L'Italiano Letterario Nella Storia F. Bruni Riassunto cap. 1-2-3-4-8

26
L’italiano letterario nella storia Francesco Bruni Riassunto da Cristina Costantino

description

Riassunto dei capitoli 1-2-3-4-8 del libro di Francesco Bruni "L'italiano letterario nella storia"Il libro ricostruisce il lungo processo attraverso il quale si è costituita e affermata la lingua letteraria in Italia, dall'età di Dante, Petrarca e Boccaccio agli anni tra fine Ottocento e inizio Novecento. Nell'illustrare i momenti chiave di questa vicenda, l'autore insiste sulle forze culturali che hanno consentito alla lingua e alla letteratura di vivere e di contribuire a determinare un'identità che è tutt'ora libera dalle ipoteche etniche e localistiche risorgenti in vari paesi del mondo.

Transcript of L'Italiano Letterario Nella Storia F. Bruni Riassunto cap. 1-2-3-4-8

L’italiano letterario nella storia Francesco Bruni

Riassunto da Cristina Costantino

L'invenzione dell'italiano letterario Capitolo primo

1. Prima di Dante: prosa e poesia nell’Italia del XIII sec.

L'attuale Italiano è una lingua sovralocale, ben diversa cosa dai dialetti (espressione della frammentazione

caratteristica della storia d'Italia).

La scuola cerca di trasmettere questo modello per coprire lo spazio sul territorio nazionale dal 1861, anno

dell'Unità d'Italia ma l'unità e l'unificazione linguistica erano state conseguite nella mente degli intellettuali

già da molto tempo.

Periodo pre-Latino Precedente alla conquista della penisola da parte di una popolazione del Lazio

Il latino sopravanza e si sovrappone a tutto lo spazio linguistico già esistente (lingua etrusca, siculo, venetico).

Il latino volgare o parlato (dal vulgo/volgo = popolo) si differenzierà dal latino classico o scritto (dai dotti,

lingua della comunicazione internazionale usata anche dalla Chiesa e dalla Cancelleria) (che invece rimarrà

sempre uguale nel corso dei secoli) subendo trasformazioni di carattere strutturale, sintattico e

morfologico.

La percezione linguistica del cambiamento avviene quando il parlante istruito che lo usa lo scrive.

Gli idioti invece sono coloro che conoscono solo la lingua materna (dal greco idiòtes, derivato di ìdios privato,

alla stessa famiglia di idiota appartiene anche idioma).

Processo di frammentazione dall'VIII al IX d.C. Nell'anno 1000 il latino parlato non ha più nulla a che vedere con quello scritto. Il passaggio avviene molto

lentamente e gradualmente.

La lingua parlata comincia ad elevarsi al livello di quella scritta portando degli arricchimenti e la formazione

di tanti volgari differenti (varietà siciliana, toscana, lombarda, romanica) che diventeranno lingue scritte nei

centri all'avanguardia.

Il De Vulgari Eloquentia 1304-1305 Dante scrive il De Vulgari Eloquentia dove :

I. Analizza il rapporto tra latino, letterature romanze e volgare, individuando uno spazio linguistico e letterario unitario;

II. Parla dell'esigenza di una lingua unitaria e sovralocale al servizio della comunicazione letteraria. III. Finalità: solo di natura letteraria; IV. Condivide l'idea che avevano i dotti del latino: quella di una una lingua statica e immutabile non

soggetta a cambiamento, una lingua artificiale costruita a tavolino e plasmata sulle lingue del sì, d'oc e d'oil. Una lingua secondaria rispetto al volgare (nel Convivio esprimerà un pensiero opposto);

V. Riconosce il volgare come lingua naturale sempre esistita e preesistente al latino; VI. Riconosce l'eccellenza della letteratura francese nella prosa e di quella provenzale nella poesia lirica. VII. Della letteratura in lingua di sì elogia la lirica e cita due autori contemporanei: Cino da Pistoia e il suo

amico (Dante stesso) che eccellono per la dolcezza e la sottigliezza (rigore intellettuale) della loro poesia;

Al tempo di Dante l'Italia si presentava policentrica dal punto di vista culturale e linguistico, perciò egli

comincia col considerare le letterature romanze europee del tempo in una prospettiva storiografica.

Inizia poi a delineare l'immagine della lingua del sì confrontandola con le altre lingue europee:

In Francia abbiamo lingua e letteratura di tipo narrativo (Nord) con i suoi romanzi d'amore centrati sulle

storie arturiane, le narrazioni delle storie antiche di Roma e di Troia e una serie di testi di argomento morale

e religioso. La lirica provenzale (Sud) con i suoi maestri provenzali dei quali Dante descrive come "dolce e

perfetta" la lingua delle loro poesie. In conclusione la prosa e la lirica provenzale erano entrambe

all'avanguardia (rispetto alla lingua del sì).

La canzone era il genere principe della grande lirica cortese elaborata in Provenza ed esportata in Francia, in

Catalogna, in Germania e in Italia.

L'Italia settentrionale è quasi una provincia francese provenzale (Rustichello da Pisa scrive in francese i

racconti dei viaggi di Marco Polo nel Milione, poi tradotto in molte lingue, incluso il latino).

In Europa si sviluppano generi e cicli narrativi letterari eccellenti come il ciclo Arturiano.

Al contrario la prosa italiana fino al 1300 vedrà solo scritti minori (come il Novellino di Anonimo), piccoli

trattati o traduzioni di opere francesi e latine.

Dante critica coloro che in Italia denigrano il volgare materno ed esaltano l'altrui, sopratutto quello in lingua

provenzale (Brunetto Latini). Egli intende costruire una linea letteraria italiana non subalterna alle altre

letterature, non provinciale, né chiusa in sé.

Nell'indagine specifica sulla lingua letteraria italiana Dante parte da una definizione geografica dell'Italia,

delimitata dalle Alpi e divisa in due parti dagli Appennini, in sette regioni linguistiche (e geografiche) a est e

altrettante a ovest della catena montuosa.

