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A v a n tg a r d en Fernando Utano A bordo di Uno schizofrenico

ISBN 978-88-6534-063-9

copyright 2010, Statale 11 editrice www.statale11.it soluzioni grafiche e realizzazione

I ce D ream

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Fernando Utano

A bordo di Uno schizofrenico

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A mio padre, uomo umile e di sani principi e al Maestro

invisibile per gli insegnamenti che mi hanno trasmesso.

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Prefazione immateriale del trascendente

È solo scontrandosi con il virtuosismo della mente che si

riesce a dottrinare l’iniziatica superstizione di considerare

la vita come etica primariamente personale e non come

matrice creazionaria dell’infinito.

Nel viaggio di chi tende a evolvere verso un grave

allontanamento dalla relazione, il percorso psicotico diventa

insieme delirante e allucinatorio, la dimensione dell’ideale

sovrasta la didattica della memoria e l’anormalità si riduce a

un gesto senza senso, nel disperato tentativo di fare emergere

il vero sé soffocato dalla maschera sociale, che valorizzano

falsamente norme di comportamento condivise da chi,

avendo paura del logico determina formazioni reattive di

ribellione per distinguersi.

La regolarità e la forma sedano l’angoscia proveniente dal

caos di sentirsi unico: ciascuno di noi individua, magari

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senza averne coscienza della sperimentazione dell’Io, che

sono le emozioni che ci fanno gustare la vita ed è proprio dalle

emozioni, piccole o grandi che siano, che l’individuo spera

di ricavare nuovi stimoli che muovano le sue giornate.

Del resto come si potrebbe dire di vivere appieno se non si

sperimentassero mai la gioia, il tremito dello smarrimento

o della paura, l’impeto della passione, l’abbandono

alla nostalgia, il peso e la disperazione provocate dalla

sofferenza?

Ed è proprio da questo concetto che l’autore parte per

spiegare il senso della propria consapevolezza emotiva,

armonizzando l’assunzione della prospettiva e del ruolo

altrui e reagendo con comprensione di fronte agli ostacoli che

frequentemente si interpongono agli obiettivi desiderati.

Il bisogno di essere presente nel conoscibile razionale

soggiace all’enigmatico discorrere del tempo che scruta

finanche nel più intimo della nostra idea di realtà.

Una sorta di passeggiata attraverso le vie del parossismo

della pulsione che innesca una disseminata passione

nell’umano: questo è l’assoluto che chi scrive attribuisce

alla rappresentazione della realtà.

Questo è ciò di cui la costruzione di un sistema idealistico

dovrebbe tenere conto nella sua ragione: vanificare

il materialismo dialettico dell’essere non negandone

l’esistenza, ma considerandola nella misura in cui giunge

ad averne un’idea chiara e cosciente.

Dr. Francesco Mappa

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Prologo

Come sono strani gli eventi: da qualcosa di insignificante si

può dipanare una storia di organismi deviati, occultismo e

spiritualità. Se non sei vaccinato questa storia non fa per te.

Se lo sei questa storia non fa per te ugualmente, se non sei

pronto a mettere in discussione tutte le tue certezze. Devi

procurarti una buona dose di fantasia aggiuntiva e/o devi

essere stato vestito per potervi credere. Io l’ho vissuta e,

credetemi, ogni tanto dubito ancora. Del resto, prima del

cogito ergo sum, per me viene dubito ergo sum. Dubito,

dunque penso, dunque esisto. Fu mio fratello di sangue

a suggerirmi di dubitare, quando, preso dai fumi della

certezza del mio pensiero, avevo perso il contatto con la

realtà, e mi coniugò questo semplice verbo: dubita. Certo,

adesso vi chiedo: «cos’è la realtà?», ma all’epoca dei fatti,

però, non avevo argomenti per disquisire su tale concetto.

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Reale era per me tutto ciò che rientrava nell’oggettività,

giusto pensiero dell’uomo comune quale ero: occidentale,

italiano, meccanicista, concreto, figlio del tempo. Quindi,

tutto ciò che era frutto del mio pensiero ed esclusivamente

soggettivo, per essere reale doveva trovare molti riscontri, e

io di riscontri non ne avevo, anzi, tutto remava contro.

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1 - La sorte comincia a tramare

Ero un tranquillo odontotecnico di circa venticinque anni

negli anni ‘90, condividevo al 50% una società sana e

produttiva, che serviva alcuni medici dentisti della nostra

zona e di quelle limitrofe, in un piccolo paese di circa

40.000 abitanti nel sud dell’Italia. Avevo una fidanzata e dei

progetti: casa, matrimonio, figli. Alla salute non ci pensavo,

poiché era un dato acquisito e aveva il suo giusto peso, cioè

nullo ai tempi, perché si capisce il valore di qualcosa solo

quando la si perde. Fu proprio l’idea della casa, e la proposta

di un amico, a farmi entrare in una cooperativa edilizia che,

a quanto si diceva, avrebbe dovuto edificare di lì a poco, con

elargizione di prestiti a fondo perduto da parte dello Stato.

Tutto sembrava semplice, ed ero stato proprio fortunato,

ma col passare degli anni mi resi conto che tanto semplice

non era. Il comune non concedeva i suoli alle cooperative,

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poiché il Piano di Zona precedentemente approvato era stato

annullato perché i proprietari dei suoli avevano prodotto

ricorso al TAR. Il presidente della cooperativa continuava a

sostenere che era tutto un imbroglio, un escamotage politico

per favorire i palazzinari e prendere mazzette. Io, concreto,

e non sapendo come funzionasse l’Italia all’epoca, non gli

credetti, ma decisi che avrei acquisito la documentazione.

Cosicché, cominciammo a chiedere per iscritto copie di

deliberazioni comunali inerenti il Piano di Zona, meglio

conosciuto come legge numero 167, dal numero della Legge

Bosetti & Gatti del 18 Aprile 1962. Qui cominciarono i

problemi. Poiché le nostre richieste rimanevano inevase,

fummo costretti a rivolgerci a qualche amico consigliere per

ottenere dette copie. Così, tra un’attesa e l’altra, cominciai

a ricostruire la vicenda, che iniziava a prendere corpo sotto

una luce di mega imbroglio.

Nel frattempo, la legge sull’accesso ai documenti pubblici da

parte dei cittadini venne pubblicizzata dai media e conosciuta

e quindi ci trovammo tra le mani un’arma che al momento

sembrava efficace. Ogni qualvolta l’amministrazione non

dava riscontro alle richieste della cooperativa partivano le

denunce per omissione di atti d’ufficio. Ci sentivamo potenti,

ma non avevamo ancora capito con chi avevamo a che fare,

non era un intoppo locale e cominciammo a capirlo quando

le denunce venivano semplicemente archiviate. Cazzo!

pensavamo, chissà che giro di soldi c’è per mettere a tacere

anche la magistratura.

In compenso, le acque si erano smosse, e le copie delle

delibere le potemmo acquisire per vie ufficiali, cioè entro

lo scadere dei termini di legge. Cosicché, ebbi finalmente

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un quadro completo della situazione. La legge 167, dopo

delibera consiliare che approvava edilizia pubblica e

privata, era stata, come prevedeva la legislazione vigente,

giustamente ratificata dal Presidente di Giunta Regionale,

atto necessario per rendere operativo il Piano di Zona.

L’annullamento consiliare della sola delibera riguardante

i suoli da destinare all’edilizia pubblica (alle cooperative),

non era valida, perché non seguiva, a detto annullamento,

nessuna pronuncia dell’organo regionale che aveva autorità

in materia. Infatti, in un documento in nostro possesso,

l’organo regionale, pronunciandosi in merito, riscontrava

l’inefficacia della delibera comunale di annullamento,

poiché una delibera regionale, può essere resa nulla solo da

pari delibera regionale, che non è mai esistita, e giammai

dall’organo comunale gerarchicamente inferiore.

Nonostante questo documento fosse noto, le amministrazioni

che si succedevano spendevano soldi dei contribuenti in

pareri tecnici, di parte, per darla a bere all’opinione pubblica.

Del resto, qualora si opinasse, che ci fosse un contenzioso

in atto era una opinione giusta, ma non informata, perché il

contenzioso si era perento. Voi vi chiederete: «Chi costruiva

nel comune?» la risposta è: «Gli amici degli amici », e non

solo sulle aree private, ma anche sulle aree da destinare alle

cooperative.

Prima di renderci conto che tutti fossero d’accordo,

chiedemmo incontri alle varie segreterie politiche per

spiegare quello che avevamo scoperto e per una chiusura

pacifica della questione. Tutti ci rispondevano che la legge

167 era stata annullata e/o vi era un contenzioso in atto con i

proprietari dei suoli e che di lì a poco lo avrebbero risolto.

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Erano passati circa venti anni da quando la cooperativa era

stata costituita, io ero solo l’ultimo in ordine di arrivo. Molti

soci, delusi, erano usciti dalla cooperativa avendo perso

tempo e denaro con il sogno infranto di costruire la casa in

economia e con finanziamenti pubblici: infine, erano stati

costretti a comprare dai palazzinari.

Quando ci rendemmo veramente conto del peso della

questione? Quando il nostro ricorso al TAR non produsse

risultati, e altri esposti alla Procura della Repubblica

vennero archiviati. Decidemmo, ingenuamente dico adesso,

di passare alle maniere forti. Quereliamoli! Circostanziando

con documentazione, e ascoltati dalla Polizia Giudiziaria.

Tutto è stato sempre archiviato. Cominciavamo a

comprendere il significato dell’espressione muro di

gomma. C’erano evidenti prove di collusione tra politici e

magistrati. Già ci era chiara la collusione tra maggioranza e

opposizione in Comune. Solo una voce dissonava, ma non

tanto, perché si pronunciava nella delibera di annullamento,

non sulla consapevolezza che fosse un atto nullo, ma

facendo presagire al lettore attento che si dovesse annullare

oltre alla delibera di aree da destinare al pubblico anche la

delibera da destinare ai privati, delibera che invece rimase

vigente. Ma fu solo un tentativo di tirarsi fuori dalla melma,

non abbiamo avuto mai un appoggio politico.

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2 - L’aggancio

La vita continuava serena tra lavoro e affetti, ma queste

vicende mi avevano messo in luce, e più di qualcuno mi

aveva detto di desistere, che ero un Don Chisciotte e non

ce l’avrei fatta contro il sistema. Bel salto di qualità, da

nullità a Don Chisciotte. Giovane e ingenuo, credevo ancora

nell’ideale di giustizia, non sapevo di essere in pericolo di

vita e che gli ideali possono crollare.

Entrai in un piccolo business, un opificio, sembrava andasse

bene. Infatti si produceva parecchio, anzi, la richiesta era

superiore all’offerta. Fu questo fatto, insieme al desiderio

di sanare i debiti in fretta, che ci portò a valutare di cedere

il 20% delle quote a un socio che iniettasse liquidità per

un futuro ampliamento. Fu così che entrò nella società

l’ingegnere. A dire il vero, io non ero d’accordo, avrei

preferito che fossimo andati avanti con le nostre forze e

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sanato i debiti in più tempo, ma la maggioranza volle così,

e dato che io ero irremovibile, e non avevo ancora versato

l’intera somma, la mia quota del 20% non fu intaccata, anche

perché fino al versamento del totale non ero ufficialmente

socio. I problemi, però, anziché sparire cominciarono ad

aumentare. Le condizioni per entrare nella società furono

modificate, l’ingegnere pretese, per un versamento di 400

milioni di Lire, il 50% delle quote per sé, e l’1% per il

fratello, che fu accettato malgrado le mie proteste. In questo

modo, avevamo perso il controllo della società. L’ingegnere

presidente e il fratello consigliere, due su tre componenti del

Consiglio di Amministrazione e il 51% delle quote sociali.

All’epoca, nulla veniva messo per iscritto, ci fidavamo tutti

l’uno dell’altro: ingenuo io e volpini loro.

L’ingegnere trovò un capannone industriale, nella stessa

data del suo ingresso in azienda, e senza metterci a

conoscenza dei suoi movimenti, lo opzionò per l’acquisto

e, nel frattempo, lo prese in comodato d’uso indebitando

l’azienda ulteriormente. Ormai era l’inizio della fine, ero

stato agganciato. Questo capannone era una voce passiva

in bilancio poiché per due anni rimase abbandonato al

suo destino. Quando lo scoprimmo? Io circa due anni

dopo, quando il ragioniere (anch’egli uomo del presidente)

cominciò a chiedere nuovi finanziamenti. Com’è possibile?,

mi chiedevo, che fine hanno fatto i 400 milioni di lire?

La truffa era nell’aria, ma io ancora non presagivo.

Vi chiederete cosa centrasse l’ingegnere con me e con la

legge 167. La risposta è semplice: era ed è un palazzinaro,

invischiato nei loschi traffici per lottizzare il Paese. Aveva

avuto l’incarico di ridurmi all’impotenza dai suoi amici e

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superiori in grado del potere costituito. All’epoca non ero

consapevole di questo oscuro disegno, lo capisco col senno

di poi per i fatti che vi racconto.

Cominciai a interessarmi attivamente dell’investimento che

fino ad allora non mi aveva coinvolto perché continuavo a

svolgere il mio lavoro di odontotecnico e a seguire le vicende

della legge 167.

Smascherammo, infatti, le vicende dell’edilizia,

dettagliatamente, in un manifesto pubblico e tramite

volantinaggio e ci rivolgemmo a una emittente televisiva

privata: non accadde assolutamente nulla. Neanche una

querela per diffamazione nei nostri confronti, poiché

avevamo denunciato, nel manifesto, interessi privati e

collusioni tra amministratori e costruttori.

I problemi entrarono nella mia vita, infatti venivo

continuamente interpellato telefonicamente, e anche di

persona, per fare nuovi versamenti che, però, non avevo

alcuna intenzione di elargire. Ero abbastanza risoluto nel

dire che avrebbe dovuto pagare il presidente, visto che non

era stato autorizzato a opzionare il capannone. Però, in una

riunione, dopo tanto tampinare, riuscirono a convincermi

che avrei dovuto accettare la situazione e che, anzi, era

un vantaggio, perché avremmo fatto il salto di qualità, da

artigianale a industriale.

