Aymard, che individua il medesimo fenomeno nella Francia in età moderna77.

Questo elemento consente di spiegare co­me possano coesistere aziende capitalistiche e aziende contadine con medesimi livelli tec­nologici e funzioni produttive. L’equilibrio non è assicurato dal livellamento tra salari e redditi agrari ma dalla loro complementari­tà. Il capitalismo agrario può così emergere anche da una situazione tecnologica sostan­zialmente arretrata senza essere necessaria­mente associato a un livello tecnico più pro­duttivo78. Cajanov, sviluppando alcune con­clusioni del dibattito russo sulla differenzia­zione degli anni venti, traccia le possibili li­

nee evolutive che configurano una pluralità di punti di approdo dello sviluppo dell’eco­nomia contadina e fanno definitivamente giustizia anche della attribuzione fuorviarne della teoria della “differenziazione demo­grafica”. La forte eterogeneità delle dimen­sioni aziendali entro il settore contadino non è per Cajanov un frutto dello sviluppo capi­talistico, ma è in buona parte il risultato di processi di sviluppo interni alla natura stessa delle aziende. Alla base di tale eterogeneità sta la differenziazione demografica legata al ciclo biologico familiare; tuttavia essa è ben lungi dallo spiegare il fenomeno, dato che a essa è strettamente intrecciata una differen­ziazione economica. Gli studi dinamici di Cernenkov, della Khrjasceva, di Kuscenko e altri — cui Cajanov fa riferimento — mo­strano come le trasformazioni della struttu­ra sociale delle campagne russe, tra il 1882 e il 1911, sia stato il risultato di differenti pro­cessi di mobilità da disaggregare e identifica­re rispettivamente nell’abbandono dell’a-

76 Ludwik Krzywicki, Kwestia rolna. PreYom w produkcji srodków spozywczych w drugiej poYowie wieku X IX {La questione agraria. La svolta nella produzione dei beni di consumo nella seconda metà del X IX secolo), Warsza­wa, 1966, p. 301 (edizioni originarie Varsavia 1903 e San Pietroburgo 1906, rispettivamente in lingua polacca e russa).77 “Le remunerazioni agricole seguono, amplificandole fortemente, a breve ed a lungo termine, le variazioni della abbondanza e della rarità relative della terra che è necessario prendere in affitto e della forza-lavoro che è necessa­rio vendere a qualsiasi prezzo — ed al limite non importa a quale prezzo — per completare — ma solamente per questo — i redditi familiari [corsivo nostro]. Tale è notoriamente il caso di tutti i contadini con terra insufficiente, il cui numero cresce dovunque con rapidità, nel XVI secolo come nel XVIII, al ritmo dell’aumento demografico e della parcellazione accresciuta della proprietà contadina” (M. Aymard, Autoconsommation et marchés, cit., pp. 1397-1398).78 È questo uno dei punti deboli dell’argomentazione di U. Patnaik, che, criticando uno schema comparativo in cui Cajanov ipotizza una medesima produttività del lavoro nell’azienda contadina e in quella capitalistica (A. Tchaya- nov, L ’organisation, cit., pp. 94-95) sostiene, prescindendo dalle osservazioni qui avanzate, la “inevitabilità” del superiore livello tecnico e della produttività del lavoro nell’azienda capitalistica, un punto che attesterebbe una in­negabile contraddizione interna al discorso di Cajanov. Questo il succo del ragionamento: “se l’azienda familiare e quella capitalistica esistono fianco a fianco con forme distinte dal punto di vista organizzativo, allora le funzioni produttive non possono essere identiche... Se per azienda familiare si intende un’azienda che produce per soddisfa­re i suoi bisogni di consumo, ne deriva che essa non produce un surplus eccedente il consumo; e se anche l’azienda capitalistica produce la stessa produzione allo stesso costo [corsivo nostro], limitandosi a rimpiazzare la categoria di “consumo familiare” con la “quantità di salario” per il lavoro ingaggiato, da dove proviene il profitto che è la ragion d’essere della produzione capitalistica? Perché la quantità di salario dovrebbe essere sostanzialmente infe­riore al consumo dei lavoratori familiari per lo stesso importo di giornate lavorate, che è la condizione di esistenza del surplus?” (U. Patnaik, Neopopulism and marxism, cit., p. 397). Dove si vede chiaramente che la contraddizio­ne esisterebbe in Cajanov se non si potesse verificare storicamente quest’ultima possibilità di un salario agricolo in­feriore al consumo, individuata a livello teorico, ma storicamente esclusa, da Patnaik.