Individua le differenze dei 14 dialetti e le bilancia con l'ideale di una lingua letteraria, o meglio poetica,

unitaria, che si estende su tutto lo spazio geografico italiano.

Ognuno di questi 14 volgari è giudicato indegno di identificarsi con la lingua della poesia, mancando di

conformità alle seguenti 4 categorie:

I. Illustre: lustro e purificato dalle peculiarità, caratteristiche locali/municipali, depurato e sovralocale. Dà lustro e gloria a chi lo sa usare e perfezionare;

II. Cardinale: cardine, punto di riferimento per i volgari municipali. Linea guida per gli altri volgari; III. Aulico: dovrebbe risiedere nell'aula, nella corte imperiale, assumendo una funzione ufficiale; IV. Curiale: la Curia è un ufficio dotato di parecchi compiti tra cui la fiscalità e l'amministrazione della

giustizia (tribunale supremo). La Curia si appoggia all'aula ma la disposizione di queste istituzioni potrebbe essere garantita solo dalla presenza di un imperatore, quindi l'idea dell'aulico e del curiale corrispondono a un luogo mentale e non fisico;

Il De Vulgari Eloquentia fu interrotto, ne furono trasmessi appena tre manoscritti di cui uno ritrovato,

tradotto e stampato da Trissino nel 1529.

La scuola poetica siciliana Fu la tradizione poetica e lirica della scuola poetica siciliana (1220-1230) a portare alla luce il volgare.

La nascita di questa scuola si deve all'imperatore svevo Federico II (1194-1250) che nella sua corte aveva

promosso una lirica in lingua di sì.

Il fatto di essere una lingua (artificiale) usata solo per la lirica accentuerà la distanza tra il siciliano della lirica

e la lingua parlata. Gli studiosi della Corte comunque assimilavano e manipolavano caratteristiche

linguistiche integrandole nei testi scritti.

I siciliani quando scrivono compiono un'operazione retorico/letteraria sul volgare che può essere considerato

il primo uso consapevole di una lingua parlata assunto nella vita professionale, riconoscendone il prestigio,

affinandola sul modello latino e arricchendola su quello provenzale del sud della Francia. La lingua risentirà

molto del carattere siciliano, soprattutto nel sistema vocalico tonico diverso rispetto a quello toscano.

Il caposcuola fu il notaio Giacomo da Lentini, primo autore del Vaticano latino, seguito poi da altri rimatori.

Il Vaticano latino 3793 è il più antico e importante canzoniere dell'antica poesia italiana.

È suddiviso in due sezioni, dedicate la prima alle canzoni, la seconda ai sonetti (metro inventato dentro la

scuola siciliana, che a differenza della canzone non era cantato nè musicato).

All'interno delle due sezioni metriche vi è un ulteriore distinzione per autori: dai poeti della scuola siciliana

sino ai toscani (Dolce stil novo escluso).

Il Rediano 9 è un altro manoscritto allestito a Pisa, si apre con la prosa delle lettere di Guittone d'Arezzo e

continua con una serie di canzoni e di sonetti di Guittone e di altri rimatori siciliani e toscani.

Transizione dalla Sicilia alla Toscana e frattura della scuola siciliana

Morto Federico II alla dinastia sveva si sostituisce quella Angiolina e con i nuovi dominatori finisce la scuola

siciliana.

Gli scritti sopravvissero e suscitarono l'interesse dei copisti toscani che li trascriveranno e per renderli più

comprensibili ai toscani li toscaneggeranno.

L'operazione di smeridionalizzazione generò schemi ritmici imperfetti (gaudiri > gaudere).

La toscanizazzione non fu totale: alcuni meridionalismi si infiltrano nella lingua letteraria Fiorentina e vi

rimasero a lungo.

Una prova esterna della lingua originaria dei siciliani è una canzone di Stefano Pronotaro Pir meu cori

alligrari, del Libro siciliano trascritto dal Barbieri.

Nasce il concetto di unitarietà della lingua

Da questa scuola Dante aveva assunto i prodotti migliori della letteratura: tratti raffinati ed eleganti che non

si mescolavano con il parlato. Attraverso libri manoscritti fatti da copisti toscani, allestiti in forma antologica.

Dante non era a conoscenza di questa operazione e credette che i siciliani avessero cominciato a scrivere in

una lingua che aveva poche corrispondenze con quella parlata in Sicilia.

Questa convinzione lo porta concepire che la lingua che deve essere usata nella scrittura non deve avere

troppe interferenze col parlato, in modo da non poter essere circoscritta in una singola area o regione ma

collocata al di sopra.

Nella Divina Commedia egli rigetta le operazioni dei siculo toscani e ammira di più quelle dei siciliani.

La Divina Commedia comportò la rivalutazione del Fiorentino agli occhi dell'autore ma l'idea base di uno

spazio letterario italiano si deve al De Vulgari Eloquentia.

All'ascesa del fiorentino contribuisce Dante stesso con la Divina Commedia, dopo un operazione di

raffinamento retorico e linguistico che darà il via a una serie di capolavori che cominceranno a circolare in

Italia. Essi contribuiranno a diffondere il Fiorentino verso il quale si orienteranno anche i letterati delle altre

regioni. Ancora oggi la nostra lingua editrice di alcuni tratti fissati e accolti da Dante, Petrarca e Boccaccio nel

corso dei secoli.

Schizzo della lingua antica e della sua evoluzione Capitolo secondo

1. Fiorentino e italiano

Il fondamento linguistico dell'italiano è il fiorentino, l'italiano infatti presenta alcune caratteristiche che si

rinvengono solo nel fiorentino, ignote a tutti gli altri dialetti italiani.

Questi elementi base costituivano il tipo linguistico fiorentino e grazie al prestigio di Firenze cominceranno a

penetrare nelle scritture in volgare degli altri centri italiani che, connotati localmente, cominceranno ad

avvicinarsi alle caratteristiche del volgare fiorentino fino ad assumerle.

