STORIA DEL MIRACOLO ITALIANO di Guido Crainz · Storia contemporanea di Gherardo Fabretti Riassunto...

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Riassunto del testo "Storia del miracolo italiano". Nel riassunto viene presentato il quadro del quadro politico socila ed economico dell' Italia degli anni '60, gli anni del boom economico, della nascita delle industrie, della fioritura dell'economia e dei nuovi partiti politici che prendono piede e potere. STORIA DEL MIRACOLO ITALIANO di Guido Crainz

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Storia contemporanea

di Gherardo Fabretti

Riassunto del testo "Storia del miracolo italiano". Nel riassunto viene

presentato il quadro del quadro politico socila ed economico dell' Italia degli

anni '60, gli anni del boom economico, della nascita delle industrie, della

fioritura dell'economia e dei nuovi partiti politici che prendono piede e potere.

Università: Università degli Studi di Catania

Facoltà: Lettere e FilosofiaEsame: Storia contemporanea

Docente: Salvatore AdornoTitolo del libro: Storia del miracolo italiano

Autore del libro: Guido CrainzEditore: Donzelli

Anno pubblicazione: 2005

STORIA DEL MIRACOLO ITALIANO

di Guido Crainz

1. Il tipo di stato nel corso degli anni '50 Il primo essenziale passo da fare è comprendere il tipo di Stato che si consolida nel corso degli anniCinquanta; il tipo di stato, dunque, che giunge alla prova degli anni del boom e dell'apertura a sinistra. Èevidente la continuità dello stato nel passaggio dal fascismo al post – fascismo, o più analiticamente, dellecaratteristiche dell'apparato statale che si riconferma nel nostro paese, a larghi e sostanziali tratti, dopo larottura del 1943 – 1945. Questo apparato, con la temperie culturale che lo permea, trova nel clima dellaguerra fredda ulteriore cemento e al tempo stesso nuove articolazioni e umori in una nuova e più ampiapolarizzazione. Molti documenti americani dell'epoca offrono conferme e squarci illuminanti sulle modalità dell'azioneanticomunista degli anni '50, fino alla famosa riunione del 1961 in cui Vernon Walters avanza addirittural'ipotesi di un intervento armato degli USA per impedire l'ingresso dei socialisti al governo. C'è uno stretto rapporto fra le pressioni americane e l'iniziativa autonoma anticomunista dei differentigoverni italiani, che ebbero come conseguenze la determinazione, all'interno del corpo dello stato, di unduplice e intrecciato ordine di comportamenti, fatto da una parte di normalità e diritto, e dall'altra dallapotenziale o sotterranea esclusione di un'ampia fascia di cittadini dalla pienezza di quel diritto. Non a caso Franco De Felice ha parlato di doppio Stato fondato sulle discriminazioni fatte di dichiarazioniatte a definire gli oppositori ostili o estranei allo stato e alla nazione.

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2. La discriminazione verso il comunismo (1950) OCCORRE MODIFICARE LA MENTALITÀ. Gli esempi concreti sono più efficaci delle riflessionigenerali. Parecchie sono le discussioni che si svolgono nel Consiglio dei ministri sulle misure da assumerenei confronti dei comunisti, spesso terminate con comunicati ufficiali che annunciano vaste iniziative ediscriminazioni, in particolare nei confronti dei funzionari dello stato che non diano garanzie di fedeltà alregime democratico. Scelba nel 1954 sbotta dicendo che i comunisti agiscono fuori dalla Costituzione, eauspica addirittura controlli e spionaggi senza alcuna richiesta necessaria alla Magistratura. Frequenti furono le ondate di perquisizioni poliziesche, di scioglimenti autoritari e di ispezioni prefettizienei confronti delle cooperative di sinistra; immediatamente operative divennero le estromissioni delleorganizzazioni di sinistra da edifici pubblici o da locali dell'ex partito fascista; innumerevoli lediscriminazioni nei confronti dei film di sinistra, colpiti in sede di concessione dei crediti, ancora prima diarrivare ai comitati di censura. Le proposte ben presto strabordarono: Scelba tuonava dicendo che gli impiegati di stato non avevano libertàdi critica manco fuori dal lavoro, come da legge del 1908, precedente al fascismo e dunque valida; arrivò achiedere l'espulsione dei comunisti, ove possibile, dalle commissioni dei concorsi universitari a cattedra. Il quadro fin ora descritto, però, più che frutto di iniziativa italiana fu la pedissequa applicazione diindicazioni americane elaborate sin dal 1951.

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3. La discriminazione di interi settori di cittadini (Cpc)LE AREE DEL NON DIRITTO. È naturalmente necessario chiedersi che effetto hanno decisioni di questo

tipo, e sembra insufficiente osservare che esse hanno avuto una portata prevalentemente psicologica e

propagandistica. Se è vero che le decisioni di quei Consigli non furono tradotti in costante pratica esecutiva,

è comunque importante capire che cosa fu attuato e come agì questo aspetto psicologico e propagandistico.

È soprattutto importante cogliere come agirono questi elementi in due direzioni ben precise: il

funzionamento concreto dello stato e la formazione di un sentire comune diffuso in strati e settori ampi della

società italiana, nel consolidamento cioè di una cultura del non diritto.

L'elemento psicologico indotto da comunicati ufficiali del governo volti a discriminare interi settori di

cittadini non agisce solo nella parte politica che si intende combattere, ma ancor più in quella che si intende

attivare, ed è l'elemento da considerare meglio. Per quel che riguarda l'applicazione delle direttive nei

confronti dei dipendenti dello stato si legga, ad esempio, la relazione del prefetto di Bologna sul trimestre

nov. 1954 – gen. 1955, che Scelba considera addirittura esemplare, per le azioni prefettizie mirate ad epurare

tutti gli elementi di dubbia tendenza politica, a individuare nel personale delle scuole elementi considerabili

infidi, a ridurre gradualmente la possibilità di uso delle pubbliche piazze e a intensificare la sorveglianza di

circoli ricreativi socialcomunisti.

La situazione è meglio comprensibile se si analizzano le attività, in chiave quasi esclusivamente

antisocialista e anticomunista, del Casellario Politico Centrale e le iniziative promosse nei confronti di

professori e insegnanti socialisti e comunisti. Il CPC era nato nel 1894 per iniziativa di Crispi e

ufficialmente esso scomparve con la caduta del fascismo; in realtà non fu così. Lo ammise Vincenzo Parisi,

capo della polizia, in una uscita resa pubblica solo post mortem. Il CPC già negli anni '50 era articolato in

quattro livelli di sorveglianza – discreta, normale, attenta e continua – e ancora nel 1961 vigilava quasi

14.000 persone, di cui quasi 13.000 erano classificati come estremisti di sinistra, e nemmeno un migliaio

come estremisti di destra.

I fascicoli dedicati all'attività politica dei funzionari dello stato sono poi parecchio ricchi di riferimenti a

insegnanti, controllati di solito su iniziativa del questore, che agiva sulla base di una qualsiasi informazione

fiduciaria. Dal questore poi la nota passava al prefetto, poi all'Interno e da lì all'Istruzione che provvedeva a

smistare l'ordine di ispezione e controllo al provveditore e da lui al preside. Una precisione non equivalente

quando si trattava di estremisti di destra, spesso dal passato ingiustificabile ma ugualmente cancellati dagli

archivi del CPC.

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4. I fascicoli del CPC (1959) CULTURE DI GOVERNO. Diamo ora un rapido sguardo all'insieme di fascicoli del CPC intitolato Fanfanion.le Amintore. Attività politica. L'anno è il 1959, quando Fanfani non è più segretario della DC né capo delgoverno e si sta battendo a Firenze, in vista del congresso democristiano, per l'apertura a sinistra. AntonioSegni è presidente del Consiglio e ministro dell'Interno, e in questa veste segue con attenzione le mosse diFanfani. Così aveva fatto tra il 1957 e il 1958 anche Tambroni, allora ministro dell'Interno, che fece un usopiù ampio e deformato, nonché deformante, dei prefetti, invitando a redarre le risposte personalmente e adare segnalazione di ricevimento solo tramite numero cifrato della circolare in questione. I rapporti dei diligenti prefetti lasciano emergere soprattutto, al di là delle sorveglianze politiche, un grandeaffresco generale dell'Italia di quegli anni, mostrandosi i funzionari dettagliati nel manifestare le mancanze acui ovviare nelle rispettive città per aumentare il paniere de voti; sono relazioni ciniche e calcolate, chechiedono interventi palliativi e di rattoppo e solo nelle zone dove è più probabile raccogliere voti. Tambronidal canto suo raccoglie le segnalazioni prefettizie e le spedisce ai ministeri di competenza e alla Cassa per ilMezzogiorno, operando con criteri di breve e brevissimo termine ed elargendo finanziamenti discriminaticlientelarmente e non sulla base di logiche di necessità oggettiva. Persino una discussione sui contributiunificati in agricoltura per l'assistenza ai braccianti e ai mezzadri viene vista male perché concedere loro unamutua significa dar vita ad una organizzazione potentissima che verrà usata contro la democrazia.

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5. La magistratura e le modalità di applicazione dei principi

costituzionali (1950) RICRESCE DALLE MACERIE SENZA CANCELLARLE. Infine un rapidissimo cenno ad un versante incui è più evidente la continuità di vecchie culture e ordinamenti: la magistratura e le modalità diapplicazione dei principi costituzionali. A metà degli anni '50 crea scandalo un piccolo libro di un giovanemagistrato di Cassino, Dante Troisi, intitolato Diario di un giudice. È questa una riflessione sulla condizionedella professione giudiziaria che esprime il disagio per una non – giustizia quotidiana in un'Italian che èavvertita come un non – paese, un paese mancato. Un libro che dice troppo e che interessa troppi pochi,guadagnandosi immediatamente il giudice un'azione disciplinare (richiesta da un deputato monarchico epromossa da Moro, guardasigilli) che sollecita il Procuratore generale di Roma con l'accusa didanneggiamenti e offese al prestigio della magistratura. Negli anni '50, al contrario, al vertice della magistratura si trovarono spesso giudici che avevano fatto unarapida carriera durante il fascismo e non sempre per meriti professionali. Del resto la Corte costituzionalediventa operativa solo nel 1956 e solo allora si avvia realmente la cancellazione di norme e articoli introdottidal fascismo. E furono parecchi gli ostacoli frapposti ad essa, non ultimi, anzi, quelli opposti dal governo:Segni fece ricorso tramite l'Avvocatura di stato quando la Corte iniziò a rivedere gli articoli del T.U. per lasicurezza del 1931, giudicando la Corte inadatta a giudicare su leggi anteriori alla Costituzione stessa!L'Avvocatura, del resto, si aggrappò alla distinzione tra norme programmatiche e precettive: le leggi chesono in contrasto con le prime non sono automaticamente illegittime. Il ricorso fu respinto. Vi furono poi sentenze che, interpretando in senso molto discutibile la Costituzione, cancellarono leggiinnovative come quella sull'imponibile di manodopera. È una cultura più generale, al di là di questi esempi,ad essere in gioco. Esemplare è la vicenda di alcune leggi che riguardano la parità fra sessi: nel 1956 esce lalegge che ammette per la prima volta le donne nelle Corti d'assise e nei tribunali per i minorenni e fortifurono le opposizioni in tal senso; nel 1961 la Corte ribadisce che l'adulterio è reato punibile se è compiutodalla donna e così rimarrà la situazione fino al 1968, quando uscirà per la prima volta una sentenza diversa. Eloquenti sono pure le uscite in merito alla delinquenza giovanile, dove l'unico linguaggio adeguato, in casodi flagranza di reato, è quello dello sfollagente; addirittura il procuratore generale della Corte di cassazioneinvoca la berlina e la fustigazione, rammaricandosi della loro estinzione come pene legali. Innumerevoli poi i fulmini giuridici contro certo cinema, caso esemplare quello felliniano della Dolce vita.

