L'Italiano Contemporaneo_Paolo D'Achille

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PAOLO D'ACHILLEL'italiano contemporaneoIndice: Premessa. - I. La lingua italiana oggi. - II. Onomastica. - III. Lessico. - IV. Fonetica e fonologia. - V. Morfologia flessiva. - VI. Morfologia lessicale. - VII. Sintassi. - VIII. Le varietà parlate. - IX. Le varietà scritte. - X. Le varietà trasmesse. - Conclusioni. - Quadri. - Bibliografia. - Chiave degli esercizi. - Indice analitico.

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  • Questa serie, dedicata alla Lingua italiana, curata da Francesco Bruni e comprende i seguenti volumi:

    ~ Marcello Aprile Da lle parole ai dizionari

    ~ Francesco Bruni L'ita liano letterario nella storia

    ~ Paolo D'Achille L'italiano contemporaneo

    ~ Mari D'Agostino Sociolinguistica dell'Italia contemporanea

    ~ Nunzio La Fauci Compendio di sintassi italiana

    ~ Carla Marcato Dialetto, dialetti e italiano

    ~ Carla Marcato Nomi di persona, nomi di luogo. Introduzione all'onomastica italiana

    ~ Giuseppe Patota Nuovi lineamenti di grammatica storica dell'italiano

    ..,.. Luca Serianni Italiani scritti

    in preparazione:

    ~ Nicola De Blasi L'italiano regionale

    PAOLO D'ACHILLE

    L'italiano contemporaneo

    il Mulino

  • I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attivit della Societ editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it

    ISBN 978-88-15-13833 -0 Copyright 2003 by Societ editrice il Mulino, Bologna. Terza edizione 2010. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di que-sta pubblicazione pu essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni!fotocopie

    Finito di stampare nel mese di settembre 2011, presso Litosei, via Rossini 10, Rastignano, Bologna

    Indice

    Premessa

    l. La lingua italiana oggi

    l. L'italiano e la sua diffusione 2. n tipo linguistico italiano 3. Caratteri dell'italiano 4. L'italiano standard 5. Le variet dell'italiano contemporaneo 6. Un nuovo italiano? Esercizi

    --

    Il. Onomastica

    l. L' onomastica italiana 2. I toponimi 3. I nomi di persona 4. Ipocoristici, soprannomi e pseudonimi 5. I cognomi 6. Marchionimi e nomi di esercizi 7. La deonomastica Esercizi

    9

    13

    13 21 23 28 31 36 37

    41

    41 43 45 49 52 55 57 58

  • 6 INDICE INDICE 7

    111. Lessico 61 VII. Sintassi 169 l. II1111H IliO d1 it-s~ il'O 61 l. La frase semplice 169 l . lll1 '~1m 11 :diano 67 i 2. La frase interrogativa 182

    ~ . 1.1 1 Ollll>

  • Il IN! liti

    3. l . La lessicologia semantica 3.2. Geosinonimi e geoomonimi

    4 .l. Le lettere straniere

    5 .l. Il genere nei nomi di esseri animati 5.2. Gli allocutivi 5.3 . Il pronome si

    6.1. La lessicalizzazione degli alterati 6.2. Le retroformazioni

    7 .l. La posizione dell'aggettivo 7 .2 . Anacoluti o temi sospesi?

    8.1. L'oggetto preposizionale 8.2. Le interiezioni e gli idefoni 8.3. Code switching e code mixing

    9 .l. Lo stile nominale 9.2. I segni di punteggiatura

    10.1. La lingua della pubblicit

    Bibliografia

    Chiave degli esercizi

    Indice analitico

    63 71

    101

    121 128 131

    153 165

    173 179

    199 203 208

    226 230

    252

    269

    279

    283

    Premessa

    Questo volume vuole essere una descrizione dell'italiano contempora-neo da utilizzare in moduli indirizzati agli studenti dei corsi di laurea trien-nale (non solo nella classe delle Lettere, ma anche in altri corsi di studio, come Lingue e culture moderne o Scienze della comunicazione) che debba-no acquisire un certo numero di crediti nel settore scientifico-disciplinare attualmente denominato L-FIL-LET/12- Linguistica italiana, e che inten-dano privilegiare la prospettiva sincronica rispetto a quella diacronica.

    Dato il suo carattere didattico, il testo da un lato non presuppone spe-cifiche conoscenze da parte dei lettori, dall'altro non intende addentrarsi in questioni d'ordine teorico. Il suo scopo, semplicemente, quello di presen-tare, con una certa ampiezza, ma senza pretese di esaustivit, l'italiano con-temporaneo ai vari livelli di analisi linguistica, dalla fonetica e fonologia alla morfologia flessiva e lessicale, dalla sintassi al lessico (compreso il settore dell'onomastica, in genere trascurato nelle trattazioni generali). Per ogni li-vello di analisi si cercato di mettere in rilievo tanto le strutture della nostra lingua quanto quelle che da oltre un decennio vengono indicate come li-nee di tendenza, prospettando possibili evoluzioni dell'attuale sistema, che presenta molti tratti conservativi, grazie ai quali l'italiano attuale si collega alla lingua della tradizione letteraria di base fiorentina e toscana, ma anche vari fenomeni innovativi, che si scostano dal modello tradizionale. Non sono stati tralasciati, inoltre, alcuni aspetti di carattere variazionale particolar-mente significativi: specifici capitoli sono infatti dedicati all'italiano parlato, allo scritto, al trasmesso.

  • 10 PREMESSA

    Questo lavoro, condotto in parte sulla falsariga delle lezioni del modulo che ogni anno accademico dedico all'italiano contemporaneo, utilizza qua e l, rielaborandole, mie precedenti ricerche su talune tematiche affrontate (dall'italiano dei semicolti alle variet regionali, dalla sintassi del parlato a problemi di norma dello scritto contemporaneo, ecc.), ma per molti altri aspetti debitore alla letteratura disponibile (che solo in minima parte si potuta citare nella bibliografia finale).

    Moltissime sono le persone amiche che dovrei ringraziare, con le quali ho discusso varie questioni qui affrontate, a partire dai maestri (in primis Francesco Sabatini, i cui insegnamenti credo traspaiano in molte pagine del libro) , dalle col-leghe e dai colleghi e dalle studentesse e dagli studenti (tra cui Riccardo Cimaglia e Lodovico Bell, che mi hanno gentilmente fornito i loro appunti delle mie le-zioni) delle Facolt di Lettere e Filosofia delle Universit in cui mi sono formato , ho insegnato e insegno tuttora (Roma La Sapienza, L'Aquila, Roma Tre) . Un ringraziamento particolare va al direttore della collana, Francesco Bruni, per la proposta di scrivere questo volume, per la pazienza con cui lo ha atteso e per i numerosi consigli e suggerimenti con cui lo ha seguito; ringrazio anche l'amico Domenico Proietti per le sue osservazioni dopo un'attenta lettura dei vari capito-li. Naturalmente, la responsabilit degli errori solo mia.

    Vorrei dedicare questo lavoro ai miei due figli, Giorgio, che non ha ancora sei anni, e Andrea, che ne ha quasi uno e mezzo: un po' perch, non essendo ancora in grado di leggerlo, non potranno adontarsi della dedica; un po' perch, visto che qui si tratta di italiano contemporaneo, mi pare giusto cercare una dimensione storica pensando anche a possibili futuri lettori.

    P. D'A. maggio 2003

    PREMESSA 11

    PREMESSAALLA SECONDA EDIZIONE

    Questa nuova edizione non presenta sostanziali cambiamenti rispetto al testo precedente: mi sono limitato, oltre che a correggere qualche svi-sta (in modo pi sistematico di quanto abbia potuto fare nelle precedenti ristampe), ad apportare qua e l piccoli ritocchi, qualche spostamento e alcune integrazioni. Le modifiche, pi o meno ampie a seconda dei capitoli, cercano di arricchire l'esemplificazione e di tenere conto sia di personali approfondimenti ( il caso del quadro dedicato alle retroformazioni e di qualche precisazione sull'uso delle frasi scisse nel parlato) sia soprattutto di alcuni dei numerosi studi apparsi nel frattempo. Anche la bibliografia finale si presenta, nei limiti del possibile, ampliata e aggiornata.

    Tra colleghi e colleghe e amici e amiche che mi hanno fornito segnala-zioni e suggerimenti su singoli punti ringrazio in particolare Enzo Caffarelli, I0rn Korzen, Domenico Proietti, Salvatore Claudio Sgroi, Antonella Stefin-longo, Anna M. Thornton e Andrea Viviani. La responsabilit della mancata correzione o dell'aggiunta di errori e sviste resta ovviamente soltanto mia.

    settembre 2006 P. D'A.

    PREMESSAALLA TERZA EDIZIONE

    La terza edizione, che esce a distanza di quattro anni dalla precedente, propone come unica novit sostanziale il corredo di una serie di esercizi di verifica posti alla fine di ogni capitolo, che spero possano essere utili allo studente per accertare il proprio livello di preparazione. Per la loro predi-sposizione mi sono giovato della collaborazione del mio allievo Riccardo Cimaglia, che ringrazio di cuore.

    Per il resto, il testo presenta soltanto qualche minimo ritocco (correzio-ni di sviste, piccole aggiunte e precisazioni in qualche punto particolare). La bibliografia finale, per, stata aggiornata: numerose, infatti, sono state le pubblicazioni apparse negli ultimi anni su vari aspetti dell'italiano di oggi ed parso doveroso registrarne in questa nuova edizione almeno alcune, scelte tra le pi significative, in modo che il lettore che voglia approfondire le te-matiche proposte nel volume possa trovarvi anche l 'indicazione degli studi pi recenti sugli argomenti via via trattati.

    giugno 2010 P.D'A.

  • ~w l La lingua italiana oggi

    L'italiano ha avuto una storia particolarissima: stato infatti per secoli una lingua adoperata relativamente poco nella comunicazione parlata e invece utilizzata molto pi spesso nello scritto. Ancora oggi in Italia la lingua nazionale convive con i dialetti e con gli altri sistemi lingui-stici usati da alcune minoranze di cittadini. L'italiano contemporaneo, che per diversi aspetti si allontanato dalla lingua della tradizione letteraria di base fiorentina e toscana, si presenta come una gamma di variet e assume caratteristiche diverse in rapporto alle situazioni comunicative e ai tipi di testi (scritti, parlati e trasmessi).

    l. L'ITALIANO E LA SUA DIFFUSIONE

    L'italiano va certamente considerato come na delle grandi lingue di cultura. La civilt di cui ed stato espressione, infatti, ha dato un notevole contributo alla formazione della cultura occidentale: basti pensare a campi come la letteratura, la musica, le arti figurative, nei quali, in vari momenti storici, l'Italia stata un punto di riferimento importante per gli altri paesi europei. Pi recentemente, il made in Italy ha avuto e continua ad avere un successo internazionale nella gastronomia, nel cinema, nella moda, nello stesso stile di vita. Proprio grazie al prestigio italiano in questi mbiti, molte parole italiane sono entrate (adattate o no) in altre lingue e appartengono ormai al lessico internazionale.

