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ATTIXXXII CONVEGNOREGIONALEDELLA COOPERAZIONEDI CREDITO

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SOMMARIO

GIULIO MAGAGNI

Presidente della Federazionedelle Banche di Credito Cooperativodell’Emilia Romagna .................................................................................. p. 9

GIORGIO COSTA

Giornalista - Caposervizio “Il Sole 24 Ore - Centro Nord” ........................ p. 15

IntervistaVASCO ERRANI

Presidente Regione Emilia-Romagna

GIUSEPPE LUSIGNANI

Vice Presidente Prometeia Calcolo .......................................................... p. 19

GIORGIO COSTA

Giornalista - Caposervizio “Il Sole 24 Ore - Centro Nord” ........................ p. 41

Dialogo con

PATRIZIO BIANCHI

Rettore - Università di Ferrara

FRANCESCO VELLA

Docente di Diritto Commerciale - Università di Bologna

PIETRO CAFARO

Associato di Storia Economica e Sociale Facoltà di Sociologia - Università Cattolica di Milano ................................ p. 63

PAOLO LEGRENZI

Professore ordinario di Psicologia CognitivaUniversità IUAV - VeneziaPresidente del Comitato Scientifico - Ricerca d’Informazioni dell’ABI ...... p. 75

MONS. AMBROGIO SPREAFICO

Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino ...................................................... p. 87

DOMENICO RAVAGLIOLI

PresidenteBanca di Forlì - Credito Cooperativo ........................................................ p. 97

PAOLO LEGRENZI

Professore ordinario di Psicologia CognitivaUniversità IUAV - VeneziaPresidente del Comitato Scientifico - Ricerca d’Informazioni dell’ABI ...... p. 101

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PIETRO CAFARO

Associato di Storia Economica e Sociale Facoltà di Sociologia - Università Cattolica di Milano ................................ p. 105

GIUSEPPE ALAI

PresidenteBanca Reggiana ...................................................................................... p. 107

GIOVANNI NANI

PresidenteBCC Creta - Credito Cooperativo Piacentino ............................................ p. 111

GIULIO MAGAGNI

Presidente della Federazione delle Banche di Credito Cooperativodell’Emilia Romagna ................................................................................ p. 113

MONS. AMBROGIO SPREAFICO

Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino ...................................................... p. 117

LUIGI MARINO

Presidente nazionale Confcooperative ...................................................... p. 119

BRUNO FIORELLI

Vice Presidente Federcasse .................................................................... p. 127

ROBERTO MAZZOTTI

Direttore Generale Iccrea Holding.............................................................. p. 131

TAVOLA ROTONDA

”Impresa, banca locale, società di gruppo: quali sinergie per lo sviluppo” p. 137

ModeratoreGIORGIO COSTA

Giornalista - Caposervizio “Il Sole 24 Ore - Centro Nord”

SILVIA NOÈ - ImprenditoreSTEFANO FERRARI - ImprenditorePAOLO BEDONI - Presidente Cattolica AssicurazioniEDO MISEROCCHI - Direttore Generale C.C. Ravennate ImoleseAUGUSTO DELLʼERBA - Presidente Iccrea Banca

GIORGIO COSTA

Giornalista - Caposervizio “Il Sole 24 Ore - Centro Nord” ........................ p. 159

Intervista GIULIO MAGAGNI

Presidente della Federazionedelle Banche di Credito Cooperativodell’Emilia Romagna

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GIULIO MAGAGNIPresidente della Federazionedelle Banche di Credito Cooperativodell’Emilia Romagna

Buongiorno a tutti, autorità, signore e signori, cari colleghi cooperatori,inizia oggi il 32° convegno della Federazione regionale delle Banche diCredito Cooperativo dell’Emilia Romagna.

22 banche che possono contare su 358 sportelli, che coprono il 77,7%dei comuni e danno lavoro a 2.907 dipendenti, rivolgendosi a poco menodi 83.000 soci.

22 banche che si trovano oggi in uno degli angoli più belli e densi distoria in Italia e del mondo.

Un’occasione per stare insieme senza la pressione del lavoro quoti-diano, per riflettere sul nostro presente e studiare la strategia per garan-tire vita e prosperità alle nostre banche.

Banche diverse dalle altre, che vogliono orgogliosamente mantenere emarcare la loro differenza che ora non è più oggetto di assalti da alcunaparte, politica o culturale, come è avvenuto fino a pochi anni fa, ma chesono, ovviamente, costrette a confrontarsi con altre banche, con il mon-do e le difficoltà di questi mesi.

Proprio per questo le tre giornate di convegno a cui prenderemo partesono state pensate non per celebrare ma per riflettere, non per dire quan-to siamo bravi ma per capire dove possiamo migliorare. Non per giustifi-carci o per celebrarci ma per comprendere meglio il mondo in cui ope-riamo.

Mi rendo conto del momento che viviamo e della sobrietà che esso im-pone. Forse non è un male tornare a parlare di sobrietà dopo la sborniadella rincorsa ai numeri sempre più grandi, senza accorgersi che spessoil castello era di carta e che le sue fondamenta erano nella sabbia di stru-menti finanziari che appaiono oggi in tutta la loro diabolica illusione mache fino a un anno fa erano visti come la leva più naturale verso uno svi-luppo che appariva infinito. Poi all’improvviso la caduta.

Capire il mondo di oggi e ricercare le ragioni di un movimento coope-rativo che si sta dimostrando straordinariamente vitale, interrogarci sullacooperazione e sulla sua valenza etica e sociale, senza rinunciare alleradici cristiane che vogliamo pacatamente, ma con fermezza, ribadire.

Ecco allora il filo conduttore di queste tre giornate tra economia, filo-sofia e società.

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Diciamo che siamo diversi e vogliamo essere diversi. Per questo vo-gliamo prepararci, anche con riflessioni che possono apparire un pocoeccentriche, ad affrontare il nostro lavoro con una cassetta dei mestieririnnovata e pronta, consci del nostro passato ma preparati a guardareavanti, a capire il mondo sempre più complesso e sfaccettato che ci cir-conda.

Oggi ci soffermiamo a riflettere su chi siamo come sistema bancario esulle nostre prospettive di sviluppo per poi affrontare il tema del creditocooperativo e le sfide del mercato e delle regole.

Il credito cooperativo in questo periodo forse non è mai stato così esal-tato, preso ad esempio, citato. È un orgoglio che nella prima enciclica so-ciale, “Caritas in veritate”, del Santo Padre, per la prima volta, è stato ci-tato un gruppo bancario, un sistema bancario, ed è il nostro.

È l’art. 65 e lo vorrei leggere perché penso che debba darci veramen-te orgoglio di fronte a una così marcata presa di valore che ci ha datoquesto Papa.

Il cap. 65 inizia così: “Bisogna poi che la finanza, in quanto tale, nellenecessariamente rinnovate strutture e modernità di funzionamento, dopoil suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad es-sere uno strumento finalizzato alla miglior produzione della ricchezza edello sviluppo”.

Poi: “Retta intenzione, trasparenza e ricerca dei buoni risultati sonocompatibili e non devono mai essere disgiunte. Se l’amore è intelligentesa trovare anche i modi per operare secondo una previdente e giustaconvenienza, come indicano in maniera significativa molte esperienzenel campo della cooperazione di credito”.

Penso che questo sia un riconoscimento che va al di là del nostro es-sere banche sul territorio che afferma e ci conferma che il credito coope-rativo ha qualcosa di più: ha al suo centro l’uomo.

Noi continuiamo ad essere così perché siamo nati per l’uomo. Dobbia-mo continuare a vivere in funzione delle necessità dell’uomo.

Se continuiamo su questo non abbiamo paura di nessuno.La prima giornata è incentrata su una relazione del prof. Giuseppe Lu-

signani, ordinario di Economia degli Intermediari all’Università di Bolognae vice presidente di Prometeia Calcolo, che rappresenta gli esiti di una ri-cerca che Prometeia ha predisposto per noi in questi mesi in collabora-zione con le strutture di ricerca della Federazione regionale sul posizio-namento delle BCC emiliano-romagnole e nelle prospettive di sviluppoper gli istituti di credito di minori dimensioni.

Una ricerca di grande importanza che delinea uno scenario teso delleprincipali sfide delle BCC emiliano-romagnole e l’analisi che ne deriva sicolloca a supporto dell’individuazione delle opzioni strategiche delle no-stre BCC.

Questa ricerca nasce dall’esigenza, avvertita da tutte le BCC, di recu-perare una maggiore razionalità, un più acuto sguardo alle determinantidel nostro sviluppo prossimo futuro, ai limiti e ai ritardi che in questi anniabbiamo registrato in alcuni ambiti territoriali, alla necessità di essere più

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protagonisti in aree in cui è scarsa o nulla la nostra presenza.La ricerca ci deve anche aiutare a comprendere come superare gli ec-

cessi di conflitto territoriale, la debolezza reddituale di alcuni nostri inse-diamenti, che hanno richiesto probabilmente anche diseconomicità nellafase dell’ingresso e che richiedono verifiche concrete sulla loro sosteni-bilità.

Di recente, nel corso del convegno della Federazione Lombardia, hoaffermato che la difficoltà di prevedere il futuro e vincere il caso è legataalla conoscenza delle condizioni che lo innescano.

Penso che in questi anni si sia innescato, nell’ambito del credito coo-perativo, un virus pericolosissimo, che è la sovrapposizione territoriale, laconcorrenza fra di noi.

So che non si potrebbe dire, ma lo dico. Dobbiamo vederci sistema. Ilfatto di non gestire bene, anche con un rapporto di gentleman agreemente di rispetto fra di noi, diventa pericoloso.

È un discorso che dobbiamo affrontare, tanto più che oggi ci stiamopresentando come sistema con il fondo di garanzia istituzionale, che civede sempre più uniti nel sostenerci a vicenda.

Noi dobbiamo essere sistema, e qui colgo l’occasione per ringraziarela mia Federazione perché si sente sistema e l’ha dimostrato nell’ultimoaumento di capitale del Gruppo Bancario Iccrea.

Siamo stati la Federazione che ha aderito pienamente a questa solle-citazione con vero senso di appartenenza.

Questo ci deve dare un senso di orgoglio perché vuol dire che siamoveramente non solo cooperative sul territorio ma siamo cooperative nelsistema. Questo per me è fondamentale per andare avanti.

Il dialogo tra Patrizio Bianchi, rettore dell’Università di Ferrara, e Fran-cesco Vella, docente di Diritto Commerciale all’Università di Bologna, haal proprio centro il credito cooperativo nella sfida del mercato bancario.

Un tema che vede quattro grandi questioni: il decadimento della quali-tà del credito; la compressione del margine di interesse; la ripresa lentadell’attività di gestione e di intermediazione e una forte e rinnovata at-tenzione alla nostra efficienza.

La giornata di domani, con la relazione del prof. Pietro Cafaro, asso-ciato di Storia Economica e Sociale presso la Facoltà di Sociologia del-l’Università Cattolica di Milano, del prof. Paolo Legrenzi, ordinario di Psi-cologia e presidente del Comitato Scientifico di Ricerca e Informazionidell’ABI, e di mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone, Veroli eFerentino, rappresenta un’eccezione nel nostro modo di affrontare i con-vegni della Federazione.

Non solo economia, dicevo, ma anche cultura, filosofia, riflessione suciò che quotidianamente maneggiamo ma che forse non conosciamo: ildenaro.

Il denaro come strumento di crescita sociale e, perché no, anche di fe-licità. Il denaro come limite estremo quando riflettiamo su quel passo delVangelo di Marco che ci ricorda quanto sia stretta la via di chi accumularicchezza in terra.

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Non abbiamo ovviamente trascurato il ruolo e le caratteristiche del no-stro sistema nazionale, che saranno oggetto di riflessione da parte delpresidente della Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperati-vo, Alessandro Azzi.

Tali temi si incrociano con la questione reputazionale, nella convinzio-ne che le nostre banche emiliano-romagnole, ma direi tutto il sistema na-zionale delle banche di credito cooperativo, dovrà dedicare una forte at-tenzione alla questione del rispetto delle regole, ai codici etici, ai com-portamenti virtuosi di tutti i suoi protagonisti.

Ciò è tanto più necessario in questa fase della storia economica delnostro Paese, in cui godiamo di un’evidente credibilità e veniamo spessocitati per il nostro ruolo positivo di banche territoriali, locali e capillari peril forte legame con il nostro tessuto socio-economico.

È proprio in tale situazione che occorre riconfermare la nostra coeren-za comportamentale evitando autogol con atteggiamenti e situazioni chepossono mettere a repentaglio la credibilità di tutti.

Un ambito, questo, che chiede un forte lavoro su tutte le componentidel sistema.

Infine domenica, dopo l’intervento del presidente di Confcooperative,Luigi Marino, che spazierà a 360 gradi sui più importanti temi economicidel nostro Paese, torneremo all’economia locale, alle prospettive di svi-luppo e al ruolo che deve e può avere il nostro sistema creditizio, dallesingole BCC alle strutture centrali in un confronto a tutto campo con leimprese e le loro esigenze.

Ringrazio sentitamente Silvia Noè e Stefano Ferrari, imprenditori dellanostra regione, Paolo Bedoni, presidente di Cattolica Assicurazione, EdoMiserocchi, direttore generale del Credito Cooperativo Ravennate Imole-se, e Augusto Dell’Erba, presidente di Iccrea Banca per la disponibilità aquesto confronto.

Domenica mattina si chiuderà il convegno con un’intervista conclusivaal sottoscritto da parte del dott. Giorgio Costa, giornalista de Il Sole 24Ore, al quale abbiamo, tra l’altro, chiesto l’introduzione e il coordinamen-to dei lavori del nostro convegno.

Un programma ricco di stimoli, dunque, che sono convinto ci manderàa casa più consapevoli e non ci farà sentire il peso di stare riuniti qui pertre mattinate.

Chiudo questo intervento introduttivo salutando tutti gli ospiti. Un pensiero particolare lo voglio dedicare agli amici della Federazione

Campana, al presidente Petrone e al direttore Vildacci, a tutte le BCCcampane per la loro ospitalità proverbiale e per il gentile omaggio che cihanno riservato.

Al nostro ultimo convegno di Lione era presente il dott. Franco Caleffi,che ci ha lasciato prematuramente e dolorosamente quest’anno.

Voglio ricordarlo ancora per il lavoro che ha svolto e per il suo straor-dinario impegno per la crescita del nostro sistema.

Un altro particolare ricordo va a un cooperatore di razza, ma soprat-tutto un amico, che ci ha lasciati, il Cav. Umberto Mazzotti.

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Di lui dobbiamo avere il ricordo ma soprattutto mai dimenticare l’esem-pio di una vita, la coerenza all’appartenenza a questo sistema e al-l’esempio che ha dato a tutti.

Chiedo un minuto di silenzio per entrambi.

Grazie.Permettetemi un ultimo pensiero per tutte le persone che ci accompa-

gnano in queste giornate, i nostri coniugi, i nostri figli, che ci consentonodi dividere con loro parte della nostra giornata, godendo della vista diquesti luoghi affascinanti.

Buon lavoro e buon soggiorno a tutti.

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GIORGIO COSTAGiornalista - Caposervizio“Il Sole 24 Ore - Centro Nord”

intervista

VASCO ERRANIPresidente Regione Emilia-Romagna

Giorgio Costa

Presidente, buongiorno e grazie per avere accettato di essere presen-te al nostro convegno anche se è a distanza, a Roma, non potendo es-sere qui, appunto perché impegnato a Roma, in qualità di Presidente del-la Conferenza Stato-Regioni.

Le chiedo quale può essere, secondo lei, il ruolo delle Banche di Cre-dito Cooperativo, della mutualità e della cooperazione in generale in que-sto difficile momento dell’economia dell’Emilia Romagna, che tuttavia re-siste in alcuni casi meglio di altre regioni alla difficile congiuntura.

Vasco Errani

Saluto tutti e ringrazio per l’invito.Credo sia abbastanza evidente. Questa crisi, sia finanziaria che eco-

nomica, ha esaltato alcuni riferimenti fondamentali, che la cooperazionein generale e le Banche di Credito Cooperativo interpretano.

Alcuni valori fondamentali, come ha detto il presidente prima, con alcentro la persona, il radicamento nel territorio, valori di riferimento fonda-mentali che sono decisivi per affrontare la crisi e per costruire quei pro-cessi di innovazione che sono indispensabili.

Il sistema delle Banche di Credito Cooperativo è cresciuto, è radicatonel territorio e agisce attraverso valori decisivi. Sono quei valori di cui sidiscute nel mondo oggi per uscire da questa crisi.

Dunque questa forma di organizzare, per un verso, le imprese e il la-voro e, per l’altro, le Banche di Credito Cooperativo, il sostegno alle fa-miglie, alle piccole e medie imprese, è certamente moderna ed è un rife-rimento a cui guardare con grande interesse.

Giorgio Costa

Approfittiamo della sua presenza per chiederle anche qualcosa di mol-to attinente alla cronaca. Ieri il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi,ha annunciato la possibile eliminazione dell’IRAP.

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Come valuta questa ipotesi? Pensa che effettivamente la cosa possaavvenire e in che tempi? O siamo di fronte a una promessa, secondo lei,con poche possibilità di essere effettivamente realizzata?

Vasco Errani

Vorrei essere chiaro. La posizione delle Regioni è molto semplice.L’IRAP vale 38 miliardi di euro e finanzia il sistema sanitario.

Penso che occorra avere ben chiaro, da parte del governo, quale saràla scelta. Naturalmente ridurre le tasse per le imprese, la piccola e mediaimpresa e per il lavoro, è un riferimento assolutamente importante.

Bisogna poi che, al di là degli annunci – ricordo che questo è un an-nuncio già fatto più volte – sia ben chiaro come assicurare la coperturadi questo mancato gettito.

È qui che il problema, credo, vada chiarito da parte del Governo. Vedoche c’è una certa dialettica dentro al Governo.

Vedremo nelle prossime settimane come si svilupperà questa discus-sione.

Non mi convince un ragionamento che un giorno annuncia il fatto chenon ci sono risorse e un altro giorno si annuncia esattamente il contrario.

Credo che la cosa più giusta sia fare chiarezza sui conti pubblici e sucome si intende operare.

Dopodiché, se ci sono le condizioni della copertura, può essere unpasso importante.

Giorgio Costa

Un’ultima cosa, presidente. Fra i temi annunciati, discussi e in partepercorsi, a volte con pericolosi avanti e indietro, c’è il federalismo, intesoa 360 gradi, e non solamente fiscale.

Lei, come presidente della Conferenza Stato-Regioni se n’è molto oc-cupato. Qual è la sua opinione al riguardo e verso quale forma di federa-lismo stiamo andando, al di là, come al solito, degli annunci?

Vasco Errani

Siamo in un momento decisivo, nel senso che bisogna, per quello cheriguarda il federalismo fiscale, andare ai numeri.

C’è una delega, approvata dal parlamento, che ha visto, per esempio,un contributo decisivo da parte della Conferenza delle Regioni.

I principi sono condivisibili. Adesso occorre passare agli atti concreti direalizzazione del federalismo, ovvero capire cosa significano gli standarddella spesa pubblica dei diversi livelli di governo territoriale nonchè rea-lizzare concretamente una politica di redistribuzione anche del carico fi-scale in questo Paese.

È un passaggio molto delicato. Non c’è un’ora X del federalismo fiscale. Bisogna costruirlo nel corso

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degli anni, dove è consigliabile uscire dalla demagogia e cominciare a in-traprendere concretamente questo percorso.

Dopodiché questo Paese ha bisogno anche di una riforma di carattereistituzionale, che sia in grado di assicurare la tenuta di un nuovo sistemafederale, che eviti le sovrapposizioni, che affronti in modo sobrio i costidella politica, superando il bicameralismo perfetto, realizzando una Ca-mera delle Regioni e delle Autonomie Locali, per realizzare finalmentequell’equilibrio istituzionale che oggi, purtroppo, non c’è ancora ed è ra-gione di conflitti, di sovrapposizioni e di confusione e anche di costi ulte-riori per la finanza pubblica.

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GIUSEPPE LUSIGNANIVice PresidentePrometeia Calcolo

Innanzitutto un ringraziamento al presidente Magagni ed al dott. Qua-drelli per l’invito a questa vostra importante iniziativa e per avere l’occa-sione di presentare i risultati di una ricerca che Prometeia ha realizzatoin collaborazione con la Federazione delle BCC dell’Emilia Romagna sulposizionamento competitivo delle BCC regionali.

Cercheremo di interpretare i risultati della ricerca tenendo conto dellaattuale situazione di crisi economica e finanziaria in cui si trovano le prin-cipali economie dei paesi industrializzati al fine di trarne possibili indica-zioni per le principali future sfide competitive che ci aspettano. La pre-sentazione che vi andremo ad illustrare è articolata in tre parti:• la prima parte ripercorre l’evoluzione del posizionamento delle BCC

emiliano romagnole dal ’93 ad oggi. Nel ’93 si è tenuto infatti il conve-gno di Chianciano, in cui per la prima volta Federazione e Prometeiahanno presentato i risultati di un‘analisi sul posizionamento delle BCCin Emilia Romagna. La ricerca del 2009 ripercorre la precedente anali-si e, con nuove informazioni e metodologie, focalizza l’attenzione sullecaratteristiche che hanno guidato la crescita delle BCC in Emilia Ro-magna negli ultimi 15 anni;

• la seconda parte della presentazione si focalizza sul contesto macroe-conomico attuale e sulle principali sfide che interessano il sistema eco-nomico mondiale (ed anche italiano) con particolare attenzione alleprospettive del sistema bancario;

• infine, la terza parte della presentazione riprende le principali risultan-ze della ricerca realizzata quest anno da Prometeia in collaborazionecon la Federazione, cercando di indagare i principali fattori che hannocontribuito alla crescita delle banche di credito cooperativo in EmiliaRomagna, i territori che hanno rappresentato i target primari, i risultatiche le banche hanno conseguito e, ovviamente, le sfide che oggi siaprono.

Le domande sono tante; speriamo di riuscire a fornire almeno gli spun-ti per alcune risposte. Non illustrerò tutte le diapostive che sono state pre-parate, ma mi soffermerò solo su alcune di esse per condividere le ri-flessioni principali; il materiale vi sarà comunque reso disponibile suc-cessivamente in forma integrale.

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Ripercorrendo il periodo intercorso tra il convegno di Chianciano edoggi, ed analizzando il trend di sviluppo economico dell’Emilia Romagna(diapositiva 1), troviamo conferma – sono informazioni che già conoscia-mo – che in questi 15 anni nella nostra Regione sono stati registrati ritmidi crescita elevati sia del PIL sia della popolazione, leggermente superioria quelli della media nazionale. Alcuni dei principali indicatori pro capitemostrano che l’Emilia Romagna continua ad essere ancora al 2008 unadelle regioni con livelli di reddito e di consumo pro capite più alti, oltre checon tassi di disoccupazione più bassi. Se si guarda alla dinamica del red-dito pro capite negli ultimi 15 anni, osserviamo però che la regione è cre-sciuta meno di altre. Questo fenomeno è il risultato della combinazione diuna crescita sostenuta dell’attività economica a cui ha fatto fronte una di-namica più accentuata della popolazione. All’interno di questo sinteticoquadro economico regionale che evidenzia comunque la forza del tessu-to economico dell’Emilia Romagna, come ricordava il Presidente Maga-gni nella sua introduzione, si è assistito nel corso del tempo all’intensifi-cazione del grado di concorrenza nel contesto bancario: se guardiamo idati relativi al 1993, al 2000 ed al 2008 (diapositiva 2) si evince chiara-mente la forte dinamica, più accentuata rispetto alla media nazionale, dialcuni indicatori:• sono cresciuti i cosiddetti comuni bancati; • sono cresciuti i marchi bancari presenti in regione; • è cresciuto il numero degli sportelli.

In sintesi, regione ricca, regione con elevate potenzialità di crescita,popolazione che viene attratta dal territorio, offerta di servizi bancari e in-dustria bancaria che si sviluppano e continuano a crescere.

In questo contesto, il panorama competitivo bancario regionale si è for-temente modificato (diapositiva 3). Segnaliamo innanzitutto l’intenso svi-luppo delle Banche di Credito Cooperativo, che hanno registrato com-plessivamente rispettivamente tassi di crescita tra il ’93 e il 2000 del 59%e del 53% tra il 2000 e il 2008. La crescita delle associate della Federa-zione Emilia Romagna in particolare è stata superiore a quella degli altrioperatori, pari al 54% tra il ‘93 e il 2000, al 45 % fra il 2000 e il 2008. E’noto quanto intenso sia stato il processo di ristrutturazione che ha inte-ressato gli altri operatori: sono sostanzialmente sparite, o quantomeno ri-dotte, le banche di medie dimensioni, sono invece cresciuti i grandi grup-pi nazionali o di matrice interregionale che oggi mostrano una importan-te presenza nel territorio.

Dal punto di vista delle quote sportelli, le BCC emiliano romagnolehanno guadagnato quasi due punti percentuali, un punto le altre BCCnon federate. Il processo evolutivo che ha interessato le BCC emiliano ro-magnole è stato indirizzato non solo alla crescita dimensionale, ma an-che, come veniva ricordato all’inizio dal Presidente Magagni, alla razio-nalizzazione del numero di banche, che è passato da 41 realtà nel ’93 al-le 22 BCC di oggi. Questo processo di aggregazione ha dato origine ad

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un sistema mediamente più grande rispetto a quello delle altre realtà delcredito cooperativo sul territorio nazionale: il numero medio di sportelliper le BCC emiliano romagnole da 3,8 è infatti salito a 16, contro un da-to medio di sistema nazionale che è di poco inferiore a 10 sportelli. In sin-tesi, se lo guardiamo come “gruppo”, le BCC emiliano romagnole sono ilterzo operatore della regione per quota sportelli (pari quasi al 10%), su-bito dopo i due grandi player nazionali, Unicredit e Intesa San Paolo.

Un altro elemento importante, in questi 15-16 anni di storia, è statal’evoluzione della compagine sociale nelle BCC emiliano romagnole (dia-positiva 4): si è assistito ad una sorta di rincorsa e, addirittura, sorpassoattorno al 2005-2006, rispetto alla dinamica della compagine sociale delcredito cooperativo a livello nazionale. Ancorché la ampia base sociale ri-sulti ancora molto concentrata (nella zona romagnola, Forlì, Ravenna, Ri-mini e nella provincia di Bologna, di Ferrara e dell’Emilia nord), anche suPiacenza e Reggio Emilia comunque si comincia a registrare una pre-senza importante.

Questo è il percorso che le BCC emiliano romagnole hanno seguito fi-no ad oggi. Il percorso futuro dovrà misurarsi con diverse sfide, alcunespecifiche della realtà regionale ed alcune di portata più generale. Per-mettetemi di iniziare da queste ultime.

Certamente una prima sfida, comune a tutti gli operatori economici efinanziari, è rappresentata dallo scenario macroeconomico che ci aspet-ta a seguito della crisi che abbiamo vissuto. Solo alcuni flash sullo sce-nario: dove siamo oggi e quali sono le attese.

In questo momento arrivano quotidianamente notizie che potrebberoportare a dire: “Forse è fatta, stiamo uscendo dalla situazione di crisi”. Poiabbiamo una serie di altri indicatori che ci ricordano che l’uscita da que-sta crisi non è così semplice, che bisogna essere cauti prima di gridarevittoria. Partiamo dai segnali positivi. Abbiamo alcuni segnali, dal punto divista macroeconomico, che ci dicono che stiamo se non proprio tornan-do a condizioni di normalità avvicinandoci a quel sentiero. Se andiamo avedere la dinamica delle importazioni mondiali di beni, registriamo negliultimi mesi segnali positivi. Negli indici delle produzioni industriali, sia perquanto riguarda i paesi emergenti che a livello mondiale, rileviamo se-gnali positivi.

