Storia Del 900 Italiano

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STORIA DEL 900 ITALIANO: SIMONA COLARIZI PARTE PRIMA: L’ITALIA LIBERALE 1)L’ETA GIOLITTIANA: 1)si chiude un’epoca il 900 Italiano si apre con l’uccisione a colpi di pistola del re, mentre viaggia in carrozza verso Monza. Ma gli italiani vedono la morte di Umberto I non come un presagio funesto,ma come l’inizio del nuovo secolo, come una cesura con l’800. Il re aveva chiaramente dimostrato di essere incapace di gestire i tumultuosi cambiamento sociali ed economici in avvio in Italia, lasciandosi alle spalle una scia di morti vittime della repressione. Il popolo si mobilita pretendendo diritti, mentre gli stati 800 sono lenti a comprendere i cambiamenti, perché basati sull’idea che ci sia una massa indefinita di sudditi che non sono cittadini attivi. Ma il vento del liberalismo e della democrazia comincia a spirare in tutta Europa. Certo contro il vento del cambiamento portato da Inghilterra e Francia troviamo i Romanoff e gli Asburgo a controbilanciare il tutto, mentre la Prussia fa modello a se: una moderna potenza economica e sociale mantenuta in vita da un ordine autoritario. Il neonato stato italiano si è dato una forma liberale in cammino verso la democrazia: liberali e democratici avevano lottato per lo stato italiano e su questi valori era stata incardinata l’unità d’Italia. Nel Parlamento il potere è saldamente in mano alle due ali liberali, destra e sinistra storica, che si confrontano con l’altra faccia del movimento patriottico che aveva portato all’unità: la sinistra radicale e repubblicana (Mazzini e Garibaldi). Vittorio Emanuele II accetta questo ordine e così pare fare anche Umberto I, accettando un aumento dei poteri del Parlamento e una riduzione di quelli della Corona, per avviare il cammino alla democrazia. Il potere del re sembra ridursi ad un ruolo simbolico, di garanzia e rappresentanza. In realtà si Umberto I sia la moglie si sono adattati al momento, covando intimamente risentimento verso il Parlamento e nessuna fiducia verso la borghesia che si accinge a governare il paese (paese, l’Italia, avvertito come unitario solo dalle elitè borghesi che avevano partecipato attivamente alla creazione dello stato). Rimane il fatto che per i contadini essere sotto i Lorena, gli Asburgo o i Savoia comporta poca differenza e il passaggio viene affrontato con passività e indifferenza: diversa è la situazione nelle città. In ogni caso alla fine dell’800 l’obiettivo di Fare gli italiani di cui parlava D’Azeglio è ancora lontano. Questo non riesce a causa del fragile tessuto sociale e civile dell’Italia in cui troviamo ancora molti analfabeti (punte del 90% della popolazione in Sardegna, 70% la media) Nel 1891 la situazione è

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STORIA DEL 900 ITALIANO: SIMONA COLARIZIPARTE PRIMA: L’ITALIA LIBERALE

1)L’ETA GIOLITTIANA:1)si chiude un’epocail 900 Italiano si apre con l’uccisione a colpi di pistola del re, mentre viaggia in carrozza verso Monza. Ma gli italiani vedono la morte di Umberto I non come un presagio funesto,ma come l’inizio del nuovo secolo, come una cesura con l’800. Il re aveva chiaramente dimostrato di essere incapace di gestire i tumultuosi cambiamento sociali ed economici in avvio in Italia, lasciandosi alle spalle una scia di morti vittime della repressione. Il popolo si mobilita pretendendo diritti, mentre gli stati 800 sono lenti a comprendere i cambiamenti, perché basati sull’idea che ci sia una massa indefinita di sudditi che non sono cittadini attivi. Ma il vento del liberalismo e della democrazia comincia a spirare in tutta Europa. Certo contro il vento del cambiamento portato da Inghilterra e Francia troviamo i Romanoff e gli Asburgo a controbilanciare il tutto, mentre la Prussia fa modello a se: una moderna potenza economica e sociale mantenuta in vita da un ordine autoritario. Il neonato stato italiano si è dato una forma liberale in cammino verso la democrazia: liberali e democratici avevano lottato per lo stato italiano e su questi valori era stata incardinata l’unità d’Italia. Nel Parlamento il potere è saldamente in mano alle due ali liberali, destra e sinistra storica, che si confrontano con l’altra faccia del movimento patriottico che aveva portato all’unità: la sinistra radicale e repubblicana (Mazzini e Garibaldi). Vittorio Emanuele II accetta questo ordine e così pare fare anche Umberto I, accettando un aumento dei poteri del Parlamento e una riduzione di quelli della Corona, per avviare il cammino alla democrazia. Il potere del re sembra ridursi ad un ruolo simbolico, di garanzia e rappresentanza. In realtà si Umberto I sia la moglie si sono adattati al momento, covando intimamente risentimento verso il Parlamento e nessuna fiducia verso la borghesia che si accinge a governare il paese (paese, l’Italia, avvertito come unitario solo dalle elitè borghesi che avevano partecipato attivamente alla creazione dello stato). Rimane il fatto che per i contadini essere sotto i Lorena, gli Asburgo o i Savoia comporta poca differenza e il passaggio viene affrontato con passività e indifferenza: diversa è la situazione nelle città. In ogni caso alla fine dell’800 l’obiettivo di Fare gli italiani di cui parlava D’Azeglio è ancora lontano. Questo non riesce a causa del fragile tessuto sociale e civile dell’Italia in cui troviamo ancora molti analfabeti (punte del 90% della popolazione in Sardegna, 70% la media) Nel 1891 la situazione è leggermente migliorata: la Legge Coppino del 1877 comincia a dare i suoi frutti e si arriva ad una media del 57% di analfabeti, ma al Sud gli indici restano molto alti. Una ignoranza così pesante limita la capacità di diventare cittadini attivi per molti italiani, questo anche quando viene abolita la legge elettorale censita ria, ma introduce quella dell’analfabetismo. Votano solo 3 milioni di italiani su 30 milioni. A questo si aggiunge il problema della mancanza di una lingua comune: l’italiano esistente nei libri come lingua colta, assurto a lingua ufficiale, è insegnato nelle scuole e parlato da una minoranza di cittadini in pubblico e da poche famiglie aristocratiche, che nel privato continuano però a usare il dialetto. Una coscienza collettiva comincia a farsi strada nelle masse che cominciano a politicizzarsi (cosa che precede l’acquisizione di una identità nazionale) nelle organizzazioni socialiste e cattoliche, che sono per l’appunto antinazionali: l’uno segue l’internazionalismo, l’altro considera i Savoia degli usurpatori del potere della Chiesa (ricorda il non expedit). Ecco spiegato il forte senso di incertezza della borghesia: si rischia non solo il sovvertimento dell’ordine, ma è anche a rischio l’intero edificio nazionale costruito senza una solida base popolare e ancora chiuso, dopo 30 anni, alla maggioranza degli italiani. Tutto questo mentre in piazza ci sono varie sommosse che sono di certo più difficilmente gestibili di un dissenso incanalato nelle istituzioni. Alla Camera e al Senato si confrontano 2 schieramenti: i liberali di sinistra che insieme ai gruppi minoritari dei radicali e dei repubblicani spingono per allargare le basi del consenso, e i liberali di destra che resistono a questa prospettiva timorosi degli sconvolgimenti inevitabili in un processo di crescita accelerato.

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Quando nel 1893 esplodono in Sicilia e Lunigiana le agitazioni dei fasci dei minatori e dei contadini primo ministro è Crispi che viene dalle fila della Sinistra Storica, ma non ha alcuno scrupolo a proclamare lo stato d’assedio in Sicilia e Lunigiana, a sciogliere il partito socialista, a cancellare le libertà dei lavoratori a colpi di leggi eccezionali. 2000 arresti, 100 morti. 3 anni dopo ricomincia tutto: un’annata agricola negativa scatena rivolte e scioperi per il pane in tutta Italia, culminate nel 1898 con i moti di Milano. Rudini, liberal-consevatore, ha la stessa reazione di Crispi: chiude i giornali dell’opposizione, scioglie le associazioni socialiste e cattoliche, mette sotto stato d’assedio Milano e lascia Bava Beccaris a ordinare di sparare sulla folla. Le fonti ufficiali parlano di 80 morti, 300 per l’opposizione, migliaia di persone arrestate, finisce a 12 anni di carcere Filippo Turati capo del Psi. L’accusa è di attentato alle istituzioni dello Stato. La reazione dimostra la chiara paura dei liberali del cambiamento: la cosa è confermata pure dal Re che insignisce Bava Beccaris della gran croce dell’Ordine militare di Savoia, in riconoscimento del servizio reso alle istituzioni e alla civiltà. L’800 si va chiudendo con una svolta autoritaria. Tra i pensatori di questa svolta erge il liberal conservatore Sidney Sonnino che in un articolo su “Nuova Antologia” nel 1897 scrive che il re deve riappropriarsi delle prerogative che lo statuto albertino gli concede ridimensionando il ruolo del parlamento. Il generale Pelloux che guida il governo fino al 1900 segue preciso questa strada. L’ondata di indignazione per il sangue versato però comincia a travalicare gli ambienti socialisti e quelli anarchici (dove matura il regicidio) interessando anche radicali, repubblicani, liberali progressisti che aprono una dura polemica col governo fino al clamoroso gesto del direttore del Corriere della Sera, giornale degli industriali, che rassegna le dimissioni per protesta. Il movimento nato a favore dell’amnistia per i detenuti politici si rafforza e ottiene vari successi. A questo coro di opposizione si uniscono anche alcuni cattolici e in loro aiuto interviene anche Leone III che con l’enciclica “Spesse volte” ricorda come l’associazionismo cattolico funga da pacificatore sociale (cosa che va a bilanciare la linea, del tutto filogovernista, dei clericalconservatori). Sarà la mobilitazione della sinistra liberale, o costituzionalista, guidata da Giolitti a determinare la vittoria dell’opposizione in Parlamento. I giolittiani cominciano ad aiutare socialisti, repubblicani, radicali nel ferreo ostruzionismo per bloccare una modifica del regolamento parlamentare volta a ridurre i poteri del parlamento. Dopo vari discorsi di Enrico Ferri durati ore e ore e che bloccano la discussione la Camera viene chiusa per sei giorni con decreto regio. Al ritorno il Parlamento scoppia una rissa tra Bissolati e Sonnino che vengono alle mani mentre alcuni deputati socialisti rovesciano le urne con le schede dei voti. La Camera è di nuovo chiusa, ma non resta altro da fare che indire le elezioni. Comincia il 900. Radicali, repubblicani e socialisti prendono quasi 30 seggi in più. Successo annunciato dalla grande vittoria della stessa coalizione alle amministrative di Milano, Torino, Pavia, Piacenza ecc.. I liberali costituzionali, alleati con la sinistra, godono anch’essi di buona spinta propulsiva: 116 seggi. Pelloux si dimette e Saracco, nonostante sia liberal.conservatore, tenta un gesto di conciliazione: ritira la proposta di modifica del regolamento parlamentare. Ma l’uccisione da parte di Bresci di Umberto I gela ogni entusiasmo, facendo riprecipitare tutti nello spettro di un’altra ondata reazionaria. Sonnino rilancia di nuovo il motto “torniamo allo Statuto” mentre pare diffondersi un sentimento di indignazione verso la sinistra (che condanna comunque l’attentato anarchico). L’erede al trono è Vittorio Emanuele III schivo e timido molto introverso e lontano il più possibile dagli splendori della corte: ben differente dai genitori. Gli manca il piglio autoritario dei geniutori, anche se ha sincero orrore delle piazze tumultuose e della sinistra che ha attentato già più volte alla vita del padre. La regina Margherita e la destra liberale maggioritaria in parlamento lo convinsero a vendicarsi riducendo i poteri costituzionali per imporre il pugno di ferro nel paese e riportare all’ordine le classi ribelli. Vittorio Emanuele III voleva un’Italia ordinata e serena, disciplinata e rispettosa, ma voleva anche essere amato dai sudditi: la rinuncia alla vendetta che egli fa e la promessa di un ritorno alla normalità nel paese sono un passo in questa direzione.

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2: il paese tra sviluppo e arretratezza: a favore della normalizzazione gioca anche il ruolo della borghesia imprenditoriale, o quantomeno dei borghesi progressisti che avevano aspramente criticato il massacro di Milano. La cosa non è secondaria perché il peso della borghesia nell’opinione pubblica conta sempre di più, legato allo sviluppo economico. Il Pil cresce soprattutto nel settore manifatturiero, ma è lo sviluppo delle grandi aziende a rendere evidente la modernizzazione in atto. All’avanguardia è il settore della siderurgia trasformato in industria integrata grazie al fatto che ora è in grado di compiere l’intero ciclo produttivo, come progettato, per primo in Italia, da Vincenzo Breda. Il decollo inizia quando lo stato concede le miniere dell’Elba: le imprese produttrici prendono in poco tempo la fisionomia del trust come conferma poi nel 1905 la fondazione dell’Ilva (riprende il nome latino dell’Isola)tutto coll’aiuto dello stato (va crearsi il capitalismo italiano, fatto di uno stretto intreccio tra Stato, industria e gruppi finanziari). Nell’industria meccanica abbiamo la fondazione a Torino,da parte del proprietario terriero Giovanni Agnelli, della Fiat (fabbrica italiana di automobili). Si passa da una produzione di 8 automobili nel primo anno ad una produzione di oltre un migliaio nel 1906. Inizia anche la battaglia politica sulle ferrovie: la maggior parte degli italiani si sposta in treno. Si ha la statalizzazione nel 1905. Sono tutte conquiste importanti che influiscono molto sui costumi e la vita quotidiana della gente, soprattutto del Nord (dove c’è un forte boom demografico). Una popolazione variegata (borghesi, imprenditori, operai, contadini) comincia a chiedere che lo stato garantisca libertà, diritti, condizioni di vita migliori e armonia, soddisfacendo i bisogni delle classi più povere, ma anche quelli degli industriali. La strage di Milano non è la giusta risposta e questo provoca indignazione ( ipocrita, perché nessuno vuole vedere morti al Nord, mentre sparare ai contadini dei fasci siciliani non disturba nessuno). Tutti condannano l’intervento della polizia e la concentrazione dei poteri in mano al Re: pochi mettono in dubbio la monarchia, ma si vuole un modello inglese rispettoso della sovranità delle Camere e senza tentazioni autoritarie. IL nuovo re sembra promettere tutto questo e diventa subito il paladino dei liberali progressisti. A questo coro si unisce anche Sonnino che sulla Nuova Antologia scrive in maniera ben diversa da prima: sempre convinto della necessità di un forte governo comincia però ora a chiedere una coraggiosa politica riformista in campo economico, sociale, giuridico perché l’Italia si avvii verso la modernità. In ogni caso lo sviluppo industriale si limita ad alcuni settori ed aree geografiche precise. Esclusa la siderurgia tutte le aziende sono ancora a conduzione familiare con pochi addetti, paga bassa e orari da inferno sia per uomini che per donne e bambini. Nel 1900 la spesa per l’alimentazione resta quella più amplia tra le spese di una famiglia operaia: siamo appena al livello di sussistenza. L’agricoltura assorbe il 60% della popolazione attiva. La maggior parte sono braccianti impiegati nelle coltivazioni di cereali del sud o nella pianura padana dove va formandosi l’agricoltura capitalistica. Il resto (mezzadri, fittavoli,coloni) lavorano alla giornata. Gli stessi fondi sono troppo piccoli per sfamare una famiglia contadina allargata. Non è un caso che ci sia una emigrazione immensa verso gli Usa, con 2 milioni di emigranti in 20 anni soprattutto dal Nord Est. Meno dal Sud.

3)i riformisti alla guida del Psi (1900-1904)il Psi a otto anni dalla sua formazione si trova ancora concentrato al Nord soprattutto nel triangolo industriale del Nord Ovest e nella pianura padana. Vi confluiscono quindi i contadini che conoscono già le aziende agricole di tipo capitalista, gli operai delle grandi fabbriche e perfino una piccola parte di classi urbane medio piccole conquistate dal credo di libertà e uguaglianza e favorevoli alla linea riformista dei leader del Psi che teorizzano la collaborazione con le forze borghesi. IN 3 anni triplicano i seggi in parlamento (33 nel 1900) e Turati teorizza un accordo con la sinistra liberale di Giolitti. Nonostante i riformisti abbiano saldamente il controllo del partito comincia a svilupparsi una forte opposizione interna che vuole dare voce ai milioni di proletari ancora esclusi dal moderno processo produttivo e dimenticati

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dallo Stato e dai leader del partito. Questa divisione mostra come in realtà il Psi sia diviso in varie correnti che spesso portano a scissioni: la prima nel 1892, anno di nascita del partito, con gli anarchici: le ragioni di questa frammentazione sono da ricercarsi nella disomogeneità del proletariato italiano. Rimaneva forte l’impegno di Turati a diffondere il Psi in tutta Italia attraverso anche le reti delle associazioni e delle organizzazioni proletarie diversificate da zona a zona ma omogenee al proprio contesto. In più i vertici mancano di una ideologia forte che faccia da collante: da una parte i riformisti come Turati che arrivano al marxismo attraverso un umanesimo socialista positivista, dall’altra l’estrema sinistra rivoluzionaria che esprime più che un orientamento ideologico un bisogno: ottenere tutto subito, il massimo. Non è un caso che il Psi risulta diviso in massimalisti e minimalisti (i massimalisti rimangono nel Psi anche dopo la nascita del Pci: massimalismo e comunismo rivoluzionario non sono da confondere).Per quanto riguarda la base del psi abbiamo i diseredati che vedono il marxismo come una religione, una specie di promessa di salvezza da una parte e gli operai dei distretti industriali in cui il capitalismo avanza che cominciano a farsi una forte coscienza di classe basata su una conoscienza quantomeno elementare del marxismo. Salvemini sa bene che al Sud non si conosce il plusvalore e sa che la rabbia dei contadini del sud è tanto esplosiva quanto facile a morire quando la forza pubblica spara: al sud le organizzazioni proletarie sono ancora debolissime. Pochissimi sindacati presenti e le leghe bracciantili nascono e muoiono nel giro di pochi mesi ( contribuisce a questo il fatto che l’eco riformista per i miglioramenti dei salari e la riduzione degli orari di lavoro cade nel vuoto al Sud, dove c’è una gran massa di disoccupati che lavora massimo 3 mesi all’anno). Aumento dei salari, riduzione degli orari di lavoro, istruzione obbligatoria, suffragio universale diventano i punti, usciti dal congresso socialista del 1900, per l’alleanza con Giolitti (che ricambia promettendo la riforma tributaria, il diritto di associazione, imparzialità dello stato nei conflitti di lavoro). Saracco si dimette nel 1901 dopo uno sciopero dei portuali genovesi indignati per la chiusura della Camera del lavoro cittadina: Giolitti forma il nuovo governo coi socialisti. Saracco revoca il decreto di chiusura, ma le leghe bracciantili sono ormai sul piede di guerra: per evitare una nuova ondata di sommosse si sceglie stavolta la strada del dialogo. Zanardelli viene nominato primo ministro che elegge Giolitti Ministro dell’Interno (promette legalità e libertà) e si promette l’abolizione del dazio sulle farine, pane e pasta e aumento delle imposte dirette (ministro delle finanze è l’economisa Leone Wollemborg).

4)socialisti e cattolici tra collaborazione e intransigenza Giolitti ha ben chiaro come affrontare i problemi: la questione sociali va affrontata alla radice, agevolando e non reprimendo il processo di crescita sociale, economica e politica delle masse che attraverso sindacati, partiti, associazioni, camere del lavoro acquisiscono l’identità di cittadini: sa che incanalare la protesta entro i canali istituzionali, agendo quindi da cittadini, impedisce di trovarsi di fronte a scoppi di rabbia improvvisi. Insomma Giolitti vuole che l’elitè che governa con lui si faccia carico di integrare le classi subalterne nella vita dello Stato con un’opera di mediazione preziosa prima di tutto per i governanti stessi. Accettare questa strada significa lasciare via libera alle organizzazioni socialiste, ma anche a quelle cattoliche. Subito nascono la Fiom (metalmeccanici), la federazione nazionale dei lavoratori dello stato, quella tessile (bianca e rossa), la Federterra (lavoratori terra), si incrementano notevolmente le leghe bianche. La capillarità della rete ecclesiastica aveva permesso una penetrazione diffusa degli attivisti cattolici soprattutto nelle campagne e si era fondata l’Opera dei Congressi per fare da contenitore a tutto l’associazionismo bianco. L’opera dei congressi entra in crisi nei primi del 900, quando si diffonde tra i conservatori una certa diffidenza per i democratico-cristiani di Romolo Murri, sviluppatisi esternamente all’Opera: è un sindacalismo cattolico considerato troppo simile a quello socialista nelle modalità e nelle pratiche di lotta, avendo teorizzato perfino il ricorso allo sciopero. Murri non nasconde nemmeno la sua voglia di fare dei Democratico.cristiani un partito. Nel 1901 il Papa interviene prendendo la presidenza dell’Opera dei Congressi ed obbligando Murri ad aderirvi (non muta l’idea dell’importanza dell’attivismo

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cattolico come pacificatore sociale e per fermare l’avanzata marxista ribadendo rispetto delle gerarchie e collaborazione tra le classi, ma si respinge fermamente l’idea di partito o sindacato). Nel 1902 il movimento di Murri è vastissimo e continua ad estendersi (250 mila membri) in netta concorrenza col movimento “rosso” (con cui condivide il problema della netta sproporzione di adesioni tra Nord e Sud). Mentre socialisti e cattolici si organizzano si ha una ondata di mobilitazione superiore a quella del 1983: dilagano gli scioperi nella pianura padana e nelle città industriali (solo nel 1901 mille scioperi, 600 le agitazioni nelle campagne). Nonostante tutte le premesse i governanti usano le maniere forti: 3 morti e venti feriti a Ferrara per opera delle forze dell’ordine, il cui operato è difeso da Giolitti. E parte la militarizzazione per bloccare lo sciopero dei ferrovieri. Giolitti non ha cambiato idea ma sa di dover rassicurare liberali moderati e destra liberale che potrebbero in un attimo rovesciare il governo Zanardelli e imporre stavolta davvero un governo reazionario e contemporaneamente vuole far capire ai socialisti che le lotte vanno guidate e controllate perché il governo possa rimanere neutrale. Turati lo capisce e nel congresso del 1902 del psi vota a favore del governo Zanardelli. Tre mesi dopo è ricompensato con una legge a protezione di donne e minori che eleva a 12 anni l’età minima per lavorare, riduce a 11 h per i bambini e 12 h per le donne la giornata lavorativa, crea il congedo di un anno per maternità. Ma nello stesso congresso le file dei massimalisti, molto ingrossate, danno non poco filo da torcere a Turati: ormai sono insofferenti per la lentezza con cui i riformisti fanno avvenire il cambiamento attraverso il Parlamento. Invocano la lotta, mostrare i muscoli al padronato, bloccare la produzione: come avevano dimostrato le agitazioni del 1901-1902 è con gli scioperi che si ottiene più di quanto non si ottiene con una legislatura. Arturo Labriola è la voce che ha la lotta di classe come parola d’ordine: non mette in dubbio le riforme, ma queste si ottengono scendendo in guerra col sistema capitalista e col governo borghese in tutte le maniere, anche con la rivoluzione. Lo slogan udito negli scioperi del 1902 w il socialismo! W Giolitti lo fa rabbrividire: nessuna collaborazione con le forze borghesi. Parole simili sono di Ferri: la leadership di Turati perde forza. Nel congresso di Bologna del 1904 i riformisti vanno in minoranza: dopo poco gli effetti si fanno sentire e si proclama lo sciopero generale per protesta contro la polizia che ha aperto il fuoco a Cagliari contro i minatori. E’ il primo sciopero generale che coinvolge una miriade di lavoratori, ma inasprisce le differenze entro il Psi. A polemizzare contro governo e riformisti non sono solo i massimalisti, ma anche Salvemini che dichiara il Sud abbandonato a se stesso in preda a miseria e criminalità. Del 1901 l’inchiesta del senatore Saredo Giuseppe che rende note le malversazioni e ruberie dei sindaci di Napoli, cominciano le prime accuse di collusione con la camorra. Questo nonostante grandi menti (Nitti, Einaudi, Zanardelli stesso che si reca in Basilicata per rendersi personalmente conto della situazione) si stiano interessando davvero per la prima volta al problema del su. Ma Salvemini non è soddisfatto che pretende che la questione meridionale diventi la prima dell’agenda del Psi. Dall’asse Turati-Giolitti Salvemini non si aspetta molto visto che la loro politica non dà effetti evidenti, tantomeno al sud dove le proteste continuano a essere represse col piombo. Ma oltre all’illegalità della polizia che agisce col sopruso e la violenza troviamo il disprezzo delle leggi da parte di prefetti e questori che si attivano per favorire i notabili governativi. Giolitti comincia a essere presentato nelle vignette di satira come un bifronte che mostra la faccia dura al Sud senza per questo perdere l’appoggio del Psi. Il Psi riformista è troppo impegnato nel parlamento, quello massimalista preferisce reclutare al Nord dove una forma di coscienza di classe già esiste che al Sud dove c’è ancora tutto da creare convinti che la carica rivoluzionaria del socialismo del Nord si sarebbe poi estesa al Sud. Salvemini non è d’accordo e si dimette. nel 1901 il maldipancia si fa sentire anche tra i cattolici: il Papa non ha fatto ordine e l’Opera dei Congressi sta per collassare sotto i fendenti di Murri. Nel 1902 Murri è censurato e allontanato dalla politica, vi ritorna e nel 1903 accusato ancora di indisciplina. La nomina a Papa di Pio X al posto di Leone XIII, antimodernista e intransigente custode dell’ortodossia profuma della fine di Murri. Nel 1904 l’Opera è sciolta e l’associazionismo cattolico riorganizzato in modo tale da aumentarne la dipendenza disciplinare

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dai vescovi e rimettendo in riga il basso clero. Murri viene sospeso a divinis poi scomunicato mentre il Papa pubblica la Pascendi Dominici gregis con cui condanna il modernismo. Rimangono delusi comunque in conservatori più reazionari dalla politica morbida inaugurata da Pio X verso lo stato liberale, al punto che due cattolici sono eletti in Parlamento: si ribadisce comunque che il non expedit non è sospeso è che tutto è dovuto alla necessità di arginare i socialisti. Crolla sulle teste dei cattolici lo sciopero generale come un trauma da cui è difficile riprendersi. Il disgelo coi cattolici arriva quando Giolitti diventa primo ministro: non chiude la porta in faccia ai socialisti (chiede l’appoggio di Turati per formare il governo), ma tenta di barcamenarsi. Se una parte dei cattolici liberali è disponibile a sostenere la maggioranza giolittiana, Giolitti li accoglie a braccia aperte. In ogni caso una soluzione alla questione romana non si profila all’orizzonte, ma si può avviare una trattativa indiretta, un patteggiamento di volta in volta coi diversi settori cattolici.

