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1 Corso di Introduzione alla Storia della Chiesa SFTB - Diocesi di Nicosia Prof. Michele Salvo Di Fini Lezione n. 4, del 20-01-2014 Introduzione: i Padri della Chiesa e la gerarchia ecclesiastica 1 - La lotta contro le eresie: i primi Concili Ecumenici. 2 - La Chiesa e il Monachesimo fino a Gregorio Magno (604 d.C.). 3 - Il sorgere del primato papale: dogma dell’ infallibilità. 4 - Appendice: liste dei papi fino al 604 dC. Introduzione: I Padri della Chiesa (vedi Lezione n. 3- Parte V, cap. VIII) Introduzione: La gerarchia ecclesiastica Con il termine di gerarchia cattolica si intende la suddivisione in gradi del clero cattolico, anche se in origine essa comprendeva l'ordinamento di tutti i credenti. Il termine gerarchia deriva dal greco: hierós («sacro») ed archeía («comando»). Mediante il battesimo, tutti ricevono nella Chiesa cattolica il carattere profetico regale e sacerdotale. Clero e laicato sono tuttavia le due grandi famiglie all'interno di tale istituzione, perché il fenomeno del profetismo si può verificare sia nell'una che nell'altra categoria. In tutti gli ordinamenti delle Chiese Cristiane, anche in quelle non cattoliche (ortodossi, anglicani, protestanti), ovvero non sottoposte alla potestà del Vescovo di Roma (il Papa), si ritrova una suddivisione della gerarchia in tre gradi fondamentali: 1. episcopi o vescovi 2. presbiteri o sacerdoti 3. diaconi. Il vescovo ha il massimo grado del sacramento dell'ordine, comunicato in grado minore ai presbiteri mediante l'imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione. Vescovo e presbiteri, dunque, differiscono non solo riguardo alla giurisdizione (diocesi o eventuale parrocchia) ma proprio in forza della diversa realtà sacramentale che hanno ricevuto nell'ordinazione. Lo stesso dicasi per i diaconi, ordinati non ad sacerdotium ma ad ministerium; essi infatti non si configurano a Cristo capo, come il vescovo e i presbiteri, ma ripresentano sacramentalmente nella Chiesa Cristo servo, incarnando il principio ministeriale del servizio di cui il vescovo è principio di unità. Oltre ai tre gradi dell'ordine sacro, si trovano anche dei titoli legati ad alcune cariche particolari. Il vescovo di Roma, che è in quanto tale il capo della Chiesa cattolica, viene comunemente chiamato Papa. Quello di Monsignore è un titulus sine re, ossia meramente onorifico, mentre quello di Cardinale è invece legato all'ufficio di elettore del vescovo di Roma. Ordini minori erano detti, nella Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II e nelle chiese ortodosse, i vari ministeri ecclesiastici che non comportano una vera e propria ordinazione sacramentale, ma conferiscono comunque lo status di chierico a chi li riceve. Quando nacquero avevano carattere autonomo, come servizio che svolgevano alcuni membri della comunità cristiana. Già nell'Alto Medioevo persero valore autonomo e cominciarono ad essere considerati alla stregua di gradi successivi che preparavano a ricevere il diaconato e il presbiterato, sebbene almeno fino al XVI secolo c'erano anche numerosi uomini (soprattutto studenti o "funzionari pubblici") che ricevevano uno degli ordini minori per poter vivere della rendita finanziaria derivante da un beneficio ecclesiastico. Dopo il Concilio di Trento, infine, gli ordini minori furono ridotti unicamente a tappe per lo più formali durante gli anni di formazione nei seminari, in preparazione all'ordinazione presbiterale.

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Corso di Introduzione alla

Storia della Chiesa

SFTB - Diocesi di Nicosia

Prof. Michele Salvo Di Fini

Lezione n. 4, del 20-01-2014

Introduzione: i Padri della Chiesa e la gerarchia ecclesiastica

1 - La lotta contro le eresie: i primi Concili Ecumenici.

2 - La Chiesa e il Monachesimo fino a Gregorio Magno (604 d.C.).

3 - Il sorgere del primato papale: dogma dell’ infallibilità.

4 - Appendice: liste dei papi fino al 604 dC.

Introduzione: I Padri della Chiesa (vedi Lezione n. 3- Parte V, cap. VIII)

Introduzione: La gerarchia ecclesiastica

Con il termine di gerarchia cattolica si intende la suddivisione in gradi del clero cattolico,

anche se in origine essa comprendeva l'ordinamento di tutti i credenti. Il termine gerarchia

deriva dal greco: hierós («sacro») ed archeía («comando»). Mediante il battesimo, tutti ricevono

nella Chiesa cattolica il carattere profetico regale e sacerdotale. Clero e laicato sono tuttavia le

due grandi famiglie all'interno di tale istituzione, perché il fenomeno del profetismo si può

verificare sia nell'una che nell'altra categoria.

In tutti gli ordinamenti delle Chiese Cristiane, anche in quelle non cattoliche (ortodossi,

anglicani, protestanti), ovvero non sottoposte alla potestà del Vescovo di Roma (il Papa), si

ritrova una suddivisione della gerarchia in tre gradi fondamentali:

1. episcopi o vescovi

2. presbiteri o sacerdoti

3. diaconi.

Il vescovo ha il massimo grado del sacramento dell'ordine, comunicato in grado minore ai

presbiteri mediante l'imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione. Vescovo e presbiteri,

dunque, differiscono non solo riguardo alla giurisdizione (diocesi o eventuale parrocchia) ma

proprio in forza della diversa realtà sacramentale che hanno ricevuto nell'ordinazione. Lo stesso

dicasi per i diaconi, ordinati non ad sacerdotium ma ad ministerium; essi infatti non si

configurano a Cristo capo, come il vescovo e i presbiteri, ma ripresentano sacramentalmente

nella Chiesa Cristo servo, incarnando il principio ministeriale del servizio di cui il vescovo è

principio di unità. Oltre ai tre gradi dell'ordine sacro, si trovano anche dei titoli legati ad alcune

cariche particolari. Il vescovo di Roma, che è in quanto tale il capo della Chiesa cattolica, viene

comunemente chiamato Papa. Quello di Monsignore è un titulus sine re, ossia meramente

onorifico, mentre quello di Cardinale è invece legato all'ufficio di elettore del vescovo di Roma.

Ordini minori erano detti, nella Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II e nelle chiese

ortodosse, i vari ministeri ecclesiastici che non comportano una vera e propria ordinazione

sacramentale, ma conferiscono comunque lo status di chierico a chi li riceve. Quando nacquero

avevano carattere autonomo, come servizio che svolgevano alcuni membri della comunità

cristiana. Già nell'Alto Medioevo persero valore autonomo e cominciarono ad essere considerati

alla stregua di gradi successivi che preparavano a ricevere il diaconato e il presbiterato, sebbene

almeno fino al XVI secolo c'erano anche numerosi uomini (soprattutto studenti o "funzionari

pubblici") che ricevevano uno degli ordini minori per poter vivere della rendita finanziaria

derivante da un beneficio ecclesiastico. Dopo il Concilio di Trento, infine, gli ordini minori

furono ridotti unicamente a tappe per lo più formali durante gli anni di formazione nei seminari,

in preparazione all'ordinazione presbiterale.

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Essi erano, in ordine cronologico, i seguenti:

Ostiario: era l'addetto alle custodia delle porte della chiesa. Il suo compito era quello di

accogliere i fedeli, respingere gli indegni (da cui il nome popolare di scaccino), suonare le

campane per avvisare dell'imminenza del culto.

Lettore: era l'incaricato di leggere i brani della Sacra Scrittura (in particolare dell'Antico

Testamento), durante la liturgia.

Esorcista: chi riceveva questo ordine minore era incaricato di recitare particolari preghiere sui

catecumeni prima del loro battesimo, sia in casi speciali sugli "energumeni", cioè su coloro che

erano ritenuti posseduti dal diavolo (in realtà, questi erano gli incarichi di colui che veniva

ordinato esorcista, soltanto durante il primo millennio della storia del cristianesimo; con il

mutare dei tempi, fino alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II, l'ordinazione all'esorcistato

divenne puramente formale: nessun seminarista poco più che ventenne era davvero incaricato di

praticare esorcismi, riservati invece a preti incaricati appositamente dal vescovo).

Accolito: abilitava al servizio dell'altare, soprattutto nella messa.

Suddiacono: le chiese di rito bizantino considerano il suddiaconato un ordine minore, mentre la

chiesa latina lo ha considerato, fino al Concilio Vaticano II, un ordine maggiore. Sulla natura di

questo ministero si ebbero accanite discussioni, soprattutto al tempo della Scolastica, per

stabilire se appartenesse agli ordini maggiori o minori. A partire da questo ordine era richiesto

nella chiesa latina l'obbligo del celibato.

Nella Chiesa cattolica di rito latino dopo il Concilio Vaticano II

Dopo il Concilio Vaticano II nella Chiesa Cattolica di rito latino sono stati aboliti gli ordini

minori dell'ostiariato e esorcistato (quest'ultimo svolto in altre forme); è stato abolito anche il

suddiaconato. Invece sono rimasti il lettorato e l'accolitato, che però sono considerati dei

ministeri che non cambiano lo status del laico in essi istituito (in altre parole, non ne fanno un

chierico).

Nelle altre Chiese

Le Chiese orientali annoverano tra gli ordini minori solo il suddiaconato e il lettorato.

Alcune chiese della comunione anglicana hanno mantenuto o ripristinato gli ordini minori

tradizionali latini.

I ministeri e i servizi pastorali

La parola "ministero" non appartiene al nostro linguaggio usuale, ma fa venire in mente i

"palazzi del potere"! Eppure essa deriva da un termine latino che significa "servizio" ed

esprime un aspetto costitutivo del volto della chiesa.

Infatti i testi del Nuovo Testamento, che ci riferiscono la vita delle prime comunità cristiane,

mostrano come esse si siano subito organizzate con diverse forme di servizi-ministeri, sulla base

della varietà dei doni (chiamati anche "carismi") distribuiti dallo Spirito, e della differenza

della fisionomia e dei bisogni di ciascuna chiesa (v. 1Cor 12,4-1 l; Ef 4,11-16).

Negli ultimi decenni l'esperienza dei ministeri non ordinati e DEL SEVIZIO PASTORALE

DEI LAICI è riemersa sia nelle chiese di recente evangelizzazione, sia in quelle di più antica

tradizione cristiana, con esiti e problemi molto diversi.