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6. Caratteristiche del liberalismo d'emergenza FRA STALINISMO E LIBERALISMO D'EMERGENZA. L'espressione liberalismo d'emergenzaappartiene ad un romanzo di Anna Maria Ortese Il mare non bagna Napoli, che con tale espressione siriferiva alla situazione del PCI a Napoli. Questo liberalismo d'emergenza era, in altri termini, l'unica formadi opposizione ad una realtà e ad una forma di gestione del potere profondamente illiberale, non solo nellaNapoli nera di Achille Lauro. Questo liberalismo emergenziale aveva contro di sé forze potenti ed eracontemporaneamente minato dall'interno, contraddetto com'era dall'ideologia esplicita cui si richiamava.Inserito nella più generale cultura e pratica del partito, era destinato a subire progressivi stritolamenti etensioni che si aggravarono nel corso degli anni Cinquanta. L'area sociale e culturale della sinistra vedevaprogressivamente scemare le utopie positive e le speranze di liberazione dell'immediato dopoguerra,vedendo, invece, più corposi gli elementi deleteri dell'ortodossia più schematica e settaria, necessarinell'estenuante guerra di difesa cui era costretta. Lo spartiacque regolatore che segna l'inizio di questo cambio di rotta è possibile fissarlo alla metà degli anniCinquanta, quando accaddero due eventi traumatici e carichi di significato: la pesantissima sconfitta dellaCGIL alla Fiat durante l'elezione delle commissioni interne (1955) e la pluralità di accadimenti del 1956 noticome l'indimenticabile '56: in quell'anno si tiene il XX congresso del PCUS che sancisce la linea dellacoesistenza pacifica e la critica allo stalinismo, si rivelano le atrocità staliniste col rapporto Kruscev, sisuccedono l'insurrezione polacca e quella ungherese, la prima risoltasi nell'accettazione da parte dell'URSSdei risultati delle libere elezioni e la seconda conclusasi con l'invasione e la conseguente repressionesovietica. Nel considerare l'impatto in Italia di quel 1956 si nota immediatamente la contraddizione tra la violenzaimmediata del trauma – un vero shock per il PCI – e il carattere parecchio limitato del rinnovamento politicodel partito di Togliatti, che ben presto rimosse quell'anno assieme al cumulo di implicazioni e sottintesi cherecava con sé. Questo non vuol dire, però, che la crisi del mito sovietico non portò alla luce una serie di forti crisi e dieventi che, agendo assieme a più sotterranei e radicali processi, finiranno per cambiare nel profondo gliassetti sociali e le culture del paese, frantumando quelle subculture – cattolica, comunista e laico – liberale –che avevano costituito l'ossatura del primo decennio dell'Italia repubblicana. Si badi bene, la crisi del mito sovietico, dunque, non mette in crisi solo l'impostazione e la cultura del partitotogliattiano, ma unita ad altri processi riduce drasticamente i soggetti essenziali su cui sino ad ora il PCIaveva costruito la sua identità e costruisce modalità nuove nello sviluppo della cultura di massa, nuovi modidi essere italiani. Le aree bracciantili e mezzadrili, ad esempio, per molto tempo avevano disegnato ampicontorni della geografia rossa italiana, sia prefascista sia repubblicana; adesso vanno svuotandosi. La stessaclasse operaia va lentamente frammezzandosi.

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7. I metodi della Fiat negli anni '50 LA CLASSE. Nel 1954 ancora la FIOM teneva saldamente, nelle commissioni Fiat, il 63% dei voti; nel1955, solo un anno dopo, precipita al 36%. Il giorno dopo i risultati inizia il XXXI congresso del PSIdurante il quale Pietro Nenni denuncia i metodi intimidatori della Fiat; nelle sue parole non c'è alcunaesagerazione e a sostegno una enorme mole di documenti: meccanismi messi in atto allora dalla Fiatsembrano appartenere ad un altro mondo: tribunali di fabbrica con verbali di udienza, reparti – confino,corpi di sorveglianza e reti di informatori, un efficace sistema di intimidazioni e pressioni cui gli altrisindacati non mancano spesso di contribuire. Non stupisce, dato il clima, la caduta a precipizio dellepercentuali FIOM. La sinistra cercò di non limitarsi a quello che fu definito il fascismo Fiat e avviò una riflessione sui suoierrori: da un lato criticò l'eccessiva politicizzazione dei conflitti sindacali e dall'altro il verticismocontrattuale, che aveva fatto perdere la centralità delle condizioni di fabbrica. Erano certamente autocritichee osservazioni fondate ma la realtà di quegli anni ci è interamente consegnata da una massa eloquente di piùdi 200.000 schede relative a dipendenti della Fiat compilate tra il 1949 e il 1966. Le schede sono venute allaluce per iniziativa di un pretore: redatte dall'Ufficio Servizi Generali della Fiat grazie alla collaborazioneinteressata di polizia, carabinieri e funzionari del Sid, che potevano accedere liberamente ad informazioni dinorma private, servivano agli alti vertici sia per controllare chi già lavorava in fabbrica sia per verificare sechi faceva domanda d'assunzione era rispondente alle sue necessità. Un quadro quasi incredibile, ma vero, edi cui la Fiat è solo una tra le tante fabbriche, la regola, non l'eccezione. Solo la Olivetti diverge da questofosco quadro di libertà congelata. È un periodo complesso questo, dove ondate di licenziamenti, connesse alla smobilitazione e allariconversione di alcuni settori industriali, si equilibrano con ondate di assunzioni frutto dei processi diriorganizzazione di fabbrica che preannunciano quello che sarà da lì a poco il boom economico. Il PCI nonfu in grado di cogliere in tempo la portata di tali trasformazioni e la sua cieca lettura catastrofista delcapitalismo non farà altro che marcare maggiormente la sua arretratezza rispetto alle dinamiche che sistagliavano all'orizzonte. Le ideologie si sfaldano, si fanno liquide, mentre il PCI si ostina a versare l'amidodi una base culturale che ormai sta scomparendo.

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8. Il dibattito culturale del '56 IL '56 E IL DIBATTITO CULTURALE. Pur concentrando la nostra attenzione sulla cultura di sinistra, vaprecisato comunque che alcuni limiti in essa presenti erano comuni anche ad altre aree culturali. Possiamofare l'esempio, già citato, della concezione comunista del capitalismo come incapace di produrre sviluppo(visione staliniana e non marxista) che ha un corrispettivo rovesciato nel medesimo catastrofismo di PIO XIInei confronti dello sviluppo e della modernizzazione. Non che mancassero, nel mondo cattolico, visioni piùmoderate e aperte (IRI, SVIMEZ, CENSIS) testimioniate dalla rivista Il Mulino – un ponte tra cattolici,socialisti moderati e liberal progressisti – o da pochi imprenditori come Bassetti e soprattutto AdrianoOlivetti. In questo quadro si collocano anche i connotati della cultura di sinistra, impasto di stalinismo (e zdanovismosul piano culturale) e italo – marxismo (la famosa linea De Sanctis – Labriola – Croce – Gramsci) che segnaampiamente la vulgata culturale fino alla metà degli anni '50. A essere messa progressivamente indiscussione è la subalternità dell'intellettuale al politico, che per più di un decennio aveva tenuto i giovanimarxisti lontano dalle nuove temperie culturali venute da fuori. Un altro tema dolente, meno avvertito finoal XX Congresso del PCUS, riguarda la realtà dei paesi socialisti, l'assenza di riflessione sui loro aspetti, lamancanza di osservazione specifica e ravvicinata delle caratteristiche di quei regimi, in sostanza lavolontaria rimozione di processi che già nel 1953 lanciavano segnali premonitori (la rottura con Tito e larivolta operaia di Berlino Est). Nel 1954 solo Franco Fortini osservava e gridava a gran voce cosa stavaaccadendo; nel 1956, invece, il clima di riforma andava allargandosi: Spinella critica le chiusure neiconfronti di studi come quelli di Friedman e Adorno; Geymonat polemizza contro l'eccessivo idealismo;Fortini e Strada sottolineano l'esigenza di riconsiderare i postulati teorici del marxismo e di costruire quelmarxismo teorico che oggi in Italia non c'è. Sarà Carlo Cassola a toccare il nervo scoperto del XX Congresso del PCUS, pubblicando un intervento da lìa poco seguito dal rapporto Kruscev: ricordando una discussione del 1944 con alcuni partigiani che stavanoaderendo al PCI, lo scrittore afferma che molti elementi di giudizio erano a portata di mano già allora e nonera quindi possibile, adesso, fare finta di cadere dalle nuvole. L'intervento di Cassola suscitò un vespaio e lereazioni furono tra le più disparate, dall'atto di fede di Salinari alla scomunica di Pintor passando per ilmezzo pentimento della Rossanda.