5)la mobilitazione politica del ceto medioin Italia troviamo numerosi ceti medi interessati alle riforme di Giolitti e allo sviluppo, cosa che impone al governo di allargare la base elettorale. Giolitti si dimostra disposto a tutto per realizzare il suo programma, mediando sempre su tutto e ritenendo utile ogni strumento di persuasione, soddisfacendo ora questo interesse particolare, ora quest’altro. Perdono di trasparenza e visibilità quindi i processi per composizione del conflitti in Parlamento e si perde anche l’identità politica della maggioranza giolittiana disgregando progressivamente il fronte dei conservatori liberali. Giolitti cioè si dota di un largo schieramento di deputati a lui fedelissimi che gli consente di governare per dieci anni: è quella che viene definita la dittatura parlamentare giolittiana. Ma rimane una maggioranza senza idee che Giolitti lega a sé concedendo favori, soddisfacendo interessi particolari, concedendo voti quando si aprono le campagne elettorali. Giolitti vive uno stato di compromesso permanente. Gli effetti sono positivi per il paese che vive un periodo di sviluppo senza traumi vistosi, meno positivi invece per il sistema politico che invece di avviarsi verso la democrazia si ritrova ingabbiato nel trasformismo. A questo si aggiunge la difficoltà nella politicizzazione del ceto medio, molto variegato e frammentato: al declino inesorabile della piccola borghesia urbana e rurale corrisponde una dilatazione improvvisa dei settori legati all’industria e al pubblico impiego. Così le scelte politiche della piccola e media borghesia appaiono disomogenee: si rifanno al liberalismo, al cattolicesimo, al radicalismo e in alcuni casi al socialismo riformista. Chi vota radicali e socialisti altro non è che la fascia progressista e più avanzate: eguaglianza, libertà, modernità sono le parole d’ordine dei socialisti quindi attrattive, contro il vecchio potere, anche per alcuni del ceto medio. Pochi si convertono al marxismo, mentre molti apprezzano la spinta positivista assieme a certi spunti umanistici e populistici: ecco il perché soprattutto al Nord i socialisti acquistano alcuni consensi tra i borghesi. Libro più letto è Cuore che riassume tutti gli stereotipi della cultura positivista e tra i poeti si apprezza Pascoli partecipe al destino degli umili, protagonisti di una epopea nazionale riletta in chiave populistica. La realtà sociale così povera e ingiusta indigna e emoziona il borghese, che però non ripudia la patria-matrigna ma li spinge ad educare il popolo e migliorarne le condizioni di vita, proseguendo la missione ideale del Risorgimento. La militanza socialista non è vissuta come contraddizione al loro forte sentimento nazionale per lo meno fino a quando a capo del Psi ci sono i riformisti. Tutto questo spiega sia il boom di voti dei socialisti sia la crescita delle frange massimaliste entro il Psi. L’ascesa dei massimalisti alla guida del Psi, contrari ad ogni accordo con la borghesia e fortemente avversi alla propaganda nazionale, allontana il ceto medio dal Psi. IN teoria ora questo elettorato di ceto medio progressista dovrebbe trovare come sfogo la creazione di un centro democratico, potenzialmente maggioritario. A vanificare il progetto di un polo democratico di sinistra contribuisce anzitutto il Psi dove le correnti riformiste favorevoli all’accordo vanno in minoranza. Ma conta anche il fatto che radicali e democratici, eredi garibaldini e mazziniani, non hanno una struttura nazionale organizzata. Varie associazioni di volontariato assicuravano la loro presenza nella società civile con un forte radicamento in alcune zone e totale assenza in altre. Mancava una guida centrale nonostante la nascita del

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Pri nel 1895 sul modello organizzativo del Psi. Ma radicali e repubblicani non credono nei partiti e questo li condanna all’emarginazione politica. Le cose non cambiano nemmeno nel 1900, anche se si costituisce il partito radicale. Si accentua anche la distanza tra la rappresentanza parlamentare e i punti di forza a carattere locale: su parole d’ordine anticlericali, laiche e una piattaforma progressista radicali e repubblicani vanno bene alle amministrative. La forte opposizione antimonarchica li porta a non voler entrare in nessun esecutivo, anche quando Giolitti offre loro l’occasione. Ciò non toglie che Marcora voti quasi sempre a favore del governo,ricevendo in regalo da Giolitti la carica di Presidente della Camera. Ma tutto ciò non rafforza i radicali e repubblicani che restano un fenomeno ridotto e senza scala nazionale. Non sfruttano la loro forza coalittiva, che poteva renderli vitali per certi governi, e anzi si fanno risucchiare dalla prassi trasformistica imperante in Parlamento perdendo la fiducia degli elettori. Piano piano si avverte la rottura tra la tradizione e le avanguardie che avevano fatto da ponte tra i socialisti e la piccola borghesia urbana : nasce la polemica contro il positivismo, contro le scienze sociali, contro l’umanismo commuovente, che sfociano poi nel manifesto dei futuristi e nella rivista la “voce” e che comunque accomuna una variegata quantità di persone da D’Annunzio, Prezzolini a Marinetti. Il mondo intellettuale si presenta molto disarmonico e variegato e quindi incapace di diventare un punto di riferimento per le forze democratiche L’ambizione di educare gli italiani a un nuovo senso civico si traduce in una polemica intransigente contro l’Italia di Giolitti, dell’amministrazione centralizzata, della cultura accademica imbevuta di retorica, della corruzione politica. Tuttavia Papini, Salvemini, Amendola che scrivono tutti sulla “voce” parlano lingue diverse. Ancora più confusa è la propaganda futurista che esalta il superomismo, l’azione, la forza, la velocità, la bellezza della lotta fino a definire la guerra la sola igiene del mondo. Sono contro-valori che affascinano i borghesi. Anche i futuristi vogliono abbattere l’italietta giolittiana ma non per introdurre una morale più rigorosa, ma per il dovere dello sforzo, la visione dell’umile giornata come missione ecc… e teatralizzano tutto e sperimentano nuove forme di comunicazione adatte alla società di massa (come i manifestini lanciati dalla torre dei Mori di Venezia) rispondendo così alla perfezione alal voglia di partecipare del ceto medio., soprattutto a quei giovani disoccupati usciti dalle scuole superiori che sono l’avanguardia del proletariato intellettuale. Ai più sembrano innocue pazzie di artisti, mode culturali, la grande industria del vuoto coma la chiama Croce. Eppure teatro e cultura ora non sono più privilegio di pochi. Da una parte appunto c’è chi sminuisce il valore di queste cose, dall’altra invece è evidente che gli intellettuali cominciano a porsi come avanguardisti del cambiamento, con azioni che cominciano ad avere riflessi anche in politica. Il nazionalismo antigiolittiano nasce nel 1903 dalla penna di Enrico Corradini che raccoglie, attraverso la rivista “il Regno”, tutti i borghesi patrioti.

6: sviluppo e modernizzazionedal 1882 l’Italia fa parte della Triplice Alleanza cosa che aveva creato tutti i problemi legati alle terre irredente di Trentino, Venezia Giulia ecc.. In compenso Austria e Germania avevano incoraggiato l’Italia a cercare una espansione verso l’Africa mediterranea. Ma i primi passi coloniali erano stati un fallimento e l’ultima avventura di Crispi in Abissinia si era convertita in 7000 morti ad Adua (1896): questo aveva smorzato l’entusiasmo coloniale. Ma per vari contrasti con l’Austria l’Italia comincia a ritessere rapporti con la Francia, dando il via ai giri di valzer di cui parla von Bulow (cancelliere tedesco) che per ora vengono tollerati. Giolitti nel frattempo ammette pubblicamente di ritenere impossibile il sogno dell’impero coloniale perché c’è troppa disparità tra i fini e i mezzi. Questa linea prudente ovviamente non piace ai giovani nazionalisti che sbavano sulle future ceneri dell’impero ottomano. Si crea quel clima di ansia di cannoneggiare, spargere fiumi di sangue, conquistare, guerreggiare di cui parla Croce e che apre la strada alla I G.M. Ma è soprattutto la crescita economica a far credere che l’Italia possa entrare tra le grandi nonostante lo sviluppo italiano sia più lento di quello di altri stati. Al ritardo contribuiscono ritardi di partenza e interventi massicci, ma irrazionali, da parte dello stato. Il sostegno statale alla siderurgia e

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l’investimento delle banche miste portano un forte sviluppo del settore (nel 1904 la Società Ferriere italiane, con la mediazione del Credito Italiano, ottiene la possibilità di aprire un impianto siderurgico a Bagnoli). Le industrie elettriche e meccaniche giovano della statalizzazione delle ferrovie e della telefonia (1903-5). Boom anche del chimico. Le industrie tessili cominciano quel declino irreversibile che le porterà a diventare una industria minore. I dati del censimento industriale del 1911 dicono chiaro però che lo sviluppo è concentrato nel triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Si ha un forte spostamento di lavoratori dalla campagna alla città dove i salari sono più alti e dove sono molto attraenti i modelli di consumo. Tutti i centri urbani i sventrano, si allargano, si scatena la febbre edilizia. Si abbattono case vecchie e malsane, si sostituiscono le strade strette con strade ampie e alberate secondo i nuovi canoni dell’igiene urbana. Una sorta di horror vacui pervade i borghesi che riempiono le case di tende, arazzi, soprammobili, vasi, mobilio simbolo della loro realizzazione. L’Italia vive effettivamente meglio: aumentano consumi, risparmi, migliora l’alimentazione e le norme igieniche. Aumenta la speranza di vita. Del 1888 è la legge che riassetta completamente le strutture sanitarie. Si cominciano a costruire fognature, acquedotti, macelli e mercati pubblici. Rimane diffusa la tubercolosi e nel 1911 c’è una gravissima epidemia di colera. La lotta contro l’analfabetismo è combattuta con coraggio da Giolitti: la legge sull’istruzione del 1911 è solo l’atto finale. Vittorio Emanuele Orlando, ministro dell’Istruzione, presenta addirittura una proposta di legge con l’obbligo scolastico fino a 10 anni. Risalgono al 1901 le due associazioni nazionali che riuniscono gli insegnanti che chiedono miglioramenti salariali, ma si battono anche per rinnovare gli studi e gli orientamenti didattici. Per dieci anni il dibattito sull’istruzione è di così alto livello (Salvemini, Gentile) che Salvemini stesso comincia a sognare un “partito della scuola” con il compito di formare le nuove elite italiane (perché se anche Giolitti ha a cuore il tema dell’istruzione è l’intero sistema giolittiano a diseducare). Per quanto odiato il gioverno giolittiano è motore del progresso: raddoppia la spesa pubblica in 20 anni e molti di questi soldi vanno al Sud, nonostante sia ancora forte l’eco della polemica dei meridionalisti. Il Giolitti definito da Salvemini il ministro della malavita, in dieci anni fa varare varie leggi per il Sud ( riassetto idrogeologico del territorio, lotta contro la malaria, incremento rete stradale e ferroviaria e alcuni provvedimenti specifici per la zona di Reggio Calabria e Messina rase al suolo da un terremoto o per lo sviluppo industriale di Napoli ecc..). L’economia meridionale, legata all’agricoltura, risente del declino della stessa che perde consistenza nelle attività che producono Pil. Ma la produttività al sud e molto molto inferiore rispetto a quella del Nord, a parità di ettari di coltivazione. A ostacolare l’ammordenamento contribuiscono i rapporti di produzione e lavoro, ancora semi-feudali e il peso schiacciante del cronico sovraffollamento che non si alleggerisce nemmeno con l’emigrazione. L’emigrazione assume livelli consistenti e questo, invece di frenare i nazionalisti, verrà usato come arma politica: occorre conquistare nuove terre italiane per dare lavoro ai troppi figli d’Italia. E il freno a tutto è Giolitti. Come è colpa di Giolitti l’ascesa del Psi, la crescita del sindacalismo (nasce nel 1906 la Cgl) e del conflitto sociale Nel 1909 infatti boom dei socialisti, ma anche dei radicali i quali denunciano indignati gli accordi tra cattolici e liberali che portano all’elezione di ben 16 deputati cattolici. Provocatoriamente i radicali candidano e fanno eleggere Romolo Murri nelle loro file. Salvemini invece, pubblicando l’opuscolo il ministro della malavita, denuncia brogli e violenze durante le elezioni. Il clima intorno a Giolitti è infuocato: decide di fare un passo indietro non rinunciando la potere, ma indietreggiando per un po’ pur mantenendo i contatti con tutti. E’ anche per questo che il governo Sonnino dura tre mesi. Gli succede Luzzatti che guida un esecutivo guidato da giolitti appoggiato dai giolittiani con un programma di riforme così avanzato da essere appoggiato da radicali,socialisti,repubblicani. Si solletica il sogno del suffragio universale. Resta debole il movimento femminista: nei primi del 900 attive sono le donne socialiste e laiche impegnate soprattutto nella tutela del lavoro femminile le prime, sulla parità dei sessi le seconde. Sulla richiesta di suffragio universale sono d’accordo tutte le associazioni femminile eccetto che quelle cattoliche (Unione donne cattoliche) che

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delimitano la rivendicazione del voto alle amministrative. Il consiglio nazionale delle donne italiane si dà come obiettivo il suffragio e si federa all’International council women. Nel 1907 le suffragette riunite in un Comitato nazionale pro-suffragio presentano in Parlamento una petizione con le firme autorevoli di Teresa Labriola e Maria Montessori. La mozione è respinta, ma il tema è ripotato in voga l’anno dopo durante i lavori del I congresso nazionale delle donne italiane a cui si presenta anc he la Regina Elena a dare ufficialità alla manifestazione (disertata invece dalla Kulischoff, compagna di Turati e signora del socialismo italiano per lei troppo retorica, vuota e simile a una sfilata delle dame di carità). Si trattano molti temi tra cui, molto audace per il tempo, il tema della violenza carnale e del matrimonio riparatore, e del diritto di voto. Laici e socialisti applaudono comunque Luzzatti quando si dichiara pronto al suffragio universale maschile. E quando Luzzatti cade e torna al governo Giolitti la promessa è mantenuta. Nel 1912 la camera approva la legge elettorale che estende il diritto di voto a tutti gli uomini anche analfabeti che abbiano compiuto il servizio militare e abbiano 30 anni.

7)la chiesa e l'impegno politico dei cattolicinel 1911 si festeggiano i 50 anni dell'unità d'Italia. Mentre la retorica ufficiale parla di patria e monarchia molte voci si dissociano dal coro. La Chiesa accusa lo stato italiano di vantarsi di una storia da cui sono state epurate le glorie del Papato. Ma anche i socialisti rovinanno il 50ennale, con manifestazioni di protesta: non si può parlare di una patria unica se ne esistono due, una ricca e una povera, quella del Nord e quella del Sud, quella delle campagne e quella delle città. E di bugia nazionale parlano anche i meridionalisti. Al centro delle polemiche sempre Giolitti, che fa sempre più fatica a dialogare con destra e sinistra.I nazionalisti (organizzati dal 1910 nell'associazione nazionalista) agitano le acque della destra che si è accomodata sulla prassi trasformista: il fallimento del governo Sonnino ha dato un segno chiaro del logoramento del fronte conservatore e non tramontano le speranza di svolta autoritaria contro la “monarchia socialista” troppo tenera col Psi. In realtà i conservatori hanno avvallato i compromessi elettorali coi cattolici, divenuti sostegno fondamentale per la destra liberale. Anche in occasione delle elezioni del 1913 i cattolici, timorosi dell'avanzata del Psi, chiamano la destra liberale all'accordo. Nel frattempo però cresce il desiderio di autonomia della base cattolica, che non vuole più vedere pilotati i propri voti verso i liberali: la bandiera del partito politico è passata da Murri a don Luigi Sturzo, futuro capo del PPI, più prudente nei rapporti col capo della democrazia cristiana e molto attento a non entrare in rotta col Papa. Il tutto mentre Pio X scatena una guerra senza quartiere alla modernità (ormai è allo scontro frontale coi modernisti) e la Chiesa è in pieno allarme per la diffusione, tra i suoi, di queste tendenze che portano a chiedere l'apertura al socialismo e la richiesta di un profondo rinnovamento nel rapporto con le gerarchie ecclesiastiche. Al punto che nel 1907, con decreto del santo uffizio, si condanna ufficialmente il modernismo come pensiero contrario alla dottrina cattolica e 3 anni dopo viene imposto ai sacerdoti, al momento dell'ordinazione, il giuramento antimodernista. L'ondata anti clericale che ne consegue indispettisce il Papa che blocca i pellegrinaggi a Roma mentre si fa sempre più stretto il controllo sugli attivisti cattolici sopratutto quelli che appaiono troppo attratti dalla modernità. Nel 1906 dalle ceneri dell'Opera dei Congressi nascono:-l'Unione popolare tra cattolici d'Italia-l'Unione elettorale cattolica italiana-l'Unione economico-sociale dei cattolici italianitutte strettamente subordinate al clero. Entro l'ultima di queste si sviluppano vari sindacati di categoria, cioè federazioni di mestiere su base nazionale, che nel 1910 confluiscono nel Segretario generale delle unioni professionali, nuclero originario della Cil (confederazione italiana dei lavoratori) che nascerà dopo la I G.M. In questo ambito i sindacalosti cattolici si ritagliano uno spazio di azione senza incorrere nella censura della Chiesa. Con Don Sturzo si fa

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comunque chiaro che l'alleanza coi conservatori ha vita breve: un po' perchè gli ideali democratici di Sturzo contrastano con quelli dei clericali moderati e liberali di destra, ma anche perchè le alleanze obbigano i cattolici a nascondersi dietro le bandiere dei liberali alle elezioni. Sturzo vuole la piena affermazione dell'identità cattolica. Certo Sturzo è d'accordo con le richieste dei deputati cattolici (difesa della scuola privata, insegnamento della religione, parità di trattamento delle associazioni cattoliche ecc..). Ma pensa che , visto che la stragrande maggioranza della popolazione è battezzata e osservante, la possibilità di un partito cattolico vada ben oltre queste richieste. Sturzo vuole che i cattolici divengano determinanti nella formazione degli esecutivi, che non potranno restare per sempre nelle mani di Giolitti: Sturzo si iscriva alla lunga lista dei nemici di Giolitti. E' tra l'altro lo stesso costante patteggiare di Giolitti, che lascia al Papa e alla Chiesa margini per difendere i propri interessi, che ritarda la formazione del partito cattolico. Per il Papa basta organizzare il dissenso insegnando il vangelo e sfruttando la presenza capillare delle parrocchie e delle associazioni cattoliche. Pio X non riesce a capire che la nascita di un partito cattolico potrebbe risolvere il conflitto tra Savoia e Chiesa.

8)la guerra in Libiaper Giolitti arrivano i primi lugubri segnali anche dalla politica estera. Nel 1907 la triplice alleanza si rinnova, ma il rapporto tra Italia e Germania è sempre logorato, rovinato ulteriormente dall'appoggio italiano alla Francia in occasione della crisi marocchina del 1906. Ne migliorano quelli con l'Austria che nel 1908 si incrinano molto in occasione dell'annessione della Bosnia Erzegovina all'Impero asburgico, passo compiuto senza neppure avvertire gli italiani. Ma l'Italia decide di on far seguire a tutto questo una rottura, ma di usare questi fatti per aumentare la sua libertà di azione. Così il fatto che l'Italia avvii una trattativa con la Russia, nemica dell'Austria, nonostante l'intesa segreta firmata con l'Austria che impegna l'Austria a consultarsi con gli italiani per ogni movimento nei balcani non appare una contraddizione. Certo tutto questo getta discredito e scarsa fiducia nell'Italia.L'accordo con la Russia spiana comunque la strada al progetto pensato dall'Italia intorno a Tripolitania e Cirenaica. Giolitti rimane contrario alla guerra e al colonialismo, ma sa anche bene che la colonizzazione della Libia è già cominciata attraverso una intensa opera di penetrazione commerciale e finanziaria avvallata da Francia, G.B, Russia. La rivolta dei Giovani Turchi del 1908 mette Giolitti di fronte al rischio che l'Impero ottomano abbia un sussulto, ma anche che la Francia possa approfittarsene, e lo porta ad accelerare l'impresa. Nell'estate del 1911, mentre il Parlamento è in vacanza, il re, Giolitti e Antonio di san Giuliano, ministro degli esteri, decidono la guerra in gran segreto. A fine settembre, senza l'approvazione delle camere, si dichiara guerra alla Turchia. Il corpo di spedizione, di 35 mila uomini salito poi a 100mila, con a disposizione i primi aerei, conquista Bengasi, Tripoli, i centri della costa. A Novembre la Libia è posta sotto la sovranità piena e intera del Regno d'Italia. Solo a febbraio la camera vota l'annessione. Dopo 6 mesi a Losanna si firma la pace con la Turchia anche se resta aperta la questione del Dodecaneso occupato militarmente dall'Italia. La triplice alleanza avvalla l'annessione. In parte questo successo porta nuovi consensi a Giolitti (come dimostra il cambio di linea editoriale del Corriere della Sera) dall'ambiente imprenditoriale, nazionalista e delle banche. E dalle colonne del Corriere che si lancia una grande campagna pro-guerra in Libia, mentre Pascoli declama la grande proletaria che s'è mossa a cercare terre per i figli: e la propaganda pro-guerra arriva così in profondita da colpire anche il cuore dei socialisti. Lo sciopero generale contro la guerra del 1911 è un fallimento su tutta la linea. Anche ai cattolici piace la cosa: vedono nella colonizzazione italiana nuovo impulso all'evangelizzazione. Il populismo buonista cambia faccia quando passa dall'esaltazione del soldato all'esaltazione della prorompente vitalità italiana: i milioni di poveri disoccupati diventano una risorsa grazie alle nuove terre in cui possono essere mandati a lavorare, preparando per l'Italia un destino da potenza. Alla grandezza incitano sempre le Canzoni delle gesta d'Oltremare declamate da D'Annunzio che raduna la folla di chi vuole cancellare l'onta

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di Adua. Il nazionalismo ha un boom: a Firenze si fonda l' “Idea nazionale” sperticatamente favorevole alla guerra. Ma questa retorica della potenza trascina via i consensi a giolitti: la potenza che l'Italia ha dimostrato in Libia si scontra con l'Italietta giolittiana. Nell'ottobre del 1911 Giolitti trova nuove difficoltà anche col Psi: Turati è rigidamente contrario alla guerra, mentre Bonomi e Bissolati decidono di sostenere il governo anche contro le direttive di partito. Il contrasto con i “ministerialisti”, come sono definiti Bonomi e Bissolati, si acuisce nel 1912 quando i due si recano al quirinale per congratularsi col Re appena sfuggito ad un attentato. Nel Luglio 1912 l'ala sinistra del partito chiede e ottiene le teste di Bonomi e Bissolati che sono espulsi dal partito. Due giorni dopo nasce il Partito socialista riformista, definito sprezzantemente da Turati il partito dei candidati, molto proiettato in Parlamento e senza una base di massa. La requisitoria più violenta contro Bonomi e Bissolati la fa Mussolini che si sta distinguendo per il suo furore antibellicista (è stato lui, assieme a Pietro Nenni, il sostenitore maggiore dello sciopero generale antiguerra). A lui il congresso del 1912 affida la direzione dell'Avanti, mentre Lazzari,esponente dell'ala rivoluzionaria, diventa segretario. Questo ha riscontro subito nella Cgl, da cui escono alcuni massimalisti per fondare l'Usi (unione sindacale italiana): rottura che si consuma sulle linee della contrapposizione Marx/Sorel (sindacalismo rivoluzionario: escono opere in cui si teorizza il sindacato come parte attiva nella conquista del potere attraverso azioni di boicottaggio, sabotaggio, sciopero). Che il climna si stia infiammando lo dimostrano varie dimostrazioni a Ragusa, Parma, Roma che lasciano sul terreno alcuni morti abbattuti dal piombo della polizia con un Mussolin che grida all'assasinio di stato. Nel 1913 scoppia lo sciopero generale contro il governo, senza l'appoggio dei riformisti della Cgl e del Psi. Ed è sempre Mussolini che, con le sue critiche di fuoco dalle colonne dall'Avanti costringe alle dimissioni del comitato direttivo confederale. Ormai nel Psi e nella cgl la convivenza tra riformisti e rivoluzionari non è più possibile. Tutte queste mobilitazioni fanno nascere il terrore dello spettro del comunismo che arriva a riguardare persino parte dei progressisti. Ottorino Gentiloni, capo dell'Unione cattolica italiana, offre i voti dei cattolici ai liberali: cosa molto ben accolta in mezzo a questo clima di inquietudine: 228 deputati su 304 saranno eletti grazie al “patto gentiloni”. Per facilitare le cose il papa sospende il non expedit. Lo spirito laico e liberale della classe dirigente italiana è fortemente compromesso. Lancia queste accuse iil Corriere, ma gli fa eco anche il Messaggero che pubblica la lista dei candidati liberali eletti coi voti cattolici, provocando imbarazzi e smentite. Lo stesso Giolitti, per calmare le acque, è costretto a ribadire in Parlamento la laicità delle istituzioni e la sovranità dello stato: ma è una dichiarazione formale visto che la maggior parte dei liberali sono ben contenti della situazione. Così nonostante l'allargamento del suffragio pochi sono i seggi guadagnati dai socialisti, mentre vengono eletti due sindacalisti rivoluzionari (De Ambris e Labriola). Ma sono anche eletti nazionalisti, meridionalisti e altre forze mai elette: è chiaro il clima che cambia ed è chiara ormai l'incapacità di Giolitti di guidare il paese.

2 LA GRANDE GUERRA (1914-1918)1. la settimana rossanel 1913 arriva la crisi economica a interrompere una crescita economica tumultuosa ma comunque inferiore a quella degli altri stati europei. Orari di lavoro massacranti, salari bassi, livelli di vita della popolazione agricola miserabili, legislazione sociale in netto ritardo. Non a caso l'ondata di protesta popolare che tocca l'Italia è tra le più acute in Europa. In Congresso del psi del 1914 lancia parole chiave di fuoco: classismo, antistatalismo, antigiolittismo. Se Treves, capo del socialisti riformisti, si dichiara ottimista si dichiara ottimista di poter unire i grandi ideali socialisti alla lotta quotidiana per le riforme, dall'altra è chiaro che tra le due anime del Psi la frattura è sempre più ampia. Il fatto che i riformisti vincano entro la Cgl non riequilibra gran che. Nonostante tutto il prestigio della scuola di Turati resta alto, visto il successo del Psi alle amministrative. Eppure si lasciano alle spalle un gran numero di socialsti che vorrebbero la vittoria dell'internazionale proletaria sull'internazionale capitalista. E se la Cgl rappresenta pochi lavoratori,

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molti dei quali artigiani e contadini, categorie che vanno perdendo peso nella nuova realtà disegnata dal capitalismo, i socialisti rivoluzionari godono simpatie di quelle classi appena salite alla ribalta nella società industriale. Sono persone che non vogliono integrarsi nel sistema che ritengono antidemocratico (i passi verso la democrazia sono avviati, ma ancora l'Italia non è una vera e propria democrazia liberale). E' chiaro il forte permanere nella società di ideali di stampo mazziniano e bakuniniano di tipo insurrezionalista e populista. E su questo terreno ribellistico si incontrano i giovani repubblicani intransigenti di Nenni, i socialisti arrabbiati di Mussolini (che vede con un occhio di riguardo l'Usi), i sindacalisti rivoluzionari di de Ambris e gli anarchici del vecchio Malatesta. Malatesta appena tornato dall'esilio a Londra tenta di mettersi a capo del movimento insurrezionale spostandolo su temi antistatalisti e antimilitaristi. La risposta delle autorità non si fa attendere e gli anarchici non cercano altro che l'incidente: la prima domenica di Giugno, festa solenne dello Statuto, trasformata in giornata di lotta proletaria, finisce nel sangue ad Ancona. Comincia la settimana rossa: Ancona, Fabriano, Forlì, Parma cadono in mano dei ribelli, in molti comuni si proclama la repubblica mentre si assaltano gli edifici pubblici, le chiese, le armerie, si sabotano linee ferroviarie e telegrafiche. La Cgl cerca di frenare la furia sospendendo lo sciopero generale, ma non riesce. Mussolini accusa di tradimento i vertici Cgl, de Ambris invita gli operai di Parma a vendere le bici e comprare le rivoltelle. Treves definisce “teppa” i rivoltosi che hanno vanificato, secondo lui, 25 anni di lavoro Parlamentare, mentre Mussolini si lancia con violenza contro Rigola, segretario Cgl. Eppure una parte degli intellettuali di avanguardia che esprime le inquietudini del ceto medio non nasconde la propria soddisfazione: la settimana rossa si esaurisce su se stessa, ma ha chiaramente messo in risalto quelle spaccature che il governo non sa più governare. Il modello progressista di Giolitti esce distrutto dalla settimana rossa, mentre si rafforzano le aree autoritarie del Parlamento che fanno capo a Salandra (destra liberale cioè liberal-consevatori, corte, esercito, clerico-moderati+destra espressione dell'intraprendenza ed dell' espansionismo del capitalismo, in cui cresce il nazionalismo). Sono due anime accomunate dall'ostilità al suffragio universale e che vogliono un esecutivo forte, con un parlamento rigidamente controllato e , in caso di bisogno, un uso autoritario del potere. Il ritorno allo statuto ritorna al motto, la Germania guglielmina il modello.