Sul tema della ministerialità laicale il magistero della chiesa universale si è espresso anzitutto

nel Concilio Vaticano II, il quale, sullo sfondo di una ecclesiologia caratterizzata dalla

comunione e dalla diversità dei doni e dei compiti per la missione, ha riaffermato il principio

che “a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l'apostolo Paolo

nell'evangelizzazione, (i laici) hanno la capacità di essere assunti dalla Gerarchia ad

esercitare, per un fine spirituale, alcuni uffici ecclesiastici” (LG, 33). Un passaggio molto importante è stata poi la Lettera "Ministeria quaedam" di Paolo VI

(15.8.1972), nella quale veniva riaperto ai laici (solo maschi) l’ accesso ai due antichi "ministeri

istituiti" del lettorato e dell'accolitato, fino ad allora riservati ai candidati al presbiterato.

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La più recente presa di posizione sui ministeri laicali, consapevole anche delle problematiche

che li accompagnano, è la lettera di Giovanni Paolo II "Christifideles laici" (30.12.1988), al

n. 23. La Conferenza episcopale italiana ha proposto i ministeri (e in particolare i ministeri non

ordinati) nel programma pastorale per gli anni '70 "Evangelizzazione e sacramenti" (12.7.1973,

ai nn. 105-107), e più espressamente nel documento "I ministeri nella chiesa" (15.9.1973), che

adattava alla situazione italiana le indicazioni di Paolo VI sul lettorato e l'accolitato, e

individuava, come eventuali nuovi ministeri non ordinati da chiedere, il catechista, il cantore-

salmista, il sacrista e gli operatori di carità.

Il testo più diretto e organico, comunque, è il documento pastorale "Evangelizzazione e

ministeri " (15.8.1977), nel quale viene definito il ministero straordinario della distribuzione dell’ Eucarestia, che rappresenta un servizio diffuso e prezioso anche nella

nostra Chiesa.

Parte Prima

La lotta contro le eresie :

i primi Concili Ecumenici

I. Eresie e Concili

Eresia è un termine storico religioso e teologico che indica un movimento religioso, segnalato

come deviante da un altro movimento religioso appartenente alla stessa tradizione religiosa.

"Eresia" deriva dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō,

"afferrare", "prendere" ma anche "scegliere" o "eleggere"). In tale ambito indicava anche

delle scuole come quella dei Pitagorici o quella degli Stoici.

In ambito cristiano, il termine, assente nei vangeli canonici, compare negli Atti degli

apostoli (5,17: eretico, era colui che sceglieva, colui che era in grado di valutare più

opzioni prima di scegliere) per indicare varie scuole (o sette) come quelle dei Sadducei,

Cristiani e Farisei. E sia in greco antico che in ebraico ellenizzato questo termine non

possedeva, originariamente, alcuna caratteristica denigratoria. Ma con le Lettere del

Nuovo Testamento tale neutralità del termine viene meno: in 1 Cor. 11,19 haìresis inizia

ad assumere dei connotati dispregiativi e ad indicare la "separazione", la "divisione" e la

rispettiva condanna. Secondo Heinrich Schlier lo sviluppo in negativo di hairesis procede

con l'analogo sviluppo del termine ekklesia: haìresis ed ekklesia divengono due opposti.

Nell'ambito del cristianesimo si tende a fare una distinzione fra eresia e scisma:

quest'ultimo comporta un distacco dalla chiesa ortodossa senza "perversioni nel dogma"

(secondo la definizione di San Girolamo). Anche se, secondo alcuni teologi cattolici, lo

scisma inveterato finisce per assumere anche caratteristiche dottrinali eretiche.

« Sotto il profilo giuridico-ecclesiastico, eretico è definito colui che, dopo il battesimo, e

conservando il nome di Cristiano, ostinatamente si rifiuta o pone in dubbio una delle

verità che nella fede divina e cattolica si devono credere »(Karl Rahner, Che cos'è

l'eresia?, p 29). Varie opere dell'apolegeta e dello scrittore cristiano Tertulliano sono

dirette contro gli eretici e le rispettive eresie: Marcione, Valentino, Prassea. Il Padre della

Chiesa Agostino d'Ippona rivolse la sua polemica principalmente contro i manichei, i

donatisti e i pelagiani.

In un decreto successivo alla vittoria su Licinio e al Concilio di Nicea I, Costantino

condannò le dottrine degli eretici (Novaziani, Valentiniani, Marcioniti, Paulianisti e

Catafrigi).

- CONCILIO ECUMENICO

E' espressione di tutta la chiesa sparsa nel mondo intero. E' convocato e presieduto dal

papa, il quale ne stabilisce la tematica, fissa l'ordine del giorno e infine chiude i lavori e ne

ratifica le deliberazioni.

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- I concili nella storia

Ci sono stati fino ad oggi, nella storia della chiesa cattolica, 21 concili ecumenici, otto dei

quali all'epoca della chiesa antica. I primi otto concili ecumenici sono stati convocati,

aperti, diretti e convalidati non dal papa di Roma bensì dall'imperatore.

- I primi 5 Concili

Nicea, 20/5/325-25/7/325, papa Silvestro I. Consustanzialità del Figlio col Padre, viene

stabilito un Credo antiariano.

Costantinopoli, maggio 381-luglio 381, papa Damaso I. Divinità dello S. Spirito - Credo.

Efeso, 22/6/431-17/7/431, papa Celestino I. Provvedimenti contro Nestorio (forte influenza

dell'Imperatore e del Patriarca di Alessandria, Cirillo) - Dogma di Maria, Madre di Dio.

Calcedonia, 8/10/451- 1/11/451, papa Leone Magno. Contro il Monofisismo.

Costantinopoli (II), 5/5/553-2/6/553, papa Virgilio. Condanna dei tre capitoli proposti dai

Nestoriani.

II. La crisi ariana (318-325 dC): il Concilio di Nicea

Ario, presbitero originario della Libia, formato alla scuola di Luciano d’Antiochia, a

partire dal 318 ad Alessandria comincia ad esporre una nuova concezione di Cristo:

“creato dal nulla, un tempo non era, ha libero arbitrio”. Condannato dal vescovo

Alessandro, ed espulso da Alessandria, Ario ricorre ad Eusebio di Nicomedia ed Eusebio

di Cesarea, che cercano di farlo tornare ad Alessandria.

Alessandro informa il papa Silvestro. Interviene Costantino per rimettere pace e, su

consiglio di Osio di Cordova, convoca un concilio ecumenico a Nicea nel 325, dove viene

proclamato che il Figlio “è della stessa sostanza del Padre” Verso il 318, Ario,

ricollegandosi alla radicata tradizione alessandrina del subordinazionismo cristologico, si

mise a predicare che ci “fu un tempo in cui il Figlio non esisteva". Con ciò, egli voleva

dire che il Figlio era stato creato dal Padre e non ne condivideva pertanto la stessa natura

divina. Ma questa predicazione lo mise in urto con il suo vescovo Alessandro. Nel 325 lo

stesso Costantino, molto preoccupato per la situazione, pensò bene di convocare un

concilio a Nicea per dirimere la questione di tutta la chiesa imperiale, il cui cerimoniale fu

ispirato ad una visione del futuro che doveva dimostrare agli occhi dei sudditi la pacifica e

felice unità di vescovi e imperatore, colonne dell'impero e della sua stabilità.

L’ intervento di Costantino ristabilì l’unità della Chiesa contro le scissioni prodotte

dall’eresia ariana (negazione della divinità di Gesù). In realtà Costantino fa convocare un

concilio a Nicea per timore di risvegliare i nazionalismi egiziani (contrari ad Ario) e siriani

(favorevoli). Promulgazione di un credo e di altri canoni. Le fonti più antiche

attribuiscono concordemente a Costantino l'iniziativa di questa decisione e vanno credute.

È sicuro che Costantino né condusse trattative con Roma per un'eventuale convocazione

del grande sinodo né chiese l'approvazione del vescovo romano.

Solo la più tarda leggenda di Silvestro che racconta del battesimo dell'imperatore nel

palazzo lateranense e della sua guarigione dalla lebbra porta per la prima volta il papa in

primo piano affermando che “su suo comando”' si era tenuto il sinodo di Nicea.

“Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza (omooùsios) del Padre".

Per molti padri di Nicea il termine indicava certamente che il Figlio non era meno divino

del Padre e che entrambi perciò erano egualmente divini, così come in questo modo, i

padri e i figli sono egualmente umani.

Per gli occidentali invece e per alcuni orientali, “consostanziale” significava che Padre e

Figlio erano una cosa sola in un'unica divinità. Entrambe le interpretazioni escludevano

le idee erronee di Ario. In queste righe del Credo niceno è condensata la teologia del

Concilio. L'imperatore Costantino appoggiò i risultati del concilio, esiliò Ario e i due

vescovi suoi stretti seguaci. I vescovi dopo le questioni dottrinali, dovettero regolare

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questioni di importanza diseguale: Scisma di Melezio: furono prese misure benevole.

Data della Pasqua.

Il can. 7 riconosce al vescovo di Aelia Capitolina (Gerusalemme) un primato di onore,

fatta salva la dignità del metropolita (vescovo di Cesarea). Si proibisce ai preti l’usura, la

coabitazione con donne; non si obbliga la continenza ai preti sposati. Regolata la

riconciliazione. La domenica e il giorno di Pentecoste non si deve pregare in ginocchio. E'

veramente ecumenico. Prende decisione in materia di fede.

Il modo con cui si arriva alla sentenza è significativo per la storia dei dogmi: tra errori la

chiesa cerca di fissare singoli precetti di fede.

Costantino minacciava, ma non annullava la libertà.

Costantino nella lettera alla comunità di Alessandria scrive: "Ciò che hanno deciso 300

vescovi, non è altro che la decisione di Dio, poiché lo Spirito Santo presente in questi uomini

ha loro manifestato il volere di Dio stesso".

Costantino morì nel 337. Si verificano sanguinose tragedie di palazzo. Gli succedettero per

l'occidente Costante, niceno, e per l'oriente Costanzo II, ariano.

Le varie tendenze teologiche schematicamente si possono presentare in questo modo:

a. Niceni:omousiani: Figlio consostanziale (omoousios) al Padre;

b. anomei: Figlio diverso (anomoios) dal Padre;

c. omeusiani: Figlio simile (omoios) al Padre;

d. Semiariani: aggiungeranno ‘in ogni cosa’.