  • Il

    ~!ljllli ti 1 l!'~ii di"'"' fiO 11 11 111 if\ i1 w d1m111utivo di suono), che IH t! lllilljlllldtl!l l dtH' qll.llllll l' l' due terzine di endecasilla-

    !ltiilill 111liu,11t i'' ' l.1 prima volta nel secolo XIII dalla jill' ,,, J,q j. ll 1 l ~~' ' wroli da poeti di ogni lingua; di allegro t~i>~I!IvI ( H 1 IIHII Gtre in musica un tempo piuttosto rapi-

    (,HiiiH' '""'i ""'u d.1 due aggettivi, che indica il noto strumento 1111 l l,, 11 /rt'lm, tecnica pittorica realizzata con colori applicati

    i!lll!!llli.li n ""' ' 11 11 f11 sw); di maccheroni (voce di etimo incerto, usata gi dal l Ili!! .~ l \' 1" 1 ll ll ll \, 11'\: la pastasciutta in generale o di un particolare tipo) ; di

    l11/ 1 , 1,, t1 /IO I1 C diffusa col film di Federico Fellini del1960, che indica un 111 111 11111,11 1" 111odo di vivere e, nella moda, una maglietta a collo alto. Ormai usato i11 11 111 .1/ IOIWimcnte anche il saluto amichevole ciao, di origine veneta (deriva da \l h i avo !', nel senso di 'sono schiavo tuo', 'ai tuoi comandi').

    La diffusione dell'italiano nel mondo, sebbene abbia registrato negli ul-timi decenni una costante crescita, non comunque paragonabile a quella dell'inglese, del francese o dello spagnolo, lingue che, soprattutto in seguito al colonialismo, sono parlate anche in continenti diversi dall'Europa o usate ufficialmente nelle comunicazioni internazionali. vero che, soprattutto in seguito al fenomeno dell'emigrazione, non mancano affatto nuclei di italfo-ni (cio di persone che parlano italiano) sparsi per il mondo (in particolare in America latina e in Australia), e neppure zone in cui l'italiano (molto sem-plificato) costituisce una sorta di lingua franca usata tra lavoratori appar-tenenti a gruppi etnici diversi; una certa conoscenza dell'italiano sopravvive poi nelle ex colonie africane (in particolare in Eritrea e in Somalia) e, pi di recente, il successo della televisione italiana, sia pubblica sia privata, ha con-tribuito a diffondere (o a rilanciare) la nostra lingua nel bacino del Mediter-raneo, specie a Malta o in Albania. Ancora pi significativo il fatto che negli ultimi decenni, da quando cio l'Italia diventata non pi paese di emigranti ma anche meta di immigrati, e non solo di turisti, l'italiano stato acquisito, e per via diretta (cio, secondo la terminologia della glottodidattica, come L2), da molti lavoratori stranieri, di diversissima origine (dai paesi ex comu-nisti dell'Est europeo al Pakistan e alle Filippine, dall'Africa settentrionale all'America meridionale) , venuti a lavorare, per periodi di tempo anche piut-tosto lunghi, nel nostro paese. Nella maggioranza dei casi, per, l'italiano usato da coloro che sono nati e risiedono nella penisola italiana e nelle isole

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 1 5

    a essa geograficamente pertinenti, che appartengono politicamente allo stato italiano. A parte il caso delle piccole enclaves costituite dalla Repubblica di San Marino e dalla Citt del Vaticano, c' da registrare solo qualche rara espansione al di fuori dei confini statali: il Canton Ticino, in Svizzera (dove si parla un dialetto lombardo e l'italiano una delle lingue ufficiali della Con-federazione Elvetica), la Corsica (dove si parlano dialetti di tipo centrome-ridionale, ma la lingua della cultura e dell'amministrazione ormai da oltre due secoli il francese), qualche localit costiera dell'Istria e della Dalmazia (regioni legate in passato politicamente e culturalmente a Venezia e all'Italia, nelle quali sopravvivono ancora piccole minoranze di italiani).

    Ma neppure in Italia tutti gli italiani (che sono circa 60 milioni) usano sempre e solo l'italiano: un po' in tutta la penisola, infatti, l'italiano convive da secoli con i dialetti locali, tuttora usati, e non solamente dalle fasce pi anziane della popolazione, sia nel parlato, specie con i familiari e con gli amici (in particolare in certe zone, come il Veneto o la Sicilia, dove la vitalit del dialetto pi accentuata) , sia anche nello scritto (soprattutto in poesia, ma pure nei testi teatrali) . Anzi, la ricchezza e la variet dei dialetti, che una conseguenza della frammentazione romanza, in Italia particolarmente accentuata, succeduta all'unit linguistica latina e, pi alla lontana, della dif-ferenziazione etnica propria della nostra penisola prima della sua unificazio-ne a opera dei Romani, una caratteristica per molti aspetti esclusiva della realt linguistica italiana, legata a peculiarit geografiche (facilit di approdi via mare; valicabilit della catena delle Alpi e, viceversa, relativo isolamento delle diverse zone appenniniche) e a particolari vicende storiche da esse di-pendenti (frequenza delle invasioni, accentuazione dei particolarismi locali anche sul piano politico, ecc.) .

    Deve dunque essere chiaro che i dialetti italiani (vedi quadro 1.1) non rappresentano variet locali della lingua nazionale, n tanto meno deforma-zioni o corruzioni di questa, ma, proprio come l'italiano letterario- costitui-tosi anch'esso sulla base di un dialetto (il fiorentino trecentesco)- e come le altre lingue e dialetti romanzi, derivano dal latino volgare e hanno dunque, dal punto di vista storico-linguistico, la stessa dignit della lingua. Oggi, peraltro, molti italiani alternano lingua e dialetto in un rapporto che viene detto non tanto di bilinguismo, quanto di diglossia, cio scelgono l'uno o l'altro codice a seconda della situazione comunicativa.

  • 16 CAPITOLO 1

    QUADRO 1.1.

    I dialetti italiani

    Non nostro compito tracciare qui un profilo approfondito dei dialetti ita-liani. Il problema delle suddivisioni dialettali del nostro paese del resto molto complesso e le classificazioni dei dialetti italiani sono state spesso assai diverse tra loro. Una delle pi fortunate la Carta dei dialetti italiani, approntata da Giovan Battista Pellegrini nel1977 soprattutto sulla base dei dati raccolti, tra il1919 e il1928, nell'Atlante !taio-Svizzero (a questa carta si ispira, con alcune significative innovazioni, quella tracciata da Francesco Sabatini nel1997, ripro-dotta, con qualche ulteriore modifica, nella fig. 1). Pellegrini ha elaborato anche il concetto di i taio-romanzo, con riferimento al complesso delle parlate dialetta-li della nostra penisola e delle isole a essa adiacenti che riconoscono come lingua di cultura (lingua guida o lingua tetto) l'italiano.

    Sul piano dialettologico la prima fondamentale distinzione quella tra i dia letti settentrionali, parlati nelle zone a nord di quella che viene definita come linea La Spezia-Rimini, che corre grosso modo dal Tirreno all'Adriatico lw1go l'Appennino tosco-emiliano, e i dialetti centromeridionali, parlati a sud di questa linea. Tra i dialetti settentrionali possiamo poi ulteriormente distinguere: i dialetti gallo-italici, parlati nelle zone anticamente abitate da popolazioni celtiche, e cio in gran parte del Piemonte, in Liguria, in Lombardia e in Emilia-Romagna, oltre che, in seguito ad antichi fenomeni migratori, in alcune isole linguistiche della Basilicata e della Sicilia (un dialetto ligure usato anche in due centri della Sarde-gna sudoccidentale, Carloforte e Calasetta), e i dialetti veneti, parlati nelle zone anticamente abitate dai Veneti, e cio nel Veneto, nel Trentino e nella Venezia Giulia; nei dialetti settentrionali rientrerebbero anche quelli parlati in !stria, al di fuori dei confini nazionali e dunque ormai esterni al territorio italo-romanzo. All'insieme dei dialetti centromeridionali appartengono invece: i dialetti toscani, parlati appunto in questa regione; i dialetti crsi, parlati nella Corsica, politica-mente francese (e che pertanto Pellegrini esclude dal dominio italo-romanzo); i dialetti mediani, parlati nelle altre regioni dell'Italia centrale (in particolare a sud della linea Roma-Ancona e cio nelle Marche centrali, nell'Umbria e nel Lazio a est del Tevere e nell'Abruzzo aquilano; quelli a nord della linea Roma-Ancona, detti

  • 18 CAPITOLO 1

    dialetti settentrionali hanno caratteristiche che li accomunano alle lingue romanze occidentali (portoghese, spagnolo, catalano, francese, provenzale), quelli mediani e meridionali fanno parte, insieme al rumeno, del mondo romanzo orientale. I dia-letti toscani si collocano un po' a met strada perch, pur rientrando tra i dialetti centromeridionali, hanno alcuni tratti in comune con quelli settentrionali.

    I dialetti settentrionali sono caratterizzati sul piano fonetico da tratti come la sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche latine, l'assenza di con-sonanti doppie, la tendenza alla caduta delle vocali atone (cio non accentate) , specie quelle che si trovano in fine di parola (a parte la a): i tre fenomeni si posso-no esemplificare citando una sola parola,/radel, derivata, come l'italiano fratello , dal lat. FRATELLUM, diminutivo di FRATREM. I dialetti gallo-italici del Piemonte e della Lombardia hanno ulteriori tratti caratteristici, come per esempio le vocali procheile anteriori (comuni al francese) rese foneticamente con [y] e [re] egra-ficamente con ii e o (luna 'luna',/og 'fuoco'), mentre i dialetti veneti non hanno questi suoni e presentano una minore tendenza alla caduta delle vocali atone.

    I dialetti toscani, in particolare il fiorentino , sono quelli che hanno costitui-to la base dell'italiano, al quale sono dunque strutturalmente vicini: sono infatti toscani, e pi precisamente fiorentini, molti tratti fonetici dell'italiano, tra cui il sistema vocalico costituito, come vedremo nel capitolo IV, 3 .l , da sette vocali accentate, o l'esito del suffisso latino -ARIUM!-AM in -aiol-a e non in -arol -a o -ero/ -a, come nelle altre aree dialettali italiane. Ci sono per anche fenomeni toscani che l'italiano non ha accolto: tra questi particolarmente importante la cosiddetta gorgia, cio la pronuncia aspirata (o per meglio dire spirantizzata) delle conso-nanti occlusive sorde intervocaliche p, t e, in particolare, c (foneticamente [k]), che porta alla pronuncia di capo, prato e amico come capho, pratho e amiho.

    I dialetti mediani conservano la distinzione latina tra -o e -u finale (omo, dal lat. HOMO, ma/erru dalla t. FERRUM) , mentre nei dialetti meridionali tutte le vocali non accentate, specie se in fine di parola (anche qui con la parziale eccezione della a), si indeboliscono fino a una vocale centrale detta schwa, corrispondente alla indistinct vowel dell'inglese ago, the, e alla e muta del francese venir, resa fonetica-mente con[;}] e graficamente con e o anche con e. Un vocalismo particolare carat-terizza poi i dialetti meridionali estremi, che in posizione finale ammettono solo a, i e u. Molte sono le caratteristiche fonetiche comuni a tutti i dialetti centrome-ridionali (Toscana esclusa), tra cui ricordiamo: la metafonesi, fenomeno per cui si hanno variazioni nel timbro della vocale tonica dovute alla presenza di -ol-u (lat. -u) e -i finali, con esiti come russu 'rosso' o uocchie 'occhi', misi 'mesi' o cappiello 'cappello'; le assimilazioni come quanno 'quando' o gamma 'gamba'; la tendenza alla sonorizzazione delle consonanti sorde dopo nasale, re l, come trenda 'trenta' , tiembe 'tempi',;mgo 'bianco', aldare 'altare', alzare con la z sonora, ecc.

