SportivissimoMarzo12

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foto di Luca Baldi

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La rivista dello sport vicentino

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il 21 dicembre 2005 n.1124

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L’arte di allenaree il vero allenatoreNello sport gli allenatori si dividono in due generi: gli allenatori “allevatori” e gli allenatori “selezionatori”. Al primo genere appartiene la grande maggioranza degli allenatori dei club di paese, quelli che si trovano ad allenare il figlio, più o meno sveglio, del dottore, del commerciante, dell’artigiano del luogo in cui vivono. Del secondo genere, invece, fanno parte gli allenatori dei Comitati, dei Gruppi Sportivi, delle Nazionali, delle squadre semiprofessioniste e professioniste, che allenano chi scelgono di allenare. Come a dire che i primi sono i bovari che allevano il vitello che la vacca della stalla ha dato loro mentre i secondi sono i grossisti di carni che scel-gono tra tanti, il vitello che a loro giudizio è il migliore. La Fondazione Agnelli ha studiato un criterio di selezione degli insegnanti in relazione al rendimento dei propri allievi. Può funzionare, se sono io il responsabile della scelta degli allievi. Nel caso opposto, non vedo come si possa valutare il lavoro sui risultati in sé di chi parte da elementi con capacità motorie e intellettuali estremamente diverse. Se ho un vitello da una vacca Limousine, per intenderci, mica è facile portarlo al prezzo di mercato di uno di razza Chianina. In genere gli allenatori “selezionatori” godono di maggior prestigio rispetto ai col-leghi “allevatori” e, infatti, l’allenatore della nazionale, che è per eccellenza un al-lenatore selezionatore, è più figo di quello della polisportiva di paese. Ovvio: è più difficile diventarlo: pochi, pochissimi diventano “selezionatori” mentre tutti possono proporsi come allenatori “allevatori”; il livello tecnico espresso è decisamente più alto; un “selezionatore” è un professionista, mentre l’altro è un dilettante. Eppure, nello specifico dell’arte dell’allenare, il vero allenatore è il secondo, ovvero non il figo ma lo sfigato. In uno dei grandi classici dell’arte d’insegnare, si legge un’importante verità: nessun uomo può insegnare a un altro uomo. Ciò significa che la via per l’apprendimento non è mai diretta e imperativa. Non si po’ dire a un atleta “fa così” e pensare che per magia egli riesca subito a eseguire quello che gli è stato indicato. Sarebbe troppo facile e saremmo tutti dei campioni. La via per l’apprendimento ha tempi e modi strettamente legati agli individui e ognuno impara secondo i propri. (Così, almeno, la pensa Agostino, autore del De Magistro; se lo si chiedesse a chi ha inventato le prove Invalsi probabilmente non sarebbe dello stesso parere). L’allenatore “selezio-natore”, allora, scegliendo chi ha già dentro di sé la verità tecnica, limita la sua opera ad aspetti, diciamo, esterni come le strategie di gara, gli schemi di gioco, i piccoli suggerimenti su qualche aspetto tecnico. Altro compito quello che spetta all’allena-tore “allevatore”, il quale non ha di fronte a sé un atleta capace tecnicamente ma un giovane ai primi passi, a cui deve insegnare tutto, senza, però, poterlo fare in modo diretto: “fa così e così”, perché non ne trarrebbe alcun risultato. Dice il filosofo, che insegnare significa saper risvegliare all’interno dell’individuo ciò che lo porterà a riflettere sul proprio miglioramento. E’ esattamente questo quello che fa l’allenatore “allevatore”, il quale cerca in tutti i modi di dare quei suggeri-menti attraverso i quali l’allievo possa iniziare “in interiore” a capire lo sport che sta praticando. La parola “allenare” deriva da “lena” che significa “forza di volontà, energia, vigore”, tutti stati interiori dell’essere. C’è, allora, l’allenatore “selezionato-re”, abile sulle cose esterne e l’allenatore “allevatore”, che lavora su quelle interne, quelle intime. Non c’è dubbio, che il vero allenatore, quello che fa la fatica più nobile dell’arte di allenare, sia il secondo.

di Luigi Borgo

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la nascita delle StelleAbbiamo incontrato Bruno Bruni ed Enrico Pozza,

presidente uscente e attuale della sezione recoarese del Cai, per farci raccontare la storia del più importante premio

alpinistico del territorio, le Stelle delle Piccole Dolomiti,e per conoscere da loro i progetti futuri.

Nato nel 2004, in occasione dei 50 anni dalla conqui-sta italiana del K2 e della fondazione

del Corpo Nazionale di Soccor-so Alpino, il premio Stelle delle Piccole Dolomiti è oggi arrivato alla sua ottava edizione, affer-mandosi, nel corso degli anni, come un momento importan-te sia della vita della sezione recoarese, che da sempre ne è l’organizzatrice, sia di tutto il movimento alpinistico italiano. Sono stati premiati alpinisti di primissimo livello come Cesa-re Maestri, autore di oltre 3000 ascensioni e grande vecchio dell’alpinismo del Novecento, e di Sergio Martini, che è tra i pochi uomini al mondo a essere salito su tutti i 14 Ottomila. Al fianco di questi grandi nomi, il premio recoarese ha anche dato ampia valorizzazione a molti al-pinisti che si sono formati e che si sono distinti sulle Piccole Do-lomiti. Oggi, dopo otto edizioni di successo, il presidente e i con-siglieri della Sezione di Recoaro hanno aperto una riflessione sul futuro stesso del premio affinché esso possa diventare un momen-to sempre più importante della

passione per la montagna, vissu-ta come sport, come salvaguar-dia dell’ambiente, come ricerca culturale, come solidarietà per i popoli della montagna di tutto il mondo.

Otto anni vissuti intensamente.Bruni: “assolutamente sì. Nel 2004 siamo partiti con un con-vegno intitolato “Soccorso e solidarietà in montagna: qua-le futuro”, in occasione dei 50 anni della conquista del K2 e dei 50 anni del Soccorso Alpi-no. Abbiamo avuto come re-latori Umberto Martini, allora vicepresidente nazionale del Cai, Armando Poli, presidente del Soccorso Alpino naziona-le, ma anche Bruno Zanettin, componente dello staff scien-tifico della spedizione del K2 e l’alpinista Kurt Diemberger. Il 2004 è stato un anno importante per la nostra sezione, che porta il nome di Gino Soldà, il quale fu un protagonista assoluto sia del cinquantesimo del K2 sia del Soccorso Alpino per essere stato capostazione del Soccorso Alpi-no Recoaro-Valdagno per più di 20 anni. Pozza: Con il presidente di al-lora, Raffaele Coronin, si pen-sò che dal buon esito di questo congresso potesse nascere un momento di riflessione sulle tan-te attività alpinistiche in cui la nostra sezione era impegnata, tra tutte, quella “Adottiamo un rifu-gio”, un progetto a favore delle popolazioni della montagna pe-ruviana. Fu così che si pensò di ideare un premio.

Siete partiti alla grande!Pozza: sì, già l’anno successivo abbiamo avuto Cesare Maestri, un padre dell’alpinismo moder-

di Luigi BorgoFoto di copertina

di Luca Baldi

Premiazione VIII edizione 2011

Bruno Bruni Enrico Pozza

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5recoarono. È stata una serata indimenti-

cabile. E poi Sergio Martini con tutti i suoi Ottomila, altra grande serata, e ancora Giampaolo Ca-sarotto, Pietro Lucchi, Matteo Campolongo, Franco Brunello e Tarciso Bellò, il nostro Gian-ni Bisson, e quest’anno Nicola Tondini e Nicola Sartori, una carrellata di esperienze alpinisti-che di primo ordine. Bruni: Siamo partiti anche con Cristina Castagna, la nostra indi-menticabile alpinista, premiata già nel 2005 per la conquista del Gasherbrum II e tanti altri alpi-nisti delle nostre Dolomiti come Paolo Asnicar, Franco Arturo Castagna, Mariano Storti, An-drea Sartori, Franco Spanevello; abbiamo premiato anche ricer-catori storici come il professor Claudio Gattera, fotografi come Luca Baldi, naturalisti come Dorino Stocchero, e autori di trekking significativi come Pao-la Pianalto, e poi i giovani Piero Perin e Alessandra Visonà oltre a vari enti, tra tutti il Soccorso Alpino e la Comunità Montana per la loro opera sul territorio. Cristina Castagna…Bruni: prima del tragico inci-dente, è sempre stata una presen-za importante e attiva del nostro gruppo: ci ha donato serate indi-menticabili, raccontandoci delle sue imprese, delle sue emozioni di alpinista delle grandi vet-te. Lei è una stella delle nostre montagne e noi siamo orgogliosi di averlo capito fin da subito.

Con questo premio avete moni-torato l’attività alpinistica loca-le e nazionale di un decennio.Pozza: abbiamo cercato di valo-rizzare chi si è impegnato per la nostra montagna. Le Piccole Do-lomiti sono un patrimonio della nostra terra che dev’essere sal-

vaguardato e i primi a farlo sono gli alpinisti che le vivono con intensità e passione. Per questo abbiamo coinvolto anche altre sezioni del Cai, come quelle di Rovereto e di Verona: le Piccole Dolomiti sono montagne anche loro.

Dopo 8 edizioni, quale futuro per le stelle?Bruni: siamo orgogliosi del per-corso compiuto. Abbiamo dato visibilità ad alpinisti veri e pre-stigio alle nostre montagne, che sono sempre al centro di un’in-tensa attività alpina. Però, dopo 8 anni, abbiamo pensato che il premio avesse bisogno di rive-dere la sua formula. Pozza: Alberto Peruffo, alpinista e uomo di cultura alpina, ci ha formulato un’idea molto valida: premiare oltre agli alpinisti lo-cali, com’è tradizione delle Stel-le, anche un giovane alpinista o esploratore straniero e offrirgli, come riconoscimento, una resi-denza, diciamo alpinistica, nel Veneto nel segno dell’acqua. Si tratterebbe di invitare a Recoaro uno dei campioni dell’alpini-smo del futuro e farlo arrivare attraverso un percorso che toc-chi alcuni dei luoghi più belli e significativi dell’acqua veneta: Venezia, il Brenta e le Ville Ve-nete, il Bacchiglione, Vicenza e il Palladio fino, appunto, a Reco-aro e alle sue terme per poi pro-seguire risalendo la via del Piave fino alle Dolomiti. Un percorso da Venezia alle Dolomiti nel se-gno dell’acqua con al centro Re-coaro e le sue terme.

Recoaro capitale dell’acqua venetaBruni: se le Dolomiti sono pa-trimonio dell’Unesco, lo sono in qualche modo anche le Piccole Dolomiti e le acque che da esse sgorgano. È questo il pensiero geniale di Peruffo: dire al mondo che le acque di Recoaro sono un

patrimonio dell’umanità. Come le rocce da cui sgorgano, come le Ville del Palladio che, nel percorso verso il mare, le nostre acque vanno a toccare. Il premio delle Stelle sarà essenzialmente un premio in “cultura veneta”: si offrirà a un talento dell’alpi-nismo mondiale l’opportunità di conoscere da vicino bellezze naturali e culturali uniche. Per lui sarà un’esperienza indimen-ticabile; per noi sarà il modo di inscrivere il nome delle monta-gne recoaresi dov’esso deve sta-re: nel patrimonio dell’umanità.

Si chiamerà ancora Selle delle Piccole Dolomiti?Pozza: Sì, ma avrà anche un nome internazionale legato alla premiazione del giovane al-pinista straniero: PALLADE EXPLORER AWARD, perché vogliamo non solo ribadire che è un premio a un giovane talen-to, “pallade” in greco significa “giovane”, ma anche vogliamo esprimere in modo esplicito il riferimento al genio della vicen-tinità più conosciuto nel mondo, Andrea Palladio, e al patrimonio artistico che ci ha lasciato.