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9. La posizione di Palmiro Togliatti nel PCI Non mancheranno, comunque, gli interventi rassicuranti e ortodossi, volti a minimizzare gli elementi diautocritica e a ribadire la validità del gramscismo e della via italiana, macchiati solo in maniera contingenteda qualche stortura. La posizione ufficiale del PCI è scandita da due articoli famosi di Palmiro Togliatti: ilprimo risale a luglio ed è relativo ai moti operai in Polonia; il secondo, incentrato sugli eventi in Ungheria,schierandosi contro gli insorti e in difesa dell'invasione sovietica. A stupire maggiormente, però, non è tantoil permanere di larga parte degli intellettuali di sinistra in un PCI che muta solo parzialmente – moltoparzialmente – il suo giudizio sul socialismo realizzato, quanto la rimozione – per non dire la scomparsa –per lunghi anni della riflessione su questi temi. La famosa intervista di Togliatti a Nuovi Argomenti non saràcerto un punto di partenza, quanto un punto di arrivo, oltre il quale nessuno, per molto tempo, si spingerà.Perché? In parte per la volontà di non indebolire il blocco, in parte per l'incapacità di fare i conti con larimozione precedente. C'era, inoltre, qualcosa di più profondo e di più radicale: una incapacità di rifletteresul socialismo in occidente, come ebbe a dire Fortini nel 1954. Il permanere dell'URSS nella cultura italiananon ha niente di mitico, ma ha qualcosa di difensivo, il surrogato malinconico di un modello di socialismonei paesi a capitalismo avanzato che, tutto sommato, era stato l'unico modello convincente. Altri temi del dibattito culturale del 1956 ci conducono negli anni successivi: in primo luogo la natura delcapitalismo italiano e le caratteristiche delle trasformazioni in corso. È crescente la consapevolezza che ildopoguerra è finito davvero e che il neocapitalismo è anche in Italia una realtà dalle forti capacitàegemoniche, eppure per una matura riflessione in merito da parte del PCI bisognerà attendere il convegnodel 1962 promosso dall'Istituto Gramsci e incentrato sulle tendenze del capitalismo italiano. Nel frattempo un insieme di riviste e gruppi intellettuali esterni al partito finirono per convivere, purappartenendo a due ali diverse e seppur provvisoriamente, in un proficuo scambio. Così l'anima tecnologia eriformista potè incontrarsi con quella rivoluzionaria, aprendosi per la prima volta – cosa fondamentale – atematiche sino ad allora tabù: sociologia, psicanalisi, antropologia. Un processo di sprovincializzazione bensintetizzata dalle parole di Roberto Guiducci: la cultura più avanzata è stata per noi non una culturad'avanguardia ma una cultura di recupero. L'esperienza di Luciano Bianciardi è la più rappresentativa. Solo a posteriori, verso il 1965, gi spaesamenti e i disamori verrano esplicitati per intero, in romanzi come Ilcomunista di Morselli o in film come Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini.

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10. Gli orientamenti autoritari nel governo (1958) IL 1958, ANNO DECISIVO. Così titolava il 1 gennaio 1958 il quotidiano Il Giorno, fondato due anni primada Gaetano Baldacci e ancora dal piglio corsaro e investigativo. Il 1958 è un anno importante, fatto di passiavanti e colpi di freno, per le tensioni innescate dagli interventi americani e inglesi in Medio Oriente. È unclima che contribuisce ad accentuare orientamenti autoritari all'interno del governo, che dopo le elezioni del1958 è guidato da Fanfani. Il ministro dell'Interno, Tambroni, rinnova le dichiarazioni sulla pericolositàdelle organizzazioni comuniste e dà indicazioni di limitare fortemente, o di reprimere, le manifestazionipubbliche su temi internazionali. D'altro canto, la crisi della Quarta Repubblica in Francia e il ritorno alpotere del generale De Gaulle, con l'introduzione di un nuovo ordinamento costituzionale, alimentavanoriflessioni e allarmi sui rischi insiti nell'agonia dell'esperienza del centrismo. La stessa situazione economica era ben lungi dall'alimentare euforie. Il 1958, che oggi è considerato l'annodel boom, sembrava allora destare più preoccupazioni che speranze, anche per alcuni contraccolpi negativideterminati dall'entrata in vigore del MEC. I toni di Togliatti quell'anno sono tesi, ma neppure nel governomancavano preoccupazioni e allarmi, predisponendo nel marzo dello stesso anno una indagine conoscitivasulla disoccupazione e sui licenziamenti nelle diverse province mentre i pronunciamenti ufficiali di luglionon andavano oltre un cauto possibilismo. Addirittura nel 1959 Antonio Segni parlava di congiunturaeconomica sfavorevole, invitando a tornare alla cara, vecchia politica dei lavori pubblici per creareguadagno.  Indubbiamente il carattere di confine del 1958 è nel mondo cattolico più evidente che altrove, e momenti ditensione compaiono fin dall'avvio. Un articolo su Paese Sera a firma dello scrittore Roger Peyrefitte,fortemente critico nei confronti di Pio XII, scatena un putiferio che si conclude con l'allontanamento delloscrittore dall'Italia quale persona non gradita. Famosi poi gli episodi del vescovo di Pistoia e soprattutto diquello di Prato, ma qualcosa stava cambiando nei rapporti tra Stato e Chiesa, e le sentenze del vescovo diPistoia e Prato, condite dalle opinioni poco concilianti dei prefetti, stavano lì a dimostrarlo. Già Fanfaniaveva inserito nel suo programma di governo, oltre alla canonica difesa dal comunismo, una più chiararegolamentazione dell'autonomia tra Stato e Chiesa e la morte di Pacelli nel 1958 sarà il colpo finale. La morte di Pacelli è anche il primo grande evento consapevolmente definibile come mediatico, così comel'elezione di Roncalli, il cui pontificato, pur concertato come di transizione, porterà notevoliammodernamenti tra le mure vaticane, rispolverando la natura e i compiti pastorali del pontefiche e la suavicinanza alla gente.

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11. Le lotte e i sindacati di fabbrica negli anni '50 LE FABBRICHE. Nel marzo 1958, alla vigilia delle elezioni di commissione interna alla Fiat, viene diffusoun opuscolo anonimo non molto diverso da quelli distribuiti o inviati alle famiglie dall'azienda negli anniprecedenti: Presentarsi candidato o scrutatore per la FIOM significa mettersi in lista di licenziamento.Questa volta la CISL non ci sta e si schiera apertamente con la CGIL affermando che non si presenterà alleelezioni se non fossero cessate le interferenze padronali. È questa la rottura con una parte consistente dellaCISL torinese, che aveva a capo Edoardo Arrighi, cresciuta negli ultimi anni proprio grazie alla politicaintimidatoria della Fiat. Sarà scissione: il gruppo di Arrighi fonderà un sindacato esplicitamente filo –padronale che alle elezioni prendera il 25%, quanto la FIOM, mentre la FIM prenderà il 13%. Nonostante labassa percentuale la CISL conferma la direzione e il gruppo aziendale sconfessa i membri di commissioneinterna – filopadronali – e al congresso provinciale della FIM – CISL sconfigge i moderati. Avanzava un processo che, anche tra arretramenti e sconfitte, stravolgerà comunque il quadro che alla metàdegli anni '50 sembrava consolidarsi. Tra ricatti delle commesse voluti dagli USA per bocca di Clare BootheLuce e sconfitte della CGIL, i mutamenti furono comunque numerosi: la FIOM entrò in alcune fabbrichedove le assunzioni era stata condotta all'insegna del totale anticomunismo e le colossali sperequazioni traguadagni delle industrie e scatto salariale spinse anche i più moderati alla protesta. BARLETTA – ITALIA? Segnali diversi, e a loro volta contraddittori, arrivano da altre realtà. Nel medesimotempo delle lotte e dei sindacati di fabbrica, i rapporti dei prefetti sugli scioperi agricoli del Polesine e delFerrarese sembrano riproporre scene di inizio secolo: le agitazioni sono accompagnate da incendi dei fienilie danneggiamenti ai raccolti, e sono fronteggiate mediante l'impiego di lavoratori provenienti da fuoriprovincia che sono affluiti in virtù della costante protezione delle forze di polizia. Intanto per la prima volta, nel 1958, le mondine che lavorano nelle insalubri risaie sono meno di quellenecessarie; si compenserà con l'afflusso di lavoratrici dal Meridione. Gli scontri sono all'ordine del giorno: aBrindisi la relazione del questore sul soffocamento di una rivolta insurrezionale, confermata da Tambroni,viene smentita non solo da giornali di sinistra ma anche da giornali centristi come Il Giorno; presto cadeanche la tesi della rivolta comunista, avendo la donna vittima della sparatoria della polizia la tessera dellaDC. Alla base di questa e altre rivolte pugliesi la crisi viticola e la generale diminuzione dei prezzi agricoli. L'episodio più drammatico a Barletta, dove la polizia uccide due braccianti che chiedevano una più equadistribuzione dei pacchi – viveri della Pontificia Opera di Assistenza e del Soccorso Invernale. Sempre aBarletta, tre anni dopo, 58 persone muoiono nel crollo di una palazzina costruita su cinque piani e fondata suun instabile garage: una delle tante case sorte in maniera selvaggia .

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12. La cultura degli anni 50 /60 ROCK AROUND THE CLOCK. Pantaloni di tela blu, camiciotti a scacchi, scarpe da tennis, giubbotti dapallacanestro con la scritta dietro, motocicletta e concerti rock. È la generazione dei giovanissimi tra i '50 e i'60. I flipper diventano oggetto del demonio e banditi, i jeans sono un segno di ribellione e appartenenza.Nasce il fenomeno del teppismo, con percentuali comunque infinitamente inferiori che nel resto d'Europa.Sono gli anni dell'esordio di Celentano e Mina, del successo inaspettato di Modugno e del trionfo di BrunoDossena. Sono gli anni del rock and roll come sfida ai rispettabili valori degli adutlti e come veicolo delrispettabile mito dell'America e del mondo libero.

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13. Il boom economico in Italia (1954-1964) ALCUNE CIFRE E ALCUNE DOMANDE. A indicare alcuni tratti essenziali del miracolo economico lecifre possono essere prese a caso, o quasi. Il reddito nazionale netto aumenta quasi del 50% dal 1954 al1964; gli occupati in agricoltura scendono da 8 a 5 milioni; nel settore industriale gli occupati passano dal32% al 40% e nei servizi dal 28% al 35% mentre la produttività delle industrie aumenta dell'84%. L'Italiasupera in produttività Svizzera, Olanda e Belgio e colma in parte lo storico divario con Inghilterra, Francia eGermania. Si producono enormi quantità di auto e motoveicoli, frigoriferi e televisori. Nonostante il miracolo economico, l'emigrazione all'estero aumenta: all'emigrazione transoceanica sisostituisce quella europea, ove la Germania soppianta la Svizera come meta principale. È però la migrazioneinterna quella più imponente, fatta anzitutto di spostamenti dalle campagne povere dell'Italia settentrionale ecentrale e poi del Mezzogiorno. Intanto al Sud Danilo Dolci intitolava Spreco un volume che proponeva alcune indagini da lui promosse inSicilia, sottolineando non solo e non tanto il grandissimo quadro di miseria che quelle pagine mettevanocrudelmente in luce quanto qualcosa di più profondo: su 100 proprietari terrieri sul cui capo incombonopericoli di frane ben 92 non conoscono le leggi per la bonifica montana e 20 sono convintissimi che le franepossano essere evitate solo per intercessione divina o magica. In questo spaventoso contesto gli Entipubblici operanti al sud, come l'Ente di riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno, pur rappresentandoteoricamente la presenza dello stato, non riesce per la maggior parte ad offrire altro che una gestioneclientelare e una diffusa corruttela che hanno effetti devastanti e a lungo termine. Con quali messaggi questi diversificati mondi vengono a contatto in questa fase di convulsa e rapidissimatrasformazione? In che modo nuovo bisogni e nuovi modelli culturali vengono a interagire con i precedentiorizzonti mentali, in un mondo segnato contemporaneamente dall'affermazione della scolarizzazione e dellacomunicazione di massa? Quali sono i segnali che vengono dallo stato, dalle istituzioni pubbliche in unoscorcio di anni che vede l'agonia definitiva del centrismo e l'avvio del centrosinistra?