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 19

    Abbiamo finora affidato la caratterizzazione dei dialetti italiani a fatti fo-netici, di pronuncia, ma le differenze tra i vari dialetti investono anche gli altri livelli dell'analisi linguistica; per la morfologia e la sintassi basti rilevare:

    nei dialetti settentrionali e in quelli toscani, l'obbligatoriet del pronome personale soggetto (spesso foneticamente ridotto e non accentato) davanti al verbo, in forme come el dize '(lui) dice' ; la viene '(lei) viene';

    nei dialetti mediani e meridionali, la presenza del neutro di materia, distinto dal maschile in articoli e pronomi dimostrativi (lo /erru 'il ferro ', come materiale, vs lu/erru 'l'oggetto di ferro' ; chelle 'ci' vs chille 'quello'), e del co-siddetto oggetto (o accusativo) preposizionale, cio l'uso della preposizione a prima di un complemento oggetto riferito a persona (si pensi al napoletano sient'a mme 'ascoltami'; su questo secondo fenomeno vedi quadro 7.1) .

    Ancora pi sensibili le differenze lessicali, legate alla variet delle tradizioni culturali, che peraltro possono caratterizzare anche aree dialettali contigue: citiamo almeno l'opposizione, segnata dalla linea Roma-Ancona, tra donna e femmina.

    Non dialetti italiani, ma sistemi linguistici autonomi all 'interno del dominio italo-romanzo vanno considerati illadino dolomitico, parlato in alcune vallate alpine del Trentino-Alto Adige e del Veneto (ma oggi, per motivi extralinguistici, la qualifica di ladino tende a essere impropriamente attribuita ai dialetti di molti centri montani del Veneto), e il friulano (usato appunto nel Friuli), che alcuni linguisti collocano, insieme al romancio (parlato nel cantone svizzero dei Grigio-ni e detto anche tadino grigionese), nel cosiddetto gruppo retoromanzo, sulla cui effettiva identit sono state per espresse da altri studiosi molte riserve, visto che alcuni tratti comuni a questi sistemi, come l'espressione del plurale attraverso la desinenza -s, erano anticamente propri dell'intera area settentrionale. Vanno tenuti ben distinti dai dialetti italiani anche i vari dialetti parlati in Sardegna (da nord a sud: gallurese e sassarese, pi toscaneggianti; logodurese, particolarmente arcaico; campidanese), che nel loro complesso costituiscono il sardo.

    Per gli usi pi formali (e soprattutto nello scritto) ci si serve di norma dell'italiano (tranne in casi particolari, tra cui ricordiamo almeno la poesia in

    ft dialetto), per quelli informali (specie nel parlato della conversazione familiare) si ricorre ancora non di rado al dialetto. Non mancano neppure fenomeni di com-mistione, spontanea o intenzionale, tra i due diversi sistemi (vedi quadro 8.3 ). Ma in molte zone d'Italia tanto la lingua nazionale quanto il dialetto locale possono essere adoperati nella conversazione ordinaria ed l 'italiano (e non il dialetto) la lingua prevalentemente usata per rivolgersi ai bambini; questa situazione stata definita da Gaetano Berruto come dilala.

  • 20 CAPITOLO l

    QUADRO 1.2.

    Le minoranze allogltte

    Oltre alladino, al friulano e al sardo, considerati lingue minoritarie dalla legislazione pi recente, ai quali abbiamo gi accennato nel quadro 1.1, le altre lingue delle minoranze allogltte parlate nel territorio italiano (che possibile individuare nella stessa fig. l) sono: il franco-provenzale in Valle d 'Aosta (dove la lingua di cultura il francese) e in alcune localit del Piemonte, nonch in due paesi in provincia di Foggia (Faeto e Celle); il provenzale (o occitnico) in varie zone alpine del Piemonte e a Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza (dove si trasfer anticamente una comunit valdese); il tedesco in Alto Adige (Siid Tirol) e, in distinte variet dialettali (alemannico, cimbrico, bavaro, ecc.), in alcune piccole zone dell'arco alpino, dalla Valle d'Aosta al Friuli; lo sloveno in Venezia Giulia (e varr la pena di ricordare che nel periodo in cui l'Istria ap-partenne al Regno d'Italia oltre allo sloveno erano lingue di minoranza anche il croato e l' istrorumeno) ; il croato in qualche comune del Molise; l'albanese (nella variet detta arb'resh, diversa da quelle parlate in Albania, il tasca e il ghego) in vari centri del Sud, dall'Abruzzo alla Sicilia; il grico (o romaico, dialetto neogre-co) in qualche localit del Salento e dell'Aspromonte; il catalano ad Alghero, in Sardegna. Non vanno dimenticate, infine, le lingue parlate dai rom, gli zingari ormai da tempo stabilizzati nel nostro paese, dette nel loro complesso romanes.

    La presenza nel territorio italiano di minoranze allogltte ha motivazioni diverse. Da un lato si spiega con la mobilit dei confini politici e amministrativi, che, cos come del resto quelli geografici, pi oggettivi, non sempre coincidono con i confini linguistici: questo il caso delle minoranze insediatesi da secoli lungo l'arco alpino, che parlano prevalentemente variet di lingue diffuse anche al di l delle Alpi, a volte (come nel caso del tedesco in Alto Adige) in un'in-dubbia continuit anche culturale con il paese confinante. Da un altro lato la presenza delle minoranze legata a fenomeni immigratori analoghi a quelli che avvengono anche oggi, sia pure in proporzioni diverse: gi in passato piccoli gruppi di emigrati o di esuli arrivarono nel nostro paese, per lo pi via mare, e si stabilirono in alcuni centri peninsulari o insulari. Pi controversa l'origine del-la comunit ladina e della minoranza greca; quest'ultima per alcuni storici risali-rebbe non all'epoca bizantina, ma addirittura alla Magna Grecia preromana.

    Sul piano numerico, l'entit delle comunit allogltte molto varia: esclu-dendo sardi e friulani, si va dai quasi trecentomila tedescfoni dell'Alto Adige ai circa 2.500 croati del Molise.

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 21

    All'interno dei confini nazionali esistono inoltre le cosiddette comunit aiJogltte (o eterogltte), che parlano altre lingue, romanze e non romanze, appartenenti comunque al territorio itala-romanzo, secondo la definizione che ne ha dato Giovan Battista Pellegrini (vedi quadro 1.2).

    Queste minoranze linguistiche (definite storiche perch esistenti ab antiquo e quindi ben distinte da quelle dovute alle immigrazioni recenti) sono state tutelate anche sul piano legislativo con la legge n. 482 del 15 dicembre 1999 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 297 del20 dicembre 1999), che peraltro si apre con la dichiarazione: La lingua ufficiale della Repubblica l'italiano (affermazione non contenuta, invece, nella nostra Costituzione) . La stessa legge considera lingue minoritarie sia illadino, sia anche il friulano e il sardo (quest'ultimo a dispetto della sua mancanza di unitariet interna), ma non gli altri sistemi dialettali diversi dal toscano, il che stato (ed ancora) oggetto di discussioni e polemiche.

    2. IL TIPO LINGUISTICO ITALIANO

    A tutti i livelli dell'analisi linguistica, dalla fonetica alla fonologia, dalla morfologia alla sintassi, al lessico (livelli che descriveremo nei capitoli se-guenti), l'italiano presenta alcune caratteristiche proprie, che consentono di individuarlo rispetto alle altre lingue romanze e non romanze (e anche ai vari dialetti italiani) e che nel loro complesso costituiscono il tipo linguisti-co italiano.

    Tra le caratteristiche principali, alcune delle quali sono state rilevate impressionisticamente gi in epoca anteriore alla nascita della linguistica scientifica, e soprattutto dagli stranieri, segnaliamo brevemente:

    l 'importanza delle vocali nella struttura sillabica italiana e, in particolare, la pressoch generale terminazione delle parole in vocale (varr la pena di ricordare che soprattutto sulla base di questa carat-teristica nacque, tra Seicento e Settecento, il mito dell 'italiano come idioma intrinsecamente musicale e dunque naturalmente adatto al can-to, da cui deriv la fortuna non solo europea dell 'italiano nell'opera lirica);

  • J ( 1\I'IIOlO l

    la libert di posizione dell'accento tonico e al tempo stesso la fre-quenza delle parole accentate sulla penultima sillaba (e viceversa la rela-tiva scarsit di monosillabi e di parole accentate sulla sillaba finale);

    la possibilit di esprimere i concetti di grandezza, piccolezza, ecc. attraverso il meccanismo dell'alterazione, aggiungendo cio a nomi (e ad aggettivi) suffissi diminutivi, vezzeggiativi, accrescitivi, ecc., come -inal-a, -ettol-a, -anel-a, ecc. (una piccola casa una casina o una casetta, un uomo alto robusto un omone, un colore giallo chiaro pu essere detto giallino, ecc.);

    la formazione delle parole anche attraverso il meccanismo della composizione, che prevede la possibilit di unire nome+ nome (cassa-panca), verbo+nome (cavatappi), nome+aggettivo (cassa/orte), ecc.;

    la non obbligatoria espressione del pronome personale che fa da soggetto al verbo (mangio e non necessariamente io mangio; piove, diver-samente dal francese il pleut e dall'inglese it rains);

    la preferenza, come le altre lingue romanze, per la sequenza de-terminato+ determinante e non, come in greco, in latino, in inglese e in altre lingue germaniche, determinante+ determinato (il libro di Paolo, piazza Mazzin i, rose rosse, pausa caff e non Paul's book, Tra/algar Square, red roses, coffee break);

    la tendenza, anche questa in comune con le altre lingue romanze (rispetto alle quali l'italiano si caratterizza per una notevole complessit morfologica e sintattica), a concentrare l'informazione semantica non nel verbo, posto al centro della frase, come avviene nelle lingue germani-che (dette per questo endocentriche), ma nel nome, che pi all'esterno (si parla perci di lingue esocentriche). Per esempio, nel confronto tra la frase italiana L'automobile entr nel cortile e la corrispondente in tedesco Der Wagen/uhr in den Ho/(hinein), si nota che al sostantivo tedesco Wa-gen 'mezzo di trasporto a ruote' corrisponderebbero in realt pi nomi italiani (oltre ad automobile, anche carro, carrozza ,furgone, ecc.), mentre il verbo italiano entrare meno specifico del tedesco fahren, che precisa che si tratta di un movimento di un mezzo dotato di ruote;

    la relativa libert dell'ordine delle parole all'interno della frase, che consente di porre il soggetto, normalmente collocato prima del ver-bo, anche dopo questo (Giovanni ha parlato, ma anche ha parlato Gio-vanni; la prossima settimana Maria verr a Roma, ma pure a Roma Maria verr la prossima settimana o a Roma la settimana prossima verr Maria , ecc.).

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 23

    Non tutte queste peculiarit sono sempre state proprie dell'italiano: al-cune si sono sviluppate nel corso dei secoli, altre col trascorrere del tempo si sono invece un po' affievolite. Per spiegarne la genesi opportuno ricostrui-n.: brevemente la storia della nostra lingua.

    ). CARATIERI DELL'ITALIANO

    L'italiano, come tutte le lingue e i dialetti romanzi, deriva dal latino vol-gare, cio dal latino parlato nella tarda et imperiale nelle varie zone dell'Im-pero in cui Roma era riuscita a imporre la propria lingua (il complesso di queste zone costituiva la cosiddetta Romnia, che nei primi secoli del Me-dioevo era assai pi estesa dell'area attualmente occupata dalle popolazioni che parlano lingue romanze). Tra le lingue romanze l'italiano non solo quella rimasta per vari aspetti pi vicina al latino volgare, ma anche quella che ha avuto un pi continuo contatto col latino classico, da cui ha ripreso moltissime parole Oatinismi o parole dotte, contrapposte alle parole po-polari, diffuse peraltro anche in altre lingue, romanze e non romanze) , ma perfino alcune strutture morfosintattiche.