2. la guerra in Europail 28 Giugno 1914 Gavrilo Princep uccide Francesco Fredinando D'Asburgo, erede al trono d'Austria (rivedi libro su come scoppia la guerra). L'Italia non è un nemico temuto,è ritenuta giovane, con poche risorse, disorganizzata e con un esercito senza esperienza; dal punto di vista coloniale si è appena affacciata in Africa riscuotendo sonore batoste. E' legata da anni a Germania e Austria, ma ha avuto abbastanza libertà da stringere buoni rapporti con molti stati, Francia compresa: l'ultima cosa che l'Italia vuole è quindi essere trascinata in una guerra di questo tipo in cui neppure gli altri stati europei hanno voglia di entrare. Ovviamente negli ambienti clericali filo-austriaci, in quelli nazionalisti e liberal conservatori c'è chi chiede di prestare fede alla parola data. Ma si ribadisce più volte che la Triplice alleanza prevede l'intervento solo se un alleato è aggredito e nel conflitto tra Austria e Serbia l'Austria non è certo la vittima. Il no all'Austria e Germania del governo Salandra libera l'Italia da un patto ormai scomodo consentendo una maggiore autonomia di decisione. E sono pochi coloro che nell'estate del 1914 sarebbero disposti a far scoppiare la guerra, con gli arsenali svuotati, la maggior parte delle truppe in Africa e un clima di tensione sociale tale che una sconfitta militare darebbe probabilmente il via alla rivoluzione. Ci si può invece giovare della neutralità per rafforzarsi e magari ottenere qualcosa. Una volta accertato che l'Italia non ha intenzione di entrare in guerra, l'Austria ha tutto l'interesse a vedere l'Italia che rimane neutrale e potrebbe fare qualche concessione per garantirsi l'appoggio italiano. In più l'Italia fuori dalla guerra potrebbe vendere agli altri stati in guerra varie risorse, fondamentali in paesi in cui si tende più a distruggere che a produrre. Ma questo è una illusione: l'Italia manca della materie prime per avviare la produzione, in primis di carburante

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che importa dalla G.B che però nel 1914 lo impiega tutto nella guerra e sempre dalla G.B dipendono i granai americani da cui l'Italia importa. La guerra paralizza i commerci e mette in crisi le banche e le imprese che invece avevano sperato di poter guadagnare sulla carneficina imminente. E' allora, quando vedono chiusa la via del guadagno con la neutralità, che banchieri e industriali cominciano a premere per l'intervento a fianco di Francia, Russia e Inghilterra. Le potenze dell'Intesa hanno tutto l'interesse ad aprire un fronte a Sud che accerchi definitivamente gli stati centrali e questo fa brillare gli occhi di imprenditori e banchieri che già fiutano il mare di commesse statali. Tra le banche la Banca commerciale, legata a Giolitti, fa campagna neutralista, mentre la neonata Banca italiana di sconto, finanziata da gruppi finanziari francesi e lagata all'Ansaldo, spinge per la guerra. E ovviamente questo pesa sull'opinione pubblica: i grandi imprenditori e banchieri cominciano a finanziare giornali interventisti al punto, piano piano, di prendere il controllo diretto di alcuni giornali. In due anni gli industriali siderurgici comprano “l'Idea nazionale” e, tramite l'Ansaldo, il “messaggero”, il “secolo XIX e, attraverso la pubblicità, pure il giornale di Mussolini “Il Popolo d'Italia”. Inflazione crescente e disoccupazione aiutano gli interventisti. Tra il 1914 e il 1915 i rapporti di prefetti e questori, sopratutto del sud, sembrano bollettini di guerra con assalti agli edifici pubblici, ai forni... le rivolte per la fame si legano a quelle contro la disoccupazione acquistando dimensioni allarmanti. Quanto basta per creare serie difficoltà al governo che teme i rivoltosi e teme l'opinione pubblica borghese sempre più spaventata. E' un terreno ottimo, questo, per gli interventisti che facendo leva su queste paure possono scardinare la maggioranza parlamentare giolittiana che imprigiona il governo salandra. E pure i ribellisti sono pro-guerra: anarchici, sindacalisti rivoluzionari, socialisti estremisti vedono nella guerra l'occasione per far scoccare la scintilla della rivolta. Ma l'asse portante dell'interventismo resta la media e piccola borghesia. Non a caso la propaganda interventista non si rivolge al palazzo, ma alle piazze con uno stile politico rumoroso e teatrale, quasi spettacolarizzato modello che i socialisti si erano dati spontaneamente appena nati, dovendosi rivolgere a una dimensione di massa: non è un caso che Alfredo Rocco, nazionalista, afferma il bisogno della destra di contendere le piazze alla sinistra per farne il palcoscenico dell'interventismo. Si rompe il grigiore della politica, si attrae, si mobilita.

3.gli interventisti:i nazionalisti sono i più abili nel cogliere al volo le potenzialità della nuova “politica spettacolo” e a questo contribuisce moltissimo D'Annunzio. Ogni discorso di D'Annunzio al popolo è arte, viene tramutato in uno spettacolo teatrale, amplificato dai riflettori della stampa, sempre puntati su di lui e che danno, sopratutto il Corriere della sera, ufficialità alla sua propaganda. D'Annunzio pone l'appello alla guerra al vertice di una visione esaltante della storia nazionale che dai popoli italici, passando per Roma e le repubbliche marinare, arriva a Garibaldi e alla monarchia dei Savoia attraverso cicli di gloria, declino, gloria. I nemici più pericolosi, afferma D'Annunzio, non sono tanto quelli esterni, ma quelli interni spenti, vecchi pronti a condannare l'Italia al marchio servile, avvolgendola con la “plumbea cappa senile”: occorre quindi la forza e la vitalità dei giovani per sconfiggere il nemico annidato all'interno, per poi rivolgere la potenza verso l'esterno. Il nemico interno è ovviamente l'italietta giolittiana, ipocrita e trasformista, che attende che l'Austria conceda il “parecchio” di cui parla Giolitti. Tra Giolitti e i nazionalisti non c'è via di dialogo, avendo fatto i nazionalisti proprio l'irrazionalismo che mira alla pancia e non alla testa smuovendo l'istinto. La retorica D'Annunziana, irrazionale e seducente, piace anche ai democratici, ai riformisti e persino ai socialisti più colti. Il fronte interventista è molto disarmonico e la diffusione del patriottismo e di alcune metafore e idee annunciate da D'Annunzio stesso si diffondono e aiutano la compattezza. Delenda Austria è il motto dei democratici interventisti, avversi alle autoritarie Austria e Germania in difesa dei popoli oppressi: gli italiani delle regioni irredente, i ciechi, gli slovacchi, i serbi, i croati ecc.. La guerra diventa guerra di liberazione di popoli sottomessi da imperi autoritari e militaristi che sono i veri responsabili della guerra. La vittoria nella guerra significherà una Europa libera e pacificata in cui potrà fieramente sedere una Italia definitvamente

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democratica. Delenda Austria per i nazionalisti significa invece riprendersi Trento e Trieste e dare il via alla caccia espansionista sulle ceneri dell'Impero. E non per la pace: vogliono la militarizzazione per riportare all'ordine le masse, vogliono formare una classe dirigente autorevole e autoritaria. Sono fronti opposti, quello democratico e quello nazionalista, che però aiutano entrambi alla nazionalizzazione, ad aumentare il senso di appartenenza. Rimane l'interrogativo se il sentimento nazionale si svilupperà in senso autoritario o democratico, se prevarrà il valore della libertà o quello della potenza. Altra roba ancora i futuristi: Marinetti non è interessato dalla guerra patriottica, ma dalla guerra in quanto sforzo ginnico, festa sportiva, avventura, conflitto, un grandioso ritorno alla natura che riporta l'uomo alla sua natura ferina. Il bagno di sangue servirà a purificare e rigenerare la nazione cancellando i vigliacchi e facendo trionfare arditismo, aggressività, attivismo al motto di “amiamo la guerra”. Se per ora la carica violenta dei futuristi è utile alla propaganda interventista, in realtà essa è potenzialmente sovversiva verso lo stato. Toni simili li ritroviamo anche nei discorsi di Mussolini, De Ambris. In questi ambiti si chiede una guerra perchè il proletariato non può restare passivo di fronte alla prospettiva di una vittoria del militarismo e dell'imperialismo austro-tedesco, del kaiserismo e del pangermanesimo: la guerra diventa lotta di classe, così come è lotta di classe l'opposizione al governo che, con la neutralità, lascia vivere l'Austria (tenere conto che Psi e Cgl sono neutralisti). Gli interventisti rivoluzionari, rotti i legami con gli ex compagni, subito si danno ad una esaltazione della guerra in sé, usando toni tipicamente da futuristi. Mussolini sulle colonne del Popolo d'Italia scrive due motti:-chi ha del ferro ha del pane (Blanqui)-la rivoluzione è un'idea che ha trovato delle baionette (Napoleone)L'ingresso degli interventisti rivoluzionari nella scena politica inasprisce moltissimo il dibattito: Mussolini spara a zero contro il governo minacciando guerra o rivoluzione e si rivolge al Re con gli stessi toni “o guerra o repubblica”. Il potenziale eversorio presente in Italia è ormai altissimo.

4. La sconfitta dei neutralistinell'agosto del 1914 la maggior parte della popolazione è indifferente alla ventata bellicista. La guerra appare lontana ai più, rassicurati dalla neutralità ribadita il primo agosto dal governo. Usi e socialisti denunciano l'ennesima guerra della borghesia che costringe le masse proletarie a combattere per il proprio interesse, inventando falsi nemici e corrompendo l'opinione pubblica. A questo inganno hanno ceduto i compagni francesi, tedeschi che hanno decretato la morte dell'Internazionale socialista. E se anche tra le file socialiste qualche dubbio c'è il partito decide di rimanere fedele alla linea internazionalista. All'annuncio delle prime defezioni (fa clamore quella di Mussolini) il Psi ribadisce la neutralità. Al coro dei no nel frattempo si aggiunge quello del neoeletteo Benedetto XV che il 1 novembre 1914, ex cathedra, condanna la guerra, mettendo a tacere le voci entro la Chiesa favorevoli alla guerra (la neutralità assoluta della Chiesa è una cosa, l'orientamento dei cattolici un'altra). Psi e Chiesa rassicurano così le campagne, dove i contadini vivevano con terrore il rischio dello scoppio della guerra.La battaglia neutralisti-interventisti si conferma come una battaglia urbana che coinvolge prevalentemente i ceti medi, usati come armi di pressione sull'opinione pubblica dagli interventisti. Il re è attratto non poco dalla prospettiva di essere il completatore dell'Unità d'Italia, con una guerra che dia all'Italia le terre irredente: dopo aver affidato la difesa della corona a Giolitti, con la crisi del sistema giolittiano decretata dalla settimana rossa, il re sente di nuovo la Corona messa a rischio (il preambolo della triplice Alleanza prevedeva un accordo di tipo conservativo dell'ordine interno ai 3 stati coinvolti, con la finalità di rafforzare l'ordine monarchico), ormai poco difesa in Parlamento. Rotto l'accordo con gli stati centrali Vittorio Emanuele III ha bisogno di trovarsi altri alleati. Di certo non la repubblica francesce, nemmeno la monarchia costituzionale della G.B, ma la monarchia assoluta Russa, legata da ottimi rapporti coi Savoia, appare una alleata perfetta. Partecipare alla guerra ha anche altri risvolti: la militarizzazione del paese

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fondamentale per sostenere una guerra comporta ordine e disciplina e obbedienza cieca all'autorità costituita: ottimo sistema per mettere a tacere la “teppa”. In questo il re è aiutato dal Governo Salanadra (ora c'è Sidney Sonnino agli esteri), con una forte accelerazione autoritaria del paese e un tentativo di “ritorno allo Statuto”. Ma l'esecutivo deve muoversi lentamente: il generale Cadorna dichiara senza mezzi termini che l'esercito non può affrontare una guerra. Salandra si pone in quella neutralità che permettete di esplorare sia il terreno dell'Intesa sia dell'Alleanza (si presenta una bozza con le richieste italiane sia alla Triplice intesa che alla triplice alleanza: l'Italia non riceve risposta dagli ex alleati).Risponde dopo un mese l'Austria, che pur di non trovarsi con un fronte aperto al sud, offre all'Italia il Trentino. Sonnino si intestardisce e rifiuta: vuole anche Trieste, la Dalmazia, l'Abania, Gorizia. A Febbraio Salandra e Sonnino si decidono per un entrara in guerra a fianco della triplice Intesa. Le vittorie riscntrare dall'Intesa e la possibilità che la guerra sia veloce mettono fretta al governo che, accontentandosi della promessa di veloci miglioramenti da parte di Cadorna, ignora l'impreparazione dell'esercito. Resta da vincere la resistenza del parlamento, usando proprio quegli interventisti il cui furore bellico ormai è incontenibile. Anche i neutralisti si muovono: tentano di far sentire la propria voce nelle piazze e scatenano contro reazioni fortissime da parte degli interventisti. Si hanno scontri di piazza, ma tutti si risolvono a favore degli interventisti, in soccorso dei quali interviene sempre la forza pubblica (prefetti e questori hanno avuto l'ordine di impedire i comizi neutralisti e di agevolare quelli interventisti). Il tutto mentre media-borghesia, piccola borghesia e cattolici se ne restano a fare gli spettatori passivi. IL 7 Maggio del 1915, con la pressione degli interventisti che si è ormai fatta insostenibile per il Parlamento, Sonnino e Salandra firmano il patto segreto di Londra dopo che l'Intesa ha accettato le richieste italiane: Trentino, Venezia Giulia, Istria (eccetto Fiume) e una parte della Dalmazia. A questo punto il parlamento è messo di fronte al fatto compiuto e non può che ratificare (pressato anche dal re che annuncia l'abdicazione in caso di mancata ratifica). (siamo di fronte a una manovra antiparlamentare, ad un ricatto vero e proprio: qualcuno l'ha definito colpo di stato). Giolitti in aula chiede la rottura del patto di Londra e di riaprire la trattativa con l'Austria: riceve la solidarietà di 300 deputati che gli lasciano il bliglietto da visita in casa. Salandra è costretto alle dimissioni. A questo punto di scatena D'Annunzio che incita con comizi di fuoco la plebe in piazza Montecitorio, scelta come luogo simbolo dello scontro tra l'Italia giovane e guerriera e quella vecchia e grigia del Parlamento: sono le radiose giornate di maggio. E' il colpo di grazia che piega i neutralisti. Quando Salandra si ripresenta alla Camera il Parlamento è atterrito e stanco: Giolitti lascia il Parlamento e Roma ancora prima di sapere l'esito delle votazioni, che appare scontato. Esplode la protesta dei neutralisti: a Torino interviene l'esercito per abbattere le barricate e riportare ordine. Il Parlamento concede pieni poteri al governo, esautorandosi da solo del potere.

5.L'Italia in guerrail 23 maggio del 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria. (nel 1916 alla Germania). Con una serie di decreti si restringono le libertà della popolazione e si aumentano i poteri delle forze armate, dando il via alla militarizzazione dello stato. Ai militari si affida la gestione del settore economico bellico. Si arriva ad una progressiva esautorazione del potere legislativo attraverso l'uso massiccio della legislazione eccezionale. Nell'esercito la disciplina è applicata con una durezza che rasenta la crudeltà con quasi 4 mila condanne a morte, di cui 750 davvero compiute. Il delitto più grave è l'insubordinazione, ma si incorre nel processo anche per una semplice ombra di resistenza: si incorre un sanzioni durissime fino alle esecuzioni sul posto e alla decimazione se insubordina un intero reparto. Sono sistema rarissimi nell'esercito francese, inesistenti in quello inglese. Cadorna vive però nella convinzione che solo così, con la paura e l'intimidazione, si possa mantenere l'ordine e avere un esercito rispettoso della gerarchia e disciplinato. La truppa è demotivata e in alcuni casi riottosa. Il tutto condito da un numero impressionante di morti: 800 mila in due anni, su un

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esercito che arriva a contare 5 milioni e 700 mila soldati. Alla strage contribuisce la strategia offensiva di Cadorna che scatena attacchi privi di senso, riscuotendo solo fallimenti, ma continua tenacemente nella idea di voler sfondare a est per ricongiungersi con l'armata russa: pare non accorgersi, Cadorna, che su tutti gli altri fronti europei si è scatenata una guerra di logoramento in trincea. Gli attacchi di uomini contro i carri armati si risolvono in una carneficina: è la prima guerra tecnologica e le vecchie regole non valgono più, ma Cadorna non lo capisce,limitandosi a sapere che gode di una buona quantità di carne da mandare al macello in un terreno, il Carso, del tutto inadatto a scavare trincee. Occorre quindi lanciare asssalti che falliscono quasi tutti se non quello che comporta la conquista di Gorizia ad un prezzo assurdo di vite umane: il morale della truppa crolla e invece di glorificare la conquista di Gorizia, la città viene maledetta nei canti. I soldati sono stanchi da mesi di marcia per le montagne, sporchi e vittime dei parassiti, assetati e affamati perchè neppure gli approvvigionamenti funzionano, l'equipaggiamento non è adatto per la guerra in montagna e ormai i morti e i feriti sono così tanti che non si riesce a rimandare i cadaveri alle famiglie. Pochi sono i sottoufficiali a contatto quotidiano con la truppa, mentre gli ufficiali sono lontani dall'orrore protetti dai loro privilegi (nell'esercito inglese il benessere della truppa è fondamentale, al punto che ufficiali e truppa condividono lo stesso rancio). Pause, licenze sono rarissime mentre i soldati sono tenuti sempre all'erta, sempre incitati all'assalto, tenuti sotto pressione come stabilisce il comando supremo. Cadorna fa cadere sotto la sua scure anche molti ufficiali che non si dimostrano adatti a reggere il ritmo. Ci sono numeri impressionanti per quel che riguarda le automutilazioni e le diserzioni, molto più alte di quelle di ogni altro esercito. Si sospetta anche che molti siano caduti volontariamente prigionieri al punto che l'Italia decide di non inviare gli aiuti ai prigionieri (cosa considerata irrinunciabile per Francia e Inghilterra): quasi 100 italiani muoiono di fame nei campi di prigionia. Crolla lo stato d'animo anche per la truppa volontaria, partita con le migliori intenzioni patriottiche. E tra i soldati socialisti che non hanno rinnegato la fede internazionalista, serpeggia l'odio per la borghesia capitalista, imperialista, guerrafondaia ritenuta colpevole di ogni morto: il cameratismo però viene interpretato come segno di una scoperta della coscienza di classe. Si sviluppa tra i soldati una forte solidarietà che li unisce contro il nemico (sia l'austriaco che l'ufficiale italiano). Lo stesso ordine gerarchico dell'esercito riflette la gerarchia classista instaurata dai borghesi, ordine da distruggere. Così nei canti delle truppe si diffondono invettive contro i padroni e i borghesi. Nell'Ottobre del 1917 comincia la controffensiva austriaca, appoggiata anche dai tedeschi liberati dal fronte russo: le linee italiane sono sfondate fino al Tagliament e di li a poco fino al Piave. Il territorio nazionale è invaso, intere popolazioni tornano sotto il dominio austriaco. La rotta di Caporetto mette in ginocchio l'esercito italiano che, dovendo evitare una manovra di accerchiamento, lascia al nemico una quantità ingente di approvvigionamenti e armi. Si diffonde il panico tra i civili e i soldati, mentre gli ufficiali scaricano le colpe sulla teppa socialista che ha sobillato l'esercito con la sua propaganda disfattista (sarà una commissione di inchiesta a fine conflitto a far emergere i gravissimi errori militari di Cadorna). Il primo bollettino ufficiale accuserà per la sconfita la II armata, ritiratasi senza combattere, arresa subito al nemico. Si radica l'idea di antinazione in forte spregio agli ideali nazionali. Nell'estate del 1917 esplode, con epicentro Torino, un terremoto di agitazioni popolari.

6. il fronte internoil pungo di ferro stringe anche i civili senza che Salandra si interessi del fatto che questo non fa che peggiorare l'odio verso una guerra già non condivisa dalla popolazione. Nella convinzione della guerra lampo nessuna propaganda viene fatta sulla guerra, per dare una giustificazione ideale alla guerra e offrire sostegno morale alla popolazione. C'è sicuramente una alterigia della elitè dominante che ritiene il popolo un branco di plebe ignorante e insensibile, ma anche una inconsapevolezza dei più elementari principi di comunicazione delle società di massa (a fine guerra non a caso i liberali si troveranno di fronte un Mussolini e un D'Annunzio molto abili ad agitare le folle), rendendo chiaro che le tencniche di “politica spettacolo”

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degli interventisti non hanno insegnato nulla al governo. Sono i cittadini a intervenire in questo campo: associazioni femminili, l'Unione Insegnanti e vari volontari si attivano con entusiasmo per diffondere nelle classi proletarie i valori nazionali per raggiungere ordine, disciplina, obbedienza. E riescono grazie al fatto che si attivano in un campo in cui lo Stato è del tutto assente: l'assistenza alle famiglie dei soldati, perfino quelli caduti prigionieri. Si offre un volto diverso, una patria dal volto benigno e umano, anche se questo tipo di volontariato non riesce a cancellare il volto disumano dello Stato nelle trincee e nelle strade. E' comunque un volontariato attivo nelle città: le campagne restano abbandonate a se stesse, nonostante sia proprio dalle campagne che provengono la maggior parte dei soldati e sia nelle campagne che si sente maggiormente la mancanza di combustibile, pezzi di ricambio e attrezzi. Al sud scoppiano, dopo un anno e mezzo dall'inizio della guerra, le solite rivolte che si concludono con l'assalto al municipio per dar fuoco agli elenchi dei richiamati. Ovunque ci sono gli assalti ai forni. La situazione degli approvvigionamenti è pessima e passano sei mesi prima che venga istituita una commissione che ne occupi. Solo dal 1917 si applicano seriamente calmieri dei prezzi e razionamenti attraverso il tesseramento per i generi di prima necessità, mentre fiorisce il mercato nero. La miseria è tale che, quando le truppe austriache sfondano il confine, una parte della popolazione li accoglie speranzosa. Questo e il diffondersi di moti popolari per il carovita preoccupa le autorità: riduce alla fame le famiglie operaie, ma comincia a creare problemi anche per il ceto medio a stipendio fisso. I tanti posti di lavoro pubblici principalmente che le necessità della guerra stanno creando comportano spostamenti della popolazione verso la città, in una calca difficilmente gestibile. Mancano alloggi, assistenza sanitaria, cibo, vestiti: si diffonde la mortalità infantile, le malattie, la rabbia. Nelle fabbriche che producono materiale bellico si produce ai limiti dello sfinimento, ma il salario non è cresciuto proporzionalmente e non si può ne scioperare ne licenziarsi. Nel 1915 entra in funzione il MI (istituto per la mobilitazione industriale) guidato da un alto ufficiale dell'esercito che sottopone a sé un milione circa di maestranze entro un rigido regime marziale. Si sospende il diritto di sciopero e ogni legge a tutela del lavoro femminile e minorile. E' punito come diserzione, quindi col carcere, persino l'allontanamento dal luogo di lavoro. I sindacalisti sono ridotti al silenzio (riaccettati ai tavoli tra imprenditori e militari solo dopo le forti agitazioni del 1917), mentre la polizia gira nei corridoi dele fabbriche. Sarà solo nel 1917 dopo le agitazioni che verrà istituita una commissione per valutare le condizioni igieniche e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Nella primavera del 1917 a Livorno, Terni e Napoli scoppia la rivolta metalmeccanica: a Torino una manifestazione per il pane esplode in scontro violento. Operai scioperanti e esercito si fronteggiano: 50 sono i morti, moltissimi gli operai spediti per direttissima al fronte. La repressione si abbatte con violenza anche in Germania e Austria, mentre tutti sanno cosa sta succedendo in Russia. Nell'Agosto del 1917 le parole del Papa che parla di inutile strage riecheggiano ovunque, contraddicendo la propaganda dei governi e le sue parole d'ordine: nessun risvolto a livello dei governi, ma una bomba tra i fedeli. Se da una parte i cappellani militari svolgono una importante opera di conforto morale e se le omelie che inneggiano alla sopportazione paiono spingere all'obbedienza. È anche vero che l'insofferenza per una guerra che porta solo sconfitta e miseria cresce. I nazionalisti ora cercano un nemico per giustificare il fallimento e lo trovano nei neutralisti che stanno facendo fallire la guerra con il loro poco convincimento: è tutto falso. Giolitti aveva invitato tutti a collaborare col governo e così è. Ma i nazionalisti chiedono un ricambio totale della classe dirigente e quando Salandra si dimette,va alla guida di un governo di unità nazionale Paolo Boselli, che chiama anche Bissolati e Bonomi. Ma la situazione non migliora e avviene Caporetto. Di Caporetto la colpa sarà affibbiata ai socialisti che avevano affermato di non aderire alla guerra, ma neppure di boicottarla. A Zimmerwald un Psi neutralizzato in Italia ( i militanti giovani al fronte, gli altri controllati a vista dalla polizia) si schiera per una fine della guerra senza annessioni ne indennità, nonostante riscuota successo la posizione di Lenin di trasformare la guerra imperialista in una occasione di rivoluzione. Alla riunione dei socialisti l'anno dopo (1916)l'ala estrema degli intransigenti del Psi si schiera con Lenin e chiede di abbandonare la II Internazionale. Riemerge di nuovo il dissidio

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riformisti/rivoluzionari. Se alle dirigenze del psi non si può attribuire la regia delle agitazioni del 1917, di sicuro la loro “colpa” è non aver saputo controllare quei militanti estremisti che scendono in piazza con gli anarchici guidando la protesta e rafforzando l'idea che il nemico interno siano i socialisti. Questo mentre il Psi, laddove governa, offre al governo una preziosa collaborazione. Il 25 ottobre del 1917, quando arriva la notizia della disfatta di Caporetto, Turati abbraccia Bissolati, come a sancire la fine di una ostilità che nasce dalla guerra in Libia. Potrebbe essere la nascita di quel polo democratico capace di isolare nazionalisti, anarchici, socialisti rivoluzionari, ma tramonta l'ipotesi dell'ingresso del Psi nel nuovo governo di Vittorio Emanuele Orlando, poiché i riformisti non se la sentono di forzare la mano entrando nel governo e provocando così quasi sicuramente una scissione. Dalla crisi del 1917 esce rafforzato il fronte nazionalista: la maggioranza governativa organizzata nel Fascio Parlamentare di difesa nazionale,richiamandosi direttamente alle parole d'ordine del radioso maggismo, impone un giro di vite contro i nemici interni. I dirigenti del Psi finiscono in carcere con l'accusa di “tradimento indiretto” e i militanti sono ovunque denunciati e processati. Cade nel vuoto l'appello del Psi all'unità nazionale, mentre si rinsalda nei militanti la solidarietà per i compagni francesi, tedeschi, austriaci sottoposti alle stesse vessazioni. La vittoria della rivoluzione Leninista e la pubblicazione dei trattati internazionali stipulati dallo zar rendono evidente e veritiera la critica dei socialisti alla guerra che si dimostra davvero puramente imperialista e espansionista, così come quella tedesca: tra le potenze non ci sono differenze, la guerra è guerra di potenza. I riformisti perdono ogni legittimità di fronte al popolo socialista.

7.la vittoriacon la firma di Brest Litovsk il 15 dicembre 1917 la Russia Bolscevica lascia il conflitto. Gli imperi centrali potrebbero cogliere l'occasione di riequilibrare il conflitto anche dopo l'entrata degli Usa in guerra, ma ormai sono all'esaurimento. La propaganda antieroica di Hemingway, attivo sul fronte italiano, non raggiunge l'opinione pubblica, mentre tutti gli intellettuali continuano a mitizzare la guerra con entusiasmo, glorificando le motivazioni ideali. Nelle opere di Marinetti si parla di ardore guerriero, di avventura e spettacolo: spariscono gli orrori della trincea, la fame, le marce estenuanti. Spariscono le persone e ci si concentra sulle armi (cannoni, carri armati, aerei) prese a simbolo della modernità che avanza. La guerra diventa metafora della gioventù, spettacolo che si contrappone al grigiore della quotidianeità. Paiono non rendersi conto (o forse lo sanno) che la truppa è apatica, demoralizzata e vive la guerra come fatalità. A tutto questo non si sottraggono neppure i democratici. Quando ormai è chiaro il rischio della rivolta delle truppe per via della propaganda socialista si crea l'ufficio P (Up=ufficio propaganda) per stampare manifesti, cartelli, volantini, cartoline e giornali patriottici da far girare al fronte. Ma siccome non basta il governo comincia a intervenire a favore dei soldati con licenze per i lavori nei campi, polizze di assicurazione sulla vita, sussidi alle vedove, ai mutilati, agli invalidi. Si crea l'Opera nazionale combattenti un ente di assistenza per il dopo guerra e si parla di progetti per la concessione di terra ai contadini. Orlando mette Diaz al posto di Cadorna: Diaz imposta la guerra come difensiva e riduce il fronte di quasi 300 km. Si crea anche un comando unico con Francia, Inghilterra che quindi sono pronti a rinforzare le linee italiane quando tra novembre e dicembre 1917 Germania e Austria scatenano l'offensiva per forzare le linee di difesa sul Piave. Anche gli usa intervengono in nostro aiuto con derrate alimentari, carbone, carburante, armi. Nel 1918, primavera, riprende l'offensiva: i tedeschi arrivano quasi a Parigi, in Italia gli austriaci scatenano l'inferno vicino ad Asiago. Gli italiano stavolta resistono. L'8 agosto 1918 gli inglesi sfondano le linee tedesche vicino Amiens e Diaz scatena il contrattacco contro gli austriaci ormai allo sbando. Ad ottobre l'Austria chiede l'armistizio: le truppe italiane raggiungono Vittorio Veneto, poi Trento, Trieste. Si firma l'armistizio. Di li a poco lo chiede anche la Germania.Wodroow Wilson aveva già presentato i 14 punti al Congresso sulle sorti dell'europa: niente annessioni ne conquiste per i vincitori. Gli Usa sono entrati in guerra in nome della libertà contro gli imperi autoritari

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quindi è importante rispettare questi principi al tavolo delle trattative. Le frontiere devono essere delineate secondo chiari principi di nazionalità riconoscibili in tradizioni, lingua, cultura, religione. Nell'immediato i punti di Wilson trovano consensi, ma creeranno un ordine che di lì a poco sarà di nuovo sconvolto, a dimostrazione dell'utopia di queste speranze che si scontrano con l'indole intima della matchpolitk. In Italia i 14 punti sono ben accettati dall'opinione pubblica e dal governo, eccetto Sonnino, che è pronto ad accordarsi per la pace nel rispetto dei popoli. L'Italia avvia vari incontri con i rappresentanti dei popoli sottomessi agli imperi centrali (sloveni, croati, dalmati ecc) a cui partecipano interventisti di ogni colore: rivoluzionari (mussolini), nazionalisti e democratici (salvemini). Si firma con i rappresentanti del Congresso dei popoli soggetti all'Impero asburgico il patto di Roma in linea con la linea di Wilson. Ma appena la guerra finisce tutti questi buoni propositi finiscono nel cassetto: il caso di Fiume è un caso eclatante che avvelenerà il clima politico.