Un’idea stellare!Bruni: Una grande idea e un’ot-tima opportunità perché si conti-nui a valorizzare le nostre monta-gne attraverso il riconoscimento degli alpinisti più impegnati ma anche un modo per porre le Pic-cole Dolomiti al centro del Ve-neto e delle sue bellezze. È un progetto, tuttavia, che la nostra sezione potrà realizzare soltanto con il contributo economico del-la Regione Veneto e di “Vicen-za è”, che in forma preventiva hanno già espresso il loro parere favorevole sulla qualità del pro-getto. Una condivisione di que-sto genere garantirebbe il pieno successo del Premio.

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di Giulio Centomo

amici per la corsa

Ho comprato un nuovo paio di scarpe sportive. Fin qui la notizia in sé potreb-be al più interessare mia mamma, ma i soldi erano

i miei quindi sembro l’unico coinvolto a cui potrebbe fare un qualche effetto.Un paio di scarpe sportive può adem-pire a diversi scopi, tra questi, forse tra i più banali, correre comodamen-te, senza dover imprecare per giorni a causa di tendiniti, vesciche o calli in-fiammati. Ebbene, ho deciso di andare a correre! Ecco, un’altra informazione che non cambierà il futuro del mondo.Ma c’è qualcosa che potrebbe interes-sare? Si, altrimenti non avrei scritto fin qui, sarei solo uscito a correre per conto mio.Domenica mattina, ore 10, infreddo-lito e assonnato dopo una serata di lavoro, mi hanno suggerito un gruppo di appassionati per uscire a correre in compagnia e allora perché non aggre-garsi?L’iniziativa si chiama “Amici per la corsa” e a sostenerla è l’Assessorato allo Sport del Comune di Valdagno che da anni con diverse attività pro-muove il benessere psico-fisico ed uno stile di vita sano, fatto di sport e atti-vità fisica.Correre perché? Perché fa bene, po-trebbe essere la prima risposta. Ma correre può essere anche un’ottima

occasione per socializzare, per scoprire nuovi percorsi ed il fascino della città vista con un punto di vista diverso, for-se anche un po’ più frettoloso, ma co-munque interessante.Ecco allora che se una cosa funziona vale la pena riproporla e darle continu-ità. Questo è proprio quello che hanno fatto gli “Amici per la corsa”, quasi cinquanta al primo appuntamento del-lo scorso gennaio, che ogni domenica mattina, alle 10.00 presso il parcheggio del PalaSoldà di Valdagno, si incontra-no, allacciano le scarpe e partono. Run-ners ma non solo, c’è posto per tutti.Alcuni cittadini appassionati di corsa a vari livelli hanno deciso di dedicare un po’ del loro tempo e sono a disposizio-ne per guidare soprattutto podisti ama-toriali, in modo da creare un gruppo per condividere questa passione e stimolar-ne la diffusione in città.La partecipazione neanche a dirlo è gratuita ed aperta a tutti. Per qualunque informazione gli appuntamenti sono disponibili sul sito del Comune di Val-dagno all’indirizzo www.comune.val-dagno.vi.it oppure sulla pagina Facebook “Amici per la corsa a Valdagno”. Vi aspettiamo numerosi!

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L’evento si svolgerà presso ilCentro di Arrampicata Zamberlan® XXLa Pievebelvicino in via Schio, adiacente al supermercato

Per info: Punto Vendita Zamberlan® Mountainsport · 0445 660 476 · 335 844 30 81 · www.zamberlanmountainsport.com

L’Ufficio Educazione Fisica dell’UST di Vicenza, in collaborazione con il CONI provinciale e conl’Associazione Zamberlan® Arrampicata, organizza:

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CATEGORIE IN GARA:Ragazzi/Ragazze nati nel 2000- 2001 (per questa categoria la manifestazione è a Carattere promozionale)

Cadetti/Cadette nati nel 1998-1999Allievi/Allieve nati nel 1995-1996 1997 (1998)Juniores M/F nati nel 1993-1994

PROGRAMMA:ore 8.00/8.30: Registrazione e conferma dei partecipanti. Riscaldamento atleti.ore 8.30/11.00: Qualificazioni.ore 11.30/12.30: Finali.ore 12.30/13.00: Premiazioni.

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bentornato lupoDopo l’orso Dino, è il lupo Slavc a correre nei nostri boschi.Dorino Stocchero ci racconta la vita e gli spostamentidi questo animale dalle caratteristichemorfologiche straordinarie.

Da alcuni giorni la stampa locale ripor-ta la notizia della presenza di un lupo tra il territorio vi-

centino e quello veronese.Il lupo arriva dalla Slovenia, fa parte di un progetto di studio “Slowolf” che è coordinato da ricercatori universitari. Le cer-tezze relative ai suoi spostamenti e alla sua provenienza derivano dal radiocollare che gli è stato applicato dai ricercatori sloveni.Il mammifero è stato catturato e poi rilasciato nel mese di luglio 2011 a SLAVNIK, assieme ad al-tri quattro esemplari, quindi una cattura “scientifica” durante la quale è stato applicato all’anima-le un radiocollare in grado di tra-smettere via GPS la sua posizio-ne in tempo reale, permettendo così di studiare gli spostamenti di questo canide che normalmente vive in gruppo, ma in giovane età tende ad emigrare per cercare e creare un branco proprio. Il lupo veniva nominato dai ricer-

catori dell’Università di Lubiana “Slavc”, si tratta di un maschio di 3 anni con un peso che si aggira sui quaranta chilogrammi e la sua lunghezza dal muso alla coda è di circa 160 centimetri.Un progetto sloveno diventato internazionale proprio grazie al percorso effettuato da Slavc che in meno di due mesi ha attraver-sato la Croazia, l’Austria, l’Alto Adige, il Trentino e ora è in Ve-neto, prima nell’Alto Vicentino transitando per Zone limitrofe di Asiago, arrivando fino a Thiene per poi portarsi verso Santorso, Tretto, Valli Del Pasubio, Reco-aro Terme, Crespadoro e adesso nel Veronese, battendo così il suo ben noto predecessore, l’orso Dino.I ricercatori manifestano ancora una volta tutto il loro stupore per la velocità e la capacità di orien-tarsi (dal momento del rilascio ad oggi ha percorso circa mille chilometri).La sottospecie di Slavc è più grande del lupo italico sia per il

suo peso che per la sua lunghez-za; Slavc è più grande anche dei suoi parenti più stretti visto che altri lupi sloveni pesano qualche chilogrammo in meno. Per que-sto motivo, per la sua notevole mole, forse Slavc è stato costret-to ad allontanarsi così tanto dal suo branco, proprio per evitare di dover rivaleggiare con il capo branco da dove proveniva.L’animale, in grado di fare 50 chilometri al giorno, è monito-rato dalle Polizie Provinciali in collaborazione con L’Università di Lubiana, con la Regione Ve-neto e del Trentino Alto Adige. Il radiocollare applicato a Slavc è di ultima generazione: associa ol-tre al sistema GPS anche quello GSM e VHF per poterlo seguire non solo con il satellite ma anche con strumenti mobili terrestri.Questo studio promosso dai ri-cercatori dell’Università di Lu-biana rientra nell’ambito di un progetto europeo “slowolf “ di conservazione della specie.

di Dorino Stocchero

IL LUPO (canis lupis)ordine carnivori famigliacanidi genere canis

Il lupo può vivere dal livello del mare fino all’alta montagna, in Italia le zone più interessanti per la specie sono le aree montane con ampie coperture forestali e scarso disturbo antropico.E’ un animale silenzioso, erra-tico, con abitudini prevalente-mente notturne. Vive gregario in gruppi familiari eccetto che nell’epoca della riproduzione quando la coppia si apparta. Non raramente vive anche solitario. In inverno può riunirsi in branchi alla cui guida è posto l’esempla-re più esperto. Eccellente corri-dore compie spostamenti anche notevoli per la ricerca del cibo. Durante la caccia è silenzioso ed emette qualche abbaio per richiamare i compagni all’inizio dell’inseguimento delle prede.Si nutre di varie specie di animali selvatici come mammiferi di me-dia mole, uccelli, rettili, anfibi, molluschi ed altri invertebrati, nonché carogne, frutta, bulbi e tuberi. Gli accoppiamenti hanno luogo da dicembre a febbraio e la femmina dopo una gestazione di circa 60 giorni, partorisce in un covo approntato alla base di un albero o sotto rocce o altre cavi-tà generalmente da 4 a 6 piccoli che vengono accuditi dall’intero branco.I cuccioli aprono gli occhi a 10-12 giorni dalla nascita, hanno un accrescimento relativamente

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Vai sempre a tutta birra

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vicenza

lento e vengono allattati per un paio di mesi. All’età di 6 mesi si rendono indipendenti ed a circa 2 anni, raggiunta la matu-rità sessuale, entrano in disper-sione o tentano di rimanere nel branco tentando di raggiungere una posizione dominante. Il mantello è grigio fulvo con to-nalità marrone rossicce. I sensi più sviluppati sono l’olfatto e l’udito. Il lupo vive in media una decina di anni. L’areale di distribuzione origi-nario del lupo interessava gran parte dell’emisfero settentrio-nale a nord, comprendendo l’intero continente nord ameri-cano, Messico incluso, e il con-tinente euroasiatico, Giappone compreso. In epoca recente il lupo ha subito drastiche ridu-zioni a seguito di persistenti

interventi di eradicazione del-la specie da parte dell’uomo. In Europa, alla fine del XVIII secolo, la specie era presente in tutti i paesi ad eccezione della Gran Bretagna e dell’Irlanda. Durante il XIX secolo e in par-ticolare negli anni che seguiro-no il secondo conflitto mondia-le. Gli intenti di persecuzione della specie furono cosi intensi che il lupo si estinse in tutti i paesi dell’Europa settentriona-le e centrale. Negli anni ’60 vi erano popolazione più o meno ridotte ed isolate esclusivamen-te in Portogallo, Spagna, Italia, Grecia, Paesi dell’ex Jugosla-via e paesi Scandinavi.In Italia la consistenza attuale del lupo è stimata in circa 400-500 capi ed è considerata spe-cie particolarmente protetta.

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vita da leaderIntervista a Raffaella Masciadri,la campionessa del Famila basket

A 31 anni Raffaella Masciadri, capitano del Basket Famila Schio, ha già vinto praticamente tutto

quello che c’era da vincere ma in campo lotta sempre come un leone alla costante ricerca di nuovi trionfi. Con alle spalle anche un’importante esperienza negli Stati Uniti con le Las An-geles Sparks la cestista d’origi-ne Comasca, ma ormai trapian-tata a Schio, è da molti ritenuta il vero simbolo del basket fem-minile Italiano degli ultimi anni. Anche in azzurro ha raggiunto ottimi risultati giocando 108 partite e segnando 1074 punti. Ripercorriamo la carriera, i ri-cordi, i successi ed i rimpianti di questa atleta straordinaria nella lunga intervista realizzata qual-che giorno fa a Schio:

-So che hai iniziato a giocare a basket all’età di 10 anni, cosa ti ha avvicinato a questa disci-plina?A dir la verità è stato mio padre: sia lui che mio zio avevano gio-cato per anni a basket e mi han-no spinto a provare. Prima per-sonalmente mi ero dedicata ad altri sport, soprattutto l’atletica, ma una volta provato il basket non l’ho più lasciato. In verità per un anno ho provato a dedicarmi sia all’atletica che alla pallacanestro ma alla fine ho scelto il basket e non l’ho più lasciato.

-Como, la tua città, ha una grande tradizione cestistica: da piccola chi erano i tuoi idoli o modelli sportivi?Ho avuto parecchi modelli spor-tivi essendo cresciuta in una società come la Comense che al tempo annoverava tra le sue fila alcune tra le migliori gioca-trici presenti in Italia: Ballabio, Pollini, Fullin, Gordon solo per fare qualche nome. Avendo la possibilità sin da giovanissima di allenarmi e disputare partite a stretto contatto con loro ho cercato di carpirne i segreti sia a livello sportivo che umano perché queste atlete avevano la capacità di essere grandi leader sia in campo che nella vita.

