storia REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA anni ’30 ’66 …...dal Comune nel 1820 e un fabbricato...

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REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA LA SEDE REGIONALE DI VIA CARDUCCI L’edificio di via Carducci 6 e la vicenda della sua costruzione s’inserisce in un contesto storico legato alle trasformazioni urbane di rinnovamento della città di Trieste, le quali conobbero una significativa accelerazione a partire dagli anni Venti del Novecento: interventi di notevoli proporzioni che interessarono in particolare l’asse viario compreso tra via Carducci e largo Sidney Sonnino, nell’intento di congiungere il centro città con le strade che conducevano verso il Friuli e l’entroterra istriano. Il fulcro di tale progetto rimaneva il riassetto della zona già occupata dalle originarie caserme asburgiche, con la costruzione di una nuova piazza che nel 1926 venne intitolata a Guglielmo Oberdan. Questo nuovo spazio pubblico raggiunse senso compiuto attraverso la contestuale edificazione del nuovo Palazzo di Giustizia. In particolare una rinnovata piazza Oberdan venne pensata per rispondere ad una precisa volontà di carattere urbanistico: da un lato avrebbe dovuto costituire l’ingresso rappresentativo alla città pubblica dall’area della stazione; dall’altro svolgere la funzione di quinta scenografica rispetto al vicino Palazzo di Giustizia il cui progetto, elaborato nel primo dopoguerra, fu ultimato nel 1926 sulla base dei disegni ideati dall’architetto Enrico Nordio (Trieste, 1851–1923). Il disegno per la nuova piazza e le relative adiacenze subì negli anni alcune modifiche e una serie di adattamenti che trovarono completamento nel 1934 con la sistemazione urbanistica tratteggiata da Mario De Renzi (Roma, 1897–1967) dell’esedra e delle vie radiali ad essa. La piazza era in origine parte della Contrada del Torrente, così chiamata perché caratterizzata dalla presenza di un collettore, scavato dopo l’alluvione del 1756, che convogliava i diversi rii di Trieste verso il mare. Fino al 1926 l’area compresa fra le antiche via del Torrente e piazza della Caserma costituiva l’ampio spiazzo formatosi con la copertura, compiuta nel 1838, del torrente che scorreva (e che continua tuttora a defluire sotto il livello stradale) davanti all’Ospitale degli ammalati, fatto edificare da Maria Teresa d’Austria nel 1769 sulla base dei tipi attribuiti al disegnatore delle Fabbriche Antonio Montanelli. Nel 1785 l’immobile fu destinato da Giuseppe II d’Austria a sede di guarnigione, mentre l’Ospedale vennetra sferito nell’antico palazzo vescovile di via del Castello. Una serie di altre opere completarono l’impianto militare dell’area: alcuni magazzini, un’ampia piazza d’armi realizzata su terreni ceduti dal Comune nel 1820 e un fabbricato adibito ad Ospedale militare eretto nei pressi dell’attuale via del Coroneo. Con l’annessione formale della città al Regno d’Italia compiutasi tra il 1918 e il 1920 la progressiva e radicale trasformazione della piazza ebbe luogo con la graduale eliminazione delle antiche strutture marziali: furono conservate, con l’intento di valorizzarne l’alto contenuto morale, soltanto la cella e l’anticella ove patì la prigionia e il supplizio Guglielmo Oberdan (20 dicembre 1882). REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA LA SEDE REGIONALE DI VIA CARDUCCI REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA LA SEDE REGIONALE DI VIA CARDUCCI storia di un edificio anni ’30 REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA LA SEDE REGIONALE DI VIA CARDUCCI ’66 1. IL CONTESTO 2. LA COSTRUZIONE Proprio nel contesto di questo ambizioso piano di riforma urbana, che venne attuato solo in parte rispetto alle iniziali intenzioni, nella realizzazione di taluni edifici furono adottate scelte stilistiche di matrice eclettica, sulla scorta di precise esigenze ancora di tradizione ottocentesca, le quali apparivano gradite anche all’emergente regime fascista che si andava consolidando pure a Trieste. Tale approccio fu suffragato nei primi decenni del Novecento soprattutto per gli edifici pubblici o rappresentativi di enti ed istituzioni assicurative o di credito. Una conferma di questa tendenza in atto nel capoluogo giuliano negli anni compresi tra l’inizio del secolo e il decennio succes- sivo il primo dopoguerra giunge da Laura Ruaro Loseri: «I grandi palazzi delle banche, costruiti nel più sontuoso Cinquecento italiano in anni già ben addentro in questo secolo quando nuove e più allettanti forme di intendere l’architettura erano da tempo mature, sono la più appariscente testimonianza del rifiuto – non tanto degli architetti quanto della città – alle correnti modernistiche, soprattutto se provenienti dal Nord». Nel contesto urbano più ampio e in quello prossimo a piazza Oberdan, a questo momento storico possiamo