Se guardiamo invece gli indici di stress dei mercati finanziari (noi ri-portiamo quello della Fed di Kansas City), rileviamo che dopo il picco disettembre, ottobre, novembre 2008 stiamo tornando a livelli quasi pre cri-si Lehman (pre-settembre 2008). Analizziamo ora gli spread nei mercatiinterbancari: è noto che il tasso interbancario, che interessa gran partedell’operatività quotidiana delle banche, durante la crisi ad un certo pun-to era salito decisamente sopra ai tassi di riferimento della politica mo-netaria, riflettendo fondamentalmente il fatto che il mercato del funding abreve tra le banche richiedeva premi sempre più elevati per il rischio di

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controparte e il rischio di liquidità. Questi indicatori stanno oggi ritornan-do a condizioni di normalità. Il mercato interbancario non è ancora ripar-tito completamente, ma almeno dal punto di vista del costo della provvi-sta, un miglioramento c’è stato. Stanno inoltre diminuendo gli spread suimercati dei titoli di stato, sia a livello europeo che sui mercati emergenti,e sui mercati obbligazionari. Se infine analizziamo i mercati azionari, rile-viamo segnali di una ripresa da marzo 2009 importante e significativa. Iprezzi sono ancora sotto i livelli pre-Lehman però si registra un impor-tante recupero e con essi anche una riduzione della volatilità.

Tuttavia vi sono ancora mercati ed indicatori che evidenziano il sussi-stere di alcune tensioni. In particolare i prezzi delle materie prime sonoritornati a crescere, così come continuano a scendere i prezzi delle abi-tazioni nel mercato americano. E’ vero che si tratta di un mercato lonta-no da noi, ma abbiamo imparato a seguirlo perché la stabilizzazione delmercato immobiliare americano è una delle pre-condizioni necessarieper consentire il percorso di uscita dalla crisi finanziaria, in primis, e dal-la crisi economica a seguire. Non dobbiamo inoltre negare che ci sonofattori di difficoltà che ancora ci preoccupano.

Il primo fattore di difficoltà è rappresentato dal fatto che nonostante glispread sul mercato interbancario siano ritornati a condizioni di normalità,o vicino alla condizione di normalità, il mercato interbancario non funzio-na ancora. La dimostrazione sta nel fatto che tutta la liquidità viene scam-biata quasi ed esclusivamente con le banche centrali. Quindi il mercatointerbancario non è ancora tornato a funzionare. Questa è una condizio-ne imprescindibile per ripartire. Se non torna a funzionare questo merca-to, la situazione non è risolta. Ovviamente questo fenomeno ha immessouna enorme quantità di moneta nel sistema economico mondiale, cometestimoniano gli inusuali livelli di base monetaria in rapporto al PIL.

Questo è un problema che dovrà essere affrontato: non si esce dallacrisi senza il ritorno del funzionamento dei mercati interbancari e, ovvia-mente, prima o poi bisognerà ritirare la liquidità che è stata immessa sulmercato.

Esistono poi altri elementi di difficoltà che continuano a preoccupare glioperatori e le autorità di regolamentazione. In primo luogo i dati relativiall’andamento delle svalutazioni dichiarate dalle banche a partire dallacrisi. Negli Stati Uniti, le banche hanno finora accumulato / dichiarato per-dite per un ammontare di circa 600 miliardi di dollari. Le recenti stime del-le perdite del Fondo Monetario quantificano in circa 1000 miliardi di dol-lari l’ammontare complessivo di perdite che dovrebbero emergere entroil 2010. La differenza di circa 400 miliardi di dollari di perdite potrebberealizzarsi nei prossimi due anni. Le banche USA hanno iniziato a racco-gliere capitale, anche se in misura non ancora sufficiente a coprire le per-dite finora realizzate. In Europa, preoccupazioni crescenti riguardano il si-stema bancario. Alle perdite registrate sui titoli tossici per effetto della cri-si statunitense si sommano le attese di perdita dal portafoglio crediti a

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causa delle sofferenze generate dal forte rallentamento dell’economiaeuropea. Il Fondo Monetario stima in circa 1.500 miliardi di dollari le per-dite complessive dall’inizio della crisi a fine 2010, a fronte delle quali so-lo 400 miliardi sono emerse finora. Il gap è decisamente molto ampio: èpossibile una sovrastima del Fondo Monetario (e speriamo che sia così),ma se così non fosse la stabilità del sistema bancario sarebbe in forte di-scussione con la necessità di un ricorso alla ricapitalizzazione del siste-ma bancario per ammontari decisamente elevati.

Per quanto riguarda lo scenario atteso, in questo quadro di luci ed om-bre è ovviamente molto difficile delineare delle previsioni. Le nostre ana-lisi e modelli indicano che potremmo aver raggiunto il punto più basso dicaduta dell’attività economica e che la ripresa sarà molto lenta. Solo gliStati Uniti, secondo le nostre analisi, nel 2012 potrebbero tornare a livel-li di attività economica superiori a quelli ante crisi. Italia ed Europa nontorneranno, nemmeno nel 2012, ai livelli pre-crisi. Questo è un quadroche ovviamente condizionerà sia il livello di attività economica degli ope-ratori, che il livello di attività degli operatori finanziari. In questo quadro itassi di interesse non potranno che rimanere, secondo la nostra visione,bassi ancora per tutto il 2010 e solo successivamente potranno ripren-dere un percorso di risalita che plausibilmente sarà molto lento.

Con riferimento al settore finanziario, la recessione nelle principali eco-nomie è accompagnata da un forte rallentamento nei ritmi di crescita delcredito bancario: sia negli Stati Uniti sia in Europa, i tassi di crescita delcredito sono ormai azzerati. In Italia il credito bancario registra ritmi dicrescita ancora positivi e superiori rispetto al segno “meno” dell’attivitàeconomica. Se analizziamo tale dinamica per tipologia di banca, notiamoche sono soprattutto le grandi banche ad avere frenato l’erogazione delcredito, registrando tassi di crescita negativi. A parziale spiegazione diquesto fenomeno, si deve considerare che la crisi finanziaria ha avuto im-patti maggiori sulle banche di maggiore dimensione per via della più in-tensa esigenza di rafforzare la dotazione patrimoniale. Le banche di me-dia e piccola dimensione, tra cui anche le banche di credito cooperativo,hanno invece continuato ad erogare credito a ritmi superiori e positivi. Dasegnalare inoltre che in presenza di una minore disponibilità delle ban-che ad erogare credito, le imprese di maggiore dimensione hanno fattoricorso in modo massiccio direttamente al mercato dei capitali medianteingenti emissioni di obbligazioni: ciò è avvenuto negli Stati Uniti, in partein Europa e in misura minore, ma superiore al passato, anche in Italia. Seda un lato il ricorso al mercato dei capitali è un’opzione per le imprese digrande dimensione di diversificare le proprie fonti di finanziamento e di ri-durre la propria dipendenza dal sistema bancario, non lo è invece per leimprese di media e piccola dimensione che soffrono e continueranno asoffrire le minori disponibilità delle banche alla erogazione del credito. Inquesto quadro di forte deterioramento dell’attività economica, la qualitàdel portafoglio crediti delle banche sta rapidamente deteriorandosi e taledeterioramento è previsto continuare anche per i prossimi mesi.

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Lo scenario previsto da Prometeia incorpora il ritorno alla crescita delPIL (anche se modesto) per il 2010 e con esso ritmi positivi (ma conte-nuti) di crescita del credito bancario in linea con la ripresa economica. Ciòdovrebbe riguardare sia le imprese sia le famiglie anche se non si torne-rà più ai ritmi di crescita ante crisi. In questo scenario i volumi di inter-mediazione delle banche saranno decisamente più bassi del passato,anche tenendo conto del fatto che i volumi di credito pre-crisi erano si-gnificativamente superiori a quelli dell’attività economica. Per finanziarela crescita degli impieghi ci attendiamo anche una ripresa della raccoltabancaria. Su questo fronte mi preme sottolineare in particolare il proble-ma del riequilibrio delle scadenze, tema che assumerà sempre più im-portanza a fronte dei vincoli di liquidità che verranno introdotti dalla nuo-va regolamentazione. In questo contesto gli spread sono e rimarrannobassi, pertanto riteniamo che il margine di interesse anche nel 2010 dif-ficilmente tornerà a crescere. La ripresa del margini di interesse è previ-sta solo nella seconda parte del 2010-2011.

I conti economici delle banche saranno ancora condizionati dalla dina-mica in crescita delle rettifiche sui crediti in portafoglio: saranno moltoconsistenti nell’esercizio in corso ma lo saranno anche nel 2010. Ne con-seguiranno risultati economici delle banche decisamente inferiori al pas-sato con una redditività sul capitale che non tornerà più ai livelli prece-denti. Prevediamo ritorni sul capitale mediamente molto bassi (tra il 3 e il4%) che renderanno difficile al sistema bancario ricorrere al mercato deicapitali per raccogliere i maggiori capitali necessari a fronteggiare i mag-giori rischi e le richieste dei regolatori di operare con una dotazione pa-trimoniale più elevata.

Nel cercare di avere una indicazione di massima sulla solidità del si-stema bancario italiano e sulle necessità di ricapitalizzazione abbiamocercato di simulare il conto economico aggregato delle banche italiane inuno scenario di stress. Nel triennio 2009-2011 a fronte di uno scenario dibase che prevede rettifiche per 42 miliardi di euro, lo scenario di stressprevede rettifiche per 50 miliardi (sono state 20 miliardi nel triennio 2006-2008). Pur in presenza di tale deterioramento nella qualità del portafogliocrediti e di un margine di interesse inferiore, mentre in molti sistemi ban-cari gli scenari di stress portano a previsioni di perdite superiori alla ca-pacità di reddito annuale del conto economico, il conto economico ag-gregato del sistema bancario italiano risulta, così come è stato finora, an-cora in grado di assorbire le maggiori perdite e quindi in grado di non in-taccare la base patrimoniale. Pur in un contesto economico particolar-mente difficile, questi risultati introducono una nota di ottimismo sulla te-nuta complessiva del nostro sistema bancario.

In uno scenario in cui l’attività di intermediazione crescerà a ritmi con-tenuti, i bassi tassi di interesse manterranno elevata la pressione sul mar-gine di interesse e la debolezza della ripresa economica difficilmente

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consentirà di arrestare il deterioramento della qualità del portafoglio cre-diti, le banche tutte, anche quelle di piccola dimensione, dovranno cer-care di capire quali iniziative intraprendere per contrastare la riduzione diredditività e conseguire le condizioni per attirare l’interesse degli investi-tori a sottoscrive i necessari aumenti di capitale. Tra le diverse possibili ri-sposte vi sono certamente le azioni volte al recupero di efficienza opera-tiva.

In questo quadro torniamo a focalizzare la nostra attenzione al sistemadelle BCC ed in particolare a quello dell’Emilia Romagna. Sappiamo chele BCC emiliano romagnole presentano delle peculiarità. Tali elementi di-stintivi danno origine certamente ad opportunità ma potrebbero costitui-re allo stesso tempo anche criticità, a fronte della complessità dello sce-nario atteso appena illustrato. Tra i principali elementi distintivi delle BCC

emiliano romagnole ricordiamo:

• elevato localismo e capillarità: questo è un elemento molto impor-tante, soprattutto oggi dove a seguito della crisi l’immagine di banca lo-cale sta uscendo molto rafforzata nella percezione della clientela. Allostesso tempo però l’essere molto concentrati territorialmente rende dif-ficile diversificare le opportunità di business: se i settori produttivi diun’area territoriale vanno in crisi, è difficile per una BCC eluderne glieffetti.

• minore frammentazione della rete distributiva rispetto alla media

del sistema cooperativo: questo elemento distintivo ha sicuramentegià consentito alle BCC emiliano romagnole di beneficiare di qualcheeffetto scala e di vantaggi di efficienza. E’ necessario però ricercare an-cora maggiore efficienza, anche attraverso la valorizzazione del contri-buto delle strutture centrali;

• forte legame con il tessuto socio-economico: tale elemento distin-tivo può generare sicuramente un’opportunità di business per via dellaforte fidelizzazione della clientela; dall’altro lato può però generarequalche “vincolo” sul fronte dell’erogazione del credito;

• prevalenza dellʼintermediazione tradizionale nella generazione

dei ricavi: la forte componente di ricavi di natura tradizionale rappre-senta oggi un potenziale vantaggio competitivo per le BCC emiliano ro-magnole in quanto ha consentito di subire meno gli effetti della crisi difiducia soprattutto sulla parte di gestione titoli che invece le banche digrandi dimensioni hanno sperimentato. A fronte di ciò però non dob-biamo dimenticare la minore opportunità di diversificazione dell’offertaall’interno di uno scenario tassi non favorevole;

• rapporto impieghi/raccolta più equilibrato: a questo proposito vo-glio sottolineare che l’intero sistema bancario sarà destinato a soffrirese non ripartirà il mercato delle cartolarizzazioni, anche di quelle piùsemplici. In assenza di cartolarizzazioni, le banche saranno infatti chia-mate a finanziare l’erogazione degli impieghi alle imprese e alle fami-glie con la sola raccolta diretta. Ecco perché monitorare il rapporto im-

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pieghi/depositi diventa fondamentale. Pur in presenza di un valore me-dio equilibrato, tale rapporto per alcune BCC emiliano romagnole è giàmolto al limite, in alcuni casi superiore al 100%: se non si riapre il mer-cato dei finanziamento all’ingrosso, dove finanziare una parte del por-tafoglio mutui, tali BCC potrebbero avere meno possibilità di continua-re ad erogare credito;

• buona solidità patrimoniale: il lato positivo è che ci sarà plausibil-mente una minore necessità di adeguamento dei coefficienti patrimo-niali ai nuovi standard indicati dai regolatori. Bisognerà però prestaremolta attenzione ai rischi.

All’interno di questo quadro, riprendendo l’ultima parte della ricercarealizzata, siamo andati a vedere cosa è successo alle BCC emiliano-ro-magnole dal ’93 ad oggi, dove sono state realizzate le nuove aperture disportelli, come è cambiato il posizionamento competitivo e in quali areesi potrebbe crescere in futuro. Innanzitutto, occorre ricordare che per ef-fettuare questo tipo di ricerca Prometeia ha lavorato insieme alla Fede-razione, cercando di focalizzare le attività di analisi sull’attuale distribu-zione sul territorio delle BCC emiliano romagnole e delle rispettive reti ecercando di individuare le principali direttrici di sviluppo e i risultati con-seguiti negli ultimi 15 anni. Dal punto di vista metodologico, abbiamo ca-librato ed alimentato con le informazioni legate al territorio in nostro pos-sesso diverse tipologie di indicatori allo scopo di capire dove sono le areea basso o ad alto potenziale. Le tipologie di indicatori calcolati conside-rano i seguenti aspetti:

• caratteristiche socio-economiche del territorio;• qualità ed intensità della domanda di servizi finanziari dei privati e del-

le imprese;• livello di competizione e di contendibilità del mercato bancario;• dinamica macroeconomica e finanziaria attesa.

Attraverso un sistema di pesi è stato infine realizzato un indicatore sin-tetico applicato al territorio dell’Emilia Romagna, ai 41 sistemi locali dellavoro e ai 341 comuni. E’ stata realizzata una prima cartina che distin-gue la potenzialità del territorio, definita in base al cosiddetto “indicatoresintetico di potenzialità” attraverso diversi colori (diapositiva 5). I verdi, ipiù scuri, sono i territori ad alta potenzialità; quelli con le tonalità più chia-re, via via, sono quelli a minore potenzialità, le aree grigie sono a bassapotenzialità.

Dove sono localizzate le BCC emiliano romagnole? Nella mappa suc-cessiva (diapositiva 6) il blu più intenso identifica le aree in cui vi è unapresenza forte, identificata da una quota sportelli superiore al 30%; gli al-tri colori con tonalità a sfumare evidenziano invece le aree di minore pre-senza. Ciò che emerge chiaramente è che la presenza delle BCC in re-gione non è omogenea. Esistono aree di presidio storico nella parteorientale della regione e nell’area bolognese (diapositiva 7). In questi ter-

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1 In diapositiva 12 i sistemi locali del lavoro sono mappati sulla cartina della regio-ne con i colori utilizzati in diapositiva 11.

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ritori certamente interessanti dal punto di vista economico cominciano adesserci – lo ricordava il Presidente Magagni all’inizio – significative com-presenze. Ci sono invece altre aree della regione ad alto potenziale do-ve la presenza delle BCC emiliano romagnole appare contenuta o inesi-stente.

Se si guarda a come è stato indirizzato il percorso di crescita in questianni (diapositiva 8), si nota che le BCC emiliano romagnole sono uscitefuori dai territori e dai contesti tradizionali: è sui comuni di maggiori di-mensioni che si registrano i tassi di crescita più accentuati di nuove aper-ture. Su 195 sportelli aperti dal ’93 al 2008, 55 hanno interessato comu-ni grandi (popolazione tra 12.000 e 100.000 abitanti), 34 comuni moltograndi (popolazione superiore a 100.000) e 21 comuni piccoli (popola-zione inferiore a 12.000 abitanti). Dei 195 sportelli aperti dal ’93 ad oggi(diapositiva 9), 116 sportelli sono stati aperti in piazze già presidiate nel’93 e 79 in piazze di nuovo ingresso. In particolare sono state aperte fi-liali in 99 comuni, 36 già di presenza nel ’93 e 63 di nuovo ingresso. Sesi distingue la tipologia dei territori interessati alle nuove aperture di spor-telli in termini di potenziale, si nota che i 116 sportelli aperti in comuni giàpresidiati nel ’93 sono stati aperti soprattutto in comuni di alta-elevata po-tenzialità, mentre i 79 sportelli aperti in comuni di nuovo ingresso sonostati insediati anche in piazze di bassa-media potenzialità. In modo par-ticolare nelle piazze già presidiate, si è poi intensificato il fenomeno del-le compresenze di sportelli di 2 o più BCC emiliano romagnole. Se si ana-lizzano le informazioni di performance economica (diapositiva 10), esclu-dendo gli sportelli aperti dopo il 2005 per evitare di considerare filiali nonancora a regime, e si confronta la redditività media degli sportelli apertipre ’93 e post ’93, emerge in modo netto che le nuove aperture eviden-ziano risultati mediamente inferiori.

Concentrando l’attenzione sulla situazione attuale e mappando i siste-mi locali del lavoro in un grafico a quattro quadranti, dove nell’asse oriz-zontale si indicano la quota percentuale degli sportelli della Federazionee sull’asse verticale l’indicatore sintetico di potenzialità (diapositiva 111) èpossibile evidenziare 5 situazioni tipo:

1. territori (area in alto a sx) con un basso livello di presidio, ancorché adaltissimo potenziale, e che potrebbero rappresentare il target per nuo-ve aperture di sportelli;

2. territori (area in alto a dx) dove le BCC sono già molto presenti e si ri-levano elevati livelli di potenziale, per i quali potrebbe essere oppor-tuno orientare le future strategie al consolidamento della presenza va-lorizzando il marchio;

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3. territori (area in basso a dx) - non tanti – dove le BCC hanno una ele-vata presenza in termini di sportelli, a fronte di livelli bassi di attrattivi-tà, in cui bisognerebbe capire se rimanere e come rimanere;

4. territori (area in basso a sx) dove si potrebbe prevedere una presen-za, in quanto la quota sportelli complessiva è ancora contenuta, madove la decisione deve essere attentamente ponderata alla luce delbasso potenziale evidenziato;

5. territori (area in mezzo al quadrante) che registrano livelli ottimali dipresidio in termini di sportelli (quota sportelli intermedia, né troppobassa, né troppo alta) e di potenzialità.

Replicando l’analisi sui comuni, si ottiene che i 341 comuni della re-gione sono suddivisi come segue (diapositiva 13):• 151 comuni che ci risultano di bassa potenzialità (44,6%);• 99 comuni di media potenzialità (29%); • 68 comuni ad alta potenzialità (19,9%);• 22 comuni a potenzialità molto alta (6,5%).

I 147 comuni di insediamento delle BCC emiliane romagnole sono in-vece così suddivisibili:

• 28,6% di comuni a bassa potenzialità;• 32% di comuni di media potenzialità;• 27,9% di comuni ad alta potenzialità;• 11,6% comuni a potenzialità molto alta.

In sintesi, le BCC emiliano-romagnole risultano concentrate soprattut-to sui comuni a maggiore attrattività. Vi è infine evidenza empirica che lefiliali insediate nei comuni ad alto potenziale e nei capoluoghi conseguo-no mediamente performance migliori (diapositiva 14).

Provando a sintetizzare gli elementi di analisi, insieme alla Federazio-ne, sono state identificate quattro macro aree geografiche sulla base del-le potenzialità del territorio, del grado di copertura del territorio e dei ri-sultati delle BCC emiliano romagnole. Per ciascuna di queste macro areesono state identificate le principali linee guida per un futuro sviluppo so-stenibile nel medio-periodo. Le quattro macro aree sono state denomina-te come segue: i) direttrice ovest; ii) pianura centro emiliana; iii) entroter-ra romagnolo, alto Adriatico e l’Appennino bolognese; iv) basso Adriaticoe Appennino romagnolo (diapositiva 15). Su queste quattro macro aree,leggendo insieme i vari indicatori, emergono le seguenti indicazioni:

i. la “direttrice ovest” mostra buone potenzialità, soprattutto nella Pianu-ra Padana (meno attrattive le zone appenniniche), e bassi livelli dicompresenza di marchi BCC emiliano romagnole. Evidenzia inoltreuna crescita sostenuta dei soci nell’ultimo triennio. Su quest’area si ri-levano buone opportunità di consolidamento in termini di penetrazio-

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ne commerciale e di nuove aperture in comuni già di presenza o an-che contigui. Si tratta fondamentalmente di territori su cui possono es-sere perseguite strategie di crescita dei volumi, a parità di capacitàproduttiva e anche tramite nuove aperture in comuni contigui o già dipresenza ad alto potenziale (tra cui alcuni capoluoghi di provincia);

ii. l’area “pianura centro emiliana” mostra elevate potenzialità lungo lavia Emilia, potenzialità più contenute nel resto dell’area; l’area si ca-ratterizza inoltre per una media-bassa compresenza di marchi di BCCemiliano romagnole. Dal punto di vista della dinamica di sviluppo del-la base sociale, nell’ultimo triennio sono stati registrati tassi di cresci-ta sostenuti. Su quest’area si rilevano opportunità di consolidamentoin termini di penetrazione commerciale, in particolare attraverso azio-ni di sviluppo dei volumi e in misura più contenuta tramite nuove aper-ture in comuni contigui;

iii. l’area “entroterra romagnolo, alto Adriatico, Appennino bolognese”mostra potenzialità discrete del territorio, con l’eccezione dell’altoAdriatico dove gli indicatori evidenziano livelli di attrattività contenuta,bassa compresenza di più marchi di BCC emiliano romagnole, buonapenetrazione commerciale, limitate possibilità di nuove aperture in co-muni attuali e contigui. L’area evidenzia inoltre una crescita dei socinell’ultimo triennio più contenuta rispetto alla media regionale. Le stra-tegie future da adottare in questa area dovrebbero essere orientateprincipalmente al consolidamento della marginalità unitaria ed al con-tenimento dei costi / ricerca di efficienza;

iv. l’area “basso Adriatico e Appennino romagnolo” mostra buone poten-zialità sul basso Adriatico, più contenute sulle zone appenniniche, ele-vata compresenza di marchi di BCC emiliano romagnole, buoni livellidi penetrazione commerciale sui volumi, marginali possibilità di nuoveaperture. L’area evidenzia inoltre una crescita dei soci nell’ultimo trien-nio più contenuta rispetto alla media regionale. Per le BCC operanti suquesti territori potrebbe essere in futuro opportuno concentrarsi sulconsolidamento della marginalità unitaria e di contenimento dei costi.

Dopo la crisi finanziaria, tutto il sistema economico, e in modo partico-lare il sistema finanziario, si dovrà misurare – tutto, quindi anche le ban-che di credito cooperativo, ovviamente con le proprie specificità – con an-nunciati cambiamenti regolamentari, in particolare sui vincoli di liquidità,sul grado di trasformazione delle scadenze, sulla maggiore dotazione dicapitale e, complessivamente, su un minore ricorso alla leva finanziaria.Anche se questi non appaiono essere i problemi immediati del sistemadel credito cooperativo, caratterizzato da elevati livelli di patrimonio ebassa leva finanziaria, tuttavia in futuro la distanza relativa dei ratios pa-trimoniali delle BCC e degli operatori è destinata a ridursi, in quanto lebanche non mutualistiche saranno immediatamente sollecitate ad ade-guarsi ai nuovi vincoli normativi. Quale impatto questi cambiamenti po-tranno avere sul modo di operare e sulle strategie delle BCC?

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Le banche di grande dimensione stanno modificando le proprie strate-gie reindirizzando la propria attenzione al territorio, alle imprese di picco-le e media dimensione, alle famiglie; ne consegue un aumento della pres-sione competitiva sul territorio con possibili impatti sull’operatività anchedelle BCC. Come indirizzare, in questo nuovo contesto competitivo, un ri-pensamento critico dell’attuale modalità di fare banca, del proprio ruolodi banca di credito cooperativo? Si sono sempre descritte le BCC comeperfezionatori del circuito di credito. E’ ancora attuale questa funzione al-la luce delle esigenze di consolidamento dei risultati e di ricerca di nuovispazi di efficienza? Sono sfide molto difficili, in un quadro che sta cam-biando ed è cambiato molto, e che coinvolge sicuramente tutto il sistemafinanziario, in particolare a livello nazionale, ma anche il sistema dellebanche di credito cooperativo.

Questi sono i punti che la mia relazione e il lavoro di Prometeia, insie-me alla Federazione dell’Emilia Romagna, aveva il compito di portare al-la vostra attenzione, spunti di riflessione per poter inquadrare le vostredecisioni nei prossimi mesi, in un percorso di crescita, che è stato moltoimportante dal ’93 ad oggi. Credo ci siano ancora gli elementi per prose-guire su un altrettanto importante percorso di crescita, sapendo gestireuna complessità che è continuamente mutevole, come è la complessitàstessa.