III. I Padri Cappadoci e il Concilio di Costantinopoli (381 dC)

Teodosio convocò il concilio, per mettere fine alla disputa intorno all'arianesimo e

normalizzare la situazione della chiesa: nel 381 si riunirono a Costantinopoli, nel palazzo

imperiale, 150 vescovi orientali, tra cui Gregorio di Nazianzo, i fratelli di Basilio, Gregorio

di Nissa e Pietro di Sebaste, Melezio di Antiochia e Cirillo di Gerusalemme.

Presiedeva Melezio di Antiochia per volontà dell'imperatore. Il concilio approvò Gregorio

di Nazianzo vescovo di Costantinopoli; morto Melezio, lo elesse presidente.

Prendeva così forma il Simbolo niceno-costantinopolitano:

"Crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre (e dal Figlio).

Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti".

Al conseguimento di questo risultato aveva potentemente contribuito l'approfondimento

dottrinale operato da Atanasio e dai Padri Cappadoci. Basilio in particolare era riuscito

ad elaborare la formula: Dio è una sostanza, ma in tre persone (ipostasi) distinte.

Aveva anche chiarito definitivamente la natura divina dello Spirito Santo contro quanti la

mettevano in dubbio o la negavano apertamente, pneumatomachi e macedoniani.

Lo Spirito procede dal Padre, recita il simbolo di Costantinopoli. Nella traduzione latina

qualcuno introdusse l'aggiunta “filioque”, certamente con la pia intenzione di sottolineare

la duplice processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio, e quindi di rafforzare

l'affermazione della sua divinità. Fin dal IV secolo la chiesa greca insegnava una

processione dal Padre attraverso il Figlio. La diversità sta più nella formulazione che nella

sostanza. Eppure si pongono le premesse per un dissidio teologico tra la chiesa latina e

quella greca che dura ancora ai nostri giorni. Alla fine il concilio promulgò alcuni canoni.

Il canone terzo fu il più carico di conseguenze: "Il vescovo di Costantinopoli avrà il

primato dell'onore dopo il vescovo di Roma, perché Costantinopoli è la nuova Roma". Sta

qui il germe della rivalità tra Roma e Costantinopoli, di cui il canone 28 di Calcedonia sarà

un nuovo segno e che, dopo ripetute contese, sfocerà nello scisma del 1054.

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IV. Il concilio di Efeso: 431 dC

Crisi latente tra Alessandria ed Antiochia.

Nestorio è contrario all’appellativo di Madre di Dio per Maria (teotocos: festa del 1

gennaio). Cirillo sottopone la questione al Papa.

Teodosio II convoca un concilio ad Efeso nel 431. Maria è proclamata Madre di Dio in

quanto madre della persona di Cristo (Uomo e Dio).

L'imperatore Teodosio II (408-450) convoca il concilio a Efeso. E’ papa Celestino I. Viene

invitato anche Agostino, che era però già morto un anno prima dell’apertura del concilio

che fu convocato nel 431. Sia i preparativi sia l'andamento dei lavori furono agitati da

turbolenze. Cirillo ricorse in qualche caso addirittura alla forza. Arrivarono tutti a Efeso

pochi giorni prima della Pentecoste, e trovarono Nestorio già lì, sedici vescovi, i chierici

che li assistevano e parecchie guardie del corpo armate.

Cirillo si sentì l'autentico signore del concilio, la cui guida non fu quindi certamente sotto

la regola della più rigorosa obiettività. Lo svolgimento del concilio mostra che egli era

deciso a portare alla vittoria quelle sue idee con metodi estremamente sospetti e pericolosi.

Ci furono tentativi di corruzione indegni di un vescovo del quale il vecchio e saggio

Tillemont ebbe a scrivere: “S.Cirillo è santo, ma non si può dire che tutte le sue azioni siano

sante”. I vescovi orientali giunsero dopo cinque giorni e i delegati romani dopo due

settimane. Il sinodo di Cirillo depose Nestorio che aveva rifiutato di presentarsi.

L'imperatore sostenne alla fine il partito maggioritario alessandrino e chiuse il concilio

nell'ottobre del 431. Alla fine aveva vinto il partito di Cirillo, dal momento che

l'imperatore tratteneva in carcere il solo Nestorio. Cirillo poteva contare sul sostegno di

vescovi metropolitani come quello di Efeso che mal tollerava la supremazia di

Costantinopoli, e quello di Gerusalemme che voleva rendersi indipendente da Antiochia.

La sua posizione incontrò pure il sostegno unanime dei fedeli, portati a immaginare Cristo

come Dio in forma umana e ad adorare la sua carne incorruttibile nell'Eucaristia. I

monaci poi si schierarono in prima linea a difendere Cirillo.

L'unico risultato del concilio fu la condanna di Nestorio e la conferma del titolo 'madre di

Dio': non venne formulato nessun testo e nessun simbolo.

V. Figure: Papa Leone Magno (440-461 dC)

Mediatore di contese anche prima di essere papa, fa crescere il prestigio di Roma.

Porta in occidente il Codex Theodosianum favorevole ai cristiani contro le eresie.

Protagonista del Concilio di Calcedonia con il Tomo a Flaviano.

Fermò la discesa degli Unni presso Mantova (anche a motivo della peste che infieriva in

Italia). Contenne i saccheggio di Genserico nel 455 che sbarcò ad Ostia e si presentò a

Roma.

VI. Il concilio di Calcedonia (451 dC)

Una tesi devota di Eutiche (l’umanità di Gesù è assorbita dalla sua divinità) diviene causa

di controversia teologica. Dioscoro, vescovo di Alessandria, la sostiene contro Flaviano,

vescovo di Costantinopoli.

Si convoca un secondo concilio ad Efeso (nel 448 dC l'imperatore Teodoro II indisse ad

Efeso un secondo concilio senza papa e colla partecipazione dei patriarchi di Alessandria e

Costantinopoli, che riabilitò Eutiche, condannato per eresia monofisita dall'Efesino Primo.

Il concilio non fu riconosciuto da Roma che lo definì un "latrocinio“), sconfessato in

seguito dal papa Leone I Magno, poiché non viene preso in considerazione il suo “Tomo a

Flaviano” in cui si prospetta la soluzione.

Gli imperatori Marciano e Pulcheria vollero un nuovo concilio a Calcedonia nel quale si

accettò il Tomo a Flaviano, ma si votò un canone in cui si equiparava Roma a

Costantinopoli. Papa Leone Magno nella sua celebre Epistola Dogmatica ad Flavianun si

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schierò con il patriarca di Costantinopoli e chiarì in modo autorevole la vera dottrina

dell'unione delle due nature nell'unica persona del Cristo (unione ipostatica).

Intanto il papa pregava il successore di Teodosio, Marciano, di convocare un nuovo

concilio, che fu il 4°, a Calcedonia (451).

Vi convennero più di 500 vescovi da tutto l'oriente. L'occidente fu rappresentato da una

sparuta delegazione.

Alla presenza dell’imperatore e dell’imperatrice, dopo laboriose discussioni, si respinge la

teoria monofisita dell'unità della natura in Cristo e si definisce nella sesta sessione, come

dogma che: in Cristo ci sono due nature, non confuse, non trasformate, non divise e non

separate, bensì congiunte in una sola persona o ipostasi (inconfuse, immutabiliter, indivise,

inseparabiliter). A Calcedonia il canone 28 riconfermò i privilegi della sede di

Costantinopoli; il fatto grave è che questa preminenza viene fondata sul prestigio politico

della città imperiale, “la nuova Roma”.

Pur pregato dal concilio e dall'imperatore di convalidarlo, Leone Magno rifiutò. Esso era

in contraddizione con la dottrina, da questo papa riconosciuta con grande chiarezza e con

altrettanto grande fermezza rappresentata, del primato romano.

Calcedonia segnò la fine di un'era. Veniva confermato, a poco più di un secolo dalla morte

di Costantino, quale grande ruolo la chiesa avesse acquisito nella società e nella vita dei

popoli. I vescovi avevano accresciuto enormemente i loro poteri e la loro autorità, le chiese

la loro ricchezza; la carriera ecclesiastica era stata riconosciuta come un servizio civile.

L'autorità morale della chiesa era divenuta enorme.

A Calcedonia si pongono le basi per il successivo sviluppo del pensiero teologico

occidentale. Primato di Roma per diritto divino (da Pietro in poi, sede papale).

A Gerusalemme fu riconosciuto il rango di patriarcato non per la sua importanza politica,

ma per il significato religioso unico che la città rivestiva per la fede cristiana e per la

nascita della Chiesa.

Prima delle separazioni interne alla Chiesa, avvenute in occasione dei Concili di Efeso e di

Calcedonia, la parte orientale della grande Chiesa comprendeva dunque interamente i tre

patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, accanto a quello di Costantinopoli.

I primi due furono centri attivi di vita e di cultura cristiana, e dettero contributi preziosi e

determinanti alla formulazione della fede comune nell’epoca dei primi Concili (IV-V

secolo). Vanno sottolineati due punti importanti.

1. Riprendendo il linguaggio e la dottrina del Tomo a Flaviano, la definizione di Calcedonia è

una ferma professione di fede della Chiesa nell’unica Persona di Cristo in due nature. Supera

e integra le due teologie di Antiochia ed Alessandria.

Nella chiesa non verrà mai più messa in discussione. La dottrina delle due nature

provocherà, però, la reazione dei ‘cirilliani’ i quali si attengono alla formula dell’‘unica

natura’: le dispute ‘monofisite’ daranno origine a uno scisma non ancora completamente

risolto.

2. D’altra parte, contro le pretese della sede di Costantinopoli, fondate sull’importanza

politica della ‘nuova Roma’, si afferma l’autorità del vescovo di Roma radicata nella parola di

Cristo a Pietro. Su questo punto Papa Leone è molto deciso.

Se in questo momento i rapporti tra Roma e Costantinopoli sono più facili, si guasteranno

assai presto, fino allo scisma del 1054 dC.

VII. Il secondo Concilio di Costantinopoli (553 dC)

Giustiniano, dopo un editto (l’editto dei Tre Capitoli) di condanna di opere di tre autori

(Iba di Edessa, Teodoro di Mopsuestia e Teodoreto di Ciro) fatto intorno al 545 e che non

fu accettato da molti vescovi in occidente, fece convocare un Concilio nel 553.

Conferma della condanna degli errori trinitari e cristologici precedenti e di quelli

derivanti da Origene (origenismo) e dai tre Capitoli nestoriani (Teodoro di Mopsuesta,

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Teodoreto di Ciro, Iba di Edessa). Giustiniano fece trasferire a Costantinopoli il papa

Vigilio, che era stato eletto a Roma con il suo appoggio. Il papa sottoscrisse la condanna

dei Tre Capitoli, ma l’esito non fu quello sperato.