    Del contatto col latino classico sul piano della morfosintassi baster un esempio: la formazione del superlativo di tipo sintetico, col suffisso -issimo aggiunto alla base dell'aggettivo (bello-bellissimo) costituisce una ripresa dotta del latino (limitata peraltro solo al superlativo assoluto; quello relativo di tipo analitico: il pi bello), alternativa ad altri mecca-nismi, come la ripetizione dell'aggettivo (bello bello) o I' anteposizione (o talvolta la posposizione) a questo di vari avverbi (molto, tanto, assai), che costituisce il tipo di matrice popolare, l'unico possibile in altre lingue romanze.

    Quanto alle parole dotte contrapposte alle parole popolari, basta ci-tare il caso di floreale, aggettivo tratto dal lat. FLOREALEM, rispetto a fiore (direttamente derivato dal lat. FLOREM, con l'esito, tipicamente italiano, FL > lfj/), e quello di mensile, dal latino MENSlLEM, diverso da mese (dal lat. MENSEM, con NS>/s/, come in tutto il mondo romanzo). Come si accennato, i latinismi (specie quelli propri del lessico intellettuale) sono diffusi anche in molte altre lingue romanze e non romanze; in italiano,

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    fino al Novecento, si sono inseriti nel lessico con piccoli adattamenti grafici, fonetici e, soprattutto, morfologici, che generalmente non hanno appannato la trasparenza del loro rapporto etimologico con le corrispon-denti parole popolari, come invece awenuto per esempio in francese. Si cita spesso, a tal proposito, l'esempio di acquoso, il cui legame con acqua ben pi trasparente di quello che c' in francese nella corrispon-dente coppia aqueux e eau. Ci non toglie che anche il lessico italiano comprenda aggettivi derivati dal latino classico (e anche dal greco), sul piano del significante privi di rapporti con i sostantivi corrispondenti ( il caso di equino e di ippico rispetto a cavallo; vedi cap. III, 3 .1).

    Come tutte le lingue che hanno avuto nel tempo un processo di stan-dardizzazione, anche l'italiano nato dall'elaborazione di una parlata loca-le, promossa a lingua dell'uso nazionale; rispetto alle altre lingue romanze, per, la sua storia stata profondamente diversa. L'italiano deriva infatti, nelle sue strutture linguistiche fondamentali (fonologia, morfologia, molti aspetti della sintassi, lo stesso vocabolario di base), dal dialetto fiorentino del Trecento, nell'elaborazione letteraria che ne fecero le tre corone (Dan-te, Petrarca e Boccaccio) e che poi i grammatici del Cinquecento (o, meglio, coloro che appartenevano alla linea vincente del dibattito linguistico rinasci-mentale, quella classicistica capeggiata da Pietro Bembo) posero a modello dell'uso scritto.

    In Italia fu dunque la letteratura alla base dell'unificazione linguistica; in epoca moderna, non si ebbe infatti qui, come in Francia, in Inghilterra, o anche in Spagna, una monarchia nazionale accentratrice, in grado di uni-ficare il paese e di diffondervi, attraverso una serie di strumenti di politica linguistica, la parlata della propria regione d'origine; anzi, il policentrismo linguistico della fase medievale trov a lungo un corrispettivo nella fram-mentazione politica, durata, come noto, fin oltre la met dell'Ottocen-to. Il fiorentino riusc dunque a imporsi sugli altri dialetti, almeno nell'uso scritto, non grazie a un predominio politico (che la citt toscana ebbe solo in brevi momenti storici), ma in virt di altri fattori: anzitutto, come si appena detto, l'alto valore letterario dei grandi scrittori del Trecento che lo usarono (ma andr ricordato che anche l'Umanesimo volgare fu fenomeno eminentemente fiorentino, fiorito nel Quattrocento alla corte di Lorenzo il Magnifico); poi certe caratteristiche strutturali che rendevano il dialetto fio-

    lA LINGUA ITALIANA OGGI 25

    r~ntino meno lontano dal latino e, soprattutto, lo ponevano in una posizione di mediet tra gli altri dialetti della penisola; infine, il prestigio di Firenze in altri campi socioculturali (economia, commercio, arte, ecc.), che favor l'espansione della sua parlata. Non a caso per molto tempo l'italiano venne definito non solo volgare (in contrapposizione al latino), ma anche toscana /avella o lingua fiorentina; il termine italiano, a lungo contrastato proprio in Toscana, fu definitivamente accolto solo nel Settecento. Ma, come si detto, l'uso di questa lingua (e la sua funzione unificatrice) per secoli rimase legato allo scritto colto.

    Proprio l'origine colta della nostra lingua, che si rifaceva a una tradi-zione letteraria gi arcaica quando venne istituzionalizzata e che fu notevol-mente influenzata dal latino, spiega perch, diversamente dalle altre grandi lingue di cultura, l'italiano non abbia avuto all'inizio dell'epoca moderna un'evoluzione strutturale tale da staccarsi totalmente dalla fase medievale, come awenuto, per esempio, per il francese, assolutamente diverso dalla lingua d'oil: le innovazioni del dialetto fiorentino posteriori al Trecento ven-nero infatti accolte solo in parte nell'italiano letterario.

    Sulla continuit tra italiano antico e italiano moderno, sostenuta tradizionalmente dalla linguistica italiana, sono stati recentemente solle-vati vari dubbi. In effetti molti studi hanno dimostrato che sia sul piano della sintassi (l'ordine delle parole nella frase semplice, la struttura della frase complessa, ecc.), sia nella semantica lessicale (con riferimento cio al significato delle parole), tra italiano antico e italiano moderno esisto-no differenze notevoli. Senza entrare in tale questione, notiamo che gli elementi di differenziazione, indubbi e certo in passato ingiustamente sottovalutati, non possono oscurare quelli di continuit, anch'essi indi-scutibili, tanto che italiano antico e italiano moderno si possono consi-derare due fasi storiche di una stessa lingua e non due sistemi linguistici contrapponibili.

    Fino all'unificazione nazionale nel1861, l'italiano fu comunque una lingua usata soprattutto (anche se non solo, come troppo semplicisticamen-te si creduto in passato) nello scritto, tanto che pot essere giudicata da alcuni autori una lingua morta, proprio come il latino classico (che infatti continu per secoli a essere usato solo nello scritto e nei confronti del quale,

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    in alcuni campi, l'italiano stent a imporsi). Se consideriamo la quantit di coloro che, ancora fino all'inizio del Novecento, sapevano leggere e scrivere, certamente molto bassa (anche se sui dati percentuali le interpretazioni de-gli studiosi che si sono occupati del problema non concordano), dobbiamo concludere che prima dell'Unit l'italiano, al di fuori della Toscana (dove lingua e dialetto sono sempre stati in rapporto di contiguit), era una lingua nota a un numero di persone alquanto ridotto, almeno per quello che riguar-da la competenza attiva, cio la capacit di servirsene, nello scritto o anche solo nel parlato; ben diversa, invece, doveva essere la competenza passiva, cio la capacit di capire discorsi in italiano, di certo assai pi estesa. La stra-grande maggioranza della popolazione parlava uno dei dialetti che si erano formati nella nostra penisola dopo il crollo dell'Impero romano e che, come si detto, vengono tuttora utilizzati, specie in certe situazioni e in certe zone. Il ridotto uso parlato dell'italiano favoriva la stabilit e la conservativit delle strutture della nostra lingua, che per si mostrava, come compresero vari in-tellettuali tra Settecento e Ottocento, poco adatta a rispondere alle esigenze di alcune moderne forme di scrittura (la prosa scientifica, la saggistica, lo stesso romanzo). In realt, il problema non era linguistico in senso stretto, ma pi ampiamente culturale, come avrebbe poi dimostrato, e contrario, l'esempio dei Promessi Sposi manzoniani e come avrebbe rilevato, pochi anni dopo la raggiunta unificazione politica e proprio in polemica con Man-zoni, il glottologo Graziadio Isaia Ascoli, che addit nella scarsa diffusione della cultura e nell'eccessiva preoccupazione della forma i due vizi capitali da cui era afflitta l'Italia e che avevano ostacolato l'unificazione linguistica.

    A partire dall'Unit, in seguito a vari fattori, come la progressiva alfa-betizzazione legata all'obbligo scolastico, l'emigrazione esterna e interna, l'urbanizzazione, le mutate condizioni sociali, economiche e culturali della popolazione, i pi forti contatti dei cittadini con gli apparati amministrativi statali (l'esercito, la burocrazia, ecc.) e, infine, lo sviluppo dei mezzi di co-municazione di massa (giornali, cinema, radio, televisione, pubblicit, fino ai cosiddetti nuovi media), l'italiano ha progressivamente ampliato i propri mbiti d'uso, togliendo spazio ai dialetti. Sebbene la morte dei dialetti ipotizzata in molti studi, dalla fine dell'Ottocento alla prima met del No-vecento, non si sia affatto realizzata, non vi dubbio che ormai per milioni di persone l'italiano sia o la lingua materna, imparata direttamente in casa

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 27

    (c non, come in passato, appresa a scuola), o comunque quella utilizzata sempre pi spesso non solo nello scritto, ma anche nel parlato in quasi tutte le situazioni comunicative (con gli estranei, sul posto di lavoro, perfino con gli amici e in famiglia).

    Naturalmente, la progressiva espansione dell'italiano ha avuto notevoli conseguenze. Dopo una fase che potremmo definire di sistematizzazione grammaticale, durata almeno fino alla fine degli anni Cinquanta, il crescente uso anche orale dell'italiano, da parte non solo di una lite di uomini di cultura, ma anche di grandi masse popolari, ha determinato una pressione del parlato sulle strutture dello scritto; questa pressione ha provocato varie ristrutturazioni del sistema linguistico, con l'emersione di tendenze evo-lutive a lungo tenute a freno dalla tradizione grammaticale e perfino con lo sviluppo di tratti innovativi, spesso dovuti a processi di semplificazione che le altre lingue romanze avevano gi realizzato da secoli. Profondamente mutato anche il rapporto tra italiano e toscano: Firenze e la Toscana solo nel periodo iniziale dello Stato unitario, grazie soprattutto al toscanismo di matrice manzoniana, hanno mantenuto la posizione di centralit sul piano linguistico che avevano avuto per secoli; poi hanno finito col perderla a van-taggio ora di Roma capitale, ora dei centri industriali del Nord, che si sono rivelati pi capaci di imporre innovazioni linguistiche o comunque pi in sintonia con l'evoluzione del sistema.

    Facciamo un esempio: il suffisso -aiol -a, che, come si detto nel qua-dro 1.1, costituisce l'esito toscano del latino -ARIUMI -AM invece di -arol -a (o -eroi-a) , diffuso nel resto d'Italia e in particolare a Roma, stato per secoli usato in italiano per indicare mestieri e attivit: macellaio, lattaio, notaio, bambinaia e ancora benzinaio, gelataio (in segretario, biblioteca-rio, veterinario si ha invece un semplice adattamento della base latina). Poi per -aiol-a (ancora vitale con riferimento a luoghi, anche figurati : sciocchezzaio, topaia, vippaio ' raduno di vip') per le nuove professioni ha progressivamente ceduto il passo al suffisso di matrice greca -ista (anten-nista, tassista) ed diventato improduttivo sul piano nazionale, mentre -arol-a ha rivelato un'insospettata vitalit (si pensi a parole relativamente recenti come cinematografaro, palazzinaro, gattara), anche nel linguaggio giornalistico, specie sportivo (pure come aggettivo: catenacciaro), e in quello giovanile (paninaro, metallaro, rockettaro) .