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zienda, nel suo trasferimento in altre locali­tà, nella suddivisione aziendale, nell’aumen­to e nella diminuzione dell’area aziendale79.

Per Cajanov le cause di questa mobilità sono i fattori demografici, uniti a cause pu­ramente economiche: tanto è vero che la tra­sformazione della struttura sociale (la pola­rizzazione, il livellamento ecc.) non esprime un andamento ciclico, a differenza di quan­to il modello sembrava indicare per la singo­la azienda. La congiuntura economica gene­rale rompe l’equilibrio tra il movimento ascendente, ossia tra la tendenza all’amplia­mento dell’area aziendale e quello discen­dente, ossia la tendenza alla sua riduzione, producendo così situazioni di peggioramen­to o di miglioramento della struttura agra­ria, di livellamento, di polarizzazione, peg­gioramento accompagnato da livellamento. Quest’ultimo sarebbe stato per esempio il caso delle trasformazioni direttamente con­nesse alla rivoluzione d’ottobre. I dati stati­stici riportati da Cajanov attestano per il pe­riodo immediatamente successivo all’ottobre 1917 una eliminazione degli strati più poveri e di quelli più agiati in un quadro di impove­rimento generale. Tuttavia all’illustrazione di questa dinamica non si accompagna una spiegazione analitica, come è invece quella proposta da Shanin con un modello esplica­tivo multifattoriale. Per Shanin la dinamica della struttura agraria contadina è condizio­nata da oscillazioni contemporanee di segno opposto, sia centripete che centrifughe, di polarizzazione e di livellamento, collegate al fatto che essa opera come una piccola unità produttiva dalle risorse limitate fortemente soggetta ai condizionamenti di natura, mer­cato e stato80. Benché Cajanov passi per un

teorico della “differenziazione demografi­ca” non si può dire che il suo modello sia utilizzabile per lo studio della strategia dei comportamenti demografici della famiglia contadina. Come osserva Kochanowicz, tale strategia è accolta in modo del tutto mecca­nico. In fin dei conti la differenziazione dei tipi delle famiglie contadine è per Cajanov una conseguenza esclusiva del punto rag­giunto nel ciclo di sviluppo demografico, mentre la realtà è molto più complessa81.

In realtà nessuna spiegazione monocausa­le della evoluzione delle dimensioni e della struttura dell’aggregato familiare è convin­cente. Uno studioso polacco di economia, demografia e storia agraria, Wincenty Stys, basandosi anche sulle acquisizioni di Caja­nov, in uno studio di demografia storica sul­le aziende contadine di venti villaggi della Polonia sudorientale (voivodato di Rze- szów), presi in esame per il periodo 1787- 1948, ha invece analizzato il rapporto tra lo sviluppo dell’azienda contadina e la crescita della famiglia, combinando fonti storiche, sociologiche ed economiche. Il livellamento e la riduzione progressiva della superficie media aziendale sono per Stys il risultato dell’azione di numerosi fattori. Da una par­te il meccanismo ereditario per il quale le aziende più ampie, che avevano un maggior numero di eredi, si frazionavano maggior­mente, mentre per quelle più piccole si ritar­dava il momento della suddivisione dell’a­zienda. Dall’altra la circolazione fondiaria, che livellava verso il basso l’ampiezza dell’a­zienda in base al meccanismo della rendita contadina descritto da Cajanov — l’azienda disposta a pagare meglio la terra è quella che è in condizioni di equilibrio interno più

79 T. Shanin, cui va il merito di aver sviluppato in modo conseguente gli spunti di Cajanov e l’eredità degli “studi dinamici”, considera tra i “substantive changes” (mutamenti che portano alla comparsa di nuove unità familiari o alla loro scomparsa entro la comunità contadina) anche la “fusione” di più aziende tra loro (T. Shanin, The awk­ward class, cit., pp. 81-95).80 T. Shanin, The awkward class, cit., pp. 115-121.81 J. Kochanowicz, Spór o teorie gospodarki chVopskìej, cit., p. 105.