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ALLEGATO

GIUSEPPE LUSIGNANI

Diapositive dell’intervento

“Il posizionamento delle BCC emiliano-romagnolee le prospettive di sviluppo per gli istituti di credito

di minore dimensioni”

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evoluzione di medio periodo

la regione conferma una buonadi benessere

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DIAPOSITIVA N. 1

fonte: elaborazioni prometeia su dati Istat

100

105

110

115

120

125

130

1993 1996 1999 2002 2005 2008

Emilia Romagna Nord Est Italia

dinamica del PIL (numero indice, 1993=100)

tasso

di cre

scita

2008 - indicatori macroeconomici

0

5

10

15

20

25

reddito pc

(€/ 000) sx

consumo pc

(€/ 000) sx

t disoc (%) dx

emilia romagna nord est italia

0

2

4

6

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della regione e del sistema bancario

dinamica sociale e notevoli livelli economico

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riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 1

100

105

110

115

1993 1996 1999 2002 2005 2008

Emilia Romagna Nord Est Italia

dinamica della popolazione (numero indice, 1993=100)

evoluzione ’93-’08 indicatori macro

0%

20%

40%

60%

80%

reddito pc

sx

consumo pc

sx

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

t disoc (%)

dx

emilia romagna nord est italia

va

ria

zio

ne

asso

luta

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evoluzione di medio periodo della regione e del sistema bancario

il contesto bancario in Emilia Romagna presenta

elevati livelli di concorrenza

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 2

fonte: elaborazioni prometeia su dati Banca d’Italia, Istat, Consob, Poste Italiane

1993 2000var. 1993-

20002008

var. 2000-2008

1993 2000var. 1993-

20002008

var. 2000-2008

numero comuni bancati 326 328 0.6% 330 0.6%326 328 0.6% 330 0.6%

numero marchi presenti 123 119 -3.3% 137 15.1%123 119 -3.3% 137 15.1%

numero sportelli 2016 2840 40.9% 3605 26.9%2016 2840 40.9% 26.9%

21294 28175 32.3% 34146 21.2%benchmark Italia 21294 28175 32.3% 34146 21.2%

0.52 0.72 39.8% 0.85 18.0% 1.08 2.44nro sportelli per abitante (/000)(/000)

0.52 0.72 39.8% 0.85 18.0% 1.08 2.44

0.37 0.49 32.1% 0.57 15.0% 0.80 1.03benchmark Italia 0.37 0.49 32.1% 0.57 15.0% 0.80 1.03

2008 2008

spor +

poste

per

1000 ab

promotori

per

1000 ab

evoluzione di medio periodo della regione e del sistema bancario

il panorama competitivo regionalesi è fortemente modificato

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 3

fonte: elaborazioni prometeia su dati Banca d’Italia

banche classificate in base alla categoria di appartenenza alla data di riferimento: es. Rolo è Locale | Grande nel 1993 e Gruppi nazionali | interr nel 2008

Totale regionale 2016 2840 41% 3605 27%

di cui: BCC 169 269 59% 411 53%

BCC Fed. ER 157 242 54% 352 45%

Altre BCC 12 27 125% 59 119%

di cui: altri operatori 1847 2571 39% 3194 24%

Locale | media piccola 656 673 3% 702 4%

Locale | Grande 768 1031 34% 375 -64%

Gruppi nazionali | interr 423 867 105% 2117 144%

Numero sportelli

100.0 100.0 100.0

8.4 9.5 11.4

7.8 8.5 9.8

0.6 1.0 1.6

91.6 90.5 88.6

32.5 23.7 19.5

38.1 36.3 10.4

21.0 30.5 58.7

Quota sportelli (%)

1993 2000var. 1993 -

2008var. 2000

20081993 2000 2008

var. 2000 -20082000

2000 200819931993

34

DIAPOSITIVA N. 2

DIAPOSITIVA N. 3

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riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 4

composizione della compagine sociale BCC

ER (distribuzione 2008 per provincia di insediamento BCC)

dinamica della compagine sociale(numeri indice 1993 = 100)

-15

-25

-17

+9

+14

120

143

179

232

135

168

196

235

283

257

247

269

100

120

140

160

180

200

220

240

260

280

300

1993 1996 2000 2003 2006 2007 2008

Italia

Emilia Romagna

fonte: elaborazioni prometeia su dati di Bilancio Sociale di Federazione BCC ER

bologna

31%

ferrara

5%

forli

18%

rimini

6%

reggio emilia

18%

ravenna

20%

piacenza

3%

analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

la potenzialità complessiva della regionemostra significative differenziazioni

a livello territoriale...

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 5

COMACCHIO

ARGENTA

MESOLACOPPARO

FERRARA

CATTOLICA

RIMINI

CESENA

CESENATICOFORLI'

SANTA SOFIA

RAVENNA

MODIGLIANA

FAENZA

BAGNO DI ROMAGNA

ROCCA SAN CASCIANO

GAGGIO MONTANO

LUGO

IMOLA

MODENA

SASSUOLOBOLOGNA

ZOCCA

FANANO

PIEVEPELAGO

VILLA MINOZZO

CASTELNOVO NE'MONTI

PAVULLO NEL FRIGNANOBORGO VAL DI TARO

LANGHIRANOBEDONIA

BOBBIO

CENTO

MIRANDOLA

CARPI

GUASTALLA

REGGIO NELL'EMILIA

PARMA

FIDENZA

FIORENZUOLA D'ARDA

PIACENZA

potenzialità del territorio (ISP)

fonte: elaborazioni prometeia

“top”: ISP >= 89

molto alto: 68 <= ISP <

89

alto 53 <= ISP < 68

medio: 40 <= ISP < 53

basso: ISP < 40

35

DIAPOSITIVA N. 4

DIAPOSITIVA N. 5

evoluzione di medio periodo della regione e del sistema bancario

la compagine sociale delle BCC Fed. ERha evidenziato una dinamica più sostenuta rispetto all’evoluzionedel credito cooperativo a livello

nazionale

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analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

...così come non appare omogenea l’intensitàdel presidio nelle varie aree territoriali

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 6

CATTOLICA

RIMINI

CESENA

CESENATICO

SANTA SOFIA

BAGNO DI ROMAGNA

ROCCA SAN CASCIANO

MODIGLIANA

FORLI'

GAGGIO MONTANO

IMOLA

FAENZA

RAVENNA

LUGO

COMACCHIO

ARGENTA

MESOLACOPPARO

FERRARA

CENTO

MIRANDOLA

MODENA

GUASTALLA

CARPI

BOLOGNA

PAVULLO NEL FRIGNANO

ZOCCA

FANANO

PIEVEPELAGO

VILLA MINOZZO

CASTELNOVO NE'MONTI

SASSUOLO

REGGIO NELL'EMILIA

LANGHIRANO

BORGO VAL DI TARO

BEDONIA

BOBBIO

PARMA

FIDENZA

FIORENZUOLA D'ARDA

PIACENZA

q.sportelli > 30%

18% < q.sportelli <= 30%

10% < q.sportelli <= 18%

0% < q.sportelli <= 10%

q. sportelli = 0%

fonte: elaborazioni prometeia

presidio del territorio (quote sportelli credito cooperativo – dic’08)

analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

storicamente le BCC Fed. ER presidiano laparte orientale della regione e l’area bolognese

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 7

-1 (1)

0 (184)

1 (84)

2 (39)

3 (23)

Compresenza

Chiusura dal ’93

BCC non presente

BCC presente dal ’93

Apertura BCC ’93-’00

Apertura BCC ’00-’08

presidio del territorio delle BCC Fed. ER :

evoluzione dal ’93 al 2008

fonte: elaborazioni prometeia

36

DIAPOSITIVA N. 6

DIAPOSITIVA N. 7

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analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

in particolare dal 2000 il processo di crescitaè stato indirizzato ad aprire presidi

su comuni di grandi dimensioni

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 8

comuni

piccoli

62.6%

comuni molto

grandi

5.4%

comuni

grandi

32.0%

comuni

piccoli

37.2%

comuni molto

grandi

23.6%

comuni

grandi

composizione % sportelli Fed. ER per

dimensione comune di presenza

(2008)

39.2%

composizione % comuni di presenza Fed. ER (2008)

+34

+55

+21

var.

assoluta

2000-08

fonte: elaborazioni prometeia su dati Banca d’Italia; la soglia dimensionale è definita in base al valore medio

regionale (piccoli< di 12.000 abitanti; 12.000< grandi < 100.000 abitanti; molto grandi> 100.000 abitanti)

Tipologia comune 1993 2000 2008

molto grandi

- bancat i 731 1007 1332

- presidiat i FED. ER 30 49 83

- % copertura 4% 5% 6%

grandi

- bancat i 584 874 1254

- presidiat i FED. ER 56 83 138

- % copertura 10% 9% 11%

piccoli

- bancat i 701 959 1019

- presidiat i FED. ER 71 110 131

- % copertura 10% 11% 13%

Totale

- bancat i 2016 2840 3605

- presidiat i FED. ER 157 242 352

- % copertura 8% 9% 10%

Numero sportelli

+195

analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

dal ’93 la maggior parte degli sportellisono stati aperti in comuni già presidiati

dalle BCC Fed. ER privilegiando le piazze a maggior attrattività

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 9

fonte: elaborazioni prometeia

195sportelli aperti

dal ‘93 ad oggi

molto alto

alto

medio

basso

potenzialità

del comune

36 6399comuni

interessati

116

piazze già presidiate al ‘93

79

piazze di ingresso 1993-2008

di cui in

compresenza

5 712

2115

61

4

27

nro comuni di

apertura

nro sportelli apert i

23 25

15 16

1619

919

nro comuni di

apertura

nro sportelli apert i

9

1

33

37

1

12

5

2

1

1

1

4

2

2

2

37

DIAPOSITIVA N. 8

DIAPOSITIVA N. 9

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analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

gli sportelli di più recente aperturaevidenziano mediamente risultati inferiori

rispetto alle filiali storiche

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 10

composizione % filiali per soglia di margine per

addetto (dicembre 2008)

soglie del margine per addetto

rispetto alla media banca di

riferimento

fonte: elaborazioni prometeia su dati interni delle BCC Fed. ER

escluse aperture effettuate dopo il 2005

1%10%15%

45%43%

28%

42%

17%

sportelli apert i prima del

'93

sportelli apert i dopo il

'93

>=115%

85%<<=115%

50%<<=85%

<=50%

analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

permangono delle aree ad alta potenzialitàancora poco presidiate dalle BCC Fed. ER

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 11

presidio

“ottimale”

Mesola

Villa Minozzo

Castelnovo

ne'monti

BobbioBedonia

PievepelagoComacchio Bagno Di Romagna

CopparoZocca

Rocca San CascianoBorgo Val Di Taro

Fanano Pavullo Argenta

Santa SofiaFerraraLanghiranoFiorenzuola D'arda Gaggio MontanoCattolica

Faenza ModiglianaMirandolaLugo Cento

Guastalla CesenaticoForlìFidenzaCarpi

CesenaPiacenza Reggio Emilia Rimini

Ravenna

Modena

ImolaSassuolo

Parma Bologna

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0 5 10 15 20 25 30 35 40

quota sportelli % Fed. BCC ER

(dicembre 2008)

indic

ato

re s

inte

tico d

i

pote

nzia

lità

(vis

ta p

er

SLL)

fonte: elaborazioni prometeia; il target ottimale è definito in base a case study di sistema

consolidare la presenza

valorizzando il marchiosviluppare

la presenza

valutare

l’economicità

dell’ingresso

verificare la sostenibilità

della presenza

89

68

53

40

ISP medio

ISP alto

ISP molto alto

ISP “top”

ISP basso

elevato presidiobasso presidio

38

DIAPOSITIVA N. 10

DIAPOSITIVA N. 11

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analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

le aree ad elevata potenzialità/basso presidiosi collocano nell’area centrale e soprattutto

occidentale della regione

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 12

gpotenzialità e presidio del territorio

PAVULLO NEL FRIGNANO

ZOCCA

FANANO

PIEVEPELAGO

VILLA MINOZZO

GAGGIO MONTANO

CASTELNOVO NE'MONTI

SASSUOLO

MODENA

REGGIO NELL'EMILIA

BOLOGNA

CESENA

SANTA SOFIA

MODIGLIANA

FAENZA

FORLI'

ROCCA SAN CASCIANO

IMOLA

CATTOLICA

RIMINI

CESENATICO

BAGNO DI ROMAGNA

RAVENNA

LUGO

ARGENTA

MESOLA

COMACCHIO

COPPARO

FERRARA

CENTO

MIRANDOLA

CARPI

GUASTALLA

BORGO VAL DI TARO

LANGHIRANOBEDONIA

BOBBIO

PARMA

FIDENZA

FIORENZUOLA D'ARDA

PIACENZA

alto potenziale – alto presidio

alto potenziale – basso presidio

basso potenziale – alto presidio

basso potenziale – basso presidio

fonte: elaborazioni prometeia

analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

la presenza delle BCC Fed. ER risulta relativamente contenuta nei comuni /

SLL a basso potenziale

molto alto

alto

medio

basso152

42

99

47

68

41

22 17

Totale comuni Em.Ro. Comuni insediamento Fed.ER.

potenzialità

del comune

341 147

43 (12%)

169 (48%)

85 (24%)

55 (16%)

352

Sportelli

(11,6%)

(27,9%)

(32,0%)

(28,6%)

(6,5%)

(19,9%)

(29,0%)

(44,6%)

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 13

fonte: elaborazioni prometeia

razioni prometeia

riservato e c confidenziale 23 ottobre 2009 9 | 13

39

DIAPOSITIVA N. 12

DIAPOSITIVA N. 13

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analisi a supporto dell’individuazione delle opzioni strategicheper le BCC emiliano-romagnole

le filiali insediate nei comuni ad altopotenziale e nei capoluoghi conseguono

mediamente performance migliori rispettoal resto della rete

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 14

72% 73%

48%

20%

78%

monomarchio mult imarchio monomarchio mult imarchio

alto potenziale basso potenziale capoluoghi

% comuni con

margine per addetto

superiore al 90%

della media banca

di riferimento

escluse aperture effettuate dopo il 2005fonte: elaborazioni prometeia su dati interni delle BCC Fed.ER

% filiali con margine

per addetto

superiore al 90%

della media banca

di riferimento 47% 49%

30%

57%

76%

conclusioni

sulla base dell’analisi sui tre assi di indaginesono individuabili 4 macro-aree concaratteristiche in termini di presidio

e potenzialità di sviluppo differenziate...

riservato e confidenziale 23 ottobre 2009 | 15

COPERTURA DEL TERRITORIO DELLE

BCC FED. ER

COPERTURA DEL TERRITORIO DELLE

BCC FED. ER

RISULTATI

DELLE BCC FED. ER

RISULTATI

DELLE BCC FED. ER

POTENZIALITA’ DEL TERRITORIO

POTENZIALITA’ DEL TERRITORIO

direttrice ovestpianura centro-

emiliana

entroterra romagnolo,

alto adriatico,

app.no bolognese

basso adriatico,

appennino

romagnolo

pianura cen

ntro

TETECCCC

ETEC

POPOPOPO

TORIO DELLTORIO DELLEERRERRICOPERTURA DELCOPERTURA DELCOPERTURA DELCOP

ERRIERRIRITPERTURA DELTORIO DELLETORIO DELLER

COPERTURA DEL

OTENZIALITAOTENZIALITA DD EEL

TERRTERRI TORIOTORIOOTENZIALITA’OTENZI

TERRIDDEELED

TERRIRITALITATORIOTORIOTORIOTERRI

OTENZIALITA’

EELEEEL

LL LL dire

ttrice ovest

pianura cen

emilian

ent

ntro-

na

troterra romagnolo

alto adriatico

o,

TETETTE

D

BCC FED ERBCC FED. ERTORIO DELLTORIO DELLEERRERRITRITTORIO DE

C FED ERBCC FED. ERRRIBCCBCC FED. ER

TORIO DELLERRI

RISULTATRISULTATI

DELLE BCC FEDDELLE BCC FED.

ERER

RISULTATIRISULTATIDELLE BCC FED.E BC

ERERRDELLE BCC FED.

EE E

basso adria

appenn

alto adriatico,

app.no bolognese

atico,

nino

e

EREREER

riservato e co

appenn

romagno

| 23 ottobre 2009eialnfidenz

nino

olo

15

40

DIAPOSITIVA N. 14

DIAPOSITIVA N. 15

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GIORGIO COSTAGiornalista - Caposervizio“Il Sole 24 Ore - Centro Nord”

Dialogo con

PATRIZIO BIANCHIRettore dell’Università di Ferrara

FRANCESCO VELLADocente di Diritto Commercialepresso l’Università di Bologna

Giorgio Costa

Siamo in un momento in cui si parla continuamente di crisi economica,di incentivi e di come e quando si uscirà dalla recessione. Questa matti-na cercheremo di ragionare sul tema dell’economia e delle regole appro-fittando di un economista e di un professore che studia le regole, il dirit-to commerciale appunto, nel tentativo di sviluppare una discussione se-ria, ma leggera, partendo dalla cronaca e arrivando ai temi che stanno acuore a tutti noi.

Vorrei citarvi un articolo pubblicato recentemente da Il Sole 24 Ore escritto da Daniel Yergin, presidente della Cambridge Energy Research.Che scrive così: “L’equilibrio oscillante fra paura e avidità si è sbilanciatodrammaticamente dal lato dell’avidità. Il rischio è stato sottoprezzato esottovalutato. La prudenza veniva penalizzata e le aziende colpevoli di“pesantezza” non avevano speranze. Le retribuzioni sono cresciute trop-po, vincolando individui e istituti di credito a rischi crescenti”.

Credo che proprio questo dilemma tra paura e avidità possa essere ilfilo rosso che condurrà la discussione che faremo nel corso della matti-na.

Per prima cosa, approfittando della cronaca di oggi, vorrei chiedere aPatrizio Bianchi, che è Magnifico Rettore dell’Università di Ferrara e an-che uno dei primi economisti industriali in Italia, cosa ne pensa dell’usci-ta del Presidente del Consiglio, Berlusconi, di abolire l’Irap. È una mossagiusta? È una mossa che sarà possibile fare? Ricordo peraltro che l’Irapgrava sulle banche in maniera più pesante, rispetto alle normali attivitàproduttive.

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Patrizio Bianchi

In economia sono fondamentali le aspettative perché, rispetto a quelloche ci si immagina si potrebbero prendere delle decisioni di investimen-to e, ad esempio, si decide se puntare su un paese piuttosto che su unaltro. Se c’è oggi bisogno di una cosa per il prossimo futuro, è proprio sta-bilizzare le aspettative. Se Berlusconi dice: “Riduciamo l’Irap” immaginoche non possa essere un’altra battuta. Deve essere un percorso chiaro,sia sul lato dello sgravio fiscale per imprese e banche e deve essere chia-ro anche dal lato di chi poi deve spendere quelle imposte, cioè le Regio-ni. Se poi le Regioni rimangono senza fondi, così come i Comuni sono ri-masti senza le risorse derivate dall’ICI, semplicemente andiamo a spo-stare l’incertezza da una parte all’altra.

Questo non può funzionare. Quindi, se sono parole, le prendiamo co-me parole. Se sono fatti, in economia i fatti vanno realizzati e verificati neiloro effetti.

Giorgio CostaLa prudenza di Tremonti, effettivamente, fa sospettare che qualche pa-

rola in più in libertà possa essere anche stata detta.Professor Vella, lei si occupa di Diritto Commerciale e lo insegna al-

l’Università di Bologna ma poi (come sentirete nel corso del dibattito),non è proprio un professore attaccato solo al Codice Civile ma ha ancheinteressi variegati e poliedrici.

La fiscalità è importante in questo momento, secondo lei, per aiutare latenuta delle imprese?

Francesco Vella

Non vi è dubbio che, e lo ricordava anche il Presidente della RegioneVasco Errani, per le piccole e medie imprese la fiscalità sia una leva im-portante. Ma, come persona che si occupa di regole, non posso non ri-chiamare un’esigenza più generale spesso trascurata. Dobbiamo, cioè,avere la consapevolezza che esiste un contesto di ambiente regolamen-tare che, per favorire lo sviluppo delle piccole e medie imprese, necessi-ta di radicali modifiche.

Probabilmente questa prospettiva ha meno risonanza sui mass media,ma ci sono alcuni profili – poniamo il rapporto con la pubblica ammini-strazione, tutta la disciplina dei tempi di pagamento ed anche il problemadei rapporti con gli intermediari, il problema delle infrastrutture, dell’en-forcement delle regole, cioè della tutela civilistica delle ragioni di credito– di estrema rilevanza che, sotto l’aspetto pratico, incidono profonda-mente sulla sopravvivenza e sui percorsi di sviluppo delle piccole e me-die imprese.

Sarei molto contento se questi aspetti rappresentassero un impegnoconcreto nell’agenda della politica, con proposte e iniziative ben definitenei contenuti e nei tempi di attuazione.

42

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43

Giorgio Costa

Veniamo, con il professor Bianchi, al tema inevitabile della crisi eco-nomica. È una crisi che si sta rivelando in tutta la sua forza come evi-dente riflesso di un sistema che aveva a disposizioni troppi mezzi di pro-duzione, che stava producendo, di fatto, troppo. Attualmente il sistemaproduttivo italiano funziona circa al 65%, quindi per il 35% abbiamo mac-chine che stanno ferme, che non lavorano, perché se lavorassero i loroprodotti non troverebbero sbocco. La situazione in Emilia Romagna, inparticolare, è difficile, al di là dei numeri (e a volte, dicendone tanti, nonci si capisce più) e ne voglio dire solo uno. È stato presentato due giornifa il rapporto sul primo semestre 2009 redatto da Unioncamere - Confin-dustria - Carisbo. Il risultato è che nei primi sei mesi del 2009 l’export del-l’Emilia Romagna ha perso il 26,2%. Tradotto in cifre significa minori ven-dite all’estero per 6,6 miliardi di euro.

Naturalmente, dietro a queste minori vendite per 6,6 miliardi di euro, sicelano la cassa integrazione e tutto quello che ne consegue. ProfessorBianchi, questa crisi sta impattando pesantemente sulle imprese, sullepersone e sulle famiglie.

Come ci siamo arrivati, secondo lei, e come ne potremmo uscire?

Patrizio Bianchi

Sono convinto che le crisi sono una parte costituente, strutturata, del-lo sviluppo.

Nei tempi antichi, ma anche per chi, come molti di noi, ha fatto la pro-pria infanzia nelle campagne, la crisi veniva perché c’era la tempesta.Cioè un effetto esterno su cui non si poteva fare niente. E se non era latempesta, era la guerra, era un’epidemia bovina, o altro. Cioè la crisi eraun fatto esterno.

Oggi viviamo in un mondo in cui la crisi è sempre generata dall’internodel mondo economico stesso. Se noi pensiamo a come è cambiato ilmondo negli ultimi venti anni, vediamo che la crisi è l’effetto di terremotipolitici e di aggiustamenti economici.

Fino a venti anni fa il mondo era diviso in due parti, più un residuo, il“terzo mondo”.

Quando un paese del terzo mondo tentava di entrare nel gioco era co-munque marginale e lo chiamavano, con una metafora, “in via di svilup-po”, così il nostro cuore e la nostra anima erano tranquilli.

Oggi il mondo è cambiato e lo vedete dai dati. Dal 1997 in poi i tassi dicrescita di tutto il mondo sviluppato tendono a calare – quindi la crisi èstata fortemente preannunciata – e quelli dei paesi che chiamavanoemergenti sono cresciuti fino ad essere il doppio o il triplo di quello deipaesi industrializzati.

L’Italia è sotto a tutti. La crisi italiana non nasce nel 2007, sono ven-t’anni che siamo fermi. Come nasce la crisi?

La crisi nasce in questo caso, come in passato, perché noi, di fronte a

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un mondo che cambiava, immaginavamo semplicemente di continuaresul percorso precedente dicendo: “È sempre passata. Ci fermiamo,aspettiamo. Passa e torniamo al percorso di prima”.

Dice giustamente Giorgio Costa: c’è un eccesso di capacità produttiva.Prendete il settore dell’automobile. Pensate che in Cina il massimo stori-co di produzione è stato 9 milioni di automobili, comprese le esportazio-ni, e vi è una capacità produttiva di quasi 20 milioni. Questo vuol dire chedobbiamo cogliere, in tutta la profondità, il senso proprio della crisi.

La crisi è il momento delle scelte. Prima il prof. Lusignani lo ha spiega-to in maniera chiara. Non si torna al mondo di prima. Quindi la teoria del“teniamoci stretti” e aspettiamo che passi, come quando c’era la tempe-sta, non funziona.

Bisogna cogliere quello che salta fuori e sarà un mondo in cui ci sa-ranno più condizioni di competitività.

La Cina si sta riprendendo, e la Cina che esce dalla crisi è diversa, nonfa maglie e magliette, è una Cina che fa più ricerca. Ma, ad esempio, èuna Cina che ha un bisogno spasmodico – fatemelo dire – di più assi-stenza, più solidarietà interna, più capacità di diffusione tecnologica.

Non è uno slogan: però tutte le cose che ci siamo detti in Emilia Ro-magna negli ultimi vent’anni, la crisi sta dimostrando non solo che eranogiuste ma diventano l’unico modello per avere uno sviluppo futuro soste-nibile.

Giorgio Costa

Francesco Vella, in un suo recente articolo, ha indicato un numero dicrisi nel mondo, negli ultimi secoli, pari a circa 120. Le crisi poi hanno unastoria molto lontana. Per non partire dall’impero romano, che ne fu og-getto, forse tanti conoscono quella dei “bulbi dei tulipani”, in particolaredel tulipano nero, che si sviluppò nel ‘600 in Olanda.

Fu il primo caso di drammatica crisi finanziaria dovuta al fatto che sicomprava e si vendeva allo scoperto, senza avere cioè il possesso ma-teriale del bene. Si speculava sui bulbi dei tulipani ma all’improvviso nonci furono più compratori. E il mercato crollò, con fallimenti e disastri fi-nanziari.

Quella che stiamo vivendo oggi, è evidente, è una crisi anche di rego-le. In particolare, per avvicinarci al mondo in cui operate voi, cioè il mon-do bancario, è sotto accusa la “grande banca”, il cosiddetto equivoco, co-me titolavamo ieri in un articolo del governare della Banca d’Inghilterra,Mervyn King, l’equivoco del “too big to fail”, troppo grande per fallire.

Ciò a dire che abbiamo creato istituti di credito talmente grandi che nonpossono più fallire. Però diceva giustamente ieri Greenspan: troppo gran-di per fallire ma anche troppo grandi per essere salvati. Le regole dellagovernance bancaria stanno cambiando rapidamente, nel senso di dive-nire sempre più restrittive, al punto che anche una Banca di Credito Coo-perativo dell’Emilia-Romagna è stata recentemente commissariata, nonperché andasse male economicamente ma perché ha avuto dei proble-

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mi gestionali, dei problemi di management. Quali rischi e quali potenzia-lità, professor Vella, per le Banche di Credito Cooperativo da questo cam-biamento e da questo nuovo sistema di regole?

Francesco Vella

Non vi è dubbio, e basta una rapida scorsa dei principali documenti de-gli organi di coordinamento internazionale, che il futuro dell’ordinamen-to della finanza sarà radicalmente diverso.

E in questo nuovo contesto il modello di banca cooperativa, fondatasul principio mutualistico, si presenta in una condizione di vantaggio.

Lo scenario che si disegna è, infatti, quello di una banca particolar-mente attenta ai bisogni del cliente, agli interessi degli stakeholder, lon-tana dalle logiche meramente speculative, che oltreoceano hanno crea-to tutti i problemi che sappiamo.

Per riassumere con le parole di Tommaso Padoa Schioppa, che ha de-dicato un bel libro recentemente a questi temi, un intermediario dalla ve-duta lunga, che esce dalla logica di breve periodo.

Il modello di Banca di Credito Cooperativo incorpora nel suo DNA, nel-la sua storia, questi valori, e quindi, nel contesto delle nuove regole, as-sume una posizione di vantaggio.

Occorre, però, guardare anche l’altra faccia della medaglia. Ci avviamoverso un sistema di regole molto più severo sul terreno dei controlli, del-la disciplina dei vincoli patrimoniali e di liquidità, dove sarà pressante larichiesta di grande efficienza alle funzioni amministrative e di direzione,in funzione di una maggiore conoscenza e prevenzione dei rischi. E que-sto in mercati, soprattutto con riferimento alla attività retail, sempre piùcompetitivi.

D’altronde, la crisi finanziaria che abbiamo vissuto trova origine pro-prio nella incapacità di prevedere, comprendere e affrontare le nuove ca-ratteristiche “sistemiche” dei rischi sui mercati finanziari.

Tentando di semplificare, con un’espressione a effetto, utilizzata nel lin-guaggio anglosassone, in futuro bisognerà abituarsi al thinking out of thebox, e cioè a pensare al rischio imprevisto, a quello non rintracciabile inbase a modelli matematici basati su serie storiche, a quello derivante dal-le fitte interconnessioni tra gli intermediari.

Sarà, questo, un compito delle autorità di vigilanza, ma anche, e direisoprattutto degli singole banche.

La domanda è: le Banche di Credito Cooperativo hanno una struttu-ra di governance adeguata a queste nuove sfide (e ricordo le osserva-zioni di Giorgio Costa, quando parlava di una banca sottoposta ad am-ministrazione straordinaria non perché andava male ma perché aveva deiproblemi di efficienza gestionale)?

Ragioni di tempo mi impongono uno sforzo di sintesi e mi limito a ri-chiamare alcuni principi: “indipendenza” ed “efficacia” del controllo inter-no, capacità dei consigli di amministrazione di avere un’attenzione parti-colare all’attività operativa e avere “piena consapevolezza” dell’evoluzio-

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ne strategica della banca e della sua rischiosità, l’esigenza di “idoneaqualificazione professionale” dei membri degli organi amministrativi, una“disciplina severa dei conflitti di interesse”.