In Italia ci fu uno scisma delle chiese di Milano e Aquileia che durò almeno fino all’inizio

del VII secolo, anche se poi fu definitivamente ricomposto solo nel sinodo di Pavia del 698

Parte seconda

La Chiesa e il Monachesimo

fino a Gregorio Magno (604 d.C.).

VIII. Il «mondo» come problema: Gregorio Magno e le Origini del monachesimo cristiano - La

santità dopo l’era dei martiri

VIII. 1 - San Gregorio Magno e la sua riforma

Gregorio (540-604) era discendente della famiglia illustre degli Anici, da cui era venuto il

papa Felice II (483-492). Diventa governatore della città, poi si fa monaco trasformando in

monastero la sua casa sul Celio.

Per cinque anni è inviato nunzio a Costantinopoli.

Diventa papa nel 590 dC. Invia a Teodolinda la corona ferrea e ad altri re Franchi e

Visigoti altre reliquie.

Politica di convivenza e rappacificazione tra vari regnanti e cura della supremazia di

Roma in ambito religioso. Preoccupazione missionaria.

Conosciuta in oriente la bellezza e sublimità della liturgia bizantina, fissa quella romana

secondo modi e testi molto più semplici per la rozzezza dell’ambiente occidentale.

Anche le melodie del canto sono fissate nel modo in seguito definito gregoriano.

Tutte le chiese d’occidente, tranne Milano, accolsero la riforma gregoriana.

Figura importante quella di Gregorio, durò poco il suo tempo da monaco, venne

richiamato da Pelagio II e mandato a Costantinopoli, qui cerco tra l'altro di chiedere

all'imperatore l'aiuto per la difesa di Roma circondata da Barbari.

Nel 586 tornò a Roma e divenne consigliere di Pelagio II, alla sua morte gli successe come

papa. Gregorio cercò di vedere più che avversari nei barbari, specialmente nei longobardi

che erano più minacciosi, dei popoli da convertire, così cercò di fare questo.

Mandò monaci presso le popolazioni germaniche non convertite al cattolicesimo e cercò di

ristabilire lo Scisma dei Tre Capitoli, riuscendo a tirarne fuori qualche vescovo.

Importante l'idea di Gregorio secondo cui si dovevano accettare gli usi differenti

arricchendoli di cristianità.

VIII. 2 - Il monachesimo orientale

Qui, per il persistere dell “ideologia costantiniana”, si accentua la sacralizzazione

dell’impero, al punto che la gerarchia ecclesiastica e l’apparato statale formano un

intreccio inestricabile. Si fa luce, così, la prima corrente monastica cristiana, che trae

ispirazione dai quaranta giorni trascorsi da Gesù nel Deserto di Giuda, per propugnare un

ritorno del cristianesimo alle sue genuine radici evangeliche attraverso la povertà e la

preghiera. Pertanto il monachesimo orientale si presenta come un vasto movimento

profetico, un «martirio spirituale», che non nasconde le sue riserve nei confronti di un

certo cristianesimo compromesso col potere.

Cammineranno sulle orme di S. Antonio del Deserto santi e teologi come Atanasio,

eccentrici eroi dell’ascesi cristiana, come S. Simone Stilita e anche qualche rappresentante

di un monachesimo eretico.

Antonio (251 - 356) è il primo e più noto, fatto conoscere dalla Vita di Antonio di Atanasio.

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Pacomio (287 – 348), ex militare, nel 320 nell’Alto Egitto, fonda una comunità che si

sottopone a una Regola da lui elaborata: vita comunitaria autosufficiente, esercizio di virtù

e preghiera, accoglienza ai bisognosi; uguaglianza, obbedienza, non sacerdoti …

In Palestina: San Caritone (330) fonda una laura (celle attorno a una chiesa); Eutimio

(411) ne fonda un’altra presso il Mar Morto; Rufino di Aquileia e Melania sul Monte degli

Ulivi (380); San Girolamo e Paola a Betlemme (386).

In Siria: eremitismo e stilitismo (es. Simeone Stilita il Vecchio vissuto tra il 380 e il 456

presso Antiochia). In Asia Minore: Eustazio di Sebaste (341), Basilio di Cesarea (Regola

basiliana: lavoro, studio della Sacra Scrittura e preghiera).

Il Concilio di Calcedonia sottopose i monaci al vescovo diocesano, impose la stabilità nel

monastero, la sottomissione al vescovo se presbiteri.

VIII. 3 - Il monachesimo occidentale

In Occidente la gerarchia episcopale è tradizionalmente più autonoma rispetto al potere

politico. Inoltre dal 476 la gerarchia ecclesiastica è l’unica istituzione che resta in piedi ed

è quella che inevitabilmente verrà chiamata a colmare questo vuoto di autorità.

Perciò vediamo che qui il monachesimo percorre altre strade: troviamo monaci

pastoralmente impegnati, in veste di vescovi, nella tutela del bene comune, come S.

Martino, S. Ambrogio, S. Leone Magno e perfino monaci-intellettuali, come S. Girolamo.

A loro va il merito di avere trasmesso al medioevo latino l’immensa ricchezza umana, non

solo religiosa, di mille e cinquecento anni di saggezza non cristiana.

Emulazione dell’oriente grazie all’opera di Atanasio.

A Roma intorno al 380 ci sono comunità femminili (Marcellina, Melania minore e Proba).

Nel 371 San Martino, divenuto vescovo di Tours, vi fonda una comunità monastica e affida

loro compiti pastorali. Sant’Onorato, poi vescovo di Arles (428) aveva fondato a Lerino,

isola di fronte a Cannes, un cenobio da cui uscirono molti vescovi.

Presso Marsiglia, nel 411, San Giovanni Cassiano fonda due monasteri e scrive sulla vita

cenobitica. Sant’Agostino fonda a Tagaste una comunità cenobitica con studio della

teologia e della Sacra Scrittura.

Benedetto nacque a Norcia, intorno al 480 da una famiglia nobile e prosegue gli studi a

Roma nei primi anni del VI secolo.

Si dedica alla vita ascetica con altri nei pressi di Tivoli e quindi si ritira in solitudine

presso Subiaco. Chiamato a dirigere un monastero (forse a Vicovaro), lo abbandona per

fondare un nuovo monastero a Montecassino nel 529.

Compose la Regola, punto di arrivo della tradizione monastica precedente: servire amare

Dio, obbedire per amore, ora et labora.

Santa Scolastica, sua sorella, inizia una comunità femminile con altre donne.

San Benedetto muore il 21 marzo del 547

Benedetto di Norcia (m. 550-560), ricevendo l'abito dei monaci nella già presente comunità

di Subiaco, si stabilisce poi a Montecassino. Scrive la tua regola, la più importante

d'Occidente, negli anni 533-545.

Utilizza elementi egiziani, non troppo Basilio e Cassiano, risente molto dell’influsso

agostiniano. Moderazione ed equilibrio. Vita interiore, silenzio, psicologia e conoscenza

dell’animo umano che riveste grande importanza tanto per l'abate come per i monaci.

Teocentrismo forte, cristocentrismo, conversione e ritorno a Dio. Primato dell’’umiltà e

voto di stabilità. La sua fortuna sarà la pubblicità che riceverà da Papa Gregorio I (m.

604).

Altri fondatori: Cassiodoro, Marino di Braga (Portogallo), Isidoro di Siviglia, Leandro di

Siviglia (Spagna).

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IX. MONACHESIMO: IL BACKGROUND (=sfondo)

Nella Chiesa antica il martirio è considerato il modello perfetto della vita spirituale.

Terminate le persecuzioni si deve trovare uno stato di vita altrettanto elevato. La vita

errante e missionaria insieme alla verginità assumono questo ruolo.

Il monachesimo ha sviluppato queste due forme: le origini del monachesimo egiziano sono

esattamente questo. La vita del deserto nella verginità e nel digiuno è lo sviluppo delle

prime forme radicali.

Elementi chiave: il digiuno, la penitenza, la solitudine, il disprezzo della vita corporea.

Il cristocentrismo è l'elemento principale: anche alcune motivazioni sono in parallelo con

altre religioni non cristiane, il monachesimo ha questo asse cristologico quale motivazione

principale. Ci sono anche forme di imitazione di Giovanni Battista e memorie ebraiche,

ma la ragione principale è la sequela di Gesù povero e crocifisso.

L’ascetismo

L'ascetismo (ascesi, formazione) è un atteggiamento comune a molte religioni.

EBRAISMO: digiuno per spiegare il lutto, la penitenza, Kippur, l'astinenza sessuale per

motivi di purità rituale.

CRISTIANESIMO: (con radici ebraiche) l'ascetismo è fortemente legato all'idea del

martirio.

ESEMPIO: Cristo, Paolo, gli Apostoli.

Caratteristiche: la vita errante (Mt 10,9 e 15) e missionaria, la guarigione dei malati,

l'astinenza sessuale tra le coppie da dedicare alla preghiera (1 Cor 7,5).

LA VERGINITÀ

È il modo migliore (non ha quasi nessuna radice ebraica). Socialmente molto riconoscibile.

Le vergini presto assumono una visibilità e una organizzazione nella comunità con

funzioni spirituali e onore da parte di tutti. Molti autori scrivono su questo ideale: Ignazio

di Antiochia, Policarpo, Erma, Clemente Alessandrino, Tertulliano, Origene, Cipriano.

Alla fine della persecuzione questa visione aiuta molto la spiritualità, considerando la

verginità come nuovo martirio. A poco a poco entra la motivazione mariana.

Metodio muore nel 311: IL BANCHETTO DELLE DIECI VERGINI è il primo trattato

sull'argomento: la verginità spirituale è più importante di quello fisica. La sposa anima di

Cristo. La radice è il Cantico dei Cantici biblico.

La verginità come un modo universale per tornare alla condizione originale, per tutti, che

si conclude con l'arrivo del principe delle vergini, Gesù. Tutta la storia dell'umanità va in

questa direzione. Visione cosmica e universale della verginità.

Ma anche visione positiva della procreazione come opera divina che continua la

Creazione.

Eusebio presenta il tema nelle omelie. Anni 295-359 dC. La verginità è superiore al

matrimonio, ma anche il matrimonio è importante. La verginità è un dono di Dio, portata

da Cristo, attraverso cui gli uomini e le donne possono vivere la vita degli angeli.