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precario, quella che è più minacciata dalla fame82. È anche per questo che il processo di proletarizzazione tipico delle campagne so­vrappopolate non è sempre collegato allo sviluppo di un capitalismo agrario. Cajanov fa una distinzione netta tra i due fenomeni della proletarizzazione dei contadini e quello dello sviluppo della organizzazione capitali­stica della produzione agraria, che possono essere tra loro perfettamente indipendenti. Entrambe le dinamiche sembrano poi svi­lupparsi molto più lentamente all’inizio de­gli anni venti, rispetto a quanto ci si aspetta­va alla fine dell’Ottocento. Si delinea piutto­sto la possibilità di una subordinazione eco­nomica, anziché produttiva dell’azienda contadina ai meccanismi del mercato capita­listico mondiale. L’unità produttrice — con­sumatrice familiare sembra ancora destinata a sopravvivere trasformandosi entro la struttura economica capitalistica83

Sebbene il modello cajanoviano non ana­lizzi un’azienda familiare completamente isolata dal mercato del lavoro, tuttavia esso non prende in considerazione la domanda contadina di lavoro salariato, a differenza dell’offerta contadina di lavoro salariato. È accettabile la soluzione di tipo più nominali­stico che analitico, verso cui sembra propen­dere Cajanov identificando le aziende che

utilizzano il lavoro salariato con il tipo semi­capitalistico e dunque non familiare? Lo studio di Stys sulle aziende polacche mette in evidenza come siano le aziende contadine più piccole che pure hanno eccedenza di for­za lavoro a impiegare la grande maggioran­za delle giornate di lavoro salariato effettua­to nelle aziende del villaggio84. Per Stys si tratta di una necessità legata al ciclo biologi­co. Anche in un’azienda di 3 ettari, se vi so­no bambini piccoli e il capo famiglia ha un lavoro extragricolo, può essere conveniente assumere un guardiano per il bestiame. An­cora una volta la domanda di manodopera salariata non può essere assunta come un in­dice assoluto del carattere capitalistico di un’azienda85, così come l’offerta di mano­dopera salariata non è di per sé indice di proletarizzazione. Uno storico della fami­glia, Franklin F. Mendels, ha proposto un’interessante modifica del modello attra­verso l’introduzione del “lavoro salariato” extrafamiliare, al fine di studiare le econo­mie contadine nella Francia del secondo Ot­tocento. Fra le strategie di sussistenza adot­tate dal capofamiglia va incluso anche il confronto tra il livello reale dei salari agrico­li praticati nella zona ed il prodotto medio del lavoro aziendale; a certe condizioni può essere conveniente sostituire la manodopera

82 W. Stys, WspóYzaleznosc rozwoju rodziny chYopskiej ì je j gospodarstwa (L’interdipendenza dello sviluppo della famiglia contadina e della sua azienda), Wroclaw, 1959, pp. 508-509.83 A. Tchayanov, L ’organisation, cit., p. 279, passim. Singolare la consonanza di queste riflessioni sulla dinamica del capitalismo delle campagne con quanto scriveva A. Graziadei nel 1911 sulle colonne della “Cricica sociale”, partendo dalla realtà bracciantile romagnola e padana. Il futuro dell’agricoltura, nelle aree di grande proprietà, non è per Graziadei, che pur muove da posizioni socialiste, nella agricoltura capitalistica bracciantile, fenomeno di transizione e comunque patologico, ma nella azienda a salariati fissi (per i settori agricoli più vicini all’organizza­zione industriale) e, soprattutto, nelle unità coltivatrici familiari che si fondano su forme di partecipazione al pro­dotto, essenzialmente nella mezzadria. I braccianti stanno diventando mezzadri e non i mezzadri braccianti. Il fatto è che le caratteristiche tecniche specifiche dell’agricoltura conservano un’influenza fortissima sui rapporti pura­mente economici, per Graziadei, come per Cajanov. Vedi: A. Graziadei, Mezzadria e bracciantato in Romagna. I problemi del bracciantato, “Critica sociale”, 16 aprile 1911.84 W. Styé, Wspólzaleznosc cit., p. 391. Nel villaggio di Husow, nell’annata agraria 1936-37 si erano registrate 4883 giornate di lavoro agricolo prestate dai contadini all’esterno della propria azienda in altre aziende, in comples­so l’I per cento della massa di lavoro di cui dispone il villaggio. Il 5,1 per cento di questa massa di lavoro è stata usata da aziende con più di 7 ettari di superficie, il 61,2 per cento è stato usato dalle aziende con meno di 4 ettari.85 W. Stys, WspóYzaleznosc, cit., p. 391.