8.un paese in crescitadalla guerra l'Italia qualcosa ha guadagnato: si è lasciata alle spalle la tradizione di paese contadino e arretrato perchè in 3 anni di guerra la società nel suo complesso ha fatto un balzo in avanti. L'italia esce dal conflitto come una potenza industriale, caotica con differenze di livelli di produzione impressionanti da settore a settore, ma con una produzione dieci volte maggiore al passato. Lo Stato, che ha avuto un ruolo fondamentale di propulsione in questo, ora conta su una burocrazia modernizzata e più efficiente, che ora può contare sull'aiuto di tecnici esperti per gestire settore nevralgici. Si creano altri problemi: la struttura burocratica abnorme è caotica e complicata nelle procedure e ogni nuovo dirigente gestisce la propria area di competenza come un bene privato. Molti tecnici sono imprenditori e in un rapporto così vicino pubblico-privato sarebbe bene che lo stato vigilasse: ma non avviene perchè gli imprenditori si oppongono nettamente. Di sicuro il metalmeccanico e siderurgico, anche grazie alle commesse statali hanno avuto un vero e proprio boom: ma la cosa vale anche per il chimico, il tessile, l'alimentare tutto a favore di giganti che sono veri e propri trust (Ansaldo, Breda, Fiat ecc...) che si combattono tra loro, puntano alle scalate degli istituti privati di credito, assorbono imprese concorrenti. (Ricorda. Agnelli tenta di prendere il controllo del Credito Italiano Nel 1918 deve intervenire il governo che impone alle 4 maggiori banche (Banca commerciale, Banca di Sconto, Credito Italiano, Banco di Roma) un accordo in base al quale le operazioni finanziarie con gli enti pubblici e le grandi industrie devono essere decise di comune accordo. Ma questo non salverà la Banca di Sconto che va in bancarotta a causa degli scoperto verso l'Ansaldo nel 1921. Nel 23 tocca al Banco di Roma e tocca allo Stato intervenire al salvataggio: è chiara la debolezza del sistema finanziario italiano. Ed è normale questo vista la generale crisi post-bellica e le caratteristiche del capitalismo italiano del tutto squilibrato da settore a settore. E anche se la ripresa economica ritarda ormai la via dello sviluppo è presa, come testimonia la nascita di una innumerevole quantità di piccole e medie imprese e il boom del settore dei servizi. Si forma un nuovo ceto medio che, sommato a quello dei dipendenti statali, rappresenta una cospicua fetta della popolazione lanciata verso la modernità. Finalmente è sdoganato il lavoro femminile dato che la guerra ha costretto le donne a prendere il posto degli uomini, cosa che ha comportato certamente emancipazione: contabili, dattilografe, ragioniere, cassiere, le donne escono di casa e lavorano. Cambia anche il vestire: da pudici abiti lunghi fino alle caviglie e coi polsi ben abbottonati si passa a gonne corte che mostrano le gambe, si modificano le abitudini nel trucco, i capelli restano sciolti. Il busto è abolito così come gli immensi cappelli e le sottovesti. E c'è in tutto questo il motivo pratico di essere libere e comode nel lavoro. Questo sconvolge i maschi che vedono ridursi il loro potere sulle donne e sulla società che si avvia verso una secolarizzazione completa: non a caso nel 1924 Pio XI inviterà le madri cattoliche a una stretta sui costumi troppo liberi delle figlie, testimoniando un'ansia diffusa nella società. Uomini e donne ora lavorano fianco a fianco senza protettori, intermediari,

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controllori a filtrare i loro rapporti. Anche le donne borghesi, che comunque non entrano nel mondo del lavoro, hanno fatto la loro esperienza di emancipazione grazie alle associazioni di volontariato. Nonostante l'ansia degli uomini quasi 200 sono le donne che lo stato decora al valor militare. Nel 1919, anche se il suffragio universale resta un miraggio, si emana una legge sulla capacità giuridica delle donne che sancisce la possibilità di esercitare tutte le professioni a parità degli uomini. Si vanno anche assottigliando le barriere di classe e la moda nel vestire lo dimostra: prima della guerra il modo di vestire rendeva chiaro l'estrazione sociale di una donna (il fazzoletto era da operaie, il cappello da borghesi). Le porte delle aziende durante la guerra si spalancano per le donne che ora, con un salario, comprano cappelli, stivali e tutti quei simboli che prima erano a loro preclusi. Diventa impossibile quindi distinguere “una contessa da una sartina” come si diceva con rimpianto per il passato nei salotti borghesi. Anche i reduci hanno vissuto una forte esperienza che ha comportato consapevolezza e emancipazione: hanno visto luoghi nuovi, persone nuove che parlano dialetti diversi e hanno usi e costumi differenti. Ma non si sono sentiti diversi, uniti dallo spirito solidaristico e cameratistico tipico del soldato sottoposti alle stesse vessazioni in trincea e agli stessi pericoli e alla stessa ferrea disciplina militare: tutto ha portato verso una maturazione civile e politica. E' la voglia di conservare i legami stretti al fronte che porta alla creazione di associazioni di pressione e mutuo soccorso create dagli ex combattenti per gli ex combattenti, con un associazionismo di chiaro segno politico: di solito l'iniziativa è degli ufficiali o comunque di quegli intellettuali attivi nell'UP quindi degli interventisti. Questa matrice comporta l'esclusione dei socialisti dall'Associazione nazionale combattenti (anc), con una scelta che solo con senno di poi il Psi valuterà come un errore fatale. Persino la Lega proletaria dei combattenti non gode dell'appoggio pieno del partito, deciso a demonizzare in toto la guerra. Ma l'Anc diventa numerosissimo e comincia a fare una pressione difficilmente evitabile dal governo: chiede scuole, giustizia, assicurazioni sociali e terra per i combattenti contadini. Entro l'Anc troviamo democratici, nazionalisti, rivoluzionari, futuristi, arditi, che sono uniti dalla parola patriottismo, ma a cui danno significati profondamente differenti. Già tra Salvemini e Mussolini le differenze sono enormi, nonostante usino entrambi un linguaggio eversivo e retorico (tutto il potere ai treincerarchi, a morte i profittatori di guerra ecc..). L'anima democratica del movimento combattenti crede di avere saldamente nelle mani il controllo dell'Anc e si illude che il vento della democrazia ora spiri forte anche in Italia. Li aiuta in questa convinzione la presenza nel governo Orlando i molti interventisti democratici e la nascita del Fascio parlamentare di difesa nazionale. E' la questione di Fiume a scatenare le divisioni. Il fronte democratico plaude ai punti di Wilson e alla costituzione della Società delle nazioni: ma in generale l'idea di una pace giusta che ridia le terre irredente all'Italia e le permetta di svilupparsi economicamente in pace e collaborazione coi vicini piace a tutti, socialisti e Cgl compresi (al punto che quando Wilson arriva in Italia Mussolini lo saluta con entusiasmo come araldo della pace). Albertini, direttore del Corriere della Sera, elogia Wilson e il suo modello come miglior contraltare al bolscevismo e come migliore formula per il trionfo della civiltà e del progresso pacifico. Persino Turati esalta Wilson, affermando che aggrapparsi alle teorie di Wilson è l'unico sistema per arginare i compagni esaltati dalla rivoluzione russa. L'entusiasmo verso Wilson si spenge quando gli italiani cominciano ad avere chiaro che Wilson non vuole che Fiume diventi italiana: è una città a maggioranza italiana e quindi dovrebbe valere il principio di nazionalità. Ma gli accordi del 1915 (che non prevedevano Fiume) tra gli stati della Triplice Intesa ancora sono fatti coi vecchi principi della matchpolitik e agli Usa non interessa nulla rispettare un patto che non hanno firmato. E' contraddittorio quindi chiedere il rispetto sia del Patto di Londra sia l'annessione di Fiume secondo i principi di Wilson: Fiume viene assegnata dall'Intesa alla Jugoslavia. Sonnino decide di aspettare che gli Usa cedano sotto le pressioni di Francia e G.B. Nonostante sia improbabile che Lloyde george e Clemencau aiutino l'Italia facendo concessioni. Una soluzione potrebbe essere quella di Bissolati che propone di cancellare il patto di Londra, di rinunciare ai territori in cui gli

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italiani sono minoranza (Tirolo tedesco, Dalmazia, Dodecaneso) per avere in cambio quelli con la maggioranza italiana (Zara, Fiume). Solo Nitti appoggia Bissolati in Consiglio dei Ministri: Bissolati si dimette.

9. la vittoria mutilatafinita la guerra, le trattative partono, come base minima, dal patto di Londra: gli italiani vorrebbero completare l'unità nazionale, ma anche risolvere problemi di sicurezza strategica e del possesso delle materie prime... cose che comportano la volontà di ottenere Dalmazia, Corfù, Palestina, Somalia, Etipia per quel che riguarda le richieste dei nazionalisti (a cui si oppongono i democratici). Per i nazionalisti la pace è essenzialmente una questione di equilibrio di potenza e ogni stato al tavolo di Versailles cercherà di tutelare i propri interessi (del tutto fuori dal clima wilsoniano quindi). Wilson ha, per i nazionalisti,s olo cercato di mistificare il conflitto che è una pura guerra di razze contro razze, stati contro stati per la supremazia. Per la Jugoslavia la ricetta dei nazionalisti è semplice: laddove non si può decidere secondo il criterio di nazionalità, è ovvio che la razza inferiore, quella slava, si sottometta a quella italiana superiore. I futuristi non sono attratti dai deliri di potenza dei nazionalisti, ma è lo spirito della guerra come grandioso sconvolgimento epocale che essi vorrebbero perpetrare per impedire il ritorno al grigio quotidiano, al passato, al conformismo. La società delle nazioni è per loro il simbolo del passatismo: nasce dalla stanchezza e dalla paura, dal desiderio di ordine e di autocrazia. Marciare e non marcire è il motto di Marinetti, che nel 1918 apre il giornale “Roma futurista” giornale del partito futurista. I futuristi creano un partito e lanciano un manifesto programmatico che prende tutto, dal suffragio universale anche per le donne alla socializzazione della terra, alla nazionalizzazione delle acque, delle miniere passando per l'abolizione dell'esercito e per il divorzio. Ai futuristi, che avranno poco seguito, si legano gli Arditi, i reduci delle truppe scelte d'assalto che si organizzano nel 1919 in una associazione nazionale. I corpi scelti si sono si guadagnati la fama di eroi sul campo, ma ora i dirigenti militari sciolgono quei corpi preoccupati per la loro insofferenza alle regole e alla disciplina. Se le autorità militari vieteranno la diffusione nelle caserme perfino del giornale degli Arditi, i futuristi li accoglieranno a braccia aperte. Futuristi e arditi trovano in un Mussolini sempre più insofferente al fronte interventista democratico un sodale comune. Quando Bissolati si dimette il sodalizio tra arditi, futuristi e Mussolini si stringe: Mussolini e Marnetti sono presenti a disturbare, alla Scala di Milano in Gennaio, il discorso di Bissolati che prova a spiegare le sue ragioni. La serata, trasformata in una “serata futurista” si conclude con un comizio che in pratica segna la rottura del fronte democratico, con la fuoriuscita dallo stesso dell'ala sinistra sindacalista mussoliniana. Bissolati diventa nel repertorio mussoliniano l'infame codardo che è disposto ad offendere la memoria dei soldati morti e a mutilare la vittoria. Persino Albertini si schiera contro, privando i riformisti dell'appoggio del Corriere della Sera. Il 18 Gennaio 1919 si apre a parigi la Conferenza di pace: ogni paese porta un pacchetto di rivendicazioni difficili da conciliare. La disgregazione dell'imper multietnico asburgico sta creando grandi fermenti e nazionalismi sempre più forti. Orlando siede nel Consiglio dei 4 capi di stato vincitori a cui spettano le decisioni finali: chiede subito il rispetto del patto di Londra+Fiume. Ma George Lloyd, Clemencau e Wilson devono tenere conto anche del nazionalismo jugoslavo. Dopo 3 mesi di discussioni, con un fevore patriottico molto vivo in Italia, Wilson propone una mediaizone: rifiuto di Fiume, compromesso tra interessi italiani e jugoslavi per Istria e Dalmazia (per Fiume si prevedeva uno statuto speciale che ne garantiva l'autonomia, nel quadro però del sistema doganale jugoslavo). Orlando rifiuta sdegnato il memorandum di Wilson, ma Clemencau e Lloyd George non lo appoggiano perchè Fiume non era compreso nel patto di Londra. La delegazione italiana perde la calma e quando Wilson decide di rivolgersi direttamente al popolo italiano, Orlando e Sonnino tornano in patria, accolti come eroi e applauditi dai Parlamentari, che ratificano la loro politica estera. Ormai è diffusa la convinzione della vittoria mutilata. Dopo 10 giorni Orlando e Sonnino tornano al tavolo delle trattative: G.b, Francia e Giappone si spartiscono le colonie tedesche

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africane e l'Italia resta a bocca asciutta se non qualche piccolo aggiustamento riguardo ai confini con l'Austria. Il rischio di restare internazionalmente isolati porta Sonnino e Orlando a trincerarsi dietro il patto di Londra. Il tutto mentre fermenta il patriottismo, che diventa una miccia pronta a esplodere: il governo non trova sistema migliore per affrontare la cosa che secretare la politica estera. La Camera si oppone ed è crisi. Nitti vara il nuovo Gabinetto nel Giugno 1919. Francesco saverio nitti è capo del governo (interventista democratico) che chiama al governo molti amici di Giolitti: prosegue la democratizzazione del paese. Nel mentre si infervora di iniziative il fronte interventista, sopratutto quello di estrema sinistra e di estrema destra (nel Marzo 1919 sono nati i fasci di combattimento ad opera di Mussolini) nel tentativo di coinvolgere sia la truppa sia gli alti ufficiali tra i quali si percepisce una certa inquietudine dovute al fatto che il governo fa intendere di voler riportare l'esercito ai livelli pre-bellici, cancellando vari privilegi ottenuti durante la guerra. Affonda in questi ambienti la propaganda nazionalista ed è proprio qui che matura l'idea dell'impresa Fiumana che metta, con un colpo di mano, Usa, G.b, Francia di fronte al fatto compiuto. D'Annunzio verrà scelto come capo dell'impresa: nonstante i 52 anni si era arruolato in una divisione di cavalleria e aveva sbalordito l'Italia e il mondo con i suoi voli su Trieste e Vienna corredati dal lancio di manifestini tricolore, l'affondamento di un cacciatorpediniere austriaco, gli assalti alle trincee nemiche in piena notte avvolto in un mantello e coi pugnali. Gli asburgo avevano messo una taglia sulla sua testa. Alla fine della guerra D'Annunzio è un mito al quale anche Vittorio Emanuele III ha voluto rendere omaggio concedendogli un titolo nobiliare. Il 10 settembre 1919 l'Austria firma la pace a Saint-Germain: l'Italia ottiene Trentino, Alto adige fino al Brennero, Venezia Giulia, Istria e parte della Dalmazia, ma non Fiume. 2 giorni dopo D'Annunzio, con un manipolo di militari riibelli, futuristi, arditi, volontari irredentisti, sindacalisti rivoluzionari arriva alle porte di Fiume. Il comandante delle truppe italiane a fiume gli intima di ritirarsi: D'annunzio, ripetendo un gesto storico di Napoleone, si apre il mantello, mostra le decorazioni militari e invita il comandante a sparargli. Il comandante non osa alzare un dito e lo scorta dentro Fiume, accolto come un eroe dalla popolazione, mentre le campane suonano a festa e ovunque risuona “giovinezza” inno dell'impresa fiumana. Lo stesso giorno D'Annunzio dichiara Fiume annessa all'Italia. Poco dopo il governo Nitti condanna l'accaduto e nomina Badoglio generale straordinario per la venezia Giulia con lo scopo di prendere immediatamente contatti con D'Annunzio, mentre il ministro degli esteri chiede di nuovo Fiume. 2 mesi dopo D'Annunzio occupa anche Zara, col consenso delle forze militari italiane presenti. Dopo un anno di stallo Italia e Jugoslavia firmano il trattato di Rapallo, un compromesso che comporta modifiche del confine favorevoli all'Italia, disposta a cedere la Dalmazia in cambio di 3 isole dalmate e di zara: Fiume è dichiarata città libera. Per far sloggiare D'Annunzio basterà una cannonata contro il Palazzo della reggenza.

3. IL CROLLO DELLO STATO LIBERALE1. il PPI arbitro del sistema politiconell'Italia del dopoguerra non c'è più la salda maggioranza giolittiana. La guerra stessa è intervenuta a disgregare quel fronte disomogeneo che Giolitti teneva in piedi a forza di accordi, compromessi e concessioni anche con le forze cattoliche. Tutto condito dal trasformismo e dall'inesistenza di forze alternative ai liberali capaci di dare vita all'alternanza (anche non avere una opposizione dalla chiara identità alternativa è un problema). Il ricambio infatti si attivava dall'interno dando vita ad uno schieramento dai caratteri sfumati e indeterminati. Insomma governano da sempre i liberali. La concesione del suffragio universale e le elezioni del 13 avevano modificato solo in parte questo quadro, grazie all'aumento dei consensi del Psi i cui seggi, sommati a quelli dei repubblicani e dei radicali, formavano uno schieramento alternativo purtroppo non sufficiente a fare una maggioranza. La disgregazione del fronte liberale post guerra lega la fine del dominio liberale ai problemi di governabilità: l'unica maggioranza esprimibile tra il 1918 il 1919 è troppo divisa al suo interno per assicurare quel rinnovamento radicale preteso dall'opinione pubblica italiana e condiviso anche dalle classi dirigenti. La soluzione ideale al

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problema pare a tutti il cambio di legge elettorale: non appena Nitti forma il governo si emana una legge che sostituisce l'uninominale col proporzionale. Questa legge elettorale comporta un cambiamento nei rapporti politici, ma non risolve il problema della governabilità, in quanto non fa altro che accentuare i dissidi interni ai liberali. I liberali non si rendono conto dello sfacelo che significa per loro il proporzionale, mentre socialisti e cattolici (uniti nel Ppi, primo partito di massa cattolico) ne fanno una bandiera perchè sanno bene che il proporzionale premia le organizzazioni forti riducendo l'impatto del personalismo in politica: si spezzano i rapporti di clientelismo, non si vota più il notabile compaesano ecc.. Al sud però, dove i cittadini non erano politicizzati e c'erano pochi partiti e associazioni organizzati e ci si basava solo sul notabilato e sulle autorità, il diritto di voto era puramente formale. Al sud quindi, e questo era stato motivo di opposizione dei meridionalisti contro Giolitti, ci si basava su prefetti e questori per indirizzare il voto e su questo tipo di consensi si erano basati i liberali. La proporzionale del 1919 sconvolge tutto e trascina i liberali nella sconfitta: Nitti interrompe ogni forma di compromesso sul modello giolittiano e impedisce a prefetti e questori di schierarsi e fare da catalizzatori di voti. Il risultati sono sorprendenti:-quasi tutti i parlamentari vengono sostituiti-i liberali nel loro insieme perdono il 30% dei voti. Anche se a questi si sono aggiunti Bissolati e i combattenti i liberali non hanno la maggioranza per formare un governo-potrebbe scattare l'alternanza, che non scatta per non esiste uno schieramento alternativo: il Psi avanza ma non abbastanza da prendere il potere. E non è ipotizzabile un accordo tra Psi e cattolici, che hanno ottenuto 100 seggi. A questo punto l'unica strada percorribile è un accordo tra i liberali e i popolari, che si trovano arbitri del sistema politico.Il Ppi si costituisce nel 1919 quando viene lanciato un “appello al paese” con un programma di 12 punti decisamente democratico (proporzionale,voto alle donne, senato elettivo,riforma fiscale, autonomia locale, riconoscimento giuridico delle organizzazioni sindacali, wilsonismo in politica estera a cui si aggiungo le richieste, tipicamente cattoliche, di difesa della famiglia e la libertà di insegnamento). Il PPI (la cui nascita è preceduta, nel 1918, dalla nascita della Cil che riunisce tutti i sindacati bianchi) nasce come un partito di massa, aconfessionale anche se ispirato ai valori cattolici, fortemente autonomo dalle gerarchie ecclesiastiche. Capo ne è Don Luigi Sturzo che lavora da anni alla nascita del partito cattolico, conscio di dover superare le diffidenze delle gerarchie ecclesiastiche, prima tra tutte la diffidenza verso la democrazia: le dirigenze cattoliche ritengono che le tradizionali forme associative cattoliche e il vincolo di ubbidienza siano sufficienti a mantenere l'ordine e a tutelare i valori cattolici aggrediti dalla modernità. Ma la Chiesa comincia a levigare le tradizionali rimostranze verso la partecipazione politica dei cattolici allo stato italiano quando vedono l'avanzata dei socialisti diventare una realtà plausibile. Resta una differenza difficilmente colmabile tra le due ricette: se Sturzo vuole scongiurare il pericolo della rivoluzione bolscevica dotando lo stato di salde basi democratiche il Papa Benedetto XV e il suo Segretario di Stato, cardinale Gasparri, ritengono che debba nascere un agguerrito fronte moderato-conservatore capace di riportare l'ordine mettendo in riga, con le buone o le cattive, il Psi. Il Papa comunque decide di accontentarsi di Sturzo: nel 1919 si scioglie l'Unione elettorale sancendo il riconoscimento pontificio del PPI e abolisce il non expedit. Dispongono di 50mila iscritti, attivisti nelle associazioni e nei sindacati bianchi e sfruttano la struttura capillare delle parrocchie per essere ovunque. I cattolici avevano ottenuto un boom di associazionismo e militanza, ma il tutto era sotterraneo: ora la nascita della Cil e del Ppi non fa altro che ufficializzare un fatto sotterrane. L'associazionismo e il volontariato messo in piedi dalla Chiesa cattolica per aiutare le famiglie povere durante la guerra ha fatto registrare un boom di consensi tra i poveri accresciuto anche dalla netta presa di posizione della Chiesa contro la guerra. In parte questo spiega la diffidenza dei liberali di accettare il Ppi, ma alla fine Nitti sa che non ha altra possibilità. Ma i liberali lasciano il Ppi nell'anticamera: per sei

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mesi si chiede loro l'appoggio esterno al governo. La cultura dei due partiti, se si eccettuano i cattolici liberali che sono una minoranza, è ben diversa: nel Ppi troviamo conservatori clericali, cristiano-sociali che guidano le organizzazioni sindacali. E il cattolicesimo sociale è chiaramente antagonista ai valori su cui poggiano società e stato liberale. Lo si capisce dal Manifesto dei lavoratori italiani della CiL:è tempo di uscire, si legge, dalla parentesi liberal-borghese-individualista, è tempo di sostituire lo stato accentratore, sia esso borghese o socialista, ugualmente incapace e tirannico con nuove istituzioni che abbiano il loro centro nel lavoro umano sindacalmente, corporativamente organizzato. I sindacalisti cattolici propongono la 3 via tra capitalismo e socialismo che disorienta completamente la classe dirigente liberale.

2.il biennio rossose la propaganda aveva fatto breccia quantomeno tra i soldati al fronte, le masse del fronte interno rimanevano sempre freddi verso lo Stato: non giovò allo stato la diffusione della notizia di quanto accadeva in Russia tra i lavoratori e le famiglie, strangolate dalla fame, dalla crisi e dalla militarizzazione delle fabbriche. Troppo tardi il governo cominciò ad allentare la pressione: nel 1918 la richiesta a Cgl e Psi di partecipare alla commissione istituita per affrontare i problemi economici e sociali non migliorò la situazione. A nulla era valsa la predisposizione dei riformisti a collaborare col governo: trovarono sempre opposizione della maggioranza del partito e del sindacato. Il clima era chiaro: i propagandisti che giravano nelle campagne con lo scopo di risvegliare il sentimento patriottico dovevano travestirsi per non essere presi a sassate. La guerra, con i suoi morti e le sue epidemie (epidemia di spagnola nel 1918 in veneto che falcidia la popolazione) e i suoi danni alle cose materiali, fa accrescere la rabbia del popolo rosso. La guerra, col boom delle industrie e il crollo dell'agricoltura, ha aperto fratture profonde nella società lasciando le campagne alla fame. (situazione economica: occorre comprare materie prime, carbone, combustibili dall'estero, mancano cibo e concimi. Serve, per comprare valuta pregiata e questa scarseggia. L'Italia si indebita pesantemente con Usa e G.B al punto che le riserve auree del Regno sono trasferite a Londra a garanzia dei prestiti. L'inflazione è alle stelle ed esplode il carovita).In questa situazione in Liguria, Toscana, Milano e Roma esplodono rivolte contro il carovita. La popolazione va all'assalto dei forni, dei negozi, degli edifici pubblici, fa manifestazioni che sfociano in scontri con l'esercito e la polizia. Se non sono nuove queste situazioni di tensione, nuovi e più radicali appaiono gli obiettivi e i metodi di lotta così come è più vasta l'area di esplosione del conflitto. Alla pianura padana si aggiungono anche Lazio, Puglia,Marche, Sicilia. Nel centro sud dove la situazione è peggiore, la lotta sfocia nell'occupazione delle terre: braccianti e salariati fissi, coloni e mezzadri, affittuari e piccoli proprietari dichiarano guerra alla grande proprietà. Chi occupa le terre si sente legittimato a farlo anche alle promesse che il governo aveva fatto dopo caporetto, parlando di premi e terre: non è un caso che ad occupare le terre vadano proprio gli ex combattenti, organizzati dai socialisti, dai cattolici e dalle associazioni combattentistiche. Significativo è l'approccio “leggero” del governo a questi moti. Addirittura nel settembre del 1919 il ministro dell'agricoltura Visocchi vara una legge che autorizza l'esproprio delle terre incolte o mal coltivate, legittimando di fatto la violazione della proprietà privata, ma questo non placa gli animi. Le occupazioni proseguono anche l'anno dopo: al Sud i braccianti vanno nei campi a lavorare senza aspettare l'ingaggio e a fine giornata pretendono dai padroni il salario. Nella Primavera del 20 l'ondata di proteste scoppia anche, di nuovo, in Val Padana (Emilia e Veneto principalmente): si devastano le coltivazioni, le si invadono e si incendiano le case padronali. I padroni umiliati attaccano il governo Nitti, troppo tenero con i contadini. Nel 1920 cambia il ministro dell'Agricoltura: diventa il Popolare Micheli.: in quello stesso anno il congresso del PPI ribadiva la proprietà privata, ma autorizzava l'esproprio dei campi mal coltivati o incolti per motivi di “utilità sociale”. Il tutto mentre i contadini delle leghe bianche cominciano a usare metodi simili a quelli dei contadini rossi: assaltano cascine che occupano e identificano con grandi bandiere bianche. Sono le ale estreme del Ppi guidate dal deputato Guido Miglioli, teorico del

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populismo contadino, di fatto esterno all'alveo culturale del Ppi, ma Sturzo non ha alcun interesse a fermarlo. Altrettanto caldo è il fronte delle fabbriche: nel 1919 i lavoratori avevano ottenuto le 8 ore. Ci sono scioperi a raffica. I padroni sono preoccupati sopratutto da quel che avviene in Fiat, dove i lavoratori, sul modello russo, cominciano a organizzare i primi consigli di fabbrica. Nel frattempo Gramsci e Tasca iniziano la pubblicazione della rivista “Ordine nuovo” che influenza le ale estreme della Fiom, molto forte allora entro la Cgl. Nel 1920 il conflitto tra operai e padroni si inasprisce: lo “sciopero delle lancette” contro il ripristino dell'ora legale si trasforma in un braccio di ferro da cui la Fiom esce sconfitta: la Fiom in risposta presenta un pacchetto di rivendicazioni (12 giorni di ferie pagate, 40% di aumento salariale, indennità di licenenziamento) che i padroni rifiutano, reagendo con la serrata dello stabilimento Alfa Romeo di Milano. In risposta la Fiom ordina l'occupazione delle fabbriche, mentre la federazione degli industriali meccanici e metalmeccanici ordina la serrata di tutte le fabbriche: moltissime fabbriche sono invase dai lavoratori che mettono sul tetto una bandiera rossa. Nelle città il fenomeno delle occupazioni è più visibile che nelle campagne e sconvolge l'opinione pubblica che vede iniziare la rivoluzione. Il governo sceglie inizialmente una linea di non intervento: Giolitti, tornato al governo dopo la crisi del governo Nitti, scommette sulla risoluzione pacifica della questione, convinto che socialisti e sindacalisti non daranno mai il via alla rivoluzione. Sarà la Cgl a dargli ragione, decidendo di lasciare l'agitazione sul piano vertenziale economico: allora Giolitti si muoverà per andare a presiedere una assemblea tra sindacati e padroni che troverà un accordo ponendo fine alle occupazioni delle fabbriche (aumenti salariali e forme di controllo operaio,mai attuate). Lo stesso anno il congresso Cgl ribadisce la linea non rivoluzionaria.