BASILIO DI ANCIRA (m. 364) presenta gli aspetti fisiologici della sessualità (prima di

essere vescovo era un medico). Visione dualistica: la verginità è uno stato di viCrisostomo:

più equilibrato, argomenta contro chi argomenta contro il matrimonio perché lo considera

peccato e contro chi si scaglia contro la verginità perché la ritiene impossibile.

Atanasio: Lettere alle Vergini (ispirerà S.Ambrogio). Le vergini sono le spose del Verbo.

La loro vita è come quella degli angeli. Maria è un esempio. Ma si difende anche il

matrimonio.

Importanza della testimonianza: l’ammirazione dei pagani può diventare molto profonda.

Giungono a stimare questa pratica che è solo cristiana.

Zeno: se ci fosse qualcosa di meglio della verginità, Cristo la avrebbe dato a sua madre.

Dandole la sua verginità, Cristo dimostra la sua preferenza.

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AMBROGIO: sintesi completa dell'argomento, considerato il più completo dell'epoca

patristica. Base biblica della prima patristica, il misticismo di Origene, di antica saggezza.

Libertà della verginità rispetto al matrimonio considerato schiavitù.

GEROLAMO: Contra Elvidio e Contra Joviniano. Perde l'equilibrio. Visione molto

pessimistica del matrimonio. La verginità come eroismo, in luogo del martirio. Unico

segno di Dio nel mondo corrotto dal peccato pagano.

AGOSTINO: De Sancta Virginitate. Componente autobiografica forte e influenza

ASPETTI ECCLESIALI DEL MONACHESIMO

C'è una dimensione cosmica e ed ecclesiale: non è un atteggiamento anti-imperiale, perché

inizia prima di Costantino. È una consacrazione dell'uomo per combattere contro il

maligno. Non è una critica anti-istituzionale. La frequentazione dei vescovi è normale e

non crea distanza o critica (Atanasio, e specialmente Antonio).

L'umiltà porta ad un grande rispetto per i sacerdoti.

La maggior parte dei monaci non sono sacerdoti: si sentono indegni di tale ministero nella

Chiesa.

X. REGOLE DEL MONACHESIMO: Medio Oriente e l'Egitto-Primi passi in

Europa

L'INIZIO

Primo modo: l'eremita (da éremón-deserto) e gli anacoreti (anachoretes, quello che si

ritira). Avviene soprattutto nel deserto della Tebaide in Egitto. Dal III secolo alcune

persone iniziano a cercare la solitudine, la penitenza e la perfezione cristiana. Il più

famoso è S. Antonio (detto il Grande) che è l'iniziatore del movimento, il patriarca e padre

del monachesimo. Morirà nel 356 e la sua vita è narrata da Atanasio. È importante notare

che non ha fondato monasteri, né una regola. Il discepolato cresce per attrazione. Antonio

segue alla lettera le parole del Vangelo che dicono di lasciare tutto per seguire Gesù

(durante la Messa, all’incirca l’anno 275). È il modello a cui tutti i monaci della prima

generazione si sono ispirati.

La vita dei padri del deserto è divisa tra la preghiera, il digiuno e il lavoro (non a scopo di

lucro, ma per combattere l'ozio). Il lavoro tipico è quello di fare i cestini. Essi non hanno

alcun legame giuridico un’organizzazione di comunità. Il rapporto tra gli eremiti avviene

solo con la direzione spirituale dell’ABBAS (padre).

IL CENOBITISMO

La parola deriva da koinos bios (vita insieme) e rappresenta un'altra forma di vita

monastica. È la forma dominante del monachesimo, aggiungendo alla dimensione

eremitica e penitenziale, la vita comunitaria, fondamentale per la vita cristiana. È iniziato

con Pacomio (morto nel 347). Comincia come un monaco eremita (308) e 325 inventa la

strada cenobitica.

È pagano e viene convertito da una esperienza di amore. È assistito in prigione da alcuni

cristiani, insieme ai suoi compagni. Egli è la testimonianza di come la carità sia un modo

efficace per far conoscere la Chiesa e la fede.

PACOMIO E LA SUA REGOLA

Egli inventa il primo monastero: costruisce un muro attorno alle baracche dove vivono i

loro compagni. Offre consulenza spirituale e poi scrive alcuni suggerimenti e consigli. È

praticamente il primo fondatore della vita religiosa.

Ma non crea nessuna istituzione o regola: la regola è la Bibbia e il modello del lavoro

della comunità è la chiesa primitiva di Gerusalemme: vestito uguale per tutti per

salvaguardare l’uguaglianza assoluta, con grande enfasi sulla fraternità e sulla semplicità.

Introduce la figura del superiore: per il bene della comunità chiede l’obbedienza. La

povertà come condivisione e partecipazione

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EQUILIBRIO

C’è la necessità di superare gli eccessi stravaganti degli eremiti a favore della carità,

dell’umiltà, del servizio. Ha una componente sociale: la difesa del piccolo e del povero.

Ancora più importante del digiuno è la preghiera continua.

Grande successo: in pochi anni la fondazione raggiunge le 5000 persone: 8 monasteri

maschili e 2 femminili.

LAURA o LAVRA: nasce in Palestina nel 330 (lavra: vicolo, strada stretta). È una serie di

eremi che mantengono il carattere di solitudine, ma in un rapporto dinamico che può

raggiungere la vita cenobitica.

In Siria abbiamo gli stiliti (che vivono in cima a una colonna). Il più famoso è Simeone.

Converte molte persone ed ha grande fama.

LO SVILUPPO: SAN BASILIO

Il contributo principale del monachesimo orientale (ancora oggi) proviene da Basilio il

Grande. Prende l’esempio di Eustazio di Sebaste (m. 380) e nel 379 fonda la comunità di

Neocesarea nel Ponto.

Basilio scrive diverse cose che non si chiamano regole, in quanto per norma considera solo

la Bibbia. Sono MORALIA (1500 versi della Scrittura) validi per tutti i cristiani, e le

Regole brevi e ampie, contenenti domande e risposte sulla vita della comunità.

Schema coerente, logico, cristocentrico e molto motivato.

LA REGOLA DI BASILIO

Il servizio umile è ancora più importante della lotta contro i demoni. L'obbedienza non è

al superiore ma piuttosto ai comandamenti. La povertà non è una questione giuridica, ma

è il mezzo per soccorrere i poveri.

La comunità è fraternità e non monastero. Dovrebbe essere una casa di preghiera, di

lavoro e apostolato. Deve essere costruita in città. Esempio: nella capitale dell'Impero.

A Costantinopoli, nel 518 abbiamo 67 monasteri maschili, tra cui Studion, fondata nel 463

dal console Studios (sarà molto importante per la storia successiva).

EVAGRIO PONTICO

E’ il primo teologo della vita mistica (346-399) . Conosce l’Asia, conosce S. Basilio e

termina il cammino in Egitto. La sua teologia deriva da Origene e Gregorio di Nissa

(scrive La Preghiera ed i Capitoli Gnostici).

Molto diverso da Basilio e Pacomio: un po’ troppo intellettuale e gnostico. Unico fine della

vita monastica è l'Assoluto. L’amore fraterno è solo un mezzo e non un fine. Necessità di

lasciare il Verbo Incarnato per andare al Padre.

Per la sua organizzazione teorica e per il fatto di essere il primo, avrà grande influenza.

PRIMI PASSI IN EUROPA

-S. MARTINO DI TOURS

Primo santo non martire canonizzato. Proviene dalla Pannonia (Ungheria) e vive in Gallia.

Vescovo di Tours nel 371. Morto nel 397. L'ex soldato romano, un grande uomo di pace.

Sarà fondamentale la sua organizzazione della Chiesa in Gallia. Organizza il

monastero di Marmountier nel 375.

Spiritualità egiziana. Lotta contro i demoni, lotta contro il paganesimo, distruzione dei

templi. La sua figura di difensore del povero è il “mito” nel primo medioevo. Il santo più

amato del tempo, insieme a San Giorgio

-LERINS E MARSIGLIA

Onorato (m. 430) fonda il monastero di Lérins (un'isola davanti a Cannes). Importante nel

Medioevo. Da questa scuola provengono molti vescovi (Onorato è vescovo di Arles nel

427). Vi avrebbe studiato il giovane S. Patrizio. Uscirà da lì Giovanni Cassiano che

fonderà il monastero di Marsiglia, chiamato San Vittore.

Cassiano e Onorato sono ispirati da Basilio, Pacomio e Evagrio.

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Cassiano scrive Conferenze e Istituzioni Cenobitiche, di grande influenza su altre

fondazioni.

-MONDO CELTICO

Il mondo celtico (Francia e Irlanda del Nord, Scozia) riceve ispirazione dal monachesimo

egiziano. Conoscere La Vita di Martino e la Vita di Antonio di Atanasio e di Sulpicio

Severo. Grande valorizzazione della lotta spirituale e della penitenza. Austera regola di

derivazione egiziana.

Forte spinta per la peregrinatio pro amore Christi, cioè lasciare la terra d'origine per vivere

in penitenza apostolica itinerante. Sarà molto decisivo per l'evangelizzazione dell'Europa.

Columba e Colombano, rappresentanti del mondo celtico, fondano monasteri diversi,

soprattutto in Irlanda, (Iona, Banghor, Derry ecc.): Colombano ha affiliazioni in Svizzera,

in Francia e Italia (Luxeil, Sankt Gallen, Bobbio).

Sarà sostituita dalla regola di San Benedetto.

-AGOSTINO

Sant'Agostino: la vita comune, insieme con i suoi sacerdoti diocesani.

Già quando ha vissuto a casa con la madre, Monica, e poi con gli amici a Cassiciaco,

questo ideale era nascosto ma presente: quando torna in Africa continua la creazione di

comunità (Alipio), prima come sacerdote, poi come vescovo.

Parte dall'idea di Atti 4,22: vita comune e proprietà in comune. Conosce la comunità

platonica, conosce Roma e Milano, Gerolamo e Pacomio. Il suo asse è la comunione dei

beni e l’amicizia.

Scrive il Preceptum per il monastero di Ippona. I vari capitoli sono note soprattutto di vita

comune, che riguardano la comunione, l'amicizia, la gioia dell’unione con Dio.

Lui è un teologo e valorizza molto l'aspetto della cultura.

È la sua regola che ispirerà di più le congregazioni di canonici regolari medievali e di altri

sacerdoti diocesani.

Influenza notevolmente Cesario di Arles, con forte accento sulla clausura severa.