-Dopo tanti anni, e tanti succes-si, a Como cosa ti ha convinta ad accettare il trasferimento in quella che allora era una squa-dra emergente come Schio?Quando c’è stata la proposta da parte del presidente Marcello Cestaro di trasferirmi al Famila non ci ho pensato più di tanto. Conoscevo già il presidente, la serietà della società ed anche la città visto che avevo già affron-tato in trasferta il Famila come rivale. Oltre a questo in quel periodo probabilmente avevo voglia e necessità di una qual-che forma di cambiamento dopo tanti anni a Como e quindi ho seguito l’istinto.

-Il cambio di maglia è stato fa-cile o hai avuto bisogno di un periodo di adattamento?Devo dire che non ho avuto particolari problemi visto che in squadra ho ritrovato ragazze delle quali ero già stata compa-gna di squadra o di nazionale e questo mi ha permesso di adat-tarmi bene a livello sportivo. Oltre a questo aspetto anche i tifosi sono stati un fattore im-portante: mi hanno accolto bene sin dall’inizio supportandomi al massimo anche se arrivavo dalla Comense, storica rivale del Fa-mila Schio.

-Quella che stai affrontando è la tua settima stagione a Schio ma oltre all’aspetto sportivo come giudichi la tua vita in questa città?Sono molto soddisfatta della mia vita a Schio dato che mi sono sempre trovata bene in questa cittadina. Penso che per un’atleta professionista, sotto-posto a continui spostamenti e trasferte, vivere in un ambiente tranquillo sia fondamentale. Ol-tre a questo in città nel tempo ho trovato e sedimentato importan-ti amicizie, senza scordare che anche mio marito (Matteo Con-talbrigo ex ginnasta della nazio-nale Italiana, ndr) è di Schio ed ha contribuito a farmi “innamo-rare” di questa città.

-Oltre all’esperienza Italiana hai avuto l’onore, insieme alla tua compagna ed amica Lau-ra Macchi, di giocare diverse stagioni in WNBA, la massima serie americana: qual è il tuo ricordo di questa esperienza?Un ricordo sicuramente molto positivo. Degli U.S.A mi è pia-ciuto tutto, sia la realtà pretta-mente sportiva che l’ambiente esterno. Inizialmente ho avuto bisogno di un breve periodo d’adattamento dato che li il basket è vissuto in maniera molto più fisica rispetto ai campionati europei: ho dovuto sottopormi ad allenamenti molto pesanti con sessioni di pesi ed altri esercizi per migliorare sot-to l’aspetto atletico. Un’altra difficoltà che ho incontrato ini-zialmente sono state le trasferte: basti pensare che spostarsi per la trasferta più vicina è come anda-re da qui in Sicilia!Superati questi primi problemi d’adattamento però tutto è ve-nuto da sé: giocare in strutture sportive come quelle americane è un’esperienza incredibile con-siderando che gli impianti in cui li solitamente ci si allena sono a livello dei migliori palazzetti Italiani in cui si disputa la serie A maschile. Ho avuto la possibi-lità, e l’onore, di giocare in veri e propri templi del basket, come lo Staple center di Los Angeles o il Madison Square garden di New York, davanti a un pub-blico di 10000/15000 persone,

un’esperienza assolutamente in-dimenticabile.

-Alcuni rumors parlano di un tuo possibile ritorno negli Sta-ti Uniti questa estate, ce li puoi confermare?Diciamo che non c’è ancora nul-la di ufficiale ma mi piacerebbe moltissimo avere la possibilità di poter tornare per una stagio-ne in America considerando che davanti a me non ho ancora mol-tissimi anni di carriera. Quindi resto apertissima e spero in que-sta possibilità...

-Il tuo palmares parla da solo: 10 scudetti, 5 coppe Italia, 5 su-percoppe ed un Europa Cup. In campo però sei sempre l’ul-tima a mollare: dopo tanti suc-cessi dove trovi gli stimoli per dare sempre il massimo?In tanti me lo hanno chiesto ma non mi sono mai posta questa domanda. Penso che per un’at-leta nel corso della carriera ci sia la possibilità di continuare a migliorare e di ambire di anno in anno a nuovi obiettivi. Ho sem-pre avuto la fortuna di trovarmi nella squadra giusta al momen-to giusto e questo mi ha aiutata nello stabilire e nel cercare di raggiungere nuovi successi. Per esempio quest’anno la finale di Eurolega raggiunta col Famila è per me un traguardo del tutto nuovo e trovarsi a contendere un trofeo con le migliori 8 squadre di tutta Europa mi sprona nel trovare la motivazione e la forza per riuscire ad entrare in campo impegnandomi e rendendo al massimo. L’auspicio mio, e di tutta la squadra, è quello di arri-vare in fondo a questa importan-tissima competizione, anche se solo figurare tra le prime quattro squadre classificate sarebbe già un grandissimo risultato.

-Tra le tante partite che hai di-sputato in carriera quale giu-dichi la più importante?Ce ne sono tante ma una gara di cui ricordo il grande impatto emozionale è sicuramente quel-la del primo scudetto vinto nel corso della prima stagione che ho disputato qui a Schio contro Faenza, nel 2005. Era il primo scudetto in assoluto per il Fami-

di Fabio LandiEURO GROTTO photographer

Studio fotografico Zugliano [email protected] site www.eurogrotto.it

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11schio

la dopo tante cocenti sconfitte quindi sia l’attesa che i festeg-giamenti finali sono stati incre-dibili. Non scorderò mai l’affet-to dei tifosi e della gente a fine partite e nel periodo successivo la vittoria del primo scudetto.

-La compagna di squadra più forte con cui hai giocato?E’ una bella lotta. Sicuramente qui a Schio l’Australiana Penny Taylor mi è rimasta impressa per la facilità con cui effettuava de-terminati gesti tecnici. Oltre alle partite disputate come compa-gne di squadra ho avuto la pos-sibilità di marcarla tante volte in allenamento rendendomi conto della genialità e della naturale classe di questa giocatrice dav-vero unica.Per quanto riguarda l’esperien-za americana invece non posso non citare Lisa Leslie, un vero monumento del basket america-no, che mi ha colpito per la sua costanza e la sua forza mentale che le hanno consentito di arri-vare a giocare fino a 34/35 anni al top della forma in quello che è indubbiamente il miglior cam-pionato al mondo.

-Tornando alla tua carriera quale è stato il tuo più grande rimpianto o delusione sportiva?Forse il mio più grande cruccio, aldilà di alcune partite perse, è quello di aver saltato una stagione in America nell’estate del 2006. Anche oggi ripensandoci credo che in quell’occasione avrei pro-babilmente potuto cogliere delle importanti soddisfazioni ed è per questo che, a distanza di anni, quel forfait rode ancora...

-E per quanto riguarda l’espe-rienza in nazionale?Sono approdata in nazionale in un periodo di transizione suc-cessivo ai grandi successi degli anni novanta. Ho disputato del-le importantissime partite ma, purtroppo, a livello di squadra non siamo riuscite ad ottenere i risultati sperati. Ho però sem-pre dato l’anima per la maglia azzurra che, personalmente, considero un grande onore e per la quale lascio le porte aperte anche in futuro.

-Oltre al basket c’è qualche altro sport che segui con pas-sione?Fino all’anno scorso, quando mio marito era ancora in attività, seguivo costantemente la ginna-stica artistica. Mi piace seguire anche il tennis oltre chiaramen-te al basket maschile italiano e l’NBA. Anche l’atletica dopo le esperienze giovanili mi è ri-

masta nel cuore e seguo sempre con interesse le grandi manife-stazioni.

-Se dovessi dare un consiglio a una ragazza che si avvicina a uno sport nell’immagina-rio comune molto “maschile” come il basket cosa ti sentiresti di dirle?Di sicuro la prima cosa che le direi è di cercare di divertirsi praticando questo sport. L’idea-le per un giovane che si avvicina al basket sarebbe quello di pren-derlo come un puro divertimen-to il che significa entrare in pa-lestra col sorriso, allenarsi con il sorriso ed uscire dalla palestra altrettanto contenti e soddisfatti. Penso anche che il basket, e lo sport in generale, possano essere un ottimo metodo per estendere i propri rapporti sociali: fortuna-tamente io con la pallacanestro ho avuto la possibilità di girare, e conoscere, il mondo venendo a contatto con culture e persone differenti. Questo mi ha permes-so di crescere e di instaurare rapporti di amicizia importanti ed è un’opportunità che auguro a chiunque.Un altro consiglio è certamente quello di impegnarsi e di appli-carsi sempre al massimo in alle-namento perché ritengo che con la voglia di lottare ed un po’ di spirito di sacrificio si possa in-seguire e raggiungere qualsiasi sogno. Nel mio caso ad esem-pio fermandomi qualche minuto in più in palestra al termine di ogni sessione d’allenamento ho potuto gradualmente accrescere la mia tecnica grazie al lavoro individuale e questo mi è stato di grande aiuto nel raggiungere i miei obiettivi.

-Ti piacerebbe rimanere nel mondo del basket una volta terminata la tua carriera di giocatrice?Anche questa è una domanda che mi sto iniziando a porre. Certamente rimanere nell’ambi-to sportivo sarebbe bello perché per ora è l’unico ambito che ho conosciuto e nel quale ho avuto l’opportunità di lavorare per tan-ti anni. Dovendo scegliere non mi dispiacerebbe un ruolo da general manager o da dirigente in modo da riuscire a gestire non solo gli aspetti tecnici ma anche le questioni fuori dal campo. La possibilità di fare l’allenatrice di una prima squadra mi attrae meno anche se, visto che ho già il patentino per allenare le squa-dre di minibasket, non escludo la possibilità di poter tornare a lavorare con i bambini come ho già fatto in passato.

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valdagno Eddy el’hockey

Eddy Randon, 37 anni il pros-simo aprile, è un difensore del Recalac Hockey Valdagno. Si divide tra la pista ed il lavoro, una scelta non facile ma che,

grazie a passione e dedizione, riesce a conciliare. Una perso-na concreta che è ben conscia del suo ruolo all’interno della

squadra e lavora sempre per farsi trovare pronto.

Lo abbiamo sentito per parlare di hockey e per farci racconta-

re qualcosa di sé.

Come giudichi il campionato fino ad ora?Ad inizio stagione si poteva sicura-mente fare meglio. Qualche passo falso doveva essere evitato ma poi abbiamo trovato risultati e gioco. Ci sono state delle sorprese, Forte dei Marmi rappresenta un bel mix di esperienza e gioventù che, nono-stante il leggero calo, sta ottenendo ottimi risultati. Comunque l’impor-tante sarà arrivare in buone condi-zioni ai playoff. Ce la giocheremo anche perché il fattore campo inci-de relativamente se la squadra sta bene. Certo, è innegabile che piste come Lodi e, per gli avversari, Val-dagno siano più calde di altre.

È difficile conciliare il lavoro con l’hockey?Indubbiamente è molto impegnati-vo. Io cerco di dare il mio contribu-to. So che al Valdagno posso essere utile dando un cambio ai compagni, per farli rifiatare. Nonostante ciò il mio attaccamento a questo sport fa

si che lo stimolo per continuare ad allenarsi in modo serio e professio-nale non venga mai meno.

Qual è un tuo pregio in pista?Do sempre il 100%, non mi rispar-mio e non mollo mai. Di questo i tifosi possono starne certi.

E un difetto?Più che altro ho la curiosità di sape-re fino a dove sarei potuto arrivare in questo sport se avessi avuto più tempo da dedicare solo ed esclusi-vamente all’hockey.