Coinvolsero un’altra brava persona, un medico, per

racimolare maggiore liquidità, e io avrei dovuto cedere le

mie quote e passare dal 20 al 5%, così pure un altro socio,

mentre altri due soci minoritari, rispettivamente al 5% e al

4%, sarebbero passati all’1%, il tutto per liberare un 20%

da destinare a questo medico e un 5% per un fantomatico

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Mister X. (Scoprimmo dopo molto tempo e molte allusioni

che si trattava di un politico che sedeva in parlamento, ma

non abbiamo mai saputo con certezza il nome).

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3 - L’inizio del tracollo

Il nostro avvocato amministrativista aveva fatto un bel salto

di qualità, dopo averci mollato, non prima di averci venduto,

aveva acquisito tutte le cause che il tribunale destinava

d’ufficio, un bel guadagno. A distanza di anni, sempre col

senno di poi, ce lo ritrovammo Presidente Regionale di una

famosa associazione benefica. Nel frattempo, non abbiamo

mancato di telefonare all’antimafia descrivendo il caso, che

non appariva tanto isolato, come ci fece capire l’interlocutore,

il quale ci rassicurò del loro intervento. Anzi, ci disse che

era previsto da tempo l’insediamento della commissione

sul nostro territorio. Decidemmo, quindi, di chiamare

un avvocato penalista forestiero, visto che quelli locali si

vendevano con facilità al miglior offerente. L’avvocato,

pezzo grosso di Roma, dopo l’esposizione del caso e la presa

visione della documentazione, ci confermò che c’erano gli

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estremi per mandare in galera molti personaggi politici.

Così, prese tempo per studiare meglio il caso e preparare

una denuncia-querela. Pensavamo di aver trovato finalmente

la persona giusta. Infatti, puntualmente, a distanza di una

quindicina di giorni, la querela era pronta e c’era stato un

contatto col giudice che avrebbe seguito il caso. L’avvocato

ci riconfermò, avallato dal parere del giudice, che sarebbe

scoppiato un gran casino e molti pezzi grossi avrebbero

passato guai molto seri. La mattina dell’appuntamento

in tribunale per presentare la querela contro i sindaci e i

consiglieri del comune delle amministrazioni susseguitesi

in quasi 20 anni, il giudice non si presentò.

Avrà avuto dei contrattempi, pensai, ma pensai anche che

la patata dovesse essere troppo bollente. Decidemmo con

l’avvocato di procrastinare il nostro intervento, poiché

mettere la causa nelle mani giuste era indispensabile.

Tornammo a casa. All’ora di pranzo del giorno dopo

ricevetti la telefonata dell’avvocato che mi riferì di aver

parlato col giudice: non intendeva più interessarsi del caso

e anch’egli rinunciava all’incarico, perché troppo grosso

anche per lui. Infatti, dietro tutte le pedine locali, disse,

vi era la Massoneria. Non c’era più qualcuno che avrebbe

potuto aiutarci. In più c’era questa novità della Massoneria.

Avevo qualche nozione in merito, avevo sempre pensato che

i massoni fossero delle brave persone, che si prodigassero

ad aiutare il prossimo e seguissero una via spirituale che

li portasse a scoprire se stessi: nobile progetto. Ma la

realtà dei fatti era diversa. In seguito, ho accettato di non

far di tutta l’erba un fascio e di distinguere tra le brave

persone che perseguono nobili scopi, e coloro che possiamo

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definire deviati, che hanno come fine il potere personale, la

dimostrazione del loro potere, il nepotismo, l’arricchimento.

Ora, quanti si possono chiamare fuori da quest’ultima logica

egoistica, non so quantificare, ma di certo sono una stretta

minoranza.

Cominciavamo sempre più a renderci conto che la battaglia

era impari, eravamo per davvero dei Don Chisciotte, il

sistema proteggeva se stesso, e i mulini cominciavano

ad apparire. Negli anni in cui mi sono interessato della

questione, le acque sembrava si stessero smuovendo, perché

i sindaci che si erano succeduti, avevano fatto finta di

interessarsi. La legge 167 era stata per anni un tema caldo,

ma i tempi non erano ancora maturi, i palazzinari avevano

ancora a disposizione aree lottizzate ove costruire, solo e

soltanto quando dette aree fossero state terminate, la morsa

degli accordi traversi avrebbe avuto fine.

Sull’edilizia molti pescecani speculano, è sempre stato

un investimento sicuro. Non parliamo di terreni che da

incolti o agricoli diventano edificabili, facendo la fortuna

dei proprietari. Gli squali, conoscendo in anticipo i futuri

sviluppi dei Piani di Zona – oggi si parla di Piani Regolatori

Generali –, fanno allettanti proposte agli inconsapevoli

possessori di suoli, e si arricchiscono.

Quando cominciai a preoccuparmi? Quando persone che

non conoscevo, incrociandomi per strada o al supermercato,

o se a me vicini di tavolo, parlando da sole senza rivolgermi

la parola e lo sguardo, dicevano: «Ma chi te lo fa fare!»;

«Don Chisciotte!»; «Lascia perdere»; «Povero Cristo»;

«Povero Diavolo.»

Era iniziata la psicosi, mi sentivo al centro dell’universo,

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di ogni discorso degli altri. Ma riuscivo ad analizzare la

situazione poiché non era solo frutto di fantasia, il sistema

si era mosso contro di me, dovevano rendermi un testimone

inaffidabile, incapace di intendere e di volere: quale

tribunale avrebbe dato credito a uno psicotico? Del resto

mi era andata bene, era una fine onorevole, di solito sono

più sbrigativi, ma avrebbero creato un martire. In un ultimo

colloquio col presidente della società gli chiesi perché avesse

portato alla bancarotta un’azienda che fatturava mezzo

miliardo di lire all’anno, resomi ormai conto del tranello.

Mi rispose cinicamente che non c’era nulla di personale nei

miei confronti e non addusse altre motivazioni.

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4 - Conciato per le feste

Fin da quando avevo deciso di lavorare part-time in

opificio, per seguirne gli sviluppi, mantenendo il mio lavoro

di odontotecnico al pomeriggio, mia sorella di sangue mi

aveva avvisato: «Non ti fidare», diceva, «un socio mi ha

fatto vedere delle polveri dicendo: con un po’ di questa nel

caffè ogni giorno una persona può diventare pazza.»

Mia sorella era disperata, associando queste parole al mio

stato di salute (ero effettivamente stressato, la battaglia

durava da tempo), voleva a tutti i costi che non frequentassi

più certa gente. Mi diceva: «Non pensare ai soldi, non fanno

la felicità.» Era una grande donna già allora.

Ormai ero incastrato nel meccanismo e per uscirne mi

avrebbero conciato per le feste. Durante i mesi di part-time

lavorando e familiarizzando con soci e operai, avevo saputo

di soldi guadagnati dall’opificio e non versati sul conto dell’

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azienda ma sul conto personale del presidente; inoltre, in

confidenza, un operaio, parente di un socio importante, mi

disse che l’azienda sarebbe stata gestita ad hoc per tenerla

sempre sul punto di crisi, per eliminare i soci di minoranza.

Erano stati fatti prelievi da cinque banche per 200 milioni

a banca ed eravamo in rosso di oltre un miliardo di lire. Le

entrate erano minori dei costi di acquisto merce. Che fine

facevano i soldi? Cominciai a pretendere di verbalizzare

le assemblee e di visionare tutti i movimenti bancari;

cominciai a prendere le distanze da tutti, perché il leitmotiv

era che tutti sapevamo tutto, eravamo tutti coinvolti. Io no

purtroppo, che ci si creda o no, lo scoprii molto tardi e per

non essere coinvolto nel fallimento imminente decisi di

querelare il Consiglio di Amministrazione e non approvare

l’ultimo bilancio, che, anzi, avrei palesato al notaio come

falso, come ben mi resi conto ascoltando una conversazione

tra il ragioniere dell’azienda e il commercialista.

Nei mesi in opificio, la mattina facevamo un break con caffè

che veniva preparato da una socia addetta alla produzione,

nella cucina della casa attigua. Quella mattina, preso il

caffè, notai subito che aveva un sapore dolciastro, diverso

dal solito, pensai immediatamente che mi avessero drogato,

però non dissi nulla. Riflettendoci, adesso ricordo che

stavo prendendo una tazza diversa, ma mi disse la signora:

«Questa è senza zucchero, prendi quest’altra.» E mi porse

la tazza che volle lei.

Nel giro di poco tempo, iniziai a fantasticare, idealizzavo

le persone pensando: questi sono diavoli, questo è Dio. Non

mi rendevo più conto dei miei pensieri, anzi, cominciai

ad avere crisi di panico, vedevo tutti come dei nemici che

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tramavano contro di me e cercai di andar via. Prima di

uscire, si avvicinò il figlio della socia mi guardò negli occhi

e, andando via, si rivolse alla madre e disse: «Ha paura.»

Mi avviai all’auto, ma non riuscivo a coordinarmi, avevo

troppa paura, non so di cosa. Riuscii a tornare dentro,

telefonare a casa, e dire: «Venite a prendermi, non mi sento

bene.»

Entrò in amministrazione il marito della socia che mi aveva

drogato e disse: «Ma guarda un po’, è morto e non se ne

rende conto.»

Dopo dieci minuti, arrivarono mia sorella e mio cognato e

mi portarono a casa. Mi misi a letto impaurito e tremante,

e alle domande dei miei rispondevo solo con: «Che cosa

mi hanno messo nel caffè? Che cosa mi hanno messo nel

caffè?»

Chiamarono mio fratello medico – quello del dubita – che

pensò ad un esaurimento nervoso dovuto allo stress

degli ultimi mesi e alla situazione di fallimento dell’azienda.

Tutto si sarebbe risolto col riposo, ma prenotò,

comunque, una visita con un amico neurologo che nel giro

di pochi giorni venne a casa a visitarmi. Non so se presi

dei tranquillanti, dei primi giorni non ho ricordi definiti,

se non il pensiero fisso che mi avessero drogato e tanta

paura. Quando il neurologo si presentò a casa la situazione

non era migliorata. Mi visitò, controllò i riflessi e

cominciammo a parlare. Gli raccontai tutta la storia: la

legge 167 e la cooperativa, l’azienda in fallimento ad hoc,

il fatto che ero stato drogato, la massoneria. Pensate mi

credette? No di certo! Mi congedò e disse a mio fratello che

non ero di sua competenza, ma di competenza psichiatrica.

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5 - L’incontro con lo psichiatra

Ero abbastanza tranquillo di incontrare lo psichiatra, la

situazione non suscitava in me particolare apprensione

come nella maggioranza delle persone. La paura di aver a

che fare con questo professionista è latente in ognuno di noi

per ignoranza di se stessi, poiché si teme di scoprire di avere

qualche rotella fuori posto che non si è palesata alla nostra

coscienza; inoltre, se si venisse a sapere, cosa penserebbe

la gente? Niente di più falso: almeno un paio di volte nella

vita si dovrebbe ricorrere all’analisi profonda di se stessi e

al confronto con un professionista. Lo sostiene ogni buon

psicoterapeuta ammettendo che prima di mettere in analisi

gli altri, è necessaria l’analisi di se stessi, del proprio pensiero,

dei propri condizionamenti, del proprio vissuto, dei propri

schemi. Nota fondamentale è l’essere pronti a mettersi in

discussione e imparare nuove strade, comprendere che il

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ruolo medico-paziente non è nel senso logico dei termini,

ma a volte si inverte. Quest’ultima affermazione non è da

tutti condivisa, se non da quegli analisti che sono al di sopra

della media e non conformati col sistema di riferimento in

cui vivono.

Mi spiego: un analista occidentale che non ha mai studiato

il pensiero orientale, più intriso di spiritualità, non

potrebbe mai capire le dinamiche dell’anima, semmai

ne ammettesse l’esistenza, ma si fermerebbe a valutare

sintomi e comportamenti quali semplici scambi biochimici

all’interno del nostro cervello. È pur vero che anche qualche

medico occidentale comincia a porre come base il tema

della reincarnazione (eresia per la chiesa) quale dinamica

da disvelare, usando l’ipnosi regressiva.

Parlando di reincarnazione si aprono territori vastissimi da

esplorare, non siamo più circoscritti a una sola esistenza e

si affaccia il tema dell’immortalità e una luce si accende per

rispondere ai grandi temi esistenziali. L’anima non è scienza.

L’anima è sempre stato campo di gioco delle religioni, dei

preti. Una questione di fede. Ma questa religione è in grado

di capire il percorso di un’anima? Oppure, secolarizzata e

sterile, racchiusa in dogmi, non è altro che una ennesima

lobby di potere gerarchizzato che pensa a come accrescere

le proprie finanze? Non sono forse uomini come noi, con

una semplice divisa addosso, che vivono le nostre passioni,

frustrazioni, delusioni, innamoramenti, odio? Abbiamo

dimenticato che i liberi pensatori del passato venivano messi

al rogo? Abbiamo dimenticato le scoperte della scienza

rinnegate per evitare il rogo? È cambiata la forma, ma non

la sostanza; oggi non è tutto solo politicamente corretto, è

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anche tutto religiosamente corretto. La cappa che ci avvolge,

questa coscienza collettiva che ci opprime, non lascia

fuoriuscire facilmente un’anima dal proprio seno. Come

possiamo farci guidare, quindi, nel percorso dell’anima

dalla scienza e/o da questa religione, se tutto deve sempre

rientrare in determinati canoni? Difficile trovare analisti e

preti illuminati sul proprio percorso, anche se, cercando, la

qual cosa non è impossibile.

Lo psichiatra non era uno diverso dalla norma, dopo avergli

raccontato le mie vicissitudini, concluse che ero affetto

da scompenso psicotico, lo certificò e mi diede una cura.