ascrivere l’elaborata facciata di sanmicheliana memoria della Cassa di Risparmio di Trieste (via della Cassa di Risparmio 10, 1891-1894), opera di Enrico Nordio (con Giovani Righetti), il possente prospetto del Creditanstalt, più tardi Banca Commerciale Italiana, dello stesso autore (piazza della Repubblica 2, 1907-1910) e quello della prospiciente Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS) di Ruggero e Arduino Berlam in piazza della Repubblica 1 (1909-1914). A questa temperie appartengono anche la Banca d’Italia pure di Arduino Berlam e dell’ingegnere, supervisore del progetto, Biagio Accolti Gil (Corso Cavour 13, 1921-1931) o, ancora, il palazzo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni-INA di piazza Guglielmo Oberdan 7 (1926-1930), opera di Ugo Giovannozzi (Firenze, 1876 – Roma, 1957) e Giuseppe Baldi, che si presenta in forme evidentemente rinascimentali «sia pur semplificate ed essenziali ma sempre intonate al monumentale». A questi edifici, la cui monumentalità appariva quasi imposta dalla funzione, si aggiunse, all’inizio degli anni Trenta, proprio l’immobile di via Carducci 6, edificato per essere la nuova sede della Cassa Nazionale Assicurazioni Sociali (CNAS) nel capoluogo e che vide ancora coinvolto nell’impresa l’architetto e ingegnere fiorentino Ugo Giovannozzi. L’ambito su cui insiste l’edificio faceva parte anch’esso del complesso della vecchia Caserma Oberdan, area divenuta in seguito di proprietà dell’Istituto Pensioni per Impiegati, che commissionò nel 1924 il progetto di un immobile per la rappresentanza di Trieste all’architetto Giacomo Zammattio (Trieste, 1855–1927). I lavori, che nel corso del 1925 erano giunti all’inizio sia con l’approntamento del cantiere sia con la posa della prima pietra, furono interrotti a causa di una perniciosa vertenza giudiziaria riguardante le concessioni per l’occupazione del terreno, la contestuale fusione dell’Ente con la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali e la morte inattesa del progettista (1927). Il piano di Giacomo Zammattio presentava una severa soluzione di facciata ispirata all’architettura classica. Il prospetto appariva impostato in soluzione tripartita ove un basamento trattato a bugnato si elevava sino all’altezza del mezzanino. Da esso altri quattro piani apparivano caratterizzati dalla presenza, al centro della composizione, di quattro massive colonne joniche a doppia altezza coronate al quinto piano da un’ampia balconata. Nel 1929, quando la vertenza legale sembrava avviarsi a conclusione, la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali, subentrata al preesistente Ente, decise di riavviare l’opera: nella primavera del 1929 fu incaricato per la redazione di un nuovo progetto l’architetto-ingegnere Ugo Giovannozzi. Il professionista fiorentino era stato evidentemente ritenuto personalità all’altezza dell’incarico, dato che aveva appena concluso la realizzazione del nuovo stabile in Roma dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni-INA (1923-1927), mentre già stava avviando a completamento la sede giuliana dello stesso Ente nella contigua piazza Oberdan. Ugo Giovannozzi era un tecnico esperto e già affermato nel campo dell’architettura civile: allievo del fiorentino Riccardo Mazzanti, dal maestro ereditò l’interesse per lo stile eclettico, che nell’esercizio della professione lo accompagnò all’accoglimento di reminiscenze ed interpretazioni stilistiche del mondo neoclassico. Nell’autunno dello stesso anno il nuovo disegno poteva dirsi perfezionato: esso appariva ispirato ai tipi predisposti da Zammattio ma si dimostrava sostanzialmente difforme nelle soluzioni planimetriche adottate, le quali prevedevano la presenza di un ampio cortile interno al complesso. Nel mese di giugno 1930 i lavori ebbero inizio e con l’approvazione del progetto l’edificazione e la direzione dei lavori dell’opera vennero affidati a dei professionisti locali: furono gli ingegneri Venezian e Petech, titolari di una Società di costruzioni, ai quali si decise di assegnare l’incarico. Il 4 novembre del 1931, nemmeno dopo due anni dall’inizio dei lavori, il palazzo poteva dirsi concluso e venne inaugurato. La «Rivista Mensile della Città di Trieste», nel numero di novembre 1931, ricorda gli eventi riportando alcune considerazioni sull’edificio e parte dei discorsi ufficiali che accompagnarono l’avvenimento. Per comprendere quale fosse il clima culturale del periodo, capace d’influenzare anche le scelte urbanistiche ed architettoniche assunte per la città nuova, è interessante rammentare qualche passo del discorso che accompagnò l’inaugurazione, quando l’allora podestà di Trieste Giorgio Pitacco (Pirano, 1866–Trieste, 1945) si espresse affermando che «[...] la città guarda con orgoglio a questo palazzo di puro stile italiano, che fa onore all’illustre architetto Giovanazzi [Giovannozzi, n.d.a.] - il