2. Fisionomia dell’italiano tradizionale: alcune differenze grammaticali

La lingua italiana rimane stabile nella struttura nel corso dei secoli mentre quella francese non ha stabilità

ma neanche immobilità assoluta e quella inglese conosce un distacco dalla lingua d'origine.

Tuttavia l'italiano vedrà piccole mutazioni e cambiamenti morfologico-sintattici (come quello nella categoria

grammaticale dell'articolo determinativo) non nell'uso ma nella forma.

AnafonesiInnalzamento

vocali chiuse e o

si chiudono ini u

davanti a nasale seguita da

•occlusiva velare (gu)

•affricata, nasale, laterale palatale (ge, gn, gl)

Chiusura di e atona in

i

di parole che in latino avevano una e

•DE

•TE

•MELIOREM

•NEPOTEM

Di Ti

Migliore Nipote

Passaggio di ar atono a er

Non ereditato dal latino ma formatosi con

le lingue romanze (da

cantare + ABEO con riduzione)

Nei futuri di prima coniugazione con infinito in are

•amarò

•amarei

ameròamerei

Suffisso -aio

le forme con r derivano dal latino -arum

diventato poi -ario e poi -aio

notaro benzinaro

notaio benzinaio

molto usato in nomi di

mestieri e professioni

Dittongo spontaneo assieme ai Dittonghi

metafonetici

di nuovo e piede

Caratteristica peculiare di

varietà toscane che passano alla

lingua italiana

Se la vocale si trova in sillaba libera e non in

una consonante da luogo al dittongo IE

provengono dalle vocali brevi latine E O quando si trovano in

sillabe libere

L'italiano antico mostrava una notevole varietà di forme: POLIMORFIA (soprattutto verbale) cioè una

ricchezza di forme dovuta soprattutto al fatto che l'italiano letterario ha conosciuto una storia separata per

la prosa, evolutasi più rapidamente, e una per la poesia che fino al Manzoni ha conservato tanti tratti

dell'italiano antico funzionali alla scrittura poetica.

3. Fisionomia dell'italiano tradizionale: formazione delle parole e lessico

L'italiano è cambiato anche nel lessico, nella forma e nel significato: alcuni suffissi non sono più produttivi

come nell'italiano antico:

Articolo determinativo

Oggi il-i e lo-gli

Nell'italiano antico 'l-i e lo-gli o li

il 'l -i si usavano quando precede

parola che finisce in vocale e segue

parola che comincia per consonante

semplice. lo-gli o li si usavano

in tutti i casi.

Pronomi personali

tònici (accentati: di' a me)

àtoni (non accentati:dimmi)

clìtici quando si appoggiano alla

parola che segue si ha pròclisi (mi dici l'ora?), alla parola che precede si ha

l'ènclisi (dimmi l'ora).

L'ènclisi si manifesta:

•a inizio assoluto del periodo;

•dopo le congiunzioni e, ma;

•dopo una subordinata cui segua il verbo della principale; L'ènclisi libera rimane nella lingua letteraria fino al XIX sec. e oggi in certe forme di annunci commerciali (vendesi).

Polimorfismo

Ricca pluralità di forme verbali che deriva dalla necessità del poeta di

costruire un verso rispettando i limiti imposti dagli schemi della metrica.

• i verbi ausiliari e servili hanno modi irregolari (puote, pote, può, pò di orig. sicil.)• nell'imperfetto indicativo delle coniugazioni in -ere e -ire la -v- tende a cadere (vivea, sentia, andarò, anderò)• nella terza persona plurale del passato remoto debole alle desinenze fiorentine del XIII sec. (portaro) si affiancano quelle del XIV (portarono) portano l'accento sulla desinenza; le forme forti oggi conservano la terminazione in -ero (dissero) portano l'accento sulla radice del verbo.

• al condizionale antico in -ei si affianca quello in -ia (avria) formatosi nell'aria meridionale mentre quello formatosi nell'attuale Firenze lo siamo ancora oggi (avrebbe)

Paraipotassi

Frequente nell'italiano antico

indica la convivenza di coordinazione (o

paratassi) e subordinazione (o

ipotassi)

la subordinata procedeva la

principale collegandosi ad essa

con -e-

nella lingua contemporanea la produttività di -mento è diminuita (molte parole sono state sostituite

da corradicali con suffisso diverso: domandamento, domanda).

Dalle uscite in -antia, -entia e -anza a seguito dell'esposizione all'influsso francese e provenzale

abbiamo rimembranza, allegranza oggi rimaste come una sorta di arcaismo (ma è possibile ritrovarle

anche in Leopardi).

Con il passare del tempo la lingua si avvicinerà di più alla lingua dell'uso che a quella della tradizione

letteraria (con Pascoli).

I serbatoi della lingua scritta e dell'italiano Capitolo terzo

La storia della lingua è

intrecciata a quella della

cultura così come lo

sviluppo della lingua

letteraria è legato a

quello della lingua

comunemente usata.

1. Ceti e centri produttivi del volgare nel medioevo

L'Italia, a differenza di Francia, Spagna, e Inghilterra è arrivata tardi all'unità politica, così per lunghi secoli né

la né lingua comune né la lingua letteraria hanno avuto l'appoggio di uno stato unitario.

Alla frammentazione politica si aggiungeva quella dialettale che Dante rapportò all'idea di una lingua

letteraria comune.

Il ruolo della scuola

I. Diffonde la lingua e la codifica II. Insegna a scriverla III. Riduce la variazione degli usi parlati mirando a una standardizzazione

La scuola nel Medioevo

La grammatica nel Medioevo si identifica con il latino che era l'oggetto dello studio scolastico.

Scuola elementare

L'istruzione elementare si fondava su libri di grammatica latina e abbecedari;

Scuola di indirizzo professionale, il suo sbocco era l'agenzia mercantile, venivano impartite nozioni di

aritmetica, cartografia e geografia, in lingua volgare.

Scuola di grammatica e logica

Introduceva alla cultura latina e al mondo dei chierici e poteva essere proseguita con l'iscrizione

all'università.