3. la promessa rivoluzionariasotto il fascismo la fase del biennio rosso sarà ricordata come l'inizio della rivoluzione bolscevica evitata per un soffio grazie all'intervento dei fasci di combattimento. Ma il ruolo marginale del Psi rende chiaro che non c'era nessun piano rivoluzionario in corso e che vi fosse una maturità politica vera. Anche se le tendenze rivoluzionarie di parte del Psi sono chiare: basta ricordare il congresso del 1918 che stabilì un secco no a ogni forma di collaborazione coi governi borghesi, grazie all'affermarsi delle correnti rivoluzionarie su quelle riformiste esaltate dalla vittoria russa. Nel frattempo però entro la Cgl vincono i riformisti. Questo non frena l'esaltazione dei proletari il cui motto diventa “fare come in Russia”. La fine della guerra è salutata dal Psi+ Cgl col “manifesto dei lavoratori italiani” che incita alla lotta contro la borghesia, alla dittatura del proletariato e poi all'instaurazione del socialismo con la socializzazione dei mezzi di produzione. E tutto questo nonostante l'opposizione di Turati e delle dirigenze sindacali: essi sanno di essere forti e apprezzati anche in una parte delle ale rivoluzionarie, e forse per questo sottovalutano i rivoluzionari credendo che l'ondata si sarebbe spenta da sola. Nonostante tutto i massimalisti fanno ben poco per convertire la rivolta in rivoluzione: nel 1919 indicono uno sciopero generale contro l'intervento dell'Intesa in Russia e Ungheria con una spedizione antiboloscevica, a cui l'Italia non partecipa. Nell'ottobre del 1919 si ribadisce la maggioranza entro il Psi dei massimalisti. Nel frattempo il Psi abbandona la II internazionale, ormai allo sfascio, per convogliare nella III fondata a Mosca nel 1919. Il buon risultato alle elezioni del 1919 conferma e rafforza l'operato dei massimalisti (si triplicano i seggi), assieme all'aumento degli iscritti e al peso interno alla Cgl. Ma la rivoluzione non scoppia neppure con le agitazioni del 20: il Psi chiama a raccolta tutti i compagni “dai campi e dalle officine perchè il giorno della vittoria e della giustizia è vicino”: in realtà non c'è nulla di organizzato, nulla di pronto, fossero anche solo le armi per dare il via all'offensiva. E gli operai nelle fabbriche occupate non hanno relazioni ne coordinazione con i contadini che si rivoltano nei campi. Tra gli operai i rivoluzionari fanno riferimento all'ala comunista che edita “Ordine nuovo”, ma la maggioranza ancora ascoltano le direttive Cgl, la cui maggioranza è riformista. La Cgl ribadirà chiaramente di non volere la rivoluzione a Milano il 9 Settembre, quando le dirigenze Cgl e Psi (che chiede il salto di qualità) si

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incontrano per discutere il da farsi. La rivoluzione insomma, messa ai voti, va in minoranza. La direzione Cgl offre le dimissioni scaricando sul Psi la scelta se fare o no la rivoluzione: il psi rifiuta di assumersi tale responsabilità da solo. La responsabilità della mancata rivoluzione, forse dovuta anche al fatto che il paese non era pronto, va data comunque non ai riformisti, ma ai massimalisti che dettero il gran rifiuto, compresi i comunisti che si sentivano troppo isolati e fragili. Rimane il fatto che, dopo anni di discussioni, mancava una reale strategia rivoluzionaria.

4. i fasci di combattimentonel marzo 1919 Mussolini fonda i fasci di combattimento raccogliendo attorno a se le fasce più estreme degli arditi e dei futuristi, grazie alla fama che si è guadagnato sul fronte dei nazionalisti. E non ci sono dubbi che i loro primi nemici siano i socialisti,ancora divisi dalla frattura interventismo/neutralismo ormai giunta all'esasperazione. Qui l'odio verso i socialisti è scatenato sia dalla rabbia per la vittoria mutilata sia dalla convinzione che essi abbiano sabotato la vittoria italiana (i socialisti sono ancora definiti i “traditori di caporetto”).La forza dei movimenti socialisti esaspera i nazionalisti che sono una insignificante minoranza tra i lavoratori, che scendono in massa in piazza con le falci e martello e attaccano e irridono reduci, combattenti, nazionalisti. Molti sono però i giovani, esclusi dalla guerra per l'età, che smaniano per dimostrare ai più grandi, il loro ardore nazionalista e il loro coraggio: sembra scritto per loro l'appello di Mussolini dalle colonne del “popolo d'Italia” contro “l'imbecillità governativa e l'incoscienza del gregge dei tesserati”, ribadendo che solo i nazionalisti hanno il diritto, in Italia, di parlare di rivoluzione, quella cominciata nel 1915, passata per la guerra e adesso in pieno svolgimento, quella rivoluzione nazionale in contrapposizione a quella internazionalista dei socialisti, rivoluzione da combattere con tutti i mezzi, legali e illegali. Saranno queste le basi intorno a cui verrà scritto il programma dei fasci di combattimento, a Milano, a cui partecipano sindacalisti, anarchici, e socialisti transfughi dalle organizzazioni di classe e i nuovi adepti reclutati tra arditi ed ex combattenti. L'unica adesione di rilievo è quella di Marinetti che porta con se alcuni futuristi. Ma sarà la presenza giovanile quella più importante: molti fasci di combattimento si formano proprio ad opera degli studenti e hanno seguito nelle scuole e nelle università. Il ribellismo individuale tipico di chi ricerca un identità da adulto, si è riversato nell'esperienza comune della guerra, il vincolo familiare si è spezzato con l'invio al fronte, ma anche per chi è rimasto a casa. I giovani sono cresciuti di colpo acquistando una grande fiducia nelle proprie capacità che li porta a disprezzare tutto il vecchio mondo. Finita la guerra i giovani non accettano più l'autorità dei padri e dei maestri, non si crede più nell'infallibilità della loro parola: quasi un 68 antiautoritario. Il programma di Mussolini è confuso, ma attraente per i giovani che sentono parlare di cambiamento, patria, coraggio, eroismo, rivolta, per un Italia più giusta e bella di quella che era stata fino ad allora. Per di più Mussolini promette di passare dalle promesse ai fatti. Passano solo 20 giorni dalla fondazione dei Fasci, che un corteo di nazionalisti a Milano si scontra con uno di socialisti: ne deriva una rissa gigantesca che finisce con l'incendio della sede dell'”Avanti”. L'episodio, ricordato come il primo della guerra civile, sconvolge il popolo socialista che però non prende in seria considerazione i fascisti. Neppure un secondo scontro, Novembre 1919, contro una manifestazione antimonarchica organizzata dal Psi risuona come campanello d'allarme. Il delitto di lesa maestà sfocia in un aggressione contro i deputati socialisti a Roma: il Psi proclama uno sciopero generale che va avanti 3 giorni. Si dà poco peso ai fasci anche perchè alle elezioni del 1919 una lista di Fasci di combattimento presentata a Milano ottiene pochissimi voti: il Psi milanese celebra un irridente funerale sui navigli, gettando nel naviglio un fantoccio di Mussolini. Per di più dopo Versailles l'entusiasmo patriottico va scemando e si diffonde solo una voglia di normalità dovuta alla stanchezza. Lo sa bene Mussolini che infatti è freddo verso l'iniziativa di Fiume, che sa bene essere un fuocherello entro un incendio che va spengendosi (D'Annunzio lo sospetterà di tradimento). Mussolini sa bene dall'esperienza nel Psi che senza una salda

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base di massa non ci si impone nella politica: le minoranza rivoluzionarie funzionano solo quando ottengono un obiettivo a breve termine, come è successo per l'interventismo. Però Mussolini sa anche bene che c'è abbondanza nella società di un combustibile fatto di rabbia, paura, voglia di vendetta, risentimento che ora si è diffuso anche ai padroni umiliati dalle rivolte dei proletari. In Puglia nel 1920 alcuni gruppi di grandi possidenti imbracciano il fucile e si fanno giustizia da soli, approfittando della latitanza dello stato: a Gioia del Colle prendono a fucilate i contadini asserragliati in una masseria e fanno una strage, duramente condannata dai parlamentari Psi. Ma è un fatto possibile solo nell'arretratezza civile e politica del Sud: al nord l'esasperazione è la stessa, ma la risposta non può essere questa. Così i padroni del Nord vedono nei Fasci di combattimento una buona soluzione, Fasci che nel frattempo hanno spostato la loro azione dalla città alle campagne proprio nel momento in cui, siamo nell'autunno del 1920, la grande mobilitazione socialista mostra segni di stanchezza (si segnerà un arretramento del Psi alle elezioni amministrative di quel periodo). Ma nel Novembre del 1920 c'è l'episodio più grave, proprio nella Bologna socialista. I Fasci di combattimento locali avvertono i socialisti che impediranno loro, in tutte le maniere, di insediarsi a Palazzo d'Accursio, così quando il sindaco socialista si affaccia al balcone per salutare la folla i fasci iniziano a sparare. I socialisti, preparati alla cosa, cominciano a lanciare bombe e a sparare dalle finestre: è una strage, molti socialisti e un ex combattente. A Ferrara poco dopo si ripete un caso analogo. Di certo è che l'opinione pubblica borghese guarda con simpatia le camicie nere, così come le autorità locali e gli agenti di polizia, mentre il governo resta immobile e il Psi si dimostra incapace di affrontare l'offensiva. Anzi i fatti di palazzo D'Accursio, che dimostrano che i socialisti non sono invincibili, fa moltiplicare consensi e militanti ai Fasci. Mussolini lo capisce e agita in continuazione lo spettro della proletarizzazione forzata, che ovviamente colpisce chiunque ha qualcosa da difendere: impiegati, insegnanti, liberi professionisti, artigiani, commercianti che non hanno alle spalle nessuna organizzazione vedono finalmente qualcuno difendere con forza i loro interessi. Alla forte disoccupazione si dà, come ricetta, il ritorno forzato delle donne a casa. Insomma di tutto la colpa è dei socialisti (Nenni se ne rende conto e colpevolizza il Psi di non aver guardato anche ai ceti medi, le cui paure e frustrazioni ora rimpinguano le file dei Fasci). Tra il 20 e il 21 i fasci diventano da 100 a 800, contando tra le fila molti ex combattenti la cui esperienza di guerra è assai utile nella strategia mussoliniana. Sono insediati principalmente nelle città, da cui partono a bordo di camion per le spedizioni punitive in campagna che devono essere rapide e devastanti per non dare tempo al Psi di organizzarsi. L'obiettivo è sempre la Camera del Lavoro, o la sezione del psi o della cooperativa, di cui si bruciano tutti gli arredi con un falò purificatore. Guai a chi non si toglie il cappello quando passano i Fasci e guai a chi indossa qualcosa di rosso, guai a chi tenta di ribellarsi. 726 sono le sedi distrutte in un anno di squadrismo fascista. Le armi e i camion sono forniti dai padroni. Sindaci e amministratori sono bastonati, minacciati, costretti a bere l'olio di ricino: ogni atto di resistenza è ricambiato con una reazione dilagante dei Fasci in tutto il territorio interessato. I Fasci hanno tutti la stessa organizzazione: sono gruppi piccoli o piccolissimi guidati dai Ras, capi assoluti locali. Mussolini si trova in difficoltà a mantenere la leadership dei Fasci, che comunque non ha nessuna intenzione di limitare o bloccare.

5. Giolitti e l'illusione della parlamentarizzazione del fascismonel 1920 torna al governo Giolitti, dopo la crisi del governo Nitti che non ha retto alle pressioni di nazionalisti e socialisti. Giolitti forma una salda maggioranza imbarcando nel governo personalità forti come Croce e Labriola, assieme a due esponenti del Ppi. Concede al Ppi l'introduzione dell'esame di stato nelle scuole secondarie e la parità dei diritti per le organizzazioni sindacali cattoliche. Accontenta persino il Psi rivoluzionario aumentando le tasse di successione e avocando allo Stato io sovra-profitti di guerra. Ricomincia il governo da mediazione esasperata di Giolitti, ma i liberali ormai non hanno più una maggioranza che li fa bastare a se stessi e il vero palo di sostegno del governo sono i due ministri del Ppi:

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giolitti è infastidito da questa posizione di forza che il Ppi si è ritagliato, ritenendo il Ppi una forza non conforme agli ideali liberali figli del Risorgimento. Tutto mentre i Fasci di Combattimento si fanno alfieri della riscossa borghese, ammantati col tricolore, riscuotendo sempre più consensi laddove sono attive le leghe bianche e le leghe rosse. Così Giolitti pensa bene di epurare il Ppi sostituendo quel sostegno che i popolari danno al suo governo con l'introduzione di ministri fascisti, dopo aver depurato i Fasci della loro carica sovversiva e violenta, rendendo chiaro che Giolitti non ha capito nulla della natura intima dei Fasci. Ora che i socialisti sono in riflusso e la mobilitazione cala al governo basterebbe contrastare i Fasci per ristabilizzare il paese: ma Giolitti sceglie il compromesso. La scelta è fatale. Mentre manda circolari ai prefetti dando precise disposizioni per arginare la violenza squadrista comincia a lavorare per mettere i fasci dalla sua, consapevole del consenso che il loro squadrismo riscuote nell'opinione pubblica liberale., sopratutto imprenditori e grandi proprietari terrieri: l'opinione pubblica odia a tal punto i socialisti da tollerare palesi violazioni della legalità al punto da tollerare quello che sarà il vero crollo dello stato liberale, cioè la perdita progressiva del monopolio della forza. C'è forse un solo alibi: con la guerra violenza e uso smodato della forza sono entrate nella vita quotidiana, inquinando i valori della politica e esaltando intolleranza,sopraffazione e violenza e demonizzazione dell'avversario. Forse è questa assuefazione alla violenza che rende difficile vedere le differenze tra l'agitazione dei socialisti e quella dei fasci e cosa significhi veramente il progressivo aumento di consenso e potere per Mussolini: nessuno si rende conto che le spedizioni fasciste stanno pian piano scivolando nella guerra civile.

6. la nascita del pcinelle elezioni del 1921 la classe dirigente decide di allearsi coi delinquenti Fascisti: le elezioni sono anticipate, perchè Giolitti crede che sia il momento propizio per modificare gli equilibri nella maggioranza togliendo forza a socialisti e popolari. Entro il movimento socialista, duramente colpito, si apre una frattura insanabile: nel Gennaio del 1921 a Livorno si consuma la scissione fra la frazione comunista uscita dal Psi in polemica sia sul fatto che il psi non vuole fare la rivoluzione, sia che non si vuole piegare alle direttive dalla Comintern. I socialisti italiani, dopo aver chiesto l'entrata nella III internazionale vanno sollevando molte perplessità e polemiche sui 21 punti fissati dai bolscevichi per essere accolti entro il nuovo organismo. Non accettano di espellere la parte riformista (Turati), rifiutano di cambiare il nome in Partito Comunista, contestano la scelta del Partito comunista russo di guidare la rivoluzione mondiale. La rivoluzione russa insomma esplode deflagrando il psi, in cui le varie anime riuscivano tutto sommato a convivere (eccetto l'esclusione dei ministerialisti Bonomi e Bissolati per la guerra in Libia). La guerra mondiale aveva avuto, in proporzione, effetti minori, portando fuori dal partito solo le ale rivoluzionari vicine a Mussolini, mentre Turati aveva soffocato le sue spinte patriottiche in nome di un pacifismo internazionalista. Era stata proprio la questione nazionale a cominciare a crepare la stabilità dell'edificio Psi: la vittoria dei bolscevichi unì le divergenze sulla guerra alle divergenze sulla rivoluzione, visto che si trattava non più solo di andare contro la guerra, ma perfino contro lo stato italiano rovesciando il sistema capitalista cancellando quanto di liberale e borghese era entrato nel Psi. Resta il fatto che le condizioni per la rivoluzione non erano mature nel biennio rosso,quando le masse attendevano trepidanti le direttive del Psi e della Cgl, entrambe paralizzate dai riformisti, che avevano ridotto tutto alla sola vertenza sindacale. Così la frazione comunista nel 1921 chiede che una volta per tutte si metta fine all'ambiguità: le dirigenze massimaliste respingono il dictat bolscevico, ma confermano la strada rivoluzionaria, non risolvendo per nulla l'ambiguità. Così Bordiga, Tasca, Gramsci, Togliatti, Terracini escono dal psi e fondano il Pci, sezione italiana della Comintern. Rimane da capire la strategia di Lenin: per qualcuno vorrebbe la rivoluzione mondiale attraverso l'esportazione del partito sul modelo bolscevico mentre per qualcuno la Comintern nasce già in termini difensivi dell'Urss. Piano piano tramontano le speranze (con le sconfitte della riv. Tedesca e ungherese) di rivoluzioni in occidente. Lenin sicuramente sente il bisogno di rompere il cordone

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sanitario dando vita ad una rete di partiti fratelli inseriti entro l'occidente come ulteriore colonna di sostegno dell'Urss, aggirando l'isolamento a cui il cordone sanitario doveva destinare i bolscevichi. Turati non a caso nel 1921 denuncia la funzione strumentale di questa operazione, affermando che il partito comunista russo punta a spaccare i partiti socialisti europei per reclutare truppe fedeli a Mosca (è il nazionalismo russo, dice Turati, che si aggrappa a noi per salvare se stesso). La scissione non ha grandi effetti nei numeri, ma provoca grande smarrimento tra i militanti, mentre continuano le incursioni fasciste. I Fasci approfittano di questa confusione per esplodere nelle città: nel Febbraio del 1921 a Firenze l'attacco squadrista a un corteo operaio dà il via ad una battaglia che durerà 4 giorni. Carabinieri e guardie regie danno manforte ai fascisti con autoblindi e mitragliatrici: ci saranno 20 morti e 1500 arresti, tutti tra i socialisti e i comunisti. Poco dopo a Torino, protetti dalle forze dell'ordine, 100 fasci bruciano la Camera del Lavoro. Le reazioni del psi e del pci sono deboli per varie ragioni:-manca la consapevolezza di quanto sta avvenendo (al congresso di livorno il tema delle aggressioni fasciste è appena accennato). Ad ogni ennesimo attacco squadrista il Psi esprime stupore come fosse la prima volta-non credono proprio che possa essere il fascismo a dare il via alla rivoluzione: il Psi ha appena affermato che non ci sono le condizioni e che nel frattempo lo stato deve garantire il rispetto dei diritti e le libertà del popolo rosso contro gli squadristi, questo nonostante militanti e dirigenze socialiste e comuniste locali sappiano bene quale sia il ruolo delle forze dell'ordine.-incapacità di organizzazione: la velocità e precisione degli assalti fascisti, che anticipano le tecniche della moderna guerriglia, rendono difficile non solo organizzare reazioni , ma anche chiamare in tempo i compagni dai paesi vicini. Anzi rispondo con i classici cortei, che non fanno altro che creare ghiotte occasioni per i Fasci per sparare di nuovo nel mucchio, attaccando il corteo da tutti i lati, provocando quel caos che poi spetta alle forze dell'ordine placareL'unica scintilla di reazione sono gli Arditi del Popolo.

7.i Fascisti in Parlamentotra i vantaggi che i Fasci hanno conquistato c'è quello di avere candidati nei cosidetti “blocchi nazionali” assieme ad esponenti di prestigio del ceto politico liberale. Eì Giolitti a indire elezioni anticipate proprio mentre l'offensiva squadrista è ai massimi livelli in un clima elettorale poco adatto. Giolitti è infatti convinto che la Parlamentarizzazione dei fascisti ne avrebbe neutralizzato la carica violenta e eversiva. Giolitti sa che il gioco deve finire sia per il livello raggiunto dalle violenze, sia perchè si rischia che una rivoluzione scoppi davvero, sia perchè piano piano i poteri costituiti sono sempre più delegittimati. A Giolitti non sfugge nemmeno il cameratismo venutosi a creare tra le forze dell'ordine e gli squadristi, che essi ritengono giovani e coraggiosi patrioti. E' del 1920 la circolare agli uffici di propaganda militare dei comandi d'armata dal colonnello Caleffi che definisce i fasci di combattimento, forze vive da contrapporre agli elementi antinazionali e sovversivi. Giolitti non punta a risolvere questo problema: resta convinto che sarà la parlamentarizzazione a risolvere tutto. Quel che Giolitti spera è di ottenere alle elezioni una riscossa dei liberali e un successo dei blocchi nazionali per poter così liberarsi dell'influenza dei popolari e avere una salda maggioranza. Giolitti sbaglia tutto: Mussolini si precipita nel piatto ricco dell'offerta elettorale dei liberali, ben consapevole che questo può aprirgli nuovi spazi di manovra politica, visto che, coi rossi ormai in difficoltà e col bisogno di normalizzazione che si sta diffondendo nei borghesi, il Fascismo agrario è in forte riflusso. Mussolini sa che da una parte sta perdendo quella base che aveva come unico motivo di appartenenza ai Fasci l'antisocialismo, base reazionaria che non ha lo slancio vitale che occorre a Mussolini per la rivoluzione, dall'altra rischia di deludere quella parte di giovani, intellettuali, ex combattenti e sindacalisti rivoluzionari che da lui si aspettano la rivoluzione antisistema antisocialista, antiparlamentare, antiborghese, anticapitalistica. Mussolini nel 1921 sa bene che i Ras non si rassegneranno alla

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normalizzazione, ma sa che la partita elettorale gli consentirà di muoversi su due tavoli comunicanti, quello della legalità e quello della violenza ( i blocchi nazionali gli permettono anche di riallacciare un dialogo coi nazionalisti della destra liberale). Alla fine si varano liste col fascio littorio come simbolo. Ci saranno 40 giorni di violenza e sangue per la campagna elettorale: 100 morti che seppelliscono l'onore del paese e dei liberali al governo, che non sentono nemmeno il bisogno di dissociarsi pubblicamente. Per Giolitti è una tragedia: le liste ottengono ottimi risultati, ma vincono tutti gli avversari di Giolitti, anche tra i liberali. I liberali alla fine ottengono una maggioranza relativa, che diventa assoluta solo con l'appoggio dei 35 deputati fascisti. Aumentano i popolari, scendono i socialisti. Il nuovo governo guidato da Bonomi è una replica di quello precedente: i liberali si basano sull'appoggio dei popolari. I fasci non appoggiano il governo non avendo nessuna intenzione di farsi assorbire dai liberal-costituzionali: non hanno nessuna intenzione di parlamentarizzarsi.

8.la marcia su Romale elezioni del 21 segnano un chiaro spostamento a destra della politica italiana. Bonomi dovrebbe imporre il disarmo forzato delle squadre fasciste e uno stretto giro di vite, ma non ha la forza per imporre questo ad un parlamento con molti nazionalisti e fascisti eletti. Ne serve a nulla lasciare che siano Psi e Fasci a risolvere problemi: il patto dell'agosto del 21 tra Psi e Mussolini per cessare le ostilità finisce nel nulla. Il Psi ha chiari motivi per fare questo accordo, Mussolini invece è preoccupato per la nascita degli Arditi del popolo e per l'episodio di Sarzana dove i carabinieri si sono schierati coi rossi sparando sulle squadre fasciste. Ma i ras delle provincie si oppongono, arrivando a sfidare la leadership di Mussolini, che cede. Nel novembre del 1921 in ogni caso i Fasci di Combattimento si trasformano nel Partito nazionale fascista, con una struttura che Mussolini riesce a controllare facilmente dall'alto. Capo del Pnf diventa Michele Bianchi, ex sindacalista rivoluzionario molto amico di Mussolini. Nel 22 nasce anche la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, il sindacato fascista (sono tutte armi legali con cui Mussolini vuole contrastare il potere dei ras). Gli ex rivoluzionari che entrano nel Pnf o nel sindacato fascista hanno solo trasformato la rivoluzione di classe in rivoluzione nazionale, ma la loro identità originaria resta la stessa: parlano ancora di rivoluzione e sognano la sindacalizzazione della società, sempre in termini eversivi del vecchio ordine capitale-lavoro. Le organizzazioni fasciste hanno un boom di iscritti, molti dei quali spinti dalla paura dello squadrismo. Inizialmente comunque le organizzazioni fasciste non nascono sotto il segno della destra conservatrice, ma sembrano spalancare le porte al dialogo col popolo rosso, non quello bolscevico antinazionale, ma quello dei lavoratori Cgl e Federterra. Resta difficile da capire se Mussolini volesse davvero riallacciare un rapporto con quel mondo che lo aveva cacciato: il progetto comunque è complicato finalizzato alla conquista del potere passando per l'acquisizione di una forte base di massa, individuata in quegli strati di piccola borghesia (sono quegli strati che Psi e Cgl hanno respinto come servi del capitale, che però non sono per nulla impermeabili alla sindacalizzazione, che cercano canali di espressione e, di fronte al rifiuto rosso sono diventati antisocialisti e antiproletari). Ciò non toglie che restano, entro il fascismo, i grandi proprietari terrieri e gli industriali, di sicuro grandi sostenitori della crescita dei Fasci e del Pnf, che spostano tutto su posizioni reazionarie. Comunque per conquistare il potere occorre passare anche per il Parlamento, anche perchè c'è un certo fervore nelle file rosse: nasce l'alleanza sindacale, organizzazione di collegamento tra i vari sindacati per rispondere agli squadristi e si vocifera la nascita di una unità antifascista, mentre altri tentano di dialogare con D'Annunzio, sfruttando la sua ormai palese freddezza per Mussolini. Tra il Psi Turati è pronto a spezzare il vincolo coi massimalisti, mentre tra i liberali i democratici tentano di organizzarsi di nuovo. Alla fine del 1921 nasce il gruppo parlamentare della Democrazia, con ben 150 deputati (tra i quali orlando e Nitti) e poco dopo nasce il PLI che rende chiaro che anche i liberali finalmente capiscono il bisogno di avere un partito per governare società di massa. Mussolini ha timore di tutto questo fermento e risveglio di forze democratiche e antifasciste. Mussolini allora stringe le fila

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cercando di conquistare la fiducia della destra dei blocchi nazionali, ammiccando ai repubblicani, facendo socmparire le invettive antiborghesi dal “popolo d'Italia” e avviando rapporti col Vaticano, che ora col nuovo Papa, ha rapporti più conflittuali col Ppi. Pio Xi comincerà a vedere di buon occhio gli articoli del Popolo d'Italia che parlano del bisogno di disgelo tra l'Italia e il Vaticano: Sturzo ovviamente non può accettare tutto questo che sa che nelle alte sfere vaticane tira un'aria favorevole all'aristocrazia nera papalina dei grandi proprietari terrieri e ai clerico-moderati, da sempre avversi al troppo democratico Ppi. Ma quando cade il governo Bonomi, Sturzo fa veto alla candidatura di Giolitti, che voleva la sua rivincita su Mussolini, preparando la strada al fascismo (l'antigiolittismo di Struzo è un punto su cui la storiografia si è interrogata molto: può dipendere dalla consapevolezza che il PPI entrava negli esecutivi giolittiani solo per necessità, oppure dal fatto che il costante patteggiamento giolittiano per la candidatura di esponenti cattolici aveva ritardato di molti anni la nascita di un partito cattolico..). La soluzione trovata è un fallimento totale: sperando di ottenere l'appoggio anche della destra socialista di Turati il Ppi accetta la candidatura di Facta, un giolittiano di secondo piano, sbiadito, più conservatore di Giolitti, molto meno autorevole. Mussolini lo sostiene, sapendo di poterlo manovrare come gli pare. Nella primavera del 22 i Fasci di combattimento assaltano e occupano per giorni Bologna, Ferrara, Ravenna, Ancona ecc... i socialisti si chiudono nelle case e comincia l'esodo politico legato al fascismo: i primi militanti di secondo piano lasciano l'Italia e si perdono nel conto dei migranti che vanno a cercare lavoro all'estero. Federterra e le leghe bianche (si assalta la casa di Miglioli, deputati ppi)hanno un crollo di iscritti. Di fronte all'attacco a alleati di governo Facta non può far finta di nulla: si dimette. Turati sa che non c'è un sostituto plausibile a va al Quirinale dichiarando al re la disponibilità ad appoggiare un governo liberale che metta all'ordine del giorno il ripristino della legalità: questo provocherà solo un putiferio tra i socialisti, preannunciando l'ennesima scissione. Facta vara un secondo governo uguale all'altro mentre la violenza squadrista culmina nella colonna di fuoco, guidata da Balbo, che in una notte devasta le cooperative riformiste e repubblicane nella pianura di Romagna. Così l'Alleanza sindacale proprone uno sciopero generale “legalitario” che scatena di nuovo la violenza squadrista. Lo sciopero è un fallimento totale: i fasci riescono ad assaltare i cortei e a garantire tutti i servizi pubblici. I fasci occupano Milano, poi Genova, Livorno.... soltanto Bari e Parma respingono i fascisti, grazie alle sollevazioni dei quartieri operai. Le camicie nere sono infervorate quando piove loro addosso l'ordine di smobiltazione, dalle colonne del Popolo d'Italia, lanciato da Mussolini: Mussolini sa che prefetti e questori hanno passato i loro poteri all'esercito. Mussolini sa che ora occorre giocare la carta Parlamentare: avvia due mesi di trattative sotterranee con Giolitti cercando di convincerlo ad accogliere i fascisti nel governo (compromesso che sarebbe soddisfacente per molti industriali, per il re), e ottenere l'appoggio del Ppi e dei riformisti di Turati espulsi dal Psi. Dopo due mesi Mussolini getta la maschera legalitaria: chiede di essere nominato presidente del consiglio minacciando, in caso contrario, la mobilitazione delle squadre fasciste. Il piano della marcia su Roma scatta immediatamente: Bianchi mobilita tutti e Bianchi, Balbo, De Bono, De vecchi, i quadriumviri del Pnf, si mettono in testa alle colonne fasciste marciando su Roma,mentre in tutte le altre città le squadre fasciste sono sul piede di guerra. Ma la mobilitazione, dal punto militare, è risibile: sono solo 15mila le camicie nere che marciano su Roma, che hanno ad aspettarli 12mila soldati armati di carriarmati e mitraglie. Il governo propone lo stato d'assedio al re, per autorizzare la difesa di Roma, ma il Re non lo firma. Anzi Vittorio Emanuele III sceglie la strada del compromesso, nominando Mussolini primo ministro. Il re è spinto ancora dall'illusione della parlamentarizzazione dei fascisti, così come dalla paura di scontri tra esercito e fascisti, che potrebbero provocare tensioni sia entro gli alti gradi delle forze armate, sia dentro la Casa reale per non parlare del rischio della controffensiva della sinistra rivoluzionaria. Mussolini, chiuso entro l'Hotel Savoia, prepara la lista dei ministri cercando di mettere a tacere ogni scrupolo costituzionale della classe politica governativa: nell'esecutivo presentato al re Mussolini si riserva l'interim all'Interno e agli Esteri; entrano solo due fascisti- Diaz e Thaon de Revel, due popolari e sei liberali di tendenze varie.