La causa era il forte stress emotivo, dovuto all’imminente

fallimento dell’azienda, e quindi alla perdita di soldi; inoltre

mi disse che ero affetto anche da manie di persecuzione.

Sinceramente pensai che anche lui fosse parte del gioco e

minacciai di querelarlo. Adesso non si scherzava più, ero a

tutti gli effetti uno psicotico.

All’epoca vivevo in casa dei miei e, pur non volendo, la cura

mi veniva somministrata di nascosto. Stavo osservando un

periodo di completo riposo e di assenza dal lavoro. Quando

mi resi conto che venivo sedato mio malgrado, persi la

calma e andai in escandescenza. Forse cominciavo ad avere

veramente la psicosi, erano i farmaci o forse erano ancora

gli effetti della sostanza nel caffè? Non lo sapevo. Oppure

era la situazione creatasi in casa?

Mia sorella, molto pia, pensò che fosse opera del diavolo, era

l’unica che credeva alla mia versione dei fatti, ricordandosi

anche della polvere che fa impazzire. Io non gli diedi

credito, ma accettai di ricevere la visita di un noto prete

locale. Già in quel tempo la mia mente galoppava veloce

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su diverse questioni, e me ne meraviglio ancora. Leggendo

il Credo su un foglietto di chiesa lo criticai cancellando

la parte finale che riguarda la Chiesa cattolica, cominciai

a provarne avversione. Quando mi incontrai col prete fui

abbastanza cordiale, ma gli feci capire che non credevo in

lui e nella Chiesa, anzi, che mi erano nemici. In effetti il

mio modo di pensare era cambiato, non so perché. Per mia

sorella, queste erano prove della possessione.

Mi rividi altre volte con lo psichiatra, e ogni volta mi

sembrava di affrontare una battaglia, in effetti stavo

peggiorando, mi divertivo a capire chi tra noi due avesse la

mente più sveglia punzecchiandolo su diversi argomenti, lui

di rimando, calmissimo, rispondeva senza scomporsi. Per

me era un gioco e lui lo capì perché mi disse: «Continui a

prendere la terapia, lei ci gioca con la mente.»

Devo riconoscergli una certa bravura, col senno di poi, mi

è stato di grande aiuto, pur nei suoi limiti. Intanto, in casa,

rifiutavo di bere dai bicchieri che mi venivano porti, mi

versavo da bere da solo, e cominciavo a vedere come nemici

anche i miei familiari. Possibile tutto ciò a causa di una

droga presa nel caffè? Mi accorsi, allora, di uno strano

colore nella minestra: mia sorella aveva cambiato tattica.

Così, rifiutavo di mangiare se non assistevo al prelievo del

cibo dalla pentola o cambiavo piatto e bicchiere. A distanza

di un paio di settimane avevo maturato l’idea di andare via

da casa. Visto che continuavano a curarmi di nascosto, ho

pensato che lo facessero d’accordo con i miei nemici, e che

fosse il prezzo da pagare al posto della morte.

Don Marco lo rividi per strada a distanza di anni, quando

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tutto era finito, mi chiese come stessi e mi disse: «Dio è

buono.»

Io gli risposi: «Dio non può essere solo buono, non sarebbe

onnipotente.»

Ci separammo e non lo rividi più, in seguito morì, ormai

anziano.

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6 - T.S.O. e N.D.E.

Una sera, tutti riuniti a casa c’erano la mia famiglia e i

parenti della mia fidanzata, più un amico di infanzia,

mio maestro di arti marziali, l’unica persona fidata, non

poteva tradirmi era il mio maestro. Gli confessai che

quella sera sarei fuggito di casa e gli chiesi se mi avrebbe

aiutato. Mi rispose affermativamente, e mi chiese di

aspettare perché doveva andare in bagno. Avvisò la

truppa che si preparò all’assalto finale nonostante la porta

di uscita fosse chiusa a chiave. Quando tentai di uscire e mi

accorsi che la porta era chiusa cominciai a dare in

escandescenze, credetti ancora di più che fossero tutti

nemici, che fossi in galera, lo gridavo e cominciai a essere

violento, non era mai successo prima. Come vi sentireste

voi privati della libertà e curati vostro malgrado? Come

un branco di lupi, si avventarono sull’agnello indifeso, il

maestro a sinistra, il fratello professore a destra, altri cerca-

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rono di inserirsi, ma gli fu detto di allontanarsi. Il maestro

conosceva le tecniche di bloccaggio e la mia parte sinistra

era in una morsa, dalla parte destra avevo libera la gamba

e pensai in un baleno: gli spezzo la gamba al livello del

ginocchio. Poi optai per qualcosa di meno violento e

schiacciai il piede del professore più volte. Questo pensiero

mi dimostra che ero solo vittima delle circostanze, non ero

effettivamente violento. Dietro indicazioni del maestro,

riuscì anche il professore a bloccarmi.

«Io non me la sento», disse il fratello medico.

«Gliela faccio io», disse mia cugina infermiera.

Vidi che avevano preparato una siringa, come seppi

in seguito era un Trattamento Sanitario Obbligatorio,

cosiddetto T.S.O. Era già stato preventivato dallo psichiatra

nell’evenienza che si fosse verificato l’episodio che vi sto

raccontando, istruendo mio fratello medico. Un T.S.O. non

è una procedura di routine, bisogna chiedere il permesso

al sindaco, ma nel mio caso questo permesso non c’era.

Capisco, adesso, i miei familiari per tutto quello che hanno

fatto al solo scopo di tutelare la mia salute. L’infermiera,

mia cugina, mi iniettò la fiala nella coscia destra, passati

pochi secondi persi immediatamente le forze, la coscienza

era desta, però il mio corpo era una foglia nelle mani del

vento. Mi misero a letto, tutti erano molto agitati e qualcuno

piangeva. Il professore disse: «Non fatevi prendere in giro,

sta fingendo.»

Il medico e l’infermiera sapevano che non era così, mia

cugina mi chiese: «Fai uso di sostanze stupefacenti?»

Risposi: «No! Mi hanno drogato.»

Mi controllò gli occhi, erano ruotati all’indietro, lo ricordo

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benissimo. Cominciarono a spaventarsi per davvero, io ero

tranquillissimo, avevo cominciato a viaggiare verso la luce,

era avvolgente, calda, cominciai a sentire delle voci. Nel

frattempo mia cugina mi misurò la pressione e cominciò a

gridare: «Lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo!»

Era un collasso cardiocircolatorio. Le voci mi dicevano,

mentre uscivo dal mio corpo: «Vuoi bene a tuo padre? Vuoi

bene a tua madre? È presto ancora, torna indietro.»

Risposi risoluto che era bello morire, non volevo ritornare

nella gabbia del corpo e dai miei nemici, e che non volevo

bene a nessuno. C’era tanto amore dove stavo adesso, ne

ero avvolto, ne facevo parte. Quando la voce mi chiese:

«Vuoi bene alla tua ragazza?» in un attimo decisi di tornare

indietro, non avrei sopportato la sua sofferenza. Fu un atto

d’amore del quale non mi pento, anche se ricordo i patimenti

del corpo e della mente, sentii un freddo intenso nell’essere

risucchiato indietro. Come fu, come non fu, mi avevano

iniettato un cardiotonico, la pressione era risalita. Poi black

out, dormii tranquillo.

In seguito, quando mi ristabilii, ero cosciente di aver fatto una

esperienza di premorte, che gli americani hanno classificato

come Near Death Experience. Ne ebbi la conferma, pian

piano, la prima volta acquistando e leggendo Abbracciata

dalla luce di Betty J. Eadie.

“Ho imparato di più sulla premorte da questo volume che

da qualunque altra mia esperienza precedente, inclusi i

dieci anni passati a studiare l’argomento e i colloqui avuti

con le persone tornate alla vita dopo essere state dichiarate

clinicamente decedute.” (dall’introduzione del Dr. Melvin

Morse).

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Mi svegliarono i bisogni fisiologici, ero frastornato, ma

ricordavo tutto quello che era successo, scesi dal letto e mi

avviai al bagno. Avevo, da quel momento in poi, sempre un

guardiano, quella prima volta c’era il professore, mi chiese

se ce la facessi da solo, gli risposi di sì. Feci il mio bisogno

e appena finito, in piedi, mi addormentai e caddi battendo

la testa al termosifone, mi svegliai di colpo per il dolore e

venni sorretto fino al letto.

Per diversi giorni, dormivo e mi svegliavo giusto per i

bisogni, anche alimentari. Mi davano, facendo attenzione

che la prendessi, la terapia farmacologia. La mia coscienza,

dopo quel trattamento, aveva subito un forte trauma, al

punto che la mia identità ne fu trasformata. L’esperienza che

avevo vissuto, non abbastanza analizzata da me in quelle

condizioni, mi portò a identificarmi con Gesù. La premorte,

l’immersione nell’amore, il ritorno, il senso di immortalità.

Certamente la mancanza di informazioni e la sedazione mi

fecero pensare di essere risorto e di essere il Cristo. Nel

sogno che avevo fatto, mi vedevo fuori dal mondo, mentre

nel mondo, da osservatore, vedevo due energie, una bianca

e una nera che combattevano. Quando lo rivelai al fratello

medico gli dissi che l’umanità era in pericolo, le forze del

male stavano prendendo il sopravvento e io, Gesù, ero

tornato per affrontare quella guerra. Lui sarebbe stato il

mio primo discepolo combattente, e lo investii del grado di

arcangelo. Mio fratello mi disse allora, con le lacrime agli

occhi: «dubita.»

Lo psichiatra decise che la terapia, che inizialmente andava

a scalare, dovesse essere invece aumentata per continuare

a farmi dormire. Cominciai ad alternare periodi di sonno e

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veglia, e ogni volta mi svegliavo con pensieri schizoidi. In

uno di questi, avevo parlato con Dio, il quale mi aveva dato

l’incarico di tornare sulla terra a ricordare la missione di

combattere il male, che i miei fratelli avevano dimenticato,

poiché si erano identificati col personaggio umano che

rivestivano, non ricordando chi fossero. Quando capii che

lo psichiatra aveva tanto potere, infransi la parola data a

Dio, ovvero di essere sempre veritiero, e cominciai a non

disvelare i miei pensieri, sempre schizoidi, tant’è che

finalmente, dopo molto tempo, cominciarono a farmi uscire

di casa, accompagnato dal guardiano di turno, per farmi

prendere contatto con la realtà e verificare se avessi potuto

riprendere a lavorare.

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7 - Mia sorella combatte per me

Nessuno toglieva dalla testa di mia sorella che il mio stato

di salute fosse opera del diavolo, lo aveva accennato al resto

della famiglia, ma fu messa a tacere e ridicolizzata. Aveva

però l’appoggio del marito e di nostra madre. Continuò la

sua battaglia rivolgendosi dapprima alla Chiesa, nella

figura di preti amici, che alle sue domande disperate

rispondevano: «Il male esiste.»

Chiedendo se commettesse peccato tentando altre strade,

un prete intelligente, le disse: «Tenta pure tutte le strade.»

Fu così che cominciai a conoscere preti esorcisti e operatori

dell’occulto. Mia sorella mi fece una foto, facendomi posare

sull’attenti e mi disse: «La devo mostrare a un mago.»

Io pensai che mi stessero reclutando, avevo in mente sempre

la battaglia tra bene e male. Mia sorella tornò col responso:

mi avevano fatto una fattura, e Giorgio, il mago, avrebbe

cominciato a lavorare su di me, a distanza, per liberarmi.

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Io cominciai a credere in tutto ciò perché, molte volte, i

pensieri non li percepivo come miei, sentivo che mi erano

estranei, questo confermava in mia sorella la fattura: era

il diavolo a possedermi. Questo lavoro di Giorgio durò

alcuni mesi, durante i quali contattammo anche un prete

esorcista che mi esorcizzò senza risoluzione. Ricordo in

sala d’aspetto, mentre una donna era all’interno e veniva

esorcizzata, le grida e le imprecazioni di questa donna, che

doveva essere liberata dal demonio. Cominciammo a pregare

spontaneamente fino a quando la donna uscì, sembrandomi

molto sollevata.

In una telefonata da Palermo, parenti con i quali mia sorella

era in contatto, e con i quali si era confidata, la misero in

guardia da Giorgio, perché si trascinava per le lunghe e il

suo intento era solo di spillarle soldi. La commara le disse:

«Se ci credi veramente, vieni a Palermo, ti porto dallo zio

Tino, ci andrai una sola volta e ti dirà di cosa si tratta e, se

risolvibile, basteranno pochi giorni, non mesi.»

Andai a Palermo con mia madre nascondendo la natura del

viaggio al resto della famiglia, a una stazione scendemmo

per cambiare treno e fui attratto dai libri e acquistai

Abbracciata dalla luce. Arrivammo a Palermo, i parenti

ci aspettavano, tutti sapevano del mio stato di salute. Tutti

mi credevano, per loro non ero pazzo come lo ero per tutti

gli altri; trovai conforto e speranza. Parlai loro della mia

esperienza e mi credettero sulla parola, quella notte riposai

tranquillo. L’indomani, dopo pranzo e dopo la mia porzione

di cassata siciliana, mi accompagnarono dallo zio Tino,

persona di campagna umile e forte, determinato. Gli spiegai

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le mie condizioni. Mi portò nel suo sancta sanctorum dove

notai tante figurine di santi attaccate al muro, candele,

incensi, talismani. Mi chiese di togliere i vestiti, l’orologio e

la collanina, rimasi in slip, fece delle fumigazioni e

cominciò a recitare preghiere che non conoscevo. Alla fine

mi disse che aveva percepito una fattura fatta da un mago

molto potente e che lui gli era inferiore di grado, quindi

non poteva fare altro che alleviare le torture, ma non

guarirmi. Mi chiese se avessi voluto un abitino, per

protezione, da portare sempre con me, gli risposi

negativamente, non avrei potuto spiegarlo ai familiari

estranei a questi fatti. Mi propose, allora, di immergere

la mia collanina in una polvere protettiva, avrei portato

almeno quella? A questa richiesta acconsentii. Mi disse

che avrei dovuto combattere instancabilmente, di non

mollare mai, non ero assolutamente pazzo e mi consigliava

di non prendere farmaci. Nel commiato ci abbracciammo

e mi regalò un libro, Invito all’Amore di Suor Josefa

Menéndez, religiosa del sacro cuore di Gesù. La lettura di

questo libro mi ha molto colpito: è l’esperienza con Gesù

della suora e termina con l’invito a far conoscere l’Amore a

tutti coloro che sono lontani da Dio. Suor Josefa mi chiedeva

di aiutarla nella sua opera d’Amore, la richiesta non era

tanto distante dal combattere il male, così accettai questa

nuova missione.

