Speciale trasfusioni infette

11
Quattro colonne Q Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% regime libero – ANNO XXI n°5 mAggIO 2012 – AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07 SGRT NOTIZIE Partecipare alla razionalizzazione dei costi se- gnalando gli sprechi e le inefficienze: è la possi- bilità che il governo ha dato ai cittadini. Sem- brava l’ennesima iniziativa a cui difficilmente si potesse dar seguito, soprattutto perché in una fase dove la politica e la sua casta viene vista co- me il nemico principale, l’ira dei cittadini si sa- rebbe scatenata. Insomma quelle 100mila mail che stanno inondando il sito del governo, con se- gnalazioni e suggerimenti su tutti i capitoli del- la spesa pubblica erano prevedibili. Quello che invece molti non immaginavano è che l’esecutivo potesse realmente dar seguito a provvedimenti na- ti dal basso. E il pensiero va a quel gruppo di la- voro di dieci funzionari che Palazzo Chigi ha nominato: il compito sarà quello di leggere tutte le segnalazioni e ponderare le proposte da invia- re al commissario Enrico Bondi. Dalla possibi- lità di utilizzare software open source nelle pub- bliche amministrazioni fino a chi propone di fis- sare il rimborso elettorale a 35 centesimi di eu- ro a voto. Che in questo paese “Gattopardiano”, con il “marziano” Monti, stia realmente cam- biando qualcosa? UMBrIA Nelle storie di Antonio, Giorgio, Stefano e Nicola la riscossa di giovani e non contro le difficoltà economiche. Alla ricerca di un lavoro, a qualunque costo ritardi/1 MULtIEtNICItÀ ti segnalo che... viaggio nella crisi FranCesCo Cutro SPort La sfida perugia e assisi ci credono Le due città in lista per diventare Capitale Europea della Cultura 2019 tornano i mes tieri manuali Muratore, borsettiere, parruc- chiere e carpentiere. sono solo alcune delle figure di cui oggi il mercato del lavoro ha ancora bisogno. in questi tempi risulta- no più utili le competenze manuali piuttosto che una laurea servizi aLLe pagg. 6-7 Un ragazzo su tre è disoccupato, ma ci sono ancora 100mila posti non qualificati disponibili Non solo atleti pro- fessionisti senza giusti controlli. Salute a rischio anche per gli amatori servizio a pag. 10 Quando di trasfusione ci si ammala: la storia di Paolo e di sua madre. servizio a pag. 4 Sotto la media Ue. Per diffusione della banda larga fissa, per numero di famiglie connesse a in- ternet, per gli acquisti e per il commercio on-li- ne. Stando ai dati dell'Autorità per le garan- zie nelle comunicazioni (Agcom), l’Italia è in un Medioevo digitale. E l’arretratezza tecnologica si paga. Il ritardo nello sviluppo della banda lar- ga, ad esempio, costa all'Italia tra l'1 e l'1,5% del Pil, che significa almeno 15 miliardi di eu- ro. Le aziende subiscono perdite di produttivi- tà rispetto a concorrenti che possono usare con- nessioni veloci rendendo più rapida la propria attività. Del resto l'economia on-line in Italia vale solo il 2% del Pil contro il 7,2% del Re- gno Unito. Anche sulle esportazioni il Paese è fanalino di coda in Europa: solo il 4% delle pmi, spina dorsale del nostro tessuto produtti- vo, vendono online. La media Ue è del 12%. In- ternet, insomma, non è un’opzione. Ma un im- perativo. La banda larga e ultra larga sono in- dispensabili per non vedere il sistema economico italiano fermo su un binario morto. ritardi/2 Digitale medievale vaLentina paraseCoLo Era il 17 febbraio 1992 quando il pm Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal Gip Italo Ghitti un ordine di cattura per l’ingegner Mario Chie- sa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e mem- bro di primo piano del Psi milanese. Sono pas- sati venti anni da Mani Pulite, si continua a parlare di corruzione in Italia. Inchieste che coin- volgono partiti e non solo. Si è tornati al ’92 o forse non è mai cambiato niente? Per quanto ri- guarda il valore monetizzato della corruzione in Italia, questo sarebbe stato stimato dal SAeT (Servizio anti corruzione e trasparenza) del Di- partimento della Funzione Pubblica in 60 mi- liardi di euro. Secondo Trasparency Internatio- nal il Paese è al 69esimo posto della classifica dei 182 paesi più corrotti del mondo. Il guardasi- gilli Severino sul ddl anticorruzione stringe i pu- gni: il reato di corruzione per politici e pubblici ufficiali sarà punito con un massimo di cinque anni di reclusione. Al momento la situazione è in stallo. Chissà se quando sarà approvato il ddl cambierà davvero qualcosa. ritardi/3 Mani sporche giorgia CarDinaLetti Arresti, intercettazioni, interrogatori. Parole un tempo lontane da gioco e pallone. Oggi però le inchieste sul calcioscommesse hanno cambiato il vocabolario sportivo. A trent’anni dal Totone- ro, che nel marzo del 1980 portò all’arresto dei giocatori sui campi di calcio, il football di casa nostra non è guarito. L’ultimo scandalo, venu- to alla luce nel giugno del 2011 e in piena evo- luzione, mostra un calcio sempre più corrotto. Il 9 maggio scorso il procuratore federale della Figc Stefano Palazzi ha reso noto quali sono so- cietà, calciatori e dirigenti deferiti nell’ambito dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Cremona. Tra i deferimenti per il campionato 2010/2011 ci sono anche tre società della mas- sima serie: Atalanta, Novara e Siena. Ben 22 i club coinvolti tra Serie A, B, Lega Pro e Di- lettanti, mentre i tesserati deferi- ti sono 61, tra cui gli ex nazio- nali Doni e Sartor. E il cerchio è destinato ad allar- garsi nelle prossime settimane. Ci attende quin- di un’estate di classifiche sconvolte, retrocessio- ni e futuri punti di penalità. Dopo lo scandalo del 1980, a parte piccole ec- cezione, il calcio sembrava guarito dalle scom- messe. Invece il pallone è di nuovo malato e la sua immagine è sempre più legata ai soldi e sempre meno a gioco e passione. Se i cittadini scontenti della politica hanno par- torito la cosiddetta “antipolitica”, il pericolo che corre il calcio è che i tifosi si allontanino sem- pre di più: un “anticalcio” fatto di tifosi disa- morati. Perché in tutti gli sport c’è la mela mar- cia, ma quello del pallone sembra ormai un rac- colto andato a male. Calcioscommesse se il pallone diventa una mela marcia giorgio MatteoLi Diventare Capitale europea della cultura nel 2019. É questo l’obiettivo sul quale si stanno concentrando perugia e assisi per i prossimi anni. Due città che giocano non solo la carta del patrimonio artistico e storico ma puntano anche a realiz- zare un programma per proiettarsi in europa e nel futuro. Le insidie arrivano dalle città con- correnti e dall’immagi- ne rovinata del capo- luogo umbro dagli ulti- mi fatti di cronaca. Le istituzioni però sono certe che tutto questo non porterà a una boc- ciatura. segue a pag. 9 Boom di bambini stranieri nelle classi perugine. La lingua è il solo ostacolo all’integrazione scolastica servizio a pag. 2

description

 

Transcript of Speciale trasfusioni infette

Page 1: Speciale trasfusioni infette

QuattrocolonneQ

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% regime libero – ANNO XXI n°5 mAggIO 2012 – AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07

SGRTNOTIZIE

Partecipare alla razionalizzazione dei costi se-gnalando gli sprechi e le inefficienze: è la possi-bilità che il governo ha dato ai cittadini. Sem-brava l’ennesima iniziativa a cui difficilmentesi potesse dar seguito, soprattutto perché in unafase dove la politica e la sua casta viene vista co-me il nemico principale, l’ira dei cittadini si sa-rebbe scatenata. Insomma quelle 100mila mailche stanno inondando il sito del governo, con se-gnalazioni e suggerimenti su tutti i capitoli del-la spesa pubblica erano prevedibili. Quello cheinvece molti non immaginavano è che l’esecutivopotesse realmente dar seguito a provvedimenti na-ti dal basso. E il pensiero va a quel gruppo di la-voro di dieci funzionari che Palazzo Chigi hanominato: il compito sarà quello di leggere tuttele segnalazioni e ponderare le proposte da invia-re al commissario Enrico Bondi. Dalla possibi-lità di utilizzare software open source nelle pub-bliche amministrazioni fino a chi propone di fis-sare il rimborso elettorale a 35 centesimi di eu-ro a voto. Che in questo paese “Gattopardiano”,con il “marziano” Monti, stia realmente cam-biando qualcosa?

UMBrIA

Nelle storie di Antonio, Giorgio, Stefano e Nicola la riscossa di giovani e noncontro le difficoltà economiche. Alla ricerca di un lavoro, a qualunque costo

ritardi/1

MULtIEtNICItÀ

ti segnalo che...viaggio nella crisi

FranCesCo Cutro

SPort

La sfida

perugia e assisi ci credonoLe due città in lista per diventare Capitale Europea della Cultura 2019

tornano i mestieri manualiMuratore, borsettiere, parruc-chiere e carpentiere. sono soloalcune delle figure di cui oggi ilmercato del lavoro ha ancorabisogno. in questi tempi risulta-no più utili le competenzemanuali piuttosto che una laurea

servizi aLLe pagg. 6-7

Un ragazzo su tre è disoccupato, ma ci sono ancora 100mila posti non qualificati disponibili

Non soloatleti pro-fessionistisenza giusti controlli.Salute arischioanche pergli amatori

servizio a pag. 10

Quando ditrasfusioneci siammala:la storiadi Paoloe di suamadre.

servizio a pag. 4

Sotto la media Ue. Per diffusione della bandalarga fissa, per numero di famiglie connesse a in-ternet, per gli acquisti e per il commercio on-li-ne. Stando ai dati dell'Autorità per le garan-zie nelle comunicazioni (Agcom), l’Italia è in unMedioevo digitale. E l’arretratezza tecnologicasi paga. Il ritardo nello sviluppo della banda lar-ga, ad esempio, costa all'Italia tra l'1 e l'1,5%del Pil, che significa almeno 15 miliardi di eu-ro. Le aziende subiscono perdite di produttivi-tà rispetto a concorrenti che possono usare con-nessioni veloci rendendo più rapida la propriaattività. Del resto l'economia on-line in Italiavale solo il 2% del Pil contro il 7,2% del Re-gno Unito. Anche sulle esportazioni il Paese èfanalino di coda in Europa: solo il 4% dellepmi, spina dorsale del nostro tessuto produtti-vo, vendono online. La media Ue è del 12%. In-ternet, insomma, non è un’opzione. Ma un im-perativo. La banda larga e ultra larga sono in-dispensabili per non vedere il sistema economicoitaliano fermo su un binario morto.

ritardi/2

Digitale medievale

vaLentina paraseCoLo

Era il 17 febbraio 1992 quando il pm AntonioDi Pietro chiese e ottenne dal Gip Italo Ghittiun ordine di cattura per l’ingegner Mario Chie-sa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e mem-bro di primo piano del Psi milanese. Sono pas-sati venti anni da Mani Pulite, si continua aparlare di corruzione in Italia. Inchieste che coin-volgono partiti e non solo. Si è tornati al ’92 oforse non è mai cambiato niente? Per quanto ri-guarda il valore monetizzato della corruzione inItalia, questo sarebbe stato stimato dal SAeT(Servizio anti corruzione e trasparenza) del Di-partimento della Funzione Pubblica in 60 mi-liardi di euro. Secondo Trasparency Internatio-nal il Paese è al 69esimo posto della classifica dei182 paesi più corrotti del mondo. Il guardasi-gilli Severino sul ddl anticorruzione stringe i pu-gni: il reato di corruzione per politici e pubbliciufficiali sarà punito con un massimo di cinqueanni di reclusione. Al momento la situazione èin stallo. Chissà se quando sarà approvato il ddlcambierà davvero qualcosa.

ritardi/3

Mani sporche

giorgia CarDinaLetti

Arresti, intercettazioni, interrogatori. Parole untempo lontane da gioco e pallone. Oggi però leinchieste sul calcioscommesse hanno cambiato ilvocabolario sportivo. A trent’anni dal Totone-ro, che nel marzo del 1980 portò all’arresto deigiocatori sui campi di calcio, il football di casanostra non è guarito. L’ultimo scandalo, venu-to alla luce nel giugno del 2011 e in piena evo-luzione, mostra un calcio sempre più corrotto.Il 9 maggio scorso il procuratore federale dellaFigc Stefano Palazzi ha reso noto quali sono so-cietà, calciatori e dirigenti deferiti nell’ambitodell’inchiesta della Procura della Repubblica diCremona. Tra i deferimenti per il campionato2010/2011 ci sono anche tre società della mas-sima serie: Atalanta, Novara e Siena. Ben 22

i club coinvolti tra SerieA, B, Lega Pro e Di-

lettanti, mentrei tesserati deferi-ti sono 61, tracui gli ex nazio-

nali Doni e Sartor. Eil cerchio è destinato ad allar-

garsi nelle prossime settimane. Ci attende quin-di un’estate di classifiche sconvolte, retrocessio-ni e futuri punti di penalità.Dopo lo scandalo del 1980, a parte piccole ec-cezione, il calcio sembrava guarito dalle scom-messe. Invece il pallone è di nuovo malato e lasua immagine è sempre più legata ai soldi esempre meno a gioco e passione.Se i cittadini scontenti della politica hanno par-torito la cosiddetta “antipolitica”, il pericolo checorre il calcio è che i tifosi si allontanino sem-pre di più: un “anticalcio” fatto di tifosi disa-morati. Perché in tutti gli sport c’è la mela mar-cia, ma quello del pallone sembra ormai un rac-colto andato a male.

Calcioscommesse

se il pallone diventauna mela marcia

giorgio MatteoLi

Diventare Capitaleeuropea della culturanel 2019. É questol’obiettivo sul quale sistanno concentrandoperugia e assisi per iprossimi anni. Due cittàche giocano non solo lacarta del patrimonioartistico e storico mapuntano anche a realiz-zare un programma perproiettarsi in europa enel futuro. Le insidiearrivano dalle città con-correnti e dall’immagi-ne rovinata del capo-luogo umbro dagli ulti-mi fatti di cronaca. Leistituzioni però sonocerte che tutto questonon porterà a una boc-ciatura. segue a pag. 9

Boom di bambini stranierinelle classi perugine. Lalingua è il solo ostacoloall’integrazione scolastica

servizio a pag. 2

Page 2: Speciale trasfusioni infette

2 MAGGIo 2012PRIMO PIANO

Annuncio del Comune di Perugia: ancheil capoluogo di Regione avrà la connes-sione libera a internet grazie all’impe-

gno decisivo della Giunta Boccali. Insomma,Perugia prova ad allinearsi agli standard di altricentri europei. In Italia nel 2011 i punti di acces-so wi-fi in luoghi pubblici o aperti al pubblicoerano cinquemila. Non un dato esaltante:nella vicina Francia sono cinque volte dipiù. Il wi-fi è uno strumento che dovreb-be rendere più liberi i cittadini e magari,perché no, dare uno stimolo all’economiacittadina.

Camminiamo per le vie del centro, conin mano uno smartphone. Ma della retenemmeno l’ombra. Scopriamo che perusufruire del servizio bisogna registrarsi al-l’Urp, l’Ufficio per le relazioni con il pub-blico. Decidiamo di chiamare al numero075075075. Ci accoglie una voce che c’in-vita a selezionare con il numero 1 il servi-zio del “Comune di Perugia”. Digitiamo erisponde un operatore che invita a recarsiall’Urp della Loggia dei Lanari. Gli altri uf-fici disseminati sul territorio comunalenon hanno le stesse competenze.

Non ci resta che andare all’infopoint,per avere informazioni di persona e capi-re che tipo di registrazione è richiesta. Di sicu-ro non si tratterà di dare i nostri dati anagraficivisto che non è più obbligatorio (vedi box).