-CONCLUSIONE

Si tratta dello stile di vita dominante nella Chiesa dei primi 1000 anni. Nell’ Impero: gli

imperatori cristiani e i vescovi vogliono esercitarne il controllo, perché la diffusione è

immensa. Nei canoni di Calcedonia è stabilito che il monastero debba essere istituito solo

con il consenso del vescovo locale.

In Oriente saranno i centri della cultura, dell’economia e della politica.

In Occidente l’istituzione monastica salverà la civiltà romana, specialmente con la

letteratura, l’agricoltura e l’educazione, dopo la distruzione dei barbari.

Sarà la più importante istituzione della Chiesa medievale. L’immagine dell’uomo

medievale sarà quella del monaco e del penitente.

PARTE TERZA

Il sorgere del primato papale - Dogma dell’ infallibilità

Storia del ministero di Pietro e dei suoi successori dai primi secoli del Cristianesimo

fino al dogma

dell’ infallibilità

XI. Il sorgere del primato papale

PIETRO NEL NUOVO TESTAMENTO

È figlio di Giona, fratello di Andrea, pescatore di Betsaida. Ha circa 30 anni quando è

chiamato da Gesù. Ha moglie e figli, è un giudeo che deve parlare due lingue (aramaico e

greco) e si trasferisce a Cafarnao.

La casa è grande, della suocera vedova o del suocero, e dà ospitalità regolarmente a Gesù

ed ai suoi. È la persona più conosciuta nei Vangeli dopo Gesù.

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PIETRO E GESÙ

È il primo discepolo, insieme al fratello, che era discepolo di Giovanni il battista. È

considerato il più importante.

Chiamato Pietro: questo soprannome resterà nella storia, ma nei momenti decisivi (nella

Cena e nell’apparizione finale) Gesù lo chiamerà Simone, che è il suo nome proprio.

Pietro è Kefas, pietra preziosa, roccia di fondamento.

DOPO LA PASQUA

Il NT colloca Pietro in una posizione di eccellenza. È il più nominato dopo Gesù: 195 volte

contro le 130 complessive degli altri personaggi.

Da sempre considerato il capo e la guida dei dodici e responsabile della comunità fino alla

partenza (41 d.C.) da Gerusalemme.

Paolo lo chiama sempre Kefas o Pietro. Segno di una eccellenza riconosciuta nella Chiesa.

PIETRO E ROMA

Dopo alcuni viaggi missionari e un tempo di permanenza in Antiochia, dove un’antica

tradizione lo indica come vescovo della città, si stabilì a Roma.

Possiamo pensare che ciò non sia avvenuto prima del 53 d.C., perché l’imperatore Claudio

che ordinò l’espulsione di tutti i Giudei da Roma muore nel 54.

Muore Martire, non dopo il 67, ma probabilmente nel 64, nella festa popolare del 13

Ottobre.

Le tradizioni sul suo martirio e sulla sepoltura sono attestate e storicamente molto sicure.

PROVE DELLA PRESENZA DI PIETRO A ROMA

PRIMO: vari testi coevi lo indicano presente e martire a Roma, specialmente Clemente

Romano.

SECONDO: nessuna città che non sia Roma ha mai rivendicato questa eredità apostolica,

né le sue reliquie, né il suo martirio.

TERZO: dati archeologici (scavi del 1940-1949 e 1954-1957). Esiste un sepolcro nel luogo

indicato da Gaio nel 200, la cui grande importanza e l’abbondante numero di sepolture

vicine, non si spiegherebbe senza la presenza di una solida tradizione sulla sepoltura

dell’Apostolo.

PIETRO E PAOLO A ROMA

La presenza dei due apostoli fa di Roma una chiesa speciale.

Non fondarono la comunità romana: già esisteva una chiesa quando arrivarono, ma il

martirio romano li rese, per tutti, i “fondatori”.

Per questo Roma assume fin da subito i tratti di una chiesa “apostolica”

LA SUCCESSIONE APOSTOLICA

Il primo ad esprimere il concetto è S. Ireneo nel 180 dC. I vescovi sono successori degli

Apostoli: a loro è dovuta l’obbedienza perché hanno ricevuto il carisma della verità.

Tertulliano, Ireneo ed Ippolito spiegano questa verità di fronte alla Gnosi.

La successione è prima dottrinale e poi di autorità. La lista dei vescovi di alcune diocesi

serve a confermare la verità della dottrina cattolica.

Tertulliano e Ippolito usano lo stesso argomento.

La certezza della successione in alcune diocesi è storicamente dimostrata. In altre

dobbiamo supporre il passaggio di cariche a persone che non hanno immediatamente

questa autorità. Nel caso di Timoteo e Tito essi devono organizzare e confermare

l’autorità di persone eminenti che già lavorano in alcune comunità (Tito 1,59).

Clemente parla di persone che hanno autorità non solo locale.

Negli anni intorno al 150 la fusione tra “eminenza” e “autorità” è completa (ma il titolo

“Eminenza” per i cardinali arriverà solo nel 1600!!!).

PRIMA FASE: I SUCCESSORI

I nomi dei primi vescovi di Roma sono riportati da Egesippo (160) e Ireneo (180).

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ECCO L’ELENCO: PIETRO, LINO, ANACLETO, CLEMENTE, EVARISTO,

ALESANDRO, SISTO, TELESFORO, IGINO, PIO, ANICETO, SOTERO,

ELEUTERIO.

Questi elenchi sono certi: la devozione e la memoria sono ben marcati nella tradizione

romana.

UN PAPA O UN COLLEGIO?

Ireneo insiste più sulla successione nella verità che sulla autorità giuridica.

Quasi sicuramente, per lo meno fino all’anno 150, la gestione dell’ episkopè, cioè della

supervisione, non era monarchica ma collegiale.

Clemente non chiama se stesso vescovo di Roma. Ignazio di Antiochia scrive alla Chiesa e

non al vescovo. Probabilmente l’influenza giudaica era molto forte: Roma aveva la più

antica e importante comunità ebraica fuori d’Israele.

LA COLLEGIALITÀ

Negli sviluppi delle differenze tra Roma e Bisanzio, possiamo dire che la forma collegiale

sarà conservata più in Oriente (dove il vescovo agisce sempre di concerto con il Sinodo

regionale).

In Occidente la prevalenza (anche oggi) sarà la forma del monoepiscopato di tipo

monarchico e la collegialità si esprimerà a livello interdiocesano.

MATURAZIONE DEL MINISTERO DI PIETRO E DELLA SUA IMPORTANZA

Il prestigio di Roma cresce e diventa evidente già intorno al 250 dC. Clemente, nell’anno

95, esercita un potere di responsabilità e autorità sopra alcuni giovani che si oppongono ai

presbiteri-vescovi di Corinto.

Ignazio chiama Roma la Chiesa che presiede alla carità. Nel secondo secolo Roma si

riempie anche di eretici in cerca di legittimità. San Policarpo di Smirne verrà a Roma da

papa Vittore, per discutere la questione della data della Pasqua.

Ireneo stabilisce che tutte le chiese devono essere in accordo e comunione con Roma.

La città viene visitata da molti Padri della Chiesa. Nell’anno 195 dC il papa Vittore

minaccia di scomunica i quartodecimani, che nonostante i pronunciamenti di vari sinodi

continuano a celebrare la Pasqua il 14 Nisan. Ireneo frena il Papa e a Policarpo è ceduta la

presidenza dell’ Eucaristia. L’intervento del Papa aveva o no il carattere universale? Era

solo una risposta alle divisioni interne di Roma?

Origene, Pseudo-Clemente, Cipriano e vari altri, in questo periodo fino al 250 usano

espressioni molto chiare per affermare la centralità dottrinale e di presidenza della Chiesa

di Roma. L’immagine simbolo è la CATTEDRA DI PIETRO.

Pietro ha la stessa dignità degli altri Undici, ma fu scelto per presiedere e confermare

LA CATTEDRA

Simbolo del potere episcopale, che unisce i diversi ambiti. Autorità magisteriale, di

giurisdizione, di legislazione: imita la cattedra di Mosè e la sedia curule, il seggio del

magistrato civile. È simbolo dei 12 troni degli apostoli nell’Apocalisse.

Con la caduta del potere imperiale, l’importanza del vescovo cresce enormemente: è lui,

spesso, il defensor civitatis: può assumere la reggenza militare, preoccuparsi

dell’alimentazione del popolo, organizzare l’economia.

La creazione dello Stato Pontificio (che inizia in Gregorio Magno) sarà dovuta

esattamente alla necessità di riempire il vuoto di potere e di assistenza alla popolazione

creato dalla caduta di Roma.

SECONDA FASE: DECISIONI “PAPALI”

Nella seconda fase (250-340), la Sede Romana prende alcune decisioni autoritative e

importanti. Lo stato riconosce l’importanza della Chiesa di Roma.

Con Costantino inizia anche la costruzione delle Basiliche.

Varie questioni vedono Roma protagonista: per esempio la questione del battesimo degli

eretici risolta da papa Stefano I (254-257) in senso meno rigorista di Cipriano.

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Per il Papa Stefano non è necessario ri-battezzare gli eretici che abbiano ricevuto il

Battesimo nel nome della Ss. ma Trinità, né ribattezzare i lapsi.

TERZA FASE: L’ELABORAZIONE GIURIDICA DEL PRIMATO PETRINO

Giulio I è un papa fondamentale (siamo nell’epoca subito dopo la morte di Costantino).

Nella lotta contro gli eusebiani che hanno intrapreso la dura lotta contro Atanasio di

Alessandria. Dietro loro c’è l’imperatore. Chiedono che il papa ratifichi la loro decisione

di deporre Atanasio. Il papa rifiuta con decisione e afferma che qualsiasi decisione che

implichi un giudizio contro un vescovo, deve passare per Roma. Il papa protesta

vivamente contro l’imperatore, riaffermando la libertà e l’indipendenza della sede

romana.

PAPA GIULIO I E GLI ARIANI

Il papa, alla morte di Costantino, deve affrontare il ritorno di fiamma degli ariani

d’Egitto, sconfitti a Nicea, che si fanno forti dell’appoggio dell’imperatore Costante II.

Hanno deposto Atanasio (grande difensore della fede nicena e della divinità di Cristo) e

per questo il papa convoca un concilio a Sardica (attuale Sofia) in terra neutrale, per

risolvere la questione.

343 dC: IL SINODO DI SARDICA

Si decreta che Roma diventa corte d’appello nel caso di una deposizione di un vescovo.

Si riafferma l’innocenza di Atanasio. Si stabiliscono norme per la vita dei vescovi:

determina l’ intrasferibilità dei vescovi, decreta l’obbligo di residenza, con un massimo di

tre settimane di assenza e sconsiglia i vescovi di frequentare la Corte ed i suoi intrighi.

