Narrare e ri-narrare il territorio

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c Culture il Paese nuovo mercoledì 13 luglio 2011 È tramonto sullo Scipione, l'attimo in cui il sole arrossato e basso convive con la luna alta e bianca. È la soglia del giorno che non è più giorno, l'attimo che so- spende e tiene insieme gli opposti. È il momento di stare dentro e fuori. Far dialogare il trapano con il mantra gutturale delle tortore, quello in cui far scorrere tu- bi grigi pensando alle serrande semichiuse delle case di fronte. È il momento in cui le strutture reggono perché la signora e il marito portano a spasso il cane insieme e ogni tanto si danno il cambio. L'uomo del giardino accanto sta chino in terra, osserva le piante attentamente poi sceglie. Ne toglie alcune per far spazio ad altre. Infine le ba- gna per rilassarle dal sole del giorno. È tramonto sullo Scipione, l'attimo preciso in cui una donna araba vestita completamente di nero convive con la tortora bianca che sta attraversando lenta la stessa strada. Anima di soglie da percorrere. Colano sagome di umido nero dalle pareti dello Scipione. È notte, le forze calano e qualcosa si disvela. Interstizi, crepe, segni del tempo. Si può trovare la forma na- scosta delle macchie sul muro, progettare e costruire imitando la porosità della pietra dura, ma attraversabile? Lecce è una città che concede poche soste. La scarsità di panchine rivela un'insofferenza alla sosta, soprattutto in certe zone. Ci si può sedere in Piazza Sant'Oronzo o alla Villa, proibito farlo alle Giravolte, dove al massimo si può trovare riparo sui gradini di qualche casa. Esistono poi panchine da consumare, dove se paghi ti siedi e ti godi la visione della città che si muove. Arri- vando a piedi dalla Villa allo Scipione sono possibili varie soste, attimi di vuoto dal pieno delle macchine. Girando a destra si arriva a Piazza Verdi, un angolo di ombra fresca, una pianta triangolare circondata da alberi e panchine. Uomini anziani si incontrano lì, stazio- nano ore a prendere il fresco, si lamentano, si raccontano. Un chiosco del bar Verdi che apre di sera ha corroso lo spazio, che però resiste, caparbio, a difendere la gratui- tà dello stare. C'è persino una sagoma di panchina senza seduta, ancoraggio invisibi- le, ristoro immaginario. D opo alcuni anni di studio e di vita metropolitana, e di esperienze inevitabili per un giovane scritto- re all’inizio del secolo scorso (donne, editori, po- chi soldi, una mondanità solo esteriore), con una deci- sione improvvisa Guido lascia Roma e torna a casa, nel profondo sud, nei pressi di Otranto, nella masseria del fratello Totò, a Casamassella, “trecento anime”, egli di- ce. Si allontana, almeno per un po’, da un’esistenza che giudica deludente e poco costruttiva e spera, intimamen- te e poco lucidamente, di rinnovarla; si ritrova in un am- biente che dovrebbe conoscere, ma che gli risulta so- stanzialmente estraneo; si rende conto che a ventisette anni non sa far niente in termini concreti e Totò, bonaria- mente, glielo ricorda ogni volta che lo chiama poeta. Guido si sottoporrà volentieri a una nuova educazione fisica, morale, sentimentale, che dovrà però interrompe- re bruscamente dopo alcuni mesi per un motivo che non rivelerò: sto parlando, infatti, del contenuto di un roman- zo, Peccato, di Michele Saponaro, concluso nel 1915, uscito per la prima volta nel 1919, riedito da Mondadori nel 1925 e da Garzanti nel 1946, e nuovamente da Mon- dadori nella raccolta Romanzi all'aria aperta nel 1957; e ora da un’associazione editrice, Percorsi Meridiani, al- l’interno di un progetto che mira ad analizzare lo stru- mento narrativo quando si muove a raccontare il territo- rio. Saponaro, scrittore e giornalista di rilievo nella cul- tura italiana della prima metà del ’900, conosce nei det- tagli quel mondo contadino in cui ha collocato il suo protagonista, e lo rivela nella cura con cui sceglie i nomi e i soprannomi dei suoi personaggi, nel descriverne i ruoli e le mansioni, il modo di parlare, nel tracciare i rit- mi del lavoro, nel disegnarne i caratteri, nel raccontare l’andamento dei giorni e delle ore, la sveglia, la caccia, la zappa, il bucato, la cucina; Totò è il padre padrone, du- rissimo e gioviale, le regole sono quelle, non si discute: come un sovrano da ancien règime ha la sua favorita, che omaggia ospitandola nel suo letto (di nascosto dagli altri, ma figurarsi…); Titta è il fattore, gigantesco e buo- no, è forte come un toro ma timidamente manifesterà a Guido, fratello del padrone, le sue intenzioni nei con- fronti di Cia, una serva della casa. Cia, appunto, una ra- gazzina vivacissima, allegra, ridente, una cutrettola, di cui il nostro poeta non potrà che innamorarsi. E tanti al- tri, poi: la generosa Abondanza, narratrice inesauribile, la vecchia Mena, il vecchio Renna con il suo amore per la Nzina bellissima e sfortunata… Il protagonista si lascia avvolgere dal luogo e da quell’ordine; lui che aveva conosciuto le albe cittadine perché talvolta era allora che andava a dormire, adesso si ritrova ad aspettarle già sveglio: non è tempo di filoso- I Trasformati/ Giovedì 14 Luglio, alle 17.00, nuovo appuntamento all'Ammirato Culture House - casa comune concepita per attivare processi di partecipazione e di collaborazione tra diversi attori culturali, locali e internazionali grazie a un accordo tra Comune di Lecce, l’associazione culturale Loop House e la canadese Musagetes Foundation - con il seminario “Produci tu la tua energia. Impianti e materiali a risparmio energetico: soluzioni e incentivi”. Un’occasione, per discutere di argomenti di grande attualità che non mancheranno, peraltro, di informare gli auditori circa gli incentivi e le agevolazioni che lo stato e gli enti pubblici mettono a disposizione per gli investimenti in riqualificazioni energetiche... Cronache culturali/ Percorsi Meridiani L’Associazione Percorsi Meridiani in occasione della presentazione dei risultati dei progetti co-finanziati dalla Fondazione Caripuglia, sviluppati e conclusi dall’Associazione stessa, relativi alla riedizione di tre romanzi – “Peccato”, “Io e mia moglie”, “Il cerchio magico” - dello scrittore Michele Saponaro e alla ricostruzione in “Realtà Aumentata” del centro storico di Otranto, organizza il 1° workshop partecipato “Narrare e ri-narrare il territorio: tra media tradizionali e nuovi media. Quali possibilità, e quali criticità, per lo sviluppo locale?” che si terrà all’Hotel President di Lecce, il giorno 15 luglio, h. 9.00-13.00 Un paese di nome Casamassella... Eugenio Imbriani Tra-mondi, notturni notturni Maira Marzioni Si assemblano i grandi tubi grigi (Ph. Alice Fiorilli) L'immagine del workshop di Percorsi Meridiani