Una volta entrati all’infopoint chiediamo a

uno degli operatori cosa fare per navigare liberi.Risposta: «Bisogna registrarsi». Cioè? «Lasciare ipropri dati». Proviamo a invocare l’abrogazionedella legge Pisanu. «E se fate un attentato?»,chiede sogghignante l’impiegato. Non possiamoche desistere e consegnare il documento d’iden-tità. L’impiegato ci lascia un codice utente e una

password che dovrà essere adoperata a ognilogin. Inciso: ognuno può cedere il propriocodice a qualsiasi altro utente, anche a chi hacattive intenzioni. Il dipendente pubblico conse-

gna inoltre due fogli con un riferimento all’or-mai ex decreto Pisanu. Per l’Ufficio gestioneservizi informativi del Comune di Perugia biso-gna dare i propri dati ai sensi di un comma (il 4)di un articolo (il 7) di una legge (155/2005) chenon esiste più. Dal Comune invocano il dirittodi tutelarsi contro eventuali crimini. Sempre

dagli uffici comunali fanno sapere che il tirosarà corretto probabilmente a partire daluglio: basterà semplicemente inviare unsms a un numero e si riceveranno i codiciper usufruire del servizio.

Ci sono anche altri limiti. Per il momentol’area del servizio è circoscritta: da Palazzodei Priori a Piazza Matteotti, fino alla terraz-za del Mercato coperto e le scale mobili delPincetto. In altre parole un cittadino perugi-no di Ponte Felcino o Madonna Alta peresercitare il proprio diritto di libero cittadi-no digitale deve salire su in città, registrarsiall’Urp della Loggia dei Lanari e usare laconnessione solo in una zona limitata. «En-tro luglio - ha annunciato l’assessore MoniaFerranti - la connessione sarà estesa ad al-tre venti piazze». Manca un’ultima decisivarestrizione: scopriamo che la navigazione sa-rà libera per due ore al giorno. Perché? «Epoi la Telecom la facciamo fallire?», è la do-

manda sarcastica dello stesso impiegato. Si ri-schia di fare concorrenza ai grandi operatori del-le telecomunicazioni.

raFFaeLe CappuCCio

integrazione sui banchi di scuolaAumenta il numero dei nati in Italia tra gli studenti esteri, ma le difficoltà linguistiche continuano a preoccupare i genitori

Le chiamano classi “ghetto” per l’alto nu-mero di studenti non italiani che affolla-no le aule. Un problema ideologico per

molti, ma per chi la scuola la vive dall’interno gliinconvenienti sono solo di natu-ra linguistica.

Una circolare del 2010 del Mi-nistero dell’Istruzione, dell’Uni-versità e della Ricerca (Miur) hafissato come tetto massimo il30% di stranieri per classe.

Gli alunni con cittadinanza nonitaliana sono un fenomeno con-solidato, ma recente in Italia. Se-condo i dati elaborati dal Miur edalla fondazione iniziative e studisulla multietnicità (Ismu), nel1996/1997 gli studenti con citta-dinanza non italiana erano 59.389;nell’anno scolastico 2010/2011sono diventati 711.046. Più di tut-ti nella scuola primaria.

I bambini nati in Italia general-mente conoscono e parlano l’ita-liano, che spesso rappresenta la loro lingua ma-dre. In questi casi l’integrazione è quindi del tut-to naturale. Questo fenomeno è in aumento. Se4 anni fa sul totale della popolazione di originestraniera i nati in Italia erano il 34,7%, nel2010/2011 il numero è salito al 42,1%. Quindiaumenta il numero dei bambini partoriti nei no-

stri confini nazionali, mentre diminuiscono quel-li che si trasferiscono dopo aver già intrapresoun iter scolastico nel Paese di provenienza.

In vetta gli alunni con cittadinanza romena, se-

guiti dagli albanesi. A sorpresa sono sempre dipiù gli studenti provenienti da Moldavia e India.

Se si considera la percentuale di allievi con cit-tadinanza non italiana, sul totale al primo postotroviamo l’Emilia Romagna (14%), seguita dal-l’Umbria (13,3) e dalla Lombardia (12,5%).

In quasi tutte le regioni questo fenomeno è più

diffuso in provincia che nelle scuole del capoluo-go. A Perugia nella scuola di infanzia “Il giardi-no di Bibi”, quest’anno su 38 bambini iscritti 34sono stranieri.

«All’asilo i problemi derivanosoprattutto dal fatto che la mae-stra è una sola e spesso si trova adover gestire tanti bimbi che par-lano lingue diverse», spiega An-gela, che ha un figlio alla scuolad’Infanzia “Fantabosco”, nellafrazione perugina di Ponte Felci-no, dove su 101 iscritti 56 sonocittadini non italiani. «Ho un’ami-ca che ha deciso di portare la fi-glia in un’altra scuola, non per unpregiudizio, ma per motivazionilinguistiche e di comunicazione».Maria è un’altra mamma, suo fi-glio frequenta la scuola elemen-tare “A. Bonucci,” dove su 205bambini 87 sono stranieri. «I ra-gazzini tra loro non fanno alcunadifferenza, ma ci sono problemi

di comunicazione. Di tanto in tanto c’è qualchecaso veramente eccezionale, l’anno scorso adesempio è arrivato un alunno cinese, ma a pre-occupare è il rallentamento didattico generale.Non sempre bastano i mezzi che le scuole han-no a disposizione».

annaLisa FantiLLi

timidi passi per il wi-fi liberoParte il servizio di connessione gratuita nel centro di Perugia. Incertezze sulle modalità di registrazione

Nella periferia perugina record di bambini non italiani nelle classi, con picchi fino al 90% all’asilo. Maestre troppo spesso sole

Libertà condizionata. È questo lo stato dellaconnessione wi-fi in Italia. Poche ore di libe-ra uscita per chi vuole connettere il propriodispositivo a una rete senza pagare il servi-

zio. In alternativa biso-gna abbonarsi con unoperatore delle teleco-municazioni. Uno deifattori, se non il princi-

pale, che ha determinatoquesto stato delle cose è il decreto legge

144/2005 (poi convertito in legge), più pro-saicamente il “decreto Pisanu” dal nome delsuo ispiratore, all’epoca Ministro degli Inter-ni. Una normativa che introdusse misure re-strittive per contrastare il rischio terrorismo:ad esempio i gestori di esercizi che avesseromesso a disposizione una connessione dove-vano avere una licenza rilasciata dal questo-re e verificare l’identità degli utenti con undocumento d’identità.Queste disposizioni, previste come transito-rie, non sono state prorogate con il decretoMilleproroghe del 2010 (decreto legge225/2010), convertito in legge a fine febbra-io del 2011. E da gennaio 2012 l'abolizioneè definitiva: il governo Monti non ha inseritoil rinnovo nel decreto proroghe 2011. Di con-seguenza ora non è più necessaria nessunalicenza. È caduto anche l’obbligo di identifi-cazione degli utenti, il monitoraggio delleoperazioni e l’archiviazione dei dati sia per gliesercizi privati sia per le pubbliche ammini-strazioni che mettono a disposizione deglihot-spot gratuiti.

r.C.

senza legge

gLi hot spot per iL MoMento attivi neL Centro Di perugia

Conoscochi scegliescuole con

meno stranieri

Maestrein difficoltàcon tante

lingue diverse

i bambini non italianisono tanti

ma integrati

«straniero non èsinonimo di basso livello»La scuola media “Bonazzi-Lilli” di PonteFelcino è uno degli istituti di Perugia con lapiù alta percentuale distudenti stranieri: il34,9%. «Ma da noinon esiste un proble-ma d’integrazione –spiega il dirigente sco-lastico, Paola Avorio –perché negli ultimianni abbiamo lavoratomolto al riguardo».Il profilo demograficodei bambini stranieri è radicalmente cambia-to: «ormai circa il 50% sono nati in Italia –prosegue la prof.ssa Avorio – mentre gli altriarrivano da precedenti esperienze scolastichenel nostro paese. A livello di scuola media lapercentuale di studenti stranieri che entranoper la prima volta nel nostro sistema scolasti-co ormai è praticamente nulla».La conseguenza è un cambiamento dei crite-ri con cui vengono formate le classi: «Primatenevamo in considerazione la nazionalità, datre anni solo il merito scolastico: stranieronon è più sinonimo di basso livello».

LuCa Cesaretti

il punto di vista

paoLa avorio

stuDenti in una sCuoLa itaLiana

Page 3: Speciale trasfusioni infette

3MAGGIo 2012 PRIMO PIANO

Il primo maggio, mentre migliaia di perso-ne festeggiavano, c’era chi lavorava. E chisul lavoro perdeva la vita: Vasil Copil, ope-

raio romeno di 51 anni, era in un cantiere vici-no all’Aquila quando, per prendere degli attrez-zi, si è sporto troppo dall’impalcatura ed è cadu-to a terra.

oltre due milioni e trecentomila. Sono tante lepersone che nel 2008 hanno perso la vita sul po-sto di lavoro. A dirlo è l’Ilo, l’organizzazione in-ternazionale del lavoro, nel suo ultimo rapporto:“Tendenze globali e sfide alla sicurezza e salutesul lavoro”.

In Italia nel 2011 sono state 930 le vittime diquesto fenomeno. Il 4,4% in meno rispetto al2010, una tendenza che si registra negli ultimi an-ni. Anche se va tenuto conto della crescente di-soccupazione. Un quinto dei morti lavorava nel-le regioni del centro Italia. L’Umbria è al quartoposto per l’incidenza dei casi di morte sul lavo-ro rispetto agli occupati, mentre è addirittura laprima per la frequenza degli infortuni. Lo scor-so anno, secondo i dati dell’Inail (Istituto nazio-nale per l’assicurazione contro gli infortuni sullavoro), sono stati 18 gli operai, agricoltori, pe-scatori e trasportatori che hanno avuto inciden-ti mortali. E nel 2012 i casi registrati sono già 7,l’ultimo è quello di Francesco Beccari, impren-ditore schiacciato dal suo muletto a Magionementre cercava di abbattere un albero.

Nel cuore verde d’Italia si muore soprattuttocoltivando la terra e nei cantieri. Basta una disat-tenzione per cadere da un’impalcatura, come èsuccesso a un operaio spoletino che ha battutola testa contro una vite a novembre scorso. Spes-so, però, sono le misure di sicurezza a mancare.E una prevenzione adeguata.

Il dott. Giorgio Miscetti della Asl2, si occupadi prevenire gli infortuni e fare controlli sui luo-ghi di lavoro: «Un’impresa sempre più difficile -

spiega - per un équipe composta da meno di 50tecnici che deve monitorare oltre 2000 cantierinella regione. E i tagli alla spesa pubblica riguar-dano anche il nostro settore: il costo dei control-li è alto e di fatto noi non produciamo entrate,ma sicurezza».

Secondo l’Inail, nel 2011 gli infortuni sul lavo-ro nella regione sono stati circa 15mila.

L’Anmil (Associazione nazionale mutilati e in-validi sul lavoro), che in Umbria conta 19milaiscritti, presta assistenza legale, fiscale e previ-denziale. Il presidente regionale, Alvaro Burzi-gotti, ha vissuto il dramma dell’infortunio in pri-ma persona: «Mio padre ha perso una gamba perun masso sollevato dal trattore. È stato allora cheho deciso di dedicarmi a chi ha subito incidentisimili». In effetti l’Anmil è un’associazione sen-

za scopo di lucro, ci lavorano soprattutto volon-tari. Tra i dipendenti c’è Marco Crescentini: «Sipuò rivolgere a noi anche chi non è iscritto. ol-tre all’assistenza ci occupiamo anche del reinse-rimento lavorativo. Come una sorta di agenziainterinale». Grazie a loro ha trovato lavoro Ro-berto Celesti. Ha perso l’occhio destro in un in-fortunio “in itinere”, ovvero mentre si recava allavoro. «Era il 16 luglio del 1983, me lo ricordocome se fosse oggi -racconta Roberto- avevo so-lo 17 anni, sarei potuto essere in vacanza comemolti altri ragazzi, e invece lavoravo in campa-gna. È successo che mi sono scontrato controuna mietitrebbia».

L’invalidità si calcola in percentuale, stabilita inalcune tabelle ministeriali, in base alle quali l’in-fortunato riceve una pensione. Cleandro Ventu-

ri ha un’invalidità al 78% e prende circa 2000 eu-ro al mese. Nel 2002 è stato vittima di un graveincidente: «Lavoravo da mesi come imbianchinoin un cantiere di Ponte Felcino. Una mattina,mentre scaricavamo degli attrezzi dal furgone, ilcarico di una gru mi è crollato addosso». Dopoil coma farmacologico gli ci sono voluti tre annidi riabilitazione per tornare a camminare: «Cer-to, non libero e spedito - ironizza Cleandro - macomunque spedito».

L’associazione, insieme ai sindacati e all’Inail,ha organizzato una marcia ad Assisi alla fine digiugno per tenere viva l’attenzione su un feno-meno ancora troppo diffuso.

L’Umbria ai primi posti per le vittime sul luogo di lavoro e la frequenza di infortuni. Dall’inizio del 2012 sono già sette ad aver perso la vita

L’ultimo caso il primo maggio. Diminuiscono i morti ma il fenomeno rimane allarmante e la prevenzione rischia di diventare un lusso

sicurezza, la nuova precaria del lavoro

«Non voglio che la dignità di miofratello venga calpestata. È ladignità di chi lavorava

e non è più tornato a casa». LorenaColetti mostra con orgoglio la fotodel fratello Giuseppe, vittima del-l’esplosione dell’Umbria olii. Nellasua voce c’è ancora la rabbia perquello che è successo. Il 25 novem-bre del 2006, allo stabilimento diCampello sul Clitunno, un silo saltòin aria causando la morte di quattrolavoratori e la distruzione dell’im-pianto. Il tribunale di Spoleto, loscorso dicembre, ha condannato asette anni e sei mesi Giorgio DelPapa, presidente del consiglio diamministrazione, per omicidio col-poso.

Guardando la foto di Giuseppe si intuisconole somiglianze con la sorella. Una famiglia dioperai, da sempre dedita al lavoro. Cinque figli,la madre muore quando sono ancora piccoli edè il padre a occuparsi di loro. Lorena vive in unagrande casa nella campagna di Narni, a pochichilometri dal centro. Come ha saputo della morte di suo fratello?

«Era sabato sera e stavo lavorando in pizze-ria. Una mia collega mi avverte che fuori c’èmio marito e quando esco trovo anche miofiglio e i miei cognati. Allora capisco subito chec’è qualcosa che non va. E dire che avevo avuto

mal di testa tutto il giorno, come un presenti-mento. Quando mi hanno detto della morte di

Giuseppe ho pianto, forse sono anche svenuta,non ricordo».Ha capito subito come è avvenuto l’inci-

dente?

«Dopo qualche giorno mi sono resa conto diaver visto in tv le immagini dell’incendio, maero al telefono e non ho prestato attenzione. Mici sono voluti dei mesi per reagire, perché erosotto sedativi per il dolore. Una sera ho iniziatoa cercare su internet per fare chiarezza. Poi ungiorno ci è arrivata una richiesta di risarcimen-to di 35 miloni di euro da Del Papa: per lui l’in-cidente era colpa degli operai».

E lei come ha reagito?

«Sono andata a raccontare la storia di mio fra-tello in tv e a manifestare per chiede-re giustizia. Adesso voglio solo cheDel Papa sconti la sua pena. Pensareche ha avuto persino il coraggio discrivere un libro (il titolo è “Non hocolpa”, ndr) per dichiarare la suainnocenza, avrei voluto leggerlo manon sono riuscita a trovarlo».Come ha vissuto l’attenzione

mediatica?