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familiare con quella salariata, retribuita a un livello inferiore a quello della produttivi­tà del lavoro, per ampliare il reddito globale familiare. In tal modo si spiega lo scambio di manodopera adulta retribuita con salario tra azienda e azienda, anche quando queste ultime sono delle stesse dimensioni86. Il pun­to in cui il modello di Cajanov invece risulta fortemente carente e radicalmente smentito dalla ricerca storica è la concezione dell’ag­gregato familiare allargato, la famille com­munautaire, come unità organica e armoni­ca in cui i processi decisionali messi in essere dal capofamiglia non entrano in conflitto con gli altri membri della famiglia. Come ha osservato James Me Gough,trattando la famiglia come una unità omogenea più o meno autonoma, il modello non prende in considerazione lo sfruttamento delle donne da parte degli uomini o degli elementi più giovani da parte di quelli più anziani87.Da questo elemento, come l’analisi storica ha dimostrato, per esempio per la Russia del 1917-1918, si sono sviluppati conflitti di se­gno politico e sociale e di portata rivoluzio­naria88.

Se vogliamo infine completare il quadro dei condizionamenti che incidono sulle tra­sformazioni della struttura agraria di una

società contadina è opportuno tener presen­te un elemento socio storico esterno al mo­dello economico di Cajanov e tuttavia in es­so implicito. Sistemi ereditari diversi postu­lano consuetudini, mentalità, istituzioni giu­ridiche diverse; e implicano quindi categorie sociali, forme giuridiche dei rapporti di pro­prietà e strutture sociali differenti. I mecca­nismi ereditari di tipo egualitario, come ab­biamo visto, anche in presenza di una orga­nizzazione nucleare della famiglia, sembra­no conservare una società contadina forte­mente omogenea, nella quale gli elementi di ciclicità e i fattori demografici si contrap­pongono con più forza ai mutamenti della congiuntura economica89. Il modello di Cajanov è stato costruito sulla categoria di proprietà familiare della terra. La proprietà contadina è proprietà familiare e non priva­ta, per quanto tale proprietà possa assumere connotazioni diverse a seconda della struttu­ra familiare cui fa riferimento: la famiglia nucleare, la stem-family, la famiglia patriar­cale o comunitaria. Il titolare dell’azienda è piuttosto P amministratore che non il “domi- nus” dotato del diritto quiritario dello ius fruendi, utendi et abutendi riaffermato dal codice napoleonico90. Nel diritto contadino russo, vigente fino al 1917

86 Franklin F. Mendels, La composition du ménage paysan en France au X IX siècle: une analyse économique du mode de production domestique, “Annales E .S.C .”, juillet-août 1978, p. 785.87 James P. Mc Gough, The Domestic Mode o f Production and Peasant Social Organization: the Chinese Case, in E. Paul Durrenberger, Chayanov, Peasants, and Economic Anthropology, cit., p. 193.88 T. Shanin ha notato come la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa abbiano inferto dei colpi fortissimi al­l’unità interna delle aziende familiari, mutando la posizione sociale delle donne e dei giovani in modo radicale. In particolare i bolscevichi sarebbero riusciti a far breccia nella situazione femminile, stimolando un’ondata di suddi­visioni aziendali collegate in genere a procedimenti di divorzio e il successo del Komsomol nelle campagne sembra dover esser messo in relazione alla canalizzazione del conflitto intergenerazionale (T. Shanin, The Awkward Class, cit., pp. 175-176 e 190).89 B. Derouet, Famille, ménage paysan, cit., pp. 54-55.90 “Il possesso della terra da parte del contadino deve essere permanente: perché la terra non è più soltanto quella su cui si raccoglie un prodotto spontaneo, ma il risultato degli apporti e del lavoro investiti, nel corso degli anni, dalle generazioni passate e da quella presente; sicché questa, e soprattutto l’individuo che possiede la terra, non po­trebbero alienarla senza privare le generazioni future della eredità degli avi... Secondo la concezione ‘esiodea’, la proprietà fondiaria non potrebbe essere individuale”: cfr. Michel Cépede, Uso e proprietà della terra, “Rivista di economia agraria”, n. 4, 1979, p. 792. Si tratta della versione abbreviata di un testo francese più ampio in cui l’auto­re sottolinea i tratti tipici dell’azienda contadina moderna riferendosi all’archetipo “esiodeo” (M. Cépede, La terre