Nella mia mente combattevo contro i cattivi pensieri,

cominciavo a pensare al suicidio, ma come analizzai e

smascherai i pensieri a me estranei? Tra le tante voci che

sentivo e che credevo di pensare, se ne affacciò una strana:

«come si fa sesso?»

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Santi numi, pensai, questo non sono io, io so come ci si

accoppia.

Avevo adesso la certezza personale, senza poterlo provare

ad altri, che in me c’erano altre entità. In un altro episodio,

che ricordo a malincuore, ero con mia madre nel laboratorio

dove lavoravo, sentii una voce autoritaria che mi diceva:

uccidila. Presi il coltello da gesso che era sul tavolo e feci

due passi verso di lei con l’intento di ucciderla, ma un’altra

voce, e fu la prima positiva di tutti quegli anni, con autorità

ben più potente disse: non uccidere. Mi bloccai all’istante e

mi resi conto di quello che era successo, avevo avuto la prova

personale che il bene e il male si stessero contendendo la mia

anima. Avevo sentito finalmente la voce di Dio che tanto

pregavamo. La scienza non ammette questa possibilità, ero

a tutti gli effetti uno schizofrenico e come tale dovevo essere

trattato farmacologicamente. Il solo raccontare questi fatti

allo psichiatra, lo convinse ancor di più della sua diagnosi.

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8 - il lavoro

Cominciai a provare a lavorare, ma non riuscivo a

mettere a fuoco l’immagine. Avevo, inoltre, difficoltà

di concentrazione, scatti improvvisi involontari della

muscolatura, crampi alle dita delle mani nella posizione di

tenuta della penna. Iniziai lentamente a scivolare verso la

depressione, infatti, immaginavo la mia vita, a quel punto,

finita, poiché dal lavoro dipende il futuro e i progetti di

ognuno di noi. Non mi sentivo più Gesù, l’aver sentito quella

voce perentoria mi aveva ridimensionato al rango di nullità.

Pensai che il lavoro dello zio Tino mi avesse in qualche

modo aiutato, ma sapevo che non sarebbe finita. Riferendo

gli effetti collaterali allo psichiatra, si decise di diminuire

gradualmente il dosaggio della cura, fino a quando fossi

riuscito nel mio lavoro. La vista cominciò a migliorare un

po’, tuttavia l’ostacolo più grosso era la mia scarsa capacità

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di concentrazione. Preso un lavoro in mano, mi ci dedicavo

ore e ore senza, però, completarlo in quantità e qualità. Mi

astraevo completamente da quella dimensione e seguivo le

voci interne che tra un ordine e un contrordine mi facevano

seguire un altro percorso. Quando me ne rendevo conto, mi

criticavo, ma era più forte di me, non riuscivo a lavorare, in

più ci avevo preso gusto a quel dialogo interiore. Nell’arco

di due, tre mesi avevo realizzato pochi elementi di scarso

impegno e poco valore economico. Il collega che fino ad

allora aveva provato ad aiutarmi, rendendosi conto della

gravità, cominciò a parlare di scioglimento della società.

Il medico dentista, che sulle prime si dimostrò sensibile,

mi disse di non mettere più piede nello studio perché ero

di disturbo alle attività lavorative. Da un’altra società di cui

facevo parte, in un altro paese limitrofo, me ne uscii per

recuperare qualche soldo, e perché non avrei più potuto

interessarmene; quel collega fu onesto e mi diede tutta la

mia parte senza batter ciglio.

Comunque crollai, ero in depressione profonda, ansioso,

desideravo la morte, anche se una piccola parte di me si

chiedeva perché. Ero molto tentato, poiché mi ero reso conto

che la fisicità era solo un’illusione e che la vita non finisce

con la morte.

Anche la società principale si sciolse e rimasi circa cinque

anni senza lavoro. Frequentavo di tanto in tanto il laboratorio,

come scusa per uscire da casa, non avevo amici e non sapevo

dove andare. Solo il Dr. G., che alla lunga si è dimostrato un

galantuomo, mi disse di non preoccuparmi del mio posto di

lavoro da lui, che sarebbe stato sempre disponibile ogni qual

volta io fossi stato in grado di lavorare. Infatti, a fasi alterne,

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quando riuscivo, ho lavorato per lui facendo ancora più

attenzione del solito per garantirgli un’ottima prestazione.

I due medici del mio paese con i quali avevo contatti erano,

invece, due cinici e ingrati. Uno, più volte contattato, ha

sempre detto ai miei familiari che mi avrebbe aiutato, ma

non l’ha mai fatto. Non gli do tutti i torti, non avrei potuto

reggere una grossa mole di lavoro, ma un lavoretto al mese

avrebbe potuto passarmelo. Ormai ero un appestato. L’altro

medico, pian piano, ha ritirato la sua collaborazione senza

farmi sapere più nulla, per giunta si era permesso di dire al

mio caro amico Dr. G.: «Ancora con lui lavori, quando lo

lascerai a casa?»

Avevano dimostrato il loro valore, e come diceva sempre

mio padre, proverbio che fino a quel momento non avevo

capito: «Allo sciogliersi della neve appaiono gli stronzi.»

La neve si era sciolta.

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9 - Iniezioni di fiducia

Come combattevo la depressione, l’ansia e i demoni? Con

gli antidepressivi, gli ansiolitici e l’aiuto di Dio, che mi si

palesava lungo il cammino sempre in modo più evidente,

contrapposto alle voci negative.

La depressione, diceva lo psichiatra, era un buon sintomo,

perché cominciavo a criticare i miei fumosi pensieri e

prendevo contatto con la realtà. Certo, c’erano problemi

da affrontare: ero senza lavoro, l’opificio era fallito, la

mia fidanzata aveva timori per il nostro futuro. Anche se

non mi aveva mai abbandonato grande anima, aveva però

timore a vivere con uno schizofrenico. Nel frattempo si

era diplomata infermiera professionale, aveva nozioni di

psichiatria e conosceva bene la malattia e i miei pensieri, i

quali le confidavo in tutta onestà. Era lei la mia bussola. Ha

sempre avuto una mente aperta, e pur dubitando della mia

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battaglia interiore non la escludeva. Con lei parlavo dei miei

pensieri profondi.

Avevo coscienza della mia malattia, un problema di

identificazione, per questo cominciai a chiedermi: «Chi

sono io? Da dove vengo? Dove vado?»

In una riflessione profonda ero giunto alla considerazione

che l’io non esistesse, e che fosse solo un temporaneo

identificarsi e che noi non siamo realmente l’io. Nessuno

sapeva darmi queste risposte, neanche la Chiesa nella quale

avevo di nuovo riposto la mia fiducia. Nel giro di confessioni

che mi feci, capii la piccolezza di alcuni preti, e la grandezza

di altri. Questa grandezza, però, non passava attraverso

i canoni del cattolicesimo, che cominciò a sembrarmi

sempre più uno schema dal quale uscire. Infatti, un solo

prete mi comprese, era un esorcista dell’America Latina

che confermò la mia battaglia, ma si dichiarò impotente nei

confronti delle fatture, non avendo avuto insegnamenti in

tal senso. Eppure, Padre Amorth, in una trasmissione Rai

di cui non ho però riferimenti, ha ammesso l’esistenza di

tali malefici.

Se avete la pazienza di cercare su You Tube l’Intervista

a Don Gabriele Amorth del 2006 rilasciata al giornalista

Alessandro Atzeri, avrete la conferma di quello che

sostengo.

D’accordo con la mia ragazza, andammo a seguire una

conferenza di Douglas Baker sulla reincarnazione, era un

tema importante per me, data l’esperienza che avevo fatto

e le domande che mi frullavano in testa. Fu affascinante,

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ero convinto più che mai, adesso, che la mia certezza di

immortalità passasse, per forza logica, attraverso la rinascita,

cominciavo a vedere la realtà nell’ottica del karma. Domande

tipo: «Perché a me? Perché si soffre?» cominciavano a

trovare risposta concreta e non da favola per bambini. Io ero

responsabile delle mie azioni e del mio destino, però, non

ne ero pienamente consapevole. Le conseguenze alle azioni

compiute, per quanto brutali, le accettai con più serenità: non

era Dio a punirmi, ma ero io ad aver scelto quel determinato

percorso di crescita spirituale. Cominciai a studiare i temi

che mi affascinavano, compresa la magia, volevo trovare da

solo un rimedio al mio male e avere risposte. Acquistai alla

conferenza dei libri del Dr. Baker facendomeli autografare

e leggendoli con avidità, si trattava de: L’aura umana, Le

leggi Karmiche, Supercoscienza e meditazione, Psicologia

esoterica.

Un nuovo bellissimo mondo, fino ad allora sconosciuto,

mi venne incontro. Fu logica conseguenza pensare quali

insegnamenti ci propinasse la Chiesa; imparai comunque a

distinguere e a continuare a rispettare la figura del Maestro

Gesù dall’istituzione cristiana che mi sembrò sempre più

falsa.

Scrive il Dr. Baker, in Supercoscienza e meditazione, che

le grandi religioni mondiali, nessuna esclusa, hanno avuto

sempre due insegnamenti diversi: uno essoterico destinato

alle masse e uno esoterico ristretto a una cerchia di iniziati.

Fa l’esempio, preso dalla Bibbia, delle parole di Gesù ai

discepoli, in Marco 4:11: “A voi è stato dato il segreto del

regno di Dio, ma per quelli che sono fuori, tutto avviene in

parabole.”

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Questo perché non si assista al fatto che la massa, ignorante,

non comprenda e profani gli insegnamenti. Ecco perché

gli iniziati sono vincolati al silenzio, conoscendo bene le

reazioni del popolo alle disvelazioni. Addirittura, sempre

nella Bibbia, segue nel versetto su citato: “perché non

avvenga che si convertano e sia loro perdonato.” Ora mi

sembra chiaro che bisogna mantenere le masse all’oscuro,

affinché sia instillato in loro il sentimento di peccatori, e

abbiano bisogno della Chiesa per riconciliarsi e peccare

ancora in un circolo vizioso, poiché è nell’essere ignoranti

che si erra. Questa era la logica dell’ Era dei pesci, l’Era

dell’Avatar Gesù, l’Era dell’ignoranza.

Mi sostenne in questo pensiero anche Arthur Schopenhauer,

infatti scriveva: “Per tenere a freno gli animi rozzi e per

distoglierli dall’ingiustizia e dalla crudeltà, non serve la

verità, poiché essi non sono in grado di comprenderla. C’è

bisogno dell’errore, di una favola, di una parabola. Da ciò,

la necessità delle dottrine religiose materiali.”

Accade che, nel seno del cristianesimo antico, vi era un

movimento che non rispondeva a questa logica: quello

degli Gnostici. Leggendo di loro, si apprendono delle

sostanziali differenze dal cattolicesimo: l’emanazione da

Dio dell’universo e la dottrina della reincarnazione. Un’altra

riflessione è che “il Dio dell’antico testamento sarebbe un

Dio malvagio, che mira a tenere l’umanità nella schiavitù

della materia e dell’ignoranza.” e ancora “attraverso

riti e formule magiche, si doveva propiziare l’ascesa al

regno spirituale del principio divino dell’anima umana,

esorcizzando i demoni.”

Questi temi mi erano affini, cominciavo a vederci più

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chiaro. Lessi, appresso, la Pistis Sophia e ebbi la certezza

che quanto avevo sognato e delirato non fosse frutto di

fantasia, o perlomeno che vi fossero dei matti come me.

Infatti, secondo questo testo fondamentale del pensiero

Gnostico, “[...]nel mondo degli eoni – il nostro mondo – si

consuma il drammatico scontro tra la materia e la luce.

Episodio centrale è il destino di Pistis Sophia, collocata

nel penultimo eone (12°), che, desiderosa di tornare e salire

nella luce del Padre, commette l’errore di confondere la luce

suprema con quella dell’arconte più malvagio, l’Arrogante,

cosicché viene trascinata nel tredicesimo e ultimo eone. Per

riscattarsi dovrà seguire, come tutti gli uomini, il Cristo,

che solo può risvegliare chi è caduto sotto il potere degli

arconti decisi a far dimenticare a ogni creatura la propria

origine divina.”

Mi immedesimai in Sophia, e cominciai a combattere l’idea

che fossi malato con l’idea di un percorso spirituale nel

quale intravedevo la luce. Mi chiedevo, tormentato dalle

voci, pensando di dover fare una scelta di campo tra buoni

e cattivi: «Chi mi assicura che i buoni siano buoni, che i

bianchi siano bianchi? E se fosse l’inverso? Se i buoni

fossero in realtà i cattivi e il bianco fosse nero?»

Ero tormentato da questo dubbio, ma mi venne in aiuto il

gruppo dei Jarabe De Palo con la canzone Depende che

diceva: “che il bianco sia bianco che il nero sia nero, che

uno e uno siano due, che la scienza dice il vero”, avevo

avuto la risposta, cominciavo a elaborare un codice.

Fu un periodo relativamente felice, anche se sempre in

combattimento. Avevo dominato le esternazioni non

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controllate, quindi davo una certa tranquillità a chi mi stava

intorno, mentre io mi sentivo un agente segreto, non potendo

disvelare la verità.