«Tutti i giornali sono stati dallanostra parte e andando in tv hoconosciuto molta gente che avevavissuto drammi come il mio. Cosìnon mi sono sentita sola. Però unacosa la voglio dire: mi sono battutaperché non si chiamassero più

“morti bianche”. Il bianco è il colore della gioia,della festa, del matrimonio. Cos’hanno di bian-co quelle vittime rimaste carbonizzate tutta lanotte? Io vedo solo nero, mi porto dietro unlutto da sei anni. ora quello che mi interessa èil futuro di mio figlio. Emanuele non ha vogliadi studiare, magari anche lui andrà a fare l’ope-raio. Ne ha tutte le intenzioni. L’altro giorno miha chiesto quante possibilità avesse di morirecome lo zio. Io non so che rispondere, possosolo sperare in una legge che lo tuteli».

pagina a Cura DieLena BaioCCo e riCCarDo CavaLiere

Lorena Coletti racconta la morte dell fratello Giuseppe, una delle quattro vittime dell’esplosione della Umbria olii

un Cantiere aperto nei pressi Di Bastia uMBra

Lorena CoLetti ha in Mano iL LiBro “tornare a Casa DaLLavoro” DeDiCato aLLa trageDia

DeLLa uMBria oLii in Cui ha perso La vita iL FrateLLo giuseppe

2 milioni 300mila tante le persone che nel 2008, in tutto ilmondo, hanno perso la vita sul posto dilavoro.

930I morti sul lavoro in Italia nel 2011. Il setto-re più colpito è stato quello dell’industria,con 430 casi.

18Le vittime di incidenti sul lavoro in Umbrianel 2011. Dall’inizio del 2012, invece, i mortisono stati già 7.

726milaGli infortuni denunciati nel 2011, comunquediminuiti del 6,4%. Ma si deve mettere inconto una maggiore disoccupazione.

15milaGli infortuni in Umbria nell’ultimo anno.

i numeri

25 novembre 2006

Quattro operai muoiono per l’esplosione di unsilo nella fabbrica Umbria olii, a Campello sulClitunno. I nomi: Giuseppe Coletti, MaurizioManili, Tullio Mottini, Vladimir Todhe.

24 novembre 2009

A Spoleto inizia il processo. Sul banco degliimputati, il presidente del consiglio di ammi-nistrazione dell’azienda Giorgio Del Papa e

25 novembre 2011

Quinto anniversario della tragedia. Il presiden-te della Repubblica, Giorgio Napolitano, scri-ve al sindaco di Campello, Paolo Pacifici, perrichiamare l’attenzione sulla vicenda.

19 dicembre 2011

Giorgio Del Papa viene condannato a sette an-ni e sei mesi per omicidio colposo plurimo.

umbria oliila storia

«Bianco non è il colore del lutto»

Page 4: Speciale trasfusioni infette

4 PRIMO PIANO MAGGIo 2012

«Quel sangue infettò mamma»La guerra di Paolo: “Un intervento al cuore l’ha fatta ammalare di epatite. trent’anni senza un aiuto dallo Stato”

Trasfusioni killer di sangue infetto. Si en-tra in ospedale, si ricorre a una trasfu-sione, ci si ammala, si muore. Una brut-

ta storia. Sono quattromila le persone già mor-te, perché contaminate con sangue, o suoi de-rivati, messo in commercio senza gli opportu-ni controlli. Tra queste c’è la madre di Paolo Ni-zi. La donna, assisiate, nel lontano 1982 si è am-malata gravemente per una trasfusione con san-gue infetto, in occasione di un intervento chi-rurgico al Policlinico Umberto I di Roma, ed èmorta nel 2005. All’epoca aveva 55 anni.

«In quell’intervento al cuore le sono state tra-sfuse venti sacche di sangue, che poi si è scoper-to che erano infette. È da lì che è iniziata l’ago-nia». Non si dà pace Paolo, che dopo quell’in-gresso all’ospedale ha visto sgretolarsi la sua se-renità familiare. «Mia madre stava sempre male,aveva continui svenimenti, ha scoperto poi diavere contratto l’epatite C. A seguire, sono insor-te altre patologie, prima il diabete e poi l’Alzhei-mer. Gli ultimi anni, prima di morire, non man-giava più, era alimentata con il sondino».

Un calvario lungo trent’anni. Che si riverbe-ra sul nucleo familiare, inevitabilmente. Prova-to dal triste destino materno, adesso anche luista male, a soli 63 anni Paolo soffre d’insuffi-cienza respiratoria. Ma l’ultima goccia è arriva-ta nel 2010. Quando il Ministero della Salute haaccordato un risarcimento per le pene patitedalla famiglia Nizi pari a 600 mila euro. Che sa-rà però erogato in 10-15 anni.

«Sono invalido e vivo attaccato all’ossigeno –protesta – così rischio di fare la fine di mia ma-dre, che è morta non vedendo un soldo». «So-lo nel suo ultimo anno di vita le sono stati ero-gati circa dieci mila euro, cifra neanche suffi-ciente a ripagarci delle spese legali. Per il restodel tempo, abbiamo dovuto destreggiarci con ilmio stipendio da dipendente statale e la pensio-ne d’invalidità di mamma, che non arrivava amille euro».

Quella di Paolo non è la storia di una trage-dia caduta dal cielo. Ma di un contenzioso conlo Stato, che ha omesso di controllare con i do-verosi test che il plasma non veicolasse patolo-gie mortali, quali l’epatite o l’Hiv. Gli emodan-neggiati sono persone normali, sane, che han-no fatto ricorso alle strutture sanitarie del no-stro Paese che dovevano garantire loro cure si-cure. Così non è stato. Se ci si a m m a l agravemente non si può più lavora-re. Chi è in difficoltà econo-miche finisce relega- t oai margini dellasocietà. E sepure si fan-no le leggiper ripa-gare il

danno, larealtà è che servesempre la mobilitazioneperché quel che è stato sancito sia anche appli-cato.

Il diritto al risarcimento è stato riconosciutosotto il governo Prodi per settemila personecon un decreto-legge emanato nel 2007, coper-to dalla finanziaria, che ha stanziato un fondodi 180 milioni di euro. Soldi da erogarsi annual-mente secondo un piano pluriennale. Il requisi-to per ottenere la transazione è il nesso causa-

le tra l’avvenuta trasfusione e la contrazione diun virus.

Le domande di risarcimento mandate al Mi-nistero della Salute sono state circa settemila.Ma tecnicismi e paletti si sono via via frappo-sti al buon esito del contenzioso. Nel gennaio2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazionehanno sentenziato che l’interessato, per ottene-re il risarcimento, ha cinque anni di tempo, chedecorrono dal momento della d o m a n d a .Dopodiché la prescrizione estingue ilreato. Questo anche se al- trove è statoipotizzato per il fatto in questione il

reato di “epidemia colposa”, percui i termini della prescrizione

s’allungano a 15anni.

Fatto sta che lasentenza della Cassa-zione ha escluso dairicorsi l’ottanta percento delle persone

emodanneggiate. Inpiù, c’è l’esercito degli

ignari. Quelli che non sco-priranno mai d’essersi am-

malati per colpa di sangue in-fetto.Morale della favola, sono pas-

sati già cinque anni dallo stanzia-mento di questo fondo. Almeno eco-

nomicamente poteva essere una boccatad’ossigeno. Invece è stato avviluppato in un iterpachidermico, incastrato nei cavilli e nelle lun-gaggini.

Eppure il tempo conta. Vuol dire vita chepassa. Soldi per cure sanitarie costose che do-vevano essere disponibili e che invece manca-no all’appello. Le persone intanto muoiono. Eil risarcimento dato a chi giace all’ombra di uncipresso non paga.

Laura CerveLLione

Se in passato sono stati commessi errori,oggi negli ospedali italiani corre buonsangue, soprattutto grazie alle novità della

scienza. L’evoluzione dello screening è stato unpasso in avanti decisivo per individuare patolo-gie prima impossibili da rilevare, come ha spie-gato Mauro Marchesi, dirigente medico del ser-vizio di immunoematologia dell’ospedale peru-gino “Santa Maria della Misericordia”. «Dal1974 si è iniziato a dosare gli antigeni dell’epa-tite B, nel 1985 gli anticorpi contro l’Hiv e nel1989 quelli dell’epatite C, fino ad allora scono-sciuta».

Ma la vera rivolu-zione in campoimmunologico si hadieci anni dopo:«Nel 2002 è statointrodotto l’obbli-go di effettuare itest con i nuovi

metodi di biologia molecolare, che individuanonon solo gli anticorpi ma anche i virus di epati-ti e Hiv». Il risultato è un’affidabilità molto piùelevata, perché «i test sui soli antigeni sonoingannevoli nel “periodo-finestra”, quello cheintercorre tra l’infezione e lo sviluppo deglianticorpi, in cui però si è già contagiosi».

Ma i progressi della ricerca non finiscono qui.«Decenni fa alcuni pazienti sono state infettatida virus allora sconosciuti alla medicina, quindidi fatto “invisibili”. Basti pensare che il virusdella “mucca pazza” è stato identificato solo nel1996. Ecco perché, per contrastare la diffusio-ne dell’“encelopatia spongiforme bovina” cheper qualche anno ci ha terrorizzati, «in Italiaoggi non può donare sangue chiunque fra il1980 e il 1996 abbia soggiornato nel RegnoUnito per più di sei mesi».

Esiste ancora il “rischio da sangue”? Comespiega Marchesi, il fattore di pericolo collegatoalle trasfusioni oggi è infinitesimale. Meritosoprattutto dei donatori, tutti volontari e nonremunerati come avviene in molti Paesi, e tuttiaccuratamente selezionati. «Dal 2005 i questio-nari somministrati ai potenziali donatori per-mettono di rilevare al dettaglio i fattori dirischio a cui si può essere andati incontro».Anche quando si tratta di una semplice puliziadentale o un tatuaggio.

Valutata l’adeguatezza del donatore, vienesottoposto ad un esame del sangue per valutarelo stato di salute, se è idoneo al prelievo e – sesì – a quale tipo. «È possibile infatti donare san-gue intero o per aferesi, una procedura chesepara una specifica componente – plasma e/o

piastrine – mentre i globuli rossi vengono“restituiti” al donatore». Una tecnologia vantag-giosa, che permette di non “impoverire” ildonatore con carenze di ferro.

Inizia così l’iter di controllo immunologicosulla sacca di sangue: «Deve passare attraversouna serie di esami virologici, che comprendonola ricerca degli anticorpi e dei virus di epatiti,Hiv e sifilide. Solo se passa tutti questi test ilprelievo riceve l’ok per essere poi trasfuso».

Marchesi non nasconde che ancora oggi ilrischio trasfusionale nullo non esiste, «sia per-ché esistono malattie ancora sconosciute, siaper una pur minima possibilità di erroreumano». Dal 2002, però, il rischio è vicinissimoallo zero: «il pericolo di contrarre l’Hiv è unoogni due-tre milioni di trasfusioni, è uno ognicento-duecentomila per l’epatite B, e uno ogniuno-due milioni per la C». Merito anche di unanuova “politica del sangue” da parte delle Usl,secondo la quale il pericolo si riduce anche conun uso oculato delle trasfusioni, limitate ai casidi effettiva necessitá.

Eppure di sangue donato c’è ancora un granbisogno. Il centro trasfusionale dell’ospadaleperugino ha la fortuna rara di essere autosuffi-ciente per quanto le donazioni di “oro rosso”,grazie anche a una campagna di sensibilizzazio-

ne “a tappeto”: «Da anni dedichiamo alle scuo-le progetti educativi specifici sull’importanza didonare sangue. E non bisogna dimenticare illavoro insostituibile delle associazioni di volon-tari, sempre disponibili ad informare e a chiari-re ogni dubbio di chi si accosti per la primavolta alla donazione. È soprattutto grazie a loro– spiega Marchesi – che siamo arrivati a quota20mila donazioni l’anno: un tetto che dovrebbepermetterci di non essere in sofferenza in esta-te, il periodo più critico “ematicamente” parlan-do».

Eppure tra i potenziali “volontari di sangue”circola ancora di diffidenza riguardo all’oppor-tunità di donare, dove – qui sì – le titubanzestanno a zero: «La donazione non è affattorischiosa. Anzi, gli esami generali effettuati per-mettono di monitorare in forma gratuita il pro-prio stato di salute. È una specie di “fidelizza-zione” dei nostri volontari: perché ogni gocciadel loro sangue è preziosa».

MiCoL pieretti

oggi la trasfusione è sempre “doc”L’evoluzione dello screening e la biologia molecolare battono sul tempo patologie prima “invisibili”

Mauro Marchesi, dirigente medico: «oggi test attendibili, tracciabilità del sangue e donatori selezionati»

Assisi. Una trasfusione infetta ha fatto ammalare la madre di Paolo Nizi, deceduta nel 2005. E il risarcimento non c’è

risarcimenti al palo

Dal punto di vista legale, la partita è tutt’altroche chiusa. La questione si articola in duetranche, come chiariscono gli avvocati perugi-

ni Michele Nannarone e Massimiliano Poggianti cheda anni difendono le vittime del sangue infetto: «Dauna parte c’è la legge 210 del 1992, per l’indennizzodelle vittime di trasfusioni killer. I danneggiati che l’-hanno richiesto percepiscono una “pensione” bime-strale che va dai 1445 ai 1620 euro, a seconda dellagravità del danno».C’è poi il capitolo dei risarcimenti stabiliti dalla finan-ziaria Prodi del 2007, secondo cui chi aveva già in cor-so una causa poteva presentare domanda per i dan-ni subiti, di ordine biologico, patrimoniale, esistenzia-le e di vita di coppia. La responsabilità del Ministerodella Salute in questi casi di pessima sanità, riferi-sce Poggianti, è accertata: «Le sentenze hanno ap-purato che era impossibile tracciare il sangue – rac-conta Poggianti – che a volte proveniva addiritturadal terzo Mondo». Ma in Italia non ci si è comportati meglio, specie per-ché test attendibili c’erano già: «Era il 1966 quandoil Ministero esortava le Usl ad evitare donatori contransaminasi alte, ma senza che fosse legge». Segui-re il percorso del sangue dalla donazione alla trasfu-sione, poi, era impossibile: «Nelle USL non esisteva-no registri dei donatori, anche se già nel 1967 erastato formulato il “Piano sangue” per il controllo el’accertamento della provenienza delle sacche». Negligenze che hanno portato al contagio di oltre ot-tantamila persone, secondo il Comitato vittime san-gue infetto. Che oggi chiedono di essere risarcite. trail 2009 e il 2010 sono state oltre 7000 le richieste inol-trate. Eppure, a tre anni di distanza, tutto è fermo: «Ildecreto che definisca modi ed entità dei risarcimentinon è mai stato definito. Da mesi ci rimbalzano da unariunione all’altra, ma nulla di fatto», racconta Nanna-rone. E per alcuni è già troppo tardi: «Su 208 causeintentate, almeno 40 dei nostri assistiti sono morti-senza aver avuto una risposta dallo Stato».Esasperati, perché le loro sono storie passano inos-servate. Perché con quel risarcimento avrebbero po-tuto curarsi adeguatamente e vivere un’esistenza di-gnitosa. Esasperati, perché molti di loro per quellalegge che ora c’è hanno lottato e manifestato, ma isuoi effetti si sono persi nelle maglie di una giustiziache prende tempo anche davanti alla morte.

MiCoL pieretti

Donare noncomporta alcun

rischio, anzi: fa bene

al donatore

Page 5: Speciale trasfusioni infette

5PRIMO PIANOMAGGIo 2012

i marchi umbri sotto assedio

«Siamo preoccupati. Se vogliamo uscire dallacrisi l’unica strada è tornare a fare produzione.Ma produzione di qualità, l’unica nella qualepossiamo essere competitivi sul mercato mon-diale». Stelvio Gauzzi, segretario di Confarti-gianato Imprese Peru-gia, va dritto al cuoredella questione quandoviene stimolato sul te-ma della contraffazione.«Ci sarà sempre qualchepaese emergente dispo-sto a lavorare a costi piùbassi dei nostri – riflet-te – per cui dobbiamo puntare su prodotti di al-ta qualità e livello tecnologico». Proprio quelli incui il fenomeno della contraffazione è una pia-ga crescente: «Nell’agroalimentare le normati-ve molto stringenti aiutano; il vero problema èper situazioni tipo le ceramiche di Deruta. Dal-la Cina arrivano prodotti marchiati, grazie a unostratagemma, ‘Deruta CE’. Così facendo sem-brano provenire dall’Umbria. L’aumento di se-questri segnala la crescita del fenomeno, ma percombatterlo dobbiamo fare un passo in avanti estoppare queste filiere del falso dall’inizio».