Università

Poco numerose e internazionali nella composizione di docenti e studenti, permettevano di consolidare la

conoscenza del latino e studiare retorica, logica e filosofia e di accedere poi alle facoltà superiori: diritto

civile e canonico, medicina e teologia.

Scuole notarili

Da queste scuole usciva la figura professionale del notaio, si studiavano la retorica e le leggi del giurista

accademico in latino, la lingua in cui sarebbero stati stesi gli atti di vendita, che sarebbero stati però esposti

in volgare. Il notaio era quindi bilingue, mentre il mercante era legato al mondo del volgare.

Tra i notai ricordiamo Giacomo da Lentini della scuola poetica siciliana, Stefano Pronotaro e Brunetto Latini.

Dei Mercanti ricordiamo il più antico testo in volgare toscano che si conosca: Il Conto navale Pisano (XII sec),

note di diario e libri di ricordanze.

Il Placito Capuano è invece tra i primi documenti (960-963) di volgare italiano scritti in un linguaggio che vuol

essere ufficiale e dotto.

Rinascita umanistica del latino classico XV sec.

Diversa cosa dal latino classico era il latino medievale, uno strumento comunicativo aperto a numerosi

compromessi con i diversi volgari.

Premettendo che non esistevano né libri per l'infanzia né l'editoria scolastica, gli alunni studiavano in classe

i libri che avevano a casa:

I. A Venezia romanzi cavallereschi come l'Orlando Furioso oppure operette morali come il Fiore di virtù, di autore ignoto.

II. A Firenze ci si alfabetizzava su Petrarca, Boccaccio e Dante. III. XVII sec. A Milano si evidenzia la figura dell'arcivescovo Federico Borromeo che organizzò scuole per

il popolo. Egli per assicurare una miglior base Toscana alla redazione scritta delle sue prediche compiette studi di lingua sul Decameron.

2. L'influenza linguistica della Chiesa

La Chiesa assicurò il contatto tra il popolo e la cultura, veicolando in tutti gli strati della società un patrimonio

intellettuale e culturale elevato di parole e idee che entrarono a far parte del patrimonio dialettale. Il dialetto

assorbe varie parole risemantizzandole e adattandole a sé, numerose furono le parole ricavate dalla religione.

In questo modo si riuscì ad evitare l'incomunicabilità tra i dotti e resto della società che avrebbe confinato il

sapere unicamente nelle università medievali.

Fino al Concilio Vaticano II (162-1965), che decretò l'uso delle lingue locali nella liturgia, la lingua della Chiesa,

della Bibbia (tradotta da san Girolamo) della Messa, della riflessione teologica era stata il latino. I sacramenti

e la predicazione furono invece sempre somministrati in volgare. Viene ricordato l'impegno nel secolo XIII

degli ordini mendicanti predicatori domenicani e francescani.

La predicazione e l'istruzione scolastica curata dai religiosi fanno del clero il veicolo essenziale dell'italiano

(XVI-XVII sec.)

3. Il mondo femminile Medioevo

L'istruzione elementare e media avveniva preferibilmente entro le mura domestiche ed era accessibile a una

parte delle donne, che erano invece escluse dall'istruzione superiore (universitaria).

Numerose furono le mistiche, conoscitrici dei testi sacri e della dottrina cristiana ma non dei procedimenti

razionali della teologia, che dettavano le loro visioni o le loro lettere a religiosi dotti (Santa Caterina da Siena).

La dimensione religiosa in questo periodo fa della donna una componente importante, stimolandone

l'espressione attiva e personale.

Il ruolo della donna come pubblico emerge a Firenze, nel passaggio dalla letteratura religiosa a quella laica,

dove Dante dice che i poeti usano il volgare per comunicare i loro sentimenti alla donna amata, che non

capirebbe il latino; perciò la poesia in volgare deve avere per argomento l'amore e per destinatario il pubblico

femminile.

Non mancano scrittrici e intellettuali nel Rinascimento ma è nella prima metà dell'Ottocento che le donne

fanno il loro ingresso nel mercato del lavoro, con l'insegnamento nell'istruzione elementare.

4. Le Cancellerie XV sec.

Alla mancanza in Italia di una corte unica (vedi Dante) fa riscontro una pluralità di organismi che all'interno

svolgono attività di comunicazione con i sudditi (grida e banditori) e all'esterno di diplomazia (cancellerie e

ambasciatori).

Viene ricordata l'esperienza di Machiavelli come capo della seconda cancelleria della Repubblica Fiorentina.

In questo periodo, ma già dal XIV secolo, il volgare si affianca al latino nelle scritture delle cancellerie,

aprendosi il mondo delle corti a più ampi orizzonti politici, si ritrova a dover abbandonare in parte i modi

dell'idioma locale.

Nella corte di Urbino (Signore Federico da Montefeltro) e nella cancelleria composta da notai, il volgare in

cui essi scrivevano risulta dall'impasto di: volgare locale, toscano e latino; si aggiungeranno poi alcuni

elementi superlocali che daranno luogo alla lingua comune detta koinè.

A volte la convergenza con il latino può spingere a preferire l'esito locale contro il toscano (Urbino) altre volte

si ritrovano indizi di avvicinamento (ma non coincidenza) al toscano (Milano).

I diplomatici che, lavorando per cancellerie e stati diversi, comunicano tra loro, elaborano linguaggi e

formulari comuni, così un linguaggio diplomatico si aggiunge all'italiano letterario ideato da Dante.

Questo volgare ibrido è adatto alle esigenze quotidiane e agli affari da sbrigare.

5. La Stampa e le Accademie Fine '400 e per tutto il XVI sec.

Venezia è la capitale tipografica italiana ed europea con Aldo Manuzio (inventore del carattere corsivo)

principe degli Editori Rinascimentali. È a Venezia che nasce l'equazione di libro volgare come fiorentino-

toscano e di una letteratura che per la prima volta riflette lo spazio italiano.

Il mercato editoriale di Venezia si riconobbe nella letteratura Toscana e contribuì a promuoverla al rango

nazionale assieme alla lingua fiorentina.