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i diritti del capofamiglia ricadono nella categoria di un amministratore di una proprietà comune, piuttosto che in quella di un proprietario legale. Ciò si esprime ancor più chiaramente nella possi­bilità di rimozione legale del capofamiglia dal suo posto, nei casi di cattiva gestione, cattivo com­portamento o età avanzata91.

Il concetto di privato o individuale riferito alla proprietà contadina della terra e ancor più all’azienda contadina è fonte di equivo­ci. Come spiegare altrimenti la larga preva­lenza e la lunga persistenza storica delle eco­nomie familiari verificatesi nel settore agri­colo, e non in quelli dell’artigianato e del­l’industria all’interno delle società avanzate e non solo di quelle sottosviluppate? La ter­ra in quanto elemento costitutivo di un’a­zienda contadina, non è né uno strumento di produzione, né una materia prima da tra­sformare entro il processo produttivo. Per questo la proprietà del contadino non ha molto in comune con la proprietà di una im­presa. La lingua polacca per esempio usa un termine specifico per definire la terra che fa parte di una azienda agricola, rispetto alla terra in sé astrattamente considerata:rola [campagna coltivata] al posto di ziemia [ter­ra], È giustamente stato osservato che “la campa­gna non è una materia prima, non è una fabbrica [...] La campagna concentra su di sé il lavoro di generazioni di agricoltori. La forza e il potere

della campagna sono la forza della natura legata al potere del lavoro umano, storico92.

La storia della politica agraria di alcuni pae­si dell’est europeo è piena di tentativi falliti di limitazione del carattere familiare della proprietà contadina a partire dalla patente imperiale del 10 maggio 1787 della Galizia polacca con l’obbligo dell’eredità indivisa, fino alle misure di limitazione adottate dai governi della Polonia popolare, al numero degli eredi legali93. Esempio magistrale degli effetti perversi delle disposizioni giuridiche che contrastano con le realtà sociali ed eco­nomiche.

E tuttavia la categoria di “proprietà con­tadina” o “familiare” non deve condurre a retringere il campo di verifica storica della teoria cajanoviana, confinandolo al Terzo mondo o all’Europa preindustriale o addi­rittura premoderna. È un’acquisizione rela­tivamente recente della sociologia e della storia della famiglia la scoperta di sopravvi­venze e continuità insospettabili di questa categoria, a prima vista obsoleta, fin dentro le realtà sociali più avanzate. Per Cajanov il capitalismo contemporaneo sembra destina­to a lasciar sopravvivere questo spazio ano­malo nella società moderna, orientato com’è a subordinare l’agricoltura dal punto di vi­sta economico, non da quello produttivo. Le forme della concentrazione verticale piutto-

valeur Hésiodique-Essai de définition de la conception paysanne de "propriété foncière”, “Cahier de l’Isea”, Série AG, Economies et sociétés, 1974, n. 12.91 T. Shanin, Inheritance amongst the Russian Peasantry (1861-1929), Discussion paper Series RC/C, n. 3, Centre for Russian and East European Studies, University o f Birmingham, 1966, p. 6. Già lo Statuto del 1861, trattando dell’assegnazione di terra ai servi liberati, mette in rilievo che il soggetto del diritto alla terra e alla casa non è il contadino capofamiglia di per sé, il domochozyain, ma tutta la famiglia, tutto l’aggregato familiare, il dvor (p. 6).92 Jòsef Tischner, Etica della solidarietà, Forlì, Cseo Biblioteca, 1981, p. 101.93 Le numerose limitazioni legali del mercato fondiario applicate negli anni cinquanta e sessanta ai contadini del­ia Polonia comunista (norma fondamentale di 8 ettari al di sotto della quale è vietata la suddivisione aziendale, divieto di acquisto di beni fondiari per chi non ha la qualifica professionale di agricoltore, limitazione del nume­ro degli eredi legali a chi lavora in agricoltura ecc.) hanno provocato un’ampia circolazione fondiaria “illegale”, che ha spinto, a più riprese, gli organi governativi a ripristinare almeno temporaneamente condizioni di libertà di mercato. Cfr. L. Matraszek-Z. Mitura, Ustawowe ograniczenia rozdrobnienia gospodarstw chlopskich w Pol- sce (limitazioni di legge al frazionamento delle aziende contadine in Polonia), “Wies Wspolczesna”, n. 1, 1979, pp. 93-95.