Come hai iniziato l’avventura sui pattini?A sei anni a Trissino ho comincia-to a cimentarmi con questa attivi-tà sportiva. Praticavo anche altri sport perché mi piace in generale l’attività fisica. Anche in famiglia siamo appassionati di sport, non a caso mio papà mi ha chiamato Eddy come il grande ciclista bel-ga, il “cannibale” Eddy Merckx. Forse lui avrebbe voluto un figlio ciclista ma io ho scelto l’hockey.

C’è un collega che ammiri par-ticolarmente?Sicuramente Dario Rigo è un esempio di professionalità che negli anni ha saputo unire doti tecniche a capacità mentali. Ha un grande palmares ed è ancora, dopo tanti anni, al top. Quando ho cominciato a giocare con il Trissino, lui era già un punto di riferimento per la squadra.

Nel tempo libero cosa fai?Mi riposo, sto con la moglie. E poi di tempo libero ne ho vera-mente poco.

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Oltre all’hockey ti piacciono altri sport?Si, un po’ tutti ma il tempo scarseggia. Ogni tanto rie-sco a ritagliarmi un’ora da dedicare al tennis.

Hai qualche rituale prima di scendere in pista?No, nessuno. Non sono scaramantico. Che musica ascolti?Quella che passa la radio, sono spesso in macchina per lavoro e la ascolto in sottofondo.

Hai un piatto preferito?Tocchiamo un tasto dolente. Mi piace mangiare ma devo tenermi anche se il sacrificio è grande. In gio-ventù ho avuto un’alimentazione un po’ sregolata, è un errore che ho imparato a non commettere più.

Oltre che in pista ogni tanto sei utile alla società anche per risolvere piccoli problemi informatici.È il mio lavoro e di carattere non riesco a dire di no quando mi si chiede con gentilezza un favore. Quindi se posso rendermi utile per dei lavoretti sono sempre disponibile.

Un’ultima domanda: ti saresti aspettato che mister Marozin tornasse ad allenare il Breganze?Francamente no. Dopo tutto quello che era stato detto, soprattutto il polverone alzato dalla società Breganze, non credevo che, solo dopo qualche mese, Marozin ritornasse a sedere su quella panchina.

Il Recalac Hockey Valdagno, dopo aver sbancato Ginevra per 9 a 2, si gioca tutto sabato 14 aprile al Palalido contro il Liceo La Coruña. L’obiettivo

è di accedere per la terza volta con-secutiva alla fase finale dell’Euro-lega: la Final Eight. Per centrare il prestigioso traguardo il Valdagno ha tre possibilità: vincere, pareg-giare o perdere con al massimo un goal di scarto. Ma, di fronte, avrà un Liceo all’ultima spiaggia, in-somma l’appuntamento è di quelli da non mancare. Nel girone C in-fatti continua a regnare l’equilibrio. Fin dal sorteggio è stato chiaro che si trattava del raggruppamento più duro della competizione perché sono tre le corazzate, Valdagno, Li-ceo e Porto, che si giocano i due po-sti utili per la fase finale. Insomma, qualcuno dovrà rimanere a bocca asciutta. Ora, la classifica dice che in testa c’è il Valdagno con 12 punti seguito da Liceo, campione d’Eu-ropa in carica, e Porto a quota 9. Fanalino di coda il Ginevra sempre sconfitto. Nell’ultimo turno il Porto ospiterà gli svizzeri e la partita non dovrebbe avere storia. Il Valdagno, da parte sua, è chiamato ad una grande prestazione contro il Liceo. All’andata in Galizia andò male: 5 a 1 per Bargalló e compagni. Da allora, però, la squadra è cresciuta e ha acquisito esperienza in partite di livello internazionale. Molti ra-gazzi erano, infatti, praticamente al debutto su un palcoscenico come quello dell’Eurolega. Il risultato di grande prestigio è a portata di

mano. Sarebbe frutto di un cammi-no a tratti entusiasmante. La com-pagine di Vanzo si è esaltata in par-ticolare nel doppio confronto con il Porto. I fortissimi lusitani,imbattuti fino ad allora, si sono dovuti ar-rendere sia in casa che al Palalido. Alla Dragao Caixa Arena, 8 a 4 il risultato finale per il Valdagno. Gara dominata dall’inizio alla fine con i biancoazzurri sempre avanti con Pedro Gil e compagni incapa-ci di arginare le ripartenze letali di Nicolia e Tataranni. Poi, il match casalingo è stato dal punto di vista emotivo la partita dell’anno. Una vittoria pazzesca ottenuta a fil di sirena quando il Palalido era già in estasi per il pareggio visto che il Valdagno era andato al riposo con un passivo di 4 goal. E invece il 7 a 6 finale, con rete di Tataranni allo scadere, ha regalato ai tifosi una serata magica. Pensare che a meno di 4 minuti dal termine il Porto si-glava il 6 a 4 e sembrava mettere in cassaforte il risultato. Lì è uscito il carattere, il dna che la squadra ha acquisito da quando c’è Franco Vanzo in panchina: la capacità di non mollare mai che si era già vista con il Bassano e si è ripetuta con il Viareggio. Imprese che, a distanza di tempo, proprio per la loro por-tata non si affievoliscono ma anzi sono più vive che mai nel ricordo di tutti gli appassionati. Adesso il prossimo 14 aprile il Valdagno può chiudere il cerchio e, con l’aiuto dei propri tifosi, confermarsi tra le prime 8 squadre d’Europa.

Imperdibile la sfida del 14 aprile prossimo, quando il Recalac Valdagno sfiderà il Liceo La Coruña per l’accesso alla fase finale dell’Eurolega.

Tutto in una notte

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passaggio sotterraneoUn risultato eccezionale, dopo anni e anni di ricerche

e tentativi, gli speleologi dell’alto vicentino sono riusciti a trovare la CONGIUNZIONE tra il BUSO

DELLA RANA e il BUSO DELLA PISATELA

di Gruppo Speleologi Malo - CAI Malo e Gruppo

Grotte Schio - CAI SchioFOTO: estratte

dall’archivio del GSM.

Anni e anni di esplorazioni e ricerche speleo-logiche si sono finalmente con-

cretizzate. Il Buso della Rana con i suoi quasi 28 km di gal-lerie e sale e fiumi sotterranei, il 17 marzo di quest’anno è stato finalmente collegato all’altra grande grotta presente sotto l’Altopiano del Faedo-Casaron, il Buso della Pisatela. Sommando così altri quasi 8 km di gallerie, e cunicoli si è venuto a formare un comples-so sistema carsico di quasi 36 km di sviluppo diventando una delle grotte più estese d’Italia.Il Buso della Rana in comu-ne di Monte di Malo (VI) è una grotta ad andamento sub-orizzontale che si sviluppa all’interno dell’Altopiano del Faedo-Casaron. Conosciuta fin dall’antichità il suo nome deriva dal cimbro “Roan” che significa parete rocciosa e probabilmente trae le sue origini nei secoli ’X-XII ° quando popolazioni di origi-ne tedesche hanno colonizzato questi luoghi Solo nel 1887 a causa di una forte siccità è stato possibile a un gruppo di giovani di Malo e Schio fra i quali ricordiamo Valentino Castellani, Don Gia-como Bologna e Cesare Belli-ni i superare il sifone iniziale e quindi conoscere le reali di-mensioni della grotta.Negli anni successivi la grotta non fu più oggetto di esplora-zioni, ma solo di ricerche fau-nistiche anche a opera di stu-diosi stranieri.

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Nel Giugno del 1933 è iniziata la vera esplorazione sistemati-ca della grotta ad opera prima di Paolo Antoniazzi di Malo che si immerse in solitaria nel sifone per primo e successiva-mente del Gruppo Grotte del CAI di Arzignano.La caratteristica del Buso del-la Rana e che negli anni ne ha alimentato la fama a livello nazionale e internazionale è quella di aver avuto una sola entrata.Sono nate così leggende, che ancora oggi persistono nell’im-maginario popolare, di maiali o cani fatti entrare dall’ingres-so principale della cavità e poi ritrovati a Valdagno, Cornedo o addirittura a Verona.Fin dagli anni ’70 il Gruppo Speleologi Malo e il Gruppo Grotte Schio hanno cercato di sfatare queste leggende da bar cercando il secondo ingres-so della cavità intensificando le esplorazioni delle decine di piccole voragini nel sopra-stante Altopiano del Faedo-Casaron.Diversi buchi più o meno pro-fondi sono stati scoperti esplo-rati e rilevati negli anni, ma nessuno di essi permetteva di entrare all’interno del com-plesso sistema del Buso della Rana.Nel Novembre del 1978 il Gruppo Grotte Schio del CAI Schio scopre una piccola cavità a forma di tana che battezza con il nome di Buso della Pisatela ( pisatela in dialetto veneto è chiamato il girino) quasi pre-annunciando quello che sarà il suo futuro destino di incontrare

monte di malo

la Rana.Il Gruppo Speleologi Malo dal canto suo intensifica negli anni le ricerche dall’interno del Buso della Rana con una successione di risalite di ca-mini verticali ed esplorazioni nelle zone più estreme.Nel dicembre 2003, la svolta decisiva. Il GSM organizza un campo interno al Buso della Rana nella zona più lontana dall’ingresso con lo scopo di forzare da sotto una frana e proprio in quei giorni il GGS di Schio sente dalla Pisatela i suoni dei trapani e dei martelli. Avviene così la conferma uffi-ciale della vicinanza delle due grotte.Comincia così tra GSM e GGS la collaborazione per lo scavo dalla frana dalla parte dello Pisatela, molto più agevole e veloce da raggiungere.. Nel 2004 la prima prova con lo strumento ARVA fornisce una distanza di 20-24 metri e inizia lo scavo vero e proprio della F-Rana che separa le due grotte..Nel 2006 viene fatta una ul-teriore prova ARVA con una distanza di 14 metri della Pi-satela dalla Rana che vengono confermati dai metri effettiva-mente fatti di scavo.Si prosegue lo scavo di qual-che altro metro, ma la enorme massa di sassi e fango ha la meglio sulla volontà e la forza di proseguire questa improba opera.Nel Giugno 2011 la svolta decisiva. Dalla volontà mai sopita nel GSM di trovare il secondo ingresso della Rana si

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ritorna nella F-Rana e vie-ne rifatta una prova ARVA scoprendo che la distanza tra le due grotte è di soli 10 metri. Ricomincia lo scavo con un nuovo entusiasmo da parte dei due gruppi. La forza e la volontà raddoppiano, velo-cizzando il raggiungimento del risultato e alla ulteriore prova di Settembre 2001 la distanza è di soli 7.6 m.Squadre di speleologi dei due gruppi, quasi tutti i fine

settimana di questo secco inverno 2011-2012, tornano in Pisatela per avanzare di un metro alla volta finché a Febbraio 2011 la distanza è di 3.6 metri.Il 14 Marzo l’ultimo sas-so che separa le due grotte cade alle ore 00.35 e il suc-cessivo sabato 17 Marzo il GSM Malo e il GGS Schio entrano finalmente dentro il Buso della Rana da un altro ingresso.Il GSM con il GGS hanno

realizzato il sogno di decen-ni di speleologi vicentini e veneti raggiungendo l’o-biettivo di trovare il secon-do ingresso del Buso della Rana.Il Complesso carsico del Buso della Rana – Buso del-la Pisatela può sicuramente regalare alle generazioni future di speleologi nuove sorprese e soprattutto grandi emozioni come quelle vis-sute in questo inizio di 2012 dalla speleologia vicentina.