lodato ideatore del nuovo Palazzo delle Terme di Montecatini, che ottenne recentemente l’ambito elogio del Capo del Governo». È altrettanto significativo ricordare un altro brano del testo apparso nella rivista edita dal Comune di Trieste, nel quale si lodava l’aspetto formale del nuovo palazzo: «Si tratta di un edificio superbo, in stile rinascimentale italiano, ideato dall’architetto ingegnere Ugo Giovanazzi di Firenze [Giovan- nozzi, n.d.a.], il quale ha pensato che convenisse, nel periodo delle stranezze architettoniche, ricordare in Trieste italiana la non perita gloria dell’architettura nostra che per secoli fu educatrice del gusto di tutti i costruttori del mondo civilizzato». Nel secondo dopoguerra l’immobile passò in carico all’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS): alcune necessarie opere di adattamento e sistemazione del palazzo furono seguite, a partire da questo momento, dall’architetto Giordano Varini, referente e capo ufficio tecnico dell’Istituto. Nel 1966, con un contratto di acquisto dall’INPS, l’importante edificio passò in proprietà alla Regione Friuli Venezia Giulia. Con l’inizio del 1967 l’immobile divenne sede del Consiglio regionale, destinazione che perdurò sino al 1972 quando l’Assemblea venne trasferita nella nuova sede di piazza Oberdan. Successivamente il palazzo, nella permanenza della destinazione quale sede di rappresentanza pubblica, ha ospitato nel tempo la Presidenza, gli uffici di Giunta e più recentemente anche alcune direzioni regionali. Il fabbricato venne costruito su di un lotto rettangolare posto all’incrocio tra le vie Giosuè Carducci e via del Coroneo, contiguo, sul lato opposto, con l’area che ospita l’originaria sede della Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS), opera compiuta tra il 1934 e il 1936 per mano dell’architetto Umberto Nordio (Trieste, 1891–1971). L’edificio si eleva dallo spiccato stradale per sei piani fuori terra, ai quali vanno aggiunti il sottotetto e un seminterrato. Il prospetto principale è impostato, nella parte inferiore sino al mezzanino, su di un basamento trattato a bugnato rustico: da esso si aprono, in sequenza ritmica, le arcate del pianterreno, di cui tre portoni caratterizzano l’accesso da via Carducci e due entrate sono poste sul lato prospiciente via del Coroneo. L’accesso dal portone principale, che da via Carducci conduce ad una corte interna, esibisce un soffitto a volta impostata a cassettoni che appare sostenuta da una sequenza di colonne in stile tuscanico. L’arioso cortile centrale, sia in pianta come in alzato, appare sobrio ed equilibrato nelle sue proporzioni e consente di illuminare e ventilare, grazie a delle finestrature a balcone, gli uffici posti sul lato interno ai corridoi. La parte superiore delle facciate, al di sopra del basamento a bugnato rustico, è contraddistinta da una marcata ripartizione orizzontale: le superfici sono solcate da robuste cornici marcapiano che separano lo spiccato in due parti sulle quali si aprono una doppia serie di finestre, separate verticalmente le une dalle altre attraverso la presenza di un duplice ordine gigante di semicolonne doriche le quali, a partire dal ruvido bugnato, svettando verso l’alto sostenendo un cornicione terminale di evidente gusto classico. La parte centrale dell’edificio è connotato dalla presenza di cinque finestroni incorniciati a timpano ai quali sono sovrapposte altrettante finestre termali che tendono ad enfatizzare la composizione di facciata. Il primo ordine centrale di cinque finestrature poste al di sopra del massiva cornice appare delimitata da una serie binata di colonnine joniche impostate su di un solido poggiolo in pietra. All’interno dell’edificio si presentano di particolare interesse i due eleganti scaloni collocati specularmente ai lati degli ingressi: da una pianta ottagonale essi sviluppano una rampa che pare alludere alla forma elicoidale, raccordando agevolmente i vari piani della struttura. Nella scelta dei materiali per la costruzione, soprattutto nelle opere di facciata, si fece largo uso di pietra d’Istria (più precisamente di Orsera) e di marmo proveniente dalle vicine cave del Carso. In virtù con la sua mole e grazie alla sua storia l’edificio, già sede della Giunta della Regione Friuli Venezia Giulia, costituisce una chiara testimonianza dell’ambiente culturale nel quale fu ideato e di come in quel periodo si concepisse il rapporto tra l’autorità politica, le scelte del progettista e la città destinata ad accoglierle, nell’ambito di quel «risanamento», sostanzialmente voluto dal regime, che condizionò in modo significativo lo sviluppo urbano della città di Trieste nel corso degli anni Trenta del Novecento. [Paolo Tomasella, ERPaC FVG – Villa Manin Passariano] REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA LA SEDE REGIONALE DI VIA CARDUCCI 3. L’EDIFICIO 2017