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Venerdì 15 luglio, presso l’Hotel President di Lecce, l’Associazione Percorsi Meridiani s.f.l organizza il 1° workshop partecipato Narrare e ri-narrare il territorio: tra media tradizionali e nuovi media. Quali possibilità, e quali criticità, per lo sviluppo locale? Durante il workshop saranno presentati i risultati dei progetti co-finanziati dalla Fondazione Caripuglia, sviluppati e conclusi dall’Associazione stessa, relativi alla riedizione di tre romanzi – Peccato, Io e mia moglie, Il cerchio magico - dello scrittore Michele Saponaro (www.michelesaponaro.eu) e alla ricostruzione in Realtà Aumentata del centro storico di Otranto. L

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cCultureilPaesenuovo

mercoledì 13 luglio 2011

Ètramonto sullo Scipione, l'attimo in cui il sole arrossato e basso convive con laluna alta e bianca. È la soglia del giorno che non è più giorno, l'attimo che so-spende e tiene insieme gli opposti. È il momento di stare dentro e fuori. Far

dialogare il trapano con il mantra gutturale delle tortore, quello in cui far scorrere tu-bi grigi pensando alle serrande semichiuse delle case di fronte. È il momento in cui lestrutture reggono perché la signora e il marito portano a spasso il cane insieme e ognitanto si danno il cambio. L'uomo del giardino accanto sta chino in terra, osserva lepiante attentamente poi sceglie. Ne toglie alcune per far spazio ad altre. Infine le ba-gna per rilassarle dal sole del giorno. È tramonto sullo Scipione, l'attimo preciso incui una donna araba vestita completamente di nero convive con la tortora bianca chesta attraversando lenta la stessa strada.