Il libro riprodotto in serie grazie alla stampa sostituì il libro manoscritto, apportando una serie di nuove

modalità nella presentazione dei testi:

I. Distinzione tra maiuscole e minuscole; II. Divisione delle parole grazie all'uso innovativo dei segni diacritici: apostrofi e accenti e dei segni

d'interpunzione: virgola, punto e virgola, due punti, punto fermo).

Il primo a introdurre i segni diacritici fu Pietro Bembo nelle sue edizioni di Petrarca e Dante. Egli le corresse

a volte sugli stessi autografi (Canzoniere di Petrarca) modificandole per renderne più regolare e uniforme

l'ortografia ma sempre rispettando il dettato Fiorentino; con le sue edizioni comincia l'uso grafico vigente

tuttora.

Dietro le nuove edizioni c'era quindi il lavoro di un correttore, di un letterato che curava il testo, lo forniva di

prefazioni, indici e commento attrezzandolo per il lettore non particolarmente dotto.

Spesso però i correttori sovrapponevano ai testi le loro abitudini grafiche e grammaticali settentrionali (come

le consonanti doppie che non rispettavano la norma toscana).

L'editoria popolare (libri de batagia, testi religiosi, relazioni di viaggio) veicolò un volgare di stampo fiorentino

presso un pubblico più ampio. Grazie alla stampa, la letteratura in volgare divenne un fenomeno di società

mondana e di costume.

Accademie

1540

Libere associazioni di uomini che hanno rapporto anche con la società femminile colta, centri importanti della

cultura volgare. Il mondo delle università rimane invece legato al latino.

Accademia degli Infiammati a Padova

Accademia degli Intronati a Siena

Accademia Fiorentina e Accademia della Crusca a Firenze, che produrrà il vocabolario degli Accademici della

Crusca (prima edizione nel 1612, cui seguiranno altre 5 edizioni) il più antico dizionario di una lingua europea

di cultura. L'idea della lingua che vi si può riassumere è quella del binomio costituito dalle Tre Corone del

Trecento (e da spogli condotti su opere anche più umili) a cui si aggiunge la rappresentazione dell'uso

cittadino moderno del fiorentino.

L'abate Veronese Cesari lo ripubblica nel 1806 dando origine al movimento del purismo che si opponeva

all'Illuminismo.

Manzoni criticò l'orientamento delle opere del Cesari, che intendevano formare il “buon dicitore” a favore di

una lingua accessibile a tutti e non solo a un'aristocrazia colta. Criticò anche i fondamenti della Crusca e dette

impulso ad una lessicologia fondata su basi nuove.

La svolta del Rinascimento Capitolo quattro

Il Rinascimento nella

storia della lingua

italiana è sia

restaurazione dell'antico

che recupero della

tradizione linguistica e

grammaticale

trecentesca.

1. Fiorentino del trecento in bocca ai fiorentini del cinquecento

Nel Dialogo della volgar lingua di Pietro Valeriano (1524), A. dei Pazzi e Trissino difendono concezioni molto

diverse del volgare:

I. Per il Pazzi la fiorentinità del volgare letterario è indubbia;

II. Trissino sostiene che solo in parte il canzoniere del Petrarca risalga al toscano, sostenendo che i

fiorentini non sono capaci di leggere un testo che a torto pretendono scritto nel loro idioma.

Nel dialogo dell'opera del Valeriano si ritrovano fenomeni stigmatizzati del fiorentino che fanno parte di

un'evoluzione linguistica:

Passaggio di l preconsonantica a u

l’altro > l’autro

Velarizazzione di l preconsonantica

variazione diastratica variante popolare

grolia (gloria)

Dittongo latino au si chiude in o

Genera una reazione

ipercorretta (errore indotto)

Dalla fine del XIV sec. mentre il latino aveva conosciuto un

prestigio rinnovato grazie alla cultura umanistica, il volgare era

rimasto abbandonato;

Trissino ne approfitta assegnando al toscano la forma

lodare, al Petrarca la forma laudare, che si appoggia al

modello latino.

La l viene introdotta a sproposito anche dove è la u è

corretta; Oppure si ripristina la u ma si

conserva la l

Ciò aveva permesso

un'evoluzione linguistica e un rimescolamento sociolinguistico

Aurum > oro

2. Il fiorentino argenteo: sviluppi dopo le tre corone Fiorentino post-classico

Fenomeni riscontrabili nel principe di Machiavelli:

Palatalizzazione in -gli dei plurali in -li

cavagli

Possessivi mie, tuo, suo invariabili Mia, tua, sua per il plurale maschile e femminile

Agli articoli il-i si affiancano el-e Innovazione che troverà rispondenza anche nel volgare settentrionale e di altri centri

Metatesi di r

prete > pietre

Sostantivi e aggettivi femminili di della classe in -e fanno al plurale -e anzi che -i

Modellati sui sostantivi di prima classe latini secondo il modello rosa-rose

Semplificazione di -vr in -r Arò e arei contro avrò e avrei di Dante, Petrarca e Boccaccio

Forme isolate del latino (tamen) e latinismi Normali nella cancelleria fiorentina dove M. si era formato

La penetrazione di questi fenomeni nel fiorentino è dovuta in parte a un'evoluzione interna, in parte allo

spopolamento di Firenze (peste del 1348) e al successivo trasferimento in città di popolazione dalla

campagna. Le numerose novità che entrarono nel fiorentino non conobbero distinzione sociologica o

culturale (dal popolaresco Pulci al dottissimo Poliziano).

La pubblicazione delle Prose della volgar lingua (1525) di Pietro Bembo fece interrogare il Guicciardini sulla

correttezza di varie forme moderne da lui impiegate (aveva scritto un'opera di storiografia italiana ed

europea che venne pubblicata con il titolo storia d'Italia nel 1561) dentro o drento? Fusse o fossi? Potrebbeno

o potrebbono? Amorono o amarono? Sodisfare o satisfare? Popolo o populo?