Molte volte i vescovi appellavano all’imperatore. Il sinodo afferma che questa prerogativa

spetta solo al papa. Di fatto questo sinodo (che non è ecumenico perché interverranno

quasi solo vescovi occidentali), diventerà determinante per il futuro della chiesa.

TERZA FASE: ALTRI EVENTI

Papa Liberio (352-366) è il primo che usa l’espressione SEDE APOSTOLICA.

Papa Damaso (366-384) è un papa molto attivo. Costruisce chiese, organizza l’Archivio,

cura la memoria epigrafica dei Martiri, compone poemi in loro onore, incarica San

Gerolamo della traduzione latina della Bibbia. Inventa le Decretali, con stile imperiale:

documenti legislativi in cui sempre compare l’espressione “decretamus ed volumus”

L’AFFERMAZIONE DEL PRIMATO

Il decreto di Damaso (382) protesta contro i canoni 2 e 3 di Costantinopoli, che basa il

criterio di importanza delle sedi episcopali sulla politica. Il papa afferma con decisione il

primato dell’eredità apostolica.

Ragioni presentate dal papa: il testo di Matteo 16,18 e il martirio romano di Pietro e

Paolo. Sotto il pontificato di Damaso, nel 380, l’imperatore Teodosio affermerà che per

essere ortodossi bisogna stare in comunione con Roma.

PAPA ZOSIMO (417- 418)

È la prima volta che viene affermato che la sede di Pietro è superiore ad ogni istanza di

giudizio. Questa dottrina sarà riaffermata progressivamente da tutti i successori.

Una decisione romana definitiva non potrà essere più discussa.

Il giudizio supremo sulla chiesa spetta a chi ha ricevuto il “potere delle chiavi”.

Deciderà inoltre che i preti non devono frequentare le taverne…

QUARTA FASE: LA TEOLOGIA

Papa Leone I (440-461) parla per la prima volta apertamente del primato, dell’unica

potestà vicaria di Cristo, esercitata dal papa.

Il suo intervento a Calcedonia è decisivo: “Pietro parla in Leone!!”. Difende Roma contro

Attila e limita i danni dei Vandali (452 e 455).

Dopo di lui verranno Papa Felice III che lotterà contro l’imperatore e Gelasio I che

difenderà la libertà della Chiesa contro il potere statale.

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CONCLUSIONI e CURIOSITA’…

501: Il Sinodo Romano afferma: “prima sedes a nemine judicatur”.

525-535: il titolo di PAPA viene reso esclusivo del vescovo di Roma (era usato

abitualmente per tutti i vescovi).

530: il papa Felice IV nomina il suo successore: Bonifacio II (che sarà in concorrenza per

22 giorni con Dioscuro) ma non succederà più.

Papa Mercurio (533-535) sarà il primo a cambiare nome in Giovanni II, perché Mercurio

è il nome di una divinità pagana.

XII. Il dogma dell’infallibilità papale

Il dogma dell'infallibilità papale (o infallibilità pontificia) afferma che il papa non può

sbagliare quando parla ex cathedra, ossia come dottore o pastore universale della Chiesa

(episcopus servus servorum Dei). Dunque, il dogma vale solo quando esercita il ministero

petrino proclamando un nuovo dogma o definendo una dottrina in modo definitivo come

rivelata.Tuttavia, secondo la dottrina cattolica anche il magistero ordinario della Chiesa,

esercitato esclusivamente dal papa, possiede il carisma dell'infallibilità (perché nella

definizione stessa c'è scritto quando 'parla' che comprende sia lo scrivere che il

proclamare) di cui Cristo ha dotato la Chiesa perché sia sacramento universale di

salvezza. Gli insegnamenti dei vescovi invece non sono coperti dall'infallibilità papale, e

difatti non sono assolutamente citati all'interno della definizione dogmatica stessa anche se

la totalità dei vescovi, che sono in comunione con il papa, ha questo carisma.

Il Papa, in virtù dell'autorità che gli è stata conferita da Gesù Cristo, può confermare una

dottrina, una verità di fede o di morale contenuta nella Bibbia che merita particolare

attenzione, che è da credersi nel modo in cui la Chiesa la interpreta e la impone alla

adesione dei fedeli. Secondo a quanto sancito dal Concilio Vaticano II, debbono verificarsi

delle precise condizioni affinché si possa parlare di infallibilità del Santo Padre.

"Infallibilità pontificia" non significa impeccabilità. La Fede e la Chiesa cattolica,

basandosi sulla Bibbia, insegnano che il Papa non può commettere errori in materia di

fede e di morale quando si verificano certe condizioni: Il Papa deve sancire, confermare,

non come maestro privato, come fosse un teologo, un biblista, un giurista; nemmeno come

semplice Vescovo di Roma, ma deve esercitare il suo ruolo di supremo Pastore universale

della Chiesa, il ruolo di maestro di tutta la Chiesa.

Il Papa deve insegnare a tutta la Chiesa e non a una singola parte di essa, escludendo altre

parti, come accade quando il papa emana disposizioni, generalmente a carattere

temporaneo, per una diocesi, per i cristiani di una nazione o per i fedeli di un continente. Il

Papa dovrà esplicitamente far comprendere che sta facendo uso del carisma, del dono

dell'infallibilità, ossia deve far comprendere bene che sta confermando con atto definitivo

una dottrina di fede e di morale. La materia su cui si esercita il carisma dell'infallibilità è

la fede e la morale. Il Papa non è infallibile quando esprime considerazioni di carattere

scientifico, storico, ed altro. La Fede e la Chiesa cattolica non hanno mai affermato o

insegnato che i Papi siano assolutamente esenti da imperfezioni o debolezze in campo

morale. A prova di questo i Papi, compreso l'attuale Pontefice, hanno sempre sentito in

passato e sentono il bisogno di confessarsi, di chiedere perdono a Dio delle loro colpe, dei

loro peccati. I Papi sono i primi ad essere consapevoli di dover chiedere perdono a Dio

delle loro mancanze, dando a ciascun credente un esempio di grande umiltà.

Nella lunga storia del Papato vi sono stati Romani pontefici santi, che hanno dato lustro

alla Chiesa: e questi sono la gran parte; ma è anche vero che talvolta vi sono stati Papi il

cui comportamento morale era discutibile e lasciava molto a desiderare. E questo la

Chiesa lo ha sempre riconosciuto.

Il dogma della infallibilità fu definito solennemente durante il Concilio Vaticano I,

nell'anno 1870.

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La costituzione dogmatica Pastor Aeternus recita: «Noi, quindi, aderendo fedelmente a una

tradizione accolta fin dall'inizio della fede cristiana, a gloria di Dio, nostro salvatore, per

l'esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l'approvazione del

santo concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il romano

Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e

maestro di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce che una

dottrina riguardante la fede e i costumi dev'essere ritenuta da tutta la Chiesa, per

quell'assistenza divina che gli è stata promessa nel beato Pietro, gode di quell'infallibilità, di

cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua Chiesa allorché definisce la dottrina

riguardante la fede o i costumi. Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtù propria,

e non per il consenso della Chiesa».

Si tratta di una definizione solenne, dogmatica, alla quale ogni cattolico è tenuto a prestare

l'assenso della fede, della sua intelligenza e della sua volontà.

Questa definizione dice una cosa interessante anche dal punto di vista storico: afferma,

infatti, che si tratta di una tradizione "accolta fin dall'inizio della fede cristiana".

Il carisma dell'infallibilità della Chiesa, e del Papa, in epoca antica, è stato riconosciuto in

varie occasioni: Sant'Ignazio di Antiochia, morto intorno all'anno 110 martire a Roma

dice che i cristiani di Roma "sono puri da ogni estranea macchia". Vale a dire da ogni

errore e qui si prefigura l'infallibilità della Chiesa, e del suo Capo visibile, in particolare,

fin dall'inizio del II secolo. Un secondo esempio viene da Sant'Ireneo, vescovo di Lione,

vissuto nel II secolo. Sant'Ireneo riconosce la fede della Chiesa di Roma come norma per

tutta la Chiesa. «Con questa Chiesa, a causa della sua più alta preminenza, deve accordarsi

ogni altra Chiesa, poiché in essa si è conservata la fede apostolica». Qui è chiaro che

l'immunità dall'errore propria della Chiesa di Roma presuppone l’infallibilità del suo

maestro, il vescovo, il Papa. Egli insegnava che dove c'è la Chiesa c'è lo Spirito Santo ed è

impossibile trovare la verità se non nella Chiesa, che possiede il "carisma della verità".

San Cipriano, vescovo vissuto nel III secolo, definisce la Chiesa di Roma come la cathedra

Petri e parlando degli avversari che pure volevano fare approvare le loro dottrine eretiche

dal Papa, scrive: «Essi non pensano che devono trattare con i Romani, la cui fede fu lodata

dalla gloriosa testimonianza dell’Apostolo, e presso i quali l'errore non può trovare alcun

accesso». Per san Cipriano nella Chiesa di Roma, quindi nel Papa, non può albergare

l'errore. Dunque, il tema dell'infallibilità era noto, anche in epoca assai antica. Certo non

era esplicitato come lo sarà dopo il Concilio Vaticano I, ma non era sconosciuto.

E ancora san Cipriano, verso l'anno 250, scrive: «Tutti coloro che abbandonano Cristo si

perdono nei loro errori, ma la Chiesa che crede in Cristo e rimane fedele alla verità

ricevuta, non si separa da lui. » Un altro esempio viene da San Girolamo, vissuto nel IV

secolo, il quale, richiedendo al Papa Damaso una decisione a proposito di una questione

dibattuta in Oriente, scrive: «Solo presso di voi si conserva inalterata l'eredità dei padri. »

San Teofilo, successore di Sant'Ignazio nella Chiesa di Antiochia, diceva che come le navi

si infrangono se escono dal porto ed entrano nel mare in tempesta, così gli uomini fanno

naufragio quando abbandonano la "cattedra di verità.

Dunque la Chiesa era ritenuta, fin dalle origini, "cattedra della verità", dove non poteva

albergare l'errore.