Anima di soglie da percorrere.Colano sagome di umido nero dalle pareti dello Scipione. È notte, le forze calano

e qualcosa si disvela. Interstizi, crepe, segni del tempo. Si può trovare la forma na-scosta delle macchie sul muro, progettare e costruire imitando la porosità della pietradura, ma attraversabile?

Lecce è una città che concede poche soste.La scarsità di panchine rivela un'insofferenza alla sosta, soprattutto in certe zone.

Ci si può sedere in Piazza Sant'Oronzo o alla Villa, proibito farlo alle Giravolte, doveal massimo si può trovare riparo sui gradini di qualche casa. Esistono poi panchineda consumare, dove se paghi ti siedi e ti godi la visione della città che si muove. Arri-vando a piedi dalla Villa allo Scipione sono possibili varie soste, attimi di vuoto dalpieno delle macchine.

Girando a destra si arriva a Piazza Verdi, un angolo di ombra fresca, una piantatriangolare circondata da alberi e panchine. Uomini anziani si incontrano lì, stazio-nano ore a prendere il fresco, si lamentano, si raccontano. Un chiosco del bar Verdiche apre di sera ha corroso lo spazio, che però resiste, caparbio, a difendere la gratui-tà dello stare. C'è persino una sagoma di panchina senza seduta, ancoraggio invisibi-le, ristoro immaginario.

Dopo alcuni anni di studio e di vita metropolitana,e di esperienze inevitabili per un giovane scritto-re all’inizio del secolo scorso (donne, editori, po-

chi soldi, una mondanità solo esteriore), con una deci-sione improvvisa Guido lascia Roma e torna a casa, nelprofondo sud, nei pressi di Otranto, nella masseria delfratello Totò, a Casamassella, “trecento anime”, egli di-ce. Si allontana, almeno per un po’, da un’esistenza chegiudica deludente e poco costruttiva e spera, intimamen-te e poco lucidamente, di rinnovarla; si ritrova in un am-biente che dovrebbe conoscere, ma che gli risulta so-stanzialmente estraneo; si rende conto che a ventisetteanni non sa far niente in termini concreti e Totò, bonaria-mente, glielo ricorda ogni volta che lo chiama poeta.Guido si sottoporrà volentieri a una nuova educazionefisica, morale, sentimentale, che dovrà però interrompe-

re bruscamente dopo alcuni mesi per un motivo che nonrivelerò: sto parlando, infatti, del contenuto di un roman-zo, Peccato, di Michele Saponaro, concluso nel 1915,uscito per la prima volta nel 1919, riedito da Mondadorinel 1925 e da Garzanti nel 1946, e nuovamente da Mon-dadori nella raccolta Romanzi all'aria aperta nel 1957; eora da un’associazione editrice, Percorsi Meridiani, al-l’interno di un progetto che mira ad analizzare lo stru-mento narrativo quando si muove a raccontare il territo-rio. Saponaro, scrittore e giornalista di rilievo nella cul-tura italiana della prima metà del ’900, conosce nei det-tagli quel mondo contadino in cui ha collocato il suoprotagonista, e lo rivela nella cura con cui sceglie i nomie i soprannomi dei suoi personaggi, nel descriverne iruoli e le mansioni, il modo di parlare, nel tracciare i rit-mi del lavoro, nel disegnarne i caratteri, nel raccontarel’andamento dei giorni e delle ore, la sveglia, la caccia,

la zappa, il bucato, la cucina; Totò è il padre padrone, du-rissimo e gioviale, le regole sono quelle, non si discute:come un sovrano da ancien règime ha la sua favorita,che omaggia ospitandola nel suo letto (di nascosto daglialtri, ma figurarsi…); Titta è il fattore, gigantesco e buo-no, è forte come un toro ma timidamente manifesterà aGuido, fratello del padrone, le sue intenzioni nei con-fronti di Cia, una serva della casa. Cia, appunto, una ra-gazzina vivacissima, allegra, ridente, una cutrettola, dicui il nostro poeta non potrà che innamorarsi. E tanti al-tri, poi: la generosa Abondanza, narratrice inesauribile,la vecchia Mena, il vecchio Renna con il suo amore perla Nzina bellissima e sfortunata…