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Una larga coalizione quindi, la prova effettiva della parlamentarizzazione dei fascisti. Ma le parole di Mussolini del 16 novembre sono una doccia gelata: “mi sono rifiutato di stravincere, potevo stravincere...potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, potevo sprangare il Parlamento e costruire un governo esclusivamente di fascisti... potevo, ma almeno in questo primo tempo non ho voluto...”

PARTE SECONDA: L'ITALIA FASCISTA4. LA NASCITA DELLA DITTATURA (1922-1929)

1-mondo economico e fascismoancora prima di presentarsi in Parlamento Mussolini abolisce la legge sulla nominatività dei titoli, tanto odiata dagli industriali, qualche giorno dopo ottiene pieni poteri economici e amministrativi dalla Camera. Ora che ha il controllo dell'economia Mussolini deve ripagare il debito con gli industriali (è del 25 l'accordo Confindustria e sindacati fascisti): si elimina il disavanzo statale, si abrogano le norme sull'avocazione dei profitti in tempo di guerra, si accantonano le risultanze più gravi della commissione parlamentare d'inchiesta sulle spese di guerra, si salva l'Ansaldo e il Banco di Roma. Un bel pacchetto di scambio per i fratelli Perrone, per il Vaticano ma anche ai tanti evasori che si sono arricchiti durante la guerra. De Stefani, ministro sia delle Finanze che dell'Economia, liberista spinto, lascia totale libertà di azione e ampi margini di profitto all'iniziativa privata, riducendo la spesa pubblica e falcidiando i dipendenti pubblici, sopratutto i ferro-tramvieri: la selezione che doveva basarsi su anzianità e improduttività diviene una vera e propria epurazione politica contro le categorie più agguerrite. Lo Stato rinuncia anche al monopolio sul telefono e sulle assicurazioni sulla vita. E c'è una concessione non diretta, ma ormai chiara: i sindacati rossi piegati sotto le bastonate e le pistole dei Fasci di combattimento hanno perso quasi del tutto il potere contrattuale: sono quasi scomparsi scioperi e cortei. Mussolini sta bene attento a che i sindacati fascisti non raccolgano la bandiera del conflitto che i rossi non agitano più, ponendo i sindacati fascisti sotto il diretto controllo dei Prefetti e piegati ai piani aziendali. In cambio Confindustria accetta come interlocutori di preferenza i sindacati fascisti, anche se per ora gli altri restano vivi. L'accordo tra confindustria, sindacati e mussolini di armonizzare la loro azione a quella di governo e armonizzare il rapporto capitale-lavoro è uno schiaffo alla Cgl. Mussolini in un primo momento voleva inglobare la Cgl, che rappresentava la maggioranza die lavoratori,e la cosa non era fuori dal mondo visto che le dirigenze riformiste non erano per nulla indifferenti alle avances di Mussolini. Addirittura spunta la proposta di unificazione sindacale, usando come collante tra Cgl e sindacati fascisti quei molti sindacalisti rivoluzionari che sono transitati dalle organizzazioni rosse a quelle dei Fasci, tra cui personaggi autorevoli come Giuseppe di Vittorio. Ma ci sono vari ostacoli: l'odio che il periodo dello squadrismo ha costruito e il fatto che i sindacalisti fascisti sanno che trovarsi di fronte la Cgl, comporta finire in minoranza. Mussolini, dal canto suo, dovendo continuare a illudere tutti della costituzionalizzazione del Fascismo invita al dialogo i sindacati. Mussolini è comunque sotto l'attenzione di tutti gli stati, sapendo bene che c'è in tavolo la questione dei debiti di guerra: per questo De Stefani cancella il deficit, comprime i consumi, fa riduzioni fiscali che stimolano l'investimento e le esportazioni. Se a questo aggiungiamo che Mussolini con Usa e G.B si incontra per stabilire un calendario dei rimborsi dei debiti si capisce come Mussolini salga in fretta nell'apprezzamento di molti stati, anche e sopratutto grazie alla sua rivoluzione antibolscevica.

2.lo squadrismo non disarmanel Dicembre del 1922, dopo due mesi di governo fascista, proseguono le violenze. Si assaltano la Camera del Lavoro e la sede dell'Ordine nuovo e molti circoli operai torinesi con vari morti socialisti e comunisti. Da

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lì ci sono stati vari episodi in tutta Italia. Il Gran Consiglio del Fascismo (appena nato: vi siedono i dirigenti del Pnf, il direttore generale della PS, i segretari delle corporazioni fasciste,il capo di stato maggiore della Milizia, l'addetto stampa della presidenza del Consiglio, i commissari politici del fascismo)nel Gennaio del 23 dichiara sciolte le squadre d'azione. Si decide anche la costituzione della MVSN cioè la Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale in cui dovrebbero confluire gli ex squadristi, inquietante dal punto di vista costituzionale visto che è sotto il diretto controllo di Mussolini e non deve prestare fiducia al Re. Sono tutti tentativi di normalizzazione apparente, contraddetti dai fatti: poco dopo la creazione della MVSN si scatena di nuovo la violenza squadrista a La Spezia, di nuovo appoggiata dalla forza pubblica (dietro ci sono i ras Farinacci, Balbo, Forni ecc..) che non hanno nessuna voglia di perdere il potere ottenuto. E questo di mostra che Mussolini tenta, ma non riesce, di imbrigliare i ras con la MSVN. Sa che per consolidare il suo potere, il duce deve entrare in Parlamento e sbarazzarsi delle squadracce, ma sa anche di non avere la forza per imporre il suo volere a tutto il fascismo: così pur di non avviare uno scontro interno si limita a porre dei paletti. Alla fine i ras sono un problema per il Duce, ma portano anche cose positive: socialisti e comunisti non riescono a rialzare la testa. Qui interviene anche la polizia: il Pci viene decimato con l'arresto di Bordiga e di tutta la dirigenza nel Febbraio del 23. Poco dopo tocca a Giacinto Menotti Serratti, passato al comunismo. Il processo si concluderà con una assoluzione generale, ma molti comunisti cominceranno l'esilio. Gli unici portetti restano i deputati del pci, protetti dall'immunità parlamentare, ma non li garantisce dagli assalti delle squadre nere. Ma la violenza dei Ras si scatena anche contro i popolari, nonostante vi siano due popolari nel governo: il punto è che i popolari ormai sono stati scavalcati dal dialogo diretto che Mussolini ha cominciato col Papa, mentre Don Sturzo si oppone sempre di più all'alleanza col Pnf. IL partito si spacca tra la destra clericale e la sinistra democratica. Mussolini comincia, per arrivare dritto al cuore del popolo cattolico, a parlare del sentimento per Dio e per la Patria che hanno tutti gli italiani ( e partono i crociffissi obbligatori nelle scuole e nei tribunali e il pareggio delle tasse per le scuole pubbliche e private). Ad Aprile arriva la riforma Gentile che introduce l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e introduce l'esame di stato per le private: una parificazione delle scuole private. De Stefani salva il Banco di Roma, cassaforte della finanza vaticana, mentre Mussolini di dichiara profondamente religioso. La Santa Sede emana una circolare che invita i cattolici a non assecondare partiti: è la morte del Ppi. Sotto le pressioni di Vaticano e destra popolare Sturzo si dimette da segretario del Ppi. Sarà proprio il gruppo parlamentare Ppi, allo sbando, a diventare cruciale per l'approvazione della legge Acerbo: alcuni popolari escono dall'aula, altri si astengono, alcuni votano si. La violenza squadrista, dopo il voto, si abbatte di nuovo contro i bianchi. Il Papa non muove un dito: pensa che Mussolini sia un defensor fidei più efficace, ma anche meno democratico e meno moderno dei cristiano sociali. Piano piano si stringe il cappio anche introno al collo dei liberali: Gobetti finisce in prigione, la casa di Nitti è devastata da una squadra fascista senza che la PS muova un dito, Amendola è pestato da una squadraccia nera. La rappresaglia parte perchè i 3 si oppongono alla legge Acerbo (collegio unico nazionale,premio di maggioranza di 2/3 dei seggi del parlamento a chi ottiene la maggioranza dei voti, quorum minimo 25%).

3.legge Acerbo ed elezioni del 1924il perchè della Legge Acerbo è facile: il gruppo parlamentare fascista è numericamente molto inferiore, e più debole di quello del PPI e dei Liberali. Essi possono abbatterlo quando vogliono e Mussolini vuole privarli di questo potere prima di andare alla verifica elettorale: sa infatti che il proporzionale offre buoni vantaggi ai partiti di massa come il Ppi e il Psi, troppo fastidiosi per lui. Sa cioè che mantenendo la vecchia legge elettorale, Ppi, Pci e Psi saranno troppo fastidiosi per lui, anche se è certa la vittoria fascista. Vinta la resistenza parlamentare del Psi e pci e del ppi grazie al Vaticano, la strada per la legge Acerbo è spianata, coi liberali che votano in direzioni diverse senza una linea comune. Infatti gradiscono il ritorno all'uninominale Giolitti e Salandra e persino Amendola (anche se poi si schiera contro la legge Acerbo). Nel

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23 i liberali dimostrano di non avere nessuna lungimiranza: entrano di nuovo nei blocchi nazionali, pensandoli replica di quelli del 21, ignorando l'enorme premio di maggioranza. Così Orlando, Salandra e altri si candidano nei blocchi, mentre la destra liberale si fonde col fascismo. Salandra arriva ad affermare che Mussolini è l'erede autentico della tradizione risorgimentale. Al contrario Amendola vede il fascismo come un cancro e pensa di poterlo sconfiggere partendo dal Sud, dove crede sia ancora possibile una reazione, rinnovando in toto le elitè liberali e ricordando agli italiani che tra i motivi dell'entrata in guerra c'era la bandiera della libertà sventolata contro le autoritarie Germania e Austria. Così, spinto da queste idee, Amendola propone la fondazione dell'Unione nazionale, un movimento politico democratico, che sorge nel 24, per rompere silenzio e passività della vecchia classe dirigente che lascia senza guida la stragrande maggioranza degli italiani, rimasti estranei alla guerra civile, ma non impassibili di fronte alle violenze. Amendola sogna che i voti di questi elettori votino quei pochi parlamentari fedeli allo statuto per riportare il paese entro i binari costituzionali. Il Sud è la base migliore perchè lì nel Psi, ne Ppi. Ne Pnf si sono ancora radicati. Quel che Amendola sbaglia è che al sud il Pnf non penetra non perchè abbia particolari vocazioni democratiche ma perchè ha una popolazione ignorante e arretrata fosse anche solo per iscriversi ad un partito: non sono politicizzati. Al sud i notabili non si sono consegnati al fascismo perchè lo vedevano troppo moderno e rivoluzionario. Ma dopo la presa del potere di Mussolini, magicamente, tutti i notabili del Sud si scoprono fascisti: il loro trasformismo filogovernativo è confermato. Nasceranno si alcuni nuclei dell'Unione, ma saranno piccoli e deboli. E anche nel resto d'Italia sono pochi gli italiani dei ceti medi che rispondono al richiamo di Amendola. Gli altri vanno verso il fascismo, molto più attrattivo. La piccola e media borghesia sogna di andare al potere grazie al fascismo che si pone come soggetto capaca di rivoluzionare il paese, ma non si rendono conto che il fascismo sta prendendo il potere col Vaticano, i banchieri, i grandi imprenditori. E' evidente l'equivoco di fondo creato dal linguaggio e dalla propaganda fascista. Amendola, che si oppone al fascismo, è visto come un conservatore, un amico dei liberali e della vecchia oligarchia liberale sbagliando anche il tono: fanno appello alla legalità, alla tradizione, si doveri, allla tolleranza reciproca, all'ordine. Tutti i valori insomma che i fascisti e Mussolini calpestano fin dal primo giorno della campagna elettorale, mentre l'altra faccia,quella legale, la garantiscono i candidati liberali Salandra e Orlando. Gli squadristi si mettono presto all'opera: viene ucciso un deputato Psi Antonio Piccinini. Dilagano al centro e al sud. I blocchi nazionali ottengo il 64% dei voti, che fruttano con il premio 375 deputati: 275 di questi sono iscritti al pnf, hanno meno di 40 anni e provengono per la maggior parte dalle file della piccola e media borghesia. Tranne Pci e Repubblicani gli altri partiti dimezzano i consensi (in alcune regioni le liste antifasciste però prendono più voti di quelle fasciste Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto). E' la parte meno politicizzata e più arretrata che fa vincere Mussolini. Tra le file dei socialisti un Matteotti appena eletto denuncia la violenza e i brogli del fascismo (mentre Amendola si dissocia alla sua protesta). Matteotti viene ucciso il 10 giugno 1924 rapito e accoltellato da una squadra fascista.

4.il delitto Matteotti e l'Aventinola notizia arriva in Parlamento due giorni dopo: i socialisti accusano subito i fascisti, ma sono della stessa idea sia tutti gli altri antifascisti, sia i fascisti stessi. Mussolini viene indicato come mandante. Mussolini pochi giorni dopo garantisce il massimo impegno del governo nelle indagini e assicura la punizione dei colpevoli. Poi, incassato il voto di fiducia all'esercizio provvisorio del bilancio fa sospendere i lavori della Camera dal presidente Alfredo Rocco. Ma l'opposizione ora è sul piede di guerra. Tutti i gruppi parlamentari di opposizione, escluso quello liberale, compreso quello comunista si organizzano in un comitato per decidere quali azioni intraprendere per ripristinare la legalità. I comunisti propongono lo sciopero generale, rigettato sia dalla Cgl che dagli antifascisti moderati. Amendola e Bonomi propongono di sperare nell'intervento del Re, affinchè cacci Mussolini dal governo. Per sei mesi la via reale e quella della piazza si confrontano: non troveranno accordo, ma avranno sicuramente il merito di scuotere finalmente l'opinione

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pubblica italiana . Il Corriere della sera cambia completamente linea editoriale e Gentile, De Stefani e altri ministri danno le dimissioni. Questo va di pari passo con lo svolgimento delle indagini, in cui spuntano sempre più dirigenti fascisti coinvolti nel delitto, mentre le notizie rimbalzano in prima pagina e fanno perdere al fascismo consensi. Alla fine i colpevoli saranno individuati in 4 arditi milanesi e uno toscano, stipendiato dall'ufficio stampa di Mussolini. Cadono altre teste: questore e capo della polizia romana, il capo dell'Ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, Mussolini stesso lascia l'interim agli Interni. Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Pnf, viene arrestato. Il Prefetto di Milano scioglie gli arditi milanesi e traballa anche la poltrona del comandante generale delle MVSN. Mussolini in aula ribadisce ancora la volontà del fascismo di costituzionalizzarsi, ma annuncia anche che la maggioranza è stanca di prendere ultimatum dalla minoranza. Mussolini ottiene comunque la fiducia, grazie alla legge Acerbo che gli ha garantito una maggioranza così ampia da reggere un colpo duro come il delitto Matteotti. Il 27 Giuugno i gruppi delle opposizioni, riuniti a Montecitorio, dopo aver commemorato Matteotti, approvano una mozione che li impegna a non partecipare più all'attività del Parlamento finchè non verrà costituito un governo nuovo, sciolta ogni milizia di parte, ripristinata la piena legalità nel paese. Si ritirano quindi nell”Aventino delle loro coscienze”, richiamando la storica secessione della plebe romana. Mussolini, semplicemente, li ignora: il silenzio è la migliore arma, visto che qualsiasi strada si decida di percorrere crea comunque un polverone di polemiche a esclusivo vantaggio delle opposizioni. Sfruttando le misure restirittive della libertà di stampa, già votate entro la Legge Acerbo, Mussolini mette a tacere tutti i giornali che danno risonanza alla secessione aventiniana censurando tra gli altri l'”Unità” del Pci, l'Avanti del Psi, la Giustizia del Psu. I prefetti hanno la facoltà di censurare o sopprimere le pubblicazioni che parlano dell'assassinio di Matteotti o che incitano al sovvertimento dell'ordine. Piano piano l'attenzione per la questione va scemando e gli aventiniani non se ne rendono conto, pensando invece che il ritrovamento del cadavere comporti una nuova ondata di indignazione. La linea resta la stessa, quella scelta da Amendola: opposizione nelle istituzioni senza il ricorso alla piazza sperando di riuscire a convincere i liberali a far cadere il governo Mussolini (si punta sugli 80 deputati della maggioranza non tesserati PNF, tra cui Salandra e Orlando assieme ad altri non eletti nelle liste del Pnf ma che appoggiano il governo e il manipolo di deputati liberali guidati da Giolitti). Il loro passaggio in toto non porterebbe alla caduta del fascismo, ma renderebbe difficile la vita a Mussolini e potrebbe indurre il re a muoversi. Tra gli aventininiani Pci, socialisti e giovani democratici vogliono passare all'azione e ritengono il piano troppo macchinoso e lungo, troppo vincolato alle decisioni di quella vecchia classe dirigente che si è dimostrata filofascista o comunque pavida e incapace (si può affidare il destino dell'Italia e degli antifascisti nelle mani di un salandra, un Orlando, un Giolitti, oggi alleati fascisti??) : occorre scendere in piazza, mobilitando le masse indignate contro il Pnf. Il “partito della piazza” è largamente minoritario quando le camere riprendono i lavori dopo la pausa estiva. Nell'Aula si presentano solo i comunisti, che hanno deciso di abbandonare l'Aventino, tutti gli altri continuano lo sciopero parlamentare. Giolitti si schiera contro il governo mentre Ettore Conti esprime il disagio della Confindustria, seguito dal discorso che esprime il disagio delle forze armate. Salandra si dimette dalla presidenza della Commissione Bilancio della Camera. Dal giornale di Amendola, “il Mondo” viene pubblicato un memoriale di cesare Rossi, ex capo dell'ufficio stampa della presidenza del consiglio, ora latitante, che in pratica lascia emergere la diretta responsabilità di Mussolini nell'omicidio. Mussolini il 3 Gennaio del 1925 si presenta alla Camera e proclama che:“al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale e storica di quanto è avvenuto […] Se il fascismo è una associazione a delinquere io sono il capo di questa associazione”. E' una ammissione di colpa. A Marzo del 26 si conclude il processo: sono condannati a 6 anni di carcere (4 condoni per amnistia) i responsabili materiali dell'omicidio, ritenuto non premeditato. Comunque è confermata sia la responsabilità fascista, sia è reso chiaro agli occhi di tutti quali sono le pratiche di cui si avvale il Pnf: anche

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per questo Mussolini si assume la responsabilità di tutto, visto che le accuse non sono nulla di nuovo e gia lo si sapeva dai tempi dello squadrismo. Mussolini promette la “calma labiorosa” di cui necessità l'Italia, affermando che la costruirà con l'amore, ma anche col la forza se necessario. Alcuni liberali si dimettono, gli aventiniani dichiarano pubblicamente il loro sdegno (a beh!!) ma lo stato liberale è ormai smantellato. La svolta è una direttiva al prefetti, in cui sono invitati a impedire ogni manifestazione e a esercitare un controllo rigoroso su circoli, ritrovi, gruppi sospetti da un punto di vista politico, di sciogliere le formazioni sovversive. Dopo poco spariscono centinaia di circoli, associazioni, realtà. Si promulgano a raffica decreti limitativi della libertà di associazione. Mussolini ristruttura il Pnf, nel caos per via delle defezioni e tradimenti: Farinacci ne diviene il nuovo segretario, mentre i vertici dell'associazione nazionale combattenti sono epurati perchè troppo desiderosi di autonomia dal Pnf. Infine si epura l'esercito: si dimette il Ministro della Guerra, Mussolini ne assume l'interim poi prende anche quello della Marina, quando Paolo Thaon de Revel si dimette. Nel Giugno del 1925 sono costretti alle dimissioni tutti i funzionari pubblici che non si siano dichiarati fedeli al fascismo. Mussolini se ne frega dei proclami e dell'indignazione conseguente, tanto ormai solo il Re può intervenire e ne avrebbe il potere, ma quando una rappresentanza degli aventiniani riesce a incontrarlo, lui non dà risposte (questo peserà nel referendum del 1946, assieme al rifiuto della firma dello stato d'assedio). Il re teme di scatenare la violenza fascista obbligando Mussolini alle dimissioni. E c'è da credere che al caos dei fascisti si possa aggiungere quello dei comunisti, ora in grado di far partire una controffensiva. E non si fida dei liberali e di Amendola manifestamente incapaci di gestire la situazione: i governi liberali post I G.M mondiale hanno dimostrato l'incapacità dei liberali e per poco è stato il Fascismo a evitare la rivoluzione bolscevica. Per il Re è valso mettere in piedi il governo fascista perchè è l'unico in grado di mantenere l'ordine. Sulla testa del Re pende anche la spada di Damocle che gli tengono sulla testa i Soloni, i 18 membri della commissione che dovrebbe studiare la riforma costituzionale che potrebbe investire anche la corona (aumentare i poteri dell'esecutivo, dare una struttura corporativa alla rappresentanza sindacale,riconoscimento giuridico dei sindacati ecc..)Amendola morirà nel Luglio del 25, non riuscendo a riprendersi dalle ferite provocategli da una aggressione squadrista mentre gli antifascisti restano divisi tra il partito di piazza e il partito delle istituzioni.

5.la sconfitta degli antifascistil'ala giovanile dei partiti aventiniani, compreso lo stesso figlio di Amendola, cominciano a entrare in forte disaccordo coi padri del partito delle istituzioni, smaniando per intervenire e provare il loro coraggio e la loro determinazione. Ma dal 1925 anche tra “gli adulti” comincia a sepreggiare il malcontento per aver preso una strada che non dà risultati, mentre gli antifascisti sono bastonati o uccisi, senza reazione, mentre il clima si fa sempre più irrespirabile. Intorno al “perchè siamo stati sconfitti” si apre un lungo dibattito di autocritica e critica e qui contano molto i giovani, che non si ripiegano sul ciò che è stato, ma guardando dritto dritto al futuro. Resistenza comincia a diventare la parola chiave. Si apre una stagione di attentati e complotti contro Mussolini: nel 26 Mussolini viene ferito di striscio da un colpo di pistola sparato da un Irlandese Violet Gibson. Due anarchici, Gino Lucetti e Anteo Zanaboni lanciano bombe, in due episodi, contro l'auto di Mussolini. Il Duce ne esce illeso in entrambi i casi: Zanaboni verrà linciato dalla folla. Sono colpi di disperazione che offrono però al governo il pretesto per finire di soffocare le opposizioni: ma non con le squadracce nere, è finita l'epoca d'oro dei ras, che Mussolini vuole soffocare. Ora entra in funzione l'apparato repressivo ufficiale dello Stato. Tra il 25 e il 26 vanno in esilio:-Nitti in Francia, dopo l'assalto alla sua casa-Sturzo a Londra, invitato ad andarsene dal card. Gasparri-Salvemini finito in carcere dopo che la sua rivista “non mollare” è stata chiusa d'autorità-Gobetti e Amendola muoiono ammazzati di botte dai fascistiDopo il 26, con la pubblicazione delle leggi per la difesa dello stato fuggono anche Nenni, Treves, Saragat

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mentre per far fuggire il vecchio Turati (una revisione governativa ha imposto la revisione di tutti i passaporti) si mobiliteranno un gruppo di giovani (Rosselli, parri, Pertini) che rischieranno il carcere per la loro generosità. Turati resiste a lungo alla tentazione di andarsene (è vecchio e ormai solo. Anna Kuliscioff è morta per cause naturali poco prima), ma poi si convince a partire. Sono dichiarate illegali tutte le associazioni di opposizione al fascismo, con pene durissime per chi prova a ricostruirle, si istituisce il confino, si ristabilisce la pena di morte per chi attenta alla vita del Re, della regina, del principe ereditario, del pres. Del consiglio e per i reati contro lo Stato. Il primo Gennaio 1927 entra in funzione il tribunale speciale per la difesa dello Stato presiduto da un generale di una delle 3 armi o della milizia, composto da giudici della milizia o militari: giudicava i reati di spionaggio, incitamento alla guerra civile, ricostruzione e propaganda dei partiti sciolti, applicando le norme giuridiche militari e senza diritto di appello. Agisce da corte politica. Nasce anche l'Ovra, nata appositamente per combattere gli antifascisti (l'acronimo, forse, ma non è certo, significa Organizzazione per la vigilianza e la repressione antifascista) che agiva come una polizia politica: spiava i cittadini di nascosto, con lo scopo di incutere terrore e senza di controllo permanente. Oramai è ufficialmente stato di polizia. Cade vittima della situazione Gramsci,che finisce, nonostante goda ancora dell'immunità parlamentare, a Regina Coeli seguito, qualche giorno dopo, dall'intero gruppo parlamentare del Pci: il processo, che si celebra nel 29, porta a condanne pesantissime intorno ai 20 anni sia per Gramsci che per Terracini. Si salvano solo quei pochi deputati popolari e demo-sociali che, fatto atto di contrizione, tornano in Parlamento abbandonando l'Aventino, sottomettendosi alla volontà di Mussolini di affermare che non esisteva nessuna “questione morale” del delitto Matteotti. De Gasperi è condannato a 4 anni di carcere, ma viene liberato grazie all'intervento del Papa. In galera finisce anche il Gran maestro dei Massoni, arrestato per gli attentati dei Massoni contro Mussolini. Ora resta da impedire che la voce degli antifascisti all'estero arrivi in Italia: la censura si scatena contro i giornali più piccoli, ma diventa difficile toccare giornali grandi e indipendenti come “La Stampa”, il “Corriere della sera”, “il Mattino” e altri che ancora non si decidono ad allinearsi col fascismo.