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REG I O N E FRI U L I VEN EZ I A G I U L I A

LA SEDE REGIONALE

DI V IA CARDUCCI

L’edificio di via Carducci 6 e la vicenda della sua costruzione

s’inserisce in un contesto storico legato alle trasformazioni urbane

di rinnovamento della città di Trieste, le quali conobbero

una significativa accelerazione a partire dagli anni Venti

del Novecento: interventi di notevoli proporzioni

che interessarono in particolare l’asse viario compreso

tra via Carducci e largo Sidney Sonnino, nell’intento di

congiungere il centro città con le strade che conducevano

verso il Friuli e l’entroterra istriano.

Il fulcro di tale progetto rimaneva il riassetto della zona già occupata dalle originariecaserme asburgiche, con la costruzione di una nuova piazza che nel 1926 venneintitolata a Guglielmo Oberdan. Questo nuovo spazio pubblico raggiunse sensocompiuto attraverso la contestuale edificazione del nuovo Palazzo di Giustizia.

In particolare una rinnovata piazza Oberdan venne pensata per rispondere ad unaprecisa volontà di carattere urbanistico: da un lato avrebbe dovuto costituire

l’ingresso rappresentativo alla città pubblica dall’area della stazione; dall’altro svolgere la funzione di quinta scenografica rispetto al vicino Palazzo

di Giustizia il cui progetto, elaborato nel primo dopoguerra, fu ultimato nel 1926 sulla base dei disegni ideati dall’architetto Enrico Nordio (Trieste, 1851–1923).

Il disegno per la nuova piazza e le relative adiacenze subì negli anni alcune modifiche e una serie di adattamenti che trovarono completamento nel 1934

con la sistemazione urbanistica tratteggiata da Mario De Renzi (Roma, 1897–1967) dell’esedra e delle vie radiali ad essa. La piazza era in origine parte

della Contrada del Torrente, così chiamata perché caratterizzata dalla presenza di un collettore, scavato dopo l’alluvione del 1756, che convogliava i diversi rii

di Trieste verso il mare.

Fino al 1926 l’area compresa fra le antiche via del Torrente e piazza della Caserma costituiva l’ampio spiazzo formatosi con la copertura,

compiuta nel 1838, del torrente che scorreva (e che continua tuttora a defluire sotto il livello stradale) davanti all’Ospitale degli ammalati, fatto edificare

da Maria Teresa d’Austria nel 1769 sulla base dei tipi attribuiti al disegnatore delle Fabbriche Antonio Montanelli.