Sono convinto che le Banche di Credito Cooperativo abbiano ben pre-senti questi profili, che naturalmente vanno affrontati con quel criterio diproporzionalità già sottolineato dalle istruzioni in materia di governancesocietaria emanate dalla Banca d’Italia (in altri termini, è evidente che lesoluzioni vanno modulate in ragione delle caratteristiche e delle dimen-sioni dell’intermediario).

Per entrare nei riflessi pratici, faccio soltanto due rapidi riferimenti: il pri-mo l’outsourcing dei controlli interni. Soluzione, opportuna, in particola-re per gli operatori di più limitate dimensioni, ma dal punto di vista squi-sitamente societario, non bisogna dimenticare che la responsabilità èsempre in capo agli organi della singola banca, e, quindi, come si co-niugano questi due aspetti?

Secondo riferimento: è immaginabile che vi sia una possibilità di coor-dinare la giusta rappresentanza del territorio negli organi amministrativicon l’introduzione di soggetti che abbiano una particolare qualifica, inmodo tale che possano portare un contributo tecnico di maggiore rile-vanza nell’azione di monitoraggio dell’attività bancaria?

Come sapete la Banca d’Italia, nelle sue istruzioni di vigilanza prima ci-tate, promuove la figura degli amministratori indipendenti, in tutte le ban-che, a prescindere che queste siano quotate o meno.

Mi rendo perfettamente conto che simili importanti innovazioni devonoadattarsi ai singoli contesti istituzionali, ai diversi modelli societari, alle di-verse realtà aziendali, ma ritengo che sia questo un terreno dove anchele Banche di Credito Cooperativo debbano aprirsi alla sperimentazione.

In sostanza, l’immagine che ho per il futuro è quella di una maratonadove le Banche di Credito Cooperativo partono con qualche metro di van-taggio sugli altri atleti; però devono guardarsi bene le scarpette per ve-dere se sono adeguate: il percorso sarà sicuramente difficile e bisognafare attenzione che non si rompano.

Giorgio Costa

La parola chiave della risposta - molto interessante - del professoreVella, credo sia la parola “rischio”. In un suo recente scritto si è spinto asostenere, se non sbaglio, che andrebbe remunerato il gestore del rischiotanto quanto l’amministratore delegato. È così?

Francesco Vella

Naturalmente mi riferivo alle banche di grandi dimensioni, ma il princi-pio che peraltro sembra accolto anche nelle prese di posizione di alcuneautorità di vigilanza nazionali ed internazionali, è semplice: in una banca,di norma, viene incentivato e particolarmente apprezzato il settore com-merciale, e cioè chi pensa allo sviluppo; spesso, sul terreno delle retribu-

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zioni, la stessa cosa non avviene per chi pensa ai controlli. La mia con-vinzione è che ci debbano essere incentivi anche per queste persone.Certo, non rapportati allo sviluppo ma, ad esempio, ad indici di soliditàdelle banche, a indici di continuità nel tempo della efficienza della strut-tura organizzativa.

Bisogna, in altri termini, far sì che la funzione di controllo diventi unafunzione che permeabilizza tutta la struttura della banca e che, proprioper questo motivo, abbia il suo giusto riconoscimento.

Giorgio Costa

Mi perdoni il prof. Bianchi, faccio un’altra brevissima riflessione col prof.Vella perché seguo il filo del ragionamento.

Patrizio Bianchi

Certo, andiamo in fondo a questa parte, è interessante.

Giorgio Costa

La Fondazione Unipolis si è occupata anche recentemente del temadei codici etici che, in qualche modo, è vicino al tema del controllo dei ri-schi.

Sui codici etici si è molto detto e si è poco fatto. Cosa è emerso, esat-tamente, in tema di codice etico, di autoregolamentazione delle imprese?

Francesco Vella

Questo è un aspetto di grande rilievo, se volete con implicazioni di ca-rattere generale che riguardano da vicino il mondo della finanza e dellebanche.

L’idea di dettare nuove regole, in alcuni casi molto invasive, trova ra-gione nel fatto che l’autoregolamentazione non ha funzionato, o, per dir-la con le parole del Presidente della Financial Services Authority inglese,con riferimento ai noti default, è “inutile pensare a regole per principi congente che principi non ne ha”.

Dobbiamo prendere atto, cioè, che la disciplina fondata sulla autono-mia dei privati non ha comportato grandi risultati.

Il caso dei codici di autoregolamentazione del quale parlava GiorgioCosta, è emblematico. La ricerca della fondazione Unipolis si basa suicodici etici delle più grandi società.

Sono codici etici adottati da molti anni, ritenuti da tutti molto soddisfa-centi: però una verifica, tramite interviste, circa la bassissima percen-tuale di sanzioni prodotte, mette in evidenza un dato interessante. O ef-fettivamente c’è una diffusa eticità in tutto il mondo, oppure vi è un serioe molto semplice problema di concreta applicazione di queste forme diautodisciplina: manca un adeguato enforcement.

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I codici etici, a mio parere, non devono essere una sorta di mettersiin bella posa per farsi fare una fotografia ben riuscita, ma devono, al con-trario, coniugarsi con magistrature interne, con competenze e autonomipoteri di indagine che li facciano realmente funzionare, e con un solidoapparato sanzionatorio.

Ogni codice etico dovrebbe essere assistito da un “Comitato Etico” fat-to da persone esterne, che non hanno niente a che vedere con la bancao con qualsiasi società, con poteri di iniziativa simili a quelli di un comi-tato audit e le sanzioni dovrebbero riguardare anche i vertici apicali.

In sostanza, oggi l’etica è un problema rilevante per i giuristi perché daun lato esistono normative etiche di grande spessore, che però, passa-temi l’espressione, non mordono, non graffiano.

La sfida del futuro non è tanto l’etica, ma la sua concreta applicazione.Un ultimo esempio su un terreno sempre più frequentato, quello dei

“Bilanci Sociali”. I Bilanci Sociali contengono dati sempre più approfonditi e completi ma

non è frequente rintracciare, così come avviene per la normale rendi-contazione, le “perdite sociali”e cioè manca, insieme ai risultati positivi,una completa rappresentazione anche di ciò che non è andato bene.

Concludendo, per il futuro è interesse degli attori privati impegnarsi se-riamente su una autoregolamentazione efficace e ben funzionante, per-ché solo così si tiene lontana la norma primaria, la norma pubblica inva-siva, altrimenti è giusto che questa occupi tutto il territorio dell’ordina-mento.

Giorgio Costa

Grazie al prof. Vella e ricordo a tutti la possibilità di interventi a fine deldibattito. C’è già una richiesta di intervento, guarda caso proprio sul temadelle regole.

Intanto, professor Bianchi, quanti Bilanci Sociali veritieri ha visto? Ap-prova la linea del prof. Vella in cui ci deve essere responsabilità anche inchi scrive il Bilancio Sociale e non deve essere una specie di “santino”comunque elogiativo?

Patrizio Bianchi

Certo, sono d’accordo in questo. Sono d’accordo che usciamo da unacrisi originata anche dall’aver perso di vista le regole interne ed esterne,rispetto alla vita delle imprese.

Credo che dovremmo, come dicevo prima, nel momento in cui uscia-mo da questa crisi, uscire anche con una testa diversa, quindi internaliz-zare molto le considerazioni che abbiamo fatto, ma stiamo parlando diimprese.

Quindi benissimo l’ipercontrollo del rischio, ci deve essere! Grande en-fasi sulla veridicità delle cose che si dicono però credo che queste siano

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funzioni, prima e dopo, di quello che rimane il cuore dell’impresa, che èfare impresa.

Abbiamo bisogno di avere più imprese in questo paese. Non dimenti-cate - cito un dato della Banca d’Italia rispetto al sistema industriale – chedelle 65.000 imprese che hanno più di 20 addetti in Italia, secondo laBanca d’Italia solo 5.000 erano in condizioni di affrontare la crisi in ma-niera significativa, sia perché avevano già messo mano alle regole inter-ne, sia perché avevano già ristrutturato le loro posizioni debitorie, sia per-ché avevano già fatto innovazione.

Se siamo un paese che, nonostante tutto quello che diciamo, ed è giu-sto che diciamo, della nostra capacità di esportazione, della nostra inno-vatività, alla fine non cresce da vent’anni è perché progressivamente ilnocciolo di coloro che sono stati capaci di crescere in un contesto mon-diale, non è stato sufficiente a trascinare il paese.

Credo che nei prossimi anni avremo un problema di fondo. Bisognanon solo rilanciare le imprese esistenti ma generare più leader.

Questi si generano perché, anche a livello locale, il rapporto con labanca diventa un rapporto continuativo, di fiducia reciproca, basato su re-gole chiare, basato sulla veridicità delle reciproche affermazioni. In que-sto c’è anche il Bilancio Sociale.

Però non voglio enfatizzare il ruolo del Bilancio Sociale. Il Bilancio So-ciale è uno strumento che, giustamente, deve “dire” l’impatto di una im-presa e quanto più un’impresa è legata al territorio è giusto che lo faccia.

Lo faccio io come Università. La prima Università d’Italia che ha fattoun Bilancio Sociale.

Però, attenzione, è sul bilancio che si fanno i conti. Cioè non tentiamodi confondere una giusta e necessaria comunicazione al territorio con lacomunicazione su cui si basa la verifica della solidità e delle aspettativedi una struttura come quella di una banca. Sono cose che vanno insie-me, non sono fra loro alternative.

Rispetto alle cose che diceva Francesco Vella, credo che lui abbia ra-gione. La cosa più necessaria è che tutte queste cose che lui diceva pri-ma tornino ad essere cose naturali, tornino ad essere quasi dei compor-tamenti non dico scontati ma necessari.

Abbiamo visto che chi in questi anni si è mosso con delle forti regole,incarnate nella storia, oggi si trova in posizione buona.

Chi ha spezzato completamente le regole del passato, quando ci siguardava negli occhi e ci si stringeva la mano, perché questo era l’atto difiducia che si basava su un principio di onore, oggi si trova ad essere por-tatore lui stesso di disastri.

Per tornare alla domanda, è giusto che sicuramente i tribunali, sicura-mente l’auditing interno, o chi volete voi, sanzioni chi non ha un compor-tamento affidabile.

Ma lo deve fare il mercato e lo deve fare la società locale. Abbiamo vissuto anni, invece, in cui il mercato e la società premiava il

“free rider”. In un paese è possibile avere dei free rider ma non in testa,non sopra.

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Giorgio Costa

Continuerei con il professor Bianchi rivolgendogli la domanda che inrealtà volevo fargli sul tema della cooperazione. Stiamo parlando di ban-che cooperative. Il tema della cooperazione, nell’ultimo anno, è passatosotto silenzio.

Un paio di anni fa, invece, era di gran voga il tema della tassazione,cioè della necessità di far pagare a certe cooperative le stesse tasse del-le società ordinarie e si scatenarono ampie polemiche; soprattutto per ilconsumo ma anche per il credito, attività simili a quelle svolte nello stes-so settore, da società private.

Volevo chiedere al professor Bianchi che ruolo può avere l’impresacooperativa in un momento di difficoltà dell’economia. Cioè se la coope-razione può essere una risposta a un sistema economico che ha mo-strato molti limiti.

Patrizio Bianchi

Sì e non soltanto. C’è voluta la crisi per tornare a dimostrare che le im-prese cooperative e il sistema cooperativo sono un sistema di relazioni,di rapporti, di radicamenti, questo bellissimo logo con mano che diventala radice che va conficcata nella terra.

Il tema è proprio questo. Se dobbiamo non riprendere il percorso di pri-ma ma ridisegnare il percorso di prima, dobbiamo avere anche l’idea diuna struttura sociale più complessa.

È stata la ipersemplificazione della visione del mondo che ci ha porta-to fino qua.

I problemi c’erano e chi li risolve? La magia del mercato? Oppure ognitanto arriva il bravo legislatore che ci dà la regola?

Bisogna rendere l’economia, la società, più complesse. Le cooperativee il sistema cooperativo, la diversità delle imprese cooperative, sono og-gi un elemento che rendono più complessa la struttura sociale.

Più una struttura sociale è complessa, più è stabile.Il problema che abbiamo è che anche nel movimento cooperativo ci

siamo fatti ogni tanto abbacinare in passato dall’idea che il più bravo eraquello che moltiplicava i pani e i pesci.

Dall’altra parte c’è un bisogno di ritorno al territorio. Attenzione che ter-ritorio è una parola molto ambigua perché anche nei prossimi anni i no-stri territori dell’Emilia Romagna saranno esposti a fortissimi rischi.

In Emilia Romagna abbiamo per anni coltivato, giustamente, l’idea chetutto era distretto. I distretti sono straordinariamente a rischio perché an-che loro devono crescere come struttura sociale.

C’è un problema di innovazione sociale, cioè un problema di tornare arendere i nostri territori, in particolare, paradossalmente proprio quellidell’asse verso ovest, più un’unica grande area metropolitana.

Se noi abbiamo un limite è che in Emilia Romagna abbiamo ragionato

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come se fossimo tutti degli indiani, ognuno aveva il suo territorio limitatoe chiuso.

La dimensione dell’Emilia Romagna è una dimensione minima per po-ter avere un’area metropolitana di grandi dimensioni in grado di riposi-zionarsi al vertice del sistema mondiale.

Bisogna ripensare pesantemente l’Emilia Romagna come un tutt’unoin cui si mantengono le diversità locali – ce l’ha spiegato prima Lusigna-ni, potenzialità diverse, condizioni diverse – però, attenzione, le grandiaree, quelle che stanno nel cuore della Germania, quelle che stanno nelsud della Francia, sono grandi aree che, proprio perché hanno una lorodimensione, riescono ad articolare anche le funzioni interne: diverse Uni-versità, non ognuna conficcata nella sua provincia; diversi teatri, diversamusica, diversi modelli di banca.

Qui credo che il sistema cooperativo abbia un vantaggio: sono al con-tempo fortemente locali ma al contempo parte di un sistema nazionale.

Il problema del dove si pongono i diversi servizi, dove si pongono le di-verse funzioni, anche di rischio, come si governano contestualmente sin-gole banche gelose, giustamente orgogliose, della propria autonomia eun sistema che però è e deve essere adeguato al nuovo livello di con-fronto competitivo a cui il nostro territorio dell’Emilia Romagna viene ne-cessariamente chiamato.

Il rischio è che cadiamo ancora una volta nella vecchia trappola degliemiliani “Ragazzi, ma voi siete bravi, ma l’Emilia Romagna è diversa”.Con questa storia siamo sempre rimasti confinati qua.

L’Emilia Romagna è diversa ma da qui parte un prototipo che ha unaproiezione assolutamente molto più ampia di noi stessi. Allora torno alquadro complessivo. Se siamo in un’ottica di forte riforma dello Stato, co-sa che io prendo sempre con grande cautela, all’interno di quello c’è unproblema di ridisegno non solo del federalismo fiscale ma di tutte le fun-zioni federate.

Se l’Emilia Romagna torna ad essere un ambito in cui ci sono e ci de-vono essere anche delle autonomie, il governo centrale sposti capacità ecompetenza fiscale a livello delle Regioni.

Questo non lo possiamo permettere.Quindi, per rispondere alla sua domanda, abbassiamo le tasse? Sì,

però all’interno di un quadro di riferimento politico e istituzionale che nonsia sempre traballino come quello che stiamo vivendo.

Giorgio Costa

Professor Vella, quali sono gli obblighi operativi che la mutualità impo-ne alle Banche di Credito Cooperativo? In particolare vorrei riferirmi al te-ma del microcredito, o del credito a soggetti spesso al limite, o molto pic-coli, o in difficoltà, che è una quota significativa, comunque rilevante, del-le attività delle Banche di Credito Cooperativo.

Quali sfide gestionali e operative richiede la scelta di seguire soggettipiccoli o soggetti facilmente in difficoltà?

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Francesco Vella

Il sistema del credito cooperativo è incardinato sul principio di mutuali-tà; mi sembra in questa sede importante, richiamando l’ormai enciclope-dica elaborazione in materia, richiamare non solo la mutualità interna ecioè il servizio ai soci, ma anche quella esterna, intesa come l’insiemedegli interessi dei quali la cooperazione si fa carico in quanto impresache connota la sua “democraticità” anche nel rapporto con i terzi e la col-lettività.

Ed oggi c’è un problema importante, quello dell’inclusione sociale, neicui confronti l’attività creditizia gioca un ruolo decisivo.

Un esempio su un aspetto poco conosciuto. Tutti negli Usa parlano del-le banche andate in crisi per gli ormai noti mutui subprime, ma questofenomeno non ha riguardato una categoria di operatori le c.d. communi-ty bank.

Sono banche molto legate alla comunità di riferimento che, come tuttele altre, hanno fornito credito al popolo dei subprime, ma con approcciocompletamente diverso, dove non si danno i soldi e poi si cartolarizza su-bito, lasciando il debitore al suo destino, ma lo si segue, si approfondi-scono i suoi bisogni personali, c’è una costante attività di monitoraggio,ovviamente favorita da tutti gli effetti reputazionali e di fiducia derivantidalla appartenenza ad una comunità.

Si tratta di un’attività nei confronti di soggetti spesso ai margini dei tra-dizionali circuiti creditizi, considerati non meritevoli, che però, grazie aqueste modalità di monitoraggio e di assistenza, rimangono solvibili.

E qui, se volete, c’è un tratto comune con il microcredito, un flusso cre-ditizio volto a promuovere lo sviluppo in contesti più difficili, di fasce di po-polazione estremamente povere e normalmente ai margini della società.

La peculiarità di questa prassi operativa, non è tanto come spesso sipensa, di dare piccoli finanziamenti, ma sono le tecniche di finanziamen-to che, fondate sulle dinamiche di gruppo, le peculiarità della selezionedei destinatari, le specifiche tempistiche di restituzione delle rate, i per-corsi di reciproco controllo all’interno del gruppo, consentono una recu-perabilità con bassissimi tassi di insolvenza.

Sono modalità molto particolari che testimoniano la rilevanza non tan-to del “micro”, ma della gestione del credito.

Non sono in grado di offrire una valutazione approfondita circa laesportabilità di queste tecniche al di fuori del loro contesto originale, e deicosti che potrebbero derivarne se applicate in grandi dimensioni - è no-to che si stanno diffondendo esperienze in molti paesi occidentali com-preso il nostro - , ma è importante intendere e percepire il microcreditonella sua reale essenza che è radicalmente diversa dalle modalità con lequali noi siamo abituati a fare credito.

Per concludere: chi oggi fa credito ha anche la responsabilità, attraver-so questa attività, di favorire il recupero sociale, tenendo presente cheoggi il problema della povertà, e la crisi lo ha messo in evidenza, non ri-guarda solo i paesi in via di sviluppo.

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È una sfida molto importante e rischiosa, ma che deve necessaria-mente essere affrontata con coraggio.

Patrizio Bianchi

Volevo fare un commento anch’io su questo.In tutti gli esempi di microcredito che ho visto, li ho visti soprattutto in

America Latina perché si è tentato di esportare questo ragionamento an-che al di là del caso dell’India e del Bangladesh, ho visto sempre che ilmicrocredito è uno strumento all’interno di un’azione che non ha coinvol-to soltanto la banca ma è un’azione di recupero di un senso di comunitàche ha coinvolto le autorità locali, che ha coinvolto un’enorme area di vo-lontariato.

Non possiamo neanche mettere a carico di un singolo istituto bancarioquello che tu giustamente dicevi prima essere un problema sociale. Cioèla crisi fa aumentare gli ambiti di povertà.

All’interno di questo il dialogo col territorio diventa più importante –quello che tu dicevi prima – perché c’è una bella differenza fra un territo-rio in cui tu sei radicato e quello in cui arrivi dal di fuori con la testa daun’altra parte – lo so anch’io che tutte le banche, anche quelle grandi,tendono a ripresentarsi come banche di territorio, ma un conto è il terri-torio e un conto è la comunità.

La crisi porta un effetto rilevante di aumento di povertà. Questo richie-de l’intervento di una struttura comunitaria all’interno della quale ci deveessere anche un istituto di credito che deve fare la sua parte.

È chiaro che alla fine deve essere un’attività di tipo creditizio ma que-sta si regge se contemporaneamente c’è una forte presenza di volonta-riato, un forte monitoraggio sulle condizioni di povertà, se vi sono queglielementi di garanzia e controllo sociale che tu dicevi prima.

Fatemi fare un passaggio indietro perché questo non è un passaggioda poco.

La crisi ci sta dimostrando che non la crisi ma i venti anni precedentihanno avuto, negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia, degli effetti didecomposizione sociale. Sono aumentate le differenze all’interno dellestrutture sociali, sono aumentate le contrapposizioni, sono aumentate leprecarietà.

La risposta a questo è sicuramente fare una serie di azioni di comuni-tà all’interno delle quali vi è un forte ruolo per gli istituti di credito. Credoche in questo consistano quei metri di vantaggio che tu dicevi prima.

C’è un problema di senso di appartenenza. La cosa fondamentale neiprossimi anni è proprio ricomporre questo senso di appartenenza e quin-di di stabilità sociale.

Senza il quale è chiaro che si torna a dover calcolare i rischi ma c’è an-che un rischio ambientale, oltre al rischio specifico della singola impresa.

Ragionare sul microcredito credo aiuti non solo per fare del microcre-dito ma perché è una delle chiavi che permette di ridisegnare il sistemadi relazione.

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Giorgio Costa

Professor Bianchi, quando si parla di impresa cooperativa molto spes-so si hanno presenti delle imprese di grandi dimensioni. Pensiamo allecooperative di consumo, al settore agricolo (Conserve Italia, ad esempio,è il leader europeo nella trasformazione dell’ortofrutta) o all’edilizia. Sonocolossi che lavorano in tutto il mondo.

Quando parliamo di credito cooperativo invece parliamo sempre di pic-cole, se non piccolissime, imprese. C’è qualche aggregazione ma, co-munque, anche le aggregazioni che recentemente sono avvenute nel bo-lognese hanno portato alla creazione di una banca con una sessantinadi sportelli. È davvero il credito cooperativo condannato geneticamentealla piccola dimensione? Può esistere solo una banca piccola di creditocooperativo?

Patrizio Bianchi

Innanzi tutto fatemi fare una riflessione. La crisi ci sta dimostrando checi sono dei problemi di dimensione minima efficiente ma l’ipergrandismonon ha portato dei grandi risultati. Non è che necessariamente la via siasempre a senso unico.

Anche le grandi banche, le due grandi banche che abbiamo dimostra-to essere sopra, nate per processi di fusione che hanno, a volte, sradi-cato le realtà locali, oggi si stanno ponendo il problema di tornare a radi-carsi a livello locale.

Non credo che il problema sia definibile soltanto in termini di piccolo egrande. Ci sono delle funzioni e dei servizi che hanno dimensioni minime.

Se questi riescono ad essere recuperati a livello di sistema, credo che,tutto sommato, sia una strada da percorrere, come state percorrendo.

Però anche in questo ci vuole un forte elemento di creatività. Da unaparte c’è un vantaggio competitivo – che è stato descritto stamattina – cheè la radicazione comunitaria (usiamo questo termine, non radicazione ter-ritoriale), che è un valore da mettere a valore – scusate il gioco di parole.

Dall’altra parte però bisogna capire se esistono dei margini di crescitamantenendo questa radicazione e avendo come riferimento della comu-nità non più la micro realtà territoriale ma almeno l’Emilia Romagna nelsuo insieme come nuova area comunitaria di riferimento.

Bisogna lavorarci molto, ma questo io credo sia il punto di riferimento.Dall’altra parte, quanto al livello di sistema si può recuperare in quelle

funzioni non soltanto di controllo ma anche di comprensione della realtàperché, insisto, molti dei territori – qua uso la parola territorio – nell’assein crescita, nell’asse nord-est che veniva indicato da Lusignani comel’area naturale di espansione, presentano degli elementi di forte criticità.Lì bisogna essere strutturati molto bene.

Ci sono due livelli. La capacità di integrare i due livelli può dare una ri-sposta vincente però bisogna essere capaci di capire di più le dinamichedi un territorio come l’Emilia Romagna.

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Giorgio Costa

Professor Vella, molto spesso il ruolo delle banche è quello di finan-ziare senza entrare nel capitale. Si può pensare un ruolo maggiore delleBanche di Credito Cooperativo nel capitale delle imprese? Cioè passan-do da finanziatore a socio, magari usando quelle forme di partecipazioneal capitale che sono tecnicamente possibili ma poco usate. Può esserequesto un nuovo terreno competitivo per le Banche di Credito Cooperati-vo?

Francesco Vella

Prima di rispondere, desidero collegarmi ad un’osservazione di Patri-zio Bianchi.

Ho la convinzione che, in primo luogo, non ci sia alcuna incompatibili-tà tra dimensione e modello cooperativo.

Nella delega alla riforma societaria il legislatore aveva previsto oppor-tunamente che non vi fosse alcun legame tra il modello scelto e l’aspet-to dimensionale. Tutti gli imprenditori hanno a disposizione diversi modellie si scelgono quelli maggiormente funzionali alle loro esigenze. Nullavieta, al contrario sarebbe un assurdo, che la cooperativa possa orga-nizzare anche attività di grandi dimensioni.

Se ci sono sfide di mercato che la grande dimensione consente di af-frontare meglio, non si vede perché il servizio mutualistico non possamuoversi in questa prospettiva.

Non c’è nessun vincolo di legge in materia ed è una libera scelta stra-tegica delle cooperative.

Questa premessa è utile per meglio rispondere alla domanda di Gior-gio Costa.

Recentemente ho partecipato ad un convengo alla Luiss dove si par-lava dei rapporti banca e impresa.

Alcuni autorevoli rappresentanti del mondo imprenditoriale e bancariosostenevano che il problema del finanziamento delle imprese italiane nonriguarda solo e soltanto un più agevole accesso al credito, ma anche unpiù ampio ricorso alle risorse di capitale.

Condivido a pieno queste osservazioni e ritengo che le imprese do-vrebbero avere maggiore consapevolezza circa le esigenze di apeturadel proprio capitale ad investitori esterni che possono anche esercitareun ruolo di monitoraggio, apportando rilevanti competenze tecniche.

Chi si occupa di diritto societario sa che la riforma ha introdotto tuttauna serie di strumenti idonei a favorire una simile scelta. Si possono, trale altre cose, emettere azioni con particolari poteri amministrativi, oppu-re rapportate ai risultati di particolari affari o settori della società, crearestrumenti partecipativi per rafforzare il patrimonio. L’obiettivo, esplicita-mente dichiarato dal legislatore, é quello di favorire l’accesso al mercatodei capitali, liberando le imprese da un’eccessiva dipendenza dal credi-to bancario.

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Su questi strumenti sono state ormai prodotte intere biblioteche di stu-di e approfondimenti, ma le esperienze pratiche di attuazione non sonoaffatto diffuse. Le imprese non hanno, cioè, adeguatamente sfruttato leopportunità offerte dal nuovo ordinamento. Ma ci si deve chiedere se lecontroparti bancarie abbiano a loro volta compiuto adeguati sforzi per in-crementare la partecipazione al capitale di rischio, optando per servizi in-novativi che favoriscano la crescita imprenditoriale. Credo che questo siaun aspetto critico e, ricollegandomi a quanto dicevo prima, penso che lacapacità di offrire questi servizi sia rapportata anche alla crescita dimen-sionale: la domanda in altri termini è: le Banche di Credito Cooperativohanno spalle sufficientemente forti, strutture organizzative idonee per in-terloquire su questo terreno con le imprese?

Su questo credo che una riflessione di sistema sarebbe importante perle Banche di Credito Cooperativo.

Giorgio Costa

Dice il professor Vella, giustamente, che le banche devono crescere.Intanto però tutti gli indicatori dicono che fra il 2009, il 2010 e il 2011, lebanche accumuleranno molte sofferenze che aumenteranno, secondoBanca d’Italia, del 20%. Complessivamente nel sistema italiano a finegiugno le sofferenze erano pari a 51,8 miliardi di euro.