  • 28 CAPITOLO 1

    L'italiano contemporaneo appare dunque un sistema particolarmente complesso, che per alcuni aspetti mostra ancora un'indubbia continuit con la propria tradizione scritta, per altri rivela spinte innovative che lo allontanano da questa. D'altra parte, la diversit delle circostanze e delle modalit di uso determina, all'interno di una stessa lingua, una serie di variet, che opportu-no passare brevemente in rassegna, con riferimento appunto all'italiano.

    4. L'ITALIANO STANDARD

    Come si detto, per secoli l'italiano, a causa del suo uso prevalente-mente scritto (anche se, ripetiamo, non esclusivamente letterario), stato una lingua non solo stabile, poco soggetta al mutamento, ma anche, per cos dire, poco compatta al suo interno. Anzitutto, la lingua letteraria prevedeva una netta distinzione tra poesia e prosa: in poesia si preferiva usare non cuo-re ma core, non devo ma deggio, non splendeva ma splendea, non desiderio o speranza ma desio o speme, non hai detto ma dicesti, anche con riferimento a un'azione avvenuta pochi istanti prima. L'uso scritto, inoltre, consentiva un'abbondante polimorfia, cio la coesistenza di pi forme tra loro sostan-zialmente equivalenti, tra le quali lo scrittore era libero di scegliere la pre-ferita: si avevano cos, sulla base ora della normale evoluzione fonetica dal latino volgare, ora della ripresa di forme dotte, ora di ricostruzioni analogi-che, varianti fonetiche (sacrificio o sagrifizio; lacrima o lagrima; malinconia o melanconia o melancolia) o morfologiche (arma o arme; ali o ale; offr o offerse; concepito o conceputo).

    Nel corso del Novecento e fino a oggi, l'italiano da una parte ha rinun-ciato, anche in poesia, agli arcaismi propri del linguaggio poetico, dall'altra ha fortemente ridotto la polimorfia. In questo secondo caso c' stato anzi un precedente illustre, costituito dalle correzioni apportate da Alessandro Manzoni nell'edizione definitiva dei Promessi Sposi (1840-42, la cosiddetta quarantana), rispetto alla precedente del 1825-27 (la cosiddetta venti-settana); adeguando la prosa del suo romanzo all'uso vivo di Firenze (la celebre risciacquatura in Arno), Manzoni oper, a tutti i livelli di analisi linguistica, alcune semplificazioni che l'italiano posteriore avrebbe, anche sulla sua spinta, accolto.

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    La riduzione della polimorfia stata drastica, ma non totale: una certa sovrabbondanza di forme si ha tuttora, anche se sempre possibile individuare quelle maggioritarie, verosimilmente destinate a sostituire definitivamente le altre: il caso di tra preferito (gi dal Manzoni della quarantana) a fra , del ci locativo rispetto a vi (in entrambi i casi le forme concorrenti avevano in origine significati diversi), di pronuncia invece di pronunzia, di visto al posto di veduto (il calco del francese dj vu, in uso nella psicoanalisi e nel linguaggio dello spettacolo, infatti gi visto e non gi veduto), ecc. In qualche caso le forme si sono differenziate sul piano semantico, come coltura e cultura e sono pertanto da considerare alltrope (vedi cap. III, 3.1).

    Abbiamo detto che il codice della poesia venne definitivamente meno all'inizio del Novecento; si aggiunga che qualche forma origina-riamente poetica nel corso del tempo diventata di uso comune, scal-zando quella della prosa: il caso di nessuno invece di niuno e di/accia invece di/o.

    A questo processo di semplificazione ha corrisposto un processo, per alcuni versi parallelo, di normativizzazione: la tradizione grammaticale e, ancor di pi, la prassi scolastica, nel cosiddetto italiano delle maestre, almeno per un certo lasso di tempo basato sull'uso fiorentino e toscano, hanno progressivamente imposto una serie di regole, soprattutto ma non solo nel campo dell'ortografia, che, ispirate a criteri razionalizzanti, si sono poi largamente diffuse.

    Facciamo un paio di esempi. L'uso dell 'accento sui monosillabi sta-to limitato ai casi dove il segno ha una funzione disambiguante: cos sugli avverbi lz' e l, per distinguerli dal pronome li (lz' vedo opposto a li vedo) e dall'articolo e pronome la (l puoi trovare opposto a la puoi trovare), ma non su qui e qua, che invece ancora nell'Ottocento venivano spesso accentati. I nomi di citt sono stati generalmente considerati femminili, indipendentemente dalla vocale finale (Milano bella), nonostante l'uso anche letterario anteriore fosse a volte diverso (nei Promessi Sposi, per esempio, Milano di genere maschile, come nel dialetto milanese; del resto anche oggi, parlando, assegniamo spesso il genere maschile a citt il cui nome termina in -o).

    L'insegnamento scolastico e gli altri importanti canali di diffusione della nostra lingua a cui abbiamo fatto prima cenno hanno reso l'italiano con-

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    temporaneo, come stato giustamente rilevato da vari linguisti, un sistema molto pi compatto rispetto al passato, e hanno contribuito decisamente a un secondo processo di standardizzazione della nostra lingua, dopo quello che era stato realizzato dai grammatici cinquecenteschi.

    Abbiamo pi volte parlato di standardizzazione, ma forse opportuno precisare meglio che cosa si intende con questo concetto. La nozione di lin-gua standard , dal punto di vista linguistico generale, piuttosto complessa; semplificando molto, possiamo indicare nello standard l'uso linguistico che l'intera comunit dei parlanti riconosce come corretto: dunque il modello di lingua proposto nelle grammatiche, quello usato dalle persone istruite, sia nello scritto, sia (ma vedremo poi in che misura) nel parlato. Sebbene il termine standard sia stato criticato da alcuni linguisti, anche in quanto pa-rola straniera, le proposte alternative (tra cui letterario, normale, normativa) non si sono imposte. L'etichetta di italiano letterario, in particolare, non convince per vari motivi: anzitutto l'italiano standard contemporaneo non totalmente riconducibile alla tradizione letteraria che pure ne alla base (e che invece costituiva certamente il modello standard del passato); inoltre, l'italiano letterario contemporaneo presenta una notevole variet di realiz-zazioni sul piano linguistico, spesso in esplicita violazione dello standard tradizionale (o con il recupero di forme arcaiche o con volute discese in bas-so, verso il parlato anche popolare, il gergo, i dialetti e le variet regionali), e non costituisce pi il punto di riferimento per lo standard contemporaneo.

    Un problema particolare dell'italiano poi costituito dalla sostanziale assenza di uno standard parlato, soprattutto sul piano fonetico, anche in conseguenza del fatto che, come vedremo, la grafia dell'italiano non rende alcune opposizioni fonologiche (come quella tra e aperta ed e chiusa). Per la verit, un modello di standard parlato ci sarebbe: si tratta del cosiddetto fiorentino emendato, basato cio sulla pronuncia colta di Firenze, da cui vengono per eliminati alcuni tratti locali. Questo modello, poco pra-ticato nella stessa istituzione scolastica, ma insegnato in apposite scuole di dizione, effettivamente usato da alcune categorie di professionisti della parola, in particolare attori e speakers, specie quando recitano o leggono testi scritti: lo si sente quindi a teatro (dove si era imposto gi nel primo Ottocento), nel doppiaggio di telefilm, soap-operas e telenovelas (non sem-pre, invece, al cinema), nei notiziari radiotelevisivi nazionali (variamente

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 31

    11 11 11 tn is to a pronunce locali, specie romane e settentrionali), nella pub-l,lrci t[l. Ma nella stragrande maggioranza gli italiani, anche coloro che pa-, l ro n ~ggiano perfettamente lo standard scritto, nel parlato lasciano invece pvrccpire, in varia misura, la loro origine regionale o comunque esibiscono pron unce qua e l distanti dal fiorentino emendato.

    'i. LE VARIET DELL'ITALIANO CONTEMPORANEO

    Come abbiamo gi accennato, il riferimento all'italiano standard non sufficiente per cogliere la realt dell'italiano contemporaneo, in cui sono in atto processi di ristandardizzazione e che comunque presenta un' architettu-ra notevolmente complessa: all'interno del repertorio linguistico italiano, in-fatti, si pu individuare una gamma di variet, che hanno tra loro differenze anche sensibili. Per affrontare questa tematica necessario fare riferimento al concetto di variazione, che ora presenteremo rapidamente. Ogni lingua, quanto pi diffusa nello spazio e nel tempo, tanto pi presenta, nelle sue manifestazioni concrete, una serie di differenze, dovute a variabili, dette assi di variazione, legate al canale di trasmissione del messaggio, al suo contenu -to, ai rapporti tra gli interlocutori, alla situazione comunicativa, ecc.

    La variabile diamsica quella legata al mezzo materiale in cui avviene la comunicazione, che distingue la lingua dei testi parlati, prevalentemente dialogici e generalmente indirizzati a persone conosciute e presenti , legati dunque al cosiddetto contesto situazionale, spesso essenziale per la com prensione del significato, da quella dei testi scritti, sempre monologici, spcs so rivolti anche a sconosciuti e comunque destinati a durare nel tempo.

    Anche in questo caso sar d'aiuto qualche esempio. Nel parla to adoperiamo il pronome io molto pi spesso di quanto facciamo nel lo scritto; anzich questo e quello diciamo in genere questo qui e quello l; non abbiamo particolari problemi nel dire a me non mi piace la panna (o persino io non mi piace la panna); spesso lasciamo le frasi incomple-te; possiamo dire poggiato l aiutandoci con un semplice gesto; adope-riamo espressioni come vedi, senti, hai capito?, per assicurarci che il no-stro interlocutore abbia colto il senso delle nostre parole (vedi cap. Vlll, 1.4). Nello scritto, dove peraltro si ha una tipologia testuale molto pi

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    varia (vedi cap. IX, 2), fenomeni del genere non si trovano, specie in certi tipi di testo, anche perch, quando si scrive, si rispettano pi spesso le re-gole grammaticali imparate a scuola; scrivendo, siamo portati a strutturare il testo in periodi ampi e non in frasi brevi; data l'assenza del contesto, cer-chiamo di essere molto espliciti, specie se ci rivolgiamo a persone che non conosciamo bene e che leggeranno il nostro testo a distanza di tempo.

    Alle tradizionali categorie dello scritto e del parlato stata giustamente aggiunta quella, per molti versi intermedia tra le prime due, del trasmesso, con riferimento prima al parlato a distanza (telefono, radio, televisione, ci-nema, forme che nel loro insieme possiamo definire come parlato trasmesso, anche se alcune di esse si basano su testi scritti), poi anche allo scritto (Inter-net, posta elettronica, messaggini telefonici, ecc., per i quali nel complesso possiamo parlare di scritto trasmesso, nonostante tendano spesso a una di-mensione comunicativa tipicamente orale).

    Naturalmente queste modalit presentano, come vedremo nel capi-tolo X, caratteristiche molto diverse tra loro; basti segnalare, nel caso del parlato trasmesso, l'essenziale differenza che intercorre tra i mezzi che consentono solo l'uso della voce e quelli che invece trasmettono anche le immagini, oppure quella tra una comunicazione a senso unico (ana-loga a quella monologica propria dello scritto) e una dialogica (come nel parlato faccia a faccia).