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14. Lo spopolamento delle campagne negli anni del boom MONDI RURALI. Nelle campagne, come si è detto, vi sono 3 milioni di occupati in meno tra il 1954 e il1964, destinati a diventare quattro se si considera il periodo tra il 1951 e il 1965. iniziando dalle aree piùpovere della collina e della montagna i flussi coinvolgono rapidamente anche le aree dell'agricolturaavanzata, segnando la fine dei diversi mondi rurali che compongono il paese. Non si tratta di una formulariassumibile in campagne senza agricoltura ma in agricoltura senza campagne. Una diminuzione così rapida del peso dell'agricoltura avvicina semplicemente l'Italia ad altri paesi europeima l'inserzione progressiva della nostra agricoltura in un processo di modernizzazione sostanzialmentecomune a tutta l'Europa ha comunque conseguenze di rilievo. Va anzitutto segnalata l'impossibilità di continuare a vedere l'agricoltura italiana come mossaesclusivamente da caratteri tradizionali e originari. C'è un mutato rapporto fra intervento statale eproduzione agricola. Fra il 1951 e il 1960 gli investimenti in agricoltura raddoppiano e l'intervento dellostato, diretto o indiretto, riguarda nel 1963 ormai il 73%; dunque già nel 1960 quasi tutte le decisioni incampo agricolo devono misurarsi con scelte e orientamenti stabiliti dalle politiche pubbliche, con unaintrusione dello Stato nella società rurale che amplifica enormemente i meccanismi avviati negli anni Trenta.Sulle distorsioni indotte da questi processi molto è stato detto, e ci limiteremo qui a sottolineare gli aspettiessenziali. Si vedano gli organigrammi degli enti di riforma agraria, che complessivamente operarono sucirca 700.000 ettari: su 22 persone che al 1961 avevano ricoperto la carica di presidente o commissario, 20appartenevano alla DC. Si ricordino poi i loro caratteri di enti pletorici, con a volte 10.000 dipendenti in piùdel necessario e tenuti in vita anche dopo lo spopolamento delle campagne. Si scorrano i fascicolidell'Archivio centrale dello stato riguardanti gli enti di riforma: responsabilità e colpe dei dirigenti sonoaccertate e denunciate quasi ovunque, come in Sicilia, dove una indagine amministrativa del 1959 concludeche l'ERAS (Ente Riforma Agraria Siciliana) non ha una organizzazione razionale dei vari servizi econferma le numerose e gravi denunce ricevute. Erano i normali meccanismo di funzionamento che costituivano un problema, inzuppati di clientelismo, direlazioni e di dipendenze tra gruppi di contadini, funzionari ed enti pubblici, apparati organizzativi edesponenti del partito cattolico e delle sue organizzazioni collaterali, quali la Coldiretti e la Acli.

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15. La meccanizzazione degli anni '50/ 60 in Italia Si considerino poi le dimensioni della meccanizzazione, che è l'altro e decisivo fattore di trasformazione diquesti anni. La meccanizzazione trova la sua fonte essenziale di finanziamento nel piano dodecennale del1952, che prevede prestiti e mutui per l'acquisto di macchine agricole di produzione nazionale. Il più grossoistituto di credito chiamato a elargire i finanziamenti è la Federconsorzi di Paolo Bonomi, l'uomo che nelcontempo non solo si era garantito il monopolio di acquisto dei trattori Fiat che avrebbero comprato conquel denaro ma che gestiva, tramite la federazione, la vita quotidiana dei contadini, i loro acquisti e le lorovendite. Un'altra federazione di Bonomi, la Federazione Nazionale Coltivatori Diretti, gestiva la gestione delle leggiche sancivano l'assistenza mutualistica e la pensione minima di vecchiaia per i contadini, istituite tra il 1954e il 1957. Tali diritti elementari assumevano le forme di privilegi generosamente concessi, stabilendo legamiforti di dipendenza e clientelismo. Vediamo ora più da vicino le dinamiche e le caratteristiche dell'esodo per le varie parti d'Italia. Le campagnedell'Italia settentrionale sono le prime ad avvertire i mutamenti e l'agricoltura qui conosce i maggiori crollinelle regioni che erano rimaste più tenacemente e intensamente rurali: Veneto ed Emilia Romagna, dove glioccupati nell'industria, per la prima volta, superano quelli nell'agricoltura. Il Polesine è l'area dove lospopolamento è più elevato, alla base del quale stanno le serie di disastri naturali iniziati nel 1951 con larotta del Po in un susseguirsi di inondazioni. Quello dei ripetuti straripamenti del Po è una delle pagine nere dell'agricoltura e della malagestione italianaed è un prefetto, quello di Rovigo, a denunciare con forza il suo rammarico per avere utilizzato tutta la forzapubblica a sua disposizione per arginare delle proteste che considerava legittime, denunciando con forzal'inutilità e l'irrazionalità dei dispendiosissimi lavori compiuti e chiedendo ripetutamente la sospensione deilavori di estrazione del metano, primi colpevoli dei fenomeni di bradisismo e dunque di abbassamento degliargini fluviali.

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16. L'emigrazione italiana degli anni 50/60 Dalla Lombardia, frattanto, si emigra totalmente da Mantova e Cremona, province eminentemente agricoleper dirigersi a Milano e nella Lombardia nord – occidentale (Varese, Como, Lecco) e in zone meridionalicome San Donato o San Giuliano per la presenza di nuove industrie. In Emilia e Romagna le antichetradizioni solidaristiche frenano in parte i guasti, come a Ravenna, e il tessuto connettivo maturato in unalunga storia, rafforzato da un socialismo municipale attento ai bisogni collettivi, costituì una risorsa reale. In Italia centrale l'esodo compare un po' più tardivamente ma con grande rapidità. Se tra il 1951 e il 1964 imezzadri si dimezzano, vent'anni dopo il sistema mezzadrile sarà completamente scomparso in tutta Italia.Pesa in particolare, nelle aree mezzadrili, un elemento che abbiamo già visto nel Mantovano: lo svuotamentodei poderi e l'abbandono conseguente, specialmente nelle zone dove mancano le più elementari necessità pervivere (acqua, luce, strade, medico) che sono ancora la maggioranza assoluta del territorio rurale. Ovunque,non solo qui, sono i giovani i primi a partire, ma nelle aree mezzadrili l'evento ha un effetto particolare cherende rapidissimo il processo di esodo: rompendosi l'equilibrio familiare sulla base del quale la mezzadriafunzionava, si avviavano processi irreversibili; bastava l'emigrazione di uno o due figli per rompere unintero nucleo. Nel Mezzogiorno la situazione era stata ben descritta già da Danilo Dolci, ma per chi considerasse talerelazione come partigiana, è disponibile pure la relazione del 1961 che Fanfani tenne dopo un viaggio inCalabria per tracciare un bilancio degli investimenti compiuti grazie alla Cassa per il Mezzogiorno e allelegge speciale per la regione: lo sforzo dello Stato è stato enorme ma bisogna domandarsi se i risultati sonoadeguati; segnalando poi la mancanza di coordinamento delle iniziative, anche per effetto di pressioni localie segnalando, pur con notevole faccia tosta, la lentezza esasperante dell'applicazione della legge speciale.

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17. Gli spostamenti interni italiani fra il 1955 e il 1970 MOBILITÀ. Fra il 1955 e il 1970 gli spostamenti da un comune all'altro sono quasi 25 milioni mentre quelliche portano al di fuori della regione di partenza 10 milioni. Fra il 1958 e il 1963 i meridionali che sitrasferiscono al Centro – Nord sono poco meno di un milione. A svuotarsi sono in primo luogo le aree dimontagna e di collina, le case isolate, le frazioni e i nuclei abitativi sparsi. Considerando i saldi migratori,solo 19 province su 72 (in primis Milano, Roma, Torino, Genova, Firenze e Bologna) hanno un saldopositivo. Nelle sei città citate si concentrava l'87% del saldo migratorio. Le grandi linee degli spostamenti sonospesso risultante ultima di movimenti complessi. Si considerino le migrazioni rurali: talvolta segnano lospostamento definitivo da aree agricole povere ad altre più ricche, talora hanno il più provvisorio carattere diavvicinamento a centri urbani. A volte possono avere lo scopo di acquistare poderi toscani o emilianiabbandonati dai precedenti coloni, oppure il lavoro nella floricoltura ligure. Circa il 60% dell'emigrazioneumbra, per fare un esempio, non trova sbocco fuori dalla regione stessa ma al suo interno. Anche nelMezzogiorno gli spostamenti non sono sempre connessi in modo diretto alla creazione di posti di lavoro. Ci sono poi gli spostamenti pendolari e quotidiani, tipici dei centri come Milano e Torino, dai centri limitrofie anche meno limitrofi; Sette ore di lavoro, sette ore in treno si intitolava una inchiesta sull'argomento diKino Marzullo sull'Unità. Quali furono i segnali che vennero – o non vennero – dai poteri pubblici? Come già s'è detto, questi flussicolossali coesistettero sino al 1961 con la legislazione fascista, volta a impedire l'urbanesimo, e non èsufficiente prendere atto che essa, di conseguenza, non fu realmente applicata. Essa valse a trasformare unaparte cospicua degli immigrati in fuorilegge, in una sorta di clandestini del mercato del lavoro nella lorostessa patria. Su questi strani clandestini prosperano forme di appalto e subappalto della manodopera abolitesolo nel 1961. In questo quadro, gruppi consistenti di immigrati sono portati a trarre anche i possibilivantaggi dall'illegalità e dalla precarietà: di qui l'aumento della estraneità e della diffidenza verso le strutturepubbliche e il rafforzamento di quelle reti di relazioni che innervavano il sistema extra – legale direperimento del lavoro. Si può aggiungere che governo e prefetti pongono una qualche attenzione alle migrazioni interne soloquando i risultati elettorali sembrano indicare che la crescita delle sinistre nelle grandi città del nord èdovuta appunto al voto degli immigrati. Che i cittadini abbiano bisogno in primo luogo di norme, di tutelalegislativa e giuridica, è elemento che sembra sfuggiure alla sensibilità di ministri e prefetti. Aggiungiamo qualche riga sulle modalità con cui vengono a interagire culture tradizionali e processi dimodernizzazione e sulle forme e gli esiti molteplici di questa reciproca influenza. Non va sottovalutato, inparticolare, un elemento di grande importanza: la ripresa di vecchi conflitti sociali che attraversano leconcentrazioni operaie, vecchie e nuove, a partire dalla fine degli anni cinquanta. Gli immigrati di originerurale aderiscono all'ideologia che hanno trovato dominante a livello operaio, nelle grandi città del nord, epartecipano alle lotte sindacali e politiche non soltanto perché ciò corrispondeva ai loro interessi economiciimmediati ma perché permetteva loro di identificarsi con il nuovo ambiente urbano – industriale. La ripresadelle lotte operaie è il terreno specifico di tale discorso e diventerà ben presto un recipiente di idee e diazioni a cui attingere in seguito. Anche il tempo libero rimodella il paese e la mobilità e la costruzione dell'Autostrada del Sole ne èl'esempio più lampante.