L.C.

La regione scende in campo a difesa delle imprese locali: varato il sigillo di qualità “Umbria artigianato - mobile in stile”

Gli stratagemmi per rubare nei negozi, soprat-tutto quelli più controllati, sono molti. Alcuni,per creatività ed estro, meritano una menzione.Ecco i più comuni.

oLio oggetti per La Casa CeraMiChe aBBigLiaMento e aCCessori

neL 1986 è stato Costituito iL Consorzio regionaLe DituteLa DeLL’oLio extravergine uMBro D.o.p.

Nell’ultimo mese i controlli della Guardiadi Finanza nella provincia di Perugiahanno portato al sequestro di 3159 pez-

zi contraffatti. oggetti di ogni tipo: circa 2500 ca-pi di abbigliamento e accessori, 106 occhiali davista, 461 apparecchi elettrici e 32 bombole digas. Un elenco variegato e ben fornito, ma cherappresenta solo la punta dell’iceberg di un feno-meno diffuso e non facile da individuare. Datoche si tratta di una pratica sommersa tutti i dati,seppur significativi, sono parziali e non offronouna fotografia completa della reale situazione.

Nessun settore sfugge alla contraffazione, co-me dimostrano i continui sequestri di merce fal-sa. A metà febbraio, a Narni, sono stati indivi-duati 2260 oggetti a marchio Thun probabil-mente made in China. Un anno prima i finanzie-ri di Terni avevano già intercettato 200 prodottispacciati per quelli della nota fabbrica di Bolza-no sulle bancarelle dei venditori ambulanti dellazona: soprattutto statuine decorate con fiori, ani-maletti e angeli.

Uno dei settori maggiormente oggetto di ri-produzioni illecite è quello dell’abbigliamento edegli accessori. A fine gennaio, ad Assisi, le fiam-me gialle hanno trovato quasi mille articoli trascarpe, borse, portafogli, cappelli, sciarpe, pan-taloni e biancheria intima. Tutti rigorosamentegriffati: Nike, Hogan, Louis Vuitton, Fendi,Gucci e Alviero Martini.

In Umbria il problema ha un aspetto da nonsottovalutare. La regione è ricca di prodotti ti-pici e di un artigianato fortemente radicato nelterritorio. I falsari tentano di sfruttare l’ottimareputazione, anche all’estero, delle creazioni lo-cali per immettere sul mercato dei surrogati abasso costo. Un esempio fra tutti quello di De-ruta. Le famose ceramiche sono protette da un

marchio di cui si può fregiare solo la produzio-ne interna al piccolo Comune del perugino. Main Cina si sono attrezzati per aggirare l’ostaco-

lo: è stato fondato un distretto chiamato Deru-ta, per poter così esportare “legalmente” mercemarchiata “Deruta CE”, dove anche l’acronimoCE non significa Comunità Europea, ma ChinaExport. Per difendere il prestigio delle cerami-che umbre fin dal 2008 è stato creato il consor-zio “Deruta 1282”. E se si sa che in Umbria iprodotti alimentari trovano sempre spazio tra i

souvenir dei turisti, fuori daiconfini regionali il rischio èche anche in ambito agroali-mentare circolino merci nonoriginali.

Non è un caso che già nel1986 all’interno del quadrodegli interventi regionali a fa-vore dell’agricoltura fu costi-tuito il Consorzio Regionale ditutela dell’olio extra vergine dioliva Dop. Da 25 anni a oggii problemi sono aumentati edall’inizio dell’anno la Regio-ne ha varato un nuovo mar-chio dedicato, “Umbria arti-gianato - mobile in stile”. Almomento dieci aziende ne

hanno ottenuto la licenza.Un’iniziativa che getta le basi per una lotta anco-ra lunga e difficile.

LuCa Cesaretti e annaLisa FantiLLi

Dall’inizio dell’anno circa seimila oggetti sequestrati dalla guardia di finanza. Dagli accessori all’olio, tutti i prodotti sono a rischio

«Bloccare le filieredel falso fin dall’origine»

a Metà FeBBraio a narni sono state seQuestrate 2260FaLse statuine DeLLa nota FaBBriCa Di BoLzano thun

neL 2008 nasCe iL Consorzio “Deruta 1282” per Laprotezione DeL MarChio DeLLe CeraMiChe LoCaLi

Questo è iL settore più ContraFFatto. a Fine gennaio aDassisi La Finanza ha sCoperto CirCa MiLLe Capi FaLsi

steLvio gauzzi

un MoBiLiFiCio artigianaLe uMBro aD inizio seCoLo.in aLto, iL Logo DeL MarChio regionaLe “uMBria artigianato - MoBiLi Di stiLe”

La crisi economica e le merci contraffattenon sono le uniche minacce per chi man-da avanti, giorno dopo giorno, la propria

attività. Questa è la storia di Mario (il nome è di fan-tasia, ndr), titolare di un negozio di alta moda nel-la Media Valle del Tevere.

Un ragazzo di spirito, che a dispetto della suagiovane età lavora nel settore dell’abbigliamentogià da vent’anni. Negli ultimi mesi si è trovatocoinvolto, suo malgrado, in una buffa “guerra pri-vata” – ma piuttosto seria, penalmente parlando– contro una banda di artisti della truffa.

«La prima volta erano in sei, assieme a duebambini – spiega – hanno preso di mira il nostrooutlet, dove teniamo le collezioni delle stagionipassate». La strategia per mettere a segno il col-po? Semplice, ma efficace: entrare nel negozio e,forti del numero, fare baccano. Bambini che sirincorrono urlando, la commessa chiamata da unlato all’altro del locale, così, in pochi minuti, labanda (composta in tutto da più di dieci persone,tutte dello stesso nucleo familiare) va via con die-cimila euro di merce. Rubata, naturalmente.

L’incredibile, però, accade l’indomani. Il grup-po, fiutato l’affare, torna all’outlet per un’altragiornata di “shopping creativo”.

Mario continua: «La seconda volta ero lì, guar-davo le immagini delle telecamere di sicurezza,

quelle del giorno prima, quando li ho visti entra-re, sempre loro». La telefonata ai carabinieri è im-mediata e, pochi minuti dopo, segue l’arresto inflagrante.

«Avevano ancora la merce nascosta addosso.Le donne ad esempio sotto le gonne – continuail titolare – ero sicuro che fosse finita lì»; invece,in questa stramba riedizione per adulti di “guar-die e ladri”, siamo solo al primo tempo.

Una settimana dopo – siamo tornati intanto alnegozio d’alta moda – un’auto parcheggia davan-ti all’ingresso, Mario trasecola: «Non ci volevocredere. La stessa station wagon, le stesse perso-ne, che sfacciati! Solo che quella volta erano intre». Il titolare e le sue commesse la prendono sulpersonale, raccolgono il guanto di sfida e li fan-no entrare. «Eravamo il doppio di loro, io e cin-que commesse – spiega sorridendo Mario – glisiamo stati addosso tutto il tempo, seguendo ogniloro mossa». Risultato di mezz’ora di shoppingfra i grandi marchi: un paio di calzini da 12 euro.Mentre il trio si allontana nel negozio si tira unsospiro di sollievo, con la soddisfazione d’averreagito a tanta faccia tosta con civiltà e una buo-na dose di sarcasmo.

Ma talvolta la realtà supera di gran lunga ogniimmaginazione. Passano appena tre giorni e labanda ci riprova: con Mario e il suo negozio, tan-

to per cambiare. Quello che i malviventi non san-no è che i carabinieri, stavolta, li stanno osservan-do: così scatta la trappola e il negoziante, per laseconda volta, s’improvvisa sceriffo e prende par-te all’operazione.

«L’ho fatti arrestare, due volte. Mentre andava-no via mi insultavano, dicendo che me l’avrebbe-ro fatta pagare. Da parte mia ero tranquillo, pen-savo che sarebbero rimasti dentro per un bel po’di tempo».

Qui il tono di Mario rivela un accenno d’ama-rezza: «Qualche giorno dopo, parlando col Ca-pitano dei carabinieri che ha condotto l’operazio-ne, ho scoperto che, in attesa del processo, eranoa piede libero. Liberi di tornare qui e bruciarmiil negozio per vendetta». o, più semplicemente,di tornare a colpire. La banda, infatti, è accusatad’aver compiuto furti in tutta l’Umbria.

Merce del valore di molte migliaia di euro, maa volte capita che i titolari dei negozi, benché cla-morosamente gabbati, non si accorgano di nul-la. «Quando hanno perquisito l’auto della banda– aggiunge divertito Mario – c’era di tutto, com-presa una quarantina di foulard di seta pregiata,di un negozio che conosco. Ho chiamato il tito-lare, gli ho chiesto se gli mancassero dei foularde lui mi fa “aspetta che guardo… Hai ragione! Mene mancano un paio!”». roBerto MoreLLi

volevo solo fare il negozianteL’incredibile storia di Mario, tormentato da una banda di ladri. E lui si improvvisa “carabiniere aggiunto”

Prendevano di mira negozi d’alta moda. Scarpe, borse e capi di ogni tipo trafugati con l’astuzia estro e manolesta:i trucchi dei ladri

Una sacca marsupiale,a mo’ di canguro, daindossare sotto gonnevaporose. Duranteuna recente operazio-ne i carabinieri hannofermato una donnache aveva rubato cosìben 6 paia di scarpe.

Una sorta di tagliasiga-ri, di forma rotonda,fatto per essere nasco-sto nel palmo dellamano. Un gesto velocee il sigillo anti-taccheg-gio viene via. toltoquello, il resto, è ungioco da ragazzi.

All’apparenza una nor-male borsa. In realtà èfoderata all’interno conpannelli che scherma-no le onde magneti-che. ottima per elude-re, con eleganza, gliantifurti dei negozi.

Page 6: Speciale trasfusioni infette

VIAGGIO

NELLA

CRISI V

IAGGIO

NELLA

CRISI

«Sono fortunato perché mio padre giàlavorava nel settore e per me è statopiù facile che per altri». Esordisce

così Antonio Mameli, un ragazzo di Perugia di21 anni che da quattro anni lavora a cottimo inuna vetreria di Torgiano.

Se potesse tornare indietro all’ultimo anno diliceo, sceglierebbe di nuovo di lavorare invecedi prosegurie gli studi: «Io sono dell’idea cheprima di tutto venga il lavoro. Quando ho fini-to la scuola volevo rendermi indipendente alpiù presto, per aiutare i mieigenitori e anche perché lo stu-dio non mi stimolava molto.Infatti ho iniziato a lavorarequando avevo 17 anni».

Allora non c’era ancora lacrisi economica che avrebbeposto la questione del mercatodel lavoro al centro dell’agendapolitica. Anche per questoAntonio consiglierebbe a unsuo coetaneo di cercare subitoun lavoro, invece di proseguiregli studi: «Parto da un dato difatto: per fare l’università servono soldi, e nontutte le famiglie si possono permettere di spen-derli. La mia ragazza, per esempio, studia aPerugia. Ha la fortuna di vivere qui, una cittàdove c’è un buon ateneo, e quindi non si èdovuta spostare. Nonostante non debba pagareper una vita da fuori sede, spende 500-600 euro.Per cosa?»

Spesso, però, lo studio viene indicato comeun modo per migliorare la propria condizionesociale. «La mia ragazza, però, non è nemmenosicura che quando si sarà laureata troverà illavoro per cui ha studiato. Allora tanto valecominciare a imparare un mestiere e mettere da

parte qualche soldo. Intanto vivi senza doverchiedere aiuto ai tuoi genitori. Per esempio houn amico che lavorava con lo zio, poi è statolicenziato per via della crisi. Subito dopo ha tro-vato un lavoro a tempo pieno, con la garanziadi 800 euro di stipendio al mese. Però lo harifiutato perché gli orari non gli avrebbero per-messo di continuare le scuole serali. Io avreiscelto in modo diverso».

Forse i suoi genitori erano contenti di farequalche sacrificio per farlo studiare. «Se non ci

fosse questa crisi forse studia-re avrebbe senso. Ora, però,mi sentirei troppo di peso.Già i miei genitori fannomolto per me, credo sia giustodarmi da fare per aiutarli. Epoi avere uno stipendio, perquanto basso, è una soddisfa-zione, anche solo il poterpagare una birra quando escocon gli amici».

Ma studiare non potrebbeessere un modo utile per tro-vare un lavoro non manuale,

magari che sia anche più remunerativo? «Vistocome vanno le cose in Italia non è detto che sestudi trovi un lavoro meglio pagato. Il rischio èdi buttare via anni della propria vita per poifinire a fare gli unici lavori che ancora sonodisponibili: quelli manuali, che sono anchepagati poco. Senza calcolare un altro rischio,più grave: quello che un datore di lavoro ti assu-ma come apprendista e poi ti lasci per stradasenza che tu abbia preso neanche una lira. Moltidatori di lavoro se ne approfittano. Io nonvoglio rischiare: non riuscirei a vivere con ilpensiero di non poter rispettare le scadenze,dalle bollette alla rata della macchina».

Stefano, da operaio a badante, una lunga serie di mestieri alle spalle Giorgio, falegname, racconta un lavoro che unisce braccia e mente

«conta molto la creatività»sempre pronto a ripartire

Ritrovarsi disoccupati a 44 anni e dover ricominciaretutto da capo. Questa è la storia di Stefano Stramac-cia, folignate con una lunga serie di lavori alle spalle.

Un percorso in salita, che spesso lo ha costretto a reinven-tarsi e a cimentarsi in attività molto diverse tra loro. Senzamai darsi per vinto.

Un diploma da ragioniere in tasca, lavita professionale di Stefano si rivela su-bito molto precaria. Prima commesso inun supermercato, poi rappresentante peruna ditta di abbigliamento. L’illusionedella stabilità arriva nel 1995, quando vie-ne assunto come operaio alla Merloni.Un’azienda nella quale lavora per ben 13anni, fino a quando l’impresa umbra vie-ne travolta da una gravissima crisi che lacostringe a mandare a casa tanti dei suoidipendenti. «Nel 2008 mi hanno offertouna buonuscita e mi hanno messo in mo-bilità per due anni. Peccato che la crisieconomica fosse solo agli inizi: era il pe-riodo peggiore per affacciarsi sul merca-to del lavoro», racconta. Da questo mo-mento, per Stefano inizia un lungo pel-legrinaggio tra vari corsi di formazione,nella speranza di trovare un nuovo impiego. Frequenta un la-boratorio in cui impara a manovrare macchine utensili, male imprese locali devono fare i conti con la difficile congiun-tura economica e venire assunti sembra un miraggio.

«Nel frattempo ho continuato a dedicarmi al volontaria-to negli ospedali, un’attività che svolgevo fin da giovane –spiega – così sono venuto a sapere che il Comune di Foli-gno e la Asl stavano organizzando un corso di formazioneper assistenti familiari, più noti come badanti». Alla fine del2010, quindi, dopo due anni di disoccupazione, Stefano silancia in questa nuova esperienza. Dopo il corso, lavora con

anziani e disabili ricoverati in varie strutture: un impiego chesvolge con grande dedizione, anche se trovare un’occupa-zione stabile in questo campo non è semplice. Ai problemil avo r a t iv i , poi, si aggiungono quelli personali.Come se non bastasse, infatti, insieme a

sua moglie viene sfrattato dal-l’abitazione in cui vive da cin-que anni.