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19valdagno

oltre le AlpiGiorgio Peripoli, Massimo Cracco e Michele Zamperetti sono saliti

con gli sci sui Monti Tatratra Polonia e Slovacchia

Se per gli appassionati di sport estivi i Mon-ti Tatra non ricordano nulla in particolare, invece per gli appas-

sionati di sport invernali questa catena montuosa al confine tra Polonia e Slovacchia rappresenta una meta ambiziosa che tutti gli inverni ospita tra la sue splendide valli tantissimi sportivi. Un im-portante zona montuosa con una forte tradizione di sport inverna-li e molti rifugi a dimostrazione che sono tanti gli amanti di sport e montagna che frequentano que-ste zone.Un viaggio che Giorgio Peripo-li, Massimo Cracco e Michele Zamperetti avevano programma-to da molto tempo: un piccolo sogno nel cassetto di tre amici appassionati di sci alpinismo e di montagna che hanno deciso di avventurarsi oltre le Alpi per scoprire le bellezze di una catena

di Chiara Guiotto

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montuosa quella dei Tatra davvero affascinante. Muniti di sci alpini-smo, ramponi e coltelli da neve i tre amici provenienti dalla vallata dell’Agno avevano previsto sei uscite, alcune più impegnative, al-tre più tranquille ma sempre molto alpinistiche e mai banali. A guida-re i tre giovani sportivi l’istruttore di sci alpinismo Stanislaw Melek, forte alpinista slovacco che ha accompagnato Giorgio, Massimo e Michele in alcune uscite. “La guida è stata importante -ha com-mentato Giorgio Peripoli- Un po’ per affrontare le difficoltà con maggiore sicurezza, ma soprattutto perché in questa catena montuosa ci sono molte zone vietate non solo alle auto ma addirittura alle perso-ne a piedi o con gli sci, ci sono zone protette per la fauna presente e aree prive di interventi forestali -ha proseguito Giorgio”. Insomma la guida è servita ai ragazzi anche per questo motivo, per essere sem-pre certi dei percorsi che andavano a esplorare e le vette che risaliva-no. Dal punto di vista meteorolo-gico i tre amici sono stati fortuna-tissimi perché hanno trovato una settimana sempre soleggiata, un clima secco e temperature più alte della norma: in alta quota di giorno si raggiungevano -10°C. Normal-mente nei Monti Tatra il tempo è molto variabile, invece in seguito a forti raffiche di vento che hanno interessato la catena montuosa una settimana prima della loro parten-za, hanno permesso ai nostri atleti vicentini di godersi una settimana di tempo splendido e neve dura, caratteristiche ottimali per pratica-re sci alpinismo in sicurezza. La gita più alpinistica di tutte è stata la prima, la risalita al Monte Rysy, a 2499 m, con un dislivello di 1250 m. Un alternanza di la-ghi, valli, tratti ghiacciati e pendii mozzafiato hanno reso la prima uscita davvero intrigante; con gli sci in spalla su un tratto molto ri-pido esposto a 50 gradi hanno rag-giunto il rifugio Chata Pod Rysmi a 2250 m. A causa del forte vento dei giorni precedenti i tre alpinisti sono saliti sulla dorsale con i ram-poni raggiungendo così la vetta del Rysy che ha regalato una splendida vista sulla parete Nord del Wyso-ka, palestra di allenamento di molti alpinisti polacchi durante la prepa-razione alle spedizioni sull’Hima-laya.Lunedì 5 marzo direzione Svistovy Stit, vetta a 2383 metri di altezza, con un dislivello di 1100 metri. Un trenino a cremagliera ha condotto i tre amici ai piedi della Vel’ka Studena Dolina, un’ampia vallata dagli scorci meravigliosi illumi-nati da una giornata di sole senza paragoni. Neve dura ma pendio sciabile. La terza gita, più tranquil-la, ha previsto il raggiungimento del rifugio Rainerova Chata a 1300 m. Costruito nel 1863 si tratta del primo rifugio costruito lungo la catena dei Monti Tatra. Vecchie pi-cozze, ramponi, sci di legno, corde di canapa e vecchie fotografie: un vero e proprio salto nel passato per

i tre sci alpinisti. Giornata quindi non troppo faticosa in preparazio-ne della giornata successiva che ha previsto la risalita a Terhyo Chata, 2015 m. “A piedi dal nostro allog-gio -ha commentato Giorgio- ab-biamo raggiunto Stary Smokovec dove abbiamo preso il trenino a cremagliera fino a Hrebniok; da qui abbiamo cominciato a risalire su una strada forestale in mezzo al bosco e in corrispondenza del rifugio a 1475 m (Zamkovskèho Chata) abbiamo imboccato la stu-penda Malà Studenà Dolina. La valle era circondata da bellissime pareti rocciose e ci ha portato al ripido pendio finale sotto il rifu-gio Teryho Chata – ha proseguito Giorgio”. Il rifugio sorgeva in una bellissima conca ed era circonda-to da alcune delle più spettacolari vette dei Monti Tatra. I canali cir-costanti erano troppo ghiacciati e i ragazzi sono stati costretti a scen-dere verso valle. Dopo quattro giorni di risalite impegnative finalmente un po’ di meritato riposo a cui i ragazzi hanno deciso di dedicarsi andando alle terme di Poprad dove sorge un rinomato centro benessere con piscina all’aperto e temperatura dell’acqua intorno ai 38°C. Ottima scelta per rilassare la muscolatura

contratta e affaticata, e poter ricari-carsi in vista delle ultime due usci-te previste prima di fare ritorno in Italia. Purtroppo raggiunta la loca-lità di Zakopane, punto di partenza per le ultime due uscite, durante la notte nel parcheggio dell’ostello dove i ragazzi alloggiavano, han-no subito il furto degli sci: triste e spiacevole episodio che ha co-stretto i tre amici a concludere in anticipo il loro viaggio e tornare in Italia. “A parte questo spiacevole fatto -ha concluso Giorgio Peripoli- siamo contenti di aver scoperto e visitato un luogo nuovo e poco co-nosciuto qui in Italia. I posti sono veramente belli e molto selvaggi, le uscite con gli sci alpinismo non sono state mai banali. Abbiamo avuto la fortuna - prosegue Gior-gio- di realizzare quattro uscite molto belle e tecniche che ci han-no regalato panorami meravigliosi che possiamo paragonare ad un mix tra le Dolomiti e Lagorai. E il tempo splendido, cosa parecchio insolita da queste parti, ha reso questo viaggio ancora più spetta-colare. Un ringraziamento speciale alla nostra guida di sci alpinismo Stanilaw Melek e alla guida polac-ca Zosia Bachleda”.Alcuni cenni geografici. I Tatry,

nella lingua locale, rappresentano la parte più alta dei Carpazi e si distinguono per picchi molto alti situati nell’area slovacca e per i grandi laghi polacchi. Situata a 2655 m di altezza la cima più alta dei Monti Tatra, in Slovacchia, è Gerlachovsky Stit, mentre nella parte polacca la vetta più alta è Rysy che tocca i 2499 m. Ai pie-di della catena montuosa molto conosciuta per gli sport invernali sono presenti alcune località turi-stiche altrettanto conosciute come Poprad, Vysokè Tatry e Zakopane, capitale invernale della Polonia. Si pensi che gli Alti Tatra appartenen-ti alle cime più orientali della cate-na, con ben 25 vette oltre i 2500 m sono le uniche montagne a caratte-re alpino nei 1200 chilometri della catena dei Carpazi.I Monti Tatra, Parco Nazionale sia in Polonia che in Slovenia, sono parte dell’UNESCO dal 1993. Nel 2004 3 milioni di m3 della foresta meridionale degli Alti Tatra a cau-sa di una burrasca di vento furono abbattuti e morirono due persone.

Per chi volesse visitare questi bellissimi posti e avere ulteriori informazioni dai protagonisti, scrivere a

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Limit raceLa Arrowhead è una delle gare più estreme

al mondo: 217 km nel cuore ghiacciato del Minnesota. Corrado Buzzolan, atleta di

Santorso, vi ha partecipato con successo.

Per gli appassionati di gare Ultra Trail affrontare una gara

dove non solo la distanza da percorrere a piedi ma anche le avverse condizioni atmosferi-

che, la solitudine e desolazione sono fattori che mettono a dura

prova la performance dell’at-leta, può senz’altro rappresen-

tare una sfida nella sfida. Per questo la preparazione fisica e psicologica, ma anche del

materiale tecnico deve essere fatta scrupolosamente.

’ un continuo sali scendi. A vol-te ripidissimi. Il cibo fa parte del bagaglio obbligatorio da

portarselo appresso. E’ insom-ma una gara impegnativa che ti mette alla prova sia fisicamente

che psicologicamente.

A Corrado Buzzolan, atleta di Santorso, che ha ultimato questa gara nel febbraio scor-so chiediamo le impressioni e i consigli per coloro che volesse-ro l’anno prossimo intrapren-dere questa avventura.

Qual è la condizione atletiche e mentali per potersi iscriversi a una gara così impegnativa?Avere partecipato almeno a una gara lunga 200 Km. Serve, ov-vero, conoscere le reazione del proprio fisico e della propria mente in una gara Ultra Trail, prima di affrontare una gara così estrema come la Arrowhead.

Quali sono i materiali obbliga-tori da portarsi appresso? Sacco a pelo adatto a tempera-ture rigide, stuoino, sacco da bi-vacco o tenda, fornello a benzi-na, due lampade frontali, acqua e viveri per 2 giorni.

Con quali calzature ha corso? Scarpe da ginnastica in Clima Shield SALOMON modello SpeedCross 3 con ghetta da ci-clista in neoprene.

Dove ha acquistato il bob? In Inghilterra. Ordinandolo via web all’indirizzo: www.snowsled.com Il bob arriva dopo circa 7 giorni e costa 300 euro.

C’è un altro modo per avere il bob senza acquistarlo? Sì, lo si può noleggiare diretta-mente dall’organizzazione.

Quanto importante è stato ave-re l’abbigliamento tecnico giu-sto, cosa consiglia? L’abbigliamento deve essere nella stesso tempo caldo e leg-gero, ma soprattutto deve tenerti asciutto; io consiglio per l’intimo X-Bionic e per il secondo strato Ortovox in lana merino.

Quali difficoltà ha riscontrato e quali sono state quelle per le quali non era preparato? Le ripide salite nella seconda par-te della gara e l’eccessivo peso della slitta.

Dove dormire a International Falls, punto di partenza della gara? Presso il Motel Voyager

Quanto costa questa gara in termini di equipaggiamento tecnico (scarpe/maglioni/ ma-teriale obbligatorio), viaggio (aereo), pernottamento(motel) e varie?Equipaggiamento tecnico: 2300 (abbigliamento, calzature, bob e accessori). Naturalmente se si possiede già tanta di questa attrezzatura la spesa si azzera. Viaggio: 900 euro. Pernottamen-to per 10 giorni e varie: 350 euro. Iscrizione gara: 200 dollari (circa 150 euro).

Quindi per fare una gare simile devi prevedere una somma ini-ziale di 3700 euro. Sì, è una gara faticosa e anche costosa, ma lascia delle emozioni uniche.

Quali sono state le sue motiva-zioni che lo hanno spinto a fare questa gara? Volevo provare una gara al fred-do in preparazione ad un’altra an-cora più estrema che vorrei tanto fare: la Iditarod in Alaska.

Se dovesse rifarlacosa non farebbe? Metterei nel bob molta meno attrezzatura, esclusa quella ob-bligatoria, naturalmente. Così viaggerei più leggero. (Ma atten-

di Roberta Dalla Vecchia

Page 23: SportivissimoMarzo12

schio

Distanza:271 km

Tempo massimo: 60 ore

Temperature minime: fino a -25 (anche -41)

Materiale obbligatorio per i podisti:bob/slitta da traino sacco a pelo

e materiale da soppravvivenza

N. posti disponibili: max 135 concorrenti(tra tutte le specialità)

Ristori: 3

Web: www.arrowheadiltra.com/index.php

ARROWHEAD MINNESOTA

STATI UNITIGara Ultra trial

a piedi - bici - sci fondo

zione! bisogna tenere altresì conto che ci possono essere delle nevicate e quindi preve-dere dei cambi sia di scarpe che di abbigliamento perché col freddo gelido bisogna stare sempre all’asciutto)

Altri consigli? Con un’adeguata prepara-zione alle lunghe distanze e con un adeguato abbiglia-mento la Arrowhead è una gara fattibile da chiunque. Naturalmente con un cer-to spirito d’avventura e la propensione alla solitu-dine. La paura la si deve contenere.