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18. L'industria italiana degli anni '60 GEOGRAFIE INDUSTRIALI. Al 1963, ha scritto Eugenio Scalfari, l'Italia industriale non era più untriangolo, era diventata una cometa: un centro sempre localizzato tra Piemonte e Lombardia ma con unalunga coda che investiva tutta la valle padana, fino a Porto Marghera e Bologna e Ravenna. A distanzad'anni, l'intelaiatura che allora iniziò a delinearsi appare molto più complessa, con articolazionidiversamente significative nell'Italia centrale e meridionale. A voler scegliere una data d'avvio dei processi che portano al miracolo si potrebbe scegliere il 1953,isolando quattro eventi di fondamentale importanza: - la ristrutturazione da parte di Sinigaglia della Finsider, che sostanzialmente rifonda la siderurgia nazionaleoffrendo acciaio a prezzi competitivi all'industria meccanica - la nascita dell'ENI da parte di Mattei, cui è affidato lo sfruttamento dei giacimenti di metano nel Polesine - l'investimento di trecento miliardi della Fiat per la costruzione dello stabilimento di Mirafiori, dalle cuicatene uscirà nel 1955 la Seicento - l'approvazione della legge per lo sviluppo del credito industriale nell'Italia meridionale e insulare, primopasso verso quella del 1957 che preciserà meglio gli incentivi e gli obiettivi di industrializzazione delMezzogiorno. I settori trainanti sono subito quelli dell'automobile, della chimica e della petrolchiimica. A Ravenna siimpianta lo stabilimento Anic, che dà un impulso decisivo alla fabbricazione italiana di gomma sintetica efertilizzanti, così che l'ENI possa fissare un prezzo nazionale dei fertilizzanti inferiore del 15% sferrando unduro colpo alla Montecatini. La Montecatini, intanto, opera a Ferrara, producendo un nuovo tipo di plasticadura creata con le ricerche del premio Nobel Giulio Natta ; il Moplen contribuirà non poco a mutare arredi eabitudini domestiche. Un settore fortissimo è poi quello meccanico, produttore di elettrodomestici e apparecchiature di largoconsumo, fatto di aziende come la Piaggio (dove ci si impegnava alle dimissioni in caso di matrimonio), laCandy (orari di lavoro incontrollati e costellati da infortuni, senza l'ombra di commissioni o scioperi), laIgnis, la Merloni, la Zanussi eccetera. Queste aziende, piccole, flessibili, paternali e dal basso costo dellavoro, costituiscono il modello di larga parte delle fabbriche italiane di elettrodomestici, che impiantanostabilimenti spesso in zone ove mancano tradizioni sindacali.

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19. I diversi modelli della terza Italia Consideriamo ora le differenti aree e i modelli diffusi. Nella regione urbana milanese assistiamo ad un aumento del 188% nel settore delle costruzioni e degliimpianti e sempre in provincia assistiamo ad una forte crescita della media anche nel commercio, neitrasporti e nei servizi. Inizia qui la terziarizzazione di Milano e la crisi della grande fabbrica, per oramaggiormente evidente a Sesto San Giovanni. La cosiddetta Terza Italia presenta al suo interno modelli diversi. In Emilia assistiamo ad un incrementodell'attività industriale, aiutato dalla nascita del polo ferrarese e dal decollo dell'area portuale e petrolchimicaravennate. Nel modenese assistiamo ad una rapida espansione del lavoro a domicilio e delle piccole imprese,spinte dalla precedente abitudine delle famiglie contadine al lavoro a domicilio, e ad una contrazione dellafabbrica che pone le basi per la nascita di piccoli imprenditori usciti proprio da quelle fabbriche. Al Sud il quadro è fosco. Non per niente, specialmente per la Calabria, si è parlato di miracolo economicoalla rovescia, ed è significativo il calo di addetti all'industria manifatturiera sia in Calabria sia in Basilicata.Anche in Campania l'espansione dell'industria rimane al di sotto della media nazionale. A far fronte a questeemorragie sta la collocazione nel settore delle costruzioni, finanziato e pompato dalla Cassa per ilMezzogiorno ma non certo volto a creare condizioni per una moderna accumulazione di benessere, quanto aorganizzare un circuito alternativo e clientelistico di mercato del lavoro. Di enormi contributi statali per l'industrializzazione nel meridione beneficiano grandi imprese pubbliche (Irie Eni) e private (Montecatini, Sir) che investono in primo luogo in industrie di base siderurgiche (Taranto,Bagnoli) e petrolchimiche (Brindisi, Gela, Augusta – Priolo) caratterizzandosi per la loro scarsissimacoerenza con il progetto dichiarato di creare poli di sviluppo inducendo effetti positivi nella base produttivalocale e diventando famose come le cattedrali nel deserto. Deserto economico naturalmente, in contrasto conl'oceano demografico che vi viveva e di cui beneficiava solo nelle forme dell'inquinamento e dell'invasione. Un diverso tentativo pensato esplicitamente come esempio di politica alternativa è quello di Adriano Olivettia Pozzuoli, aiutato nella costruzione dello stabilimento dall'architetto Luigi Cosenza. Ma fu, purtroppo,breve cosa e Olivetti, morto nel 1960, già due anni prima era stato rimosso come amministratore delegatodal consiglio di amministrazione; altri progetti lungimiranti , come l'azionariato operaio ad Ivrea, furonosemplicemente accantonati.

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20. La nuova geografia urbana dell'Italia degli anni '60 GEOGRAFIE URBANE. Svanisce in quegli anni anche un'altra, più grande utopia, di cui Olivetti fupartecipe e promotore: la tutela del territorio negli anni negli anni della trasformazione, di un progresso chenon fosse distruttore di equilibri e di assetti ambientali. A Milano e in tutta la Lombardia si diffondonorapidamente le coree, agglomerti disordinati e fitti di abitazioni costruite dall'oggi al domani dagli emigratistessi; sono dense, disordinate, malsane e prive di servizi. Le cose non vanno certo meglio al centro, nellagrande metropoli, dove una grossa percentuale di casa manca di bagno, o luce, o acqua, o gas o più di una diqueste cose. La Roma di questi anni è ben raccontata da Pasolini in passi di Una vita violenta e a questa Roma delleborgate e della speculazione edilizia molti intellettuali hanno destinato pagine d'inchiostro. È la Roma dellostravolgimento urbano per le Olimpiadi del 1960, della discussa costruzione di Fiumicino, all'insegna di cosìtante irregolarità da creare una commissione d'indagine parlamentare ad hoc, imputando Pacciardi, Togni eAndreotti; ques'ultimo dichiarerà che la commissione ha ruolo esclusivamente inquirente e che il potere digiudicare spetta solo alla Camera, chiedendo che il governo si adoperi in tale sede per un giudizioassolutorio. Nel 1963 trovano brusco epilogo i tentativi di definire elementari regole per lo sviluppo edilizio, con ilmassacro della tentata riforma del democristiano Fiorentino Sullo, che già prima, dopo innumerevoli fatiche,aveva fatto varare la legge 167 sull'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia popolare. Una legge la 167che trovò applicazioni diametralmente opposte tra Milano, Torino e altre da una parte e da Bologna e altrecittà emiliane e ad amministrazione di sinistra dall'altra. Le prime usarono territori piccoli e periferici,mentre le seconde vincolarono aree più grandi e centrali, soprattutto grazie agli sforzi del movimentocooperativo; non furono rare le opposizioni alle amministrazioni comunali da parte del governo e dei privati. Il grande e peggiore evento fu comunque l'affondamento della generale riforma urbanistica di Sullo,bersagliato da campagne diffamatorie e poi affondato dalla stessa DC del governo Moro: fu questo ungrosso evento di quello che fu il primo governo italiano di centro – sinistra, a vocazione riformista. Unriformismo zoppo, come si vede, che di lì a poco troverà ben peggiori derive. Intanto il boom turisticopermetterà scempi di ogni genere in uno Stato che il piano regolatore urbano non sapeva manco cosa fosse.

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21. L'assetto politico degli anni '60 in Italia UNA CESURA DECISIVA. L'assetto politico che si era definito fra anni quaranta e anni cinquanta vivevauna crisi evidente. Lo scontro diventava aperto nel 1960, determinato – e per più versi provocato – dalgoverno Tambroni, sostenuto dai voti determinanti dei neofascisti: la protesta generale del luglio diquell'anno contro il congressi indetto a genova dal MSI sanciva la fine definitiva del centrismo. Questa ripresa, questa riassunzione diffusa del paradigma antifascista costituiva di per sé una cesura fortecon il periodo precedente. La lunga distrazione era terminata. Non si trattava, del resto, di una sempliceripresa: era in corso una vera e propria riformulazione, una ridefinizione in senso forte del paradigmaantifascista. Il rifiuto del neofascismo, nel momento in cui essi sembrava porre ipoteche determinanti sul governo delpaese, si intrecciava alla più generale ripulsa del pesante clima degli anni '50. Nel clima della guerra fredda,inoltre, il paradigma antifascista era stato largamente sostituito da quello anticomunista nell'ideoloogia dellaclasse di governo, che escludeva poi oratori comunisti e socialisti dalle poche celebrazioni ufficiali dellaResistenza che il calendario fissava, almeno fino al 1958, quando per la prima volta il governo acconsentì aduna manifestazione ufficiale a Roma con la presenza di tutte le associazioni partigiane.