Il protagonista si lascia avvolgere dal luogo e daquell’ordine; lui che aveva conosciuto le albe cittadineperché talvolta era allora che andava a dormire, adessosi ritrova ad aspettarle già sveglio: non è tempo di filoso-

I Trasformati/

Giovedì 14 Luglio, alle 17.00,nuovo appuntamento

all'Ammirato Culture House -casa comune concepita per

attivare processi di partecipazionee di collaborazione tra diversi

attori culturali, locali einternazionali grazie a un accordo

tra Comune di Lecce,l’associazione culturale Loop

House e la canadese MusagetesFoundation - con il seminario

“Produci tu la tua energia. Impiantie materiali a risparmio energetico:

soluzioni e incentivi”.Un’occasione, per discutere di

argomenti di grande attualità chenon mancheranno, peraltro,

di informare gli auditori circa gliincentivi e le agevolazioni che

lo stato e gli enti pubblici mettonoa disposizione per gli investimenti

in riqualificazioni energetiche...

Cronache culturali/ Percorsi Meridiani

L’Associazione Percorsi Meridiani in occasione della presentazione dei risultatidei progetti co-finanziati dalla Fondazione Caripuglia, sviluppati e conclusi dall’Associazione stessa,relativi alla riedizione di tre romanzi – “Peccato”, “Io e mia moglie”, “Il cerchio magico” -dello scrittore Michele Saponaro e alla ricostruzione in “Realtà Aumentata” del centro storicodi Otranto, organizza il 1° workshop partecipato “Narrare e ri-narrare il territorio: tra mediatradizionali e nuovi media. Quali possibilità, e quali criticità, per lo sviluppo locale?” che si terràall’Hotel President di Lecce, il giorno 15 luglio, h. 9.00-13.00

Un paese di nomeCasamassella...

• Eugenio Imbriani

Tra-mondi,notturninotturni• Maira Marzioni

Si assemblano i grandi tubi grigi (Ph. Alice Fiorilli)

L'immagine del workshop di Percorsi Meridiani

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6-7ilPaesenuovo

mercoledì 13 luglio 2011

Tornando sulla via dello Scipione di fronte alla caserma c'è una piccola piaz-za dove sta di casa uno dei tanti Padre Pio della città. Ha la bocca spalancata,quasi a sbadiglio è circondato da fiori e piante e un piccolo recinto. Attorno a luicomode panchine di legno che acquistano ombra nel tardo pomeriggio. Oasi perle orecchie, perché il rumore delle cicale vince quello di moto e macchine. PadrePio sta spesso solo, forse è per quello che ha una faccia strana.

Non sempre è facile mettersi in panchina, richiede la capacità di una presen-za, un esporsi allo sguardo altrui, il rischio dell'incontro. Osservare le panchinesignifica osservare i resti dell'abitare di una città. Quello che rimane dello staresenza motivazioni, solo per il gusto di esserci, di uscire dal proprio spazio priva-to. Nelle panchine del giardino attorno all'Ammirato sostano presenze colorate einvisibili. Storie d'amore tra ragazzini consumatisi chissà quando che prendonola forma di dichiarazioni di odio e passione. Atti di rabbia di adolescenti contro idetentori del potere. Le immagino scritte notturne o rubate a qualche assenzaclandestina da scuola. Un abitare non visibile che si può soltanto immaginare.Diverso da quello del piazzale di cemento sotto ai palazzoni bianchi. Lì si rap-presenta in maniera tangibile il valore della soglia. Un gruppo di persone e qual-che ragazzino sostano fuori dal portone in quella linea sottile tra casa e fuori. Èun esporsi protetto dall'inferriata arrugginita, un intramondo. L'abitare senza pe-ricoli, stare fuori, ma protetti. Mentre fuori gli abitanti del quartiere si siedonooppure no, gli architetti in trasformazione lavorano alla costruzione di una pan-china anomala. Un crogiolo di tubi che vadano ad abitare una casa pubblica. Unossimoro per la possibilità di abitare una casa come se fosse pubblica e uno spa-zio culturale come se fosse casa. Per ora c'è Davide, il bimbo del quartiere che haadottato gli architetti. È il figlio dei proprietari della ferramenta di fronte. Ci haraccontato che suo nonno abitava qua e si occupava del giardino. Ogni tanto vie-ne, osserva costruisce farfalle con fili e cannucce rimasti di scarto e oggi s'è sedu-to ai piedi di questa struttura ancora informe. Dice che sembra un alieno e lui ci siè messo dentro, come se stesse in una piccola piscina. Ha le gambe incrociate esorride. Primo abitante dell'aliena panchina.