Decidemmo, dopo molto ponderare, e consultatici con lo

psichiatra, che il matrimonio ed eventualmente dei figli,

mi avrebbero fatto bene. Infatti, dopo circa dieci anni di

fidanzamento, era la giusta conclusione, tanto più che la mia

amata aveva cominciato a lavorare e non mi faceva pesare

la mia inattività, anzi, era fiduciosa che avrei ricominciato.

Al tempo, avevo smesso di fare la cura pesante, ero sotto

sedativo leggero e ansiolitici. Ricordo l’ansia e la paura dei

preparativi, ero spaventato dall’idea che non sarebbe venuto

nessuno al mio matrimonio: non fu così. La festa riuscì e

ci divertimmo abbastanza, riuscii a mascherare bene i miei

problemi. In quella occasione parlai con Don S., chiedendogli

come mai mi sentissi una foglia al vento, mi rispose che

tutti noi lo siamo, di confidare in Dio e pregare.

La casa ci era stata preparata da mia sorella e mio cognato,

quindi non avevamo problemi di affitto, ci pagavano

persino il condominio. Sicuro di me, cominciai a barare non

prendendo la terapia, pensando non ne avessi più bisogno,

ma si ripresentarono le mie esternazioni incontrollate. In

una di queste, approfittando di alcuni commenti politici che

faceva la mia famiglia attorno alla televisione, dissi che ero

un’alta entità e che conoscevo la verità. Sbottai dicendo, in

modo esagitato, che era solo una presa per i fondelli, ognuno

tirava l’acqua al proprio mulino e che non bisognava credere

a nessuno, erano tutti mascherati, nella realtà erano angeli e

demoni che si contendevano l’Italia e il mondo intero.

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In un altro episodio pensavo di essere stato rapito dagli

extraterrestri, e di aver subito una sostituzione di cuore,

perché lo sentivo battere in modo diverso. Mia moglie

minacciò di lasciarmi se non avessi preso la cura ancora

una volta, era determinata; per questo motivo, da allora in

poi, per amore, ho accettato di non fare più di testa mia.

Mi fecero visitare da un altro psichiatra perché cominciai

a sostenere che il primo non ne capisse abbastanza, così

andammo a Padova. Mia sorella ne approfittò per farmi

vedere da un noto esorcista, il quale, dopo avermi visto e

messo una mano sulla testa, mi disse soltanto: «Non hai

niente, mangia di più.»

Il luminare Padovano, dopo aver ascoltato la mia storia, mi

fece vedere le macchie di Hermann Rorschach, chiedendomi

cosa ci vedessi. Io risposi che non ci vedevo assolutamente

nulla, che mi sembravano macchie, non conoscevo, all’epoca,

quella particolare indagine. Dietro l’insistenza del dottore,

secondo cui avrei dovuto vedere per forza qualcosa con

l’immaginazione, gli risposi che ci vedevo un teschio e delle

ossa di morti. Concluse che fossi da ricovero immediato.

Non mi ricoverai, ma ce ne tornammo a casa sconsolati.

Ne contattammo un altro a Lecce che, sempre dopo

avermi ascoltato (e fui per la prima volta creduto da uno

psichiatra), convenendo che fosse plausibile la mia storia,

mi disse che al momento ero guarito, ma che avrei dovuto

stare attento alle ricadute, quindi era necessario continuare

a prendere la terapia. Mi prescrisse una iniezione da fare

una volta al mese, eliminando la pena della cura giornaliera

e rendendola oltremodo più sicura per chi mi controllava.

Decisi di intraprendere questa terapia.

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Dopo qualche giorno dall’iniezione, mentre stavamo facendo

una passeggiata sul corso principale del paese, cominciai ad

avere spasmi ai muscoli della faccia: mi si apriva la bocca

involontariamente. Capii che erano effetti collaterali della

terapia e avvisai immediatamente mia moglie di rientrare

e avvisare mio fratello medico. Durante il ritorno a casa,

ebbi anche spasmi oculari e ricordai di altri episodi

simili che avevo confuso con la mia presunta

appartenenza a una agenzia segreta che mi dava ordini

telepaticamente, sempre per combattere il male. Arrivati a

casa, mio fratello mi fece prendere un farmaco per

contrastare gli effetti collaterali e chiamò lo psichiatra, il

Dr F., che venne immediatamente. Mi ascoltò e mi chiese

se fosse il caso di passare ad una nuova cura che avevano

finito di testare in America e di cui non era abbastanza

pratico. Questo cambiamento si rendeva necessario poiché

alcuni componenti del farmaco che mi avevano iniettato

erano simili al farmaco che prendevo in gocce; gli effetti

collaterali erano troppo manifesti e non c’era alternativa.

Fu così che passai a un antipsicotico atipico, dapprima

in dose di 2 mg die, mi stordì e me ne stetti a letto per

parecchio tempo.

L’idea del Dr. F. era di aumentare la dose nel tempo, per

arrivare a un massimo di 5-6 mg die, come da posologia; ma

ci rendemmo conto che già a basso dosaggio era impossibile

avere una vita normale. Stava testando anche lui il farmaco.

Continuai a prenderne 2 mg e cominciai ad abituarmi.

Mia zia invitò me e mia moglie a casa sua a vedere una

videocassetta: fu la svolta della mia vita, conobbi l’Avatar

Sai Baba. Si proclamava Dio, testimoniandolo con i suoi

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miracoli, e sosteneva che anche noi siamo Dio, ma che non

ne siamo consapevoli, l’avevamo dimenticato nel corso

delle innumerevoli vite identificandoci con la materia

e l’io contingente. Inoltre, non invitava ad adorarlo, ma

a innamorarsi dei suoi insegnamenti, che sono quelli

più antichi dell’umanità: I Veda, giunti fino a noi senza

manipolazioni da parte degli uomini corrotti dal potere.

Riconobbi il Maestro immediatamente. In seguito ho letto

dozzine di libri su di lui, libri che mi hanno portato ad avere

maggiore consapevolezza delle grandi verità, e la certezza

che i miei pensieri, fino ad allora non verificabili, erano

finalmente certificati dal Maestro che introduceva la nuova

Era dell’Acquario. Un’era in cui ogni verità sarà disvelata

e vano sarà l’opporsi del potere costituito. Già la Chiesa

cattolica, come ai tempi di Gesù aveva fatto il Sinedrio, in

una operazione di marketing, ha tacciato Sai Baba di essere

l’ Anticristo. Mentre qualche prete che si espone e accetta

il suo insegnamento come vero rischia la scomunica, infatti

tra questi Don Mario Mazzoleni (deceduto), il quale l’ha

scritto nel libro Un sacerdote incontra Sai Baba, è stato

scomunicato. Altri sono sul filo del rasoio, come il Padre

Gesuita Anthony De Mello (deceduto) che si protende fuori

dagli schemi canonici nei suoi numerosi scritti, uno dei più

famosi è: Messaggio per un’aquila che si crede un pollo.

Altri ancora, visti gli esempi citati, sottostanno al diktat

di Santa Madre Chiesa in un vincolo di cieca obbedienza

tirannica.

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10 - Altra fiducia

Al convegno di Douglas Baker, gli organizzatori, i membri

di un Centro Studi Olistico, distribuirono una rivista:

L’Arco, che trovai in seguito molto interessante. Vi era

anche l’indirizzo e il numero di telefono del Centro, che

contattai per avere più informazioni. In quella occasione mi

invitarono a partecipare all’incontro con uno sciamano

messicano. La parola sciamano suscitò in me la speranza

che, laddove non era riuscita la scienza, a guarirmi

totalmente ci sarebbe riuscito lui.

Parlai con mia moglie dell’evento e decidemmo di andarci

insieme. Appena arrivati al Centro, notai immediatamente

il modo di porsi caldo e accogliente degli organizzatori

e, come in seguito appresi, dei frequentatori abituali. Era

un posto fuori dal mondo, dove tutti i combattimenti del

quotidiano svanivano per incanto. Le persone che frequentai,

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alle quali avevo parlato del mio problema, non mi presero

assolutamente per pazzo, ma sostennero che il mio fosse

un percorso di crescita interiore e che non avrei dovuto

preoccuparmi troppo. Ameyaltzin, lo sciamano, arrivò in

jeans e maglietta e il suo sacco con gli attrezzi; eravamo in

piena estate. Faceva questi ritiri, in giro per il mondo, per

far conoscere la sua cultura che sta scomparendo, e per un

non trascurabile aspetto economico per poter aiutare il suo

popolo in Messico. Io ero tutto in tiro e lui, dopo un’occhiata

fugace, mi invitò a mettermi a mio agio. Mi disse di

togliermi la camicia, la cintura dei pantaloni, l’orologio e

le scarpe, spiegandomi che la pelle animale intorno al mio

corpo non avrebbe favorito il fluire dell’energia di Madre

Terra, alla quale si sarebbe rivolto. In seguito, ci spiegò che

partecipiamo alla sofferenza degli animali uccisi per tutti

gli usi che gli uomini fanno di questi animali, tranne l’uso

domestico. Spiegò il vantaggio del vegetarianesimo, quale

via per ascendere a mete spirituali elevate. Ci parlò della

sua insegnanza, che non è un modo per trovare la fama,

ma un modo di essere, e di come deve essere trattata la

natura e gli animali, perché tutta la vita è sacra. Ci parlò

della pianta sacra del potere, il peyote o mescal, di come si

fosse abusato di essa e di come abbia provocato la pazzia

nelle persone che non conoscevano il suo effetto sul corpo e

sulla mente. Pensai immediatamente al mio caso, e se fosse

possibile che i miei tormenti fossero provocati da Mescalito,

il Dio della pianta del peyote. Ci parlò dell’aspetto panteista

di Dio e di come fosse presente in ogni cosa. Ci parlò

dell’aspetto ilozoista, e cioè di come tutto ciò che è stato

emanato, compresi la pietra o il tavolo, fossero partecipi di

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un’unica viva energia in evoluzione, che si individualizzava

in Madre Terra. È a questa energia che ci saremmo rivolti

per il rito di iniziazione. Attraverso il suono del tamburo, la

danza e le fumigazioni, e dopo il suono della conchiglia, lo

sciamano diventava ponte tra cielo e terra, un intermediario

autorizzato a canalizzare energia positiva. Ballai anch’io a

ritmo di tamburo, ci insegnò dei passi che ci avrebbero aiutato

a entrare in sintonia con la Terra. Riuscii a concentrarmi e

a eseguire i passi nel modo giusto. Per diverso tempo, persi

i miei malanni, mi proiettai in un’altra dimensione. Quando

ci riunimmo nella sala, rispettosamente seduti a terra per

non perdere il contatto, egli ci parlò della sua cultura, di

come l’avanzare del progresso stesse facendo scomparire

la sua etnia Nahuatl e con essa l’insegnanza, poiché i pochi

giovani rimasti non erano interessati a quelle sciocchezze.

Fu in quel preciso istante che, dopo averci parlato col cuore

in mano, percepimmo quasi tutti un’energia d’amore, molti

di noi esultavano felici, io piansi a dirotto in un pianto

catartico, mi chiedevo perché piangessi senza motivo, ma

non riuscii a fermare il pianto e credo fui elevato a percepire

vibrazioni che paragonai alla mia esperienza di premorte.

Alla fine dell’incontro chiedemmo ad Ameyaltzin di

riconoscere le nostre anime dandoci dei nomi significativi.

Mi chiamò Kuauyolotl, che significa Cuore di Aquila, e mi

spiegò anche perché: avrei voluto abbracciare col mio amore

tutto il mondo. Colse nel segno, in quel tempo ero colmo

d’Amore nonostante la mia battaglia. Mia moglie la chiamò

Tekuichpo, che significa Fior di Cotone, spiegandoci che,

seppur delicato, il fior di cotone nasconde un’insidia per chi

non sia esperto nel raccoglierlo, cioè taglia le mani, questo

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stava a significare che aveva gli artigli, in caso di difesa.

Nel salutarci mi chiamò in disparte in una stanza vuota,

assicurandosi non ci fosse nessuno, mi parlò nella sua lingua

e mi fece un inchino rimanendo sull’attenti e abbassando la

testa. Io chiesi spiegazioni, ma lui disse che avrei capito in

seguito, mi disse di guidare mia moglie e di come il nostro

legame fosse molto forte e sicuro, non sarebbe riuscito

nessuno a dividerci. Ci abbracciammo, non l’ho più rivisto,

e non ho più avuto sue notizie; ma è sempre presente nei

miei ricordi e nel mio cuore. Un articolo su Ameyaltzin lo

potete trovare nella rivista L’Arco.

Durante il mio percorso seguente, mi imbattei in un devoto

Hare Krishna che, dopo i primi approcci, e dopo avergli

parlato della mia situazione, mi definì una Grande Anima,

e mi suggerì di continuare la mia ricerca regalandomi un

libro: la Bhagavad Gita con il commentario del Maestro

degli Hare Krishna, Srila Prabhupada. Mi immersi in quella

sacra lettura immedesimandomi nel protagonista Arjuna, il

quale, preso dallo sconforto, si rifiutava di combattere sul

campo di battaglia l’esercito avverso perché vi erano tra i

suoi nemici quasi tutti i suoi parenti, anche se lui era stato

usurpato dei suoi diritti di discendenza regale e aveva avuto

l’educazione al combattimento in quanto Kshatriya. Allora

Krishna in persona, non ancora palesatosi come Dio, si

schierò al fianco di Arjuna, e gli svelò la scienza suprema

della Bhagavad Gita. Gli spiegò perché tra l’inazione e

l’azione è preferibile la seconda, che tutto è solo un gioco,

un lila di Dio, e che l’anima, essendo immortale, in realtà

non può essere uccisa.