L'influenza del Guicciardini e del Machiavelli ha influito sì sulla storia dell'italiano letterario ma sulla

dimensione concettuale e intellettuale della lingua.

Alcune delle forme presenti nell'italiano odierno sono quelle suggerite dal Bembo mentre quelle scartate

appartengono al fiorentino argenteo.

L'italiano coincide con il fiorentino del XIV sec. dopo aver abbandonato gli sviluppi moderni del fiorentino

per recuperare la grammatica del fiorentino trecentesco. Una vera e propria restaurazione dell’antico

determinata dalla pressione dei letterati settentrionali come il Trissino e il Bembo o meridionali come il

Sannanzaro con l’Arcadia (Napoli 1457-1530).

La svolta decisiva consistette nella scelta del modello linguistico di Firenze da parte della cultura extra-

toscana che si diffuse nell'Italia centro-meridionale e in quella settentrionale. Il fiorentino dei settentrionali

non coincideva con il fiorentino dei fiorentini, essendo stati messi da parte gli aspetti strettamente fonetici e

morfologici che riflettevano l'uso moderno di Firenze. I non toscani grammaticalizzarono la lingua dei libri

ponendo alla base le Tre Corone (più esattamente Petrarca e Boccaccio).

3. Dal “Vulgo” al “Volgo”

Quando Trissino parla di lingua comune la chiama lingua italiana e non fiorentina perché considera il toscano

solo una parte del tutto che è l'italiano. Altri autori settentrionali dichiarano di non voler seguire soltanto il

toscano, come il mantovano Castiglione che scrisse il Cortegiano, dove fece uso di molti latinismi tra cui

laudare, populo, vulgo. Castiglione assegna al toscano le parole evolutesi lungo la trafila dell'uso orale e

distanziatesi dal latino mentre assegna i latinismi alla comunità linguistico-culturale italiana (coloro che

avevano avuto un'educazione latina).

Anche Trissino, che tra le altre opere tradusse il De vulgari eloquentia, affermava essere “più cortigiane e più

illustri” le parole “più simili al latino” (anche lui scelse vulgo).

La linea che s'impose prevalendo su quella cortigiana italianista di Castiglione e Trissino fa capo alle Prose

della volgar lingua (1525) di Pietro Bembo.

Pietro Bembo

Che nulla concesse ai compromessi e agli

ibridismi, che rafforzò il legame tra la

letteratura rinascimentale le premesse del

trecento.

Bembo enunciò l'autonomia del volgare dal latino

scegliendo la forma "volgare" contro quella "vulgare",

svincolandosi quindi dal latino verso cui si orientavano

tanti altri scrittori settentrionali (Castiglione e Trissino).

Egli promosse a modelli dello scrivere in volgare il

Petrarca lirico e il Boccaccio prosatore ricavando una

grammatica della lingua trecentesca, respingendo la

lingua ibrida affermatasi nei diversi centri culturali al

nord come al sud, i localismi e latinismi (emersi nel

secolo delle cancellerie) rifiutò la mescolanza del fiorentino letterario trecentesco con quello vivo, argenteo

(posizione dei fiorentini), riconobbe dignità al volgare e gli applicò le categorie della retorica classica.

Le sue teorie suscitarono ostilità nell'Accademia Fiorentina ma trovarono poi migliore udienza grazie

all'opera del Varchi e furono apprezzate anche dall'Accademia della Crusca, che le integrò nel suo lavoro

contribuendo a rafforzare la continuità della lingua letteraria italiana.

Alcuni elementi del fiorentino argenteo non furono scartati ed entrarono nell'italiano I. Vocali toniche e ed o aperte in sillaba libera in -ie e -uo (brieve, gliele);

II. Dia e stia si affermano su dea e stea;

III. Desinenza in -o per la prima persona dell'imperfetto indicativo: amavo (contro amava dal latino

amabam), che dovrà però attendere il pieno Ottocento per affermarsi.

5. Elementi dinamici dell'italiano letterario Bembo nelle sue Prose della volgar lingua scelse termini che hanno una grande estensione (barca) a

differenza di Galilei che nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo scelse termini di minor estensione

ma di maggiore intensione (gondola) per definire l’imbarcazione tradizionale veneta.

Il risultato raggiunto da Bembo e da altri autori sta nell'aver garantito all'italiano la nobiltà di una lingua

adatta a una cultura intellettuale senza per questo essere aliena dalle dimensioni applicative e dalla capacità

di servire a fini comunicativi diversi.

La promozione di Petrarca e Boccaccio a modelli di stile e di lingua offrì una lingua scritta alla minoranza dei

colti e fece della stessa lingua uno strumento accessibile ai non toscani, nazionale e lontano dai

municipalismi.

Le stampe fornirono compromessi ragionevoli fra il rispetto della lingua antica e l'ammodernamento.

Il latino esercitò un influsso su un più attento controllo della sintassi, permettendo un distacco dalle

irregolarità della sintassi trecentesca.

L’attività di Paolo Beni (1552-1625) Critico dell'Accademia della crusca, fautore di un italiano che si sganciasse dal controllo della lingua antica e

del ruolo modernizzante di Dante e Boccaccio e convinto assertore della superiorità della cultura

cinquecentesca, ammiratore di Tasso e del Guicciardini.

Nel Cavalcanti (1614) la sua risposta ad una replica alla sua critica dell'Accademia della crusca riscrisse una

novella del Decameron (la stessa che il Salviati aveva fatto tradurre in 12 diversi volgari d'Italia) in una

versione libera dal marchio di Firenze e svincolata dall'eredità della tradizione, queste sono alcune delle sue

tendenze della riscrittura:

I. Nell’ordine delle parole una sistematica anticipazione del verbo, che ripristina un ordine più

consentaneo all'italiano rispetto a quello di Boccaccio che lo collocava alla fine del periodo.