Nel 1785 l’immobile fu destinato da Giuseppe II d’Austria a sede di guarnigione, mentre l’Ospedale vennetra sferito nell’antico palazzo vescovile di via del Castello.

Una serie di altre opere completarono l’impianto militare dell’area: alcuni magazzini, un’ampia piazza d’armi realizzata su terreni ceduti dal Comune nel 1820 e un fabbricato adibito ad Ospedale militare eretto

nei pressi dell’attuale via del Coroneo. Con l’annessione formale della città al Regno d’Italia compiutasi tra il 1918 e il 1920

la progressiva e radicale trasformazione della piazza ebbe luogo con la graduale eliminazione delle antiche strutture marziali: furono conservate, con l’intento di valorizzarne l’alto contenuto morale, soltanto la cella e l’anticella ove patì

la prigionia e il supplizio Guglielmo Oberdan (20 dicembre 1882).

RE GIONE FRIULI V E NE ZIA GIULIA

L A S E D E R E GI ON A L E

D I V I A CA R D U CCI

RE GIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

L A S EDE REGIO NALE

D I V I A C ARDUC C I

storia

di un edificioanni ’30

REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

LA SEDE REGIO NALE

DI V IA C ARDUC C I’66

1. IL CONTESTO

2. L A COS T R U Z I ON E

Proprio nel contesto di questo ambizioso piano di riforma urbana,

che venne attuato solo in parte rispetto alle iniziali intenzioni,

nella realizzazione di taluni edifici furono adottate scelte stilistiche

di matrice eclettica, sulla scorta di precise esigenze ancora

di tradizione ottocentesca, le quali apparivano gradite

anche all’emergente regime fascista che si andava consolidando

pure a Trieste. Tale approccio fu suffragato nei primi decenni

del Novecento soprattutto per gli edifici pubblici o rappresentativi

di enti ed istituzioni assicurative o di credito.

Una conferma di questa tendenza in attonel capoluogo giuliano negli anni compresi tra l’inizio del secolo e il decennio succes-

sivo il primo dopoguerra giunge da Laura Ruaro Loseri:

«I grandi palazzi delle banche, costruiti nel più sontuoso

Cinquecento italiano in anni già ben addentro

in questo secolo quando nuove e più allettanti

forme di intendere l’architettura erano da tempo mature,

sono la più appariscente testimonianza del rifiuto

– non tanto degli architetti quanto della città –

alle correnti modernistiche, soprattutto se provenienti dal Nord».

Nel contesto urbano più ampio e in quello prossimo a piazza Oberdan, a questo momento storico possiamo ascrivere l’elaborata facciata di sanmicheliana

memoria della Cassa di Risparmio di Trieste (via della Cassa di Risparmio 10, 1891-1894), opera di Enrico Nordio (con Giovani Righetti), il possente prospetto del Creditanstalt, più tardi Banca Commerciale Italiana, dello stesso autore

(piazza della Repubblica 2, 1907-1910) e quello della prospiciente Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS) di Ruggero e Arduino Berlam

in piazza della Repubblica 1 (1909-1914). A questa temperie appartengono anche la Banca d’Italia pure di Arduino Berlam e dell’ingegnere,

supervisore del progetto, Biagio Accolti Gil (Corso Cavour 13, 1921-1931) o, ancora, il palazzo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni-INA

di piazza Guglielmo Oberdan 7 (1926-1930), opera di Ugo Giovannozzi (Firenze, 1876 – Roma, 1957) e Giuseppe Baldi,

che si presenta in forme evidentemente rinascimentali «sia pur semplificate ed essenziali ma sempre intonate al monumentale».

A questi edifici, la cui monumentalità appariva quasi imposta dalla funzione,

si aggiunse, all’inizio degli anni Trenta, proprio

l’immobile di via Carducci 6, edificato per essere la nuova

sede della Cassa Nazionale Assicurazioni Sociali (CNAS)

nel capoluogo e che vide ancora coinvolto nell’impresa

l’architetto e ingegnere fiorentino Ugo Giovannozzi.