fia, spiega a se stesso, bisogna immergersi in quellavita, gustandone intensamente i sapori, senza media-zioni intellettualistiche; Saponaro carica l’ambientedi una sensualità diffusa, irresistibile, Guido sembrain balia degli elementi, sia un violentissimo tempora-le che sta per ucciderlo, o il caldo feroce ed estenuan-te dei meriggi estivi, o la pace del cielo stellato, sianoi ricordi della fanciullezza spensierata e felice, o isentimenti per la Cia: è un altro mondo, davvero, pri-mitivo e selvatico, in cui la fatica (degli altri) è “buo-na e tranquilla”, e l’amore è un baratto a condizioniuguali: “una carezza per una carezza, un bacio per unbacio, ebrietà per ebrietà, follia per follia, sangue persangue”; “lassù”, invece, a Roma, è tutto “un perfidomercato”.

Il primitivismo di Saponaro opera una evidentedistorsione, ma è il riflesso di quella cultura europea

alla quale l’autore aderisce e che spinge l’arte figura-tiva e la scrittura, da Picasso a Conrad a Proust, perintenderci, verso motivi di ispirazione e formeespressive dichiaratamente esotiche o fondate su pro-cedure introspettive, di cui sono parte attivissima larivoluzione metodologica prodottasi nel campo dellaantropologia e il forte richiamo alla riflessività e al-l’autoanalisi proveniente dalla psicologia. Saponaro,insomma, scopre in Casamassella i suoi tropici e ce liracconta, mettendoci una grande quantità di informa-zioni e di particolari su numerosi aspetti della culturalocale, materiale prezioso per chi voglia lavorare sul-la storia sociale del territorio; di più, c’è che

Peccato è un romanzo molto bello, leggibilissimoa quasi un secolo dalla sua composizione, opera di unautore importante, poco noto proprio a casa sua, co-me succede.

ora non è quella migliore per andarsene in giro. Ma devo muovermi.È il primo meriggio. E devo muovermi. Trentotto gradi. E devo muovermi.In auto. Ancora peggio. Arrivo a San Cesario di Lecce poco dopo le 15.00.Piazze e vie deserte. Un tempo, secondo chi mi ha preceduto, questo era ilmomento in cui i cristiani riposavano e gli spiriti vagavano. Guai a incon-trarli. Potevano provocare effetti più deleteri del sole battente.Parcheggiol'auto nei pressi del Palazzo Ducale. Deserto. Anche qui. Chiamo Lea. Alterzo tentativo mi risponde: è, insieme ai ragazzi di K-Now, al Centro Poli-valente: hanno appena finito di pranzare, sta per uscire il caffè. Ce n'è ancheper me. E lo credo bene: la moka è di quelle mai viste: formato K-Now, os-sia caffè per tutti. E qui sono tanti. Giovani che provano le loro performan-ces per la serata finale di mercoledì 13 luglio, quando il centro storico di SanCesario di Lecce si animerà di danze, canti, rappresentazioni teatrali, rea-ding e altre espressioni d'arte. Il tutto a nutrire “Trattato di Pace”, la perfor-mance finale presso Palazzo Ducale. Bevo il mio caffè e il sapore è di quelliche vorresti avesse sempre il caffè. È un buon caffè. Sa di fatica, d'entusia-smo, di sacrificio, di passione, d'energia, di speranza. Quella che leggo neivolti dei ragazzi e delle ragazze che qui, nel fresco seminterrato del CentroPolivalente, si apprestano a tenere una riunione per discutere e programma-re gli interventi che, tra poco, riproveranno.