«È stato un periodo moltobuio. Per fortuna ho potuto conta-

re sul supporto dei miei genitori», di-ce il protagonista della nostra storia.«Anche la fede mi ha aiutato moltissimo.Così sono riuscito a ridimensionare ledifficoltà professionali».

Certo, stare a casa senza un lavoro perquattro anni non è facile. La frustrazio-ne e il senso di impotenza sono logoran-ti. Ma Stefano è ottimista di natura, con-vinto che, prima o poi, la ruota della vi-ta riprenda a girare nel verso giusto. «Inuno dei tanti corsi di formazione che hofrequentato – spiega – mi hanno inse-gnato che non ci si deve concentrare suiproblemi, bensì cercare delle soluzioni.

Si possono trarre insegnamenti da ogni situazione». Eccoperché bisogna avere un approccio positivo, senza mai per-dere le speranze. «I disoccupati ci so-no – continua – ma spesso sono lo-ro a voler rimanere in questa condi-zione. Invece bisogna essere prontia rimboccarsi le maniche e darsi dafare». Quello che Stefano sta cercan-do di fare, pronto a rimettersi in gio-co e a lanciarsi in una nuova attivitànel settore del fotovoltaico.

Non avere mai paura di mettersi in gioco e cercare la-voro ovunque, anche all’estero. Questo è ciò checonsiglia Giorgio, un ragazzo umbro di 28 anni, che

è la prova di come sia possibile reinventarsi in tempi di cri-si.Durante gli anni del liceo nasce l’interes-se per la politica che lo porterà ad iscri-versi alla facoltà di Scienze politiche diPerugia. «Ero affascinato dal mondo del-la pubblica amministrazione – racconta– Tutto quello che volevo era entrare inpolitica, prima nel mio paese, per poi ar-rivare in Regione». Il suo desiderio di essere autonomo dalpunto di vista economico è sempre sta-to forte, anche durante gli anni dell’uni-versità, nei quali Giorgio si è semprerimboccato le maniche per poter averequalche soldo in più. «Ho lavorato infabbrica e come cameriere in un risto-rante. Ho addirittura fatto l’ispettore nelcimitero del mio paese» spiega. Nel 2009 il giovane si laurea. Come tan-ti altri ragazzi, si accorge presto che, an-che con quell’agognato “pezzo di carta”,trovare un lavoro è tutto meno che facile. I tagli si fanno sen-tire anche nel pubblico impiego. «Nel 2011 ho partecipato ad

un concorso per un posto nell’uf-ficio del lavoro in Provincia, manon ho raggiunto un punteggio suf-ficiente per entrare in graduatoria». Dopo altri tentativi falliti, Giorgiocapisce che l’unica soluzione è an-dare all’estero per fare qualcheesperienza lavorativa. «Non avevonessun appoggio ma ho comunque

deciso di partire per Lisbona e tentare la fortuna. Ho iniziatoa lavorare come cameriere in un ristorante. Dopo un po’ ditempo la proprietaria aveva bisogno di un cuoco e ha decisodi puntare su di me». Anche se non ha mai avuto esperienzein questo campo la signora decide comunque di dargli fidu-

cia e lo mette in prova per due settimane.Giorgio impara in fretta e viene assuntopoco dopo con un contratto di sette me-si. Il giovane decide poi di tornare in Um-bria, con il sogno di trovare finalmente unlavoro vicino alla sua famiglia. «Appenaarrivato vengo a sapere che il proprietariodi una falegnameria cercava un aiutanteper la riparazione di finestre. Anche inquesto campo – precisa il ragazzo – nonavevo alcuna esperienza ma ho comunquedeciso di fare un tentativo». Così riesce adimostrare la sua bravura e viene assuntoin questa bottega dove tuttora lavora.Una professione, quella del falegname, dicui Giorgio si è appassionato: «Mi piacemolto – afferma con entusiasmo – perchénon è meccanico, ma molto creativo. Al-l’inizio mi limitavo a “eseguire gli ordini”,

poi il mio datore di lavoro ha iniziato a coinvolgermi nellacreazione dei mobili. Ovviamente è lui l’esperto, però ancheio partecipo ai progetti per la creazione dei mobili e della fin-stre. Molti chiedono librerie su misura e devi cercare di sod-disfare i desideri dei clienti. Col mio datore ho instaurato unbuon rapporto e di questo sono molto felice». Qualche rimpianto? «Col senno del poi sceglierei una facoltàdi tipo scientifico, oppure lingue», conclude Giorgio che con-fida di avere un sogno nel cassetto: trasferirsi in Australia per-ché «l’economia è diventata globale e con questa anche il mer-cato del lavoro».

Il dato sull’occupazione, pubblicato a marzo dall’Istat, ha fo-tografato nella sua gravità la crisi che l’Italia sta affrontan-do. Il tasso di disoccupazione generale ha sfiorato il 10%

mentre gli italiani tra i 15 e i 24 anni senza lavoro sono arriva-ti al 35,9%. Tuttavia se il mercato non è in grado di garantiresbocchi professionali sono sempre di più quelli che tornano aimestieri manuali.Una recente ricerca del Censis ha evidenziato questo fenome-no. Nel 2011 il 36% degli occupati, quasi 8.383.000 lavoratori,è stato occupato in professioni non qualificate. Artigiani, ope-rai, muratori, meccanici sono stati tra i profili più richiesti dalleaziende: su 600.000 assunzioni previste, 264.000 hanno riguar-dato mestieri manuali. La crisi spinge sempre più italiani versoquei lavori che fino a poco tempo fa erano considerati “umili”.Le conseguenze di questa tendenza si avvertono anche in Um-bria: a Foligno, per esempio, il Cumune e la Asl hanno orga-nizzato un corso di formazione per badanti che si è svolto tra il2010 e il 2011. A sorpresa, circa la metà degli iscritti erano ita-liani, soprattutto giovani anche con un titolo di studio. E poi c’èchi si dedica all’agricoltura. Confagricoltura ha realizzato un pro-filo dei suoi nuovi iscritti. Si tratta per lo più di giovani di sessomaschile (per il 70%), con un’età compresa fra i 35 ed i 40 an-ni, colti e preparati (il 70% è laureato) che scelgono le attivitàagricole altamente specializzate come l'agriturismo, le coltiva-zioni biologiche e la trasformazione dei prodotti agricoli.Nonostante sia iniziato un ritorno ai mestieri meno qualificati ri-

mangono ancora ampi margini di disponibilità del mercato. Se-condo la Cgia di Mestre nel Belpaese ci sarebbero 100mila po-sti di lavoro e le aziende faticano a trovare chi voglia ricoprirli.Nei prossimi 10 anni potrebbero scomparire alcuni mestieri ar-tigiani come i borsettieri, i falegnami, gli impagliatori, i mura-tori, i carpentieri, i carrozzieri, i meccanici auto, i riparatori diorologi e di radio e tv. Ma la lista delle categorie a rischio diestinzione è molto più lunga. Inoltre la Cgia ha calcolato le die-ci figure professionali che nel 2011 sono state più difficili dareperire: molto richiesti commessi, camerieri e parrucchieri. Alquarto posto ci sono gli informatici, seguiti da elettricisti, con-tabili, meccanici, fattorini, idraulici e baristi.Il sociologo Renato Fontana, docente di Sociologia del Lavoroall’Università La Sapienza di Roma, ha cercato di chiarire alcu-ni aspetti di questo fenomeno.si assiste al ritorno ai lavori tradizionali. come si spie-ga questa tendenza e che impatto ha sulla società?In generale, si è capito che le attività finanziarie e la specula-zione in borsa non producono ricchezza nel lungo periodo. Diconseguenza c’è stata una rivalutazione della produzione di be-ni e servizi con attività tradizionali. Tuttavia c’è una contraddi-zione di fondo: da una parte la crisi rende necessario il ritornoa lavori manuali, ma quest’esigenza non ha riequilibrato la ge-rarchia delle professioni. La loro considerazione sociale, quin-di, non è cambiata e il ritorno a questo tipo di attività dipendesolo da un esigenza di reddito.

È un fenomeno limitato a questi anni di crisi o è desti-nato a continuare?L’auspicio è che l’economia torni a girare in modo più sano. Co-me scrive il filosofo Serge Latousche nel suo saggio “Per l’ab-bondanza frugale”, la crisi produrrà un ripensamento generaledei fondamenti etici dell’economica. Questo modello socio-eco-nomico capitalistico e consumistico non può reggere alla lunga.Il problema è che ancora non sappiamo ancora come uscirne.chi fa questa di vita è spinto quindi solo da motivi eco-nomici? Sì, perché nonostante la crisi i giovani non hanno rivisto le lo-ro aspettative né le scelte occupazionali di lungo periodo. Mol-ti di loro possono permettersi di stare a casa, in attesa del la-voro per cui hanno studiato, perché hanno una famiglia allespalle. Un lusso reso possibile dal boom economico di cui gli ita-liani hanno beneficiato tra gli anni ’60 e ’80 e di cui le nuove ge-nerazioni possono ancora godere. Rimane poi il problema so-ciale, legato alla frustrazione di non riuscire a realizzarsi nel-l’attuale mercato del lavoro.quali conseguenze ha il paradosso per cui i lavori ma-nuali sono più remunerativi di quelli specialistici?Anche se nel breve periodo i disoccupati accettano di tornarea mestieri poco qualificati, alla lunga sperano di trovare occu-pazioni ben diverse. Il lavoro di testa continua a essere moltopiù appetibile di un lavoro manuale.

«vivere del mio lavoro»

Da aspirante Sherlock Holmes a coltiva-tore di viti. Questa è la storia di Nico-la, un giovane di Bevagna che, messo

davanti alla dura realtà della crisi economica, hadovuto adattarsi e cercare un’occupazione diver-sa dalle sue aspettative. Le moderne economiehanno visto un drastico ridimensionamento delsettore primario, ma in tempi di “magra” anchel’agricoltura può essere un’opportunità. Dopo il diploma decide di iscriversi alla facoltàdi Scienze dell’investigazione di Narni. L’Ate-neo, nato tra il 2006 e il 2007,attrae tanti ragazzi con il so-gno di lavorare nel settore del-la sicurezza. Nicola, affascina-to da questo mondo scegliequesto corso di studi. Ben presto, però, capisce chela situazione non è delle mi-gliori e decide di fare qualchelavoretto per avere qualchesoldo senza pesare sui suoi ge-nitori. Inizia a fare il camerie-re e il cassiere presso un super-mercato. «Per molti mesi –prosegue – durante la settimana stavo al super-mercato, mentre nel weekend stavo dietro albancone di una birreria per guadagnare qualchesoldo in più». In seguito viene a sapere che unafabbrica che produce mattoni cercava dipenden-ti per la stagione estiva e anche in questo casoNicola non si tira indietro: «Stare davanti alle for-naci d’estate era veramente dura, ma pur di lavo-rare si fa questo e altro», ricorda. Dopo la fabbrica entra in contatto con il mon-do dell’agricoltura lavorando a settembre rac-cogliendo le olive per quattro euro all’ora. Mala vera svolta arrriva alla fine del 2011, quandoun amico gli dice che un’azienda agricola di Be-

vagna sta cercando un garzone. La ragazza che si occupava dei rapporti con laclientela era malata e era stata costretta a lascia-re il lavoro. Dopo un breve colloquio hanno de-ciso di prendermi in prova per due settimane.Gli sono piaciuto e ora lavoro con un cotrattoche mi viene rinnovato ogni tre mesi» spiega.Col passare dei mesi, Nicola riesce a conqui-starsi la fiducia del suo datore di lavoro e co-mincia a svolgere diverse mansioni all’internodell’azienda.

Durante la stagione della ven-demmia la sua giornata iniziacon la raccolta dell’uva, cheviene poi portata in cantina.Qua Nicola, insieme ai colle-ghi, produce il vino. Recente-mente si occupa anche del tra-sporto delle casse alle enote-che e ai ristoranti della zona. Un lavoro che, contrariamen-te a quello che si può pensare,è tutto meno che noioso e chedà anche emormi soddisfazio-ni: «La cosa più bella – raccon-

ta Nicola – è vedere le viti crescere grazie alle tuecure e quando assaggi il vino prodotto con le tuestesse mani è come se lo sentissi tuo». Il vino del-l’azienda di Nicola è stato anche premiato da ri-viste specializzate, oltre che dalla guida Slow Fo-od. «Lavorare nel settore del vino mi piace – conclu-de Nicola – e, se mi proponessero un contrattoa tempo indeterminato, non escludo che potreb-be diventare il lavoro della mia vita».

pagina a cUra di

diana benedetti, chiara garzilli,ilaria raffaele e antonio zagarese

lavoro tra sogno e realtàMeglio artigiano oggi chescienziato domani. Questa èla scelta di molti italiani chesi affacciano sul mercatodel lavoro in questo periododi difficoltà economiche.

Sono tanti i giovani e gliadulti che tornano a svolge-re mestieri tradizionali epoco qualificati. La tendenzanel 2011 è confermata dalleultime ricerche del Censis edella Cgia di Mestre

Un falegname a lavoro

strUmenti del mestiere di Un calzolaioUna sarta al lavoro

Antonio Mameli: al primo posto c’è l’indipendenza economica

antonio mameli lavora con il padre

in Una vetreria da qUando aveva 17 anni

Una vita a tutto vinoDopo vari contratti, Nicola ha trovato occupazione nei campi

Una badante assiste Un’anziana.in alto a destra, stefano stramaccia

nicola a lavoro in Un campo di viti

Assunzioni

2011

dirigenti

professioni intellettuali

professioni tecniche

impiegati

professionisti nel commercio

operai specializzati

operai non qualificati

professioni non qualificate

54.000

12.000

36.000

Sino a 29 anni 30 anni e oltreFonte:

Unioncamere, Ministero del Lavoro

Page 7: Speciale trasfusioni infette

8 CULTURA MAGGIo 2012

Quattro ColonneSGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori

per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente:Innocenzo Cruciani

Coordinatori didattici:Nunzio BassiDario Biocca

Numero 5 – Anno XXIDirettore responsabile:

Antonio SocciRedazione degli allievi della Scuola

a cura di Sandro PetrolliniRegistrazione al Tribunale di Perugia

N. 7/93 del marzo 1993.

Segreteria: Villa Bonucci06077 Ponte Felcino (PG)

Tel. 075/5911211Fax. 075/5911232

e-mail: [email protected]://www.sgrtv.it

Spedizione in a.p. art.2 comma 20/clegge 662/96 Filiale di Perugia

Stampa: Graphic Masters - Perugia

Al lavoro, per strada, al bar con amici. Una gal-leria di uomini che si sono distinti sul territo-

rio e che ora sono immortalati nelle fotografie diAdriano Scognamillo, in mostra al Cerp (Centroespositivo rocca Paolina) di Perugia fino al 20maggio. «Nei miei scatti ho catturato i volti di uo-mini di cultura, potere e talento della nostra regio-ne. ognuno colto in un momento della propriaquotidianità, a casa con la famiglia o in ufficio congli strumenti di lavoro», racconta il fotografo. Im-magini in bianco e nero che sono diventate un li-bro, «Perugia, Uomini tra due secoli… ritratti»,edito da Volumnia editrice in collaborazione con laonlus Avoncol (Associazione volontariato oncolo-gico) e la Banca Popolare di Spoleto. «Il progetto– continua Scognamillo – è un viaggio trasversa-

le fra cultura, politica, amministrazione e arte. Nonsi parla più di ruoli e incarichi: quando si è davan-ti all’obiettivo quello che conta è la personalità».tante le persone ritratte, dal sindaco di PerugiaWladimiro Boccali al presidente della ProvinciaMarco Vinicio Guasticchi, fino a personalità delmondo artistico, come l’attore Filippo timi, o del-l’imprenditoria locale, come lo staff della storicapasticceria Sandri nel capoluogo umbro. Il libro suivolti maschili arriva un anno dopo la pubblicazio-ne del volume «Perugia, ritratti di donne», ana-logo lavoro sulle figure femminili protagoniste del-la storia della città. La differenza principale fra ledue opere? Scognamillo la spiega con un sorriso:«Le donne sono state inizialmente più restie, mapoi hanno partecipato attivamente al progetto,con impegno e precisione; gli uomini hanno accet-tato subito con entusiasmo, ma poi è stato più dif-ficile organizzarsi per realizzare le fotografie». orail libro c’è ed è una galleria di sguardi sorridentio compìti, volti di uomini di generazioni e profes-sioni diverse, che hanno arricchito la vita cultu-rale e istituzionale di Perugia.