L’ambito su cui insiste l’edificio faceva parte anch’esso del complesso della vecchia Caserma Oberdan, area divenuta in seguito di proprietà

dell’Istituto Pensioni per Impiegati, che commissionò nel 1924 il progetto di un immobile per la rappresentanza di Trieste all’architetto

Giacomo Zammattio (Trieste, 1855–1927).

I lavori, che nel corso del 1925 erano giunti all’inizio sia con l’approntamento del cantiere sia con la posa della prima pietra, furono interrotti a causa

di una perniciosa vertenza giudiziaria riguardante le concessioni per l’occupazione del terreno, la contestuale fusione dell’Ente con la Cassa Nazionale

per le Assicurazioni Sociali e la morte inattesa del progettista (1927). Il piano di Giacomo Zammattio presentava una severa soluzione di facciata ispirata all’architettura classica. Il prospetto appariva

impostato in soluzione tripartita ove un basamento trattato a bugnato si elevava sino all’altezza del mezzanino. Da esso altri quattro piani apparivano

caratterizzati dalla presenza, al centro della composizione, di quattro massive colonne joniche a doppia altezza coronate al quinto piano

da un’ampia balconata.

Nel 1929, quando la vertenza legale sembrava avviarsi a conclusione, la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali, subentrata al preesistente Ente,

decise di riavviare l’opera: nella primavera del 1929 fu incaricato per la redazione di un nuovo progetto l’architetto-ingegnere Ugo Giovannozzi.

Il professionista fiorentino era stato evidentemente ritenuto personalità all’altezza dell’incarico, dato che aveva appena concluso la realizzazione del nuovo stabile

in Roma dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni-INA (1923-1927), mentre già stava avviando a completamento la sede giuliana dello stesso Ente

nella contigua piazza Oberdan.

Ugo Giovannozzi era un tecnico esperto e già affermato nel campo dell’architetturacivile: allievo del fiorentino Riccardo Mazzanti, dal maestro ereditò l’interesse per lostile eclettico, che nell’esercizio della professione lo accompagnò all’accoglimento di

reminiscenze ed interpretazioni stilistiche del mondo neoclassico.Nell’autunno dello stesso anno il nuovo disegno poteva dirsi perfezionato: esso appariva ispirato ai tipi predisposti da Zammattio ma si dimostrava

sostanzialmente difforme nelle soluzioni planimetriche adottate, le quali prevedevano la presenza di un ampio cortile interno al complesso.

Nel mese di giugno 1930 i lavori ebbero inizio e con l’approvazione del progetto l’edificazione e la direzione dei

lavori dell’opera vennero affidati a dei professionistilocali: furono gli ingegneri Venezian e Petech,

titolari di una Società di costruzioni, ai quali si decise di assegnare l’incarico. Il 4 novembre del 1931, nemmeno

dopo due anni dall’inizio dei lavori, il palazzo poteva dirsi concluso

e venne inaugurato. La «Rivista Mensile della Città di Trieste»,

nel numero di novembre 1931, ricorda gli eventi riportando alcune

considerazioni sull’edificio e parte dei discorsi ufficiali che

accompagnarono l’avvenimento.

Per comprendere quale fosse il clima culturale del periodo, capace d’influenzare anche le scelte urbanistiche ed architettoniche

assunte per la città nuova, è interessante rammentare qualche passo del discorso che accompagnò l’inaugurazione, quando l’allora podestà

di Trieste Giorgio Pitacco (Pirano, 1866–Trieste, 1945) si espresse affermando che

«[...] la città guarda con orgoglio a questo palazzo di puro stile italiano, che fa onore all’illustre architetto Giovanazzi [Giovannozzi, n.d.a.] -

il lodato ideatore del nuovo Palazzo delle Terme di Montecatini, che ottenne recentemente l’ambito elogio del Capo del Governo».

È altrettanto significativo ricordare un altro brano del testo apparso nella rivistaedita dal Comune di Trieste, nel quale si lodava l’aspetto formale del nuovo palazzo:

«Si tratta di un edificio superbo, in stile rinascimentale italiano, ideato dall’architetto ingegnere Ugo Giovanazzi di Firenze [Giovan-nozzi, n.d.a.], il quale ha pensato che convenisse, nel periodo delle

stranezze architettoniche, ricordare in Trieste italiana lanon perita gloria dell’architettura nostra che per secoli fu educatrice

del gusto di tutti i costruttori del mondo civilizzato».