6.il regime fascista si consolidagli industriali italiani sono restii ad allinearsi col fascismo, come traspare proprio dalla stampa, ad esempio, di proprietà degli Agnelli. Mussolini è certo allarmato dal memorandum che gli viene presentato da Confindustria,che chiede la normalizzazione della vita politica italiana e ribadire l'assoluta liberta di organizzazione sindacale. Ma gli industriali devono tenersi buono Mussolini, unico che può convincere De Stefani a politiche a loro favorevoli: i toni si fanno molto più concilianti quando Mussolini sostituisce De Stefani e Nava con Volpi di Misurata e Belluzzo, graditi agli ambienti industriali. Col dazio sul grano comincia la “battaglia del grano”, uno dei pilastri della politica agricola fascista, che lega al governo i grandi proprietari terrieri. Gioca a favore del fascismo anche il ritorno di manifestazioni nelle fabbriche del 25 che obbliga gli Agnelli a concedere aumenti di salari ai lavoratori, mobilitati dalla Fiom affiancata dai sindacati fascisti. La paura che ricominci tutto fa cadere gli ultimi tentennamenti nei confronti di Mussolini degli industriali: si preferisce una dittatura che obbliga all'ordine di una democrazia che ha dato troppo potere e capacità di ascesa alle masse, mettendo a rischio il capitalismo italiano. Così nel 25 Confindustria e sindacati fascisti firma il Patto di palazzo Vidoni: le due organizzazioni si riconoscono come unici interlocutori per le questioni di capitale-lavoro. L'anno dopo il governo recepisce l'accordo, vieta il diritto di manifestazione e sciopero. Confindustria accetta anche di definirsi “fascista” ottenendo una poltrona entro il Gran Consiglio del Fascismo. Poco dopo il presidente e il segretario della Confindustria si iscrivono al Pnf. Ormai ai sindacati pre-fascisti non resta alcuno spazio legale. E' del 27 il manifesto che annuncia la morte (già avvenuta, è una presa d'atto) della confederazione della Cgl. Ora che gli industriali hanno ceduto, la strada di Mussolini è spianata: si dimettono i direttori di Corriere, Mattino. Nel 26, tramite acquisizioni di azioni e passaggi di proprietà, la stampa è definitivamente riorganizzata e piegata al regime. L'Agenzia

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Stefani, che dal dopoguerra, grazie ad un accordo col governo, distribuiva le notizie ufficiali alla stampa, viene potenziata e trasformata una infallibile macchina di controllo e diffusione della propaganda fascista che rimbalza su tutti i quotidiani nazionali. Le firme più autorevoli abbandonano i quotidiani, facendo infuriare Mussolini che vorrebbe a tutti i costi ottenere l'omaggio della cultura per soddisfare la sua ambizione personale e stroncare la “pretesa incompatibilità tra intelligenza e fascismo”. La cosa dimostra che gli italiani, i fascisti stessi, ritengono se stessi energumeni buoni a usare le mani e mostrare i muscoli per portare ordine, ma di sicuro non sono intellettuali. E' un marchio che Mussolini si porterà per 20 anni nonostante tutti gli sforzi per conquistare il mondo della cultura. Per la borghesia è funzionale: l'ignoranza fascista diventa alibi per il disprezzo classista della borghesia contro i ceti medio-piccoli smaniosi di ascendere. E' per questo che Gentile, nel 25, pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti per testimoniare la fede nel fascismo: pochi giorni dopo però il Mondo pubblica un contro-manifesto firmato da note personalità antifasciste della cultura liberale e redatto da Croce, sicuramente ben più autorevoli dei firmatari del primo manifesto. Ma è l'ultimo sussulto del mondo della cultura: quando Gentile apre l'Istituto Giovanni Treccani per la cura e la pubblicazione dell' Enciclopedia italiana, sono ben pochi gli intellettuali che rifiutano il suo invito. Tutto, persino questo, viene messo in chiave patriottica: raccogliere la cultura italiana per fondare la coscienza della nuova Italia, una sfida irresistibile per molti, visto anche che le voci su cui si farà sentire forte controllo e censura sono poche (fascismo fa eccezione). Mussolini non vuole infatti un'arte di Stato, ma l'appoggio del mondo della cultura, organizzato in organizzazioni a associazioni capillarmente infilitrare con intellettuali fascisti e creando reti di di centri culturali fascisti.

7.fascismo, cultura, societàTeniamo subito conto che è stata la guerra il motore del cambiamento che ha portato alla nascita di movimenti culturali di massa, ampliando la partecipazione culturale dei cittadini. Aumentano di importanza gli scrittori che, dalle pagine culturali dei giornali, orientano le scelte dei lettori. Nel 24 la prima alla Scala di Milano del Nerone di Arrigo Boito sotto la direzione di Toscanini significava una vittoria del “partito dei giovani autori” che era valsa a Mussolini la fama di “protettore delle arti”. Fu un punto in più per Mussolini anche l'adesione al Fascismo di Pirandello, molto amato dal pubblico. Non c'è da stupirsi: molti scrittori e artisti erano futuristi e interventisti. Anche tra gli artisti si sente il “bisogno di ordine” che tanto ha fatto guadagnare al Fascismo: De chirico e Carra reagiscono agli isterismi e alle cialtronerie dei futuristi con una forte richiesta di ritorno al mestiere, un oculato professionismo. Così anche Pirandello e Moravia, che esprimono tensioni emotive nella compostezza dello schema della tragedia classica. La loro diventa una collaborazione passiva al fascismo, ma comunque utile. Mussolini teme invece quegli intellettuali fascisti, ma attratti più dagli aspetti eversivi e “rivoluzionari” del fascismo (quel Malaparte che proclama di amare Mussolini per avere avviato la tirannia degli eroi e l'era dello squadrismo contro il rammollimento italiano insegnato nelle scuole da “Cuore” appare decisamente scomodo a Mussolini che deve mediare con gli industriali e la Chiesa per consolidare la dittatura). Così come sono scomodi i disegni di Maccari che crea militari vanitosi, capitalisti panciuti e flaccidi, dissacra i costumi borghesi visti come i mostri che il fascismo deve abbattere. Non è la strada che Mussolini vuole percorrere dopo aver con tanta fatica ridotto al silenzio i ras. Quanto al resto degli italiani, fanno letture innocue per il fascismo: la narrativa eroico-avventurosa di D'Annunzio e i suoi emuli per esempio. Ritornata poi la calma nelle piazze, gli italiani si disinteressano anche di cosa accade nel palazzo: la tragedia degli antifascisti non interessa più. Gli italiani si commuovono però per la Turandot, lasciata incompleta dalla morte di Puccini e messa in scena alla Scala da Toscanini. Si occupano del Torino che vince lo scudetto e seguono quasi con morbosità la storia dello smemorato di Collegno. (nasce l'Istituto Luce L'Unione per la cinematografia educativa nel 24, per fare anche del cinema una fonte di propaganda fascista e arginare l'arrivo dei film americani). La radio è resa da Galeazzo Ciano monopolio pubblico (è la forma di comunicazione preferita da Mussolini) creando l'Eiar (ente italiano

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audizioni radiofoniche). E per far entrare la radio nella vita degli italiani si dotano tutte le sedi delle organizzazioni fasciste di apparecchi per l'ascolto collettivo, facendo di questi luoghi il punto di ritrovo della Ond (opera nazionale dopolavoro). Nel 26 si crea l'Opera nazionale Balilla che comprende i ragazzi dagli 8 ai 12 anni e gli avanguardisti dai 12 ai 18: l'iscrizione non è obligatoria, ma nessuno vi si sottrae, mentre il Ministero dell'Istruzione dichiara che la scuola ha il compito di educare a comprendere il fascismo e a vivere il clima storico creato dalla rivoluzione fascista. Nel 28 si adotta un testo unico per le elementari, nel 29 si obbligano i maestri a giurare fedeltà al fascismo. Si sa che i giovani che non sono stati balilla non avranno mai la tessera Pnf, quindi non troveranno lavoro o finiranno sospettati di antifascismo e processati. Del 25 è l'ONMI (opera nazionale per la maternità e l'infanzia) ente assistenziale di aiuto alle madri in difficoltà e ai bambini abbandonati assieme all'obbligo della creazione in ogni comune di un consultorio ostetrico e di uno pediatrico (la mortalità infantile registra tassi paurosi). Nel 27 si riordina la previdenza sociale creando il Patronato nazionale per l'assistenza sociale e nel 29 si introduce l'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali. Sono iniziative volte a sanare i ritardi in ambito assistenziale e previdenziale accumulati dalle vecchie dirigenze liberali e ovviamente combustibile per la “macchina del consenso”.

8. La conciliazione tra stato fascista e chiesa cattolicaMussolini godeva già dell'appoggio della Chiesa (pressioni sul Ppi, appoggio per l'ascesa al potere) e non mutò la linea delle gerarchie quando fu eletto segretario del Ppi De Gasperi, aventiniano. Anzi durante il culmine della crisi Matteotti papa Pio XI durante un discorso agli universitari aveva ribadito l'incompatibilità di collaborazione tra cattolici e socialisti sconfessando pubblicamente il Ppi che collaborava col Psi e il Psu e gli altri partiti aventiniani. Fu il segretario di Stato Vaticano stesso, cardinal Gasparri, a indurre Sturzo all'esilio su sollecitazione personale di Mussolini. Nel 25 il congresso del Ppi fa atto del caos in cui è caduto il partito, con le sedi e i sindacati periferici spazzati via dallo squadrismo e con la stampa cattolica vittima delle censure fasciste. Nel 26 i deputati Ppi, ormai con un cappio al collo, decidono di tornare in Parlamento, dove sono accolti da Mussolini con la richiesta di sottomissione. De Gasperi non ci sta e finisce in carcere. Diviene sempre più impossibile essere cattolico e antifascista: per il Papa Mussolini è l'uomo che può costruire una Italia fondata sui valori cattolici. Nel 1926 iniziano i colloquio preliminari tra il segretario di Stato Domenico Barone e l'avvocato Francesco Pacelli, fratello del futuro Pio XII. Nel 27 interviene lo stesso Mussolini per chiudere la bocca ai fascisti anticlericali, mettendo sul piatto una lunga serie di privilegi per la Chiesa al fine di affrettare l'operazione (eccetto le leggi del 26 che travolgono l'associazionismo cattolico, ma il Papa non se ne interessa) perchè non toccano quelle strutture ecclesiastiche come la Gioventù Cattolica e gli Uomini Cattolici dove stanno confluendo gli esuli Ppi. Nel 27 non a caso Mussolini scioglie tutto l'associazionismo non fascista, eccetto quello cattolico imponendo ad alcune di queste però di mettere il fascio littorio nel simbolo. Questa volta la Chiesa si degna di scrivere una nota di protesta, conscia che Mussolini vuole il controllo totale sulla gioventù italiana. Nell'Ottobre del 28 il re delega Mussolini in persona a stipulare l'accordo finale con la controparte Cardinal Gasparri. L'11 Febbraio del 1929 sono firmati i “Patti Lateranensi” e il Concordato che mettono fine alla questione romana, ratificati in Parlamento con pochi contrari tra cui Croce, pesantemente insultato da Mussolini. Roma è definitivamente Italia, i cattolici sono cittadini italiani: e i cittadini apprezzano come dimostra il delirio di entusiasmo che accoglie Pio XI che benedice in Piazza San Pietro la Roma italiana. Si concede la disciplina dei matrimoni e l'insegnamento religioso (cosa che i l iberali non avrebbero mai concesso) ma Mussolini lo fa pur di ricevere l'avallo ufficiale della Chiesa, anche a costo di far nascere un vespaio di polemiche sulla nascita di uno stato confessionale. Gli esuli attaccano con ferocia sulla stampa estera la Chiesa dichiarando che il Papa patteggia con l'usurpatore, con il capo di un governo che gli aventiniani, anche cattolici, hanno definito illegittimo denunciando il regime del terrore e liberticida del Duce. Molto più deboli invece le critiche degli antifascisti cattolici che si dichiarano rammaricati per il realismo sconcertante della Chiesa, ma escludono negando

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l'evidenza,che i Patti Lateranensi siano la benedizione della Chiesa al fascismo. Ma sono polemiche che restano all'estero, mentre in Italia ci sono solo plausi a Papa e Mussolini. Nasce il problema per molti cattolici di conciliare il dovere di obbedienza al Papa coi propri ideali politici: una parte delle gerarchie cattoliche quindi prova ad aprire le porte dell'associazionismo ai popolari, perchè comunque il Papa non vuole lasciare i “suoi uomini” nelle mani del fascismo, anche se ha abbandonato il Ppi, anche se questi si chiamano Sturzo o De Gasperi (De Gasperi uscirà dal carcere su pressione del Papa, passando il resto del ventennio entro la biblioteca vaticana). Ovviamente i cattolici devono comunque tenere un profilo basso evitando di essere motivo di imbarazzo per la Chiesa: limitano così l'autonomia dei militanti cattolici e impediscono di svolgere una efficace azione antifascista, comunque unici bagliori di resistenza che hanno diritto di vivere in Italia. IN ogni caso l'accordo col fascismo va visto, per la Chiesa in doppia veste:-nel lungo periodo c'è il progetto di dotarsi degli strumenti necessari per esercitare un ruolo egemonico in uno stato moderno per essere modello per gli stati occidentali moderni-nel breve periodo il fascismo va bene, sicuramente meglio delle dirigenze liberali, abbatte l'anticlericalismo, riporta l'ordine, impedisce la rivoluzione bolscevica, mantiene saldi i costumi tradizionali (pensa al cambiamento di donne e giovani). Ma apprezza anche la battaglia del grano, che ridà all'Italia quell'aspetto contadino tanto chiaro alla Chiesa. Così come apprezzano sicuramente la campagna demografica del 27: imposta sui celibi, esenzioni tributarie per le famiglie con almeno 10 figli, 7 per gli impiegati statali, privilegi nelle graduatorie dei concorsi pubblici, prestiti matrimoniali condonati con la nascita del 4 figlio. La Chiesa inizia così la sua battagli aantimoderna: richiama le donne all'ordine (tornare in casa, lasciando il lavoro) e le invita a sottomettersi all'autorità maschile (Mussolini stesso afferma: tornino le donne in casa, unico e vero posto che la natura ha assegnato loro), attacca i balli e le mode moderne, ribadisce il valore della verginità e della famiglia patriarcale contadina. Questo contrasta col fatto che molte donne emancipate avevano puntato sul fascismo, che aveva offerto loro nel programma del 1919 il voto: ma era una falsa promessa. Il fascismo ha mostrato poi tutto il suo lato reazionario e conservatore cresciuto a causa del fatto che i fasci di combattimento avevano rafforzato l'identità maschile messa in crisi proprio dal nuovo ruolo delle donne. Nel 26 l'equivoco è cancellato visto che non si lascia più nessuno spazio di emancipazione politica e professionale alle donne. No quindi allle professoresse nei licei (alle donne non si addice studiare lettere, filosofia, greco, latino), ma molte maestre di asilo perchè le donne sono anzitutto madri. La stampa femminile riceve precisi ordini e trasmette precisi modelli: via le donne magre e mascoline, si alle donne prosperose e coi fianchi larghi, emblema di fecondità, mentre viene vietata ogni propaganda anticontraccettiva e il Papa ribadisce la finalità riproduttiva del matrimonio. Viene soppresso nell'enciclopedia italiana la voce divorzio. Ma il tasso di natalità, nonostante tutta la propaganda, resta in calo. Ormai il trio Dio, Patria, Famiglia è ribadito: la Chiesa è felice del ruolo che svolge, è complice del fascismo e invita i cattolici ad andare a votare in massa alle elezioni del 29, anche se sono elezioni farsa: la nuova legge elettorale prevede che esista una sola lista preparata dalle organizzazioni fasciste, su un collegio unico nazionale, della quale gli elettori possono solo dire si o no.

5: LO STATO TOTALITARIO (1929-1939)1.stato fascista ed economia: dalla politica della “quota 90” alla grande crisinel 29 arriva la Grande depressione. Che però non comporta perdita di potere per Mussolini anzi, per come affronta la crisi, aumenta il prestigio del fascismo in Italia e all'estero anche se nel 1930 arriveranno i primi fallimenti, cresce la disoccupazione e diminuiscono le entrate dello stato. Tutto questo dopo che gli italiani cominciavano a farsi le prime illusioni di crescita dopo aver fatto tanti sacrifici per stabilizzare la lira. Si

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punta, e Mussolini è disposto a lacrime e sangue, a raggiungere la quota 90, ossia 90 lire per una sterlina (più per una questione di prestigio che di altro), ma anche un sistema per imporre il fascismo a industriali, proprietari e banchieri italiani che continuano a far pesare troppo il loro appoggio al fascismo. Nel 26 comincia l'austerity: divieto di costruzione di case di lusso, vietata l'apertura di bar e locali notturni, ridotte a 6 le pagine dei quotidiani, imposto l'uso di una miscela di alcool e benzina per le automobili, aumento di un'ora di lavoro al giorno per operai e impiegati, diminuzione dei canoni d'affitto, alleggerimento del carico fiscale. Si ridefinisce anche il ruolo della Banca d'Italia diventata banca centrale a tutti gli effetti con l'esclusiva facoltà di emissione dei biglietti bancari e ampi poteri di controllo sull'intero sistema del credito. Nel 27 si riducono del 10% i salari dei dipendenti pubblici, cosa che si espande poco dopo anche al settore privato. A fine anno un altro 10% è tagliato dopo l'accordo tra confederazioni patronali e operaie e il PNF invita i proprietari terrieri a ridurre i salari dei contadini per dare un contributo al processo deflattivo in corso che prevede una riduzione dei costi dei generi alimenatari. La deflazione aumenta il potere di acquisto dei salari mentre la stabilità della lira rivaluta i depositi della piccola borghesia risparmiatrice. La dittatura fascista conferma la sua base piccolo e medio borghese, rassicurandoli dalla proletarizzazione. Tanto basta al fascismo per ascoltare indifferente le critiche di imprenditori e finanzieri: non solo loro la sua base elettorale. Si cerca di facilitare la concentrazione industriale tramite agevolazioni tributarie per le fusioni tra società, cosa che si realizza appieno. Lo stato continua a imporsi come maggior cliente dell'imprenditoria privata con le commesse per le ferrovie e l'esercito nonché per la realizzazione delle grandi opere pubbliche (sopratutto l'avvio delle grandi bonifiche). E'ora che Mussolini dichiara: tutto nello stato, niente contro lo stato, nulla al di fuori dello stato, sottolineando il ruolo centrale dello stato in economia, che si consolida e aumenta con la crisi del 29. Gli industriali comunque, in fondo in fondo, sanno che era necessario rivalutare la lira e sanno anche di aver ottenuto alcuni vantaggi: pace sociale, salari bassi, sgravi tributari, la Carta del lavoro che garantisce autonomia di gestione. Ma questo non significa che non sono pronti a dare l'alt non appena si esca dal tunnel della quota 90. Ma proprio quando si raggiunge il traguardo, comincia la crisi. La quotazione dei titoli crolla in Italia del 40% e sono i banchieri e finanzieri stessi a chiedere aiuto allo stato che non nega sostegno, anzi profonde a piene mani all'inizio, poi razionalizzando il sistema di finanziamento pubblico. Del 31 è l'Istituto mobiliare italiano (IMI) per il riordino del mondo bancario: varie banche e compagnie assicuratrici sottoscrivono un capitale di oltre mezzo miliardo per dar vita alla nuova istituzione che ha il compito di fornire credito a media scadenza, raccogliere risparmio, emettere obbligazioni per rilanciare le imprese a rischio (come italgas e acciaierie Terni). Del 33 è l'IRI (istituto per la ricostruzione industriale) inizialmente finanziato dagli stessi azionisti IMI e divisa in una sezione finanziamenti e in una smobilizzi. Anche l'Iri comincia a sostenere le imprese in crisi. La sezione smobilizzi invece comincia ad aqcuistare partecipazioni azionarie di ogni grande spa italiana, fino ad arrivare ad avere il 21% del capitale azionario delle spa italiane. Si arriva a questa percentuale dopo un accordo tra Iri e 3 banche (banca commerciale, banca di roma, credito italiano) grazie al quale l'Iri ottiene il controllo di questi istituti di credito e dei pacchetti azionari da loro posseduti. Insomma si pongono le basi per un forte capitalismo di stato, favorito dalla recessione che pare suggerire questa come unica soluzione. In ogni caso saranno solo le commesse per la guerra in Etiopia a far riprendere l'economia e comunque senza riuscire a sanare i forti disequilibri entro il sistema produttivo italiano ne il problema della disoccupazione. E' indubbio che grazie all'intervento dello stato si ha una generale riqualificazione del sistema industriale nazionale che, nonostante i tassi di sviluppo inferiori, permette all'Italia di non venire emarginata nell'occidente capitalista. Comunque varie cose sono strane-emerge chiaramente il controsenso di un sistema a sfondo politico reazionario e gli elementi di modernità innescati dallo stesso fascismo nell'economia (e quindi di contraddizione coi cambiamenti sociali e culturali che sono nemici di un sistema conservatore). Pare confermare la tesi di molti osservatori stranieri secondo cui gli italiani erano un popolo arretrato, incapace di usufruire e pretendere i propri diritti e bisognoso di un

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leader forte e autoritario capace di imporre la disciplina ad un popolo immaturo. Giudizio condivisibile anche se lascia in secondo piano il fatto che era appena finita una guerra. Ma sia la Chiesa che Mussolini sanno bene che un paese arretrato e debole si governa meglio: ecco il perchè del trinomio dio, patria, famiglia che suona come un manifesto antimoderno e le parole d'ordine del Duce, dalla battaglia del grano a quella demografica, individuano nell'industrializzazione il nemico. Allora perchè Mussolini aiuta l'industria?-anzitutto non può fare tabula rasa: nonostante si sia presentato come rivoluzionario stenta comunque a tagliare i fili di continuità con la politica liberale. Mussolini non ha la volontà, ma sopratutto la forza.Anzi sarà proprio la lentezza e i cambiamenti a piccoli passi dallo stato liberale, alla dittatura, allo stato totalitario a rendere solido il potere di Mussolini. Comunque da notare c'è che Mussolini si concentra su due aspetti: aumenta la protezione offerta dallo stato all'industria, sopratutto quella pesante, e aumenta la concentrazione oligopolistica. Il progetto della ruralizzazione non è messo da parte: viaggia su un binario parallelo, che si rivelerà morto dimostrandosi vani i tentativi di bloccare la modernità o tornare indietro. Ma la storiografia moderna comincia a dare spazio ad una interporetazione che vede un certo pluralismo entro il fascimo, di vedute che convivono, alcune delle quali profondamente moderne e dinamiche, che vorrebbero in primis intervenire nelle distorsioni strutturali causa di uno sviluppo nazionale disomogeneo e squilibrato. Per questo vedono di buon occhio i freni imposti alla grande industria. Per questo vorrebbero di più, anche a costo di fare dispiacere a imprenditori e finanziari: ma l'operato economico del fascismo resta contenuto nei limiti del controllo finanziario senza estendersi alla programmazione e gestione diretta dello sviluppo. In ogni caso si rafforzerà molto il rapporto privilegiato tra amministratori pubblici e industriali.

2. operai e contadini nella grande crisiscoppiano fiammate di rivolta in Inghilterra, Francia e Germania che preoccupano non poco Mussolini, che teme che la rivolta travalichi le Alpi. Sa bene Mussolini che la vita del Fascismo è strettamente legata al mantenimento dell'ordine costruito sulla “pace sociale” duramente costruita a colpi di repressione e concessione di privilegi. Non è un caso che l'ordine italiano sia invidiato nel resto d'Europa. Eppure l'economia italiana sta precipitando come tutte le altre e la disoccupazione arriva al milione di unità, dati che non tengono conto dell'altissima sottoccupazione. La riduzione dei prezzi che doveva compensare la riduzione dei salari lo fa solo in teoria, perchè pochi sono i lavoratori che riescono a mantenere la piena occupazione. Si riducono le ore di lavoro, anche se si pretende di mantenere la produzione allo stesso livello: i ritmi di lavoro si fanno insopportabili per le maestranze. Nel 1930 si verificano vari episodi di insubordinazione quotidiana: si incrociano le braccia per qualche ora o si abbandona il posto di lavoro per un giorno. Ma non ci sono cortei e i manifestanti restano molto cauti e calmi anche se questori e polizia sono vigili perchè lo sciopero è un reato. Il fronte più caldo è quello del settore tessile, dove conta molto anche la tragica situazione in cui versano le donne entro il fascismo. Le autorità e i sindacati fascisti si danno un gran da fare per calmarle, addirittura andando a cercarle a casa e invitandole a tornare a lavoro. Visto l'insuccesso, si mette in moto la macchina repressiva: iniziano le cariche della polizia contro le fabbriche occupate, le manifestazioni che degenerano in cortei. Nel 31 le donne scendono in piazza a Como e Legnano, cantando canzoni proibite come bandiera rossa e bandiera nera la vogliamo no, insultano la milizia, lanciano sassi contro la polizia. IL fermento si placa sotto i colpi di una durissima repressione. Serpeggia il sospetto che si agitino le donne sotto le spinte dei mariti e dei figli, che rischiano molto più di loro ad esporsi. Sopratutto le agitazioni sono al Sud e il regime si attiva per evitare che arrivino al Nord nel cuore del triangolo industriale. Del resto i rapporti dell'OVRA parlano chiaro del malcontento che serpeggia nelle fabbriche del nord nonostante la calma apparente mentre alla Breda si lincenzia a raffica e alla Marelli e Magneti Marelli l'orario di lavoro si riduce intorno al 60% o 40%. Stessa sorte tocca alla Fiat, che licenzia a

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raffica, e alla Lancia. Sono comunque tutti fuochi circoscritti e facili da spegnere ed è fondamentale per il regime evitare che la scintilla si sposti di fabbrica in fabbrica scatenando un incendio. E non è un'idea strampalata: molte lettere anonime che l'Ovra raccoglie parlano di rivolta che sta per scoppiare, Matteotti sarà vendicato, Mussolini finirà come lo zar di Russia. La classe operaia dimostra di non essere fascista, ma solo troppo spaventata per reagire: paura amplificata dal vuoto enorme lasciato dai socialisti e dai comunisti. E i sindacalisti in camicia nera non sono stati scelti, ma imposti, e sono troppo supini alle richieste del padronato e del governo al punto da lasciare via libera a licenziamenti, tagli di salari e di ore lavorative. E la cosa non dipende tutta dai sindacati fascisti: essi sono messi in condizione di non poter funzionare, non hanno gli strumenti per contrattare col padronato e se per caso qualucno cede alla tentazione di fare uno sciopero è subito arrestato. L'unica speranza dunque è che la disperazione aumenti fino al punto di superare la paura, sperando che così gli antifascisti riescano a potersi manifestare di nuovo. Il Pci ufficialmente è sciolto, ma ha una rete clandestina con la quale fanno politica cercando di evitare i tentacoli dell'Ovra e stare bene attenti agli infiltrati, che sono ormai ovunque. Togliatti dall'estero si fa un'idea distorta, di una Italia pronta all'insurrezione. E il gruppo dirigente del Pci finisce per limitarsi ad aspettare il grande sciopero generale. La cosa avverrà certo, ma nel 43 e nel 31-32 questo è uno scenario irrealizzabile.