L’Italia, si sa, è famosa nelmondo per le sue preliba-tezze. Ma la cucina è un’arte o

un mestiere che si impara con la pratica?Nel comune di Perugia sono nati dei veri e pro-pri centri di alta formazione che si distinguonodai tradizionali istituti alberghieri. La loro esi-stenza conferma la vocazione dell’Umbria perl’enogastronomia. A pochi chilometri da Peru-gia si trova il Cerb, l’unico centro di eccellenzasul territorio nazionale per la ricerca sulla birra,che presto compirà dieci anni (fu istituito uffi-cialmente il 30 aprile 2003). Se ogni italiano be-ve in media 45 litri di vino in un anno, anche conla birra non scherza: sono 30 i litri pro capite del-la bevanda al luppolo consumati annualmente(erano 20 a metà degli anni novanta).

Un aumento che ha reso indispensabile un’at-tività di ricerca e monitoraggio su prodotti cosìamati. Ecco allora corsi di laurea in enologia, ci-cli di lezioni dedicati alla birra, e persino dotto-rati di ricerca sulle bionde analcoliche. «Il Cerb– spiega Giuseppe Perretti, responsabile scienti-fico e ricercatore dell’Ateneo perugino – è natoper offrire ai produttori italiani di birra un ser-

vizio di ricerca su tecniche di produ-zione, materie prime e nuovi pro-dotti». I laboratori si trovano a Casa-lina di Deruta, e collaborano con laFacoltà di Agraria del capoluogo.Qui si formano laureandi, dottoran-di e svolgono la loro attività ricerca-tori e personale tecnico-amministra-tivo. ogni giorno controllano la qua-lità delle birre prodotte in Italia, ar-tigianali e di larga distribuzione.

Il gusto però non è solo una que-stione di chimica. Per apprezzare i

sapori e le qualità di cibo e be-vande è necessaria anche l’espe-rienza. L’Ais (Associazione ita-liana sommelier) e l’Universitàdei Sapori di Perugia lavoranoper affinare capacità e cono-

scenze. «Ci vuole preparazionetecnica per apprezzare la qualità

del vino, ma si deve anche assaggiaree imparare a conoscere le bevande». A ricordar-lo è Lucia Cruccolini, sommelier professionistadal 2004 e responsabile oggi della delegazione diPerugia. L’Ais svolge corsi di degustazione, al ter-mine dei quali si consegue un esame per diven-tare sommelier professionista.

«Da noi – commenta Cruccolini – vengononon solo ristoratori e camerie-ri, ma anche giornalisti di eno-gastronomia, architetti e avvo-cati: è la passione che ci uni-sce». Per fare il sommelier nonbasta però l’amore per il vino:è necessario anche tanto eser-cizio, in modo da mantenersisempre in allenamento. «Percapire se un sangiovese è buo-no, ne devo conoscere almenosettanta varietà e bisogna an-che imparare ad abbinare il vi-no alla pietanza giusta per esal-

tare i sapori», conclude la sommelier umbra. Per essere perfetti nella ristorazione è necessa-

rio anche sapere presentare le pietanze e acco-gliere i clienti. L’Università dei Sapori di Peru-gia ha più di dieci anni di esperienza in questosettore. Marilena Liccardo, responsabile dellaformazione, ricorda come è nata l’idea di que-sto centro: «Inizialmente serviva un ente per in-segnare agli addetti del settore come rivolgersi alcliente in una realtà dove il commercio al detta-glio e le conoscenze tradizionali stavano scom-parendo. Esistono dei metodi per disporre lamerce sul bancone e renderla più attraente. Poiabbiamo introdotto corsi più specifici per la ri-storazione». L’Università è una società consorti-le con la Confcommercio della Provincia di Pe-rugia come socio di maggioranza. Ne fanno par-te anche la Regione Umbria, le Province di Pe-rugia e Terni ed il Comune perugino.

Corsi a pagamento si alternano a quelli finan-ziati dagli enti pubblici. Qui si impara a cucinarepizza, dolci, gelato a livello professionale e a ge-stire economicamente una propria attività con le-zioni di marketing. I corsi teorici e pratici preve-dono un esame finale e rilasciano una qualifica.ogni anno passano di qui più di duemila studen-ti, dai giovani che, non avendo più voglia o pos-sibilità di studiare, imparano un mestiere, ai risto-ratori che vogliono arricchire la loro attività.

Non solo istituti alberghieri, ma anche alta formazione: corsi di enologia e sommelier, ricerca sulla birra e marchi di qualità

a scuola di gusto, la cucina si impara

Ricette e tradizioni gastronomiche si tra-mandano di generazione in generazione.Sono consuetudini familiari, ma non so-

lo: fondamentale è l’amore per la cucina e per ilmangiar bene. Luca, figlio del famoso chef Gian-franco Vissani, ha ereditato la passioneper la ristorazione dal padre: «Vedevogiorno dopo giorno i sacrifici che faceva

ma anche igrandi risul-tati che lohanno por-tato fin qui».

Ma comesi diventagrandi chef?Vissani se-

nior non ha dubbi: «Sicuramente grazie all'umil-tà, che permette di non dimenticarsi le proprieorigini. Poi è il concetto emozionale che rendeinarrivabile ogni individuo. L'identità e la perso-nalità in ogni piatto devono essere ben espressein modo da far riconoscere il proprio tocco inogni dove, emozionando anche in terra stranie-ra». Ripensando agli anni della gavetta, quando halavorato nei grandi ristoranti tra Venezia, Firen-ze e Napoli, ricorda: «La sera bisognava fare gliimpacchi alle mani prima di andare a letto. La cu-cina è anche questo, forse noi oggi siamo abitua-ti a vedere i cuochi solamente in tv dove lo stress

e la tensione nonché i fumi e il calore sono impa-ragonabili, ma credetemi la cucina è tutt'altro.Quando pensavi di aver terminato la battaglia ar-rivava un altro squadrone. Comunque dopo averfatto 45 anni di gavetta, posso dire che sono sta-

te esperienze indispensabili». oggi più che in pas-sato la buona cucina si impara negli istituti alber-ghieri e nelle aule degli atenei. Gianfranco Vis-sani si dice contento «di aver portato insieme aimiei colleghi le cucine fuori dai sotterranei, ma aigiovani dobbiamo sempre e pesantemente tra-smettere che per ritornarci non è mai troppo tar-di. Per mantenere il posto ottenuto bisogna lavo-rare con passione e sacrificio, altrimenti è megliocambiare mestiere sin da subito».

Chi il mestiere l’ha inseguito con forza e de-terminazione è Youssef Larmache, 33 anni, ori-ginario di Safi in Marocco. Una passione per la

cucina nata come un gioco, da ragazzino, per stu-pire gli amici in vacanza, e poi trasformatasi inuna continua scoperta alla ricerca di sapori, tec-niche e tradizioni gastronomiche. «La cucina nonè solo un piacere sensoriale – spiega – ma rac-

chiude la cultura di un popolo, lasua storia e le sue origini. La tradi-zione italiana, per esempio, è figliadella povertà: per questo si ottieneil massimo con pochi ingredienti,realizzando tantissimi piatti. Bastipensare alla farina: con un unicoprodotto si fanno pasta, pizza, dol-ci. Una varietà ricchissima».

Youssef ha studiato dieci anniper diventare cuoco, prima in Ma-rocco e poi in Francia. In Italia è

arrivato nel 2008, frequentando subito due cor-si di cucina a Perugia e a Roma. Un percorso du-ro e impegnativo, uno studio sempre affiancatodal lavoro pratico tra i fornelli, «perché non ba-sta saper cucinare un piatto, bisogna capire i tem-pi di un ristorante, riuscire a gestire velocemen-te e senza intoppi ordinazioni diverse». ora la-vora in un locale del centro perugino, ma per ilfuturo sogna di aprire una fattoria fuori città: unlocale tutto suo dove continuare a creare e spe-rimentare.

gavetta e creatività: così si diventa grandi cheftraguardi raggiunti e sogni da realizzare. I successi di Gianfranco Vissani e le aspirazioni di chi deve ancora affermarsi

ho fatto 45 anni di

gavetta nellecucine

Due secoli di uomini e voltinegli scatti di scognamillo

YousseF LarMaChegianFranCo vissani

gLi stuDenti DeLL’università Dei sapori aLL’opera

pagina a Cura DiCLauDia Bruno e eLisaBetta terigi

L’Università dei Sapori di Perugia da oltre dieci anni prepara duemila studenti l’anno, pronti a diventare cuochi, gelatieri e pasticcieri

LuCia CruCCoLini, ais perugia

aDriano sCognaMiLLo Mostra iL suo LiBro FotograFiCo

Page 8: Speciale trasfusioni infette

CULTURA 9MAGGIo 2012

La Capitale Europea della Cultura è unprogetto dell’Unione Europea natonel 1985 su proposta dell’attrice

Melina Mercouri, con l’obiettivo di avvicina-re i popolo europei. Da allora 32 città hannoricevuto questo riconoscimento, ma la com-petizione è molta. I luoghi che si candidano,infatti, devono presentare un programma cheviene valutato dalla Commissione europea.Chi vince avrà la possibilità per un anno dimanifestare la sua vita e il suo sviluppo cultu-rale. Nel 2019 sarà la volta di Italia e Bulgaria.Queste le tappe che hanno caratterizzato eche aspettano Perugia e Assisi.2008: Assisi si candida a Capitale Europeadella Cultura per il 2019.2010:Perugia decide di unire il suo nome e ledue città lanciano una candidatura condivisa“Perugia-Assisicon l’Umbria”.2011: Viene presentato il logoufficiale della candidatura2012: Nascita della Fondazione“Perugiassisi2019”.2013-2014: Presentazione delle candidature alGoverno italiano e selezione finale.

2015: Nomina della città vincitrice.

L’idea di partecipare alla corsa per diventa-re Capitale Europea della Cultura è arri-

vata nel 2008, alla passata amministrazionecittadina guidata, ora come all’epoca, dal sin-daco Claudio Ricci.La città di San Francesco è stata seguita poi daPerugia e da tutta la Regione, potendo cosìcontare su più attori e quindi avere una candi-datura più forte. oltre ai restauri dopo il sismadel 1997 e le numerose infrastrutture, Assisigode della presenza dei luoghi francescani,dichiarati “Patrimonio mondiale dall’Unesco”,ai quali si aggiungono gli ottomila metri qua-drati di affreschi di Giotto. In più, in Umbria,Assisi è la città che attira più turisti ed è forseanche la più conosciuta al mondo.Per il primo cittadino si tratta «di una grandeidea ma ai risultati si giunge solo quando sonocondivisi e a ciò vanno aggiunti l’unione diintenti e una buona comunicazione. Bisognaintendere il progetto per la candidatura comefondazione di una nuova città costituita dallarete delle città e non ci si deve limitare al rag-giungimento dell’obiettivo candidatura maandare oltre, rendendolo uno strumento alservizio della nostra regione per progetti stra-tegici e di rete». Il 2012 sarà un anno fonda-mentale perché si dovrà preparare il dossier dicandidatura che sarà, secondo Ricci, « un ele-mento di indirizzo» dei due Comuni nellacostruzione delle loro politiche di sviluppo,basato soprattutto sulle innovazioni tecnolo-giche.

Due città per promuovere un intero terri-torio. Questo lo scopo della doppia can-

didatura, lanciata in prima battuta da Assisi eseguita, subito dopo, da quella di Perugia,come spiega il sindaco del capoluogo umbroWladimiro Boccali.Ad Assisi si è aggiunta Perugia, come mai

questa scelta?

Abbiamo deciso di candidarci anche noi per-ché è importante, con questa sfida, rilanciaretutta la zona più che una singola città. Assisi è un luogo prestigioso per tantissimimotivi, ma abbiamo ritenuto giusto affiancareanche Perugia che è il capoluogo della regione.La candidatura è arrivata poco dopo quella diAssisi perché ho iniziato il mandato nel 2009.Il 2019 sembra lontano, ma per gli addetti

ai lavori è dietro l’angolo...

Infatti la data finale dà l’idea di un lasso ditempo lunghissimo, in realtà se guardiamo laroad map da seguire la scadenza è vicinissima.Entro 18 mesi dalla candidatura il dossier suiprogetti deve essere pronto. Su cosa punta Perugia per avere il titolo?

Sulle infrastrutture: dall’aeroporto, al collega-mento con l’alta velocità fino alla riqualifica-zione dell’asse Perugia-Assisi, oltre a dei luo-ghi caratteristici della città come il mercato el’ex carcere. I costi sono alti, ma l’obiettivo èquello di incrementare i flussi turistici inmaniera permanente, incentivare le esporta-zioni dei prodotti locali e aumentare l’attratti-vità della nostra Università.

Per supportare la candidatura la Regione e iComuni di Perugia e Assisi hanno dato vi-

ta ad una Fondazione, presieduta da BrunoBracalente.Qual è il programma che vi aspetta?

Concentreremo le nostre forze su un program-ma artistico-culturale innovativo con una pro-iezione europea, coinvolgendo anche le asso-ciazioni che operano sul territorio. Inoltre bisogna anche ripensare le città e quin-di la riqualificazione urbana.Quanto costa la candidatura?

Altre città in corsa per diventare Capitale dellaCultura, come Matera, prevedono di spenderequasi 2 milioni di euro per il costo della candi-datura del progetto. Più o meno sono queste lecifre. Per la rigenerazione urbana invece occor-reranno tra i 50 e i 100 milioni, almeno questisono gli investimenti fatti in passato dalle cittàche hanno vinto.Tra le città candidate, quale potrebbe esse-

re la concorrente più temibile?

Tempo fa quella che mi preoccupava di più eraL’Aquila perché si poteva innescare un mecca-nismo per ricompensare una ricostruzione chestenta a ripartire. Ma c’è anche la possibilità chesi inventino un nuovo modello, come quellodelle “smart cities”. Poi c’è Matera che, insiemealle altre città del sud Italia, ha un vantaggio ditipo geopolitico.Cosa significherebbe la vittoria?

Sarebbe un’occasione per ricostruire e rilancia-re l’immagine della città e dell’intera regione.

La candidatura di Perugia-Assisi coinvolgetutta l’Umbria. La presidente Catiuscia Ma-

rini sta spingendo fortemente perché si arrivi adun esito positivo.Qual è il ruolo della Regione in questa can-

didatura?

La Regione è parte integrante e sostanziale del-progetto. Insieme alla “Fondazione Perugiassi-si2019” stiamo cercando di svolgere, per ora, so-prattutto un ruolo di promozione del territorio.Su quali progetti state lavorando per diven-

tare Capitale Europea della Cultura?

Bisogna puntare sull’identità storico-culturalema anche su progetti che possano proiettarciverso il futuro. Abbiamo un patrimonio artisti-co al quale affianchiamo una cultura dinamicacome quella dei numerosi festival che dobbiamovalorizzare.Quali costi si dovranno sostenere?

Per ora non ci sono cifre precise. Dobbiamo farfronte a due programmi: il primo è finalizzato alprogetto e le risorse dovremo trovarle noi. L’al-tro aspetto é quello delle infrastrutture da co-struire e cercheremo di utilizzare i fondi struttu-rali europei.Un punto di forza e uno di debolezza?