    La variabile diacrnica quella legata al tempo; il passare del tempo determina inevitabilmente un mutamento nell'uso linguistico, che pu es-sere lento o rapido a seconda delle circostanze e che di solito avviene nel parlato prima e pi spesso che non nello scritto, dove per le novit, una volta accolte, vengono, per cos dire, ratificate e imposte. Alcune differenze si rilevano gi nell'uso linguistico dei giovani rispetto a quello degli anziani, ma vengono fatte rientrare piuttosto nella variazione distratica o in quella diafsica, di cui parleremo tra poco. Il mutamento linguistico pu avvenire per fattori interni al sistema della lingua, che determinano l'abbandono di certe forme a vantaggio di altre, lo sviluppo di processi di grammaticalizza-zione primaria e secondaria, per i quali alcune parole acquistano funzioni grammaticali o ne sviluppano di nuove, e di lessicalizzazione, in cui elemen-ti grammaticali danno origine a nuove parole.

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    Tra le forme in declino nell 'italiano contemporaneo possiamo ri-cordare i pronomi egli, ella, esso, essa, essi, esse, che cedono sempre pi il campo a lui, lei, loro (non a caso preferiti gi da Manzoni nella quarantana). Come esempi di grammaticalizzazione si possono cita-re: il verbo venire che, perdendo il significato proprio, sostituisce in molti casi essere come ausiliare del passivo {l'attaccante viene atterra-to dal difensore); nomi, come causa o via, che entrano nelle locuzioni preposizionali a causa di o per via di (a causa della nebbia; per via del raffreddore) o addirittura assumono valori propri delle preposizioni, in contesti come causa il freddo o via fax (in entrambi i casi, peraltro, il fenomeno era gi del latino); la 3 persona del presente del verbo /are, che non svolge pi funzione di verbo ma di determinazione temporale in un'ora fa 'da un'ora', poco /a 'da poco'; la congiunzione per, che in origine significava 'per questo ', ha poi assunto valore avversativo e oggi si usa anche, isolatamente, come esclamazione, per esprimere ammirazione. La lessicalizzazione pu essere documentata da forme come ci vuole, c'entra, che hanno un significato ben diverso rispetto a vuole, entra; da locuzioni che hanno formato nuove parole, come il gi citato a/fresco (da a fresco) o nontiscordardim, nome di un fiore derivato dall'espressione non ti scordar di me, o il pi recente/ai-da-te; da alterati che hanno sviluppato un significato distinto dalle basi, come fioretto rispetto a fiore.

    Ma possono determinare cambiamenti nell'uso anche fattori esterni, come il contatto con altre lingue, che provoca interferenza tra sistemi distin-ti, e, di riflesso, anche fenomeni culturali e trasformazioni sociali.

    Gli effetti del contatto con altre lingue possono essere esemplificati dall'influsso dell'inglese sull'italiano contemporaneo, documentato non solo dalla massiccia introduzione di anglicismi non adattati (computer, disc-jockey, mouse, single, ticket, target, tremi), ma anche dalla diffusio-ne di certe peculiarit sul piano sin tattico o fraseologico: per esempio, l'interrogativa multipla, del tipo chi ha visto chi?, in passato scono-sciuta all'italiano ed entrata in certi testi, o la posizione dell'avverbio nell 'espressione politicamente corretto, modellata nella forma , oltre che nel significato, sul corrispondente inglese politically correct, o ancora frasi come non c' problema e siete cortesemente (o gentilmente) pregati di, che ricalcano l'inglese it's no problem e you are kindly requested.

  • 34 CAPITOLO 1

    Tra le trasformazioni sociali che hanno determinato mutamenti nell'uso linguistico segnaliamo invece la crescente diffusione del tu al-locutivo a spese del lei di cortesia, sia, per esempio, sul posto di lavoro tra colleghi, pure di sesso diverso, sia anche tra sconosciuti; si tratta di un'innovazione dovuta a un profondo mutamento, specie dopo il Ses-santotto, dei rapporti interpersonali.

    La variabile diatpica quella legata allo spazio: una stessa lingua assu-me caratteristiche diverse a seconda delle singole zone in cui usata. Nono-stante la superficie dell'Italia non sia vastissima, la variabile diatpica da noi particolarmente importante: la ricchezza dei dialetti, a cui abbiamo gi pi volte fatto cenno, ha avuto e continua ad avere riflessi notevoli sull'ita-liano che a quei dialetti si sovrapposto, soprattutto sul piano fonetico e su quello lessicale, determinando la nascita degli italiani regionali.

    Degli italiani regionali parleremo pi diffusamente nel capitolo VIII, 2; alla variet delle pronunce locali abbiamo del resto gi accennato quan-do abbiamo rilevato l'assenza di uno standard parlato; sul piano lessicale, basti dire che per alcuni concetti concreti, relativi alla vita di tutti i giorni, si hanno designazioni diverse da zona a zona (vedi quadro 3.1): per esempio, l'oggetto di legno, ferro o plastica che serve per riporre gli abiti nell'arma-dio non ha in Italia un nome universalmente usato, ma detto stampella a Roma e in varie zone del Nord e del Centro-Sud, gruccia in Toscana e in al-tre zone del Centro-Sud, attaccapanni, appendiabiti, amino, ometto al Nord, croce, crocetta, appendino in altre zone ancora del Sud, ecc.

    La variabile diastrtica quella legata alla posizione sociale del parlante e quindi dipende da vari fattori: il genere (ci sono infatti lingue in cui la varie-t usata dalle donne ha caratteristiche diverse da quella usata dagli uomini: per l'italiano di oggi possiamo segnalare l'assegnazione, che pare tipica dei maschi, del genere grammaticale maschile alle macchine, specie se di grossa cilindrata: un Mercedes), l'et (la lingua dei giovani presenta aspetti diversi da quella degli adulti), la classe sociale, le condizioni economiche, il grado di istruzione. In Italia stato notato che ha riflessi linguistici pi il livello di istruzione che non il reddito: la variet bassa usata nel parlato e anche nello scritto dai semicolti (cos vengono chiamati coloro che hanno una parziale e incompleta scolarizzazione) stata spesso definita italiano popolare.

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 35

    Anche di questa variet parleremo pi diffusamente nel capitolo IX, 3. Per il momento, tra le caratteristiche sufficienti per qualificare un testo come popolare rileviamo: nello scritto, grafie devianti dalla nor-ma come anno e quore invece di hanno e cuore, con torno per contorno, l'aradio per la radio; nel parlato, pronunce come persudere invece di persuadre; tanto nello scritto quanto nel parlato, particolarit morfosin-tattiche come il caporalo e la moglia, ci ho detto 'ho detto a lui (o a lei, a loro)', pi migliore, vadil, ecc. e malapropismi lessicali (cio parole sco-nosciute storpiate per associazione con altre parole note) come febbrile (' flebite') o pagare il tic ('il ticket') .

    La variabile diafsica quella legata alla situazione comunicativa, all' ar-gomento trattato, al grado di confidenza che si ha con l'interlocutore; da questi fattori deriva la scelta di un registro linguistico formale (come l'italia-no aulico di certi discorsi solenni) o informale (come la variet definita ita-liano colloquiale, usata soprattutto nel parlato familiare); appartengono alla variabile diafasica anche i sottocodici, cio i tratti, prevalentemente lessicali, propri dei linguaggi settoriali o lingue speciali (dell'architettura, dell'inge-gneria, della chimica, della critica letteraria, del diritto, ecc.).

    Per esemplificare la variazione diafasica si possono segnalare al-ternative lessicali come timore o spavento, di registro piuttosto elevato, paura, neutro, e fifa, colloquiale, oppure spaghetto e strizza, voci marcate anche regionalmente; significative anche alternanze sintattiche come al fine di o onde + infinito, proprie soprattutto dello scritto, specie buro-cratico, e per+ infinito, che oggi la forma normale per introdurre una proposizione finale (ma la sequenza onde evitare si sente anche nel par-lato). Per quello che riguarda i sottocodici, pensiamo alla terminologia specifica dell 'informatica, che non solo ricca di anglicismi (/ile, hard disk, mouse) anche adattati (resettare, zippato) , ma adopera con signifi-cato particolare pure voci di uso comune o proprie di altri ambiti (pro-gramma, salvare, icona, scaricare, ecc.).

    Lasciando da parte l'asse di variazione diacronica, che molto impor-tante, ma da cui si pu anche prescindere se si vuole osservare o descrivere la lingua in un determinato momento storico, senza raffronti con fasi pre-cedenti (va detto peraltro che la dimensione storica aiuta spesso a spiegare

  • 36 CAPITOLO l

    anche i fenomeni della lingua contemporanea), gli altri assi di variazione, spesso tra loro combinati (quello diamesico, in particolare, attraversa tutti gli altri), consentono di identificare le diverse variet del repertorio lingui-stico italiano.

    6. UN NUOVO ITALIANO?

    Un fatto notevole, segnalato negli studi soprattutto nel corso degli anni Ottanta, lo sviluppo, nel parlato e anche nello scritto mediamente formale e informale di persone colte, di una nuova variet di italiano, che stata individuata e definita italiano dell'uso medio da Francesco Sabatini nel 1985 e neostandard da Gaetano Berruto nel 1987. Mentre in molte pre-cedenti descrizioni del repertorio linguistico italiano all'italiano standard (o letterario) venivano contrapposti, oltre alle variet dialettali, solo l'italia-no regionale, l'italiano popolare e l'italiano colloquiale, l'individuazione di questa nuova variet ha consentito una pi completa descrizione del reper-torio stesso, in cui possono essere inquadrati non solo i tratti indicati dai due studiosi, ma anche altri, studiati o approfonditi successivamente. L'italiano dell'uso medio e il neostandard sono caratterizzati da fatti morfosintattici e lessicali che non sempre rappresentano delle effettive novit; spesso si tratta di fenomeni gi documentati in testi del passato, ma censurati o ignorati dal-le grammatiche (e quindi tutt'al pi appartenenti allivello che viene definito come substandard, considerato non corretto sebbene documentato nell'uso comune, specie parlato); tali fenomeni si sono progressivamente diffusi, tan-to da apparire ormai del tutto normali non solo nel parlato, ma anche in molti tipi di testi scritti.

    questo il caso, che abbiamo gi citato, dei pronomi personali lui, lei e loro, sempre pi spesso usati anche come soggetti; ancora il caso del che in funzione di subordinatore generico in frasi come vieni che ti pettino, e delle frasi scisse (di cui tratteremo pi ampiamente nel cap. VII, 1.3 ), come lui che me l'ha detto, stata Marz ad avere l'idea, con me che se l' presa, di questo che volevo parlarti, non che sono stanco, com' che non sei venuto?, ecc. La frase scissa, almeno in alcuni suoi sot-totipi, era considerata un francesismo dalla grammatica tradizionale, che

    LA LINGUA ITALIANA OGGI 37

    ne sanzionava l'uso, ma oggi, come vedremo, risulta molto diffusa, con modalit diverse, sia nel parlato sia nello scritto, perch utile per mettere in rilievo un costituente (il soggetto, come nei primi due esempi, o altro) o per segnalare un cambiamento di argomento.