Nella realtà, questi due eserciti possono essere identificati col

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bene e col male, dharma e antidharma e, la Gita, rappresenta,

in ultima analisi, la ricerca più profonda dell’animo umano

sintetizzata in monismo e dualismo. Così si esprimeva

Gandhi a proposito di questo poema sacro: “La mia vita

non fu che una serie di tragedie esteriori, e se queste non

hanno lasciato su di me nessuna traccia visibile, indelebile,

è dovuto all’insegnamento della Bhagavad Gita.”

E Immanuel Kant: “Questo poema esige il più alto

rispetto.”

E Schopenhauer: “Si tratta dell’opera più istruttiva e

sublime che esista al mondo.”

Dopo aver letto la Bhagavad Gita, oltre a sentirmi un’aquila,

poiché volavo sopra gli schemi, e, come dice Lucio Battisti,

“sulle accuse della gente a tutti i suoi retaggi indifferente”,

cominciai a percepire l’amicizia di Krishna e la sua

protezione. Avevo da tempo abbandonato l’idea dell’unica

manifestazione di Dio, nel senso che Dio può manifestarsi

quando vuole e nelle forme che vuole; non è confinato nella

forma di Gesù, come sostiene la Chiesa. Dio è uno, ma si

compiace di impersonare i molti. Dietro l’apparire della

maschera dell’io, c’è l’eterno testimone. Feci il parallelo con

la mia esperienza, e col mio sentirmi Gesù: non mi sentii

tanto alienato come ai primi tempi, ma anzi presero corpo

gli insegnamenti della saggezza perenne. La forza cristica,

che permea l’universo, si era palesata nella mia mente

durante quelli che furono considerati deliri.

A tal proposito vorrei proporvi un punto di vista sulle

psicosi del Dr. Filippo Falzoni Gallerani, riportato sulla

rivista L’Arco menzionata sopra. Solo negli ultimi anni le

correnti più avanzate della psichiatria hanno iniziato a

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prendere in considerazione l’uomo nella sua totalità e nelle

sue relazioni con l’ambiente, secondo la visione olistica.

Queste teorie sono fortemente influenzate dalla emergente

visione del mondo originata dal nuovo approccio scientifico,

che considera la natura e la coscienza secondo prospettive

che trascendono i limiti convenzionali della causalità e

del determinismo. In questa visione, più ampia, il dibattito

relativo ai controversi concetti di normalità e follia assume

una sempre maggiore importanza e si discute sulla bontà

dei principi su cui si basano le strutture pubbliche e sulla

relativa ristrettezza delle diagnosi che etichettano le

esperienze individuale fuori dal comune. [...] La psicologia

transpersonale prende in considerazione gli aspetti che ci

legano al cosmo e le dimensioni psichiche e i tanti fenomeni

che il pensiero razionale ha sempre rifiutato e rimosso.

Questi fenomeni parapsicologici, sincronistici, medianici,

mistici, nonché gli stati di coscienza estatici, non sono infatti

compatibili con gli schemi teorici della scienza materialista

che ha dominato gran parte della cultura di questi ultimi

secoli. [...] Si sta riconoscendo che molte manifestazioni che

gli psichiatri della vecchia scuola etichettano come malattie

mentali sono in realtà crisi evolutive. Esse rappresentano

dei passaggi della coscienza in aree interiori alle quali

corrispondono una diversa percezione della realtà e

differenti modalità interpretative della medesima. Questo

accade per esempio, a pazienti che sperimentano i processi

iniziatici di morte-rinascita caratteristici delle culture

primitive e dei sistemi delle principali religioni orientali.

[...] Sintomatologie a volte facilmente risolvibili, quando si

permette la loro manifestazione in un contesto terapeutico

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opportuno, diventano disturbi cronici quando vengono

inibite. È quanto spesso accade con la terapia farmacologia

e l’ospedalizzazione, mentre il più delle volte si tratta di

fenomeni che, correttamente compresi, portano invece

al raggiungimento di livelli superiori di coscienza, e non

sono sintomo di malattia ma di cambiamento. [...] Un caso

esemplare può essere quello di un giovane che cade preda

di spontanee visioni mistiche in cui si sente portatore di un

messaggio spirituale. Naturalmente i familiari sono molto

spaventati, non sanno comprendere il senso delle parole del

congiunto, né sanno come trattarlo. Generalmente accade

che cercano di farlo tornare a un comportamento accettabile

socialmente e credono di aiutarlo dimostrando l’assurdità

delle sue parole, con le buone o con le cattive. Così mentre il

giovane si trova nel difficile terreno di una dimensione non

ordinaria, trova attorno a sé solo paura e preoccupazione,

si sente circondato da scettici che screditano il suo vissuto

e le sue percezioni. Vedendo l’ostilità dell’ambiente, egli

assume l’atteggiamento di difesa e sospetto che a loro volta

induriscono le reazioni altrui, sfociando in quello che lui

percepirà come persecuzione e ostilità generale. A questo

punto lo psichiatra prontamente consultato, è molto probabile

che definisca la situazione come un chiaro manifestarsi di

delirio maniacale e psicosi paranoide: disturbo gravissimo,

che viene in genere trattato con farmaci molto forti e

ospedalizzazione in reparti psichiatrici. Tale condizione di

isolamento e di contatto con lo spaventoso ambiente, non

aiuterà certo il soggetto a ritrovare la calma. Per di più

l’effetto dei farmaci probabilmente lo condizionerà a uno

stato passivo, in cui egli non è in grado di elaborare le

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esperienze interiori e da cui gli sarà difficile uscire senza

danni irreversibili.

A questo proposito, così scriveva lo psichiatra Ronald David

Laing: “Mistici e schizofrenici si trovano a nuotare nello

stesso oceano, ma i mistici nuotano mentre gli schizofrenici

affogano.”

Ora non è un dato di fatto che uno schizofrenico non impari

a nuotare col tempo, ma è necessario che tutto il sistema

si adegui, smettendola di considerare l’uomo come corpo-

macchina da riparare, ma accettando la parte più nobile,

la parte reale, che è la nostra anima. Solo uscendo dagli

schemi dell’unica vita, imparando che siamo immortali e

non considerando reale solo l’oggettività, si potrà aspirare,

come i saggi hanno scritto, all’approssimarsi consapevole al

quinto regno, naturale evoluzione e aspirazione dell’essere

umano, sul sentiero di ritorno, il regno dell’anima.

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11 - Ancora fiducia

Alcuni mesi dopo, sempre in contatto col Centro Studi

Olistico, decidemmo con mia moglie di andare a un altro

incontro. Ospite famosa era Manuela Pompas, giornalista

per circa trent’anni per la rivista Gioia, scrittrice, ipnologa.

Avrebbe presentato i suoi libri e tentato alcune sedute di

ipnosi regressiva. Mancammo il primo giorno e purtroppo

non potemmo assistere e provare le sedute di ipnosi, che

stavo imparando a conoscere in quel periodo, e delle quali

prontamente mi informai via internet. Le persone che si

sottoposero alla ipnosi di gruppo si dichiararono esterrefatte,

in particolare alcuni di loro erano tornati indietro nel

tempo a passate incarnazioni. Ebbi modo di parlare con la

Pompas, alla quale riferii i miei problemi. Ella non escluse

la possibilità dell’esistenza di un mio vissuto precedente,

cosa che, anzi, aveva incontrato altre volte sul suo cammino.

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Mi disse che avrebbe voluto approfondire il mio caso e che

sicuramente avrei risolto i miei tormenti interiori risalendo

alla causa a me immemore, ma che l’anima aveva portato

con sé nelle successive rinascite. Acquistai due libri, che

mi feci autografare, e mi immersi in questa nuova lettura

di: Reincarnazione. Alla scoperta delle vite passate e La

terapia R. Guarire con la reincarnazione.

Si legge in Reincarnazione che i primi Padri della Chiesa

sostennero la dottrina della reincarnazione come credenza

logica tanto in oriente quanto in occidente. Nel VI secolo

l’imperatore Giustiniano, capo dell’Impero d’Oriente

dichiarò guerra ai seguaci di Origene. Dapprima i suoi

insegnamenti vennero condannati e in seguito nel 553

vennero pubblicati gli anatemi contro di lui e la dottrina

della preesistenza dell’anima. In tutto questo non vi fu

intervento ecclesiale. Il quinto concilio fu promosso da

Giustiniano e condotto da vescovi orientali manovrati

dallo stesso imperatore: nessun rappresentate di Roma era

presente. Infatti, i decreti furono accolti in Oriente ma

contestati a lungo dalla Chiesa Occidentale, quindi sorse

uno scisma che durò settant’anni.

Riporto alcuni degli anatemi.

Contro chiunque asserisca la favola della preesistenza delle

anime e affermi che ne segue mostruosa ricostruzione:

anatema sia.

Contro chiunque dica che la creazione di tutte le cose

ragionevoli comprende solo intelligenze prive di corpo e

del tutto immateriali, senza numero né nome, così che siano

fra loro unite per identità di sostanza, forza ed energia,

e per la loro unione con e la loro conoscenza di Dio, il

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Verbo. E che, non più desiderose della vista di Dio, esse

si sono date a cose peggiori ognuna seguendo la propria

inclinazione, e hanno assunto corpi più o meno sottili, e

ricevuto nomi poiché tra le Potenze celesti esiste differenza

di nomi come diversità di corpi; donde alcune divennero

e son chiamate Cherubini, altre Serafini, e Principati e

Potenze e Dominazioni e Troni e Angeli e altrettanti ordini

celesti quanti ne possono esistere: anatema sia.

Contro chiunque affermi che il sole, la luna e le stelle sono

anch’essi cose ragionevoli, così divenuti unicamente perché

si sono volti al male: anatema sia.

Contro chiunque dica che le creature ragionevoli in cui

l’amore divino è venuto meno sono state celate in corpi

rozzi come i nostri, assumendo il nome di uomini, mentre

coloro che sono discesi al grado più basso di malvagità

si sono uniti a corpi freddi e oscuri, divenendo demoni e

spiriti maligni, che questo è il loro nome: anatema sia.

Contro chiunque affermi che una condizione psichica

proviene da uno stato angelico o arcangelico, e aggiunga

per di più che una condizione demoniaca e umana proviene

da una condizione psichica, e che da uno stato umano si può

divenire nuovamente angeli e demoni, e che ogni ordine di

celesti virtù proviene o da quelli in basso o da quelli al di

sopra: anatema sia. [...]

Contro chiunque dica che, dopo la resurrezione, il corpo

del Signore era etereo, e a forma di sfera, e che tali

saranno i corpi di tutti dopo la resurrezione; e che dopo

che il Signore stesso avrà gettato il suo corpo e gli altri che

sorgono avranno gettato il loro, la natura dei loro corpi

verrà distrutta: anatema sia.

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Contro chiunque dica che il giudizio futuro significa la

distruzione del corpo e che la fine della storia sarà una

immateriale e che di poi non vi sarà più materia ma soltanto

spirito: anatema sia. [...]

Contro chiunque affermi che la vita degli spiriti sarà simile

alla vita che fu nel principio quando ancora quegli spiriti

non erano discesi o caduti, così che la fine e il principio

saranno simili, e che la fine sarà la vera misura del principio:

anatema sia.

Mi sembrò, a questo punto, che qualcosa crollasse del

castelletto che il sistema del potere temporale aveva costruito

nelle nostre menti. Crollò del tutto quando scoprii un altro

psichiatra famoso per le sue ricerche sulla reincarnazione,

Ian Stevenson, che ha raccolto circa duemila casi tutti

documentati e molti dei quali verificati. Non da ultimo, Brian

Weiss, altro psichiatra di fama mondiale, che attraverso

l’ipnosi regressiva ha testimoniato la reincarnazione con i

casi dei suoi tanti pazienti di cui parla in alcuni libri, tra i

quali Molte vite molti Maestri e Molte vite un solo Amore,

che immancabilmente ho letto.

È chiaro che il sistema non potrà mai ammettere questa

scomoda verità, perché perderebbe credibilità, e non avrebbe

più scopo di esistere. Lo immaginate? Che fine farebbero

tanti mestieranti? Chi ci racconterebbe le favole? E dire

che resurrezione e reincarnazione non sono incompatibili,

perché, come insegnano i Maestri, quelli veri, l’uomo

comune che ha vincoli di karma, dormiente o sveglio che

sia, è costretto a reincarnarsi, anche se può scegliere il suo

percorso quando ha raggiunto certi livelli evoluti. Solo chi

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ha realizzato l’identicità della propria anima con il suo più

profondo sé, e riconosciuto che il proprio sé non è separato

da Dio, ma che è uno con Dio, come disse Gesù: «Io e il

Padre mio siamo uno», può, raggiunto il rango più elevato,

risorgere a volontà, usando lo stesso corpo. Tutto ciò l’ho

appreso leggendo di Yogananda: Autobiografia di uno

Yogi. Tutti questi Maestri, maggiori e minori, che mi hanno

parlato, mi hanno insegnato ad amare, e ho capito infine

che c’è ancora tanta gente che ha bisogno di una favola in

cui credere.

Se ancora non fossi stato convinto di tutto ciò, il futuro mi

aveva riservato un altro piacevole incontro.

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12 - La medium e il codice

Nell’arco della mia malattia, ho combattuto e cercato di

decifrare un codice che aveva il potere di deprimermi o

sollevarmi, a seconda dei messaggi che captavo. Come

funzionasse questa captazione non lo capivo, ma intuivo

che alcuni miei canali sottili erano aperti. Estrapolavo da un

contesto generico risposte particolari inerenti le domande e

i dubbi che si affacciavano alla mente. Questa operazione

avveniva, dapprima, senza controllo, a velocità impossibile

da decifrare, così decisi, come insegna Krishna, di praticare

lo Yoga per ottenere un maggior controllo sulla mia mente.

Nella Bhagavad Gita, c’è l’esempio di un carro trainato da

cinque cavalli imbizzarriti e un auriga che non ha controllo.