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22. La crisi del centrismo politico italiano (1960) GENESI E DIMENSIONE DI UNA CRISI. I sommovimenti indotti dalla crisi del centrismo si colgonomeglio ove si ponga attenzione a due aspetti essenziali ad esso connessi: la politica USA nei confrontidell'Italia e l'atteggiamento della Chiesa. In entrambi i casi siamo di fronte ad evoluzioni non lineari, segnateda forti tensioni interne. I documenti americani ora disponibili mostrano con chiarezza il lungo protrarsi dell'opposizione degli USAall'ingresso dei socialisti nel governo. Mostrano, anche, i limiti d'azione dell'amministrazione Kennedy(1960) e l'accentuarsi della discrepanza fra azione ufficiale del governo americano e l'azione concreta delDipartimento di stato e degli apparati. Si consideri poi l'evoluzione della Chiesa di Giovanni XXIII. Uno degli aspetti qualificanti di essa eraproprio il distacco dalla politica italiana, e ciò comportò una maggior autonomia della CEI: ma proprio essa,presieduta dal cardinale Siri, era fortemente impegnata nell'opporsi all'apertura a sinistra. Ce n'era insomma abbastanza per frenare le già caute aperture del Consiglio generale DC, tenutosi aVallombrosa nel 1957. Trovavano, invece, punti di riferimento crescenti nell'evoluzione dei partiti socialistie dello schieramento laico in generale, scandito in vari momenti, dall'incontro di Pralognan tra Saragat eNenni del 1957 sino al 1959, quando Nenni e gli autonomisti ottengono una significativa maggioranza. La crisi della politica centrista e al tempo stesso le difficoltà del suo superamento sono sancite dallepolitiche del 1958, che vedono da una parte l'affermazione socialista e dall'altra la crescita DC, anche seaiutata dal sostegno di partiti di destra. A uscire dalle secche non aiuta il governo presieduto da Fanfani, ilcui autoritarismo e la cui compresenza di ruolo di presidente del Consiglio e di segretario DC non va giù amolti democristiani, specie dopo l'annuncio di apertura a sinistra. Così, pochi giorni prima del Consigliogenerale DC del 1959, nasce il raggruppamento doroteo, che farà eleggere Moro, il giorno dopo, segretariodel partito. Sono sotterranei e profondi i movimenti e le tensioni che si agitano sullo sfondo della travagliata esperienzadei brevi governi Segni Tambroni Fanfani III e Fanfani IV ed è durante i mesi di governo Tambroni (aprile– luglio 1960) che vengono più apertamente alla luce. La fibrillazione coinvolge in primo luogo il partito dimaggioranza e gli apparati dello stato, e i documenti d'archivio fanno intravedere la significativa punta di uniceberg. Vediamo. Nel 1959 Segni è capo del governo e ministro dell'Interno: dispone l'apertura di un fascicolo sull'attivitàpolitica di Fanfani e ai discorsi di Fanfani si riferiscono ampiamente le relazioni mensili del capo dellapolizia e dei prefetti. Segnali più inquietanti vengono da un rapporto riservatissimo al ministro dell'Internoredatto dal capo della polizia ai primi di marzo del 1960 che in sostanza denuncia pericolosi movimenti daparte del corpo militare.

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23. Il governo Tambroni, 1960 TAMBRONI E IL LUGLIO 1960. L'immagine, talora sostenuta, di un Tambroni uomo di sinistra, costrettoquasi suo malgrado a svoglere un ruolo diverso, appare del tutto priva di fondamento ove si scorrano gli attiparlamentari e i verbali del Consiglio dei ministri. Se il suo intervento al congresso DC di Firenze nel 1959 èindubbiamente favorevole all'apertura a sinistra, la sua azione ha tratti completamente diversi: tratti, vaaggiunto, maggiormente in sintonia con l'azione concreta svolta da lui come ministro dell'Interno nei quattroanni precedenti. Il governo varato da Tamboni il 21 marzo ottenne la fiducia della Camera, per soli tre voti di scarto (300 sì e297 no), con il determinante appoggio dei deputati missini. La circostanza causò l'abbandono dei ministriappartenenti alla sinistra della DC Bo, Pastore e Sullo. L'11 aprile, dietro esplicito invito del proprio partito,il governo rassegnò le dimissioni che furono respinte dal presidente Giovanni Gronchi, anzi ricevendol'invito a presentarsi al Senato per completare la procedura del voto di fiducia.Il 29 aprile, sempre conl'appoggio dei missinini e con pochi voti di scarto (128 sì e 110 no), il governo Tambroni ottenne la fiduciadel Senato. Il governo si presenta come prevalentemente amministrativo, di transizione, giusto perché vadano avanti leOlimpiadi di Roma e si approvi il Bilancio. Eppure, in esso riecheggiano sin dalla prima riunione toni pocodistesi, machisti, per non dire fascisti. L'azione del governo è nettamente indirizzata verso due direzioni: ilribasso di alcuni generi di prima necessità (segno esplicito della ricerca demagogica del governo di trovarefavori popolari) e il continuo, ossessivo, paventare dei rischi di una imminente congiura comunista conditocon l'ingiustificata dichiarazione su una presunta debolezza del governo. L'ostilità alle forze armate è vista come sintomo di assenza di sentimenti nazionali e come manifestazione diforza tentata dai partiti di sinistra che hanno approfittato di un periodo di carenza dei poteri dello Stato. Nonpaghi, il ministro dell'Interno Spataro evoca indefinite violenze di elementi di sinistra per invitare prefetti equestori a prendere ogni adeguata misura. Ne seguono inteventi repressivi ed intimidatori che aumentanoulteriormente la tensione.

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24. I giovani in campo in Italia negli anni '60 I GIOVANI DALLE MAGLIETTE A STRISCE È necessario guardare alle giornate di luglio con occhidiversi da quelli di prefetti e questori, e interrogarsi su ciò che si stava davvero muovendo nella societàitaliana. Quella esplosione popolare ora raccontata non colpiva solo per la sua ampiezza: colpiva in primoluogo per i protagonisti che metteva in campo. A ridiventare attuale per i giovani non era semplicementel'antifascismo ma il nesso fra la discriminante antifascista e una trasformazione più complessiva dellasocietà e dello stato. Lo ridiventa su un doppio versante perché talora prevalgono la polemica e la tattica politica immediata etalora invece entrano in campo nodi di più lungo periodo, visioni generali della società italiane e del suofuturo. Qualche mese dopo, i rapporti prefettizi attribuiscono al voto giovanile e a quello immigratol'avanzata elettorale del PCI e l'indicazione è fondata, a patto, però, di ricorda che questi stessi anni vedonoun vero e proprio crollo dei loro tesseramenti. Dunque le discussioni e le riflessioni si collocano fuori daglischemi precedenti. In questo quadro, la discussione sul paradigma antifascista e sul rapporto fascismo – antifascismo nellastoria d'Italia non è un aspetto secondario. Dopo il lungo silenzio delle istituzioni pubbliche, in primo luogodella scuola, la domanda di sapere dei giovani si manifesta in forme e dimensioni nuove, tributandoimmediato e largo successo alle conferenze su questi temi che si tengono in diverse città e che straripano digiovani uditori. La prima e più autentica spinta, insomma, è una spinta all'informazione, un bisogno di riempire una lacunache scuola, famiglia, società sembrano invece decise a lasciare indefinitamente aperta. Dietro quella spintaall'informazione vi sono domande, problemi, che riguardano uno snodo centrale della storia del paese, delsuo modo di essere, della sua identità. Per questo sono particolarmente significativi i limiti delle risposteistituzionali che – dopo la lunga rimozione – vennero date allora. Vale la pena farvi qualche cenno.

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25. Il tema della resistenza nell'identità nazionale Per quel che riguarda la scuola, dopo la caduta del governo Tambroni, una circolare del nuovo ministerodella Pubblica Istruzione dispone che l'insegnamento della storia non si fermi alla Grande Guerra ma allaCostituzione ma erano scontate le resistenze, i malcontenti, le pigrizie e le riserve culturali, e cinque annidopo, il bilancio di apprendimento della nuova generazione è quantomeno osceno. La televisione attende anch'essa la caduta del governo Tambroni per vedere le prime trasmissioni sullaResistenza ma basta la prima puntata di una trasmissione innocua e leggera come Tempo della divisa,incentrata su una traballante satira del fascismo e delle conquiste dell'Etiopia (ma anche l'antifascismoclandestino era preso di mira) per scatenare un inferno che porterà addirittura Fanfani, allora capo delgoverno, ad ammonire la RAI. Reticenze e censure continuano a pesare, dunque, ma accanto ad essi si fa progressivamente strada un'altravia. Più esattamente, nel corso di pochissimi anni (1961 – 1965) attraverso i programmi televisivi è possibilecogliere un processo più generale: un passaggio dalla rimozione ad una ufficializzazione della Resistenzache ne banalizza contenuti e ragioni, contraddizioni e lacerazioni. Si passa cioè dall'oblio alla costruzione diuna memoria pubblica, astrattamente apologetica, che si sovrappone alle molteplici e differenti memorieprivate senza riuscire a risolverle, in sé, senza aiutarle a riconoscersi come parte di un processo. L'insistenza unilaterla e retorica sui temi del riscatto nazionale e del sacrificio tendeva a tradursi in sermonipedagogici e di scarsa efficacia e veniva spesso a negare altri elementi: la drammaticità di uno scontro chefu anche guerra civile, le aspirazioni a trasformazioni radicali del paese, eccetera. Inoltre, lasciava ai margini nodi e problemi relativi a una questione cruciale: l'identità nazionale, o meglio: idifferenti modelli di identità nazionale che allora vennero a scontrarsi. In queste concessioni ebbe largoruolo anche la sinistra, che sembrò essere paga del semplice ritorno alla trattazione di temi che per annierano stati quasi tabù. Alcuni più lungimiranti, come Secchia, indicavano la necessità di liberare l'essenzarivoluzionaria di quel momento storico dalle pastoie di un antifascismo indifferenziato. Si vedono in nuce,poi, gli scontri tra resistenza rossa e resistenza tricolore, la prima indirizzata alla valorizzazione deicontenuti di classe, la seconda alla sottolineatura dell'evento come miccia dell'esplosione unitaria.

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26. Il conflitto sociale nelle fabbriche Italiane (1960-1963) IL CONFLITTO SOCIALE NELLE FABBRICHE. Anche nelle fabbriche si svolgono segnali dicambiamento. Seguiremo il loro svolgersi sino al 1963, considerando cioè la fase segnata, tra il 1960 e il1963, da due governi Fanfani molto diversi tra loro: il primo monocolore e il secondo che è di fatto il primogoverno di centro – sinistra della storia della repubblica italiana. La realtà del 1959 è ancora contraddittoria, fatta da un lato di riprese significative delle lotte operaie e disegni nuovi di unità d'azione fra i sindacati, e dall'altro costellata dal permanere di molte divisioni. Una diqueste divisioni, ad esempio, si rivela durante lo sciopero dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto:l'accordo è firmato da CISL e UIL e non dalla CGIL. La mancanza di unità è tangibile nei singoli scioperi,che non manifestano la portata massima della loro forza: a Milano i cortei, pur avendo acquisito unavisibilità perduta da anni, sono costellati da interventi parecchio duri della polizia, anche se d'altro cantoiniziano ad affacciarsi iniziative di alleanza e sostegno agli operai da parte degli studenti. A Torino laritrovata unità d'azione sindacale non riesce comunque a rompere il pesante clima creato dalla Fiat, e a farnele spese non è solo la CGIL ma anche la CISL, che vede farsi sequestrare un automezzo munito dialtoparlanti. Nel 1959 sono ancora forti le pressioni e gli allarmismi degli ambienti più conservatori, sempre pronti atrasmettere l'idea dello sciopero non come manifestazione di un disagio economico e sociale ma come attopolitico, sovversivo e rivoluzionario. Stavolta però gli allarmismi sono accolti con minore entusiasmo eparecchi sono gli interventi che smentiscono le campagne diffamatorie anti operai. Affiorano problemi esperequazioni ingiustificabili in un periodo economicamente florido, all'insegna di una fortetecnologizzazione e di razionalizzazioni, e della nuova importanza concessa al tempo libero: orari di lavorointollerabili, disparità tra sessi, gerarchie. Un mutamento importante assume la CGIL, che durante il V congresso assume pienamente la contrattazionedi tipo articolato, a livello d'azienda o gruppo, come elemento portante della sua strategia, superando ilcentralismo del decennio precedente che l'aveva danneggiata. Le richieste sindacali riguardano il salario el'orario ma il nodo vero è il principio stesso della contrattazione integrativa, che il padronato respinge. Ilcuore della vertenza è a Milano, dove la lotta diventa immediatamente visibile, soprattutto per l'articolazioneenorme degli scioperi e delle manifestazioni.