    I fenomeni propri di questa variet di italiano sembrano particolarmen-1

  • 38 CAPITOLO 1

    2. ai dialetti mediani 3. ai dialetti meridionali 4. ai dialetti toscani

    e) Quale, tra le seguenti, una peculiarit dei dialetti toscani? l. il suffisso -aro dal lat. -ARIUM 2. la gorgia 3. la conservazione della distinzione latina tra -o e -u 4. l'indebolimento delle vocali non accentate

    /) Quale caratteristica, tra le seguenti, tipica dell 'italiano e lo distingue da altre lingue? l. l'obbligatoriet di espressione del pronome personale soggetto 2. la preferenza per la sequenza determinante+ determinato 3. la presenza, nell'inventario dei fonemi, della vocale centrale[~] 4. la libert di posizione dell'accento tonico

    g) Quali, tra le affermazioni seguenti, sono vere e quali sono false? v F

    l. L'italiano deriva fondamentalmente dal dialetto fiorentino del Trecento, nella elaborazione letteraria di Dante, Petrarca e Boe-caccio D D

    2. Fino all'unificazione nazionale l'italiano era usato soprattutto nel-lo scritto D D

    3. L'italiano della tradizione scritta ha solo pochi fenomeni di poli-morfia D D

    4. L'italiano una lingua che si molto trasformata nel corso dei secoli D D

    h) Individua, in ogni coppia, la parola dotta: D mese D mensile D floreale D fiore D famiglia D familiare D vizio D vezzoso D flebile D fievole

    J)

    LA LINGUA Il Al lANA fl

  • anrow 2 Onomastica

    Alcune caratteristiche della lingua che parliamo si possono individuare gi sulla base del nome e del cognome che portiamo, come pure nella denominazione della citt, del paese, della regione in cui siamo nati o abitiamo. Maria, Simone, Laura, Marco; Rossi, Fabbri, Villa, Marchetti; Roma, Palermo, Lombardia, Romagna possono dirci varie cose sulla no-stra lingua. Nei nomi propri italiani, il cui studio detto onomastica, si possono cogliere non solo il riflesso delle vicende storiche della peni-sola, ma anche alcuni aspetti tipologici dell'italiano, relativamente a li-velli di analisi linguistica come la fonetica o la formazione delle parole.

    l. L'ONOMASTICA ITALIANA

    Alcuni dei tratti tipologici dell'italiano che abbiamo individuato breve-mente in precedenza (vedi cap. I, 2) si rilevano gi nel settore del lessico che detto onomastica, costituito dai nomi propri di persona e dai cognomi (che nel complesso formano l'antroponimia), dai nomi di luogo (la topono-mastica), ecc. L' onomastica italiana, come quella di ogni altra lingua, si for-mata e stabilizzata nel corso dei secoli e si alimentata con apporti di lingue diverse: il latino, anzitutto, ma anche le lingue delle popolazioni prelatine e poi quelle degli invasori germanici e arabi; il greco e l'ebraico alla base della tradizione cristiana; il francese, lo spagnolo e le lingue degli altri popoli con cui l'italiano via via venuto in contatto.

  • Clli 'lllll ll'l

    ( )riginariamente, l'onomastica semanticamente motivata: i nomi di 1 >l'l'SOna e eli luogo derivano infatti da nomi comuni e come tali significano qualche cosa (Paolo, per esempio, deriva dal lat. PAULUM, a sua volta tratto dall'aggettivo PAULUM 'piccolo'; Napoli deriva dal lat. NEAPOLIM, a sua volta dal greco Na n6A-u; 'citt nuova'); nella maggior parte dei casi, per, que-sto rapporto di derivazione risulta ormai poco o per nulla trasparente, cos come opaco in generale il significato dei nomi propri, che del resto hanno un valore individuante (servono cio a indicare quella determinata persona, quel preciso luogo e non altri) e non un significato generale.

    A volte, per, storicamente awenuta una trafila inversa: non si passati dal nome comune al nome proprio, bens dal nome proprio al nome comune, per citare il titolo di un famoso libro di Bruno Migliorini (Firenze, Olschki, 1968; I ed. 1927). Nel caso dei nomi di luogo ci si verificato per lo pi attraverso un meccanismo metonimico di ellissi, a partire da un sintagma comprendente anche il nome del centro; cos per asti 'spumante di Asti' , marsala 'vino dolce prodotto a Marsala', asiago 'formaggio di Asiago', lavagna 'pietra di Lavagna' (ma in questo caso il rapporto con il centro ligure si perso quasi del tutto: si pensi poi alla lavagna luminosa, che non ha pi nulla a vedere con la pietra), ecc. Tale sviluppo per i nomi di persona stato pi raro ma tuttora possibile con cognomi diventati nomi di aziende: pensiamo a una Ferrari 'un'auto prodotta dalla casa automobilistica fondata dall'ing. Ferrari'; un Martini 'un aperitivo della ditta Martini'; lo zampirone 'il dispositivo antizanzare inventato dalla ditta Zampironi'. Non mancano neppure altri casi di nomi propri di persona passati a indicare nomi di cosa, per i motivi pi vari (carpaccio 'piatto di carne cruda' cos detto o perch inventato all 'inau-gurazione di una mostra del pittore rinascimentale o perch il colore ne ricorda il tipico rosso) ; pi frequente per il processo metaforico di antonomasia per cui il nome di un individuo che presenta determinate caratteristiche viene attribuito a tutti coloro che hanno analoghe caratte-ristiche: cicerone 'guida turistica' , dallo scrittore latino, proverbiale per le sue capacit oratorie; marcantonio 'uomo robusto', probabilmente dalle statue romane che rappresentavano il triumviro Marco Antonio; perpetua 'domestica di un parroco', dal nome della domestica di Don Abbondio nei Promessi Sposi; paparazzo 'fotografo invadente', dall'omonimo perso-naggio del film di Fellini La dolce vita. Un processo di andata e ritorno dal nome comune al nome proprio e poi di nuovo al nome comune si

    ONOMASTICA 43

    avuto per margherita, nome di un fiore, ma anche di un tipo di pizza, cos chiamata, secondo la tradizione, in onore di Margherita regina d'Italia.

    Vediamo i tre mbiti (toponimi, nomi e cognomi italiani), in sequenza.

    2. I TOPONIMI

    Nell'ambito della toponomastica si possono distinguere varie categorie, a seconda del luogo di riferimento (i poleonimi sono i nomi delle citt, i coronimi nomi di regioni, come Lazio o Brianza, gli idronimi nomi di fiumi c laghi, come Adige o Trasimeno , gli oronimi nomi di monti, come Alpi o Maiella, gli odonimi nomi di strade, come via Cassia o piazza Cinque Giorna-te, ecc.) oppure dell'origine del nome (agiotoponimi sono i nomi di luoghi intitolati a un santo, come Sangimignano, zootoponimi quelli che derivano da un nome di animale, come le isole sarde Asinara e Caprera, fitotoponimi quelli derivati da nomi di piante, come Rovereto, ecc.).

    La toponomastica italiana costituita da un sostrto prelatino, da una forte componente latina e neolatina, nonch da elementi germanici, arabi, ecc. La toponomastica rappresenta in generale un settore particolarmente stabile e ci vale anche per quella italiana, sebbene non siano affatto manca-ti , soprattutto dall'Unit in poi, casi di mutamento di nomi di centri abitati, dovuti a cause diverse, spesso alla volont, che sottintende una precisa ideo-logia politica, di ripristinare il nome latino (citiamo solo il caso di Agrigento, che fino al1926 si chiamava Girgenti, peraltro deformazione medievale, at-traverso l 'arabo, del nome latino della citt, AGRIGENTUM) o di evitare nomi sentiti come poco eleganti (Borgorose, centro in provincia di Rieti, assunse questo nome nel1960 invece dell'originario Borgocolle/egato). I nomi dei fiumi, dei laghi, dei centri esistenti in epoca romana, molti dei quali semanti-camente opachi gi in latino perch derivati da lingue prelatine o dal greco, hanno in genere subto le stesse trasformazioni fonetiche e morfologiche che hanno portato dal latino all'italiano: derivazione dall'accusativo con caduta della consonante finale (dal lat. BENEVENTUM si avuto Benevento; si parte per dal nominativo nel caso di Orvieto< URBS VETUS, letteralmente 'citt vecchia'); conservazione dell'accento sulla stessa sillaba (BONNIAM>Bol6-

  • 44 CAPITOLO 2

    gna) , pur con alcune eccezioni (da BRUNDSIUM si avuto Brindisi); regola-rizzazione morfologica, con perdita dei pluralia tantum, cio dei nomi usati solo al plurale (da PISAS si avuto Pisa); varie trasformazioni fonetiche (da MANTUAM si avuto Mantova; da TIBERIM deriva Tevere) , anche con proces-si di riduzione del corpo delia parola (da PADUM si passati a Po). Origine longobarda hanno i toponimi composti con Fara (fara voleva dire 'corpo di spedizione') , Sala (da sala 'casa padronale', parola del resto accolta anche in italiano: sala da pranzo, sala riunioni, ecc.), Gualdo (da ''wald 'complesso dei beni terrieri '), diffusi nelle zone dove si stanzi questa popolazione ger-mamca.

    Pi trasparenti, e pertanto pi significativi dal nostro punto di vista, sono i nomi dei centri sorti in et medievale e moderna, o comunque ride-nominati ex nova, nomi che sono stati ottenuti spesso attraverso un mecca-nismo di composizione tipico dell'italiano (vedi cap. I, 2), che presenta l'ordinamento determinato+ determinante: il primo elemento del toponimo un nome comune, riferito a una particolarit geografica o architettonica del luogo (non di rado bastata questa sola a formare il toponimo, come nel caso di Prato) , poi una specificazione individuante (un aggettivo, un nome proprio introdotto da una preposizione, ecc.), che graficamente pu anche saldarsi al primo elemento, in un processo di univerbazione: abbiamo cos centri formati con citt o civita (Citt di Castello , Civitavecchia) , castello, spesso apocopato (cio troncato delia sillaba finale) in castel (Castelvecchio), villa (Villafranca e, con ordinamento opposto, Francavilla), borgo (Borgono-vo), casale, a volte apocopato in casal (Casale Monferrato, Casalmaggiore), torre (Torre del Greco, Torre Annunziata), ponte (Pontassieve 'ponte sul fiu-me Sieve'), rocca (Rocca San Casciano), colle (Colle Val d'Elsa), monte (Mon-tescaglioso), isola (Isolabella), porto (Portofino), fontana o /onte (Fontana Liri e, con ordinamento opposto, Franco/onte), ecc. Lo stesso meccanismo di formazione del toponimo, che vale spesso anche per monti, laghi, ecc. (si pensi a monte Bianco, lago Maggiore, val d'Osso/a), stato usato in epoca postunitaria quando, per distinguere centri omonimi in zone diverse ormai appartenenti allo stesso stato, ai toponimi tradizionali sono stati aggiun-ti nuovi elementi con la determinazione geografica: Reggio (dz) Calabria e Reggio (nell') Emilia, Ascoli Piceno e Ascoli Satriano, Sesto Fiorentino e Sesto Imolese, Settimo Milanese e Settimo Torinese, ecc.

    0NOMASTICA 45

    l:rcq uentissimi nella toponomastica italiana sono inoltre gli agiotoponi-illl , r he prendono nome da un santo a cui la comunit cittadina era partico-l ll l l ll'n t c devota (Santa Marinella, San Giovanni Valdarno, Sanremo) .

    Abbiamo infine alcuni suffissi, di matrice latina o anche germanica, usa-li 11 picamente nella toponomastica, caratteristici di varie zone: il caso di '" "1/ (Cosenza, Potenza, Vicenza), di -eto (Cerreto, propriamente 'luogo ricco

    tl 1 ce rri ', Loreto, Roseto), di -ano (Fabriano, Gargnano del Garda, Genzano) 1 , 111 alcune aree del Nord, di -engo (Marengo, Pastrengo) e di -ate (Linate, St 'J!.rate), ecc. Il suffisso -ia (con la i non accentata) stato usato, soprattut-l o (ma non solo) nel Novecento, e in particolare durante il Fascismo, per 11omi di citt derivati da nomi propri: Alessandria, cos denominata in onore de l papa Alessandro III; Cervinia, dal monte Cervino; Verbania , costituita da Intra e Palianza, dal Verbano, altro nome del lago Maggiore; Imperia , provincia ligure nata dall'unione di Oneglia e Porto Maurizio, dal torrente Impero (ma certo con allusione anche all'Impero d'Italia) ; Guidonia, dal cognome dell'aeronauta Alessandro Guidoni, ecc.