Sicuramente la forza sta nell’identità storica del-le due città e nelle dinamiche culturali. Penso alTeatro Stabile, all’Umbria Jazz o al Festival In-ternazionale del Giornalismo. Dobbiamo rafforzare però le infrastrutture del-la regione così da poter attrarre quanta più gen-te possibile.

Dieci città, dieci luoghi, dieci parti d’Italia. ognuna con le sue caratteristiche, le sue bellezze e, a volte, anche le sue debolezze. Veneziacon il Nordest, Brindisi, L’Aquila, Matera, Palermo, Perugiassisi, Ravenna, Siena, Terni e Torino e provincia. Per tutti questi posti l’obiet-tivo è diventare Capitale Europea della Cultura nel 2019. ogni candidato privilegia ovviamente i suoi punti di forza, dalle bellezze archi-

tettoniche a quelle naturalistiche, passando per i prodotti tipici e i centri d’eccellenza. Ma non deve essere solo un “concorso di bellezza”. PerBruno Bracalente, presidente della Fondazione “Perugiassisi2019” «vince la città che ha più problemi ma riesce a risolverli». Come accadde perLiverpool, capitale Europea della Cultura nel 2008. Ex polo industriale dell’impero britannico diventato sinonimo di declino e difficoltà, grazie

alla vittoria del titolo ha completamente rinnovato la sua immagine, diventando la terza cit-tà più visitata del Regno Unito. «Partire da ciò che si ha, rinnovandolo e rinfrescandolo».È questa la ricetta che Neil Peterson, consulente di Liverpool 2008, dà a tutti i luoghi ita-liani in lista per il 2019. Basta curiosare tra le proposte lanciate da quelle città che si sono già dotate di un sito inter-net dedicato alla candidatura per notare che si fa sul serio. Venezia e dintorni puntano sui lo-ro tesori: dalla Biennale, all’Arena di Verona, dai tesori palladiani alla Cappella degli Scrove-gni. Matera lancia nel futuro i suoi Sassi, patrimonio dell’umanità e simbolo di un passato davalorizzare. E infine Siena, che oltre a promuovere i suoi tesori artistici culturali, vuole di-ventare un punto di riferimento per le sfide del futuro.

Le tappe

CatiusCia Marini, presiDente regione uMBria CLauDio riCCi, sinDaCo Di assisi

Bruno BraCaLente, FonDazione perugiassisi 2019 WLaDiMiro BoCCaLi, sinDaCo Di perugia

Da venezia a palermo la concorrenza non manca

un’iMMagine DeLLa “nuova” LiverpooL tra antiCo e MoDernopagina a Cura Di

aLBerto gioFFreDa e giuLia sereneLLi

Perugia e Assisi sono in corsa per diventare Capitale Europea della Cultura. Un progetto che coinvolge tutta le regione

Così ci prepariamo alla sfida del 2019Dalla presidente Catiuscia Marini ai sindaci delle due città: «Infrastrutture e patrimonio artistico: questa la road map per la vittoria»

Page 9: Speciale trasfusioni infette

10 SPORT MAGGIO 2012

«Adesso sto bene con me stesso e lo

devo soprattutto a quello che pren-

do. No, non me ne vergogno, an-

zi…». A parlare è un giovane di 27 anni, lo chia-

meremo Luca. Di origini meridionali, vive a Pe-

rugia da quando era piccolo. «Da tre anni», rac-

conta, «Integro la mia alimentazione con integra-

tori che compro su internet, conviene e poi al-

cuni in Italia non sono commerciabili».

«Durante l’adolescenza ero grasso, il tipico cic-

cione che fa simpatia. Però le ragazze non mi

consideravano minimamente e gli altri ragazzi mi

prendevano in giro per il mio aspetto fisico». Un

passato non facile che lo ha cambiato: «Quan-

do nel 2008 ho iniziato a fare palestra per dare

una svolta alla mia vita, farcela mi sembrava im-

possibile. Perdevo poco peso e con una tale fa-

tica che ero tentato di smettere. Poi mi hanno

suggerito l’uso

di integratori e

da lì è stato un

attimo». Prima

quelli ‘regolari’,

che si trovano in

farmacia o nei

negozi specializ-

zati, poi però Luca ha iniziato a scoprire altro:

«Ad esempio il Dhea, la cui vendita in Italia non

è legale ma senza il quale oggi non potrei fare pa-

lestra. Online costa poco, e poi non faccio sport

agonistico, quindi non si può parlare di doping».

Il Dhea è una delle tante sostanze che in Ita-

lia non sono commerciabili. In tanti però com-

prano questi prodotti su internet, facendoli ar-

rivare soprattutto dall’America. La crisi non ha

fermato il boom degli integratori: nel 2011 le

vendite sono aumentate addirittura dell’8,9%.

Un italiano su tre ne fa uso, dati che bastano per

capire la portata del fenomeno.

Giorgio, istruttore di una palestra alle porte del

capoluogo umbro, non ha dubbi: «Chi viene per

farsi il fisico quasi sempre prende gli integrato-

ri. Ma non tutti sono legali nel nostro paese, e so-

prattutto non bisogna esagerare con le quantità».

Quasi sempre infatti gli integratori vengono

presi senza indicazione del medico. Eppure bi-

sogna fare attenzione. Il Ministero ha recente-

mente invitato a non abusarne, ricordando che

«non hanno e non possono avere alcuna finalità

di cura», specificando che non è obbligatorio ma

consigliabile «sempre il controllo e l’intervento

del medico», specialmente quando ad assumerli

sono i minorenni. «Mettiamo in chiaro una co-

sa, non vendiamo robaccia, qui è tutto legale»,

sottolinea Marco Lucacci, campione della nazio-

nale italiana di body building e proprietario di un

negozio che vende integratori a Perugia. I pro-

dotti sono tutti a base di latte e albumi. I nostri

clienti hanno per lo più tra i 35 e i 45 anni, ma

vengono da noi per-

sone di tutte le età:

dai 15enni ai 75en-

ni». Insomma, un

mercato vario e so-

prattutto, come con-

ferma Lucacci, in

ascesa nonostante la

crisi: «Quando ab-

biamo aperto l’attivi-

tà, qualche anno fa, la gente vedeva i barattoli in

vetrina ed entrava a chiedere se vendevamo stuc-

co o vernice… Ora i clienti sono aumentati e si

fanno anche una cultura sull’argomento».

gIorgIo matteolIe gIanluca ruggIrello

Sono circa 23milioni gli italiani che prati-

cano sport almeno una volta a settimana.

Quasi tutti per farlo, come prevede una

legge del 1982, si saranno procurati un certifi-

cato di sana e robusta costituzione. Infatti, nel

nostro Paese per svolgere un’attività sportiva,

che sia vera e propria o anche solo la frequen-

za di una palestra, si richiede la visita dal me-

dico di famiglia, per gli adulti, o dal pediatra per

i bambini. Questo perché la comune credenza

che lo sport faccia sempre bene, non è del tut-

to esatta.

«Uno screening di prevenzione – spiega Bru-

no Stafisso, responsabile del Servizio di Medici-

na dello Sport della USL n. 2 di Perugia – per gli

amatori non è obbligatorio, ma è buona norma

sottoporsi a una visita, in cui si faccia una valu-

tazione generica e un’anamnesi delle patologie

già presenti in famiglia, prima di iniziare ad alle-

narsi». Nessuno obbliga chi decide di andare a

correre al parco o chi macina chilometri in bi-

cicletta a farsi controllare da uno specialista, sta

dunque al singolo discutere con il proprio me-

dico l'opportunità e le modalità dell'attività scel-

ta. «Se una persona è sana – aggiunge Stafisso

– e non ha particolari fattori di rischio, può sce-

gliere di praticare qualsiasi sport, ma se, per

esempio, ha anche solo una leggera ipertensio-

ne, di certo non gli consiglierò il sollevamento

pesi, che prevede un sovraccarico di pressione,

mentre potrebbe fargli bene praticare con mo-

derazione podismo o ciclismo».

Per chi invece intraprende attività di tipo ago-

nistico è obbligatorio farsi visitare da un medi-

co dello sport, che controlli con esami appositi

le condizioni del cuore ma anche dell’apparato

scheletrico e di quello respiratorio. Visite spes-

so fondamentali per scoprire disturbi che non si

sono ancora palesati. Emerge così che, secondo

un recente studio condotto in Italia su migliaia

di praticanti, uno su cento non ottiene l'idonei-

tà alla pratica sportiva. L’organo più sensibile è

il cuore, ed infatti 7 volte su 10 sono proprio i

problemi cardiaci a impedire il rilascio di un cer-

tificato. Dunque, se è vero che fanno paura ca-

si come quello di Piermario Morosini, il calcia-

tore morto in campo a febbraio, e Alexander

Dale Oen, il norvegese campione del mondo di

nuoto stroncato da un attacco cardiaco duran-

te un allenamento, è anche vero che: «Lo scree-

ning preventivo anche per i praticanti amatoria-

li – aggiunge Stafisso – permette spesso di in-

dividuare condizioni patologiche potenzialmen-

te pericolose prima che sia troppo tardi. Da

quando non esistono più le visite scolastiche e

i controlli per il servizio militare, c’è rimasta so-

lo la medicina sportiva, che oltretutto per gli un-

der18 è gratuita».

L'Italia presta molta attenzione alla prevenzio-

ne, in altri paesi come la Gran Bretagna e gli Usa,

ci si accontenta della visita generica e della storia

clinica del paziente, ritenendo che sia troppo co-

stoso, e poco efficace, sottoporre tutti gli atleti al-

l’elettrocardiogramma. «Le società sportive, però,

sono distratte – precisa il medico dello sport – e

si rivolgono alle Asl solo prima di iniziare le at-

tività tra settembre e novembre, mentre i con-

trolli dovrebbero essere costanti, perché spesso

quelli di inizio anno non bastano».

Dunque, non solo visite mediche, è necessario

riuscire a riconoscere per tempo i segnali di al-

larme, specialmente per gli sportivi occasionali.

«Sono diversi gli indizi a cui fare attenzione –

continua il medico – dal dolore al torace o al

braccio sinistro, dagli svenimenti ai giramenti di

testa, passando per l’annebbiamento della vista

o per un eccessivo affanno che persiste anche se

si interrompe lo sforzo».

Infine c’è sempre una parte di imprevisti che bi-

sogna saper affrontare, per intervenire al più pre-

sto in caso di emergenza e superare la fase criti-

ca, salvando la vita dello sportivo. «Le attrezzatu-

re come i defibrillatori sono spesso mancanti –

spiega infine Stafisso – soprattutto per quanto ri-

guarda le piccole società sportive o le palestre,

poiché andrebbero comprate con fondi propri.

Ma anche avendole a disposizione è necessario

che il personale della struttura sappia utilizzar-

le. Per questo, assieme alla provincia di Perugia,

abbiamo organizzato un corso aperto a tutti per

l’utilizzo dei defibrillatori». Intervenire in tempo

è indispensabile ma gli ultimi episodi sui campi

sportivi dimostrano che prevenire sarebbe sicu-

ramente più efficace.

eleonora mastromarIno

ero grasso

e le ragazze non

mi prestavano

attenzione

tre segnali che losportivo non può

trascurare

Episodi di svenimentodurante l’attività fisica

Vertigini e capogiroquando si è sotto sforzo

Palpitazioni durantel’attività fisica e dolorial petto sia sotto sforzosia a riposo

Il problemain numeri

In Italia ogni anno si verificano 4-5 casidi morte improvvisa ogni 100 mila giova-ni sotto i 35 anni.

Il 95% dei casidi morte improvvisa

è legato al cuore

Il rischio è 5 voltemaggiore negli uominiche nelle donne

le malattiedei cuori sportivi

1 – cardiopatia Ipertrofica: presup-pone una predisposizione genetica e sisviluppa nel corso di molti anni senza da-re segni di sè, fino a provocare disturbicardiaci, ostacolando i flussi del sanguenel cuore.

2 – dispasia aritmogena: condizionein cui il tessuto del muscolo cardiaco a li-vello del ventricolo destro viene progres-sivamente sostituito da un tessuto gras-so-fibroso.

3 – miocardite: infiammazione del mu-scolo cardiaco dovuta a un’infezione.

4 – anomalie congenite delle coro-narie: in questo caso l‘alterazione delflusso del sangue dipende dalle malfor-mazioni.

5 – sindrome di marfan: condizioneereditaria tipica di soggetti molto alti, ca-ratterizzata da anomalie delle valvole car-diache.

Fonte: American Heart Associatione American Academy of Pediatrics

g.r.

Integratori, sì ma senza esagerareLuca: «Compro online quelli illeciti in Italia». Marco: «Nonostante la crisi ne vendo sempre di più»

I miei

prodotti

sono tutti

a base di latte

e albume

l’elettrocardIogramma è l’esame pIù effIcace per rIlevare problemI dI cuore prIma che sI manIfestIno

In aumento Il consumo deglI IntegratorI alImentarI

I rischi dello sport occasionaleAnche per gli sportivi amatoriali sono necessari controlli preventivi dal medico e attenzione ai segnali d’allarme

Non solo professionisti, il pericolo di incidenti e malori per attività non adatte riguarda anche gli atleti della domenica

Page 10: Speciale trasfusioni infette

SPORT 11MAGGIo 2012

ogni maledetta domenica. Nessun titolosarebbe più appropriato per descrivere le

follie del calcio dilettantistico umbro. ogni ma-ledetta domenica, nei campi polverosi di pro-vincia, ci sono arbitri che sfidano l’ira di “tifo-si” inferociti e calciatori che perdono la testa.

La stagione 2011/2012 era cominciata subi-to male. A inizio anno la Federazione aveva in-serito nel regolamen-to il “terzo tempo”,pratica mutuata dalrugby. A fine partita igiocatori delle duesquadre si schieranoin fila e stringono lamano agli avversari.La cultura calcistica,però, è differente daquella del mondodella palla ovale. Co-sì il 10 ottobre, inuna gara del campionato giovanile juniores,succede l’irreparabile. A Nocera Umbra lasquadra locale ha appena battuto il Bastia per2 a 0. Tutti in fila per il terzo tempo ma il nu-mero dieci degli ospiti perde la testa: stende unavversario e lo colpisce ripetutamente al volto.Il malcapitato rimane a terra sanguinante e siaccende una rissa che coinvolge una dozzina dicalciatori e uno spettatore che aveva scavalcatola recinzione del campo. Il giovane calciatoredel Bastia viene squalificato fino alla fine delcampionato.

La trance agonistica non colpisce solo i gio-catori. Il 29 gennaio i tifosi del Morano, squa-dra di una frazionedel Comune di Gual-do Tadino che militain seconda categoria,si raggruppano al-l’uscita dello spoglia-toio dell’arbitro. Lapresenza dei carabi-nieri evita il peggio el’arbitro rientra nellasua Foligno pensan-do di averla scampa-ta. Alcune ore dopo,però, fa una bruttascoperta: tre pneumatici della sua auto sonostati squarciati e sul parabrezza c’è un bigliet-to: «Hai sbagliato». Il giudice sportivo sanzionail Morano con una pesante multa, poi è costret-to a ridurla perché, in effetti, nessuno può pro-vare che siano stati i tifosi della squadra gualde-se a seguire l’arbitro fino a Foligno e compierel’atto vandalico. Considerato il messaggio sulparabrezza, però, i dubbi rimangono. E che di-re della ventina di supporters del San Venanzo(campionato di Eccellenza) che il 21 aprilescorso, al termine della partita con il Cannara,hanno assaltato la macchina della terna arbitra-le colpendola con calci e pugni?

E poi c’è il giocatore del Pietrafitta che colpi-sce l’arbitro con un colpo di kung fu, quellodello Sporting Pila che picchia il guardalinee el’atleta del Superga48 che calcia una violentapallonata allo stomaco dell’arbitro. Nei refertii fischietti riportano spesso pesanti frasi di mi-naccia. La dimostrazione che la voglia di diver-tirsi resta a casa e sul rettangolo di gioco entrasolo un inspiegabile rabbia.

r.M.