È incredibile come un luogo anonimo e spoglio - come questo - si animiquando lo abitano giovani di diverse estrazione e provenienze e nell'ariagirano i loro progetti (accomunati dal desiderio e dalla volontà di dareconcretezza al loro estro creativo). Il luogo è una sorta di open space, at-trezzato con sedie e una lunghissima tavolata, con un angolo cucina e unpalchetto (munito persino di tenda), ma la cosa che mi piace di più è unalavagna (tipo scuola elementare) con su scritto: “Se Qualcosa Fa SchifoScrivilo Qui”. Qualcuno, col gessetto bianco, ha annotato: “Non Gettate IFogli Carta Nel WC”. I ragazzi si fermano qui (nel Centro Polivalente) a

pranzo e a cena. Ma la cena è fuori, all'aria aperta, sotto gli alberi di fintopepe. Dopo il caffè, Werner aggiorna la situazione e ognuno confermaquel che farà la serata conclusiva di questa cinque giorni di vita artistica incomunione. Ché di questo si tratta. Di confrontare e confrontarsi, propo-nendo la propria idea d'arte e il proprio modo di fare arte con quelle deglialtri, scambiando, mutuando, imbastardendo, meticciando, mescolando,contaminando esperienze. Questo è il momento in cui si discute sui luoghi(una corte, il mercato coperto, una piazzetta, un vicolo...), sui modi (a so-lo, insieme a...), sui tempi (tre minuti, un quarto d'ora, in apertura, una solavolta, più volte...), e ancora degli interventi. E si pensa a come razionaliz-zarli. A come renderli fruibili al pubblico. A come darne la miglioreespressione possibile. E si parla di luci, di suoni, di oggetti di scena e allelocation più adatte a ospitare quella rappresentazione invece che quell'al-tra. E prende forma qualcosa che potrebbe somigliare a un treno.

C'è la motrice. Si ferma alla prima stazione. Pausa performance. La lo-comotiva con l'attore - o il gruppo o il cantante...- di quell'esibizione si at-tacca alla motrice. E così via. Di stazione in stazione. Sino a quella finaledi Palazzo Ducale. Dove tutti scendono dal treno. Artisti e pubblico (chevia via era salito a bordo). Dove s'apre la scena finale. Sino alla promulga-zione del “Trattato di Pace”. Che tutti, nessuno escluso, è tenuto a osser-vare. Ché questa è una bella storia. Una di quelle in cui -soprattutto- vigo-no rispetto e solidarietà. Ognuno parla quando è il suo momento. E tuttiascoltano l'altro. Salvo deroghe necessarie: “Chiedo il permesso di poteranticipare il mio intervento ché devo lavare i piatti”. E così sia. Senzacomplicazioni. Tra poco si torna a lavorare. Con tenacia e allegria. E conun sorriso per me che saluto. Lea mi dice: “grazie Vito”. Io faccio un cen-no con la mano e non dico null'altro che “buon proseguo”. Ma penso chestare un po' con questi ragazzi è stato bello e dovrei essere io a ringraziare.Beh, lo faccio adesso.

an Simone è un bel posto. Nel cuore mes-sapico del basso Salento a due passi di Sanni-cola (di cui è frazione) e tre da Alezio, uno spu-to da Tuglie. San Simone ha un rilievo con ungrande spazio: Oasi dei Francescani si chiama.Luogo dal profumo vintage e dall'aura di pace.

San Simone è li, in un fazzoletto di terra lacontraddizione umana plasticamente rappre-sentata: Oasi di pace con un cannone a far bellamostra, vintage (appunto) con affianco un tettosolarizzato. Declinazione straordinaria dellavelocità della storia quando si muove su piccolispazi.

San Simone e l'Oasi francescana che ospitauno spettacolo “culturale”: Mino De Santispresenta (finalmente) il suo primo CD e, dopo,la “cultura”: mieru e pezzetti te cavallu! Acco-stamenti ardui nello spazio e nel tempo, forseanche raffazzonati e stridenti, ma sempre acco-stamenti.