Com’è andata la sua gara:Sono arrivato 24 assoluto col tempo di 59 ore, su 50 podisti alla partenza. In 28 abbiamo tagliato il traguardo.Corrado ha ricevuto an-che il premio Shackleton Expedition Award per l’atleta che è rimasto più con il quale ha con-diviso tutta l’avventura.

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24vicenza

Il laghetto di Castel di GodegoPalestra di immersione per i sub vicentini

di Antonio RossoFoto di Antonello Porchedda e Denis Zorzin

Non c’é subacqueo vicentino che non conosca il laghet-to di Castel di Godego in quan-

to, complice la sua favorevole posizione geografica, è stato eletto a luogo preferito per le immersioni didattiche e sporti-ve da molte scuole subacquee trivenete e vicentine.Il laghetto é al confine tra Ca-stelfranco e Castello di Godego ed ha gli ingressi e buona parte dello specchio d’acqua nel co-mune di Castelfranco, per cui sarebbe più corretto chiamarlo “laghetto di Castelfranco”. Ma ormai è entrato nel lessico e te-niamolo per buono.Il fondale è composto da ghiaia e coperto da una coltre di limo con una vegetazione a tratti molto rigogliosa. Nella bella stagione gli appassionati fanno la fila per immergersi nelle ac-que fredde e spesso torbide. Le società sportive hanno infatti attrezzato il fondale con piat-taforme e passaggi obbligati. Sono stati pure affondati relitti di ogni genere tra cui un’im-barcazione e delle vecchie carcasse di auto per rendere

le immersioni più interessanti. Chi è appassionato di biologia o di foto trova numerose specie di piante, pesci e gamberi.Il bacino è stato ottenuto da una cava in disuso riempitasi d’acqua sorgiva. Ha dimen-sioni di circa otto ettari, 290 metri di lunghezza per 260 di larghezza, con una profondità massima di 33 metri, variabile con il livello di falda.Tutto ha avuto inizio gli anni Sessanta con la ricerca della ghiaia. La ghiaia allora vale-va come l’oro. Iniziò così an-che la coltivazione della cava dei Vudafieri, il nostro futuro specchio d’acqua. A furia di scavare e di approfondire l’e-strazione, ai primi anni 80, si intercettò l’acqua di falda che ne prese possesso. I cavatori non si persero d’animo e con-tinuarono l’estrazione fino al 1985. Seguirono anni di abban-dono, fino al 1990 con l’asta nella quale il bacino viene ac-quistato per 400 milioni di lire ed aperto ai subacquei dietro il pagamento di una quota di ingresso. E’ un successo, arri-vavano a centinaia. Negli anni successivi il laghetto é messo

in ordine, recintato e pulito ed i bagnanti accolti nella «Playa Loca». Con la nascita delle in-frastrutture esterne il laghetto è ormai un punto obbligato per la didattica e lo svago subac-queo. Oggi ne passano anche mille, millecinquecento in un week end.Tuttavia, oltre che luogo di relax e di svago, il laghetto è tristemente noto per gli inci-denti mortali che ci sono sta-ti. I primi due sono avvenuti negli anni Novanta. Un altro è accaduto nel 2004 mentre negli ultimi tre anni ne sono avvenuti altri quattro. Sempre per cause dovute a fatalità. La magistratura ha sequestrato il laghetto dopo i due deces-si di fine estate 2009, ma non ha individuato responsabilità. Sono seguite opere di bonifica, durate tre settimane, realizzate dagli stessi subacquei. La puli-zia del fondo, le piattaforme, le corde, il bagnino, la stesura di una planimetria con le norme di sicurezza da applicare. Tut-to fu posto in ordine, ma non è servito a nulla perché il lago ha richiesto anche nel 2010 il suo triste tributo. Ogni volta

è stata una causa diversa. Ma si deve ricordare, ancora una volta, che ci si deve immergere solo in condizioni psicofisiche ottimali. Proprio per questo segnalo quel che pochissimi subacquei sanno, cioè che, in località “Motte, a meno di due chilometri dal laghetto, vi è un sito importantissimo di epoca preistorica” la cui visita po-trebbe arricchire una giornata subacquea o creare un’alterna-tiva se non ci si sente pronti.Il luogo è stato abitato fin da epoche molto antiche e lo si ri-tiene risalente all’età del bron-zo (XII-X secolo a.C.). E’ una vasta area arginata, sopraele-vata dal piano campagna, det-ta, appunto: “le Motte”. Il sito si presenta allineato al vecchio corso del fiume Muson, come un grandioso manufatto con l’asse principale orientato lun-go una direttrice nord-ovest, sud-est. Qui, in perfetto alli-neamento, si può assistere nei solstizi d’estate e d’inverno, al sorgere del sole, godendo di sensazioni analoghe a quanto si avrebbe a Stonehenge, senza allontanarsi da casa.

Un po’ di storia di Castel di GodegoIl toponimo “Castello” allude all’esistenza nel luogo d’una rocca, con funzioni militari, in epoca romana e, successivamente, in età barbarica. Il castello in età medioevale divenne possesso della famiglia degli Ezzelini. Oggi è ancora visibile, nei pressi della canonica, il rialzo del terreno sul quale fu eretto il fortilizio (“castelliere”). La seconda voce, “Godego”, è di incerta derivazione. Secondo una teoria nasce dalle parole longobarde “gudia” o “gudaga”, aventi il significato di “boscaglia”.Ed infatti, nel corso dell’alto medioevo, fitte foreste si estendevano su questo territorio attraversato dal fiume Muson. Una se-conda ipotesi, propende per una stretta derivazione dal toponimo Godego dal nome di quel popolo, i Goti, che qui, nel corso della seconda metà del V secolo avrebbero eretto una fortezza a presidio dalla via Postumia.

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pesce persico

pesce gatto gambero

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Siamo arrivati alla presentazione alla terza e ultima (ma non certo per im-portanza) società

di triathlon vicentina. Sono partita dalla più giovane Tri-bù di Bassano del Grappa, poi è stata la volta del Vi-cenza Triathlon, e ora tocca alla squadra storica: la Rari Nantes di Marostica, che è stato addirittura uno dei primi team di triathlon in Italia. Io e tanti altri vicen-tini ci siamo avvicinati alla triplice disciplina grazie a questa squadra e alla gara che organizzava negli anni Novanta proprio nella piscina comunale di Ma-rostica che ha in gestione dal 1988.La società opera anche nei settori del nuoto, del pentathlon moderno e delle attività per disabili.Attualmente i responsa-bili del settore triathlon sono Sergio Contin (che è anche il CT nazionale della squadra olimpica) ed Eros Venezian.È proprio quest’ultimo che ci parla di come è organizzata oggi la società, dopo più di 20 anni di attività di pro-mozione e di agonismo giovanile ed élite:“Attualmente la Rari Nantes Marostica settore Triathlon ha circa 40 tesserati Age Group e circa 20/25 ragazzi della cate-goria giovanissimi e giovani. Da qualche anno invece non ab-biamo più il settore élite. Per quanto riguarda il settore amatoria-le l’attività viene svolta nel seguente modo: da quest’an-no abbiamo deciso di avere un contat-

to continuo con i nostri atleti relazionandoli con delle new-sletter nelle quali si racconta un po’ tutto quello che suc-cede nel mondo del triathlon. Inoltre da due anni a questa parte ci siamo impegnati a svolgere in periodicamente degli stage di triathlon con ap-puntamento mensile; in parti-colare modo l’ultimo sabato del mese, dove vengono svolti allenamenti specifici ed inol-tre vengono dati degli allena-menti da svolgere a “casa”: due per il nuoto, due per il ciclismo, due per la corsa in modo tale che nel periodo che va dallo stage a quello succes-sivo ogni atleta può allenarsi con un certo criterio. Per quanto riguarda l’attivi-tà giovanile diciamo che at-tualmente non c’è un vero e proprio settore triathlon, ma visto e considerato che la fra-zione del nuoto nel triathlon è diventata sempre più de-terminante, abbiamo pensato di concentrare tutta l’attività giovanile con un grosso lavo-ro natatorio fino al periodo di aprile e poi successivamente inserire le altre due discipline. Anche perché l’attività fede-rale per le categorie giovanili inizia a primavera inoltrata.”Parlaci degli obiettivi per la stagione che sta iniziando. Con i giovani vogliamo par-tecipare a tutti i circuiti del settore giovanile che attual-mente sono 4: Coppa Veneto, Nord-Est Cup, Alpe Adria

Triathlon e Coppa Italia. Tra l’altro a fine giugno pro-prio a Marostica organizzere-mo un evento unico nel suo genere: una gara giovanile, solo giovanile (ci hanno chie-sto più volte di inserire anche gli adulti, ma noi crediamo che le cose per farle bene non devono essere mescolate) con un profilo tecnico elevatissi-mo. Questa manifestazione farà parte del circuito Coppa Veneto, Nord Est Cup e Alpe Adria Triathlon divenendo così una gara a livello inter-nazionale che raccoglierà in una sola domenica atleti pro-venienti da tutto il nord est ma anche oltre confine come Austria e Slovenia.Quest’anno per molti dei nostri migliori ragazzi sarà un anno di transizione per il cambio di categoria e quindi di distanza, ma puntiamo co-munque ad entrare nelle pri-me tre società a livello nazio-nale ai campionati giovani e giovanissimi a Porto S. Elpi-dio. Inoltre puntiamo (visto che negli ultimi due anni sia-mo stati la società rivelazione nel circuito Nord Est Cup) al podio più alto nella finale che si terrà a settembre a Tarzo Revine (TV). Per quanto riguarda gli adul-ti, l’obiettivo è quello di es-sere presenti in massa in più gare possibili puntando a ot-tenere risultati di buon livello.

Rari Nantes di Marostica: passato, presente e futurodi una delle prime squadre di triathlon italiane

La Rari NantesI ragazzi

di Bon di Martina Dogana

vicenzavicenza

Italia Poon-Zè Team ancora una volta grande protagonista al 3° trofeo open città di Nonantola Wushu - Kungfu

Lo scorso sabato 3 marzo si è svolta a Nonantola (Modena) la 3° Mani-festazione di KungFu e Taijiquan. La Scuola della provincia di Vicenza ASD ITALIA POON-ZE’ TEAM si

è comportata egregiamente portando sul podio in tutte le specialità dove ha partecipato i suoi atleti, dai più giovani allievi del Kung Fu tradi-zionale ai “maturi” allievi della Scuola di Taiji-quan. Neresini Massimo ha vinto 4 ori su quattro specialità codificate di Taijiquan, aggiudicandosi anche la targa di Miglior Atleta di Stili Interni e Taijiquan, Neresini Leonardo ha vinto 1 oro, 1 argento e 3 bronzi partecipando sia nel Kung Fu che nel Taijiquan, Faccin Valentina ha vinto 3 ori partecipando sia a gare di Kunf Fu che di Taijiquan, Belometti Giampiero ha vinto 2 argenti nel Taijiquan, Tiso Luca ha vinto 1 oro e 2 argenti nel Kung Fu, Gasparella Fabio ha vinto 1 oro e 1 bronzo in gare di Kung Fu e Taijiquan, Bertoldo Elias ha vinto 2 ori in gare di Kung Fu e Corazza Simone ha vinto 1 oro nel Kung FU. Tra i molti partecipanti alla competizione il piccolo gruppo della Scuola del Maestro Bon è riuscita a strappare il terzo posto tra le società. Un grande risultato me-rito indubbio degli insegnamenti del Maestro Bon e della grande Scuola che guida da anni senza perde-re la linea tradizionale e severa che matura atleti di ottimo livello.Per informazioni rivolgersi al Maestro Giuseppe Bon cell: 328 [email protected]