II. Avvicinamento del pronome relativo al sostantivo cui si riferisce.

III. Modernizzazione lessicale: cruccio > disgusto.

IV. Monottongazione nella fonetica e nella sintassi: ti priego > pregoti.

La svolta dell’Unità d’Italia Capitolo ottavo

La storia della lingua italiana è intrecciata

alle vicende storiche dell'unificazione

politica, sociale e culturale del paese.

1. La diffusione della lingua dopo il 1861: modello accentrato o modello policentrico?

Quello della nascita del regno d'Italia è stato un avvenimento extralinguistico che ha avuto ripercussioni

anche sulla lingua del paese. Con il suo 75% di analfabeti l'Italia si trovava in una posizione di inferiorità in

confronto a nazioni più progredite.

La frequenza scolastica sembrò l'unico modo per far accostare all'italiano la popolazione, in gran parte

contadina. Nacque così nel 1859 la legge Casati (approvata in primis in Piemonte e poi estesa al resto d'Italia)

che prevedeva l'istruzione obbligatoria per due cicli biennali di scuola elementare. La scolarizzazione fece

scendere la percentuale dell'analfabetismo al 38% (1910).

La commissione della buona lingua e la teoria linguistica del Manzoni

“Dopo l'unità di governo, d'armi e di leggi, l'unità della lingua

serve il più a rendere stretta, sensibile e profittevole l'unità di

una nazione.”

A. Manzoni

Nel 1868 il ministro della pubblica istruzione Emilio Broglio nominò Manzoni presidente di una commissione

finalizzata a diffondere la conoscenza della “buona lingua” e della “buona pronunzia”.

Manzoni redasse la Relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, dove scrisse che:

I. Il fenomeno dell'unificazione linguistica poteva prodursi spontaneamente;

II. Gli scritti di tutte le parti d'Italia e tutti discorsi pubblici erano chiamati per tradizione toscani grazie

al valore di opere famose (le Tre Corone) giudicando il toscano meno distante dai dialetti

settentrionali o meridionali di quanto essi potrebbero essere dal resto, da qui l'indicazione del

fiorentino come la lingua di tutto il paese.

III. Una lingua è tale se soddisfa le esigenze comunicative di una società, sarà quindi più povera o più

ricca in rapporto allo sviluppo e all'articolazione della società stessa.

Manzoni criticò le dottrine linguistiche italiane, secondo cui la tradizione scritta poteva e doveva essere la

fonte della lingua (anche parlata). La sua idea è che i testi del passato riflettono solo una parte della lingua

d'uso e non possono soddisfare il requisito della totalità e dell'adeguatezza: una lingua deve essere in ogni

caso “un tutto”. Studioso di lingua e scrittore creativo, egli prese dalla lingua comune e dall'italiano letterario,

ricco di fenomeni interessanti spesso criticati o ignorati, i materiali per elaborare il proprio stile. Questo fu

un aspetto essenziale dei I Promessi Sposi, che rivelano una grande sensibilità per la lingua parlata e per lo

studio della lingua scritta della tradizione.

Come mezzo per raggiungere l'unificazione indicò un vocabolario del linguaggio fiorentino vivente, attuale,

e di un vocabolario distinto per leggere gli autori antichi. Rottura della continuità tra la lingua moderna e

quella tradizionale. Mancava un vocabolario dell'uso vivo e il dizionario della Crusca mescolava la lingua

letteraria, documentata dalle citazioni degli scrittori antichi, e la lingua moderna.

Nel 1870 cominciò a uscire a fascicoli il Novo vocabolario della lingua italiana che suscitò poco interesse ma

ispirò altri vocabolari di successo più limitati nelle dimensioni come il Novo dizionario del Petrocchi.

La commissione fiorentina reagì diversamente che ai tempi del Bembo, quando rispose ripristinando la

componente dell'uso vivo, difendendo questa volta il polo della tradizione.

La più importante delle critiche al Manzoni fu quella dell'Ascoli con il suo Proemio “all'archivio glottologico

italiano”. L'Ascoli porta cultura e lingua (primati di Firenze) a convergere strettamente e oppone agli esempi

di accentramento di Roma antica e Parigi citati dal Manzoni nella relazione il modello tedesco, proponendo

un modello competitivo: una gara di densità della cultura che sarebbe stata vinta dalla città più produttiva

culturalmente. L’Ascoli rimandava al libero gioco delle proposte culturali che avrebbero permesso alla lingua

di viaggiare con la cultura.

Si affermò la soluzione di Manzoni che proponeva un modello preciso e identificabile.

Il fiorentino come lingua parlata fece grandi progressi grazie alla letteratura di marca fiorentina: i Promessi

Sposi entrarono fra i libri scolastici, Cuore di De Amicis (1886) e Pinocchio di Collodi (1883).

3. I promessi sposi e i malavoglia, romanzo moderno e lingua nuova

I Promessi Sposi influiranno sul italiano comune a differenza dei Malavoglia di Giovanni Verga che verranno

promossi a classico della letteratura italiana negli anni 20 del XX secolo.

Nei primi dell'Ottocento la prosa italiana era ancora immatura, con qualche eccezione: la commedia

goldoniana e Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo (1802); la cultura si esprimeva per lo più

attraverso la poesia.

Manzoni con i suoi Promessi Sposi porta i lettori in una sfera comunicativa nuova, portando all'espressione

verbale atti che uscivano fuori dall'orizzonte di uno storico. Questo il risultato di una lunga fatica che ebbe

come primo approdo Fermo e Lucia (1821) i Promessi Sposi (1827) poi i fiorentinizzati nell'edizione definitiva

del 1840.

Sia Manzoni che Verga esprimono con le loro opere la volontà di rappresentare un mondo nuovo: gli strati

superiori della società sono considerati dal basso ed entrambi gli scrittori puntano a una larga

comprensibilità dell'opera diretta alla comunità dei lettori (e non più alla sola nobiltà). Di conseguenza era

necessario un italiano fondamentale di alta frequenza, diverso dal linguaggio della poesia e delle forme

neoclassiche, che investisse:

I. La sintassi e la gestione dell'informazione;

II. Il lessico e le locuzioni;

III. La fonetica e la morfologia;

Fenomeni sintattici nei Promessi Sposi e nei Malavoglia

Fenomeni del parlato che Manzoni e Verga hanno trasferito nel romanzo, di grande carica innovativa per la

prosa dell'Ottocento che ancora condivideva molte parole con la poesia.