È, metaforicamente, l’esempio della mente (il carro), i

cinque sensi (i cinque cavalli imbizzarriti), e l’io

(l’auriga). Appare evidente che il senso dell’io nulla può,

trascinato dai sensi, ma per domare i cavalli è necessario

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Yoga (unione col divino); anzi, lui stesso, se invocato

sinceramente, prende il controllo del carro. Infatti,

l’unione col divino in diverse vie yogiche permette

all’uomo di identificarsi col divino e di realizzarlo, se

siamo convinti, capaci e disciplinati nel seguire il metodo.

Fui portato da una medium dal mio amico maestro di

arti marziali, che, in combutta con mia sorella, avevano

organizzato tale incontro, perché sempre convinti che fossi

affatturato. Quando il maestro, sulle prime, chiese il mio

parere risposi negativamente, spiegando che ci avevano già

provato altri due maghi. Lui mi disse: «È l’ultima spiaggia,

non ti costerà nulla, solo mille lire da bruciare per la lettura

delle carte.»

Mi convinse, cosa avevo da perdere? E poi non ero del tutto

sicuro che non vi fosse un intervento sovrannaturale. E,

cosa importante, mi fidavo e mi fido del maestro.

Andammo una mattina, intorno a mezzogiorno, la medium

ci ricevette ugualmente mentre era intenta a cucinare;

episodio che dimostrava la sua familiarità col maestro e il

non porsi su piedistalli. Il maestro disse: «Immacolata, vedi

un po’ che cosa ha questo ragazzo?»

Mi guardò dritto negli occhi e mi chiese di darle la mano,

me la prese e la tenne per un po’ di tempo, alla fine dichiarò:

«Madonna mia quanta negatività porti addosso, si tratta di

una fattura a morte di magia rossa.»

Gli dissi che ero abbastanza scettico, ma lei in tutta calma

mi rispose, che mi avrebbe aiutato lo stesso. «Non mi devi

pagare, la mia è una missione, vieni domani mattina e

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portami una tua foto singola e la foto dei tuoi familiari, per

capire a che raggio devo estendere il mio lavoro.»

Mi procurai le foto e andai il mattino successivo, ero

curioso e avevo solo da guadagnare, nella remota ipotesi

che il fenomeno fosse reale. Ci sedemmo intorno a un

tavolo, le porsi le foto e aspettai il responso. Disse: «Siamo

fortunati, hanno colpito solo te, ma c’è qualcos’altro, hanno

anche tentato di sciogliere il legame con la tua amata e farti

perdere il lavoro, perché così facendo, nella disperazione, ti

saresti suicidato o avresti commesso un omicidio.»

Queste parole mi scossero perché erano idee che mi erano

balenate più volte nella mente. Mi disse che altre persone di

potere mi avevano aiutato, anche se non avevano potuto fare

di più; avevo una grande forza di volontà che mi sarebbe

servita per superare le prove della vita con successo. Mi

disse anche che sapeva che non gli credevo, e che avrebbe

fatto qualcosa di lì a poco per farmi ricredere. Si avvicinò

e mi mise la mano sulla testa, immediatamente sentii

un’energia pervadermi, il benessere mentale fu subitaneo.

Glielo dissi, meravigliato, e lei mi rispose: «Beati coloro

che credono e non hanno visto.»

Quando ritirò la sua energia, pian piano, i miei pensieri

tornarono a essere in combattimento tra loro, ma avevo

assaporato la differenza e non potevo negare l’esperienza.

Mi disse che mi avrebbe aiutato, mi elogiò quale anima

candida, e disse che era importante credere a quella nuova

dimensione così lontana dalla razionalità. Mi chiese di

farmi le carte che avrebbero confermato quello che aveva

percepito. Accettai. Mi chiese mille lire, spiegandomi come

il denaro veicolasse l’energia, passando di mano in mano,

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e avrei avuto la risposta a qualsiasi domanda facessi, nel

mio segreto. Prese le carte, le mischiò, mise il denaro sul

mazzo, mi chiese di mettere la mano sinistra sul mazzo

e concentrarmi su quello che volessi chiedere. Chiesi la

verità. Tagliai il mazzo, le mille lire rimasero nel mezzo, e

mi chiese di scegliere nove carte a caso. Le scelsi e gliele

porsi.

Facendo una riflessione: le carte sono settantotto, mischiate,

scelte a caso; quante probabilità ci sono che rispecchino la

realtà dei fatti? Per me infinite.

Girò le carte una a una, con mia somma sorpresa, uscirono:

il Diavolo, l’Inganno, la Spia, la Virtù, l’Effetto spoliazione

(nove di denari), la Donna bionda, Osiride la gloria, la

Giustizia, la Causa guadagnata. Me le spiegò nell’ordine:

mi avevano fatto la fattura, ero stato ingannato e avvelenato

di nascosto, ero stato spiato negli ultimi anni e ancora lo

ero, ero virtuoso, mi avevano sottratto tutto, persino nei

diritti (la carta Effetto spoliazione era uscita rovesciata e

ciò significava che ero stato frodato), una donna bionda mi

era molto vicina e la identificò con mia moglie, ero stato

illuminato, avrei avuto giustizia, la causa era stata valutata

da Dio e l’avremmo vinta.

Alcune carte, nell’insieme, stavano a significare che stavo

compiendo un cammino spirituale. Mi esortò a continuare

questo cammino, e mi disvelò che le voci negative che sentivo

pian piano sarebbero sparite e che avrei avuto sempre più

solo messaggi positivi. Non avrei dovuto sentirmi malato,

perché ero una spanna avanti al resto dell’umanità, e avrei

accettato col tempo il cambiamento dei miei schemi mentali.

A riguardo della cura farmacologia di cui facevo uso,

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così si espresse, dimostrando nel contempo lungimiranza

e saggezza: «La scienza faccia il suo corso, io seguirò il

mio.»

Mi disse che aveva tre giorni di lavoro su di me, che sarei

dovuto tornare per l’esorcismo. Mi spiegò che i preti non

erano riusciti nel loro lavoro, perché è necessario prima

togliere la fattura e dopo esorcizzare. Lo lessi anche nel

mio percorso, trovandolo su un libro l’ Orazione di San

Cipriano. E scoprii inoltre che i demoni hanno la possibilità

di ascendere a livelli più elevati, non sono condannati, ma

preposti, anche loro compiono un percorso e l’apparente

duello è solo un gioco per responsabilizzare gli individui

e renderli partecipi dei regni spirituali, anche se con le

maniere forti. È una gerarchia piramidale, alla cui più bassa

vibrazione vi sono i demoni. Questo si evince, inoltre,

conoscendo la trinità Indù, che ha l’aspetto distruttore in

Shiva (che possiamo identificare con il lavoro dei demoni)

compartecipe dell’aspetto creatore Brahma, e dell’aspetto

conservatore Visnù. Inoltre, poiché Dio è onnipervadente,

anche i demoni hanno Dio nel loro più profondo sé. È lo

schema della manifestazione universale che si rifà al due,

agli opposti, al positivo e negativo, alto e basso, maschio e

femmina, yin e yang, in mancanza di questi opposti illusori

non esisterebbe la manifestazione come la conosciamo, ma

tutto sarebbe immanifesto nell’assoluto Uno, la cui qualità

è non avere né forma, né nome, né le qualità tipiche della

dualità, ma soltanto essenza-coscienza-beatitudine (Sat-

Cit-Ananda).

Mi parlò di Sai Baba e mi diede la polvere da lui

materializzata, la vibhuti. La medium era stata in India più

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volte e aveva assistito personalmente ai suoi miracoli; era

in contatto telefonico con lui, anche se sosteneva che non

ce ne fosse bisogno perché c’era un contatto telepatico. In

ogni momento il Maestro era disponibile.

Tornai dopo tre giorni e la medium mi fece uno strano

esorcismo. Mi disse che io stesso ne avevo la capacità e mi

invitò a leggerlo. Lo lessi, e anche in questo caso, come

con Ameyaltzin, partecipai a una catarsi, mi sentii libero e

piansi di felicità. Mi spiegò in seguito che avevano legato a

me l’entità di un assassino che, dietro compenso di preghiere

per la sua anima e la possibile ascesa, aveva accettato il

ruolo di carnefice. Studiando le fatture, si comprende che

l’aspirazione alla luce suprema è anelito di tutte le anime,

ma le basse vibrazioni accettano i lavori da noi considerati

sporchi, pur di accelerare i tempi. In ultima istanza, se non

vi è il benestare di Dio in persona, la fattura non va a buon

fine. Scomoda verità, ma non tanto strana considerando

l’onnipotenza del divino che è incompatibile con la sua

impotenza nel contrastare i contratti. Tutto si svolge alla luce

del sole, nulla sfugge al comando dell’onnipotente. Alcuni si

illudono di controbattere queste tesi con l’esistenza del libero

arbitrio. Noi però, come i disincarnati, abbiamo tanto libero

arbitrio quanto un pesce in un acquario. Il karma regola

le nostre vite ineluttabilmente e il caso nella prospettiva

divina non esiste. Lo immaginate un presunto onnipotente

che si affidi al caso? Perderebbe ogni controllo. Siamo

inevitabilmente costretti a viaggiare verso Dio, e anche se

ci rifiutiamo per una vita o due, l’esperienza ci insegna che

è meglio collaborare. Altrimenti ci ritroveremo a soffrire

su questa terra, chiedendoci: perché a me? Pensando

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che sia ingiusto. Ma la nostra anima capisce benissimo.

Nell’Era dei Pesci che abbiamo attraversato, la costante è

stata l’ignoranza delle leggi divine, velate dal potere stesso

del Signore. Le nuove energie in arrivo contribuiranno a

elevare le vibrazioni dell’umanità, e ci avvieremo, pensando

di essere tanto bravi, verso comportamenti migliori, nel

pensare, nel parlare e nell’agire. Insomma, la ciclicità delle

Ere dell’umanità, determinate dall’aumento dell’illusione

(maya) o dal suo diminuire. Dio stabilisce a chi e quando

togliere il velo illusorio della manifestazione.

Adesso capto e registro messaggi positivi che rispondono ai

miei dubbi, per esempio: in un momento in cui mi chiedevo

chi, dove o cosa fosse Dio, una pubblicità mi rispondeva:

“tutto intorno a te”. Per un altro dubbio che portava a

chiedermi se fossi uscito dal gioco che adesso conoscete,

avevo risposta da un’altra pubblicità: “sei libero”, e

ringraziavo Dio. Una canzone di Battisti dice: “vola sulle

accuse della gente a tutti i suoi retaggi indifferente”, che

dire di Imagine messaggio monista che confermava ciò in

cui andavo credendo sempre più, e La cura di Battiato: “Ti

proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che

da oggi incontrerai per la tua via”; ancora “don’t worry be

happy”, “voi valete”, sono solo esempi di un codice adesso

amico. Non dimentico, però, quando lo stesso codice mi

portava al suicidio. Una canzone di Vasco Rossi dice “E da

qui.... e da qui... qui non arrivano gli ordini... a insegnarti

la strada buona... E da qui....e da qui.... Qui non arrivano

gli angeli!” un’altra canzone famosissima dice “anima mia

torna a casa tua [...] c’è ancora il letto come l’hai lasciato

tu.”

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Ogni parola, ogni frase negli ultimi dieci anni era un

continuo salire e scendere le scale dell’anima; grazie a

Immacolata ho capito e non più temuto questo codice adesso

chiaro. All’inizio, parole come: entra, esci, fuori, dentro,

buono, cattivo, su, giù, freddo, caldo, erano bombe per la

mia mente. Era l’addestramento della mente da parte di Dio,

come Krishna ha fatto con Arjuna, per uscire dal gioco della

dualità, dal ciclo reincarnativo, o perlomeno, avanzare al

punto che le vite successive siano dedicate solo a Dio e per

niente a Mammona; fino a quando l’io, consapevolmente,

rinunci alla propria identità per fondersi con l’assoluto.

Per capire e padroneggiare questo codice, mi misi alla prova

frequentando un circolo ludico dove si giocava a canasta. I

giocatori, ignari del loro ruolo di addestratori, pronunciavano

le loro frasi di rito e si divertivano a punzecchiarsi tra loro.

Io dovevo capire in tutto quel bailamme di parole, su quattro

o cinque tavoli diversi, quali erano i comandi per salire o

scendere la scala della conoscenza, senza che intervenissi

minimamente. Il mio intento finale era imparare il gioco

per poi rifiutare di giocare, non mi interessava quella

partita illusoria tra Bene e Male. Cercavo a ogni costo una

via d’uscita alternativa all’idea del suicidio. V’è da dire che

tutti i giocatori, a volte, volontariamente avevano parole di

conforto nei miei riguardi rivolgendosi a me direttamente,

o indirettamente come usano i mafiosi che, stabilito un

soggetto, senza mai nominarlo, ma rivolgendosi a lui con

l’espressione quello o ragazzo, potevano parlare di chiunque.

Lo stesso facevano con me i giocatori, mettendosi d’accordo

all’inizio della partita. Quando a distanza di tempo ho

padroneggiato questo codice, non ho più frequentato il

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circolo, anzi, pian piano, ho cominciato a rientrare dal mio

volo fantastico e ho ripreso contatto con la realtà canonica.

In seguito alla mia guarigione, ho avuto due visioni, a

chiunque l’abbia raccontato ha pensato ad allucinazioni

deliranti. Ho visto dapprima il Maestro Gesù, ma la mia

mente dubitava poiché non ne conosco le effettive sembianze.

Nel tira e molla del credo non credo subito dopo mi apparve

Sai Baba, che indubbiamente conoscevo, mi salutò con la

mano e risposi che avevo capito e scomparve.

Un’altra visione la ebbi una notte in cui mi svegliai con

la sensazione di pericolo, la mia mente era abituata

dall’addestramento costante alla recitazione dei mantra.