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27. L'intervento dell'Intersind (1960 ) Una prima novità di rilievo è l'intervento dell'Intersind, che raggruppa le aziende statali e parastatali. Ilsindacato si allea con gli altri e sigla un accordo che sostanzialmente la allontana definitivamente dalsindacato di Confindustria. Lo stesso ministro Sullo giudica legittime le richieste dato l'aumento dei profittidei datori. Il panorama del 1961 rimane molto variegato. Talora i conflitti hanno caratteristiche aspre e gli inteventidelle forze dell'ordine sono di notevole durezza ma ora a protestare contro le violenze poliziesche è anche laCISL, che chiede formalmente l'impiego di reparti di polizia privi di armi da fuoco durante i conflittisindacali. Addirittura viene portato un disegno legge del PSI su questo ma viene messo al veto dal ministrodell'Interno Taviani. Nel 1962 inizia quasi ovunque un crescendo di agitazioni che hanno il loro punto di maggior tensione negliscontri di Piazza Statuto, a Torino, in luglio, unite alle quali troviamo quelle per la pace, organizzate dallasinistra nel momento più acuto della crisi di Cuba. Ovunque è un focolaio di scontri. Alla base dellaradicalità di quelle agitazioni abbiamo trovato ragioni ricorrenti: condizioni lavorative, discriminazioni,assenza di diritti, sproporzione tra arricchimento dirigenziale e salario operaio. Insomma, abbiamo trovatosia il permanere di rapporti di lavoro arretratissimi sia una grande contraddizione: la produzione di ricchezzae le possibilità stesse offerte dal boom da una parte, e le condizioni reali di settori ampi di lavoratori e i costida essi pagati al miracolo. C'è dunque dietro quelle proteste un profondo sentimento di giustizia offesa: ilrifiuto dell'etica del sacrificio si intreccia al rifiuto di forme tradizionali di subalternità e alla ripulsa didistinzioni gerarchiche e sociali anacronistiche: di qui l'accumularsi di speranze e valori collettivi, e didomande, esigenti, al sistema politico. Capitolo 6 – Il riformismo perduto

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28. Le tendenze e le controtendenze politiche degli anni '60 in Italia LA POSTA E IL GIOCO. Ogni analisi del centro – sinistra tende inevitabilmente a trasformarsi nelladiscussione su di una grande occasione mancata e a porre al centro una sfasatura rilevante. La sostanzialepochezza della politica concreta dei governi di centro – sinistra è infatti in contrasto stridente con leriflessioni di notevole respiro che ne avevano accompagnato la nascita, e al tempo stesso con le attese e leaspirazioni che si erano diffuse in una società profondamente trasformata. Una prima ragione del fallimento sta indubbiamente nella corposa presenza di resistenze e opposizioniefficaci, in parte implicite e in parte esplicite. Esse accomunano ampi settori del corpo sociale come degliapparati dello stato, nascono da interessi consolidati di gruppi e ceti e al tempo stesso da culture e orizzontimentali radicati. Veti e vincoli esterni – Vaticano e USA in primis – non sono irrilevanti e non cessano automaticamente nécon Roncalli né con Kennedy. Per capire appieno l'efficacia e la lunga durata delle resistenze è necessarioperò ricordare in primo luogo gli elementi che abbiamo evocato sommariamente in altre parti di questolibro: la natura e i connotati del blocco sociale che si era consolidato e definito negli anni del centrismoattorno alla DC, i collanti materiali e ideologici di quel blocco. Solo così si può comprendere il grande ritardo con cui l'esperienza riformatrice ha avvio, e poi l'immediatoinnesco di controtendenze che rapidamente portano al suo svuotamento. Diamo allora uno sguardo alsuccedersi degli eventi. Deve passare un anno e mezzo dal luglio del 1960, dobbiamo cioè arrivare alfebbraio del 1962 perché il congresso DC di Napoli dia un via libera, in larga misura riluttante, al processodi allargamento, in prospettiva, per un governo col PSI. Subito dopo, però, quell'indicazione è addiritturacontraddetta dall'elezione di Segni a presidente della Repubblica. Le uniche reali riforme sono compiute dalgoverno Fanfani, nato proprio nel febbraio 1962, ed ha il sostegno solo esterno del PSI; già all'inizio del1963 i colpi di freno impressi dalla DC sono sempre più corposi e il governo accantona alcuni aspettiessenziali del suo programma, così che il PSI deve considerare chiusa questa prima fase di alleanza. Nel novembre 1963 l'alleanza viene ripresa in mano dopo la parentesi del governo di transizione presiedutoda Leone. I socialisti stavolta entrano a far parte del governo, il Moro I, ma la spinta del miracolo èpraticamente terminata, sostituita da una congiuntura economica negativa che spinge meccanismi di segnoconservatore. Nel luglio 1964, con la crisi di governo e il Moro II, il centro – sinistra conosce la definitiva sconfitta e se laformula di governo continua a sopravvivere, essa sopravvive solo sulla carta, senza i contenuti e il progettoche stavano alla base. In pochi anni non erano fallite solo le riforme; era fallito il riformismo come modello.Su questo sfondo nero avanzano nuove forme di degenerazione politica. L'itineraio del PSI è significativo in proposito: da mantice demiurgico del riformismo a creatura scissa emutata dalla scissione e dalla nascita del PSIUP, dal progressivo isolamento di Riccardo Lombardi,dall'appannamento dell'ansia di vedere riforme reali, dallo scadimento della visione di Nenni.

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29. La caduta del governo Tambroni (1960) DOPO IL LUGLIO '60. Torniamo indietro e vediamo quali furono i comportamenti e le conseguenzetangibili di quegli anni, partendo dalla caduta del governo Tambroni. La caduta di Tambroni apre la via adun governo monocolore guidato da Fanfani, con la presenza di tutte le componenti della DC. A rassicurare isettori più conservatori e gli apparati stessi dello stato, allarmati da una possibile intesa col PSI, l'Interno èaffidato a Scelba, la Giustizia a Gonella, gli Esteri a Segni e il Bilancio a Pella; un governo, insomma,rappresentato nella maniera più autorevole – e autoritaria – possibile. Un governo che durerà circa un anno emezzo, fino alla mozione di sfiducia del PSI, e che si caratterizzerà per un sostanziale immobilismoparadossale perché coincidente con il periodo più dinamico del boom. Nelle elezioni amministrative del 1960 possono parlare in televisione, per la prima volta, i membri delleopposizioni. La nascita delle tribune elettorali erano state chieste a gran voce ma solo adesso, con losgelamento del 1960, erano diventate una pur timida realtà. Nasce il programma Tribuna elettorale cherivoluziona il modo di fare politica e in qualche modo collettivizza l'interesse e la partecipazionedell'elettorato. Quasi subito sul programma si abbattono gli strali della DC più conservatrice, che giudicatroppo poco ministeriale (sic!) e troppo poco anticomunista il direttore Enzo Biagi, di lì a poco costretto adimettersi. Il primo governo del dopo Tambroni, insomma, dà ben pochi segnali di novità ad una società in tumultuosatrasformazione. Un giornalista dell'Ora mette in serio imbarazzo Scelba e Moro quando viene fatto loropresente il nome di Genco Russo nelle liste DC di Mussomeli; nel frattempo viene messo in funzione ilprimo corpo di polizia femminile, con limitatissimi compiti, anche se contemporaneamente la CorteCostituzionale ribadisce che è legittimo punire l'adulterio quando questo è compiuto dalla moglie.

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30. Il programma di Ugo La Malfa (1962) I vincoli e gli impacci del governo sono il riflesso diretto delle resistenze centriste radicate all'interno dellaDC. Esse sono anche in aperto contrasto con la consapevolezza, sempre più diffusa, degli squilibri del paesee della necessità di interventi tempestivi in questa direzione. Questi temi saranno al centro delle relazioni diAchille Ardigò (sociologo cattolico e vicino a Dossetti) e di Pasquale Saraceno (economista di area cattolicaed esperto di meridionalismo) durante il convegno di studi organizzato dalla stessa DC nel settembre 1961 aSan Pellegrino, i quali spingeranno per un allargamento verso il nuovo. A forte sostegno delle tesi dei due professori stava la Nota aggiuntiva alla Relazione generale sullasituazione economica del paese che il ministro repubblicano del Bilancio, Ugo La Malfa, presentò nel 1962. Il programma di La Malfa è importante perché caratterizzerà il primo governo orientato (ma nonorganicamente inserito) di centro – sinistra: il governo Fanfani IV. La Malfa segnalava l'evidente contrastotra l'impetuoso sviluppo di questi anni e il permanere (quando non l'aggravarsi) di situazioni settoriali,regionali e sociali di arretratezza e ritardo economico. Squilibri territoriali tradizionali, soprattutto quelli tranord e sud, sono aumentati; molte situazioni di sottosviluppo non sono state sanate; gli investimenti neisettori del consumo pubblico (scuola, trasporti, sanità) sono bassissimi. Follia, sottintende La Malfa, in unmomento di congiuntura economica così favorevole, che renderebbe possibili tali riforme senza incontrarecosti troppo elevati. Per realizzare una politica di questo tipo sarebbe stata necessaria una forte volontà innovatrice. In altreparole, la DC avrebbe dovuto invertire le tendenze precedenti, rimuovere i blocchi di interesse ormaiconsolidati nel corso degli anni '50, e costruire modelli culturali diversi rispetto a quelli cementatidall'anticomunismo. Non sarà così. Anzi, segni completamente differenti giungevano da molte relazioni di esponenti della DC aiconvegni di San Pellegrino e di Napoli, e soprattutto dalla mastodontica relazione di Moro che dava sì il vialibera al primo governo di centro – sinistra, ma alle sue condizioni! Il pilastro a cui si attaccarono Moro e glialtri per ostacolare le aperture proposte dalla sinistra democristiana fu quello della continuità e dellacentralità. Perché mettere a rischio ciò che è stato costruito? Perché rischiare di minare la base del consensoelettorale? Perché mettersi l'inferno in casa da soli?Questa impostazione ben presto renderà marginali queisettori della DC e del mondo cattolico che alla sinistra guardavano in maniera collaborativa. La sinistra, comunque, ebbe la sua parte di colpe in questo processo. L'iniziale pragmatismo di Nenni andòstemperandosi man mano che il rischio della rottura col governo si faceva concreta, portando il PSI adaccettare via via tutti i condizionamenti e i vincoli che la DC proponeva. Un progressivo scolorimento dicontenuti e tratti del partito che portò il PSI a perdere non una battaglia ma tutta la guerra. Al confronto conl'attendismo nenniano, forse le proposte di Riccardo Lombardi, per quanto a volte scarsamente lungimiranti,non erano poi così utopistiche, anche se alla lunga contribuirono non poco alla non realizzabilità di riformecondivise.