I due scrittori hanno inventato una misura espressiva nuova, lontanissima da una riproduzione piatta del

parlato che messo su carta poco a che vedere con la leggibilità dei Promessi Sposi o dei Malavoglia.

Fenomeno Descrizione Promessi Sposi Malavoglia

Privatizzazione o successione marcata

tema (ciò di cui si parla) -rema (ciò che si dice

nel tema)

Coincide con la

successione soggetto-predicato

Le scappate bisogna

pagarle

Ma trovar la strada, lì

stava il male

Pronome che anticipa categoricamente

l'argomento

Tipo inverso rispetto a di cui sopra

Possibile che non sappiate dirle chiare le

cose?

Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta

Elementi irrelati sintatticamente

Anacoluti o soggetto sospeso

A Renzo in fatti quel pensiero gli era venuto

Che polivalente

Connettivo generico di cui non è possibile

distinguere tra valore causale, dichiarativo, finale o consecutivo

Bisogna andar

domattina da Ferrer, che quello è un

galantuomo

Lo zio Crocifisso campana di legno

dimenava il capo che pareva una campana

senza batacchio davvero

Che polivalente di

natura relativa

Tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far

qualche bell'impresa, correvan là

Periodo ipotetico misto

Se Lucia non faceva quel segno, la risposta

sarebbe probabilmente stata diversa

Frasi foderate

Tipiche del parlato, la parte iniziale della frase

è ripetuta alla fine

L’hai da pagar con usura, l'hai da pagare

Questo e quello rafforzati

rispettivamente da qui e lì

Quel cardinale là di

Francia

Quelle facce lì non mi

piacciono

Per quanto riguarda il registro espressivo nuovo Manzoni si risolse per il fiorentino dell'uso attuale e Verga

poi proseguì nella stessa direzione, non avendo egli alcuna simpatia per la letteratura dialettale, diceva che

il pensiero nasceva italiano nella sua mente.

Fino a qualche decennio fa i critici hanno continuato a ripetere che Verga adattava all'italiano l'andamento

del siciliano mentre gli ultimi studi linguistici hanno messo in luce il registro colloquiale di diffusione italiana

(e non regionale) che i grandi scrittori avevano colto e rappresentato, aspetto distinto dall'italianizzazione di

parole ed espressioni locali.

Altri elementi comuni Promessi Sposi Malavoglia

L'uso di avere con la particella ci Averci colpa //

L'egocentrismo del parlato Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose

Io per me li vorrei tutti arsi

Il rilievo della testimonianza visiva per rafforzare la veridicità

di un'affermazione

Quelli che sostengono ancora che non era vero, non lo vengano

a dire a me; perché le cose bisogna averle viste

Li ho visti io cogli occhi miei, e lo sa tutto il paese

L'importanza del soprannome Azzecca-garbugli Malavoglia

Lessico e locuzioni Il numero delle parole usate in entrambi romanzi non è molto alto e questo perché si trattava di individuare

l'italiano fondamentale, la lingua dell’uso e bisognava insistere sulle stesse strutture (continue ripetizioni del

generico fare). Per Manzoni la variazione della parola può essere fonte di imprecisione o di equivoco e a

questo opponeva il fiorentino, realtà linguistica unitaria, compatta, identificabile.

Caratteristica propria del romanzo italiano in quegli anni sta nell'evitare il romanzesco, la spettacolarità, la

drammatizzazione e nel dar vita a una finzione coerente e compatta che rappresenti i ritmi della vita di

paese.

Osservazioni sui Promessi Sposi edizione 1840

Soluzioni scartate Accettate

Dimanda Domanda e domandare

Conchiudere Concludere

Egli ed ella Lui e lei

Gli che fu impiegato anche per il plurale loro

Un tratto del fiorentino argenteo che Bembo e la tradizione

letteraria avevano respinto ma che viveva nella parlata di Firenze

Per la prima persona dell'imperfetto indicativo

adotta l'uscita in -o

Vi è C'è

Queste soluzioni manzoniane si prolungano nell'italiano di oggi, diversamente da quelle che furono scartate

nell'edizione definitiva.

Manzoni interpretò le rafforzò la tendenza di dare prestigio al fiorentino già presente presso ambienti

estranei al suo modello per quanto riguarda l'affermazione delle sue scelte, essa fu lenta e graduale. Ci furono

comunque delle forme dei promessi sposi che non passarono per intero nella lingua dell'ottocento anche

se facevano parte dei primi elementi impartiti dall'insegnamento della lingua, e non fanno parte dell’attuale

italiano:

Chiusura tipicamente fiorentina dei dittonghi in uo in o

Ovo e omo contro luogo e suono

Giovine

Ufizio

Apocope ed elisione (non si trovan nel manoscritto)

Codesto

4. Il colore del luogo Verga, con i Malavoglia, rifà per conto suo il cammino intrapreso da Manzoni e poi interrotto con il Fermo e

Lucia. Egli ritrova il registro italiano popolare-colloquiale ben presente nei promessi sposi portando in avanti

gli esiti del Manzoni e parla di colore locale ai suoi corrispondenti, mentre Manzoni usa i termini colore

municipale, dove intende quello scrivere nel “dialetto di cui uno sia servito nelle occasioni più attive della sua

vita, per l'espressione più immediata e spontanea dei suoi sentimenti” che caratterizza tanta prosa scritta

fuori dalla Toscana. L'impasto linguistico dell'edizione dei promessi sposi detta ventisettana vedeva

mescolarsi il fiorentino della tradizione letteraria con quello moderno, assieme a francesismi, latinismi e

lombardismi. Una strada che Manzoni ebbe il coraggio di abbandonare quando ne trovò un'altra che gli

apparve, ed era, migliore.