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la scienza della sottomissione

darà una sua visione di come affrontare un eventuale scon-tro diretto “in strada” con un avversario che poco ha a che vedere con il tradizionale com-pagno di allenamento in pale-stra. Il Maestro Vigolo ben sa quanto io non veda molto bene le varie “campagne di difesa personale” perseguite da mol-ti e per pochi mesi. Anche lui con la sua grande esperienza di combattimenti molto duri e allenamenti, alla fine dell’arti-colo ci porterà alla chiara con-sapevolezza che solo con una duro e continuativo allenamen-to si può arrivare a maturare una specie di “reazione istinti-va” o “rapidità esplosiva” che è l’unica soluzione per la “rea-le difesa personale”!Vi riporto di seguito le parole del Maestro Vigolo:Nei miei 21 anni di pratica nelle Arti Marziali ho sempre cercato di uscire da quel “luo-go” reso famoso dai guru della PNL (programmazione neuro linguistica) e da personaggi noti come Antony Robbins universalmente riconosciuto come il “non plus ultra” dei motivatori e padre nel mondo della ricerca dell’autostima. Quel luogo è conosciuto e classificato come “ZONA DI COMFORT”.La zona di comfort è uno stato mentale, un’abitudine, un ripe-tersi di abitudini che minano la crescita e lo sviluppo psicofisi-co di qualunque individuo, ma-

Ancora una volta vi introduco nel mondo delle Arti Marziali incon-trando l’amico e

Maestro Marco Vigolo che ci

strangolamento.Il mio primo passo verso l’us-cita dalla mia zona di comfort fu proprio quell’articolo.Iniziai ad allenarmi in modo duro e costante nelle sottomis-sioni e nella lotta e nello stesso tempo a gareggiare nelle com-petizioni nazionali disputando trenta match sia con kimono che senza (submission grap-pling).Applicare una leva articolare cosa significa? Significa ”forzare la posizione anatomica di un articolazione”, andare oltre il punto di rottura. Per farlo servono quattro ele-menti fondamentali: resisten-za, fulcro, punto di forza, seg-mento rigido ed in alcuni casi forza centrifuga ed inerzia.Quando la leva articolare è in atto e ben chiusa, l’avversario può fare solo due cose, arren-dersi subito o piangere lacrime di dolore poi.La difficoltà maggiore per chi vuole imparare le sottomissio-ni, leve articolari o strangola-menti che siano, sta soprattut-to nel modo in cui si arriva al contatto con l’avversario. Im-maginatevi ora un aggressore, grosso e agitato che sbraccia, urla e vi carica come un toro infuriato, con in mano una lama magari, o un coccio di bottiglia. Se siete fortunati vi troverete il suo fiato puzzolen-te d’alcool sul collo, un po’di graffi, un coltello infilato nel fianco sinistro e, se avete una buona dose di fortuna, un pas-sante o più passanti che cer-cheranno di togliervi il pazzo di dosso.Perché non avete usato lo spray al peperoncino?Purtroppo è stato tutto così ve-loce che non c’è stato il tempo per tirarlo fuori! Oppure eravate troppo impe-gnati per cercare di colpirlo nelle parti intime o comunque di prenderlo a pugni?Cosa avrei fatto io?Siccome come voi non me l’a-spettavo minimamente, sicura-mente sarei caduto a terra col suo fiato puzzolente sul collo. Solo che gli avrei spezzato un braccio (quello che maga-ri brandiva il coltello) con un ARM BAR (leva al gomito con blocco di gambe). Le mie probabilità di riuscita sono del 95%!!!! L’armbar è un auto-matismo, l’ho fatto migliaia di volte!!! Non dico che uscirei illeso, ma ne uscirei sempre meglio di voi!Le probabilità della mia riusci-ta sono molto alte perché sono testate contro avversari molto forti che ho affrontato in mol-te competizioni o allenamenti di lotta, “uscendo ogni volta mentalmente dalla mia zona di comfort”.Molti mi hanno detto che “la

strada è un’altra cosa”!In strada non ci sono arbitri, non ci sono regole, non ci sono limiti di tempo ecc.Ma la questione fondamentale che purtroppo in pochissimi hanno capito è lo stretto lega-me tra la competizione sporti-va del combattimento e la dife-sa personale in strada!Nonostante sulla strada non ci siano regole la questione fondamentale è monitorare, ispezionare, conoscere il più possibile il proprio stato emo-zionale che può verificarsi con un “evento eccezionale”!Salire su un ring, un tatami o entrare in una gabbia significa affrontare un avversario prepa-rato a picchiare. Alcuni atleti iniziano a pensarci una setti-mana prima del match, prima di addormentarsi, alcuni più sensibili cominciano addirittu-ra a preoccuparsi, altri iniziano a pensarci un’ora prima del combattimento… pochissimi non ci pensano affatto.Scarsa salivazione, grande sudorazione, aumento espo-nenziale del battito cardiaco, difficoltà nel formulare parole. Tutte queste cose non centrano niente con la paura.Sono fasi di difesa del nostro organismo che si prepara ad un evento ECCEZIONALE, il giorno del nostro combatti-mento sportivo!Maggior apporto di sangue nei muscoli (causa l’aumento dei battiti), maggior riserva idri-ca e termo regolazione (causa della scarsa salivazione e della grande sudorazione), rilascio di endorfine e adrenalina (cau-sa della difficoltà nel formula-re parole). I muscoli vengono riempiti di sangue la respira-zione aumenta per la richiesta inconscia di un maggior appor-to di ossigeno, il corpo si sur-riscalda come il motore di una Ferrari pronta a correre in pista e la sudorazione aumenta per la termoregolazione! Siamo una macchina perfetta ma se non la sappiamo guidare non ci serve a niente!Chi ha provato questo, più e più volte, è consapevole di cosa succede a livello mentale e fisico in un contesto di scon-tro corpo a corpo ed ha impara-to con l’esperienza a dominare, comunque mai non totalmente, le proprie emozioni. Questo controllo emozionale permet-te all’atleta di eseguire libera-mente nel match le tecniche di difesa, attacco, sottomissione, allenate “mille” volte in pale-stra.Senza questo controllo emo-zionale, acquisito combattendo nelle “gare”, si perde la lucidi-tà mentale e si và incontro ad una sconfitta imminente.Sulla strada senza questa con-sapevolezza si và incontro

Il maestro Marco Vigolo ci spiega come si deve affrontare l’aggressoreche non ti aspetti.

di Massimo Neresini

modo da poter trasformare poi in “pratica e azione” le nozioni acquisite, a favore della propria sopravvivenza e di un miglior tenore di vita; (parlo di amore, vita sociale, vita professionale, rapporti con i figli, situazioni da risolvere… “mens sana in corpore sano”).L’unico modo per crescere e migliorarsi è uscire dalla pro-pria “ZONA DI COMFORT”. Nel 1996 avevo vent’un anni con alle spalle sei anni di dura e convinta pratica negli sport da combattimento cosiddetti “stand up” e quasi una decina di match disputati. Mi tenevo informato sui metodi d’alle-namento dei grandi campioni e sui quaderni tecnici tramite la rivista “KUNG FU Magazi-ne” ora scomparsa. Fu proprio su questa rivista che lessi un articolo scritto dall’esperto di Grappling (lotta di sottomis-sione) Larry Harstell.Harstell era uno sceriffo della California che nel tempo libero si allenava al combattimento con gente come Bruce Lee e Gene Le Bell (una leggenda della lotta…)Harstell sosteneva, in base ai suoi venticinque anni di ser-vizio, che il modo più efficace per mettere fuori combattimen-to un aggressore esasperato, mentalmente deviato o sotto l’effetto di sostanze stupefa-centi, era quello di sottometter-lo con una leva articolare o uno

schio o femmina che sia.E’ mia convinzione pensare che ogni individuo abbia tra gli istinti primordiali anche il desiderio di crescere e di ap-prendere il più possibile, in

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29cornedo

all’ospedale, o peggio al cimi-tero. Basta guardare i telegior-nali!Quindi maggior esperienza agonistica nelle arti marziali significa maggior consapevo-lezza di sé, poi in uno scontro ci vuole anche a volte un pizzi-co di fortuna.La seconda fascia di tecniche di sottomissione riguarda gli strangolamenti o soffocamenti.Gli strangolamenti si dividono

in tre gruppi principali: sangui-gni (vena giugulare), respirato-ri (trachea e vie respiratorie) e nervosi. Mi sento in dovere di consi-gliarvi di non fare gli eroi. La vostra vita vale molto, ma mol-to di più di 100, 1000, 10.000 euro. Quindi date al crimina-le ciò che vuole e fuggite se ne avete la possibilità, con la grande probabilità di tornare a casa sani e salvi.Se invece la vita dei vostri figli fosse messa a repentaglio da quel pazzo, deviato di men-te, drogato che abbiamo già menzionato prima, ciò che vi può servire per fermarlo è un “MATA LEON”.Mata Leon (uccidi il leone) è una tecnica di strangolamento che chiude per un breve lasco di tempo le vene giugulari dell’avversario. Le giugulari sono le più importanti vie in-caricate dell’apporto di sangue al cervello. Chiudi le giugula-ri e non passa sangue. Se non passa sangue lo svenimento arriva in meno di dieci secon-di. Le persone in questi stati esagitati non sentono fatica, dolore e non provano paura! La deviazione mentale causa un alterazione delle normali funzioni dell’organismo con rilascio libero di adrenalina ed endorfine. Le droghe e alcuni

farmaci provocano le medesi-me alterazioni nell’individuo. Quindi i pugni, i calci anche ai genitali spesso non funzio-nano con persone mentalmente alterate. Informatevi da qual-che amico che presta servizio in un ospedale psichiatrico o in pronto soccorso. Bisogna quindi “metterli a dormire”! Per poterlo fare bisogna essere ben addestrarsi a farlo!Il Mata Leon, l’anaconda, la

ghigliottina, il trian-golo, la gogoplata, e molti altri sono tutti metodi di strangola-mento ma a mio avviso il Mata Leon è il più fruibile ed effi-cace, utilizzabile anche da un principiante, chiaramente ben addestrato.Nella mia scuola insegno JuJitsu e Mixed Martial Arts (MMA), la prima rappresenta la solida base di lavoro, l’AR-TE MARZIALE, la seconda la più completa espressione spor-tiva del combattimento puro. Premetto che i miei Maestri sono tra i massimi esponenti mondiali di queste discipli-ne. Nella mia Scuola l’inse-gnamento delle sottomissioni viaggia di pari passo con quel-lo dei calci e pugni, in quanto ritengo riduttivo a “disciplina esclusivamente sportiva” l’i-solamento di un unico com-parto di tecniche (esempio: la kickboxing usa solo calci e pugni, la greco romana utiliz-za solo le prese, questi sono esclusivamente sport).Le leve articolari o gli strango-lamenti in un contesto di reale combattimento, vanno eseguiti sempre dopo aver portato una serie di colpi, dopo aver finta-to e colpito, dopo aver studia-to gli “avvicinamenti”, dopo aver organizzato una strategia per chiudere la distanza con

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l’avversario, fanno parte di un contesto a 360° nel quale po-trebbero subentrare bastoni, coltelli e addirittura pistole, mazze ecc… Ma attenzione, per arrivare a padroneggiare (realmente!!!) tutto questo ci vogliono cinque fattori fonda-mentali: un insegnante serio e qualificato, passione, sudore, costanza e sacrificio.

Maestro Marco VigoloDirettore Tecnico Regionale/Shootboxe FIKBMS c.nera 3°DanResponsabile Nazionale/MMA Benkei Italian Connection/Zelg Galesic Insegna presso la palestra Moving Center/sede regionale/ Spagnago di Cornedoil martedì e giovedìdalle 20 alle 22 Info:3358451834

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30trissino un anno fantastico

Premiati al gran galà dello sport di Trissino i pattinatori dell’Associazione Polisportiva Valdagno-Castelgomberto.