Un palco scarno con tre sedie e il grovigliodi fili d'ordinanza, una approssimata amplifica-zione e luci rosso-verdi che proiettano sul suo-lo e sui muri strane ombre da anaglifo…

La platea in una cornice d'altri tempi, popo-lata da sedie di plastica, metà rosse e metà bian-che, s'anima e in breve tempo non c'è più un po-

sto che non sia occupato da culo umano, si oc-cupano anche gli spazi per accovacciarsi suimattoni o sporgenze di fortuna.

Piero Rapanà prende il microfono e avvisache “lo spettacolo va ad incominciare...” salgo-no sul palco i musicisti non prima di una breveintroduzione di un personaggio illustre di Tu-glie, dell'assessore di Sannicola e dei ringrazia-menti di Mino De Santis con il viso bianco co-me un cencio e l'emozione che gli spegne la vo-ce.

Salgono sul palco il suonatore di mandola, ilsassofonista e Mino con la sua chitarra. Si co-mincia ragazzi. Il ritmo della ballata dalla chi-tarra viene accompagnato da improvvisazionidegli altri due strumentisti e la voce di Mino siscioglie raccontando di un cavallo “malacar-ne”.

Le canzoni si susseguono, si snocciolanouna ad una lanciando secchiate di emozioni suun pubblico di varissima umanità, attento ai te-sti, denso e partecipe, che quasi respira a ritmocoerente con l'ironia sottile dei testi e le musi-che contaminate che fanno da contrappunto.

Mino non è giovanissimo e non sarò qui atesserne le lodi. Mino ha scritto una pagina dicanzone popolare vera, del popolo del Salen-

to… lento… lento... lento che si libera (era ora)dalla pur splendida prigionia del tamburello,dell'organetto e del violino e approda ad un lin-guaggio nuovo, fatto di dialetto e di italianocolto al volo, masticato, rimasticato e sputatofuori in una nuova forma di colostro, vero ali-mento con il quale crescere i piccoli.

Musica accattivante, di uno che sa suonarela chitarra, la lascia nei suoi accordi semplici,quasi ondeggianti come un materassino gonfia-bile sulla bonaccia, e poi inserisce citazionicoltissime, di Faber certo, ma anche di swing edi country, e i due comprimari silenti e presenti,in punta di piedi accendono lampi di luce suiquadri che la chitarra e la voce dipingono in di-retta. Son bravi, è certo.

Era tanto tempo che con assistevo ad un par-to, ne avevo perduto il pathos, le urla di dolore,l'emozione per il primo vagito e la violenza ne-cessaria del primo taglio: il cordone ombelicaleche ha legato Mino alle sere tra amici è reciso,tagliato per sempre.

Quando uno riesce a cantare l'anima di unpopolo, di una generazione, di una terra, anchesuo malgrado, diventa bene collettivo. Soprat-tutto se è “bonacciu”. Ne riparleremo presto delu Scarcagnizzu!

Cronache culturali/Il K-now

a San Cesario di Lecce

Oggi, mercoledì 13 luglio, il centrostorico di San Cesario di Lecce

si animerà di danze, canti,rappresentazioni teatrali, reading e altre

espressioni d'arte. Il tutto a nutrire“Trattato di Pace”, la performance finale

che avrà luogo nel Palazzo Ducalea conclusione della Quarta Edizione

del “Laboratorio/Showcase del teatropugliese” ideato e promosso da Induma

Teatro di Lea Barletti e Werner Wass

• Vito Antonio Conte

La presentazione domenica10 luglio a San Simone

del CD di debuttodi Mino De Santis,

“Scarcagnizzu” prodottodal Fondo Verri

per l'edizione 2011de I Luoghi d'Allerta.L'autore tugliese era

accompagnato da EmanueleColuccia al sax

e da Gianluca Longoalla mandola

• Pino De Luca

Scarcagnizzu

Cronache culturali/

S

Il teatro e la comunitàL’

e panchinee panchine

Sedute all'interno dello Scipione

Un'immagine del Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce

Mino De Santis a San Simone

Michele Saponaro