Mi destai guardando in un punto preciso della stanza con

l’intento di affrontare il mio nemico. Lo vidi, era ai bordi

del letto, una entità scura (più scura della penombra in cui

era avvolta la stanza) di cui non riconobbi le sembianze,

recitai uno scongiuro e feci un esorcismo, così come mi

aveva insegnato Immacolata, e svanì. La medium mi

spiegò che a causa della fattura il mio terzo occhio si era

aperto, ed entravo in comunicazione con entità disincarnate

che lottavano sia contro di me che a mio favore, ma che

comunque partecipavo a un addestramento psichico; ero in

balia, mio malgrado, del decondizionamento degli schemi

del mondo. Io le chiesi se fossi potuto tornare a una vita

normale, perché non mi piaceva affatto ciò che stava

accadendo e quello che ero diventato. Mi tranquillizzò e mi

promise che, intervenendo con la sua energia, avrebbe pian

piano chiuso la breccia nella mia aura. Mi confezionò una

protezione psichica (abitino), caricato della sua energia, che

mi avrebbe messo al riparo da altri attacchi negativi. Così

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è stato, adesso conduco una vita normale. Il codice se lo

riconosci lo eviti, anche se mi diverto a fare ipotesi e voli

pindarici nel ricordo della mia esperienza.

La causa contro l’opificio, dopo quindici anni, si è chiusa al

primo grado con la condanna dell’ingegnere, che è ricorso

in appello. Il Dr. G. continua a farmi lavorare. Coltivo

l’hobby della lettura esoterica. Ho seguito il corso di

filosofia antica. Ho ricevuto una piccola eredità. Abbiamo

finalmente costruito nella zona interessata dalla legge 167.

Sono felicemente sposato e siamo una coppia affiatata.

Dopo aver raggiunto tante certezze, grazie all’esperienza,

mi piace ancora dubitare, come trampolino per andare

ancora avanti. Ho riconosciuto molte mie maschere,

connettendomi per pochi attimi con l’infinito. Il gioco

della vita continua.

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13 - Primato del dubbio

A proposito dell’affermazione: dubito, dunque penso,

dunque esisto.

È una riflessione scaturita dall’esperienza che in seguito

non sapevo più discernere, era stato un lampo a ciel

sereno; forse un lampo di follia o di illuminazione, chi

sa. Chi ero io per discutere con Cartesio? Ma dato che ho

imparato a seguire il flusso dei miei dubbi, discriminando

con attenzione e continuando a documentarmi, avevo

maturato l’idea che il solo pensare, non poteva darci la

determinazione dell’effetto dell’esistere, poiché mi dicevo

che se pensiamo nei soliti schemi inconsci cablati nel tempo

e ai quali ci siamo affezionati, determinati dal pensiero

corrente, dal pensiero di massa, noi non pensiamo affatto.

È un assurdo, il quale si rigetta facilmente. Ma in seguito,

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mi sono imbattuto nell’opera Evolvi il tuo cervello di un

noto dottore americano, Joe Dispenza, che ha svolto i

suoi studi dopo la laurea nel campo della Neurologia,

Neurofisiologia e funzionamento del cervello. Bene, in

questa opera si conferma ciò che sostengo avvalorato dalla

scienza più moderna. Lo spiego a parole mie: si distingue

tra coscienza esplicita nella quale si valutano le possibili

risposte prima di una azione o un risultato di pensiero,

quindi l’atto del valutare e dubitare e coscienza implicita,

cioè tutto il bagaglio di conoscenza acquisito nel tempo che

è diventato inconscio. Ora, per l’effetto del maggior risultato

col minimo sforzo, a uno stimolo conscio corrisponde una

risposta inconscia, quindi noi andiamo a pescare nel comodo

stagno del conosciuto e sicuro, ciò di cui abbiamo bisogno

come risposta, senza cercare di sforzare la mente a trovare

nuove strade. In psicologia questo meccanismo è conosciuto

come effetto priming, avviamento, che conferma quello che

sostengo. L’autore Dispenza arriva al mio stesso risultato,

e cioè che, in realtà, vittima di schemi, copioni, stereotipi,

che sono annidati nel nostro inconscio, l’uomo comune per

assurdo non pensa, ma preso nella routine, attiva circuiti già

cablati evitando di tracciare nuove piste neurali, attivando

una sorta di pilota automatico dal quale è difficile uscire e a

malapena rendersene conto. Un esempio di pilota automatico,

cioè l’aver resi inconsci dei meccanismi, è guidare l’auto

non pensando a guidare, oppure un atleta che attraverso

l’allenamento costante arriva ad automatismi talmente

veloci da non avere più il tempo di pensarli per metterli

in atto. Il professor Allan Snyder, direttore del Centro per

la mente della Università di Sydney, nella trasmissione

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Il mistero della mente andato in onda su Rai Storia, fa la

stessa riflessione, e cioè: se pensiamo per soliti schemi e

stereotipi, il rischio è di non pensare affatto. Ancora, vi

sarà sicuramente capitato durante la vostra vita, di avere dei

pensieri ricorrenti o dei ritornelli di canzoni che non riuscite

a mandar via, nonostante vi sforziate di ignorarli. Vi rendete

conto e vi ripetete: ma io non voglio pensarli, eppure sono lì.

Questo è un altro esempio, lampante, di assenza di pensiero

volontario. Adesso mi spingo oltre e rifletto: e se ciò che

riteniamo di pensare sia tutto un ritornello? Il passo non è

così difficile da compiere e forse questi messaggi cercano

di farci destare la coscienza. A questo punto mi viene in

mente una citazione di Winston Churchill: “A volte l’uomo

inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si

rialza e continua per la sua strada”. È il corpo che prende

il sopravvento sulla mente, che diviene quest’ultima un

optional da usare il meno possibile. Ecco che a questo punto

il dubbio ha il primato sul pensare, diventa necessario, per

avere la certezza del pensare stesso e dell’esistere. Prima

di queste conferme, i Maestri hanno sempre distinto tra

dormienti e risvegliati, evidentemente conoscono bene i

meccanismi mentali e hanno fatto e fanno ancora di tutto

per destare nell’uomo la coscienza. Uno dei metodi che i

Maestri zen propongono è il Koan: “sono problemi oscuri

e assurdi, inventati e costruiti con cura appositamente per

indurre il discepolo Zen a rendersi conto nel modo più

drammatico dei limiti della logica e del ragionamento”.

Ecco un esempio: “Puoi produrre il suono di due mani

che battono insieme. Ma che cos’è il suono di una mano

sola?”

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In ultima battuta, per concludere, la schizofrenia è un

bellissimo viaggio alla scoperta di se stessi, facendo emergere

le maschere sociali che tutti indossiamo e che non sempre

sono volute; un vestito che la società ci cuce addosso e non

si aspetta niente di diverso da noi, pena la diversità. I più

audaci, armati di buona volontà e desiderio di conoscenza

possono riconoscere questo vestito, impegnandosi a

dubitare di se stessi per almeno pochi minuti al giorno, in

quei pochi minuti forse penseremo veramente e riusciremo

a connetterci con la parte più profonda di noi stessi.

Vi lascio con una lettera di Plotino a Flacco. Voi mi chiedete:

«Come si può conoscere l’infinito?» Io vi rispondo: «Non

con la ragione. Il compito della ragione è di distinguere e

definire. L’infinito, perciò, non può essere classificato fra i

suoi oggetti. Potete comprendere l’Infinito solo attraverso

una facoltà superiore alla ragione, entrando in uno stato in

cui non siete più il vostro sé finito, in cui l’essenza divina vi

viene comunicata. Questa è l’estasi, lo stato in cui la vostra

mente viene liberata dalla sua coscienza finita. Ogni simile

comprende il suo simile; quando cessate di essere finiti,

diventate una cosa sola con l’infinito. Riducendo la vostra

anima al suo più semplice sé, alla sua divina essenza, voi

realizzate questa unione, questa identità.»

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14 - Fuori onda

La Religione da sola diventa superstizione; la filosofia

isolata diviene mera speculazione; la scienza senza queste

due componenti diventa amorale e quindi pericolosa. (Sai

Baba)

Non c’è Santo senza un passato, non c’è peccatore senza un

futuro. (Shri Babaji)

Come il Santo e il giusto non potranno innalzarsi al di

sopra di quanto vi è di più in alto in voi; così il malvagio e

il debole non potranno cadere più in basso di quanto di più

basso è in voi. (Gibran)

C’è una sola casta: la casta dell’umanità. C’è una sola

religione: la religione dell’Amore. C’è un solo linguaggio:

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il linguaggio del cuore. C’è un solo Dio: è onnipervadente.

(Sai Baba)

Salutate tutte le religioni come figlie di una stessa madre;

tutte le fedi non sono che tentativi di preparare gli uomini

alla Via. Idee di superiorità o inferiorità nascono solo in

un cuore corrotto dall’egoismo. In ogni essere umano ci

sono tutte le qualità divine. Tutto il cosmo è permeato di

Dio e in Lui si riassume ogni cosa. Non c’è un solo atomo

nell’universo che non sia pieno di Dio. (Sai Baba)

Se non avete fiducia in voi stessi, non potete avere fiducia

in Dio o in altri. La fiducia in se stessi viene prima: è

essenziale. Una volta che avete fiducia in voi stessi potete

poi averne in qualsiasi altra cosa. (Sai Baba)

Se l’assoluto rimanesse solamente informale, ciò non

sarebbe di alcuna utilità alla gente della terra. L’Avatar

assume quella particolare forma, si fa a misura d’uomo

perché l’uomo ne possa trarre beneficio. Dio non scende

fra voi per il gusto di predicare, né per eliminare i vostri

problemi, né per darvi la realizzazione, ma per mettervi in

grado di coltivare l’amore. (Sai Baba)

Due mani che lavorano con amore (senza attaccamento)

sono più vicine a Dio di cento bocche che pregano. Ma chi

prega non spreca. (Sai Baba)

Solo la rinuncia, il distacco, il sacrificio possono assicurare

la suprema realizzazione, che è gioia eterna. La rinuncia è

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la legge della vita, perciò la vita è degna di essere vissuta,

e diviene una fonte di felicità. (Sai Baba)

La malattia è la concretizzazione di un atteggiamento

mentale, una volta modificato quest’ultimo non è più

presente la causa della malattia. (Edward Bach)

È la mente dell’uomo responsabile delle condizioni di salute

e malattia. (Sai Baba)

L’egoismo è ricevere e dimenticare, l’amore è dare e

perdonare. (Sai Baba)

Tempo e spazio, vestiti di alfa e omega, crudeli impostori; vi

guardo negli occhi e sorrido, passerò indenne il big-crash.

(Fernando Utano)

Ho attraversato la tempesta, con un vascello di carta. La

tempesta mi chiese: come hai fatto? Gli disvelai sottovoce

affinché nessuno sentisse, che eravamo stati complici.

(Fernando Utano)

Per rendersi conto dell’influenza della coscienza collettiva,

bisogna uscirne per qualche tempo. (Fernando Utano)

Io non discuto se sia falso o sia vero, io non faccio proseliti,

ma espongo. (Arno Holz)

La religione non consiste in semplici parole, nel

pellegrinaggio ai luoghi santi o nello starsene immobili a

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meditare. Rimani puro in mezzo all’impurità del mondo, e

troverai la via della religione. (Maestro Sikh Nanak)

In primo luogo a tutto ciò che è male rinuncia, poi a credere

nell’io, renditi infine libero da tutto, e allora, certo, diverrai

un saggio. (Santo buddista Aryadeva)

Qualcuno chiese al Maestro: «Esiste una parola, secondo

la quale ci si possa regolare per tutta la vita?» Il Maestro

rispose: «L’amor del prossimo. Ciò che non desideri per te

stesso, non farlo a nessun altro.» (Confucio)

Dio ci comprende quando chiunque altro ci ignora.

(Yogananda)

Non contano gli anni della tua vita, ma la vita dei tuoi anni.

(Abramo Lincoln)

La conoscenza discorsiva non serve ad andare oltre le

illusioni del mondo, proprio come il buio non cessa di

esistere solo menzionando una lampada.

(Kularnava Tantra I, 96-97)

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

(Albert Einstein)

Vi propongo infine una piccola ma significativa storiella di

un anonimo.

«Chi sono io?» chiese un giorno un giovane a un anziano.

«Sei quello che pensi» rispose l’anziano. «Te lo spiego con

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una piccola storia: Un giorno, dalle mura di una città, verso

il tramonto, si videro sulla linea dell’orizzonte due persone

che si abbracciavano. Sono un papà e una mamma, pensò

una bambina innocente. Sono due amanti, pensò un uomo

dal cuore torbido. Sono due amici che s’incontrano dopo

molti anni, pensò un uomo solo. Sono due mercanti che

hanno concluso un buon affare, pensò un uomo avido di

denaro. È un padre che abbraccia un figlio di ritorno dalla

guerra, pensò una donna dall’anima tenera. È una figlia che

abbraccia il padre di ritorno da un viaggio, pensò un uomo

addolorato per la morte di una figlia. Sono due innamorati,

pensò una ragazza che sognava l’amore. Sono due uomini

che lottano all’ultimo sangue, pensò un assassino. Chissà

perché si abbracciano, pensò un uomo dal cuore asciutto.

Che bello vedere due persone che si abbracciano, pensò un

uomo di Dio.»

«Ogni pensiero», concluse l’anziano, «rivela a te stesso

quello che sei. Esamina di frequente i tuoi pensieri: ti

possono dire molte più cose su te di qualsiasi Maestro.»

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15 - ringraziamenti

Ringrazio mia sorella e suo marito, mia madre, mia moglie;

senza di loro non sarei qui.

Ringrazio la medium per aver fatto da collegamento tra

questo mondo e le altre dimensioni.

Ringrazio il mio psichiatra Francesco, l’ultimo in ordine di

tempo, per avermi pienamente compreso e aiutato a farmi

capire che non dovevo più considerarmi un’Aquila dello

spirito, bensì una Fenice.

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patristictexts/423-justinian-anathemas-origen

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Riferimenti a persone o fatti realmente accaduti sono da considerarsi

puramente casuali e non voluti.

Idee e concetti espressi nel presente volume costituiscono opinione

personale dell’autore e non sono necessariamente quelli della casa

editrice e degli operatori che vi collaborano.

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