Anche le Banche di Credito Cooperativo, naturalmente, vedranno au-mentare le loro sofferenze? Lei vede rischi concreti sulla stabilità del si-stema bancario oppure, come sostiene anche Banca d’Italia, effettiva-mente il brutto deve ancora venire ma c’è forza per sostenerlo?

Patrizio Bianchi

Lo diceva prima il prof. Lusignani, che ha fatto vedere un grafico che,secondo me, guardandolo bene faceva venire i brividi a tutti.

Cioè c’è una massa, che non è ancora emersa, in Europa, di sofferen-ze che sicuramente devono essere tirate fuori.

Mi sembra difficile pensare che questo possa essere affrontato dallasingola banca o da ogni banca per conto suo.

C’è un’azione di sistema da fare e sono convinto che quando la Ban-ca d’Italia dice che il sistema ce la può fare, è vero. Ma saranno tutte ri-sorse tolte allo sviluppo.

Quindi attenzione. Questo vorrà dire che nei prossimi anni la crescitasarà lenta e fortemente selettiva.

Sono convinto che in questo dato dobbiamo avere molta attenzione perquelle imprese che riescono a riposizionarsi tanto da poter essere trainodello sviluppo.

Il discorso che faceva prima Francesco Vella è importantissimo.Nei prossimi due o tre anni, essere capaci di ricapitalizzare imprese di

media dimensione, essere capaci di spingere le imprese di piccola di-mensione a muoversi in un contesto di forte innovazione - sia delle strut-

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ture di governo interno - perché sono quasi tutte imprese familiari. Nelleimprese familiari il problema della non trasparenza è ovvio, è connatura-to col fatto che vi sono le storie e le esperienze delle persone.

L’idea del potere aiutare le imprese a capire dove si devono muoverecredo che sarà nei prossimi anni uno degli elementi vincenti delle banchelocali e delle banche nazionali.

Non credo che sia soltanto un problema di modalità di erogazione delcredito. Le imprese, particolarmente le piccole imprese, devono trovaredei partner bancari in grado di aiutarle a capire di più quello che sta suc-cedendo.

Questo sarà un elemento fondamentale. Chiamatelo servizio, chiama-telo come volete però la confusione nei prossimi due anni sarà tantissi-ma perché se ci si aspetta una ripresa, la ripresa, se ci sarà, non saràper tutti. Ci sarà molto galleggiamento.

Avere, a livello locale (parlo delle piccole imprese) un referente colquale riprendere un ragionamento di fiducia reciproca ma anche di scam-bio reciproco di informazioni, tornerà ad essere importante.

Non c’è soltanto un problema strettamente di banca capace di eroga-re a mezzo punto in più o a mezzo punto in meno un credito più o menoinsufficiente.

C’è il problema di ritrovare, a livello territoriale e a livello comunitario,dei punti di riferimento.

Quando prima dicevo che c’è un’azione di sistema da fare, è una cosafondamentale perché molte volte – io lo vedo non solo in Emilia Roma-gna ma in molte regioni – il processo di concentrazione a livello nazio-nale ha tolto a livello locale quello che era l’interlocutore per molte im-prese. Molte imprese si trovano abbandonate e orfane di riferimenti.

Credo che l’esperienza delle banche cooperative invece in questo ca-so debba essere riflettuta, pensata, digerita. Va sicuramente favorita, lad-dove c’è necessità e per quei servizi di cui c’è necessità, l’attività di con-centrazione.

Sicuramente ci sono delle azioni di sistema ma, fra le azioni di siste-ma, continuo a ritenere che vi deve essere la capacità di accompagnarele imprese al di là della loro storia precedente.

Dopodiché il tema della montagna di sofferenze si porrà sicuramenteperò è anche vero che chi, in questi anni, non ha accumulato sofferenzeperché è stato sul proprio mestiere, sulla propria storia, sicuramente hadei vantaggi.

Quando c’è la crisi, la crisi è anche un’opportunità di vantaggio perchési vedono le differenze fra chi è stato accorto e attento e chi non lo è sta-to.

Giorgio Costa

Professor Bianchi, le chiedo velocemente un’altra cosa. Nel grafico cheprima mostrava Lusignani sulla maggiore difficoltà di breakeven delle fi-liali aperte più di recente, perché prima della crisi bastavano tre anni e

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adesso ne servono di più e quindi costa sempre di più aprire nuovi spor-telli.

In un contesto di economia di evidente sovrapproduzione non avremoanche troppe banche, non avremo anche troppi sportelli?

Le imprese chiedono credito, non chiedono sportelli. I consumatorichiedono servizi, non chiedono sportelli. Tradotto: ha senso tutta questamania di apertura di sportelli uno a fianco all’altro?

Patrizio Bianchi

Sono convinto che nei prossimi anni cambierà anche il vostro mestie-re, come cambierà il mio, il suo e quello di tutti.

Probabilmente ci saranno dei canali molto diversificati di accesso alcredito, in particolare retail.

Credo però, in coerenza con quello che dicevo prima, che, all’internodel mestiere della banca, nei prossimi anni la funzione molto riservata,molto attenta, nel riuscire ad accompagnare le imprese in una funzionedi crescita non ha tanto bisogno di uno sportello in più. Ha bisogno distrutture interne adeguate.

È vero che in questi anni, dopo Basilea 2, c’è stata una giusta atten-zione a nuovi servizi.

Tutta l’attenzione alla gestione del rischio è stata importante anche se,visti i risultati, si vede che non è stata molto efficace però crescerà neiprossimi anni un bisogno continuo, particolarmente da parte delle nostreimprese minori, dell’assistenza al “cosa faccio”, non solo sui prodotti maanche sulla trasformazione dell’impresa.

Quando prima Francesco Vella diceva: “Guardate che le imprese han-no bisogno di capitale”, hanno bisogno di capitale. Hanno bisogno del ca-pitale umano, di relazioni, di sistemi di vita in un contesto cambiato enor-memente.

Anche questo sarà un servizio. Il problema è: chi glielo dà?Non credo che questo sia semplicemente un mestiere che nella realtà

possa essere delegato, ad esempio, ai commercialisti.C’è un problema di relazione.L’idea del sistema torna ad essere importante, anche per queste fun-

zioni. Le imprese, nei prossimi anni, dovranno cambiare moltissimo, inparticolare le nostre imprese di piccola e media dimensioni facenti capoa famiglie o a gruppi familiari.

Questa sarà una funzione importantissima e, fatta come il nostro si-stema, i mezzi propri e il capitale di credito difficilmente possono esseredisgiunti, almeno in questa funzione di ridisegno dei percorsi di crescita.

Giorgio Costa

Faccio una breve introduzione economica alla domanda che voglio fa-re al prof. Vella.

Il governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King, ieri ha dichiara-

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to che “le proporzioni del sostegno offerto al settore bancario sono im-mani. Nel Regno Unito – forse vi è sfuggito ma il dato è interessante –sotto forma di prestiti, diretti o garantiti, o di investimenti azionari, è di po-co inferiore ai 1.000 miliardi di sterline, quasi i due terzi del prodotto an-nuo dell’intera economia inglese. Per parafrasare un grande leader deitempi della guerra, mai, nel campo dell’intrapresa finanziaria, così pochepersone hanno dovuto così tanto denaro, a così tante persone. E, si po-trebbe aggiungere, fino a questo momento con pochissime riforme reali”.

Mi sembra una riflessione interessante che si innesta dal punto da cuieravamo partiti, cioè la grande banca ed il sistema delle garanzie.

“Avanza l’idea che il pubblico non debba più garantire al 100% l’attivi-tà bancaria ma semplicemente limitare le garanzie all’attività bancaria diinteresse pubblico” (cioè il retail, in pratica). Cosa ne pensa, professorVella, di questa ipotesi di spin off delle garanzie?

Francesco Vella

Il problema richiamato da Giorgio Costa è molto delicato e il regolato-re deve risolverlo facendo appello ad un grande senso di equilibrio.

Il dato oggettivo messo in risalto dalle recenti vicende è che le banchenon si possono far fallire, pena il rischio di una rapida trasmissione del-la crisi a tutti i mercati, e che comunque sono necessari solidi mecca-nismi di garanzia per i depositanti. Occorre, però, evitare il famoso moralhazard, cioè il pericolo che l’esonero dal fallimento e la consapevolezzadi essere comunque salvati generi comportamenti troppo rischiosi.

Diciamo che, e mi scuso anche qui per la necessaria sintesi di una te-matica, come sapete, molto complessa e sulla quale si stanno misuran-do le Autorità di Vigilanza di tutto il mondo, bisogna assolutamente pro-teggere il depositante e la stabilità del sistema, ma non tutelare altri inte-ressi (come ad esempio quegli degli azionisti della banca e del manage-ment).

E, a questo proposito, è meglio sgombrare il campo da un equivocospesso emerso nel dibattito sulle nuove forme di regolamentazione: il fat-to che ci possano essere forme di garanzia o interventi dello stato nelcapitale delle banche (peraltro tutti con caratteristiche di temporaneità)non può e non deve tradursi in un collegamento tra attività bancaria epublic utility o servizio pubblico.

La banca è e rimane una impresa privata che deve tenere lontanissi-ma qualsiasi tentazione di “ripubblicizzazione”: è proprio la storia del no-stro sistema creditizio a insegnarci le nefaste conseguenze di una similetentazione.

Come ha detto un noto esponente dell’Autorità di Vigilanza inglese:non si regolamenta con la nostalgia.

Giorgio Costa

Volevo chiudere la parte del prof. Vella con questo: Alan Greenspan,

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che è stato presidente della Federal Reserve per tanti anni, fu, a suo tem-po, il massimo sostenitore, in qualche modo l’epigone, della deregulation,della libertà dalle regole.

Ha fatto una completa marcia indietro dicendo che effettivamente lasua tesi era completamente sbagliata e che invece occorreva andare dal-l’altra parte.

Adesso il pendolo sta tornando dalla parte della regolamentazionepubblica. Tornerà nuovamente dalla parte delle deregulation? Dove sta-rebbe il punto di equilibrio, secondo lei?

Francesco Vella

Sicuramente il pendolo non tornerà dalla parte delle deregulation per-ché, per usare un’espressione molto in voga al di là dell’oceano, la rego-lamentazione è andata un po’ troppo in vacanza negli ultimi tempi e quin-di deve recuperare i suoi spazi.

Naturalmente, bisogna fare le opportune distinzioni perché la deregu-lation ha avuto la sua celebrazione nei sistemi anglosassoni, ma altroveci si è mossi con molta più cautela e prudenza, e se ne sono visti gli ef-fetti.

Guardando a casa nostra, bisogna riconoscere che controlli e regolehanno funzionato meglio e il sistema ha retto bene l’onda d’urto della cri-si. Questo non significa che anche da noi non vi siano criticità e esigen-ze di revisione della disciplina, ma poiché secondo un noto detto “la vigi-lanza è silenziosa nei successi e clamorosa negli insuccessi”, è giustoquesto riconoscimento. Ed è giusto anche sottolineare che i nostri inter-mediari hanno nel complesso manifestato comportamenti lontani dalledissennate politiche creditizie che hanno generato il terremoto sui mer-cati.

In generale, comunque, le crisi sono sempre state un’ottima lezioneper legislatori un po’ sonnolenti, e uno stimolo per modificare regole nonpiù in grado di tenere il passo con la rapida evoluzione della finanza.

Ci aspetta, quindi, uno scenario futuro nel quale le banche dovrannoconfrontarsi con regole più severe, ad esempio sui livelli di capitalizza-zione, sui sistemi di governance, sulla trasparenza operativa, ed è beneche comincino subito ad attrezzarsi.

Giorgio Costa

Faccio un’ultima domanda al professor Bianchi a cui chiedo di tornarea fare il professore di economia. Indicavo prima il dato impressionantedell’Inghilterra che ha immesso ricchezza per quasi due terzi del Pil. Leiteme che possa esserci una ripresa inflazionistica, non solamente in In-ghilterra, ovviamente, a seguito delle enormi quantità di liquidità che i go-verni hanno immesso nel circuito? Potremmo tornare alla situazione chericordiamo con i “Buoni ordinari del tesoro” al 18%, o è un’ipotesi lontanae neanche da temere?

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Patrizio Bianchi

Parto sempre dalle considerazioni che faceva Giuseppe Lusignani pri-ma. Giuseppe Lusignani ci ha fatto vedere che c’è una bomba a tempoche deve essere disinnescata, che è la enorme quantità di liquidità im-messa per il salvataggio delle banche.

Dopodiché uno dice: in quel momento non si poteva fare diversamen-te perché se, dopo Lehman Brothers, che il giorno prima era stata valu-tata positivamente (non dimentichiamolo) che in realtà quella roba lì nonsi poteva non fare perché altrimenti tutto il sistema andava giù come undomino.

Fatemi però ricordare una cosa. La prima fonte di instabilità è il deficitdegli Stati Uniti. Non dimenticate che in quattro anni, nel secondo man-dato Bush, siamo passati da 6 a 11 trilioni di dollari di deficit pubblico.

Quindi la bomba era già innescata prima. Non è scoppiata perché tut-ti i risparmi che venivano accumulati in Cina, vendendo agli Stati Uniti,venivano riportati negli Stati Uniti comprando il debito pubblico.

Ancora una volta l’equilibrio generale è molto più delicato di quantonon immaginiamo. Saranno i cinesi in grado di continuare a investire persostenere il debito pubblico dell’occidente oppure no? Sarà in grado l’oc-cidente, nel frattempo, di trovare dei meccanismi per sterilizzare - perchégiustamente va rappresentato come perdite - quel debito?

Le operazioni che dovranno essere fatte nei prossimi anni saranno im-portantissime.

In questo ci va anche una funzione di regolazione che ristabilizzi, sen-za isterie, né da una parte, né dall’altra.

Quindi per rispondere alla domanda, c’è un rischio. Il rischio peggiorenon è l’inflazione, è l’inflazione con la stagnazione.

Per cui anche se va un po’ su la tendenza e non arrivi a un’inflazionecome quella degli anni ’70, se la spinta all’inflazione non determina cre-scita ma mantiene lo stato di stagnazione, quello diventa un fatto moltocomplicato che sposterebbe ulteriormente in avanti la fase non della ri-presa ma di una riacquisizione di livelli di crescita sufficienti ad affronta-re i problemi sociali che nel frattempo si sono creati.

Giorgio Costa

Concludo con due domande molto personali ai miei due pazienti inter-locutori.

Professor Bianchi, cosa vorrebbe lei dalla sua banca che attualmentenon ha?

Patrizio Bianchi

Dalla mia banca, che attualmente non ho, vorrei più dialogo. Bisognache si ragioni di più. Il banchiere non è soltanto un uomo che mi dice: “È

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andato su di mezzo punto, è andato giù di mezzo punto, è andato di qua,è andato di là”.

È un partner ed è un partner che ha tanta più forza quanto più io mo-stro tutti i miei conti a lui e lui mostra tutti i suoi conti a me.

Se questa cosa avviene, si riprende un meccanismo di fiducia colletti-va. Se non c’è fiducia collettiva vince semplicemente l’ultimo furbino.

Questo non è più ammissibile.

Coordinatore

Una domanda molto personale in fatto di banche anche al professorVella.

Lei ricorda quanto le chiede la sua banca per le spese di conto cor-rente?

Francesco Vella

Sì, ma ho il conto di quelli con spesa fissa, se non ricordo male 10 eu-ro al mese con la possibilità di fare tutte le operazioni che voglio. Cosìnon ci penso più.

Ogni tanto, a lezione, chiedo agli studenti di Giurisprudenza che stu-diano diritto commerciale o diritto bancario, quanti di loro abbiano mai let-to le condizioni del conto corrente e siano consapevoli delle spese so-stenute. Pochissimi rispondono. Vi confesso che, timoroso anch’io di farebrutta figura perché leggo distrattamente l’estratto conto, preferisco uncontratto a forfait!

Patrizio Bianchi

Io invece sono più semplice perché a una domanda del genere direi:“Ne parlerò con mia moglie, domanderò a lei”.

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PIETRO CAFAROAssociato di Storia Economica e SocialeFacoltà di Sociologiadell’Università Cattolica di Milano

Il Credito come possibilità di crescitae di svilppo sociale e personale

Un editoriale significativo

Vorrei iniziare con una citazione che spero non appesantisca troppol’esordio di questa brevi riflessioni di natura storica che vi ringraziod’avermi invitato a fare con voi.

Si tratta di parte dell’editoriale di un giornale economico di cui sveleròpiù avanti il nome e la data. Se qualcuno già lo ha letto abbia la pazien-za di riascoltarlo:

“Si può dire che negli ultimi tempi furono liquidate le posizioni fal-se create da una serie di errori, di inganni, di illusioni. Si scontaro-no qui in Europa le bricconerie dei politicanti d’America. Si senti-rono in Italia i riflessi sinistri della mala amministrazione altrui. Selimitiamo l’osservazione alle condizioni dell’Italia, c’è da piangerea confrontare i prezzi dei valori quali sono quotati oggi con le quo-tazioni dello stesso giorno di un anno o, più ancora, di due anni fa.Sarà il futuro più fortunato? Dobbiamo sperare che sarà così. Oc-corre che la fiducia riprenda gradatamente il suo corso, così che lequotazioni diventino, mano a mano, migliori. Se il buon raccoltopermetterà di sanare qualche piaga, di accumulare qualche ri-sparmio, i capitali diffidenti e sospettosi cominceranno a stancarsidi collocamenti sicuri ma infruttiferi e la bufera permetterà di di-stinguere meglio gli organismi sani da quelli che non sono tali …La speculazione edilizia e la crisi che ne è scaturita è stata il pun-to di partenza di questo nostro grave malessere economico e, unavolta assestata, potrà forse risolversi nel ridare lavoro a migliaia dioperai e impiego anche a molti capitali. Del resto, se noi speriamobene per l’Italia, ciò avviene anche per il resto d’Europa. Le cosesi metteranno ugualmente bene, stanno già mettendosi abbastan-za bene. Con tutto ciò non vogliamo dire che in pochi mesi si ritor-nerà alle rosee condizioni di qualche anno fa. No! Al di là del-

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l’oceano la crisi non ha ancora raggiunto il suo limite estremo. Con-verrà aspettare una catastrofe prima che il mercato possa dirsi fi-nalmente sanato”.

“Il sole 24 ore?”, un qualsiasi periodico economico di oggi?Nulla di tutto questo: “ La borsa. Bollettino della borsa valori di Geno-

va”. La data? 3 gennaio 1892. L’autore? Un anonimo editorialista econo-mico del tempo, con tutta probabilità il grande economista Maffeo Panta-loni, che, pur essendo un grande accademico, non disdegnava di entra-re nella polemica politica anche spiccia.

Il contesto

Questa era la condizione dell’Europa della fine dell’800 che, come ave-te notato, è molto simile alla condizione di oggi. Quando, oggi, si parago-na la crisi in atto con quella del ’29 si dice una cosa poco precisa, nelsenso che la crisi che stiamo vivendo oggi è forse l’epigono di una para-bola iniziata molto prima dell’inizio del ‘900, sul finire del XIX secolo, nelmomento più alto di una grande depressione. Si trattò d’un periodo mol-to difficile per l’economia del Vecchio continente, al quale però faceva dacontraltare al di là dell’Atlantico, in America, una grande espansione.

Gli europei furono presi a tal punto alla sprovvista da questo prolunga-to periodo di difficoltà da essere costretti a ripensare tutti loro sogni e tut-ti gli scenari per dare il via allo sviluppo.

Il caso dell’Italia in questo senso è emblematico: i nostri governanti ita-liani avevano giocato tutto sulla cerealicoltura, base dell’esportazione.L’Emilia Romagna – ma anche la Lombardia irrigua – erano le terre chemeglio si prestavano alla produzione di quelle granaglie che, eccedendoi bisogni interni, potevano anche essere vendute all’estero.

L’Italia non poteva esportare altro essendo carente di materie prime.Non aveva senso, secondo gli uomini che avevano fatto l’Unità del Pae-

se (Cavour e tutti gli altri che seguirono le sue orme dopo la sua improv-visa scomparsa), mettere in moto un processo di industrializzazione co-me quello inglese. Non essendoci né fonti di energia meccanica (il car-bone) né materie prime da lavorare (cotone, ferro o altri minerali) non va-leva la pena mettersi su questa strada. Meglio scambiare i beni di cui lanatura ci aveva dotati (il clima e, dove c’era, una terra fertile) con i pro-dotti della manifattura altrui.

Si trattava di un calcolo forse un po’ miope che sopravvalutava la pro-duttività di una terra che in gran parte è fatta di montagne produttrici, que-sto sì, di marmi e di pietra d’opera, ma era difficile pensare in altro modo.

L’Italia non ha materie prime, questa la constatazione ricorrente, che,peraltro dimenticava un fatto: l’Italia ha una materia prima molto impor-tante. Ha abbondanza di quel capitale che (come tradisce l’etimo latino“caput”) è sicuramente il più importante tra i fattori di produzione: l’uomo,le sue capacità intellettuali e le sue braccia, forgiate da una cultura “delsaper fare” che si perdeva nella notte dei tempi.

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Ed era quella ricchezza che da sempre l’Italia esportava nel mondo,senza però levare le radici dalla propria terra. Si andava “fuori” nei mo-menti di “morta” dell’attività agricola e si tornava con un gruzzoletto cheaiutava a tirare avanti e con l’esperienza del contatto diretto con altri po-poli.

Ma per il resto, null’altro, solo cerealicoltura. Ed era così importantequesta logica “cerealocentrica” che se grano e mais non crescevano be-ne per mancanza d’acqua nelle aree degli altopiani e delle colline, eccolo sforzo per cercare di portare l’irrigazione anche lì: canali artificiali, rog-ge di derivazione, livellamento dei terreni. Dopo l’Unità fu tutto un frene-tico moto per andare in tal senso

Ma, nel momento nel quale tutto era pronto – aperto il canale Villoresi,aperto il canale Cavour, razionalizzate le derivazioni dei navigli – eccouna crisi anomala e quindi inaspettata.

Anomala perché non era di quelle ben conosciute dai contadini neglianni di scarso raccolto: carestia, pane più caro, rigurgiti di pellagra.

No. In questo momento i prezzi dei cereali scendevano vertiginosa-mente e rendevano sempre più magri i margini di guadagno. Moriva lasperanza perché la semente e il lavoro non potevano più essere neppu-re minimamente remunerate dal ricavo della vendita del prodotto.

Era bastato poco: investimenti europei andati in America a finanziarecostruzioni ferroviarie, messa a coltura da parte degli Stati Uniti, una vol-ta sedata la tremenda carneficina della guerra civile, della più grandearea cerealicola del mondo, diminuzione del costo dei trasporti via terrae, soprattutto via mare, per fare la differenza. E così i contadini padani sitrovarono a competere senza neppure saperlo con i farmers della CornBelt americana.

Con, in più, un fattore casuale che fece da volano alla trasformazione:una esplosione vulcanica nel lontano oriente (il Krakatoa), uno tzunamispaventoso ed una “piccola glaciazione” sull’Europa provocata dal-l’enorme quantità di pulviscolo che, misteri della natura, decise di sof-fermarsi sull’Europa: qualche anno di carestia, un proditorio aumentodel prezzo del grano, la convenienza di importare i grani d’America …ed ecco cambiati gli scenari del mercato. Quando fu possibile riprende-re la produzione europea, già i grani americani la facevano da padroniessendo portatori di un rapporto qualità/prezzo di gran lunga più conve-niente.

Ed ecco la crisi. Il grano italiano non solo non veniva più esportato, maneppure poteva essere venduto all’interno. Essendo un bene deperibileera destinato alla incredibile sorte di marcire (in un Paese dove molti sof-frivano la fame) nei granai.

“Krino”: “io scelgo”

Lo si è ricordato nell’intervento che ha preceduto il mio: la parola “cri-si” deriva dal verbo greco krinein, scegliere. Il momento di crisi è un mo-mento necessariamente di scelta per il cambiamento.

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La prima scelta fu obbligata: esportare, ma questa volta tagliando an-che le radici con la propria terra, ciò che di più prezioso si aveva: le brac-cia, gli uomini. Uomini, donne, bambini, famiglie intere, proprio dal norddell’Italia non dal sud come si potrebbe pensare, in quegli anni travalica-rono l’oceano per andare ad alimentare, spopolò quasi tutte le campagnedel Veneto, dell’Emilia Romagna, del Piemonte e della Lombardia lagrande espansione americana. Gli Stati Uniti si ritrovarono abbondanzadi capitale umano (portatore di quell’antico “saper fare” di cui s’è detto)ad un costo irrisorio.

In un secondo momento ecco la necessità di trovare qualcosa di nuo-vo anche nel nostro paese. Crisi e scelta. Grandi trasformazioni, alcuneben dirette come fu la sottrazione di capitali dall’agricoltura per investi-menti in una industria ancora debole; altri mal diretti come quelli che ali-mentarono bolla speculativa nell’edilizia – perché già allora il mattone eral’ultima ratio – che preparò la strada ad una oggi impensabile crisi ban-caria: erano gli anni più neri dell’economia italiana dell’800, come li defi-niti Riccardo Bachi, grande economista. Questo stereotipo: “gli anni neridell’economia” è rimasto in tutti i libri di storia.

Ma gli uomini recepiscono anche i messaggi più drammatici.Il messaggio che venne recepito da alcuni precursori in quegli anni fu

quello di ricercare una strada anche per rinnovare l’agricoltura. Forse lagrande idea di trasformare tutta la pianura lombarda, emiliana, veneta, inuna grande produttrice di cereali da esportare ovunque doveva essere ri-vista, ma non del tutto abbadonata.

Forse era possibile ridare vita alle campagne cercando di ridare spe-ranza alle persone che operavano nelle campagne.

Un grande economista cattolico di quegli anni, che sicuramente meri-ta di essere studiato di più, Giuseppe Toniolo, nel bel mezzo della crisi,esprimeva concetti più o meno di questo tenore: L’economia ha smarritola strada perché ha dimenticato di essere al servizio dell’uomo. L’econo-mia deve tornare all’uomo. L’economia basata sullo scambio mercantilenon può più essere sufficiente. Abbiamo bisogno di creare – ed usava let-teralmente questo termine che mi sembra molto significativo- delle im-prese di “impersonale maternità”. Imprese che sappiano usare il “tatto” diuna madre che da senza chiedere nulla in cambio, perché anche il donodeve far parte della vita dell’uomo. Bisogna allora riscoprire il valore gran-de che era parte essenziale dell’economia “delle comunità”.

Il 15 maggio 1891 uno dei papi più anziani che la storia della chiesa haconosciuto, Leone XIII, pubblicava un’enciclica, la “Rerum Novarum”,che, ha fatto dire Georges Bernanos al curato di Torcy nel “Diario di unparroco di campagna”, faceva “tremare la terra sotto i piedi … mettevasottosopra le coscienze”: era il segno più alto che effettivamente qualco-sa di nuovo poteva essere fatto.

I concetti che il papa espresse nella “Rerum Novarum”, Toniolo li orga-nizzò poi formalmente dal punto di vista teorico. Il tutto poteva essere sin-tetizzato in un concetto: la finanza e l’economia cosiddetta “reale”, sonoveramente una cosa sola, ed entrambe sono al servizio dell’uomo.

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Ed è una cosa che ancora oggi noi dobbiamo comprendere: finanza edeconomia sono due facce della stessa medaglia.

La finanza deve essere lo strumento per allocare le risorse nel modopiù veloce e più efficace possibile, nel momento preciso nel quale questerisorse devono essere allocate.

Uno strumento quindi: solo uno strumento.

Uno strumento modesto, ma efficace

Ed anche la cassa rurale è uno strumento messo a punto in quel con-testo. Applicare principi cooperativi al credito sembrava cosa impossibi-le. Tanto più nel contesto di una incipiente crisi bancaria.