3. andare verso il popolo: assistenza e lavori pubblicitutta la macchina assistenzialista messa in moto nel 29 ora va a pieno ritmo e assorbe in pratica tutto il lavoro dei Fasci locali: il regime fa di tutto per alleviare le sofferenze della gente distribuendo sussidi in denaro e viveri, installando cucine economiche, dormitori, ricoveri, creando viaggi in colonie marine e montane per i figli dei lavoratori. I dopolavoro fascisti si attivano per sostituire bar e sale di ritrovo private, perchè non c'è più una lira da spendere per passare il tempo insieme e trovare cibo e bevande gratis in occasione delle innumerevoli feste del regime: se il primo maggio è stato abolito, si trova la festa dei Natali di Roma, della fondazione dei fasci di combattimento, e persino della Conciliazione, l'11 Febbario, per festeggiare il Concordato. Questo mentre i fasci femminili raccolgono fondi e sussidi da dare ai poveri, sopratutto ai figli dei poveri: giocattoli, indumenti, latte, zucchero, pane. Il numero dei bisognosi sale ogni giorno. I federali fascisti, i prefetti, i questori chiedono fondi con insistenza, soccorsi straordinari e altro, che però si esauriscono in poco tempo. Al Sud crolla la produzione agraria e i disoccupati raggiungono livelli record, mentre i salari dei contadini subiscono una riduzione di ben tre volte maggiore di quella subita dagli operai in città. Questo vale anche per la ricca Emilia, ma anche per il Veneto contadino dove i contadini si affollano davanti alle sedi del Fascio supplicando pane. Nel sud invece i contadini si ribellano in massa, scioperano, fanno lavoro abusivi, invadono i terreni demaniali. Aumentano gli sfratti, gli affitti, le tasse sul foraggio, sulla manutenzione stradale, sull'acqua e sul vino... gli esattori sono presi a sassate e minacciati di morte. Sempre nel sud ricomincia a vivere la pratica di assaltare i municipi. La repressione ovviamente sistema tutto, ma il sud va aiutato e tutti sanno che è un pozzo senza fondo. Se tutti sanno che le elemosine non possono risolvere la crisi, sul piano politico e delle relazioni pubbliche però l'assistenzialismo è vincente: le autorità ricevono dal popolo molti ringraziamenti per l'aiuto dato a livelli che i liberali non si sarebbero mai sognati. Il fascismo ne guadagna in visibilità con uomini del fascismo in ogni dove. Ai pranzi e alle cene partecipa l'autorità fascista locale, si parte per la colonia salutati da un federale e si è ricevuti all'arrivo da un altro: rispetto a prima la politica è uscita dai palazzi, ha cancellato l'aurea di mistero che l'avvolgeva e si è riversata nelle strade. Mussolini diventa l'uomo del popolo, asceso ai vertici dello Stato senza perdere la semplicità e la ruvidezza di un tempo, un uomo laborioso e schivo, lontano dai fasti dei palazzi, un uomo di famiglia con moglie e figli e con un'amante, debolezza che gli si concede, anzi che lo rende ancora più umano. Questa immagine che il duce si disegna addosso gli attira le simpatie anche di parte del popolo rosso, ricordando il Mussolini socialista: un alibi sotto il cui segno avverranno molti cambi

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di bandiera. L'istituto luce si da da fare: lo ritrae mentre falcia i campi di grano nelle zone bonificate a petto nudo, o sul trattore, o che vendemmia o fa l'operaio in una fabbrica, coi bimbi in braccio circondato da mamme festanti. E il ricorso ricorrente alle opere pubbliche per ridurre la disoccupazione lo fa essere ancora più amato. Lo Stato fa opere di canalizzazione, bonifica, rimboschimento e collegamenti stradali su milioni di ettari di terre paludose infestate dalla malaria. Proprio nei pressi di Roma Mussolini avvia la bonifica dell'Agro Pontino rendendolo coltivabile e dividendolo in 3000 poderi con casa colonica, pozzo, stalla assegnati a tutte le famiglie che hanno partecipato alla bonifica e sono sopavvisuti alla fatica e alla febbre malarica (infatti sono pochi, i più disperati, coloro che accettano quel tipo di lavoro). I minatori grossetani ad esempio respingono ogni invito ad andare a vivere in Maremma, mentre nell'Agro Pontino vanno molte famiglie povere del veneto e dell'emilia. Alla fine le terre bonificate saranno poche rispetto a quanto previsto, ma il vero fallimento è la ruralizzazione dell'italia di cui il piano di bonifica fa parte. Non si riesce a rilanciare la produzione agricola, aggiunto al fatto che, mentre i contadini fuggono dalle campagne sature, il governo tenta di riversarci anche i molti disoccupati della città. La caccia al disoccupato diventa a Milano attività quotidiana: la polizia fa rastrellamenti nelle case e nelle vie, vengono arrestati oppure inviati nelle zone di campagna. Per il fascismo il disoccupato diventa un criminale: il regime non può tollerare la vista di questi uomini affamati e questuanti per le strade che smentiscono l'idea dell'Italia laboriosa, pacifica, serena nel pieno della crisi così rassicuranti per l'Italia e per l'estero. E diventano ovviamente un problema di ordine pubblico. E quando vengono inviati nelle campagne, tendono a tornare perchè senza prospettive: cosi l'inurbazione continua anche contro il volere di Mussolini. D'altra parte il risultato più evidente delle bonifiche è la nascita di nuove città: pensiamo a Littoria, oggi Latina, inaugurata da Mussolini come città tipo del fascismo in cui si integrano ruralità e urbanesimo, il sano stile di vita delle campagne e le esigenze razionalizzatrici dello spazio urbano (parole della propaganda). (Littoria ha srade ortogonali, palazzi squadrati e classicheggianti, ornati da immensi fasci littori stilizzati a guisa di colonne).Ma il rinnovamento tocca anche le città storiche: a Roma sorgerà l'Eur un intero quartiere in stile fascista. Abbatterà buona parte del complesso dei Fori Imperiali per aprire quella grande strada, chiamata via dell'Impero, che conduce al Colosseo... abbatte le fitte case basse intorno a San Pietro per “farla respirare”, aprendo la grande strada della Conciliazione che annuncia san pietro dalla distanza. Ci sono certo polemiche, ma sono soffocate nel mare di plausi a Mussolini. Mussolini gode dell'appoggio della popolazione e lo sa: non a caso sceglie lo stabilimento Fiat di Torino per commemorare l'anniversario della marcia su Roma, salendo accompagnato da Agnelli sul grande balcone, con alle spalle lo stemma Fiat in stile fascista con due fasci littori, ricordando la marcia e annunciando la riapertura delle iscrizioni al Pnf, chiuse nel 28. Tutto questo è possibile perchè ormai il fascismo non è più un partito, ma uno Stato: la MVSN è entrata nelle forze armate e i miliziani giurano fedeltà al re, accanto al calendario civile ci sono le date del calendario fascista che parte dalla marcia su Roma, il Fascio littorio è diventato simbolo dello stato ecc..piovono iscrizioni al Pnf, ormai la tessera è fondamentale e nel 1933 diviene requisito necessario per entrare nei concorsi pubblici. Non ci si può quindi stupire del plebiscito, l'ennesimo, delle elezioni del 34 con una percentuale di no pari al 0.15%.

4.gli antifascisti in esilio e nella clandestinitàil Pci nel 31 è sconvolto sia dalla dittatura sia dalla resa dei conti tra gli eredi di Lenin, con uno Stalin quanto mai agguerrito e deciso a liberarsi di ogni forma di opposizione interna nel partito, mentre in Italia i dirigenti Pci decidono di non ascoltare Terracini che dal carcere annuncia di non sperare troppo nella rivoluzione di classe, ben lontana dall'avvenire. La linea di Stalin prevede una stretta morsa su tutti i partiti comunisti attraverso la Terza Internazionale, pretendendo che le sue decisioni valgano per tutti i comunisti della comintern persino se sono irrealizzabili come la decisione presa nel 1922, al IV congresso, di fondere Pci e Psi. Ed è sempre la comintern, nel V congresso, a decidere la non collaborazione del Pci con le forze

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aventiniane. La linea politica isolazionista è ribadita dal congresso del Pci che si svolge a Lione nel 26. Poi tutto il gruppo dirigente del Pci viene arrestato, eccetto Togliatti che si trova a rappresentare il Pci alla Comintern. Togliatti quindi viene nominato segretario nel 27 e a lui tocca il compito di riorganizzare il partito per renderlo arma efficace contro la reazione borghese rappresentata dal fascismo (interpretazione di Gramsci) giunta al suo culmine. Viene creato un centro estero per la direzione politica e ideologica e uno interno, guidato da Ignazio Silone, finalizzato all'organizzazione della lotta clandestina. La militanza nella clandestinità si articola in cellule tra loro collegate con un solo filo per garantire segretezza e impermeabilità sul modello dei bolscevichi russi sotto lo zar. Sul finire del 27 però il centro interno viene sgominato e le carceri fasciste si riempiono di rivoluzionari. Quanto al centro estero le direttive restano le stesse: nessuna alleanza ne in Italia ne all'estero con gli antifascisti democratici e socialisti che nel 29 la Comintern definisce social-fascisti, segnando il culmine del contrasto Pci-Psi: i comunisti rinfacciano ai socialisti di aver tradito la causa della rivoluzione ingannando le masse con la bandiera della democrazia. Meglio una dittatura fascista, da cui sai cosa aspettarti (dittatura capitalista che lascia alle masse come unica soluzione la rivoluzione) di un governo socialdemocratico destinato a spengere gli ideali rivoluzionari per meglio asservire il popolo al dominio capitalista. Cominciano le prime opposizioni interne: Tasca, attaccato da Stalin, viene espulso dal partito. Nel 30 si apre un nuovo scontro: convinti che la rivoluzione sia alle porte, il cento estero decide di riavviare il centro interno, nonostante l'opposizione di molti e di Silone stesso, di Gramsci e di Terracini. Nell'ondata di esplusioni finiscono anche i trotskisti italiani come Bordiga (trotskji è stato espulso nel 27 dal PC russo). Tra il 31 e 32 il centro interno, che cominciava a riorganizzarsi, cade sotto la scure dell'Ovra lasciando i comunisti allo sbando.

Nel 27a parigi c'è la Concentrazione d'azione antifascista, organizzata dai democratici e socialisti: vi aderiscono Psu e Psi, partito repubblicano, Cgl. E' una concentrazione che ricalca molti dei difetti dell'Aventino: prima tra tutti la convinzione che il fascismo sia un fenomeno passeggerodestinato ad essere travolto dagli italiani, accortisi della sua natura liberticida. Per risvegliare le masse occorre organizzare una grande campagna stampa il cui eco travalichi le Alpi, ovviamente mobilitando l'opinione pubblica estera che invece si dimostra piuttosto fredda con gli antifascisti italiani perchè è fortemente radicata l'idea che il fascismo sia il regime più adatto per governare gli italiani. Comunque gli antifascisti italiani della Concentrazione fanno de “la Libertà” il giornale diretto da Treves la loro voce che pubblia ogni settimana un elenco degli arrestati, le sentenze del Tribunale Speciale, i confinati, le violazioni dei diritti umani. Ma ha gran valore propagandostico anche il tentato omicidio ai danni del principe Umberto in visita in Belgio ad opera di Fernando de Rosa, nel 1929: messo sotto processo intervengono in sua difesa Nitti, Salvemini,Labriola, Turati, Nenni che riescono a portare sul banco di quel tribunale straniero il fascismo. De rosa viene condannato a 5 anni, ma per il fascismo l'umiliazione è cocente. Ma anche la Concentrazione alla fine perde, per via di De Rosa, la fiducia dei giovani, che gli contestano troppo immobilismo. Comunque il fascismo aiuta a ridisegnare i partiti italiani: Psi di Nenni e il Psu di Turati si riuniscono e si avviano sulla strada dei grandi partiti socialdemocratici europei. Sarà proprio la scelta democratica di Nenni, per cui il fascismo sarà abbattuto da una rivoluzione democratica che porterà la democrazia in Italia, che la riunificazione sarà possibile. Dissente dalla decisione sono Angelica balabanoff, mentre alcuni fuoriusciti dal Pci, Silone e Tasca, entrati nel Psi approvano la linea. Il psi riunificato tenta di creare una rete clandestina socialista simile a quella comunista, tentata in un primo tempo da Pertini che finisce quasi subito scoperto dalla polizia e condannato a 11 anni di carcere. Nel 29 a parigi nasce il movimento Giustizia e Libertà proprio con l'obiettivo di far scoppiare la rivoluzione antifascista in Italia, fondato da Emilio Lussu e Carlo Rosselli (il quale ha teorizzato il socialismo liberale e cerca di riadattare a queste idee il movimento: la socialdemocrazia si fonda qui ai valori liberali, mira a trasformare radicalmente la società italiana sul piano istituzionale, con una chiara visione repubblicana, democratica, di autonomia locale e sul piano economico

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prevede una economia mista con forte programmazione economica e graduale socializzazione di tutte le imprese di pubblica utilità). Nel frattempo i GL sorvolano le città italiane con gli aerei lanciando dall'alto manifesti e volantini: gli anarchici, rimasti isolati, provano simpatie per il giellisti arrivando addirittura in alcuni casi a collaborarci, anche se l'attentato dinamitardo resta per loro la soluzione, nonostante tutti gli attentati falliti e le conseguenti condanne. A livello ufficiale le altre forze antifasciste rigettano la strategia del terrore, ma ritengono utili i gesti eclatanti che servono principalmente a rompere il muro di silenzio eretto dal regime intorno all'antifascismo. Il regime risponde alle trasvolate sulle città e al processo di Bruxelles mettendo in prigione molti giellisti tra cui Ferruccio Parri.

5. gli anni del consenso all'interno e all'esteronel 32 33 è chiaro che si sta assottigliando anche quello strato di popolazione in realtà antifascista, ma che aveva deciso di sopportare passivamente il fascismo, troppo intimorita per mostrare opposizione aperta. Infatti il consenso che Mussolini si guadagna coi lavori pubblici e l'assistenzialismo comincia a contagiare anche i più ostili, anche perchè “convertirsi” al fascismo è l'unico sistema per compiere una vita normale, cosa impossibile stando ai margini del fascismo, men che mai stando all'opposizione. Non si può vivere facendo finta che la politica non esista: ora non è più quel mondo chiuso nel palazzo che si può anche ignorare, ma è ovunque, nelle strade e nei quartieri. Anche se ovviamente il fascismo si guarda bene da richiedere un ruolo attivo agli italiani, che vada oltre l'essere tesserato Pnf, partecipare alle manifestazioni pubbliche e partecipare alle associazioni fasciste: la partecipazione degli italiani deve essere passiva, mentre quella attiva è limitata a quei posti dove si forma la classe dirigente fascista, come la Scuola di Mistica Fascista, inaugurata a Milano nel 30. Questa forma di fascistizzazione è fondamentale per fare il salto dal regime autoritario al totalitarismo. Per questo tiene il pugno duro contro chi si oppone, contro gli antifascisti, ma è benevolo e accogliente con chi si converte. Già nel 28 fa atto di clemenza verso 500 antifascisti ammoniti o mandati al confino. Nel 32 concede l'amnistia in occasione del decennale della Marcia su Roma, estendendola anche ai prigionieri politici con pene piccole e restringendo quelle più lunghe. Non sono prove di indulgenza, ma di forza: il Duce si sente sicuro del suo potere. A Rigola che aveva accettato ufficialmente lo scioglimento della Cgl si concede di ricavarsi un piccolo spazio di autonomia intorno alla rivista “problemi del lavoro” e al quotidiano “il lavoro”, cosa che gli permette di partecipare al dibattito sindacale e corporativo con diritto persino di qualche critica blanda: mossa oculata, visto che il sistema dell'assistenzialismo e dei lavori pubblici comincia a suscitare ammirazione negli ambienti socialisti, conquistati dallo Stato corporativo. Nel 30 rinasce il centro interno ad opera dei socialisti, che sono sinceramente allarmati dalle conversioni e dal successo di Mussolini entro una parte dei socialisti, anche se forti grazie al patto di collaborazione tra Psi e Gl. Si comincia a delineare l'idea, ormai evidente, che non ci sono masse pronte alla rivoluzione antifascista, anzi Mussolini, ormai saldamente al potere, ha tutta la possibilità di durare a lungo. C'è quindi da attrezzarsi per una guerra lunga e logorante con tutti i mezzi che servono per consolidare lentamente la presenza antifascista in Italia, anche infiltrandosi nelle linee nemiche. Stesso discorso fa il Pci che lancia la parola d'ordine lavoro legale, cercando di far esplodere il fascismo dall'interno tramite le sue contraddizioni. Nel 31 Toscanini rompe clamorosamente col fascismo e sceglie l'esilio negli Usa, ma è in controtendenza: la stessa crisi delle convresioni che affligge il Psi è vissuta anche dai liberali e dai democratici. Rimane comunque chiara la diffidenza e l'avversione al fascismo per i convertiti, i quali consegnano le armi a Mussolini e solo a lui: sicuramente un alibi, ma il Mussolinismo è fondamentale per capire il rapporto italiani-fascismo. I socialisti non sono colpiti dal fascismo, ma dal Mussolini che va verso il popolo. La Borghesia è colpita dal Mussolini uomo di stato, abile a gestire la finanza pubblica e la politica estera, anche quella liberale. Anche all'estero Mussolini è apprezzato: Churchill lo definisce il più grande legislatore vigente, mentre Oxford crea un istituto per lo studio del fascismo. Gli inglesi apprezzano l'amicizia con Roma e la politica estera di Mussolini, in totale continuazione

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di quella liberale, è molto gradita. Apprezzano anche lo stile dinamico e decisionista del fascismo così diverso dai tentennamenti e i giri di valzer italiani: al punto che si giustificano anche le decisioni più imperiose col bisogno, pragmatico, di risolvere i problemi lasciatigli in eredità dal primo conflitto mondiale, che ancora creano tensioni tra le nazioni: al punto che ci si domanda ancora oggi come conciliare questo Mussolini con quello imperialista e bellicista del dopo 34 (la tesi è che sia stato condizionato, volta volta, dalle circostanze). E' certo che il fascismo nasce inizialmente in continuità coi liberali, per poi rompere gradualmente con questa tradizione facendosi una identità propria. In un primo tempo, almeno in politica estera, Mussolini aveva poco tempo da perdere: con gli accordi italo jugoslavi del 24 l'Italia prendeva Fiume. Poi, consolidato il potere, dal 27 in poi, il Fascismo cominciò ad avere ambizioni: il duce decise di vestire i panni di tutti i delusi del tavolo di Versailles, riuscendo a rilanciare il ruolo dell'Italia entro la Società delle nazioni e aumentando il suo prestigio personale (cerca anche di fare amicizia con gli stati giovani, mercato appetibile alla penetrazione economica italiana: accordi con l'Albania e con l'Ungheria sono le prime tappe di una politica che arriverà a comprendere anche l'Urss). Grazie all'accordo con l'Urss, conseguente al riconoscimento di Mussolini della repubblica socialista sovietica le relazioni commerciali si intensificano e nel 1933 si arriva ad un accordo di amicizia tra i due stati di non aggressione e neutralità. Stessa politica si segue con la Germania: per tutti gli anni 20 l'Italia appare un partner internazionale affidabile. E quando hitler prende il potere e siamo in crisi economica l'Italia diventa ancora più determinante per conservare l'ordine: non a caso Mussolini si riprende la carica di Ministro degli esteri. Ne Londra ne parigi dubitano che Mussolini farà di tutto per consolidare l'equilibrio tra le potenze e infatti proprio a Roma nel 33 si firma un patto a quattro (G.b, Francia, Italia, Germania) sulla parità degli armamenti. In ogni caso, anche se Hitler dichiara di ammirare Mussolini e va al potere con un movimento molto simile al suo, il Duce,ma anche le altre potenze europee sono preoccupate dal risveglio della Germania: per l'Italia sono in pericolo l'Austria e la zona del Danubio, dove l'Italia ha stretto vari rapporti economici e commerciali. Ha infatti un chiaro significato antidetesco l'accordo firmato nel 34 tra Roma, Vienna e Budapest: l'Italia si fa garante dell'autonomia austriaca e non esista a muovere le truppe quando il cancelliere austriaco Dollfuss è ucciso durante un tentativo di putsch dei nazisti tedeschi. Migliorano anche i rapporti con la Francia, che comunque resta accusata di accogliere con troppa facilità gli antifascisti.

6.la guerra in Etiopiala guerra in Etiopia modifica completamente le linee guida della politica estera di Mussolini, segnando una netta rottura col periodo precedente al 34, periodo della politica revisionista: in realtà alcuni storici vedono nella politica revisionista un periodo coerente con le scelte dal 34 in poi. Credere che i trattati non siano eterni perchè il mondo cammina, è elemento di destabilizzazione e scopre l'intento di rovesciare l'ordine europeo imposto dai paesi forti ai paesi deboli. Se nei primi anni il Duce sceglierà la via del dialogo, la sua insofferenza verso la Società delle nazioni è dimostrata a più riprese e più volte annuncia di preferire di sostituirla con un direttorio a 4: G.b, Italia, Francia,Germania. C'è la conferma della matchpolitik. Due cose contribuiscono al passaggio del fascismo dal pacifismo al bellicismo: l'aver consolidato il potere in Italia e il quadro internazionale destabilizzato profondamente dalla salita al potere di Hitler. Il patto a 4 del 33 si scioglie prima della ratifica da parte di tutti gli stati e la Germania esce dalla Società delle nazioni. La guerra, che cominciava ad essere scontata, si realizza: una guerra coloniale contro l'Etiopia, una guerra che rovescia il sistema delle alleanze e avvicina fascismo e nazismo. Le mire espansionistiche dell'Italia sull'Europa cominciarono già nel 28, culminando in un trattato di collaborazione che prevedeva anche la costruzione di una rete stradale. Se all'inizio si pensava che il fascismo pensasse solo alla penetrazione economica, diventa presto chiaro che si punta ad una annessione, anche a costo della guerra. Nel 35 l'Italia, in cambio della rinuncia ad ogni volontà espansionistica in Tunisia, ottiene dalla Francia carta bianca in Etiopia. Il dubbio è il comportamento che terrà Londra: silenzio assenso? Ostacolerà il fascismo? In ogni caso Mussolini vuole

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l'impero e cercherà di ottenerlo. La cosa servirà economicamente (combattere la disoccupazione, dare commesse all'industria pesante), ma prima di tutto serve a convincere definitivamente gli italiani e il mondo quanto il fascismo sia forte. Così nel 35 quando scoppia la guerra non si lesina sulla mobilitazione di uomini e mezzi ne tantomeno in brutalità. Londra però si intraversa e chiede alla Società delle Nazioni sanzioni economiche contro l'Italia: non è un problema per l'Italia che trova fornitori nella Germania ormai fuori dalla SdN, dall'Urss e da altri paesi del est con regimi simili a quello fascista. La Francia stessa decide, preoccupata dall'alleanza Italia-Germania, di non svegliare il can che dorme, applicando le sanzioni in maniera lieve e senza estenderle al piano militare pur di non rompere l'accordo con l'Italia. IL regime invece mette in moto la macchina della propaganda, facendo credere che le sanzioni costano all'Italia lacrime e sangue: l'Italia è una giovane nazione proletaria soffocata dalle nazioni plutocratiche che vogliono impedirle di ascendere, calpestando i suoi diritti all'espansione, a cercare terra e lavoro per i suoi figli, costretti ad emigrare lontano dai suoi cari (visione lacrimevole che convince molti). Si rispolvera il mito pascoliano della Grande Proletaria. Così il 2 ottobre del 35 dal balcone di Piazza venezia, trasmesso in ogni piazza italiana attrezzata con gli altoparlanti, Mussolini annuncia l'inizio delle ostilità contro l'Etiopia. Di nuovo gli antifascisti si illudono che questa guerra sarà il colpo definitivo al fascismo: i soldati moriranno nel deserto e chi resta in patria subirà la crisi economica; i superstiti non avranno terre da coltivare, come fu coi liberali dopo la I G.M. Invece almeno nel breve periodo la guerra in Etiopia è breve e vittoriosa (mentre nel lungo periodo sarà un disastro, coi coloni obbligati a vivere in rifugi blindati sotto il tiro dei guerriglieri etiopi). In patria comunque le ristrettezze economiche conseguenti alla guerra sono accolte col più alto spirito patriottico: perfino gli antifascisti cessano le ostilità contro il governo quando la patria è in guerra e subisce sanzioni ingiuste da potenze coloniali che impediscono all'Italia di diventare potenza coloniale. Durante la giornata della fede, quando le donne italiane danno l'oro delle loro fedi al governo, persino Croce, Orlando, Labriola (che torna per l'occasione dall'esilio) donano le loro medaglie di senatori come un atto di inequivocabile solidarietà al regime. Nel 36 arriva la vittoria: Addis Abeba è conquistata. Il Re Etiope Hailè Selassiè fugge in G.B e Re Vittorio Emanuele III diventa imperatore d'Etiopia: il fascismo raggiunge il culmine dei consensi. La G.B il mese dopo riconosce la vittoria all'Italia e mette fine alle sanzioni economiche, l'anno dopo firma con l'Italia un patto che la impegna a riconoscere lo status quo nel mediterraneo, riconoscendo poi anche la conquista dell'Etiopia. Comincia la politica dell'appeasement: venire incontro a Mussolini e Hitler pur di non rompere il fragile equilibrio europeo, interpretato da Mussolini e Hitler, avvicinatisi proprio con questa guerra, come un nulla osta ai loro sogni di potenza. Non solo: nella visione darwinistica del mondo di Mussolini, G.B e Francia appaiono ormai due patetiche nazioni che si illudono di essere ancora potenze e difendono la pace perchè hanno paura della guerra. Ormai sono secondo lui in piena decadenza come dimostra il permanere di un sistema democratico secondo lui segno di paralisi e degenerazione. Adesso sono i popoli giovani e vivi, retti da regimi rivoluzionari che conducono il gioco. In ogni caso la rottura con la G.B arriverà solo nel 40: anzi Mussolini continuerà ad avere contatti con gli inglesi e a continuare a porsi come mediatore, aumentando l'importanza internazionale dell'Italia.

7.la guerra in Spagnanel 36 scoppia la guerra civile in Spagna scatenata dalla congiura dei militari guidati dal Generale Francisco Franco, appoggiati dai monarchici e dai falangisti-un movimento di tipo fascista- che tentano di rovesciare il governo repubblicano a guida socialista. Poiché Franco non riesce a piegare la resistenza dei repubblicani, chiede aiuto ai regimi nazifascisti d'europa. La guerra si sposta dall'Africa all'Europa: la SdN fa finta di nulla mentre G.B, Francia, Urss si scontrano con Germania e Italia per il destino della Spagna democratica. Di positivo c'è che finalmente l'antifascismo non è più sentimento solo degli esiliati e perseguitati italiani e tedeschi, ma diventa un'onda che investe tutta l'opinione pubblica democratica europea. E' proprio il terrore della vittoria della destra filofascista che porta al governo in Francia il fronte popolare guidato dal

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scoialista Blum ed è la paura della Germania nazista che spinge l'Urss a riallacciare i rapporti con la Francia mobilitando i paesi della comintern affinchè facciano di conseguenza. Dalla destabilizzazione dell'equilibrio europeo guadagnano certamente gli antifascisti italiani non fosse altro per la visibilità e l'autorevolezza che acquistano in questo periodo, ma si trovano imbrigliati dal comportamento degli Stati, che spesso tendono ad agire più secondo interessi propri che per obiettivi comuni e ciò non toglie che l'antifascismo sia un universo ampio e vario in cui troviamo persino pensieri antitetici. Nel 35 il VII congresso Comintern rinnega ufficialmente la teoria socialfascista e consente a comunisti e socialisti di ogni stato di firmare un patto di unità d'azione e si accordano per dare vita ad un grande coordinamento antifascista comprensivo di tutte le forze democratiche, anche quelle borghesi. Con la differenza che Stalin decide di intervenire in Spagna, mentre gli altri stati decidono di restare passivi, nonostante Germania e Italia, che apparentemente dicono di condividere il non intervento, continuano a mandare soldi, uomini, mezzi. La passività sconvolge gli antifascisti italiani per i quali la guerra di spagna è un campanello per la mobilitazione: Carlo Rosselli si fa promotore di un appello “Oggi in Spagna, domani in Italia” che ha una forte eco tra tutti gli antifascisti. Nelle Brigate internazionali che varcano i Pirenei in aiuto della Spagna troviamo molti giovani, ma anche tutta la vecchia guardia antifascista (liberali, socialisti, comunisti, anarchici): è una lotta impari perchè Franco ottiene da Germania e Italia una quantità immensa di uomini e mezzi. Gli antifascisti invece ricevono rifornimenti e uomini dall'Urss che però ha difficoltà a mandarne per via della distanza, ma anche per i blocchi imposti da Francia e G.B preoccupate per l'eccessivo potere preso dall'Urss in occidente: sarà comunque qui che nasce il mito dell'Urss come bandiera dell'antifascismo. In più l'arrivo degli uomini del Kremlino porta con se la stessa brutalità con cui si comanda a Mosca: i nemici non sono solo i fascisti, ma anche gli anarchici e i trotskisti, i liberalsocialisti e chiunque non rispetti il volere dei dirigenti comunisti. In ogni caso la resistenza antifascista riuscirà a resistere fino al 1938 costringendo Mussolini, che sperava in una guerra veloce e vittoriosa, in un pantano ben lungo che porta pochi vantaggi (ci sono molti morti della MVSN, dell'esercito ecc... non ci sono terre da conquistare ne diritti coloniali da far valere ne guadagna in prestigio internazionale, che si sta giocando con l'alleanza con Hitler). La motivazione è puramente ideologica, ma sono pochi i fascisti convinti nel paese: la maggior parte si è fatta comtagiare dal Mussolini uomo d'ordine, dal Mussolini assistenzialista che promette pace e tranquillità e se la guerra in Etiopia, così lontana, non aveva sconvolto questo quadro, ben diverso è il baratro in cui Hitler sembra trascinare l'Italia (per di più, per chi ha combattuto sul Carso, in tedesco è il nemico). Ma Mussolini stringe ancora di più l'abbraccio mortale con Hitler dapprima aderendo al Patto anti-comintern stipulato tra Italia, Giappone, Germania e uscendo poi dalla SdN per avere le mani libere da ogni obbligo internazionale. La prova definitiva dell'alleanza italo-tedesca è la passività con cui l'Italia reagisce all'annessione tedesca dell'Austria decisa da Hitler nel marzo 38. Non bisogna pensare che il paese volti le spalle al fascismo, ma certo è insensbile alla propaganda sulla guerra in Spagna: sarà prezioso in questo caso l'intervento della Chiesa che riuscirà a commuovere i cattolici raccontando le storie delle persecuzioni dei rossi contro il clero spagnolo: la Chiesa imprime il marchio di guerra santa, di crociata contro il comunismo alla guerra spagnola, proprio mentre il Papa con l'enciclica Divini Redemptoris denuncia l'ateismo e il sovversivismo comunista. Al punto che quando i fascisti vincono Pio XII saluta la Spagna Franchista come il baluardo inespugnabile della fede cattolica. In sunto l'anticomunismo è l'unica cosa che fa leva sugli italiani in questa guerra e sposta consenso ideologico verso il regime, ma che ovviamente non prende tutti, meno che mai i proletari. Comincia a riaffiorare alla memoria quel fascismo che ne biennio rosso non esitò a farsi guardia del capitalismo per distruggere il movimento socialista in ascesa e dimostra ad oggi che, nonostante lo slogan andare verso il popolo, il fascismo resta intrinsecamente reazionario che lo porta ad allearsi con a Chiesa, i Capitalisti, i grandi proprietari terrieri per abbattere il governo socialista e comunista spagnolo e togliere le libertà.

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