Il presidente De Gerone con gli allenatori Stefania Intelvi, Damiano De Felice e gli atleti premiati: Claudia Grigato, Filippo Gasparoni, Arianna Zerbato, Luca Colombo. È stata una pioggia di

risultati e soddisfa-zioni quelli raccolti nella stagione agoni-stica 2011 dalla se-

zione pattinaggio artistico della polisportiva Valdagno-Castel-gomebrto e perciò in occasione del 12° gala dei campioni della provincia di Vicenza, svoltosi a Trissino il 29 gennaio e orga-nizzato dal comitato Provinciale F.I.H.P., presieduto dal presiden-te sig. Avaro Maiolini, la Società Valdagno Castlegomberto a.d.p. è stata premiata per avere sapu-to mettere in bacheca il 1° posto al campionato provinciale e il 3° Posto al Campionato Regionale e aver raggiunto il 27° posto a livello nazionale.Sono stati premiati gli atleti: Claudia Grigato, campionessa regionale categoria esordienti A combinata.Filippo Gasparoni, campione regionale categoria esordienti A.Luca Colombo, campione italia-no categoria divisione nazionale B.La coppia Filippo Gasparoni (pattinaggio Valdagno Castel-gomberto) e Arianna Zerbato (pattinaggio Malo) campioni re-gionali categoria esordienti.Il gruppo spettacolo New Age Junior pattinaggio Trissino-Val-dagno-Castelgomberto, giunto terzo ai campionati europei.I presidenti della società Luigi De Gerone, Sandro Colombo e Giuliano Crosara hanno espresso

il loro vivo compiacimento a tut-ti gli atleti che si sono distinti in ogni gara. Questi successi sono il frutto del duro e appassiona-to lavoro svolto con impegno e competenze tecniche dai bravis-simi allenatori: Stefania Intelvi, Damiano De Felice, Susanna Mezzadri, Marisa Massignani e Raffaela Tozzo. A completare una stagione mol-to positiva, c’è da rilevare anche un’altra grande soddisfazione per la società: la convocazione in nazionale dell’atleta Francesco Consolaro, atleta azzurro.

SEGUENDO IL SOLE“Ogni giorno i tuoi raggi ci da-ranno la vita, tutto quello che vo-gliamo è seguire il tuo cammino dall’alba al tramonto…”Queste sono le parole che han-no introdotto il disco di gara del Quartett Ensamble al Campiona-to Regionale 2012 quartetti divi-sione nazionale che si è tenuto a Caorle il 10 febbraio scorso. Questo quartetto della società Valdagno-Castelgomeberto ADP composto da Luca Colombo, Anna Crosara, Alice Mengato e Sofia Dal Conte è riuscito con un’esecuzione precisa, elegan-

te e musicale ad interpretare in maniera ottimale la coreogra-fia creata da Massimo Carraro aggiudicandosi il primo posto al Campionati Regionale 2012 e qualificandosi ai Campionati Italiani Gruppi Spettacolo che si terranno a Padova dal 22 al 25 marzo. Un ringraziamento a questi atleti che hanno portato la loro società per la prima volta a questo importante risultato nella categoria Gruppi Spettacolo e agli allenatori Massimo Carraro e Gioia Zerbato per il lavoro e la costanza che dedicano a questo gruppo.

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Il “Terzo Memorial Franco Zamperetti” per mancanza di neve non si è potuto disputare con l’ormai tradizionale gara di sci nordico al chiaro di luna, ma gli amici di sempre si sono comunque dati appuntamento per ricordare l’amico

di Chiara Guiotto

Ricordando Franco

Sabato 10 marzo è stato organizzato nella località sportiva di Recoaro Mille il “3° Memorial Franco Zamperetti”, un uomo che tutti ricordano per la sua grande passione per lo sport, in particolare per lo sci nordico, la bicicletta da corsa, le escursioni in montagna. Una grande persona che attraverso lo sport riusciva ad unire gli amici, quelli veri, con i quali ha trascorso i momenti più belli della sua vita. Così per mantenere vivo il suo ricordo gli amici di Franco hanno organizzato per il terzo anno consecutivo una serata che lui tanto amava. Purtroppo per mancanza di neve la tradizionale uscita con gli sci di fondo al chiaro di luna è stata sostituita da una divertente passeggiata anticipata dalla celebrazione di Don Enrico nella chiesetta di Fongara. La serata è proseguita con la cena al Ristorante Castiglieri che ha visto la partecipazione di ben 27 amici.Con triste emozione durante la serata è stato ricordato un altro sportivo amico di Franco: lui è Damiano Zarantonello, mancato lo scorso 15 settembre. Anche Damiano ha lasciato un vuoto incolmabile nella vita dei suoi amici sportivi con cui ha condiviso gioie e momenti indimentica-bili. Franco e Damiano: due amici, due sportivi, due grandi uomini che hanno lasciato una traccia indelebile nella vita di tante persone, sportive e non. L’appuntamento è al prossimo anno, sempre all’insegna dello sport che Franco a Damiano amavano tanto.

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Nel 2011 si sono svolte le celebra-zioni del primo centenario della scomparsa di Pa-

olo Lioy.Oltre ai convegni e alle mostre che hanno reso omaggio a que-sta eclettica figura di politico, archeologo e scienziato, il Mu-seo Naturalistico Archeologico di Vicenza ha escogitato un modo molto dinamico e sporti-vo per ricordare Lioy e i suoi interessi naturalistici.Nel settembre 1879 Paolo Lioy, assieme al geologo Antonio De Gregorio, alla guida alpi-na Giovanni Meneguzzo e al segretario del CAI di Vicenza Scipione Cainer aveva svolto nell’arco di quattro giorni una spedizione scientifica sui Les-sini vicentini e veronesi.Scipione Cainer scrisse un bre-ve diario su questa escursione, e la sua lettura ha fornito lo spunto per ideare, organizzare e realizzare una rievocazione moderna dell’escursione del 1879.Non si è trattato di ripercorrere semplicemente il percorso del 1879, ma di riprenderne anche

lo spirito scientifico, trasfor-mando quello che poteva es-sere un bellissimo trekking tra splendide località montane, in una vera e propria spedizione scientifica.Così il Museo di Vicenza, con l’essenziale collaborazione lo-gistica delle coop Biosphaera e I Berici, è riuscito a formare un gruppo di scienziati che, riper-correndo le tracce del Lioy ne hanno seguito anche gli scopi scientifici attraverso la raccolta di materiali naturalistici, geolo-gici e paleontologici.Materiali che sono andati a implementare le collezioni del Museo vicentino.La rievocazione si è tenuta nel settembre 2011 e seguendo per quanto possibile quella del Lioy ha percorso questo inte-ressantissimo itinerario: primo giorno, S. G. Ilarione - Bolca, secondo, Bolca - Campofonta-na, terzo, Campofontana - Rif. Revolto, quarto Rif. Revolto - Podesteria-Ebezzo, quinto e ultimo Erbezzo - Ponte di Veja. Il tutto, ovviamente, con gli stessi mezzi del Lioy, e cioè a piedi e con la simpatica (e in-dispensabile) compagnia di due

simpaticissime asinelle: Agata e Natalina. E per non esser da meno dei nostri predecessori, anche in questa occasione si è pensato bene di tenere un dia-rio dell’escursione, compito affidato ad Enrico Gleria. Ma la documentazione di que-sta esperienza è stata affidata anche alle immagini, con la realizzazione di un documenta-rio realizzato dal regista Paolo Bernardi e dal tecnico del suo-no Antonio Ricossa. L’iniziativa, quindi, ha visto la pubblicazione di un libretto con la trascrizione del diario del Cainer assieme a quello di Gleria, allegati ad un DVD do-cumentario dell’escursione. In questo modo si potranno ri-percorrere e ricordare le azioni dei partecipanti all’impresa: gli entomologi Paolo Fontana e Filippo Buzzetti, il naturalista Roberto Battiston, il paleon-tologo Ermanno Quaggiotto, il conservatore del Museo Na-turalistico Antonio Dal Lago, il prof Ugo Sauro, il botanico Sivlio Scortegagna, il licheno-logo Riccardo Febbraretti; un gruppo qualificato di epigoni del Lioy che hanno reso onore

di Armando Bernardelli

ai loro predecessori e alla rie-vocazione dell’escursione.Attraverso il racconto scritto e le immagini del filmato si evince anche che si tratta di un percorso interessante e soprat-tutto ripercorribile, un trekking naturalistico scientifico da ri-proporre e vivere direttamente.I monti Lessini offrono am-bienti e panorami che gli scien-ziati coinvolti in questa inizia-tiva hanno potuto vivamente apprezzare in un percorso ricco di spunti di interesse, intercala-to ad esempio dalla visita alla famosissima pesciara di Bolca, con il suo bellissimo Museo dei Fossili, e conclusosi allo straor-dinario ponte naturale di Veja.Ma, a dire la verità, c’è un ul-timo aspetto che si evince dal racconto di questo viaggio: per quanto interessati e concentrati sulla loro spedizione, l’atten-zione degli scienziati puntual-mente, a fine giornata, è stata rivolta ai succulenti piatti della tradizione culinaria della Lessi-nia! Un bel modo di riprendere le forze, e un ulteriore motivo per ripercorrere da parte nostra, le loro tracce.

Sulle tracce di Lioyvicenza

A cent’anni dalla morte di Paolo Lioy, un gruppo di scienziatisotto l’egida del Museo di Vicenza ha ripercorso il camminodella spedizione scientifica che Lioy fece nel 1879 sui monti Lessini con il geologo Antonio De Gregorio, le guida geologica Giovanni Meneguzzo, il segretario del Cai Scipione Cainer e due asini.

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Potete scrivere al Senatore Alberto Filippiinviando le vostre e-mail a:

[email protected]

lettere

Le vostre lettere possono essere letteanche nel sito: albertofilippi.it

Vino e sportCaro Senatore,

ho letto con piacere e divertimento la lettera di una lettrice pubblicata su Sportivissimo del mese scorso e vorrei proporle la versione maschile di essa: io faccio sport non per dimagrire ma per concedermi qualche bicchiere di vino in più. Mi piace il vino e a volte ne sento proprio il bisogno. Non al punto di ubriacarmi, figurarsi, ma per il piacere del suo sapore. Un buon bicchiere e la televisione; un buon bicchiere e un libro, un giornale sono quello che desidero per chiudere le mie gior-nate di lavoro. Poi, però, averto la necessità di fare sport per “recuperare” questa piccola concessione che mi sono fatto. Vado in bici, mi piace: so che potrei andare più forte, se non bevessi quei due bicchieri serali, ma poi mi dico che non pe-dalo per vincere le Olimpiadi e quindi continuo nel mio pia-cevole rito serale. Insomma, la conclusione personale a cui sono giunto è che si può fare sport anche per concedersi qualche piacere della tavola in più: lo sport è bello perché serve anche a questo, non crede?

Alla salute, Armando.

Carissimo Armando,

anch’io la penso come te: lo sport è sempre legato a un risul-tato: può essere nella prestazione in sé, ma può anche essere nel tenersi più in forma. A te piace il vino - a chi non piace? - però cerchi di tenerti in forma, praticando il ciclismo. Con il vino un po’ ingrassi; con la bici rimedi. Ottimo, mica devi prepararti per le Olimpiadi! Un mio caro amico consiglia di bere sempre un po’ di vino; dice che un bicchiere alla sera fa bene al cuore. Quindi un bicchiere e un bel giro in bici, niente di più salutare. Ma, se devi eccedere, fallo con i chilometri e non con i litri.

Un brindisi alla tua simpatia, Alberto.

Via dei Frassini 1/15 (Centro Ponte Alto) 36100 VICENZA - Tel. 0444 340150 - Fax 0444 275260Via del Lavoro, 13 Z.I. - 36070 TRISSINO (VI) - Tel. 0445 962527 - Fax 0445 497344 www.habitat-vi.it - [email protected] - [email protected]

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