Non furono i cattolici i primi a mettere in atto questo tentativo. Già erastata fatta in Germania una operazione di questo genere ad opera so-prattutto di due protagonisti Hermann Schulze e Frederick Raiffeisen.

Qui in Italia si guardava con interesse a quanto avveniva oltralpe an-che prima che scoppiasse la crisi di cui s’è detto. Il mondo tedesco sem-brava molto simile a quello italiano: da sempre frammentato, ricco di au-tonomie e di particolarismi. Unito solo da una secolare cultura.

Il primo uomo a portare la cooperazione di credito in Italia fu Luigi Luz-zatti, il quale però, pensando che la cooperazione dovesse essere appli-cata e fatta coesistere col modo d’essere dell’italiano dell’epoca (“indivi-dualista ed alieno a rischiare per gli altri), pensò che non fosse possibileportare qui la stessa banca popolare creata in Germania.

Occorreva modificarla, anche a costo di creare un ibrido. ci voleva qual-cosa che fosse un po’ società di persone, ma anche un po’ società perazioni, che distribuisse una parte di utili e garantisse gli investitori con laresponsabilità limitata.

“Verrà il giorno - vaticinava un altro grande protagonista di quegli anni,amico di Hermann Schulz ed amico anche di Luzzatti, Francesco Viganò– nel quale forse anche in Italia potremo avere delle banche a solidarie-tà illimitata come quelle che sono nate in Germania … Anche in Italia lepiccole banche del popolo verranno, se le virtù alemanne e inglesi sor-geranno anche tra noi perché nell’avvenire v’è il regno della virtù. E ver-ranno certamente”. Una sorta di profezia laica.

Infatti, qual era la logica che muoveva le casse rurali tedesche? Erauna razionalità, la loro, per certi versi, assurda, al punto che quando siguardavano queste cose dall’Italia (e lo facevano uomini come Ugo Rab-beno, economista e cooperatore emiliano, morto troppo giovane nel1897) si scriveva: “È una società di illusi. È un paradosso economico. Co-me si fa a pensare di fare una società di credito senza capitale? Come sifa a creare una società di ignoti, di minimi possidenti e agricoltori, isolatinelle campagne, che cercano di domandare credito, uniti alle banche cit-tadine e trovano banche cittadine disponibili a darlo loro?”.

“Come si può pensare che la responsabilità illimitata non diventi gra-vosa e pericolosa per i soci? Come si fa a trarre argomento di vita e diforza da cose per cui gli altri istituti traggono elementi di debolezza?”

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Era questo che stava alla base dell’istituzione geniale che Raiffeisenaveva creato in Germania e che, secondo Luzzatti, non era importabile inItalia, l’idea che potesse essere creata una realtà economica senza ca-pitale destinato. Si può pensare che il contadino, specialmente in un mo-mento di crisi economica, abbia disponibilità liquide da immettere in que-sta società? Certamente no.

Ma il contadino – argomentava Raiffeisen – ha genericamente del ca-pitale anche se già investito: ha una zappa, una vanga, una stalla, deglianimali. Ha qualcosa e quindi ha una garanzia da offrire. Piccola cosa,poca cosa, nemmeno visibile e considerabile se isolata, ma grande seunita a quella di altri.

Se tanti contadini si mettono assieme, se tanti contadini mettono as-sieme quello che già è investito nel loro piccolo sistema economico e de-cidono di rischiare ognuno per tutti con quello di cui dispongono, alloraavranno una grande quantità di risorse che potranno offrire alle banche.

Ecco allora che l’idea della cooperazione – che nel consumo ha sem-pre funzionato e che nel caso inglese, dai 28 Probi Pionieri di Rochdalein poi, ha dimostrato di essere capace di portare avanti l’economia – puòessere applicata anche al credito.

Perché questi sono consumatori di credito che si autogestiscono. Nonsono risparmiatori e non costituiscono casse di risparmio, enti previden-ziali di natura del tutto diversa. Sono consumatori di credito che, propriocome i Probi Pionieri di Rochdale si uniscono in associazione, insieme sifanno scontare una cambiale collettiva da una banca di grandi dimensio-ni e poi scambiano il credito al loro interno.

È il principio associativo della mutualità, che funziona bene, ma solo aduna condizione: che ognuno si fidi dell’altro, che la fiducia – che poi staalla base del concetto di banca – rientri in maniera massiccia dentro que-sta istituzione.

Ma la fiducia, essendo cosa seria, deve essere esercitata anche trabanche consorelle.

Ho detto che in Italia, secondo Luigi Luzzatti, queste cose non poteva-no funzionare: “Siamo troppo individualisti, ognuno pensa ai propri inte-ressi”.

Quando venne costituita a Lodi la prima banca popolare, Tiziano Zallie Luigi Luzzatti crearono qualcosa che certamente poteva assomigliaread una cooperativa di consumo ma in maniera molto pallida.

Al punto che quando, sul finire secolo, ormai questa banca, per poterresistere di fronte alla crisi era costretta ad operare come tutte le altrebanche, Luigi Luzzatti cercava di esortare gli operatori dei suoi istitutiperché non si facessero concorrenza tra loro, perché cercassero di fareuna opera di coordinamento, perché creassero un vero e proprio net-work: cooperazione tra persone, ma anche cooperazione tra imprese.

Cosa che le banche popolari non riuscirono a fare perché hanno l’as-sociazione di cui si dotarono fu molto debole in tal senso.

Ed ecco allora lo stupore di chi, dopo la “Rerum novarum” e dopo il fio-rire di istituzioni cattoliche che utilizzavano proprio il metodo della picco-

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la cassa rurale raiffeseniana, vedeva crescere e diventare qualcosa di im-ponente un movimento coordinato che nessuno mai prima avrebbe pen-sato potesse essere messo in atto.

Perché queste casse rurali cattoliche riuscivano ad emergere, riusci-vano a radicarsi sul territorio mentre le casse rurali analoghe create qual-che anno prima da liberali come Leone Wollemborg e sostenute dalle po-polari di Luzzatti stentavano a diffondersi?

La ragione è molto semplice e possiamo utilizzare per comprendere ilfenomeno anche teorie economiche sofisticate, ma possiamo dirlo anchein maniera molto semplice: la cassa rurale cattolica si basava sulla co-munità, si innestava – proprio come quella mano a forma di radice checrea la pianta che avete voluto utilizzare nel manifesto di questo incon-tro- su qualcosa che già esisteva.

Si inseriva in un sistema di valori e di rapporti nei quali i soci – comesi diceva allora - erano “quasi fratelli”. Si riscopriva così un concetto anti-co dell’ associazione economica che nel Medio Evo veniva chiamataCompagnia, dove quel “cum panis”, quel mangiare il pane insieme, era ilsimbolo dell’essere quasi una famiglia per diventare un fermento vivo pertutta la società.

È lì che stava il valore, il vantaggio competitivo. Perché il credito, quan-do viene erogato, poi non deve essere controllato nella sua evoluzione daimpiegati anonimi che vengono pagati e sono quindi portatori di un costo,ma tutto si autoregola.

Perché il comportamento opportunistico di uno, va contro tutti gli altrie tutti sono ben attenti ad evitare che qualcuno all’interno della compagi-ne sociale lo faccia.

La parrocchia ha un capo riconosciuto, il parroco, una persona che pe-raltro ha anche un livello di conoscenze contabili generalmente più ele-vato rispetto alle persone semplici che operano in queste collettività.

I vantaggi competitivi di questo sistema in un momento come quellosono evidenti. Ho citato prima il caso della Banca Popolare di Lodi (vedol’amico Bassanetti qua davanti): a Lodi ci fu un esempio incredibile dicontrapposizione chiara tra i due modelli perché accanto alla Banca Po-polare i cattolici misero in atto il loro sistema “ a rete”.

Ecco la differenza rispetto alla Popolare organizzata con filiali sul terri-torio che,sul finire del secolo, si comportavano come semplici agenzie diraccolta: il sistema dei cattolici aveva al centro una banca territoriale (ilPiccolo credito di Sant’Alberto), che serviva da banca di coordinamentoed intorno il network delle casse rurali.

In Emilia Romagna vi fu uno degli esempi più fulgidi di questo sistema,quando si fondò il Piccolo Credito Romagnolo, con l’obiettivo di potercontare su una banca centrale capace di erogare il credito nella città, difare operazioni di coordinamento però con tutte quelle casse rurali localiche facevano, con il piccolo credito, un sistema a livello diocesano il piùefficiente possibile, un vero e proprio network, una vera e propria rete,una rete di solidarietà.

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Tre vantaggi competitivi: mutualismo, “stesso intendere e volere”,

Network

Quali sono allora i vantaggi competitivi che questo sistema mette subi-to in atto?

Il primo vantaggio competitivo è quello del mutualismo. È un vantaggioformidabile.

Ci volle il periodo fascista con la sua opera di razionalizzazione buro-cratica e tecnocratica operata da uomini di formazione socialista. Ci vol-le la legge bancaria con la sua azione di incasellamento degli istituti dicredito secondo una logica precostituita, per far tramontare l'esperienzadei piccoli sistemi territoriali. E con questo finiva anche il “seme” del mu-tualismo che si nutre di sussidiarietà, che si posa su un bisogno che par-te dal basso.

Toniolo, in un congresso di Casse Rurali cattoliche europee che si ten-ne a Parigi nel 1900 ebbe ad esprimere concetti molto importanti in talsenso: Noi non abbiamo un tipo di cooperazione come le altre che ve-diamo in giro nel mondo. La nostra cooperazione parte dal basso. Sonoliberi cittadini che decidono di mettersi assieme per risolvere i propri bi-sogni. Le società che vengono costituite al di sopra di questa rete di ba-se, sono società di servizio.

Infatti, secondo questa logica, il vero centro è la periferia. Il centro, vi-ceversa, non è altro che una periferia perché ha il solo scopo di fornireun servizio.

L’altro modello di cooperazione, il più diffuso, è un’altra cosa: discendedall'alto verso il basso perché i vertici dell’organizzazione si declinanonelle realtà locali locali.

È una cooperazione nuova, diceva Toniolo nel ‘900. Da questa coope-razione nuova può nascere una economia nuova, un’economia di base,un’economia veramente federale, ma di un federalismo inteso, come scri-veva Thomas Jefferson, come comunità di quartieri, come comunità dipersone che si mettono assieme per risolvere insieme i propri problemi.

Queste comunità poi debbono creare comunità di comunità per coor-dinarsi al meglio. Se questo è possibile la cooperazione economica di-venta un metodo, l'alba di una economia nuova, di una economia diffe-rente.

E proprio per questo a Parma, quindi nella vostra regione, all'inizio del‘900, si convocò un grande congresso per cercare di creare concreta-mente in Italia questa nuova forma di cooperazione.

Da Parma partì questo messaggio di una cooperazione nuova, primonucleo di una economia nuova, incentrato proprio sulla cassa rurale:l’economia della comunità con, al centro, il salvadanaio della comunità,garanzia di libertà sostanziale.

Da lì doveva originarsi quell’organizzazione complessiva dei cattolicinell’ambito cooperativo che sarebbe stata, ma solo nel 1919, Confcoo-perative.

Il secondo fattore competitivo è “lo stesso intendere e volere”. Lo dico

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tra virgolette perché è una frase che ricorre molte volte, in molti statuti, inmolti articoli del tempo.

È il concetto di prossimità, ma il concetto di banca di prossimità intesanon in senso strumentale, è la banca che segue le persone che vivononella comunità in ogni momento della loro vita, è la banca della solida-rietà, la banca che emerge, appunto, nei momenti di crisi perché è l’uni-ca banca che, nel momento della difficoltà non chiude la porta davanti anessuno.

E’ la banca che supera le asimmetrie informative perché al suo internotutto viene regolato con una stretta di mano, perché guardandosi in fac-cia ci si capisce.

Mutualismo, stesso intendere e volere, solidarietà fra banche. Questo è il terzo elemento di competitività. Il network.La capacità di coesione è già insita, all'origine, di questa tipologia di

impresa.Quando, dopo la seconda guerra mondiale ci fu un altro momento di

fortissima crisi –quella volta reale perché erano state distrutte non sola-mente le strutture finanziarie del nostro paese ma anche le strutture ma-teriali – e bisognava nuovamente fare delle scelte, ecco che le casse ru-rali tornarono ad essere al centro con la loro logica della solidarietà.

Perché se il governatore della Banca d'Italia, Donato Menichella, neglianni ‘50 promuoveva le Casse Rurali ed evitava che si aprissero sportel-li di grandi banche, è perché voleva che ci fosse la possibilità di avere unarete di piccoli crediti, di piccole banche, lontane da quelle pratiche mo-nopolistiche che avevano portato alla crisi degli anni ’30.

Scelte “controcorrente”

Concludo proprio con questa cosa molto importante. Dopo la guerrac'era la possibilità di scegliere.

Perché l'Italia non ha seguito il modello giapponese? Perché non haseguito il modello americano? Perché non si è fatto quel percorso che al-trove aveva dato grandi frutti, quello cioè di abbandonare le piccole im-prese per sostenere solo la grande impresa?

Quando in Parlamento si discusse di queste scelte (siamo all'inizio de-gli anni ‘50), il problema più grande era la disoccupazione, che è davan-ti a tutti. Il problema più grande che i più ritengono debba essere supe-rato è proprio quello: dare occupazione a tutti.

L'idea di poter seguire la stessa strada fatta dagli inglesi e dagli ame-ricani, e che stavano iniziando a fare anche i giapponesi, fu accarezzatada molti perché si pensava che lo sviluppo avesse un andamento linea-re: prima la piccola impresa, l'artigiano, poi la grande impresa della rivo-luzione industriale.

Ecco allora, proprio in questo momento, uomini come Giuseppe Pella,Giordano Dell’Amore e gli uomini delle Casse Rurali insieme a DonatoMenichella, governatore della Banca d'Italia, fare discorsi veramente con-trocorrente.

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“Noi – diceva Dell’Amore e questo venne ripreso da Pella in Parla-mento – non abbiamo bisogno di uno sviluppo economico fine a se stes-so. Non abbiamo bisogno di uno sviluppo economico rapido a spese del-lo sviluppo sociale. Abbiamo bisogno di crescere insieme e di cresceretutti lentamente. La piccola e media impresa può essere lo strumento percrescere non solo economicamente ma anche socialmente”.

E aggiungeva: “Attenzione che le piccole imprese in alcuni casi sono ilretaggio di un antico sapere che non dobbiamo perdere, che può esserein futuro il sale e il seme per una realtà economica nuova, diversa, più amisura d’uomo”.

Oggi sperimentiamo la lungimiranza di quel messaggio.Questa era la logica nuova che incarnò gli uomini che diedero vita ai

medio crediti regionali, gli uomini che diedero vita alle casse rurali e arti-giane. In questo modo pensavano di combattere il male più grande: lamancanza di lavoro.

Diedero vita alle Casse Rurali cercando di reinserirle all’interno del mo-vimento cooperativo, facendole diventare nuovamente – ed è un proces-so ancora in atto – il centro propulsore della comunità, il salvadanaio del-la comunità.

Oggi, di fronte alla crisi che attanaglia tutti, tutti corteggiano le casseper questa capacità di riuscire ad andare controcorrente:

“La Cassa Rurale – concludo come sono partito con una citazione– non cerca di realizzare grandi utili. Le meglio amministrate dan-no utili relativamente modesti. I grandi utili un istituto di credito li ot-tiene tenendo, per quanto è possibile, elevati gli interessi dei pre-stiti che concede e abbassando fino al limite di concorrenza gli in-teressi ai propri depositanti. La cassa rurale, invece, che è coope-rativa di credito, cerca di remunerare più che è possibile i deposi-tanti e di facilitare al massimo coloro che vengono a chiedere il de-naro in prestito …Questo è andare controcorrente … Gli ammini-stratori che hanno aggiuntive responsabilità e grattacapi non sonopochi, non godono di nessun compenso aggiuntivo a fine esercizio… Anche questo è andare controcorrente perché in un regime li-berale, individualista, dove opera la legge edonistica del tornacon-to è un assurdo pensare a società commerciali che esercitano ilcredito, in cui i soci non hanno dividendi ma solo responsabilità. Gliamministratori non hanno compensi aggiuntivi ma solo grattacapi…Questo è andare controcorrente”. L’articolo va avanti con questo “controcorrente” che scandisce ogniaffermazione. Alla fine l’autore si chiede: “Qual è il segreto di que-sto riuscire ad andare controcorrente? E’ un segreto importanteche può far mutare le cose perché chi va controcorrente si può tro-vare, magari senza rendersene conto, con il vento in poppa nonappena il vento cambia direzione. Ma il segreto che spiega questoandare controcorrente anche quando è difficile farlo, è molto sem-plice: è che le casse rurali sono banche con l’anima”.

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L’articolo è del 1941, l’autore Mario Marsili Libelli, allievo di GiuseppeToniolo, uno dei massimi teorici della cooperazione di credito italiana.

Termino qui con l’augurio che l’andare, con un’anima, controcorrentepermetta di avere tempestivamente il vento in poppa quando questo, e lofarà inaspettatamente, cambierà direzione!

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Felicità e denaro

Introduzione

Che cosa sia il denaro tutti lo sanno, o almeno credono di saperlo. Checosa sia la felicità nessun lo sa. Ci sono dei bellissimi passi in letteratu-ra, da Sant’Agostino fino al racconto “Bliss” di Catherine Mansfield che ri-conducono la felicità agli stati interni, e cioè al “morale” di una persona. Ilmeccanismo che origina la felicità non è sempre trasparente, neppure anoi stessi. Basti dire che non è inusitato e incomprensibile affermare: “So-no felice, ma non so perché!”.

Se dalla felicità si passa al benessere, le cose cambiano. Come nel ca-so della misura delle funzioni e delle quantità di denaro, lo stato di be-nessere soggettivo si accerta con tecniche che sono diventate semprepiù precise ed affidabili. Tutti si accorgono che alle volte si sta bene e siè contenti, altre volte no: da questa impressione soggettiva si può distil-lare un indice che prescinde dalle oscillazioni momentanee dell’umore,del benessere e, se proprio volete chiamarla così, della felicità.

Perché si preferisce parlare di benessere e non di felicità? Perché que-st’ultima non solo è difficilmente misurabile ma varia molto nel corso del-la vita, e persino di una stessa giornata. Se voi domandate a una mam-ma statunitense quando è felice, in media vi dirà che lo è quando sta conla sua famiglia, insomma quando realizza il suo ruolo. Eppure, se la in-terrompete senza alcun preavviso, scoprite che la “mamma media”, staveramente bene quando parla con le sue amiche o si guarda tranquilla laTV, con tutti i familiari fuori dai piedi.

Se passiamo dal soggettivo all’oggettivo, cioè al benessere in terminiaggragati, sappiamo bene che il Pil pro capite può venire accertato, edabbiamo dati che risalgono al 1870. Nel manuale di economia scritto daRobert Frank e Ben Bernanke, l’attuale governatore della Federal Re-serve statunitense, c’è una bella tabella che mostra l’impressionante in-cremento del Pil pro capite in Australia, Canada, Giappone, Gran Breta-gna e Stati Uniti. A valori reali (e non nominali!), la ricchezza disponibileper una persona si è moltiplicata per almeno cinque volte. Il paese più im-

PAOLO LEGRENZIProfessore ordinario di Psicologia CognitivaUniversità IUAV - VeneziaPresidente del Comitato Scientifico - Ricerca d’Informazioni dell’ABI

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pressionante è il Giappone: l’incremento medio è stato di almeno sei vol-te dal 1958 a oggi. Negli ultimi cinquant’anni, in questi paesi, è stato an-che rilevato, su campioni rappresentativi, il grado di benessere soggetti-vo medio. Dappertutto si assiste a una scissione impressionante: le ge-nerazioni, una dopo l’altra, non sono per nulla più contente via via che,sui tempi lunghi, cresce il loro reddito. In Giappone abbiamo avuto nel do-poguerra tassi superiori al 4% annuo, ma la soddisfazione soggettiva me-dia è quella di cinquant’anni fa.

Questo vuol forse dire che il denaro non fa la felicità e che non si devebadare al PIL per riflettere sullo stato di salute di un paese? Assoluta-mente no.

Tant’è vero che le persone abbienti, soprattutto quando il reddito pre-senta forte varianza, sono in media, in tutti i paesi, più contente di quel-le di ceto inferiore. E questa non è una grande scoperta.

Il problema è un altro. Le persone godono nel diventare più ricche, matendono ad assuefarsi al livello raggiunto. Di conseguenza, sui tempi lun-ghi, provano soddisfazione o dispiacere in funzione dell’incremento o deldecremento, e non del valore assoluto del reddito pro capite. Questa èuna legge molto generale che serve per spiegare come funziona il ricor-do di eventi dolorosi, la scocciatura di chi ha fatto una coda, ed anche lagioia di chi ha vinto una lotteria.

Se non dobbiamo buttare via il PIL, ha un senso confrontarlo diretta-mente con la rilevazione del benessere soggettivo? La risposta è di nuo-vo negativa. Sarebbe come confrontare ciliegie e mele. Uno è un dato ag-gregato, su una singola variabile, l’altro dipende da un insieme di fattori,ed ha senso solo se riferito a singole persone, come vedremo meglio piùavanti. La misura della soggettività ha senso solo se vogliamo valutare lamaggiore o minore contentezza delle persone sui tempi brevi, e in se-guito a riforme e interventi specifici. Oggi sono più contenti gli italiani o glistatunitensi del loro sistema sanitario? E dopo che sarà cambiato in uncerto modo? Al contrario, il bello del Pil pro capite è proprio il prescinde-re da tempi e luoghi.

Il regno del Buthan sta a cavallo tra India e Cina, una sorta di Svizzerahimalayana con meno di un milione di abitanti. Già negli anni ’70, il re Jig-me Singye Wangchuck ebbe l’idea di introdurre l’indice Gross NationalHappiness. Questo forse attirò turisti e, di sicuro, notorietà. Si tratta sem-plicemente di stabilire non solo lo sviluppo economico, ma anche la ca-pacità di realizzare le proprie potenzialità spirituali, secondo il concettobuddista di Jimba. In realtà non si fa altro che misurare delle specifiche va-riabili compendiandole in un indice: la Felicità Interna lorda pro capite.

Il problema insomma non è nuovo. Da tempo fiorisce una letteratura,ricca e variegata, sulla "felicità" in rapporto al denaro ed alle condizioni dibenessere individuale. Torniamo al problema prima accennato: che cosasi intende esattamente con questo termine? Non tanto il fatto che unapersona, ad esempio un buon dirigente o professionista (dato che stoparlando a voi, che avete responsabilità di organizzazioni più o menograndi) sia felice: questo può venir dato per scontato! Il tema interes-

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sante è invece un altro: la capacità di creare ambienti di lavoro "felici". Piùfelicità, più produttività.

Chiunque abbia lavorato in imprese o organizzazioni – e abbia cam-biato più sedi, come oggi avviene spesso - può convenire con questa in-tuizione. E' banale che in alcuni posti ci si trovi a lavorare meglio che inaltri, insomma si sia più felici, o per lo meno si stia meglio (userò qui co-me equivalenti felicità e benessere, per un'analisi delle differenze cfr. Le-grenzi, 1998 e 2000, Dolan et al., 2008). La spiegazione corrente, cheviene data per questi stati di cose, tende a privilegiare le differenze ri-conducibili a fattori esterni, concreti, spesso incentivi materiali: condizio-ni di lavoro, stipendi, ambiente geografico e comportamentale, relazionisindacali, e così via (Sheldon, Elliot, Kim e Kasser, 2001). Si tratta per so-lito di fattori che non sono sotto il controllo del singolo lavoratore, un po’come si diceva per il PIL: pre-esistono e vengono considerati come indi-pendenti dal singolo attore. Ma quale è il rapporto tra quest’ultimo e loscenario in cui lavora?

Quando una persona sta male in un ambiente di lavoro tende a so-pravvalutare il peso dei fattori di cui non ha il controllo (Spector, P. et al.,2001). Questa tendenza è indice di uno stile cognitivo sano: se le cosevanno male, trovare le cause in fattori esterni! Se vanno bene in noistessi.

Questo meccanismo d’individuazione delle cause costituisce una va-riante di quello che gli psicologi sociali chiamano "errore fondamentale diattribuzione". In questi casi, per il singolo che lavora in un’organizzazio-ne, si tratta di un errore benefico, portatore di serenità e sicurezza. Maper chi ha responsabilità in quell'organizzazione il proliferare di errori dital fatta può essere dannoso, dato che limita uno stile di pensiero auto-critico e il contatto con la realtà. Tornerò più avanti su questo punto.

Il problema teorico che uno psicologo cognitivo affronta è il seguente:come raccordare le intuizioni e le impressioni vissute, la ricca aneddoti-ca sulla vita di impresa, le storie delle aziende più o meno "felici", con lafiorente letteratura sulla felicità che si ispira alla psicologia cognitiva spe-rimentale?

Si noti che quando diciamo che un ambiente di lavoro è "più felice" (omeno infelice) di un altro, noi per solito non alludiamo alle condizioni dibenessere dei singoli individui, ma agli scenari complessivi. La distinzio-ne può sembrare capziosa: la felicità di un ambiente di lavoro non è for-se la media ponderata (gli individui in una organizzazione non hanno lostesso peso!) del benessere dei singoli individui che vi partecipano? Etuttavia dobbiamo distinguere tra segni e cause: la felicità complessivanon è causata dalla somma degli stati individuali, ne è soltanto un segno(cfr. Legrenzi, 1998). La causa risiede nella capacità di creare condizionitali per cui chiunque lavori in quell'ambiente subisca un incremento di be-nessere senza accorgersene, credendo anzi di esserne lui l'agente.

E' possibile assegnare caratteristiche psicologiche che, nell'uso cor-rente, sono individuali a entità sovra-individuali? Le imprese possonoavere emozioni, memorie, stili cognitivi che non siano riducibili alla me-

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dia ponderata degli stati mentali degli individui che vi lavorano? Nella vi-ta quotidiana quest’operazione viene fatta abitualmente e spontanea-mente. In tal caso è vano cercare di ricondurre queste caratteristiche del-l'organizzazione agli stati mentali dei singoli attori.

Se invece della relazione tra singolo e organizzazione, ci poniamo ilproblema dei rapporti tra fattori economici e felicità, possiamo disporre disondaggi relativi alla felicità degli individui, realizzati con opportuni que-stionari. Si cerca di correlare tali misure con altre caratteristiche di un'en-tità complessa, ad esempio un paese (cfr. Frey e Stutzer, 2002, Econo-mist, 2008). Queste misure relative ad un dato paese si ottengono ag-gregando il "benessere soggettivo" (“subjective well-being”: SWB) deisingoli individui. Si tratta di "pesare" quanto una persona è contenta di al-cuni aspetti della sua esistenza e di correlare poi tali giudizi con il cam-biamento di altri parametri, per lo più sovra-individuali (cfr. la recente ras-segna di Diener, Oishi e Lucas, 2003). In questo senso ci si può doman-dare se le condizioni di lavoro materiali, a parità di altre condizioni sog-gettive, sono più buone nell'azienda X o nell'azienda Y. La risposta vie-ne data dal confronto delle misurazioni dei SWB nelle due aziende. Seaccettiamo tale audace riduzione, possiamo procedere alla stima dellafelicità di un'organizzazione tramite le misure del benessere soggettivo(SWB) di chi vi partecipa. Come mai l’operazione in questione è meto-dologicamente discutibile?

La funzione è più ripida nel caso delle perdite che nel caso dei guadagni.

È maggiore il dolore derivante dal perdere una certa cifra su un investimen-

to iniziale rispetto al piacere generato da un guadagno di pari importo sulmedesimo investimento.