Cristo ha fondato la sua Chiesa sull'apostolo Simon Pietro: «Tu sei Pietro e su di te

edificherò la mia Chiesa. » (Matteo 16,18)Se Pietro potesse cadere in errore in materia di

fede o di morale, ne risulterebbe che Cristo avrebbe edificato la sua Chiesa, che deve

illuminare gli uomini, ammaestrarli nella fede e nella morale che ne deriva, sull'errore. E

questo è inammissibile, essendo Cristo Dio. Ma anche i successori di Pietro, i vescovi di

Roma, sono il fondamento della Chiesa e dunque anche per loro, per i successori di Pietro,

valgono le stesse considerazioni per Simon Pietro. Anche i successori di Pietro non possono

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errare in materia di fede e di morale, altrimenti Cristo starebbe ora edificando la sua

Chiesa sull'errore.

A Simon Pietro, Gesù ha dato il potere di legare e di sciogliere e ha promesso che tutto ciò

che Pietro avrebbe legato e sciolto in terra sarebbe stato "legato e sciolto" anche in Cielo,

(cfr Mt 16,19), cioè "legato e sciolto" anche da Dio. Questo potere doveva essere esercitato

anche dai successori di Pietro, i Papi. Dio non può sbagliare, non può errare, proprio

perché è Dio. Ne consegue che anche i successori di Pietro, cioè i Papi, nell’esercizio del

loro compito di "legare e di sciogliere" devono essere infallibili, non possono errare, non

possono sbagliare.

Nel Vangelo di Luca si dice che Gesù ha pregato perché la fede di Pietro non venga mai

meno. «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho

pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi

fratelli. » (Luca 22,31-32). Quando Gesù pronuncia queste parole siamo nel Cenacolo, la

sera del Giovedì Santo. Mancano poche ore all'arresto di Gesù nell'Orto degli Ulivi. Gesù,

che conosce molto bene quello che sta per succedere a se stesso, mette in guardia i suoi

discepoli, avverte che satana ha messo alla prova tutti i suoi discepoli con parole molto

chiare "satana vi ha cercato per vagliarvi", e quel "vi" si riferisce proprio ai Dodici.

Poi Gesù aggiunge, rivolgendosi a Simon Pietro, di aver pregato per lui quindi nessuno

può dubitare che la preghiera di Gesù non venga esaudita.

Gesù prega per un motivo preciso: che la fede di Pietro non venga mai meno. Siccome la

preghiera di Gesù è certamente esaudita dal Padre, ne consegue che Pietro, in materia di

fede, non sarebbe sicuramente mai venuto meno, quindi sarebbe stato assolutamente

infallibile. Gesù dà l'incarico a Pietro di "confermare" ciò implica il compito di dirigere i

fratelli nella fede.

Anche al Collegio apostolico, unito e sottomesso al Papa, Cristo ha promesso chiaramente

il dono dell’infallibilità. In riferimento all'Ultima Cena come ci è raccontata da San

Giovanni, Gesù si rivolge ai Dodici Apostoli con parole molto chiare: «Io pregherò il Padre

ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità

che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché

egli dimora presso di voi e sarà in voi (Giovanni 14,16-18).

E ancora: «Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli

v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. » (Giovanni 14,26). Gesù, in

quanto Dio, non poteva sbagliarsi, qui vediamo chiaramente che promette agli Apostoli,

quindi alla sua Chiesa, l'assistenza perpetua, continua e infallibile dello Spirito Santo, che

è Dio, che è Spirito di verità.

Nell'esercizio della sua missione, il Collegio apostolico, in comunione con il Papa è assistito

dallo Spirito di Verità. Grazie a questa assistenza, non può sbagliarsi in materia di fede e

di morale. La missione della Chiesa è sintetizzata in maniera mirabile da Matteo,

nell'ultimo capitolo del suo Vangelo. Anche in questo brano troviamo un elemento

importante a favore dell’infallibilità del Papa e della Chiesa.

Matteo ci riporta esattamente le ultime parole pronunciate da Gesù prima di salire al

Cielo, prima di lasciare la sua Chiesa impegnata nella missione di salvare gli uomini.

«Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.

Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi,

disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte

le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando

loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla

fine del mondo. » (Matteo 28,16-20). Gesù incarica la sua Chiesa di insegnare a tutto il

mondo la verità: naturalmente la verità su Dio, le verità della fede che portano alla

salvezza dell'uomo. Nell'insegnamento di questa verità, Gesù promette la sua assistenza

speciale e perpetua. La Chiesa, dunque, in fatto di fede e morale, beneficia dell'assistenza

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perenne di Gesù. Si tratta di una assistenza divina al compito di ammaestrare tutte le

genti, al compito di battezzarle, quindi di condurle nella Chiesa, al compito di insegnare.

Ed è una assistenza divina promessa per sempre, fino alla fine del mondo.

Il Dono dell'infallibilità non riguardava solo gli Apostoli che ascoltano a viva voce le

parole di Gesù, ma riguarda i successori di Pietro e i successori degli Apostoli uniti e

sottomessi al Santo Padre.

In un altro passo del Vangelo di Marco, Gesù afferma: «Chi crederà e sarà battezzato sarà

salvo, ma chi non crederà sarà condannato. » (Marco 16,16)

Pio IX nel 1854 aveva proclamato ex cathedra il dogma dell'Immacolata Concezione di

Maria. Esso stabilisce che la madre di Gesù, fin dal suo concepimento, non fu macchiata

dal "peccato originale". Questa proclamazione dilacerò le coscienze di alcuni cattolici

perché (nonostante quanto affermato nel "Pastor Aeternus" citato sopra) fin dai tempi

della chiesa primitiva la materia di fede era tipicamente definita dai Concili e non dal

Papa. Si ricordi ad esempio il Concilio di Nicea, in cui la divinità di Cristo viene definita in

assenza del vescovo di Roma, ed anzi con una scarsa partecipazione da parte

dell'Occidente. Le polemiche riguardavano in alcuni casi l'oggetto della proclamazione

(L'Immacolata Concezione), ma soprattutto la liceità da parte del papa di proclamare

dogmi di fede senza il Concilio dei vescovi. Occorre osservare che l'infallibilità papale "ex

cathedra" venne approvata dal Concilio Ecumenico Vaticano I.

Per affermare questo diritto Pio IX convocò un concilio che doveva sanzionare questa sua

scelta. Il meccanismo era chiaro: se si dubitava del fatto che un papa potesse decretare

anche senza un Concilio, questa potestà poteva essere sancita (agli occhi dei dubbiosi)

proprio da un Concilio che confermasse il dogma dell'infallibilità del papa ed anzi la sua

assoluta supremazia in materia di fede. In passato ci furono invece concili che destituirono

addirittura dei papi, ma occorre ricordare che si era nel periodo storico della

restaurazione dell'assolutismo, e il papa guardava a Napoleone III.

Questo dogma fu definito nel 1870: per proclamarlo fu convocato un Concilio, il Vaticano

I, il 18 luglio 1870, poi sospeso il 20 ottobre in seguito alla presa di Roma che segnò la fine

del potere temporale dei papi, e non venne più concluso: ma il decreto sull'infallibilità del

papa era ormai approvato. Il dogma, voluto fortemente da papa Pio IX su prevalente

ispirazione dei Gesuiti, suscitò le proteste degli ambienti laici del tempo e anche di una

parte di quelli religiosi. Benché fortemente avversato dalla curia romana esisteva infatti

un cattolicesimo liberale, tanto che una significativa minoranza dei padri del Concilio

(prevalentemente francesi e tedeschi) preferì abbandonare Roma per non dare voto

contrario al momento dell'approvazione, pur non sottraendosi all'accettazione del

medesimo una volta approvato.

Invece una piccola parte di vescovi dell'Europa centrale fuoriuscì dalla Chiesa di Roma

dando vita allo scisma vetero-cattolico, basato sul rifiuto del dogma dell'infallibilità.

Come per il dogma dell'Immacolata Concezione, proclamato dallo stesso Pio IX nel 1854,

esso non è accettato dalle altre confessioni cristiane, sia per ragioni teologiche sia perché

esse non riconoscono l'autorità del papa. Alcune chiese (in particolare quelle evangeliche)

reputano anzi che lo stesso istituto papale non sia in accordo con le Sacre Scritture.

La proclamazione del dogma costituì il fondamento teologico della scomunica già

impartita a Vittorio Emanuele II e ai liberali italiani nel 1855, che si trasformò in attiva

opposizione politica dei cattolici al Regno d'Italia con il Non expedit del 1874, attraverso la

scomunica comminata per la partecipazione al voto e all'attività politica.

La questione dell'applicabilità del dogma dell'infallibilità nei confronti dei

pronunciamenti papali, è dibattuta. Secondo alcuni, finora, una sola volta il pontefice

avrebbe fatto uso dell'infallibilità ex cathedra per definire un dogma: nel 1950 papa Pio

XII ha definito il dogma dell'Assunzione della Vergine Maria, usando delle parole

"tecniche", cioè solenni ed esplicite, che non lasciano spazio a dubbi o discussioni

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dottrinali. Secondo la maggior parte dei teologi, anche i tre insegnamenti dell'enciclica

Evangelium Vitae devono essere considerati dogmi non modificabili; ma la mancanza di un

testo così esplicito e diretto spinge alcuni altri a negare il loro carattere dogmatico. La

questione è tuttora aperta.

Applicazioni dell'infallibilità: testo

« Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello

Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale

benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte,

a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l'autorità

di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo,

dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l'immacolata Madre di Dio sempre

vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e

corpo».

(Pio XII, Munificentissimus Deus)

Appendice

PARTE QUARTA

Lista dei papi

(dal 352-al 604 dC)

36 Liberio 352 - 366

37 San Damaso I 366 - 384

38 San Siricio 384 - 399

39 Sant'Anastasio I 399 - 401

40 Sant'Innocenzo I 401 - 417

41 San Zosimo 417 - 418

42 San Bonifacio I418 - 422

43 San Celestino I 422 - 432

44 San Sisto III 432 - 440

45 San Leone I, detto Magno 440 - 461

46 Sant'Ilaro 461 - 468

47 San Simplicio 468 - 483

48 San Felice III (II) 483 - 492

49 San Gelasio I 492 - 496

50 Sant'Anastasio II 496 - 498

51 San Simmaco 498 - 514

52 Sant'Ormisda 514 - 523

53 San Giovanni I 523 - 526

54 San Felice IV (III) 526 - 530

55 Bonifacio II 530 - 532

56 Giovanni II 533 - 535

57 Sant'Agapito I 535 - 536

58 San Silverio 536 - 537

59 Vigilio 537 - 555

60 Pelagio I 556 - 561

61 Giovanni III 561 - 574

62 Benedetto I 575 - 579

63 Pelagio II 579 - 590

64 San Gregorio I, detto Magno 590 - 604