Nel secondo dopoguerra l’immobile passò in carico all’Istituto Nazionale PrevidenzaSociale (INPS): alcune necessarie opere di adattamento e sistemazione del palazzo

furono seguite, a partire da questo momento, dall’architetto Giordano Varini,referente e capo ufficio tecnico dell’Istituto.

Nel 1966, con un contratto di acquisto dall’INPS, l’importante edificio passò in proprietà alla Regione Friuli Venezia

Giulia. Con l’inizio del 1967 l’immobile divenne sede del Consiglio regionale, destinazione che perdurò sino al 1972

quando l’Assemblea venne trasferita nella nuova sede di piazza Oberdan. Successivamente il palazzo,

nella permanenza della destinazione quale sede di rappresentanza pubblica, ha ospitato nel tempo la Presidenza, gli uffici di Giunta

e più recentemente anche alcune direzioni regionali.

Il fabbricato venne costruito su di un lotto rettangolare posto all’incrocio tra le vie Giosuè Carducci e via del Coroneo,

contiguo, sul lato opposto, con l’area che ospital’originaria sede della Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS),

opera compiuta tra il 1934 e il 1936 per mano dell’architetto Umberto Nordio (Trieste, 1891–1971).

L’edificio si eleva dallo spiccato stradale per sei piani fuori terra, ai quali vanno aggiunti il sottotetto e un seminterrato.

Il prospetto principale è impostato, nella parte inferiore sino al mezzanino, su di un basamento trattato a bugnato rustico: da esso si aprono, in sequenza ritmica,

le arcate del pianterreno, di cui tre portoni caratterizzano l’accesso da via Carducci e due entrate sono poste sul lato prospiciente via del Coroneo.

L’accesso dal portone principale, che da via Carducci conduce ad una corte interna,esibisce un soffitto a volta impostata a cassettoni che appare sostenuta da unasequenza di colonne in stile tuscanico. L’arioso cortile centrale, sia in pianta come in alzato, appare sobrio ed equilibrato nelle sue proporzioni e consente di illuminare e ventilare, grazie a delle finestrature a balcone, gli uffici posti

sul lato interno ai corridoi.

La parte superiore delle facciate, al di sopra del basamento a bugnato rustico, è contraddistinta da una marcata ripartizione orizzontale: le superfici

sono solcate da robuste cornici marcapiano che separano lo spiccato in due parti sulle quali si aprono una doppia serie di finestre, separate verticalmente

le une dalle altre attraverso la presenza di un duplice ordine gigante di semicolonne doriche le quali, a partire dal ruvido bugnato, svettando verso

l’alto sostenendo un cornicione terminale di evidente gusto classico.

La parte centrale dell’edificio è connotato dalla presenza di cinquefinestroni incorniciati a timpano ai quali sono sovrapposte altrettante finestre termali

che tendono ad enfatizzare la composizione di facciata. Il primo ordine centrale di cinque finestrature poste al di sopra del massiva cornice

appare delimitata da una serie binata di colonnine joniche impostate su di un solido poggiolo in pietra.

All’interno dell’edificio si presentano di particolare interesse i due eleganti scalonicollocati specularmente ai lati degli ingressi: da una pianta ottagonale essi sviluppano

una rampa che pare alludere alla forma elicoidale, raccordando agevolmente i varipiani della struttura. Nella scelta dei materiali per la costruzione,

soprattutto nelle opere di facciata, si fece largo uso di pietra d’Istria (più precisamente di Orsera) e di marmo proveniente dalle vicine cave del Carso.

In virtù con la sua mole e grazie alla sua storia l’edificio, già sede della Giunta della Regione Friuli Venezia Giulia, costituisce una chiara testimonianza

dell’ambiente culturale nel quale fu ideato e di come in quel periodo si concepisse il rapporto tra l’autorità politica, le scelte del progettista e la città destinata ad accoglierle, nell’ambito di quel «risanamento», sostanzialmente voluto

dal regime, che condizionò in modo significativo lo sviluppo urbano della città di Trieste nel corso degli anni Trenta del Novecento.

[Paolo Tomasella, ERPaC FVG – Villa Manin Passariano]

REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA

LA SEDE REGIO NALE

DI V IA C ARDUC C I

3 . L ’EDIF IC IO

2017