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Incentivi materiali, il denaro come prezzo edonico,

e misure del malessere

Non parliamo di felicità, e neppure di benessere. Occupiamoci del suoopposto, il malessere (la felicità, peraltro, non è il contrario dell'infelicità,cfr. Legrenzi, 1998). Gli economisti e gli statistici, per motivi pratici (assi-curazioni, contrattazioni sindacali, e così via), si sono interessati di più al-la misura del passaggio dal benessere al malessere che non al cambia-mento in direzione opposta. Ad esempio, due tipi di lavoro, differenti perlivello di malessere dovuto alle condizioni ambientali, vengono retribuitidiversamente: i lavori rischiosi vengono pagati di più. Il metodo del prez-zo edonico permette di dare una misura economica delle condizioni di la-voro spiacevoli (cfr. Musu, 2003, 120-122). La stima della relazione w = f(�) tra remunerazione w e probabilità di star male per le condizioni di la-voro � è una stima di funzione di prezzo edonico. Da questa possiamoricavare il prezzo edonico marginale Δw/Δ�. Con un facile calcolo, si puòricavare il salario edonico marginale. Al limite, in un lavoro assai rischio-so, rappresenta il valore statistico di una vita umana. Ancora una volta sitratta di una misura ottenuta per aggregazione, che viene cioè ricavataindirettamente a partire dalle differenze di salario. Queste ci permettonodi misurare il rischio massimo, quello di perdere la vita.

Se però andiamo a vedere come viene valutato questo rischio dagli in-dividui troviamo delle asimmetrie inspiegabili con la razionalità economi-ca, come ha mostrato Thaler (1994) con questo (ed altri) problemi:

1) Immagina di dover lavorare in Cina, nel periodo e nella località dove èpiù alta la probabilità di venire contagiati dalla SARS. La tua probabi-lità di essere stato contagiato è di 0.001 (una su mille). Quale è la cifra massima che sei disposto a pagare per venire cura-to?

2) Si cercano volontari per un programma di studio della SARS. Se ac-cetti, ti esporrai a una probabilità di 0.001 (una su mille) di contagio. Quale è la cifra minima che sei disposto ad accettare per partecipareal programma?

Intuitivamente e spontaneamente le persone sono disposte a pagare,nel caso del quesito 1, cifre molto inferiori a quelle che richiedono nel ca-so del quesito 2. Ecco una dimostrazione della differenza cruciale tra lamisura del malessere, tramite i prezzi edonici, e le intuizioni soggettivedei singoli individui. Quest’asimmetria - che nel caso di Thaler (1994) po-tremmo definire tra prezzi di acquisto e di vendita della stessa entità -spiega anche il baratro cognitivo che separa la valutazione di una "vitastatistica" (ottenuta tramite la misura dei prezzi edonici) e le stime indivi-duali dei prezzi per le riduzioni del rischio. Una persona è disposta a pa-gare una cifra molto alta per eliminare quella sola probabilità su mille cheha di morire. Si tratta del passaggio dal rischio alla certezza.

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Tutto ciò spiega il nostro disagio quando viene inferito il valore statisti-co di una vita umana perché, erroneamente, interpretiamo quel dato co-me il valore di una specifica vita umana. Tra questi due piani c'è un ba-ratro, almeno sul piano soggettivo, quello che divide prezzo e valore, be-nessere e felicità.

Benessere soggettivo e cambiamento delle condizioni di vita

Per unanime riconoscimento, venti anni fa esce un lavoro che costitui-sce un punto fermo nello studio della felicità. In sintesi si accertò comeuna differenza minima nella “life satisfaction”, e cioè nella auto-percezio-ne soggettiva di benessere/malessere, tra paraplegici e persone norma-li. Anche l'esame dei casi di cambiamento in direzione opposta, quelli disegno positivo (ad esempio come si sentiva chi aveva vinto una lotteria)mostrava che ben presto la differenza rispetto alle persone normaliscompariva (Brickman, Coates e Janoff-Bulman, 1978).

Questa scoperta ha dato luogo ad un ricco filone di ricerche (Diener eDiener, 1996). Ad esempio, Silver (1982) ha trovato che il vissuto affetti-vo dei paraplegici ritornava fondamentalmente positivo poche settimanedopo il trauma. E ancora: ad un anno di distanza dalla morte della per-sona amata, si ristabilisce, il più delle volte, il precedente stato affettivopositivo. Come hanno osservato Schkade e Kahneman (1998), questeconstatazioni possono apparire contro-intuitive. Ci potremmo aspettareche un paraplegico continui a stare peggio (e un vincitore di lotteria a sta-re meglio) se si confronta il suo stato di malessere (benessere) con quel-lo di chi non ha provato tali esperienze. Al contrario, c’è una correlazionemolto bassa tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e lecircostanze esterne, fortunate e sfortunate, con cui s’intreccia la nostravita. Per predire se la gente tende stabilmente a sentirsi bene o male, ecioè il suo livello soggettivo medio di benessere, è meglio rifarsi a stabilifattori temperamentali che vanno ricondotti più a fattori “interni” che nonalle circostanze esterne dell’esistenza. Ad esempio, la correlazione tra leesperienze affettive di gemelli allevati separatamente sembra molto alta(Lykken e Tellegen, 1996). Possiamo quindi dire che le persone hanno unlivello relativamente stabile di benessere soggettivo. E si tende a ritorna-re a tale livello dopo che si è verificato uno squilibrio, in meglio o in peg-gio, in seguito a fortune o disgrazie (Heady e Wearing, 1992).

L’infelicità caratterizza il processo di cambiamento che peggiora un no-stro stato rispetto ad un precedente livello di benessere. E’ l’entità delladiscesa che ci fa soffrire, non tanto l’entità del valore assoluto. E’ un po'come la differenza tra ricchezza e reddito: al livello della nostra ricchez-za, tanta o poca che sia, ci abituiamo. E’ l’aumento o la diminuzione delreddito, in una data unità di tempo, ciò che per solito provoca piacere odispiacere.

Abbiamo visto come noi tendiamo a sentirci bene quanto più siamo ca-paci di attribuire i cambiamenti in negativo a fattori esterni, che noi nonpossiamo controllare e modificare (per l’appunto: le circostanze della vi-

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ta). Al contrario è sano e positivo pensare che i cambiamenti in meglio ei successi dipendano non dalla fortuna, ma da noi (cause interne: le dotidella persona). Diventa così possibile misurare il livello soggettivo di be-nessere in funzione della tendenza a spiegare gli eventi ricorrendo a cau-se “esterne” o “interne” (cfr. Legrenzi, 1998).

Possiamo domandarci se meccanismi analoghi funzionino per entitàsovra-individuali come le organizzazioni e i paesi. Se la percezione delbenessere dipende dai cambiamenti di stato, possiamo prevedere chel'incremento di benessere/malessere soggettivo (SWB) non cambi in fun-zione dell'aumento del reddito di una persona. Solo di fronte ad un im-provviso incremento o decremento economico, troviamo effetti positivi onegativi del SWB, come hanno mostrato Leu, Burri e Priester (1997), stu-diando l'impatto di eventi aziendali (assunzione, licenziamento, e cosìvia). Il fenomeno di attenuazione e assuefazione annulla anche gli effettipositivi dell'incremento continuo del reddito pro-capite. Questo non com-porta necessariamente un corrispondente incremento del SWB. Se con-sideriamo il paese che ha avuto l'aumento più spettacolare dei redditi, apartire dagli anni 50, il Giappone, constateremo che a tale incrementonon è correlato a una corrispondente crescita del SWB. Più in generalela correlazione tra reddito e SWB nei vari paesi è bassa.

I dati relativi alla felicità nei vari paesi confermano l'impossibilità di ri-durre il tema della felicità, persino quello del benessere alla misurazionedei SWB. Al contrario, nel caso dei singoli lavoratori, diventa cruciale di-stinguere tra i fattori estrinseci, come il reddito, ed i fattori intrinseci disoddisfazione, come la capacità di realizzare le proprie capacità e di con-trollare il senso delle proprie attività. I fattori estrinseci sono meno rile-vanti dei secondi perché subiscono il processo di assuefazione appenadescritto.

Come funzionano i giudizi dell’uomo della strada circa la felicità altrui?Il giudizio sul benessere tende a confondere un dato "stato", ad esempio:essere un vincitore di lotteria, con il "cambiamento da uno stato all’altro",e cioè la gioia nel diventare vincitore di lotteria. Questa confusione di pia-ni è cruciale quando una persona giudica le condizioni di lavoro. Ancheall'interno di una singola azienda, è facile sentire commenti del tipo: vor-rei lavorare nell'ufficio X dove si sta meglio! Questo tipo di giudizi funzio-na in base a un meccanismo cognitivo più generale che è stato chiama-to “effetto focalizzazione” (Legrenzi, Girotto e Johnson-Laird, 1993).

Felicità, benessere e condizioni di scelta

Proviamo a immaginare di incontrare un amico e di discutere con luiche cosa fare dopo cena. Gli domandiamo se vuole “andare al cinemaoppure no”. E’ plausibile che il nostro amico ci chiederà informazioni inprimo luogo su quello che danno nei cinema locali. Solo in seguito, sedeluso, comincerà a esplorare altre possibilità rispetto al cinema. Il tipo didomanda che gli abbiamo fatto l’ha “focalizzato” sull’andare al cinema, edha lasciato sullo sfondo tutto quello che può star dietro a “oppure no”. Per

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defocalizzarlo basta domandargli: "Vuoi andare al cinema o guardare laTV?". In questo caso tenderà a informarsi su entrambe le possibilità.

Quando domandiamo di valutare il benessere o il malessere di un pa-raplegico o di un vincitore di lotteria, creiamo un “effetto focalizzazione”.Si tenderà così a dare un giudizio basato sullo specifico cambiamento distato, sottovalutando gli innumerevoli aspetti della vita che non ci diffe-renziano da loro. Tant’è vero che la conoscenza diretta della vita di un pa-raplegico riduce questa sottovalutazione (Schkade e Kahneman, 1998).

L’effetto focalizzazione può essere creato anche semplicemente cam-biando l’ordine delle domande. Si è provato a chiedere a professionisti:“Quanti appuntamenti d’affari hai avuto nell’ultimo mese?”. E, subito do-po: “Quanto sei contento?”. Se le domande vengono fatte in questo ordi-ne, le persone sono indotte a rappresentarsi il benessere nei termini delsuccesso professionale. Di conseguenza troviamo una correlazione di0.66 tra le risposte alle due domande. Quando facciamo le due doman-de in ordine inverso, evitiamo che la felicità venga rappresentata ridutti-vamente in termini di successo professionale. La correlazione tra le ri-sposte ai due tipi di domande si riduce a 0.12.

Schkade e Kahneman (1998) hanno sfruttato uno stereotipo diffusonegli USA: il sogno californiano. Hanno interrogato 1.993 studenti: metàstavano nelle università del Midwest (Ohio e Michigan) e l’altra metà inquelle della California (Los Angeles e Irvine). Veniva chiesto di valutareil grado di s-contentezza proprio e altrui (cioè degli studenti dell’altra re-gione) in relazione alla vita, in generale, e a suoi aspetti specifici: il la-voro, lo studio, le finanze, la sicurezza personale, lo svago, la vita cultu-rale e sociale, la bellezza del posto, il clima in generale ed i climi estivi einvernali. Inoltre si doveva valutare il peso, cioè la rilevanza, di ciascunodi questi aspetti nel determinare lo stato generale di benessere. A que-sto scopo hanno usato una scala che andava da +5 (estremamente sod-disfatto) a -5 (estremamente insoddisfatto) e le seguenti domande:

- s-contentezza propria: “Per favore, fa una crocetta sulla risposta cheindica quanto sei contento o scontento in relazione a questo aspettodella vita”

- s-contentezza altrui: “Per favore, fa una crocetta sulla risposta cherappresenta meglio quanto uno studente dell’Università X [California vsMidwest] con i tuoi valori e i tuoi interessi è contento o scontento in re-lazione a questo aspetto della vita”

- peso secondo te: “Per favore, fa una crocetta sulla risposta che indi-ca il grado in cui tale aspetto della vita è importante per il tuo benes-sere”

- peso per gli altri: “Per favore, fa una crocetta sulla risposta che indicail grado in cui questo aspetto della vita ritieni sia importante per il be-nessere di uno studente dell’Università X (California vs Midwest)”

I dati evidenziano la forza dello stereotipo ancorato sul sogno califor-niano, giustificato dalla gradevolezza del clima. E tuttavia la forte diffe-

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renza di benessere [malessere] attribuita al clima altrui non si riflette neigiudizi circa il proprio benessere: gli studenti del Midwest e quelli califor-niani dichiarano in media di stare bene allo stesso modo. Quando giudi-cano il loro benessere globale si de-focalizzano, si concentrano sugliaspetti della vita che giudicano importanti. Ecco perchè non ci sono dif-ferenze finali nei giudizi sul proprio stato di benessere.

L’effetto focalizzazione relativo al benessere indotto dal vivere altrovespiega come mai, quando la gente effettivamente si trasferisce, non sco-pre di stare tanto meglio quanto si sarebbe aspettata di stare (Kahnemane Schkade, p. 345). Il sogno californiano deve restare un sogno: ”Oh, sestessimo in California...”. L’effetto è accentuato proprio dalla natura con-trofattuale del sogno. I fatti, purtroppo, sono quelli che sono. Ma noi ci im-maginiamo un contro-fatto: il vivere “altrove”. In questo “altrove”, cono-sciuto solo tramite gli stereotipi, il clima può venire pensato come un po-tente creatore di benessere. E tuttavia, gli studenti di entrambe le regio-ni, quando si tratta di giudicare il peso dei vari fattori che determinano ilbenessere, mettono il clima invernale all’ultimo posto.

L’effetto focalizzazione può insomma giocare dei brutti scherzi al nostrostato percepito di benessere. Quando poi si combina con l’immaginazio-ne, non solo ci induce a pensare al meglio che non abbiamo, ma ancheal peggio che potrebbe venire. E forse non verrà mai. Come diceva Mon-taigne: "La mia vita è stata piena di terribili disgrazie, la maggior partedelle quali non si è mai verificata".

Il meccanismo cognitivo della focalizzazione ci può rendere infelici an-che in situazioni-limite. Quando cioè stiamo obiettivamente bene, addirit-tura meglio di “quasi” tutti gli altri. Scriveva William James, nella sua Psi-cologia del 1892:

Così assistiamo al paradosso di un uomo che si vergogna da morireperchè è il secondo pugile o il secondo vogatore del mondo. Il fatto chesia capace di battere tutta la popolazione del globo, eccetto una perso-na, non conta niente; è quell’individuo che lui "deve" battere; fin che nonci è riuscito, il resto non conta.

Anni fa è stata condotta una curiosa ricerca che conferma, in condi-zioni reali, l’intuizione di William James. Si sono raccolte le videoregistra-zioni delle premiazioni e delle conferenze stampa delle Olimpiadi del1992. Dei giudici, che ignoravano lo scopo della ricerca, hanno esamina-to le registrazioni. In termini assoluti, il vincitore dovrebbe essere più fe-lice del secondo e questi più del terzo. E invece i vincitori delle medagliedi bronzo sembravano più contenti di quelli con la medaglia d’argento.Dall’analisi delle conferenze stampa è emerso che effettivamente, in que-sto secondo caso, si cercava di spiegare come mai non si era vinta la me-daglia d’oro. Al contrario, le medaglie di bronzo tendevano a confrontarsicon chi non aveva vinto nessuna medaglia o con le loro prestazioni per-sonali del passato (cfr. Legrenzi, 1998, p. 29). Questo fenomeno si ripro-duce identico nelle aziende in occasione delle nomine: al n° 2 spiace di

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più non essere diventato il n° 1 di quanto non spiaccia ai n° 3, n° 4, n° 5,..., della gerarchia di non essere stati promossi più in alto.

Denaro e felicità

I meccanismi sopra analizzati illustrano una profonda divergenza traquello che è il benessere soggettivo di una persona in un'organizzazionee il SWB che viene attribuito ai membri di quella organizzazione da chinon vi appartiene. Esso spiega inoltre un'osservazione che è stata piùvolte riscontrata nella letteratura aziendale.

Vi ho già detto che i fattori di motivazioni "intrinseci" su un luogo di la-voro prevalgono su quelli "estrinseci" nel determinare il SWB (cfr. Warr,1999). Come mai, tuttavia, i secondi vengono privilegiati sui primi sia nelgiudizio esterno, da parte di chi non appartiene all'organizzazione sia daparte di chi si batte per migliorarla, ad esempio i sindacati? In realtà è fa-cile focalizzarsi su ciò che è osservabile e misurabile e, soprattutto, è fa-cile accertare un aumento del SWB in occasione di un miglioramento deifattori estrinseci. Grazie al meccanismo sopra illustrato questo incremen-to momentaneo viene giudicato come capace di fornire un incrementopermanente del benessere. E tuttavia tutte le ricerche mostrano che, suitempi lunghi, così come in un paese il reddito pro capite non è determi-nante per il SWB, anche dentro un'organizzazione il miglioramento deifattori estrinseci non è determinante (cfr. Ryan et al. 1996).

Il confronto tra la recente tradizione di ricerca sui meccanismi che go-vernano il SWB e, soprattutto, presiedono all'attribuzione di SWB da par-te di altri, con la tradizione qualitativa sulla felicità, di cui ho parlato al-l'inizio, ci illumina su interessanti corrispondenze.

Consideriamo la documentata rassegna di Mihaly Csikszentmihalyi(2003). La domanda da cui parte l'autore è semplice: siamo stati capacidi individuare le condizioni per migliorare il SWB all'interno delle impresedato che questo è connesso alla produttività? Egli parte dalla differen-ziazione tra fattori estrinseci ed intrinseci e mostra come i secondi pre-valgono sui primi per creare un clima aziendale dove si incrementa ilSWB. Quali sono le condizioni per migliorare i fattori intrinseci?

Se l'impressione di controllo della propria attività è cruciale, è altret-tanto importante che gli scopi creati dall'organizzazione siano chiari. Bi-sogna cercare di fare sì che la focalizzazione sia sull'attività in sé e nonsugli scopi di quell'attività, come avevano già rilevato gli psicologi gestal-tisti molti decenni fa. A tal fine è importante l'equilibrio tra i feedbackesterni e quelli interni: un eccesso di motivazione intrinseca può condur-re a uno scollamento dall'azienda intesa come entità collettiva ed orga-nizzata. Una persona è talmente felice del suo lavoro da dimenticarsi chele sue attività vanno raccordate con quelle altrui. Un eccesso di motiva-zione estrinseca non creerà spirito di corpo ma un eccesso di competi-zione interna.

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Conclusioni

Credo che i tempi siano maturi per raccordare le scoperte fatte daglipsicologi, studiando i meccanismi cognitivi della felicità, con l'enorme ba-gaglio di osservazioni qualitative fatte all'interno delle aziende. Ho quicercato un'operazione analoga a quella compiuta da Goleman, che ha di-vulgato le scoperte della psicologia sui rapporti tra emozione e cognizio-ne. Prevedo che nei prossimi anni i saperi aziendali si dedicheranno allostudio delle condizioni per creare benessere nelle organizzazioni ricor-rendo non soltanto ai racconti dei casi di successo (e insuccesso: quan-to più rari in letteratura, ma frequenti nella vita delle aziende!). L'analisidei casi singoli verrà illuminata dalla conoscenza dei principali ostacolicognitivi alla felicità intesa come capacità di valorizzare le conoscenze ele emozioni reciproche.

C'è sempre stata un'ampia condivisione, nelle aziende, nel giudizio in-tuitivo circa quali variabili fossero capaci di generare felicità. Tutti sannoche in certi posti si lavora meglio che in altri, che certi capi funzionanomeglio, e che la produttività complessiva ne beneficia. Il problema è chequesto sapere è stato per lungo tempo implicito e non codificabile. Essoviene trasmesso soltanto tramite storie e casi. Solo questi permetteva-no di andare al di là della razionalità economica. Ed è per tale motivo chegli economisti "veri" non considerano scientifiche queste forme di saperiaziendali. Eppure la razionalità economica non è sufficiente, che è ne-cessaria anche la saggezza. La psicologia cognitiva della felicità può aiu-tarci a capire perché è così difficile diventare saggi.

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Il Denaro e la Fede

Il titolo di questo mio intervento potrebbe suonare provocatorio, inquanto denaro e fede sono due oggetti di per sé separati, anche se i cre-denti come tutti gli esseri umani per vivere usano il denaro, e qualche vol-ta come altri ne abusano.

Tuttavia nella Bibbia ebraica e in quella cristiana si parla spesso del de-naro, o più genericamente della ricchezza. Vorrei proporre alcuni spuntidi riflessione senza la pretesa di esaurire un tema così complesso e va-sto. Tratterò tre aspetti: 1. Idea della ricchezza e del benessere secondola Bibbia; 2. Le contraddizioni dei beni e della ricchezza soprattutto difronte a chi ne è privo, i poveri; 3. L’uso dei beni della terra da parte delcredente (solidarietà, gratuità, elemosina).

Idea della ricchezza e del benessere

La Bibbia, soprattutto il Primo Testamento, non disprezza in manieramanichea il possesso dei beni. Anzi la ricchezza, come la salute e il be-nessere fanno parte della benedizione che Dio concede all’umanità findal racconto della creazione. I beni della terra sono così un segno dellabenedizione di Dio. La stessa terra promessa, che Dio concede a Israe-le suo popolo, quella terra dove scorre latte e miele, cioè una terra di ab-bondanza, è dono di Dio e non tanto conseguenza della conquista del-l’uomo. Lo descrive molto bene il racconto della conquista di Gerico nellibro di Giosuè, dove il popolo non fa assolutamente nulla, ma è il Signo-re l’attore della sconfitta del nemico. Il libro del Deuteronomio ripete incontinuazione l’esortazione a ricordarsi che l’abbondanza dei frutti dellaterra è conseguenza del dono di Dio. Lo stesso libro nei capitoli 28 e 29indica quali sono le conseguenze della benedizione e della maledizione,di una vita con o senza Dio: il possesso della terra sarà frutto dell’osser-vanza dei comandamenti, mentre la sua perdita la conseguenza della lo-ro non osservanza. Una certa teologia protestante, ad es. quella nata dal-la riforma calvinista, ma anche movimenti prodottisi nell’ultimo secolo osette più recenti, sono interpreti di questa teologia.

MONS. AMBROGIO SPREAFICOVescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino

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Al contrario la malattia, la povertà, sono indice di peccato, di lontanan-za dai comandamenti. L’intima connessione tra malattia e peccato è benchiara anche nei vangeli. Il racconto della guarigione del cieco nato nelcapitolo 9 del vangelo di Giovanni è forse l’esempio più evidente. Gesùincontra un uomo cieco dalla nascita. Subito i discepoli interrogano il Si-gnore: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cie-co?”. Gesù risponde ai discepoli e poi guarisce il cieco. A questo puntosorge una fitta discussione, nella quale, oltre all’incredulità manifesta chesia proprio quell’uomo il cieco guarito, si esprime con ancorra maggiorechiarezza quanto già i discepoli avevano chiesto: il vero problema è sta-bilire chi sia la causa della malattia congenita di quell’uomo, egli stessoo suoi genitori? Quindi si tratta di stabilire chi è nel peccato. Alla fine, nonriuscendo ad estorcere al cieco una parola di condanna di Gesù, affer-mano esasperati: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”. Gesù stes-so è considerato peccatore, in quanto contaminato con la malattia diquell’uomo. Episodi simili si incontrano facilmente nei vangeli. Ad esem-pio nel racconto della guarigione di un lebbroso in Marco 1,40-45, toc-cando il malato Gesù si contamina ed è costretto a vivere fuori dai vil-laggi, perché così stabiliva la legge per i lebbrosi.

Le contraddizioni dei beni e della ricchezza

Questo modo di pensare tuttavia comincia a scricchiolare già a partiredai testi del Primo Testamento. Il dubbio sulla verità di questa mentalitànasce di fronte alla drammatica esperienza della sofferenza e della mor-te del giusto: come mai il giusto muore prematuramente e ingiustamen-te, mentre chi compie il male prospera? O la giustizia di Dio non funzio-na o la teologia tradizionale è sbagliata. I libri di Giobbe e della Sapien-za sono le espressioni più chiare di questa discussione interna alla teo-logia biblica. Giobbe era un uomo ricco e giusto. Abbondava di beni, unafamiglia numerosa e felice, fedele alla legge di Dio. Ma a un certo puntosi inserisce un “satan”, un accusatore, uno che vuole metterlo alla prova.Si tratta chiaramente di un espediente letterario, che esprime il dibattitoaperto su un problema che comincia a fare difficoltà. Così Giobbe apreuna discussione con Dio attraverso alcuni amici, che rappresentano lateologia che egli contesta. Giobbe non accetta l’idea che la situazione diprivazione a cui è stato ridotto all’improvviso sia la conseguenza dellasua infedeltà alla legge di Dio e quindi del suo peccato. Egli si proclamagiusto e non capisce perché sia stato privato di tutto quanto era in suopossesso. Soprattutto contesta i ragionamenti dei suoi amici, che lo vo-gliono convincere ad accettare il suo stato di peccatore per poter esserereintegrato nella condizione primitiva di benessere (capitolo 19). La solu-zione del suo dramma appare solo alla fine del libro. Dio gli rivela il suodisegno provvidente, che sostiene la creazione e gli esseri viventi. Comepuò Giobbe non essersi accorto che Dio non lo aveva abbandonato e chenon era la causa dei suoi mali? La scoperta di Giobbe risuona nelle sueultime parole: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti

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hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pento, sopra polvere e cenere”(42,8-9).

Nel libro della Sapienza il problema viene posto in modo ancor più se-rio: come può Dio permettere che il giusto muoia mentre il malvagio pro-spera? Sì, è vero, l’autore afferma che “le anime dei giusti sono nelle ma-ni di Dio, nessun tormento le toccherà”; ma anche: “Agli occhi degli stoltiparve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro parten-za da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. Vediamo come la lungavita non sia più segno della benedizione divina, perché ciò che conta èla “giustizia”: “Il giusto da morto, condannerà gli empi ancora in vita; unagiovinezza, giunta in breve alla conclusione, condannerà gli empi, pur ca-richi di anni” (4,16).

Un altro aspetto della contestazione, anche se indiretta, della teologiatradizionale, si incontra frequentemente nelle parole dei profeti. Il puntodi partenza del loro rapporto con la ricchezza è esattamente il contrario,la povertà, o meglio, l’ingiustizia comminata dai ricchi nei confronti dei po-veri. Si tratta di parole pronunciate prevalentemente nel periodo primadell’esilio, quindi tra l’ottavo e il settimo secolo a.C.. Siamo in una socie-tà prevalentemente composta da famiglie che vivono dei prodotti dellaterra, ricavati dal possesso di piccole proprietà. Bastava una calamità na-turale, come una stagione senza piogge, per privare il nucleo familiare diquel poco necessario per il sostentamento, con conseguente perdita del-la terra e talvolta persino con la vendita in schiavitù di membri della fa-miglia. Amos, Isaia, Michea, Sofonia, Abacuc, sono tra coloro più di tuttidenunciano questa situazione come conseguenza di un mercato ingiustoa detrimento dei poveri.

Al tempo del profeta Amos ad esempio il regno di Israele godeva di unacerta prosperità e benessere, che tuttavia era circoscritto a gruppi moltoristretti. Secondo le parole di Amos, la ricchezza e l’accumulo eccessivodei beni provocava grandi ingiustizie. Le sue parole paiono taglienti. Egli sierge a difesa dei poveri. Basta aprire le poche pagine del suo piccolo libroper scontrarsi con la triste realtà del disprezzo e dell’umiliazione dei po-veri. Forse solo Isaia e Michea, due profeti quasi suoi contemporanei, usa-no espressioni così dure nei confronti di chi arricchisce senza tener con-to degli altri. Un esempio fra tutti. Amos dice al capitolo ottavo:

4. Ascoltate questo,voi che calpestate il misero,eliminando i poveri del paese,

5. dicendo: "Quando passerà il novilunio per vendere il grano,e il sabato per portare fuori il frumentorimpicciolendo l'efa e ingrandendo il siclo,sviando bilance false,

6. comprando con denaro gli indigenti,il misero per un paio di sandali,e smerceremo lo scarto del grano.