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sto che quella orizzontale, l’integrazione de­gli apparati produttivi a monte e a valle del­l’azienda avrebbero determinato il futuro del capitalismo in agricoltura. È su questo terre­no che si innesta la sua teoria dello sviluppo cooperativo, che consente all’azienda conta­dina di adeguarsi ai necessari processi di con­centrazione tecnologica. La sua via di svilup­po agricolo della Russia passava per lo svi­luppo della cooperazione rurale fondata sul modello danese, per l’ottimizzazione (non la massimizzazione) delle dimensioni aziendali e la concentrazione verticale, conseguibile eventualmente, con la cooperativizzazione. Questa strada doveva essere definitivamente bloccata nella Russia della fine degli anni venti dalle scelte della concentrazione oriz­zontale e della collettivizzazione forzata.

Resta però assodato che le indicazioni e le ipotesi più preziose per chi vede la necessità di ampliare la conoscenza dello sviluppo del­le economie contadine in Europa sono quel­le collegate al modello della azienda familia­re. Esse consentono di interpretare la ano­mala persistenza di questo settore non come un risultato della avvenuta subordinazione agli indirizzi economici determinati dal grande capitale, ma come la continuità, at­traverso i mutamenti, di un sistema econo­mico particolare e antichissimo che trae la sua forza dall’estrema adattabilità e flessibi­lità. Un sistema che ha come elemento deter­minante l’equilibrio o — potremmo anche dire — l’unità dialettica tra la fatica e il bi­sogno, tra il labor improbus e Vegestas di cui ci parlano le Georgiche virgiliane, tra

la “fatica” e i “bisogni che incalzano, che non danno tregua” nella realtà prosaica, che succede alla mitica età dell’oro, quando or­mai gli dei hanno nascosto agli uomini i mezzi di sussistenza. Alle basi del progresso agricolo, che è stato e in parte ancora è un progresso dell’economia contadina, non tro­viamo dunque né il capitale, né la tecnolo­gia, né Yhomo oeconomicus. Alle sue basi ci sono i bisogni, la consapevolezza della penu­ria che costringe l’uomo al lavoro. Nell’a­zienda contadina infatti l’impiego produtti­vo delle risorse materiali è determinato dai requisiti imposti da un’istituzione sociale che preesiste alla produzione e opera in un campo sociale più vasto della produzione stessa. Le forze di mercato agiscono in mo­do mediato su un’economia che è, prima di tutto, “un processo istituzionalizzato di in­terazione che ha la funzione di provvedere ai mezzi materiali della società”, per ricorrere a un’espressione di Karl Polanyi94. Ha osser­vato ancora Polanyi:

L’aspetto fisico dei bisogni dell’uomo fa parte del­la condizione umana; nessuna società può esistere senza possedere un qualche tipo di economia so­stanziale. Il meccanismo offerta-domanda-prezzo (comunemente denominato mercato), d’altra par­te, è un’istituzione relativamente moderna... Re­stringere la sfera del genus economico agli specifici fenomeni di mercato vuol dire eliminare dalla sce­na la maggior parte della storia umana95.

Qui sta l’antichità e la modernità del model­lo costruito da Cajanov.

Umberto Baldocchi

94 Karl Polanyi, La sussistenza dell’uomo, Torino, Einaudi, 1983 (The Livelihood o f Man, New York, 1977), p. 60.95 K. Polanyi, La sussistenza dell’uomo, cit., p. 28.

Umberto Baldocchi, laureato in storia presso l’Università di Pisa, più volte borsista a Varsavia, si è perfezionato in storia presso l’Università di Firenze. Si è interessato a problemi di storia sociale con­temporanea. Ha scritto articoli per “Italia Contemporanea”, “Rivista di storia contemporanea” e “I Viaggi di Erodoto”. Insegna italiano e storia nelle scuole secondarie.