Domeniche di ordinaria folliaDelio Rossi che perde le

staffe in panchina eaggredisce il suo attac-

cante Adem Ljajic. I giocatori diLazio e Udinese che scatenanouna rissa furibonda per un gol(ininfluente) subito a causa diun fischio arbitrale che in realtàera arrivato dalla tribuna. E poil’episodio, gravissimo, di Geno-va. Gli ultras che diventano pa-droni dello stadio Marassi, so-spendono la partita e costringo-no i giocatori di casa a togliersila divisa di gioco: «Non siete de-gni di indossarla» minacciano i“tifosi”.

Un episodio che ha richiama-to alla memoria degli appassio-nati quanto successo allo stadioolimpico il 21 marzo 2004. Treultras della Roma entrano nelterreno di gioco e costringonogiocatori e arbitro a sospendereil derby con la Lazio. Il tutto acausa della notizia, falsa, della morte di un ragaz-zino investito da una camionetta della poliziafuori dallo stadio. Dopo ogni episodio di que-sto genere la frase più gettonata è sempre la stes-sa: «Mai più». Invece il calcio italiano non è an-cora riuscito a liberarsi da questa spirale di vio-lenza che contagia tutti: giocatori, tifosi e ades-

so anche allenato-ri. C’è una spiega-zione per tuttoquesto? RobertoSegatori, docentedi sociologia al-l’Università di Pe-rugia, critica in-nanzitutto gli ec-

cessivi introiti economici: «Questo sport – dice– è stato appaltato alle televisioni. Tutto è rego-lato dai soldi e i contratti sono sempre più a bre-ve termine». Un contesto in cui stress e nervo-sismo si accumulano quotidianamente, fino al

gesto estremo. Nelle ultime giornate di campio-nato tutto questo è amplificato: «Si pensi alla dif-ferenza di fatturati tra serie A e serie B – aggiun-ge Segatori –, la retrocessione è vista come il ma-le assoluto».

Poi c’è il problema della violenza delle curveorganizzate. «La tifoseria – sostiene Segatori – dasempre scarica sugli spalti le tensioni sociali e inquesto momento di crisi le tensioni sono al mas-simo». E allora vengono in mente le immagini diPescara di pochi giorni fa, quando il tifo organiz-zato si lega ai fatti di cronaca nera. Migliaia di ul-tras che gridano il loro odio verso la comunitàRom: vorrebbero organizzare una spedizionepunitiva contro gli assassini di Domenico Rigan-te, tifoso di 24 anni ucciso con un colpo di pisto-la in un agguato che aveva come obiettivo il ge-mello. Scavando un po’ si scopre una faida tra ul-tras pescaresi e rom che dura da tempo.

Sport come la pallavolo e il basket spesso so-no immuni da fatti di violenza così gravi. È so-

lo perché girano menosoldi? Salvo Russo è psico-logo specializzato in psi-cologia sportiva, vive e la-vora a Siracusa. «Innanzi-tutto il calcio è lo sport diopposizione per eccellen-za – spiega – i contatti so-no molto frequenti e spes-so violenti. In secondoluogo è uno sport trasver-sale dove si trovano, nellastessa squadra, i figli dipersone benestanti e quel-li delle classi meno agiate».Tutti elementi che aumen-tano il rischio di frizioni.Poi, ovviamente, c’è lapersonalità dell’atleta. «Ilcalcio impegna corpo emente – dice Russo – ed èfacile perdere l’autocon-trollo». Questo spieghe-rebbe anche i molti episo-di violenti nei campionati

dilettantistici, dove gli interessi economici sonomeno influenti. Secondo Salvo Russo non è ve-ro che i dilettanti che perdono il controllo sulcampo di gioco sono“persone perfettamen-te normali”. «Se si sca-va in profondità – dice– spesso si scopronodisturbi della persona-lità e piccoli preceden-ti per rissa o uso di so-stanze stupefacenti».

Cosa fare per restituire dignità al calcio italia-no? Salvo Russo non ha dubbi: «Bisogna lavo-rare con i settori giovanili, soprattutto con i ge-nitori. È inutile predicare i valori del fair play perpoche ore alla settimana se poi, a casa, i genito-ri proiettano sui figli i loro desideri non realiz-zati e parlano della vittoria come unico valoreche conta».

riCCarDo MiLLetti

Nel calcio la violenza è diventata normalità tra risse, allenatori che perdono la testa e ultras sempre più padroni degli stadi

il calcio impazzito del terzo millennio

Non è più un gioco: sugli spalti entrano tutte le tensioni sociali esasperate da questo periodo di profonda crisi economica

DeLio rossi a CoLLoQuio Con aDeM LjajiC in una partitav DeLLa Fiorentina Di Questa stagione. La sera DeL

Due Maggio, Durante Fiorentina-novara, L’aLLenatore ha aggreDito iL serBo Che Contestava La sostituzione

6 Maggio 2001 - Allo stadio milanese diSan Siro una scena mai vista: alcuni ul-trà dell’Inter lanciano uno scooter daglispalti, rischiando di colpire gli spettato-ri sotto di loro.

9 LugLio 2006 - Finale dei Mondiali dicalcio, tempi supplementari: il difensoredell’Italia Marco Materazzi, dopo unoscontro verbale con Zinedine Zidane,viene colpito con una testata al petto ele immagini violente fanno il giro delmondo.

2 FeBBraio 2007 - Dopo Catania-Paler-mo si scatenano scontri tra tifosi e forze

dell’ordine fuori dallo stadio Massimino.Negli incidenti perde la vita Filippo ra-citi, ispettore capo della Polizia di Stato.

26 agosto 2007 - L’allenatore del Ca-tania Silvio Baldini, espulso dall’arbitrodurante la partita contro il Parma, litigacon l’allenatore avversario Domenico DiCarlo e lo colpisce con un calcio allespalle.

12 ottoBre 2010 - Stadio genovese diMarassi, l’Italia sfida la Serbia. La furiadei tifosi ospiti costringe l’arbitro a fer-mare la partita dopo sei minuti, cittàvandalizzata.

22 aprile 2012 - Ancora Genova pro-tagonista in negativo. Sospesa per 45’Genoa-Siena sul 4 a 1 per gli ospiti: latifoseria rossoblù inizia a protestare ar-rivando a far togliere le maglie ai gioca-tori genoani.

2 Maggio 2012 - L’allenatore della Fio-rentina Delio rossi sostituisce la puntaAdem Ljajic durante la partita con il No-vara. il giocatore protesta e il tecnicoreagisce arrivando allo scontro fisico.Esonerato rossi, fuori rosa Ljajic.

giorgio MatteoLi

Dal motorino lanciato in curva alle partite fermate dai tifosi, cronistoria degli episodi più eclatanti

Inutile educarei giovani

se i genitoridanno esempi

sbagliati

pianeta dilettantiil campo diventa un ring

sContro Di gioCo

un arBitro a Fine partita

Vale solo lalegge deldenaro e

si accumulastress

Page 11: Speciale trasfusioni infette

12 Nuove tradizioNi MAGGIo 2012

Lavorare per essere autosufficienti. Prega-re. «L’ozio è il nemico dell’anima» dicevaSan Benedetto nella sua Regola. Basta

scambiare quattro chiacchiere con padre Bene-dict Nivakoff, 33 anni, per capire che al conven-to dei benedettini di Norcia non si fanno dero-ghe a questo principio. Le attività dei monaciconsentono loro di non dipendere completa-mente dalle donazioni dei fedeli. E proprio nel-la città dove l’aria sa di tartufo, i 16 frati del mo-nastero, fra due mesi produrranno e venderan-no birra.

Nella bottega dei benedettini, accanto alla Ba-silica, si trovano il miele, il cioccolato, i prodot-ti per la cura personale tipici della loro tradizio-ne. A fine estate, accanto alle etichette sgargian-ti della birra dei trappisti, ci sarà anche quella deifrati di Norcia, prodotta sotto la supervisione dipadre Nivakoff. Barba lunga, veste nera, il voltodel frate tradisce la sua giovane età. Sembra un33enne qualsiasi, che sta per iniziare una picco-la avventura imprenditoriale. Ne ha tutto l’entu-siasmo e l’unica differenza si scorge nella tran-

quillità del suo sguardo. « Siamo 16 benedettinie l’età media è di 25 anni. La domenica sera ciritroviamo sempre per bere insieme un boccaledi birra, ci piace assaggiarne di diverse. La prov-videnza ha fatto sì che 5 famiglie, una italiana equattro americane, finanziassero l’iniziativa».

Insomma, una joint-venture tra Italia e Ame-rica. E anche l’accento di padre Nivakoff di nor-cino ha ben poco. «Sono del Connecticut. Hoavuto la vocazione a 16 anni, mentre studiavo inuna scuola di benedettini della mia città. Dopola laurea in storia medievale, ho deciso che que-sta era la mia strada e di venire qui, per tornarealle radici del nostro ordine».

Era il 2000 e si potrebbe pensare che quell’an-no, a Norcia, l’arrivo di padre Benedict abbiarappresentato l’unica novità. Non è così: «Dal1810 alla data in cui io ho raggiunto il fondato-re della nostra comunità, padre Cassiano – spie-ga Nivakoff – a Norcia non ci sono stati mona-ci dell’ordine di San Benedetto». All’inizio delXIX secolo, infatti, le leggi napoleoniche sop-pressero il convento e da allora tutte le struttu-

re passarono alla curia. Nonostante i benedetti-ni siano presenti in tutto il mondo, per 200 anninessuna comunità è tornata nella patria del San-to. oggi, insieme a padre Nivakoff, ci sono altri11 americani, un inglese, due indonesiani e un ita-liano. Applicano la Regola con estremo rigore:la loro giornata inizia alle 4, prevede 8 momenti

di preghiera, ore di lavoro fra cucina, corsi di can-ti gregoriani, gestione delle strutture. Una vita du-ra, alla quale, in paese, si guarda con rispetto, maanche apertura e spirito di partecipazione: «Lacomunità ci ha accolti da subito – ricorda Bene-dict – ogni giorno i norcini ci chiedono quandopotranno bere la nostra birra. Saranno i nostri ac-quirenti, ma anche i primi venditori delle botti-glie che destineremo al commercio».

I lavori nel birrificio sono in corso, ma PadreNivakoff sa già che sapore avrà la “Nursia”: «Cisiamo fatti mandare delle ricette tradizionali daifrati che all’estero sono impegnati in questa pro-duzione. San Benedetto predicava molto l’utiliz-zo di quello che la terra produce, soprattutto in-torno a casa. Prima o poi riusciremo a produrcianche gli ingredienti». A quanto pare, sul sentie-ro della filiera corta, birra e tartufo non poteva-no che incontrarsi a Norcia.

Da tutto il mondo, sedici giovani monaci per ritrovare le radici dell’ordine nel luogo che diede i natali a San Benedetto

norcia, incenso e birraora et labora: preghiere, canti gregoriani e una novità occupano le giornate dei benedettini tornati a gestire la basilica

in aLto La piazza Di norCia. in Basso i proDotti Dei Monasteri DeL MonDo e un BeneDettino neL negozio DeLLa Citt

Una fiamma che da quasi cinquant’an-ni porta il calore della pace alle gentid’Europa. La regola e l’insegnamento

del Santo, proclamato da Papa Paolo VI patro-no del vecchio Continente, da Norcia arrivanoin tutto il mondo grazie alla fiaccola “Pro Paceet Europa Una”.

Il simbolo benedettino è accompagnato nelsuo lungo viaggio dagli atleti tedofori, dalle au-torità religiose e civili e da tutti cittadini che vo-gliono unirsi al cammino spirituale che diffon-de i valori di San Benedetto, apostolo in mezzoai popoli sotto il segno della croce e dell’aratro.

«Sarà un caso – racconta Gian Paolo Stefanel-li, sindaco di Norcia – ma la fiaccola di San Be-nedetto sembra riesca ad anticipare i miracolidella pace. Nel 1989 la fiamma visitò Berlino equalche mese più tardi il muro che divideva la ca-pitale tedesca e la Germania fu abbattuto. L’an-no dopo, nel 1990, oltre tremila persone saluta-rono la marcia della fiaccola che attraversava levie di Praga. Nel frattempo, tra le mura del Ca-

stello della città cecoslovacca, si svolgeva l’ulti-ma riunione dei paesi del Patto di Varsavia».

ogni anno la fiaccola è stata accolta e benedet-ta dal Papa. Il 18 marzo del 1979 Giovanni Pao-lo II ha acceso la fiamma e parlato ai giovani te-dofori, rivolgendo loro l’augurio di esser verimessaggeri di pace: «Alla luce splendente di que-sta fiaccola possano quanti incontrerete lungo lestrade della carovana sentirsi fratelli e compor-re le ragioni dei dissidi e dei conflitti, che fannogli uomini nemici fra loro, e diventare capaci diperdono reciproco, di rispetto e di collaborazio-ne. Sia la vostra davvero la fiaccola della pace».

In tutti questi anni la fiamma è stata accesanella città ospite per poi tornare a Norcia, doveè sempre stata accolta dai festeggiamenti inonore del Santo: la sera del 20 marzo la fiacco-la viene consegnata alla Basilica e il giorno suc-cessivo la città natale di San Benedetto è anima-ta da cortei e da rievocazioni storiche.Dall’anno prossimo, Norcia ospiterà anche lacerimonia di accensione della fiaccola. Grazie

alle tre città benedettine (Norcia, Subiaco eCassino) che hanno saputo tenere vivo il mes-saggio del Santo della Regola, dal 1964 si per-corre un lungo cammino per portare in tutto ilmondo la fiaccola. Budapest, Varsavia, Madrid,Londra: fino a oggi questo viaggio ha toccatoquasi tutte le capitali europee.

Neanche gli oceani hanno spento la fiammadella pace: nel 2002 è arrivata negli Stati Unitiper cercare di dare speranza al popolo america-no dopo la tragedia dell’11 settembre. L’annosuccessivo la fiaccola ha visitato il monastero diNew Norcia in Australia.Il simbolo benedetti-no ha celebrato la vicinanza spirituale delle duecittà, che hanno in comune il nome e le radicispirituali della tradizione monastica.

La grotta della Natività in Terra Santa haaccolto la “messaggera” benedettina nel 2004.La speranza è che anche nella culla della cristia-nità lo spirito e l’insegnamento di SanBenedetto riescano a far germogliare i semidella pace.

iL CaMMino DeLLa FiaCCoLa

1980 – Città del Vaticano1984 – Città del Vaticano1988 – Strasburgo (Francia)1989 – Berlino (Germania)1990 – Praga (repubblica Ceca)1991 – Budapest (Ungheria)1992 – Varsavia (repubblica Polacca)1993 – Montecassino (Italia)1994 – Londra (Gran Bretagna) 1995 – Madrid (Spagna)1996 – Bruxelles (Belgio)1997 – Lisbona (Portogallo)1998 – Vienna (Austria)1999 – Skopjie (Macedonia)2000 – Città del Vaticano2001 – Santuario di Monte Sant’Angelo 2002 – New York (USA)2003 – New Norcia (Australia)2004 – Gerusalemme (terra Santa)2005 – Mosca (russia)2006 – tblisi (Georgia)2007 – Bucarest (romania)2008 – Monastero esarchico di Santa

Maria di Grottaferrata (Italia)2009 – Città del Vaticano2010 – Hamilton/trenton ( USA)2011 – Londra

una fiamma di paceLa luce del patrono d’Europa e il suo messaggio viaggiano nel mondo insieme a una fiaccola

Le CeLeBrazioni a norCia per L’arrivo DeLLa FiaMMa DeLLa paCe. ogni anno La FiaCCoLa “pro paCe et europa una”, in Mano ai teDoFori, riCeve La BeneDizione DeL papa in vatiCano

pagina a Cura Di

paoLa Cutini e iLaria esposito