    Le caratteristiche fonetiche dei toponimi italiani si ritrovano anche nella forma che assumono in italiano i toponimi stranieri con cui storica-mente il nostro paese entrato in contatto e che sono stati italianizzati: ab-biamo cos Parigi, Londra, Berlino, Mosca (anticamente Moscov(z)a) , Por-togallo, Ungheria1 Svezia, Cina, Loira, Tamigi, Pirenei, Ande, ecc. ; poche le eccezioni (Madrid, Budapest) . Nel corso del Novecento, invece, questa tendenza venuta attenuandosi e, tranne che per le italianizzazioni ormai definitivamente acquisite, i toponimi stranieri mantengono la loro forma originaria, per quanto, nella pronuncia, pi o meno adattata. Anzi, New York prevale da tempo su Nuova York, e Valencia e Regensburg sono ormai pi frequenti di Valenza e Ratisbona (che per ha avuto un rilancio gior-nalistico dopo la visita, nel settembre 2006, di papa Benedetto XVI e il suo discorso su fede e ragione) . Anche nei derivati si adottano grafie che non corrispondono alla pronuncia, come newyorkese /njujor'kese/.

    3. I NOMI DI PERSONA

    Ancor pi che nella toponomastica, nell 'antroponimia italiana (come del resto in quella delle altre lingue europee) si rileva la coesistenza di tradi-

  • 46 CAPITOLO 2

    zioni diverse, che nel corso del tempo si sono intrecciate, con prevalenza ora dell'una ora dell'altra. I nomi di persona sono del resto il settore del lessico maggiormente esposto a influssi esterni, tra i quali vanno citati i contatti con altre lingue e culture, le convinzioni religiose, i fenomeni culturali e sociali (letteratura, arte, politica, ecc.), la moda: la scelta del nome del figlio o della figlia pu essere motivata infatti dalla volont di mantenere un nome gi in uso nella tradizione familiare (in particolare quello del nonno o della nonna), dalla devozione per un santo o una santa, di cui si invoca cos la protezione, dall'ammirazione per un personaggio famoso, reale o immaginario, dal ricor-do di un luogo, ecc. Negli ultimi decenni alcuni studiosi hanno rilevato una vera e propria rivoluzione onomastica, attribuita soprattutto all'influsso dei mass media, che ha portato all'abbandono di molti nomi tradizionali, oggi sentiti come obsoleti, in favore di nomi esotici; in realt le ricerche pi recenti hanno dimostrato che in ogni epoca si registra, a distanza di poche ge-nerazioni, la decadenza, almeno temporanea, di alcuni antroponimi, perch considerati adatti a persone anziane e non a bambini, e che dunque la storia dell'antroponimia presenta fenomeni che ciclicamente ricorrono.

    La distinzione di genere tra maschile e femminile che, come vedremo nel capitolo V, 2, si ha in italiano nei nomi comuni si rileva, naturalmen-te, anche nei nomi propri: i nomi maschili finiscono prevalentemente in -o (Giorgio, Marco, Roberto, Stefano, ecc.), sebbene non manchino nomi in -a (Andrea, Luca, Mattia, Nicola, ecc.), in -e (Giuseppe, Cesare, Ettore, Gabriele, ecc.) e in -i (Giovanni, Luigi, Ranieri, ecc.); quelli femminili sono generalmente in -a (Anna, Chiara, Cinzia, Maria, Sara, ecc.); la terminazione in -e nettamente minoritaria (Irene, Beatrice, Adele, Matilde, ecc.), mentre quelle in -i e in -o sono quasi del tutto assenti (Noemi, Consuelo e pochi altri). Coerentemente con il vocalismo atono italiano, non si hanno nomi maschili o femminili uscenti in -u. Rari in entrambe le categorie i nomi che hanno l'accento sulla vocale finale (Nic(c)ol, variante di Nicola, Li e forme ridotte come Maril, Mari), cos come tradizionalmente assenti sono le finali consonantiche, diffuse solo in epoca relativamente recente per nomi d'origine straniera.

    , La mozione, cio il passaggio di un nome da un genere grammaticale all'altro in rapporto al sesso, quasi sempre possibile e anzi frequente dal maschile al femminile, dove si realizza normalmente grazie alla sostituzione

    0NOMASTICA 47

    Q U ADRO 2.1.

    Nomi propri e formazione delle parole

    Le indicazioni che i nomi di persona ci forniscono relativamente alla strut-tura dell'italiano sono varie. Anzitutto, come possiamo avere in italiano nomi comuni formati da nome+nome (del tipo cassapanca), cos esiste la possibilit di nomi propri composti con altri nomi non solo giustapposti, ma anche uni-verbati: si pensi a Michelangelo, composto da Michele+Angelo, nomi peraltro riferiti entrambi all'(arc)angelo Michele. L'univerbazione oggi si verifica presso-ch esclusivamente con i maschili Pietro e Giovanni, che come primo elemen-to nei composti si presentano ridotti in Pier e Gian, troncamenti a loro volta delle forme Piero e Gianni (Pierluigi, Giancarlo, Gianmarco, Giampiero), e con i femminili Maria e Anna (Annamaria, Annalisa, Marianna, Mariangela, Rosan-na, Biancamaria). li nome Maria seguito da un altro nome ha inoltre provocato fenomeni di riduzione, come nel caso di Marisa e Maril (da Maria Luisa), di Marilena (da Maria Maddalena), ecc. Lo stesso nome Maria pu essere secondo elemento, univerbato o meno, anche di nomi maschili (Piermaria, Gianmaria, Enrico Maria) .

    Come i nomi comuni, anche i nomi propri italiani hanno la possibilit, al-meno nell'uso comune (non sempre nei dati anagrafici), di venire alterati con l'aggiunta di suffissi diminutivi, vezzeggiativi o accrescitivi come -inal-a, -etto/ -a, -anel-a (Luchino, Simonetta, Giorgione), che si sono a volte istituzionalizzati (Antonino e Antonella, per esempio, sono nomi diversi da Antonio e Antonia). Oggi, peraltro, l'alterazione dei nomi propri sembra meno frequente che non in passato e anzi nella scelta dei nomi dei figli spesso si opta per quelli che sembra-no meno disponibili a formare alterati.

    con -a della vocale finale dei nomi uscenti in -o e -i (Francesco/Francesca; Giovanni/Giovanna; particolare il caso di Stefano/Stefania), con l'aggiunta del suffisso -ina o -etta per i nomi in -a e, in genere, per quelli in -e (Andrea! Andreina; Nicola/Nicoletta; Cesare/Cesarina, ma Daniele/Daniela); rarissi-mo, invece, il passaggio al maschile di nomi originariamente femminili (Mario, imposto spesso a bambini perch considerato il maschile di Maria, ha invece altra origine, romana e non ebraica, come del resto dimostra la diversa posizione dell'accento, che peraltro si ha pure, per influsso del greco sul femminile, nella coppia Lcio/Luca).

  • 48 CAPITOLO 2

    Anche tra i nomi di persona figurano anzitutto nomi di tradizione la-tina, entrati in italiano secondo la stessa trafila fonomorfologica dei nomi comuni ( il caso di Marco , Giuliol -a e Giulianol -a, Mario, Cesare, Paolol-a); poi nomi greci, storici o mitologici (Diana, Alessandro, Filippo); quindi nomi ebraici e ancora greci, entrati prevalentemente col cristianesimo, che hanno subto a volte adattamenti pi consistenti (Maria, Giuseppe, la cui fortuna onomastica per solo moderna, Pietro, Giacomo o Jacopo , Giovannil-a, Anna, Nicola, Andrea, Giorgiol-a, Stefano) ; quindi nomi germanici, entrati nel Medioevo con gli invasori e alcuni dei quali tuttora diffusi (Enricol-a, Robertol-a, Federicol-a, Alberto, Matilde); infine nomi di origine francese, spagnola, inglese (Luigi e Luisa, Diego, Alvaro, Pamela, questi ultimi due accentati sulla penultima sillaba e non sulla terzultima, come nelle lingue di provenienza). Non mancano neppure nomi, specie femminili, derivati da nomi comuni, prevalentemente fiori, che possono avere motivazioni di-verse (Rosa, Viola, Margherita , Stella, Giacinto), n nomi tratti da aggettivi (Francesco , da Francia+ -esco, Chiara, Clemente, Pio/ -a, Bruno/-a, Bianca). Quasi esclusivamente otto-novecentesca (e anzi particolarmente diffusa dal secondo Novecento in poi) la fortuna di nomi di origine straniera con fina-le consonantica o comunque con grafemi estranei all'italiano (David, Fanny, Mirko, Christian, Omar, Walter, Deborah, Loris, Ivan, ecc.). Fanno storia a s, ovviamente, i nomi di figli degli immigrati stranieri residenti nel nostro paese divenuti cittadini italiani.

    Come per la toponomastica, fino alla met del secolo scorso anche i nomi propri stranieri (di personaggi reali o immaginari) venivano per lo pi tradotti in italiano: nei libri di storia e nei frontespizi di libri e libretti d'opera troviamo diciture come Michele Cervantes, Vittorio Hugo, Gior-gio Washington, Giulio Massenet, Leone Tolstoi, ecc., ben poche delle quali sono tuttora usate. Oggi l'italianizzazione appare infatti limitata ai nomi di regnanti (la regina Elisabetta e il principe Carlo d'Inghilterra, per esempio); altrimenti il nome straniero rimane nella lingua d'origine, come il cognome. Si ricordi che anche questo in et umanistico-rinasci-mentale poteva essere latinizzato e quindi tradotto (come nel caso del riformatore protestante tedesco Martin Lutero, della regina di Scozia Maria Stuarda, dell'astronomo polacco Nicol Copernico o del filosofo francese Renato Cartesio) .

    0NOMASTICA 49

    Anche i nomi dei personaggi delle opere letterarie, dei fumetti , dei film, dei cartoni animati di origine straniera, che fino a qualche anno fa venivano tradotti, spesso anche con una certa inventiva (si pensi a Rossel-la, la protagonista di Via col vento, nell'originale Scarlet; a Topolino per Mickey Mouse; a Bibl e Bib per Hans e Fritz Katzenjammer; perfino gli attori Stan Laurei e Oliver Hardy divennero Stantio e Ollio) , oggi restano nell'originale (anche quando, come nel caso di Hercules o Aladdin, sono gi in uso le forme corrispondenti italiane, Ercole e Aladino), peraltro adattati spesso nella pronuncia. Basterebbe citare i nomi dei personag-gi dei Pokmon, come Pikachu, Psyduck, Cyndaquil, Meowth, Cle/airy, Squirtle, ecc., da vari anni popolarissimi tra i bambini, nonostante le diffi-colt di pronuncia e, soprattutto, di grafia che sembrano presentare, per cogliere la rivoluzione onomastica che si avuta in questo settore.

    Anche nei derivati da nomi di persona, come in quelli tratti da topo-nimi, in passato sono ben attestati adattamenti fonetici della base, come egheliano (dal filosofo tedesco G.W.F. Hegel} o scespiriano (dallo scritto-re inglese William Shakespeare), o come pastorizzare 'sterilizzare il latte', derivato, come il francese pasteuriser, dallo scienziato Louis Pasteur, che introdusse il metodo, ma adattato all'i