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31. L'elezione di Segni a presidente della Repubblica I MESI DELLE RIFORME. L'elezione di Segni a presidente della Repubblica, nel maggio 1962, sembra giàun colpo di freno al governo appena nato. Eppure a quel governo, presieduto da Fanfani, si debbono leprincipali misure del centro – sinistra, più limitate di quelle promesse ma pur sempre reali. Alcune misure iniziano ad eliminare sperequazioni arcaiche: la legge che sancisce il diritto alla donna diaccedere a tutte le professioni e gli impieghi pubblici, ivi compresa la magistratura; una nuova legge sullacensura meno dura che mette in risalto l'attendismo del PSI che dalle fiamme della completa abolizionecensoria passarono ad una astensione calcolata per non rompere l'equilibrio di governo, a cui il PSI forniva,lo ricordiamo, appoggio esterno proprio tramite l'uso dell'astensione. Le leggi cardine del periodo furono però altre: - Legge sull'estensione dell'obbligo scolastico ai 14 anni, con la scuola media unica che rompeva quello cheil Giorno aveva chiamato il marchio dei poveri al bivio dei dieci anni: il dover scegliere tra scuola media eavviamento professionale al termine della scuola elementare. - Legge sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica. La nazionalizzazione dell'industria elettrica vide uniter lungo e difficile. Cinque erano i monopoli coinvolti (SADE, EDISON, SIP, CENTRALE e SME) chenon avrebbero certo mollato in cambio di nulla. I motivi per la nazionalizzazione c'erano tutti: la possibilitàper il governo di controllare i prezzi, di programmare gli interventi e gli investimenti su scala nazionale e diindebolire lo strapotere oppositivo di Confindustria. Il vero scontro fu sulla natura dell'indennizzo daconcedere ai monopolisti. Si scontrò la visione continuativa di Guido Carli, governatore della Banca d'Italia,e quella abolizionistica di Riccardo Lombardi. Il primo voleva che si pagassero direttamente le vecchieaziende, che avrebbero continuato ad esistere come società finanziarie; il secondo voleva che i trust fosseroaboliti e che gli indennizzi fossero versati a scaglioni a tutti gli azionisti. Vinse la posizione di Carli, cheminacciò di dimettersi, ma la neonata Enel, pur cominciando un programma di investimenti massicci, nonriuscì a ridurre il costo dell'elettricità per i consumatori. In termini puramente economici la battaglia di Carlifu poi un fallimento e l'influenza dei baroni, naturalmente, rimase. - Il governo accennò un timido passo in avanti verso la sorveglianza sulle attività di borsa, applicando unaritenuta sulle cedole azionarie che rendeva pubblici i nomi degli azionisti, combatteva l'evasione fiscale eaumentava il capitale di investimento delle riforme. Prevedibilmente, invece, ciò che si manifestò fu unincremento del fenomeno della fuga dei capitali all'estero.

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32. La botta d'arresto della riforma Fanfani Fu allora che la riforma Fanfani subì una pesante botta d'arresto. Togliatti fece una lunga opposizione didisturbo, la CGIL non fu molto partecipativa e i riformisti si sentirono alla lunga isolati. Era poi intervenutauna difficile situazione economica che aveva dato luogo ad una pesante ondata di panico. Per la prima voltala domanda di lavoro superava l'offerta, i salari aumentavano progressivamente e, soprattutto le piccoleindustrie, per rifarsi aumentavano il prezzo dei manufatti, che del resto non rispondevano sufficientementealla domanda. Per la prima volta dagli anni '40 l'inflazione era uno spettro minaccioso. La DC decise alloradi tirare il freno delle riforme di Fanfani, soprattuto in vista delle imminenti elezioni del 1963, e lo fece permano di Moro, congelando due importantissime riforme imminenti in Parlamento: - L'istituzione delle regioni. Avversata e bloccata perché il decentramento avrebbe concesso enormi poterialle regioni rosse dell'Italia centrale. - La pianificazione urbanistica. Uno dei capitoli più ignominiosi della politica italiana. La lungimiranteriforma del ministro dei Lavori Pubblici, il democristiano riformista Fiorentino Sullo, era (e sarà) l'unicoserio tentativo di fare i conti con la speculazione fondiaria e col caotico sviluppo urbano. Prevedeva laconcessione agli enti licali del diritto di esproprio preventivo di tutte le aree fabbricabili incluse nei rispettivipiani regolatori. Gli stessi enti locali avrebbero provveduto poi a realizzare le necessarie opere diurbanizzazione e avrebbero poi rivenduto i terreni attrezzati ai privati, ad un prezzo più alto ma controllato.Fine della selvaggia speculazione dei suoli edificabili dunque. In aggiunta, i nuovi proprietari sarebberoentrati in possesso dell'edificio ma non del terreno, in maniera tale da rendere lo Stato capace di esercitareun controllo reale sul piano regolatore. Una lungimirante proposta che scatenò accuse di bolscevismo espinse Moro a dichiarare in televisione – senza che Sullo ne fosse al corrente – che la proposta del ministroera sua e solo sua e mai sarebbe stata realizzata. Alle elezioni la DC scese sensibilmente. Salirono liberali, missini, socialdemocratici e comunisti, questiultimi largamente, cooptando soprattutto i voti degli immigrati al settentrione e degli operai emigrati inEuropa del Nord. Il PSI scese leggermente. In sostanza la somma dei voti delle destre ebbe un aumentopercentuale ridicolo, lo 0,7%. Era sufficiente ciò a far capire ai partiti di governo la necessità di scegliere, dirafforzare la chiarezza dei progetti e delle alleanze sociali ad essi sottesi. Eppure nella DC prevalse lastrategia Moro: il centro – sinistra come scelta obbligata ma infida e la conseguente politica del sonno edella limitazione degli interventi riformatori per non scontentare le aree sociali e culturali di riferimentodegli anni del centrismo.

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33. I cambi di rotta della politica italiana degli anni '60 L'irrigidimento della DC, che conferma le posizioni via via assunte a partire dalle fine del 1962, inizia adaprire una divaricazione all'interno del PSI tra la crescente moderazione di Nenni e l'insistenza di Lombardiper un impegno programmatico più deciso. Gli avvenimenti si succedono rapidamente. L'incarico di formareun nuovo governo è affidato inizialmente a Fanfani, che fallisce perché nella DC è considerato portatore diipotesi troppo avanzate, e poi a Moro. Il comitato centrale del PSI mette in minoranza Nenni e boccial'ipotesi di accordo, così che Moro lascia l'incarico e passa il testimone a Leone, che porta avanti un governodi transizione. È una fase di attesa, durante la quale, però, affiorano due atti apparentemente minori che indicano già qualesarà la direzione di marcia: da una parte il ministro delle Finanze, Martinelli, pone fine ai lavori dellaCommissione per la riforma tributaria, dall'altra il governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, annunciaprovvedimenti deflazionistici in seguito ad una prossima congiuntura economica sfavorevole. Dietro lo scudo dello stato di necessità maturavano scelte destinate presto a collidere con la politica diprogrammazione e con la via delle riforme; Carli ribadì la cosa a distanza di trent'anni confermando chel'obiettivo essenziale fu la difesa dell'esistenza dell'impresa privata, dell'industria capitalistica, messa inpericolo dalla prepotenza nazionalizzatrice del centro – sinistra. I segnali della congiuntura sfavorevole erano comunque reali, e altro non erano se non il risultato ovvio diun decennio di nodi irrisolti che venivano ora al pettine. Diventava allora centrale la capacità di operaredelle scelte. È sulla politica economica che si gioca la partita e si scontrano due impostazioni riconoscibili,ciascuna delle quali comportava inevitabilmente dei costi e implicava un differente modello di sviluppodella società italiana. - Soluzione Carli – Colombo era in buona sostanza incentrata su misure deflazionistiche e dava prioritàall'equilibrio monetario e al pareggio della bilancia dei pagamenti a scapito dei livelli di occupazione esviluppo. Implicava in primo luogo un attacco alle organizzazioni sindacali e alle rivendicazioni operaie,individuate come prime responsabili della incipiente crisi. Questa azione faceva scivolare in uno sfondomolto sbiadito le riforme, mettendo in discussione la programmazione e la possibilità di un interventopubblico capace di modificare gli squilibri del paese. Una rigidità dell'economia contraria ai progetti ditrasformazione e sostanzialmente sinonimica di una rigidità di alcuni interessi consolidati. La cedolare del30% fu l'ennesimo colpo basso. - Soluzione Giolitti – Lombardi era basata sulla necessità di coniugare risposte congiunturali e sviluppo, dinon deprimere investimenti e occupazione, di colpire più seriamente i patrimoni e gli interessi speculativi, direndere convincenti le richieste di contenimento salariale con impegni effettivi sul terreno dellaprogrammazione. Seppur meno programmatica, la soluzione Giolitti – Lombardi fu comunque ostacolata anche in tempi menosospetti, vale a dire dopo la primavera del '64, quando la bilancia dei pagamenti era più equilibrata e lediscussioni economiche avrebbero potuto essere più distese. Carli e Colombo si scagliarono gratuitamente econ forza sulla proposta Giolitti – Lombardi e viene duramente criticato il piano che Giolitti, ministro delBilancio, stava preparando. Viene attaccato in forma meschina, tramite una lettera inviata giorni prima aMoro da Colombo, resa pubblica (in forma sintetica) da un articolo anonimo pubblicato a maggio dalMessaggero. In sostanza un ministro attaccava alle spalle un altro ministro appellandosi silenziosamente alcapo del governo. I toni furono di sdegnata smentita da parte di Colombo ma né lui né Moro accettarono di rendere pubblica la

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lettera, essendo di natura privata. Successivamente molti altri aspetti del programma governativo voluto dai socialisti vanno perdendosi perstrada. La crisi di governo arriva da lì a poco. L'occasione è data dall'inserimento, da parte del ministrodell'Istruzione Gui, di una voce riguardante il finanziamento alle scuole private nel bilancio del suoministero, contrariamente agli accordi di governo. Molti franchi tiratori affondano la proposta, la legge nonpassa e Moro si dimette. Nasce il Moro II, che sostanzialmente porta ad un cedimento sostanziale di tutte le richieste di riformavolute dai socialisti, e a scorno completo viene pure votato a favore il provvedimento di finanziamento allascuola privata. Nel frattempo il Piano Solo si spegne.

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