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Vedete, la profezia ha sempre un tono alto, guarda oltre il presente purrivolgendosi a donne e uomini concreti che si trova di freonte. Una delledifficoltà di oggi è la mancanza di visioni condivise, anche di tipo socio-economico. Le parole di Amos mettono in guardia da un mercato che ri-schia di provocare degli squilibri sociali, fino all’oppressione di chi è piùpovero. Dobbiamo immaginarci una società contadina, in cui la compra-vendita dei prodotti della terra era una delle attività principali. Ma la pic-cola proprietà terriera per i più poveri significava la possibilità di soprav-vivere. I commercianti non rispettano neppure il tempo sacro, "novilunio"e "sabato" (oggi sarebbe la domenica o le feste religiose), e ne aspetta-no la fine per poter compiere i loro affari e fare le loro vendite (penso ainegozi aperti ormai anche a Natale e Pasqua). Il profeta smaschera unostile di vita a cui non è estranea la nostra società. Vedete come la Bibbianon è per nulla antiquata, anzi contiene una saggezza antica di grandespessore. Amos ci pone di fronte a gente avida di guadagno e ricchezza.Neppure il tempo sacro interrompe questa scelta; anzi l’interruzione im-posta dalla festa è vista come un impedimento per l'attuazione del pro-prio interesse e per l’aumento del proprio capitale. Si è disposti a tutto,persino a falsificare le bilance.

Tuttavia la conseguenza più drammatica della violenza nei confrontidei poveri è espressa al v.6: “comprando con denaro gli indigenti, il mi-sero per un paio di sandali, e vendendo lo scarto del grano”. È forse su-perfluo attualizzare questi testi. Basti pensare al mercato degli schiavi,dei bambini, delle donne, degli organi, o allo sfruttamento dei bambini perla guerra (circa 300 mila nel mondo). Ma vedete, c’è un impoverimentomeno drammatico ed appariscente, che tocca tanta gente nel nostro pae-se a cui non possiamo essere indifferenti, soprattutto in questo momen-to di crisi economica, su cui non mi fermo, perché certamente ne siete aconoscenza meglio di me.

L’ingiustizia tuttavia si manifesta anche nei rapporti tra i popoli. Mi han-no sempre affascinato alcuni capitoli del libro di Ezechiele, profeta vissu-to in tutt’altro contesto storico rispetto ad Amos. In essi si riflette sui rap-porti internazionali. Siamo nei capitoli da 25 a 32. Il periodo storico è tra-vagliato: si colloca a cavallo dell’occupazione del regno di Giuda e dellacapitale Gerusalemme fino alla sua distruzione, con la conseguente de-portazione ad opera dei babilonesi avvenuta nel 587. Ezechiele è uno deideportati a Babilonia. Egli cerca di capire nel profondo le origini di que-sta catastrofe politica, che mise in discussione anche la fede di Israele.Ma il profeta si muove oltre i confini del suo popolo. Babilonia era unagrande città, capitale di un impero forte e invasivo. Le guerre di conqui-sta erano parte della storia di quel tempo. Ma alla base di molte di essec’era fame di beni, di ricchezza, di territori attraverso cui far transitare ipropri prodotti. (Che dire di quanto avviene anche oggi in molti paesi del-l’Africa, vera preda di nazioni affamate di risorse?). Egli cerca così di an-dare alla radice del problema della violenza. Gli oracoli sono in prevalen-za rivolti alla città stato di Tiro e all’Egitto, due grandi espressioni del po-tere politico ed economico del Vicino Oriente Antico. Ezechiele sembra ri-

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spondere a una domanda inespressa: da dove la violenza e le guerre, at-traverso cui si mira a impadronirsi dei beni altrui per mezzo di un merca-to e un commercio senza regole e una continua espansione del propriodominio? Ci sono testi di Ezechiele che sono di una attualità impressio-nante. Leggiamo ad esempio al capitolo 28: “Tu eri un modello di perfe-zione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tueri coperto di ogni pietra preziosa…Perfetto tu eri nella tua condotta daquando eri stato creato, finché fu trovata in te l’iniquità. Con la tua sag-gezza e il tuo accorgimento hai creato la tua potenza e ammassato oroe argento nei tuoi scrigni; con la tua grande accortezza e i tuoi traffici haiaccresciuto le tue ricchezze e per le tue ricchezze si è inorgoglito il tuocuore… Crescendo i tuoi commerci ti sei riempito di violenza e di pecca-ti”. Il profeta individua nell’orgoglio, o, detto in altre parole, nell’egoismoindividuale e collettivo, il peccato originale dei popoli, cioè l’origine e lacausa del peccato, della violenza, delle guerre, della bramosia di domi-nio sugli altri, dell’arricchimento smisurato.

L’orgoglio è presentato come la conseguenza della bellezza e della ric-chezza (commercio) (28,4-5), che introducono una logica di dominio e diviolenza espansionistica (27,10-11). L’orgoglio rivela un’idea alta di sé,che porta al dominio sugli altri, tanto alta da equipararsi a un dio: “Perchéil tuo cuore si è insuperbito e hai detto: Io sono un dio, seggo su un seg-gio divino in mezzo ai mari, mentre tu sei un uomo e non un dio, hai ugua-gliato la tua mente a quella di Dio.” (28,2.6). Siamo di fronte a una ric-chezza e a un dominio che fanno sentire unici, particolari, insostituibili,superiori a tutti, appunto simili a Dio. Ecco ciò che il profeta chiama or-goglio e “innalzamento”. Ma la fine di costoro sarà una morte ignominio-sa. Come dice Gesù nei vangeli: “Chi si esalta sarà umiliato, chi si umiliasarà esaltato”.

Non siamo di fronte a una minaccia. La Parola di Dio non minaccia, semai suggerisce e propone. In verità si tratta di riflettere più a fondo sul ti-po di società che si va costruendo, dominata forse troppo dal materiali-smo e dal denaro, che conduce a stili di vita che mettono in risalto ciò cheappare, il possesso, i beni, e poco il cuore, la dimensione interiore. E’ ildenaro che diventa tema di discorsi e oggetto di tanti pensieri e preoc-cupazioni. Ma anche la spiegazione della realtà, dei rapporti umani, è tut-ta materiale. Si guarda se stessi e il mondo a partire da quello che si pos-siede. Insomma un’idea mercato non solo del commercio, ma anche del-la vita. Aveva ragione il profeta Ezechiele. E poi sembra quasi parados-sale: la globalizzazione dovrebbe aprire al mondo, invece si vive una for-te concentrazione su di sé, sul proprio ambiente, sulla propria regione,sulla propria terra. In fondo si sente come un fatto molto reale, che la pro-pria terra, la propria regione, il proprio ambiente, sono il mio mondo: unaspecie di allargamento e di prolungamento dell’io, in cui gli altri, soprat-tutto i poveri non esistono. A questo orientamento si ispirano anche lescelte della politica, che perde ogni carattere universalistico, anzi talvoltaperde anche quello nazionale, per divenire locale: insomma quello dellavera realtà in cui si vive. Quel che conta è il mio bene. L’idea del bene co-

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mune, così forte nella dottrina sociale cristiana e riproposta dalla recen-te enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, sembra talvolta affievo-lirsi o addirittura sparire in favore di un bene più ristretto. Sarebbe l’ideadel salviamo almeno noi stessi, o almeno me stesso. A parte la miopia ditale convinzione, poiché, come voi mi insegnate, la crisi finanziaria edeconomica attuale è globale prima che locale. E non basta risolvere il lo-cale perché si risolva anche il globale. Secondo il segretario della FAOsiamo arrivati a più di un miliardo di persone nel mondo che soffrono perla fame. Occorre ricordarsi che la miseria è terreno fertile per il terrorismoe le mafie.

La solidarietà, prima risposta a una ricchezza che crea ingiustizia

C’è secondo la Bibbia una possibilità di uscita da questa logica di do-minio? La domanda è tanto più necessaria, perché la Bibbia non consi-dera mai la ricchezza in se stessa un fatto negativo. Facciamoci aiutareinnanzitutto da un testo del libro del Deuteronomio al capitolo 15. Il librodel Deuteronomio è particolarmente preoccupato dei poveri, che dove-vano essere numerosi. Soprattutto gli stavano a cuore gli immigrati, gli or-fani e le vedove, forse a quel tempo i poveri tra i poveri.

Nella prima parte del testo (vv. 1-6) la legge stabilisce la rinuncia al cre-dito nei confronti degli altri. È l’anno della remissione. La norma si avvici-na a quella dell’anno giubilare: “In quest’anno del giubileo ciascuno tor-nerà in possesso del suo.” (Levitico 25,13). Anche noi viviamo in un mon-do che si sviluppa sul debito e quindi sul credito. Non si tratta solo del de-bito internazionale dei paesi poveri, di cui si è parlato e si torna a parla-re ciclicamente. Si conduce spesso una vita costruita, nei confronti deglialtri, sui debiti e sui crediti, e non solo di carattere economico. E in gene-re si avanzano sempre più crediti di quanto si riconosca di essere debi-tori. Questo vale a livello individuale, familiare, di gruppo e persino di so-cietà. Così si acuiscono le contrapposizioni e le divisioni sociali. Nei cri-stiani, invero, la sola idea di essere perennemente in debito verso Dio do-vrebbe portare a un atteggiamento diverso nei confronti degli altri. Ricor-diamo il Padre nostro che dice: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li ri-mettiamo ai nostri debitori”. Il miracolo dell’amore e della pace cominciaproprio dal riconoscere ogni giorno quello che gli altri ci offrono e quelloche noi possiamo donare in uno scambio generoso della nostra vita, deinostri beni materiali e non, dei nostri talenti.

Deuteronomio 15 si sofferma soprattutto sul caso del povero. Infatti inuna società fondata sul credito il povero è il più penalizzato. Nella socie-tà di quel tempo l’indebitamento era molto facile e spesso portava persi-no alla schiavitù, come abbiamo visto nel libro di Amos. Il povero che per-de il suo diritto alla terra, ai suoi beni, o addirittura alla sua libertà, di-pende in tutto dalla generosità del suo creditore. Il Deuteronomio stabili-sce una legge che si presenta utopica quando afferma: “Non vi sarà al-cun bisognoso in mezzo a voi”. È chiaro che questa norma è l’estensio-ne al massimo del principio della generosità, che tende a rispondere al

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bisogno di chi si è trovato a dipendere dagli altri in quanto alla sussi-stenza. Ma che fare in un mondo in cui i poveri permangono numerosi?Spesso infatti di fronte ai bisognosi e i poveri non si sa che fare, ci si sen-te talvolta impotenti. Ci si tira indietro, pensando che non sia nostro com-pito aiutarli. La Bibbia aiuta a trovare delle risposte al pessimismo e alrealismo che dominano lo scenario internazionale davanti alla povertà adanche di fronte a promesse, come quelle del G8, che tutti sanno non ven-gono mantenute che da pochi. Infatti il problema non è solo avere unalegge o stabilire dei parametri da raggiungere. La Bibbia ci dice che il ve-ro cambiamento non avviene se non passa attraverso un mutamento in-teriore.

+ “se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello bisognoso.” Non si spe-cifica il tipo di bisogno. La parola ebraica (ʻebyon) suggerisce un bisognomateriale, economico, sociale. Che fare di fronte al bisognoso? Prima co-sa: “Non indurire il cuore e non chiudere la mano”. La Bibbia è molto con-creta e insieme profonda, perché penetra nel cuore. La durezza di cuoresta all’origine della mancanza di generosità, quella generosità che do-vrebbe portare a condonare il debito. La durezza di cuore nasce dallapaura di perdere quello che si possiede, dalla difesa del proprio. Si trattadi un atteggiamento consueto, che fa calcolare tutto, quello che si dà equello che si riceve. Quante volte ogni giorno si potrebbe aprire il cuoreper dare a chi ha bisogno? E quanto la vita di tutti ne trarrebbe vantag-gio in pace, serenità e unità con Dio e con gli altri!

+ “Apri completamente la tua mano”. Il Signore chiede una generositàsenza calcoli e senza misure. Essa è una risposta alla durezza di cuoree fa ritrovare se stessi. La misura unica che deve muovere il cristiano è ilbisogno dell’altro, è quanto manca a lui: “gli aprirai la mano e gli preste-rai quanto occorre alla necessità in cui si trova”.

+ “Bada che non ti entri nel cuore questo pensiero iniquo: È vicino ilsettimo anno, l’anno della remissione; e il tuo occhio sia cattivo verso iltuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; egli griderebbe al Signorecontro di te e un peccato sarebbe su di te”. Il calcolo dell’avarizia rendecattivi e fa chiudere di fronte al bisogno dei poveri. La Bibbia non ha dub-bi davanti al calcolo: mette in guardia da un occhio cattivo, da un modocattivo di guardare verso il proprio fratello nel bisogno. Cuore e occhio,interno ed esterno, esprimono spesso un atteggiamento difeso, sbrigati-vo, freddo, distaccato, nel trattare e nel considerare il bisogno degli altri.Si passa accanto a chi ha bisogno senza fermarsi, senza riconoscereche egli è nostro fratello e ha un diritto di attenzione e di amore nei no-stri confronti. Davanti al rifiuto dell’uomo il povero grida verso Dio, garan-te supremo della giustizia, che nel suo intervento manifesta la sua mise-ricordia, ma anche il peccato dell’uomo. Il calcolo, l’avarizia, che fanno ti-rare indietro, sono un peccato. C’è un peccato di omissione di carità e dimisericordia verso i poveri, della cui gravità anche i cristiani spesso nonsi rendono conto.

+ “Dagli generosamente e, quando gli darai, il tuo cuore non si rattri-sti…”. Non basta dare. Bisogna dare generosamente, con la misura di

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Dio, non con la nostra. La mancanza di generosità provoca tristezza. È latristezza dell’uomo ricco, che non volle privarsi di nulla in favore dei po-veri per seguire Gesù. “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”, dice il Si-gnore in un detto riportato dagli Atti degli Apostoli (20,35; cf. 2 Corinzi9,6-7). Non c’è gioia per chi non ama i poveri ed ha paura di perdere ciòche ha. La conseguenza di una scelta generosa è una vita ricolma dellabenedizione di Dio. Gesù ebbe a dire ai discepoli preoccupati di aver la-sciato troppe cose: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciatocasa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e delvangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratel-li e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro lavita eterna.” (Marco 10,29-30). E ricordiamo che l’amore per i bisognosinon è un fatto accessorio per il cristiano. Già per il Deuteronomio è un co-mando. È questo il miracolo che Gesù porta nel mondo, ricordando chel’amore per i bisognosi è parte essenziale della vita dei cristiani, miraco-lo che si può esperimentare ogni giorno nel cuore, nelle scelte, nei gesti,anche i più semplici, una parola, una carezza, un sorriso, un incoraggia-mento, un aiuto concreto.

Vorrei in conclusione fermarmi su un’icona, quella stessa che Bene-detto XVI ha messo in risalto nella sua enciclica Deus caritas est: l’iconadel Buon Samaritano (Luca 10,25-37). Il Papa sottolinea che, anche nel-la società più giusta, l’amore sarà sempre necessario. In questo senso,dal punto di vita cristiano, la giustizia da sola non basta per vivere in ma-niera piena la nostra umanità, non è sufficiente per essere autentica-mente umani. Egli dice: “Il programma del cristiano, il programma delbuon Samaritano, il programma di Gesù, è un cuore che vede.” (31,b)Nella parabola evangelica tutto parte dalla domanda di un esperto dellaBibbia (dottore della legge) sulla vita eterna e sul prossimo. Si tratta diuno studioso, non di un ignorante. La domanda nasce dal fatto chel’esperto della legge “vuole giustificarsi”, verbo che non significa tanto ad-durre delle giustificazioni a sostegno del proprio agire o pensiero, ma èal contrario espressione della convinzione di una giustizia personale, l’af-fermazione di una situazione di giustizia di fronte a Dio per quanto ri-guarda il proprio agire. La domanda è: Chi è il mio prossimo? Gesù ri-sponde con una parabola, cioè attraverso il linguaggio della vita e nondelle opinioni più o meno intelligenti. Lo sviluppo della parabola è lineareed eloquente. C’è uomo che sta scendendo da Gerusalemme a Gerico esi imbatte in alcuni briganti, i quali, dopo averlo picchiato e derubato, lolasciano mezzo morto al bordo della strada. Passa un sacerdote, “lo videe passò oltre”, dice il Vangelo. Lo stesso fa un levita, un addetto al tem-pio. Poi passò un samaritano che “lo vide, ne ebbe compassione, gli si fe-ce vicino, fasciò le sue ferite, versandovi olio e vino, poi, caricatolo soprail suo giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui”. Qual è ladifferenza tra i primi due e il samaritano? Tutti e tre lo videro, ma solo unoebbe compassione. La compassione è un tratto fondamentale dell’agiredi Gesù nei Vangeli. È il contrario dell’indifferenza, della fretta che fa pas-sare oltre, vedere e allontanarsi. Il sacerdote e il levita non erano gente

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cattiva, anzi erano devoti a Dio. Ma non basta non essere cattivi. Bisognaavere compassione, cioè assumersi il dolore degli altri, patire con chi sof-fre, curare avvicinandosi e non scappando, come fa la nostra società da-vanti a chi è debole e soffre. Pensiamo ad esempio ai tanti anziani ab-bandonati a se stessi o all’odio per gli stranieri che sta montando iun mo-do impressionante anche nel nostro paese. Certo il samaritano non po-té fare tutto da solo. Anche lui aveva i suoi impegni. Ma si prese cura dilui portandolo in un albergo.

Quanto fece il samaritano è come un itinerario per passare dalla solagiustizia, che forse nella nostra società sarebbe già molto, alla compas-sione e alla solidarietà. Ed il samaritano era un estraneo rispetto a quel-l’uomo, anzi addirittura un potenziale nemico. Infatti tra samaritani e giu-dei non correva buon sangue. Vediamo come si conclude la parabolaevangelica. Era iniziata con la domanda dell’esperto della legge: “Chi è ilmio prossimo?”. La domanda finale di Gesù rovescia quella del dottoredella legge: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui cheè incappato nei briganti?”. Per capire chi è il prossimo bisogna farsi pros-simi a chi è nel bisogno. Ecco il grande segreto del Vangelo che fa otte-nere la vita eterna e cambia già da oggi l’umanità: la compassione e lamisericordia, prendersi cura degli altri, avere un “cuore che vede”, comeha scritto Benedetto XVI. Secondo Matteo 25 il giudizio finale sarà unadomanda sull’amore verso i poveri: “Avevo fame e mi avete dato da man-giare, sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nu-do e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venutia trovarmi”. Nei poveri incontriamo il Signore. E direi anche che la com-passione e l’amore per i poveri comunque cambiano la vita, l’aria che re-spiriamo, danno gioia al cuore.

Che fare? Privarsi di tutto? Non è la richiesta che il Vangelo fa a tutti.Ci può aiutare l’episodio di Zaccheo, un uomo piccolo di statura mossodal desiderio di vedere il Signore, ma non riuscendo salì su un albero(Luca 19,1-10). Quando Gesù lo vide, lo fece scendere e andò a casasua. Zaccheo si commosse, anche perché era pubblicano, riscuoteva leimposte da parte dei romani, ed era ricco. I pubblicani non erano ben vi-sti, anzi erano considerati peccatori e imbroglioni. Zaccheo si stupì delgesto di attenzione di Gesù tanto da prendere con lui un impegno: “Ecco,Signore, io dò la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno,restituisco quattro volte tanto”. Zaccheo stabilisce una misura, non dà tut-to. Ciascuno può stabilire una misura. In ogni caso non si può vivere sen-za stabilirne almeno una. Prima che un problema di solidarietà è un ob-bligo di giustizia!

Vorrei concludere con un bel testo del libro del Siracide, che parla del-l’elemosina (3,29-4,10):

“L’acqua spegne un fuoco acceso,l’elemosina espia i peccati.Chi ricambia il bene provvede all’avvenire,al momento della sua caduta troverà un sostegno.

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Figlio, non rifiutare il sostentamento al povero,non essere insensibile allo sguardo dei bisognosi.Non rattristare un affamato,non esasperare un uomo in difficoltà.Non turbare un cuore esasperato,non negare un dono al bisognoso.Non respingere la supplica di un povero,non distogliere lo sguardo dall’indigente.Da chi ti chiede non distogliere lo sguardo,non offrire a nessuno l’occasione di maledirti,perché se uno ti maledice con amarezza,il suo creatore esaudirà la sua preghiera.Fatti amare dalla comunità, davanti a un grande abbassa il capo.Porgi l’orecchio al poveroe rispondigli al saluto con affabilità.Strappa l’oppresso dal potere dell’oppressore,non essere pusillanime quando giudichi.Sii come un padre per gli orfani,e come un marito per la loro madree sarai come un figlio dell’Altissimo,ed egli ti amerà più di tua madre.”

L’elemosina si compie con piccoli gesti. Si potrebbe ritenere superfluao inutile. Qualcuno pensa sia persino dannosa, e altri invitano a non far-la. Eppure l’elemosina esprime qualcosa di semplice e insieme straordi-nario nella vita del credente, che tra l’altro unisce ebrei, cristiani e mu-sulmani: la gratuità del dare. Infatti nell’elemosina non c’è attesa di esse-re ricambiati.

Si dà sapendo di aver perso qualcosa che non ci verrà restituito. Pro-prio qui sta la sua forza e straordinarietà. In un mondo mercato, in cui tut-to o quasi è calcolo e misura, l’elemosina permette a ciascuno, persinoal povero, di dare qualcosa di sé con gratuità.

E la gratuità del dono libera dall’ossessione del possesso, anzi dà gio-ia, perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Ho lavorato tanti annia Roma con la comunità di Sant’Egidio. Lì ho esperimentato che si puòfare molto per gli altri a partire dal poco che uno possiede.

La gratuità libera energie di amore che fanno veri miracoli. L’ho potutoconstatare nelle tante storie di amicizia con tanti: poveri, malati, anziani,bambini, zingari, barboni, prigionieri, ma anche nel lavoro per la pace e ildialogo interreligioso che la comunità porta avanti.

E’ una logica nuova che aiuta a costruire in una società mercato luoghidi umanità e di compassione.

Ne abbiano bisogno tutti.

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Illustri relatori, signore e signori, amici del credito cooperativo, consen-titemi di ringraziare prima di tutto la Presidenza e la Direzione della Fe-derazione per avere organizzato questa utile occasione di incontro.

Ringrazio anche l’intera struttura della Federazione e delle società adessa collegate per il lavoro che svolgono ogni giorno con passione affin-ché l’azione delle nostre banche sul territorio sia sempre più efficace.

In modo particolare vorrei ringraziare il presidente Magagni ed il dott.Mazzotti, che in questi anni hanno svolto un grande lavoro di razionaliz-zazione del sistema.

Oggi sappiamo, ad esempio, che le nostre società hanno chiuso il bi-lancio 2008 tutte in attivo e non è una cosa da poco. Ha avuto successol’aumento di capitale della Holding. Credo che ciò sia motivo di soddisfa-zione e sintomo del buon lavoro svolto.

Ringraziamo anche Federcasse e il nostro Presidente Azzi per il pre-zioso lavoro politico che svolge ogni giorno di rappresentanza del nostromovimento verso le istituzioni, verso il mondo finanziario e per l’iniziativache ci porterà alla realizzazione del Fondo di Garanzia Istituzionale.

È un percorso che ultimamente ha rallentato la sua corsa per l’improv-visa morte del dott. Caleffi, che tutti noi ricordiamo con stima e affetto.

Ma siamo certi che questo progetto andrà a termine.Fatta questa premessa, sottopongo a voi due riflessioni che mi auguro

in futuro il movimento voglia discutere e approfondire.La prima la immaginate tutti. Riguarda il problema delle sovrapposizio-

ni territoriali tra le nostre banche, che abbiamo già discusso in un conve-gno che fu realizzato appositamente a Castel San Pietro.

Allora qualcuno, con molta saggezza, propose una sorta di moratoria,che poi non è stata rispettata.

Dobbiamo parlarne ancora. In questo momento di grande difficoltà maanche di confusione, da ogni parte si invocano nuove regole, regole piùefficaci.

Permettetemi di fare un ricorso alla mia modestissima cultura giuridica– qui ci sono dei professori di diritto internazionale e quasi mi vergognodella citazione –: “Ubi societas, ibi ius”.

Se noi siamo un sistema ci dobbiamo dare delle regole. Regole che so-

DOMENICO RAVAGLIOLIPresidenteBanca di Forlì - Credito Cooperativo

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no necessarie affinché il libero arbitrio di ciascuno di noi possa convive-re in modo corretto con il pensiero e le iniziative di altri.

Dicevo prima che il sistema nazionale ha avuto un’idea modernissima,quella del fondo delle garanzie incrociate, ma è un’idea dettata soprat-tutto dal buon senso, che è quello di garantirci fra di noi e di garantire ilsistema.

A questa idea lungimirante, cosa rischiamo di contrapporre? Una guer-ra fra banche che sono legate da un vincolo solidale, che si fronteggianoper conquistare l’ultimo metro quadrato del territorio, che lottano per ac-quisire la quota marginale della clientela, magari utilizzando forme diconcorrenza al limite della slealtà?

Non vogliamo fare questo? Allora dobbiamo tornare al passato. Dobbiamo tornare ai tempi dei nostri fondatori. Dobbiamo ripristinare i

valori del Credito Cooperativo. Sappiamo anche - è stato detto ieri matti-na - che l’etica è come il coraggio, non lo si può imporre per decreto.

Però se fossimo tutti, o per lo meno una maggioranza, d’accordo su unragionamento di questo tipo non sarebbe poi così difficile trovare una so-luzione, magari pensando ad un sistema di sanzioni nel momento dellaeffettiva violazione delle regole che ci daremo.

Ne suggerisco una, così sul momento. Sarebbe sufficiente escluderechi non rispetta le regole dalla rappresentanza delle nostre aziende, op-pure dai livelli territoriali e centrali di rappresentanza del sistema. Se nepuò discutere, verificare una ipotesi del genere o altre similari. Ma se nonriuscissimo a darci una linea comune, saremmo tutti pericolosamente inlibera uscita.

E non credo sarebbe la strada giusta, un atteggiamento di questo ge-nere, nel medio periodo, produrrebbe danni enormi.

E chiudo, sul punto, facendo un ulteriore ragionamento. Magari voluta-mente un tantino provocatorio.

Parliamoci chiaro: se le invasioni di campo fossero dettate dall’ambi-zione di qualcuno di fare la grande banca, percorrerebbe una strada as-solutamente sbagliata.

La Banca di Credito Cooperativo, quando va ad operare in un territoriodove ce ne sono altre, utilizzando magari azioni al limite della concor-renza sleale, probabilmente finisce per sottrarre clientela a una bancaconsorella, non ad altri sistemi bancari.

Le curve ed i diagrammi propostici poco fa dal professor Legrenzi, mipare possano essere interpretati anche così.

E le fusioni si fanno quando sono necessarie e ne esistono le condi-zioni oggettive.

Si fanno, se sono condivise, fra banche che operano su territori omo-genei e se c’è una omogeneità di politica fra quelle banche.

Altrimenti è molto difficile. La nostra impressione è che invece questeazioni, in difetto di situazioni oggettive e necessità, sottintendano l’an-nessione di un’altra banca, la guerra del più grande contro il più piccolo.

Ma, attenzione, quando si scatenano le guerre non si sa alla fine chiperde. Sicuramente perdiamo tutti.

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L’altra riflessione molto meno urgente, che però riteniamo di proporreall’attenzione di tutti, è quella di una disciplina del limite dei mandati de-gli organi amministrativi delle Banche di Credito Cooperativo.

Non è argomento immediato. Crediamo che ogni banca, ciascuna ba-se sociale, ogni Consiglio, possa fare - e deve fare - quello che ritiene piùopportuno ma quando parliamo delle società del sistema e degli organicollegiali delle federazioni, qualche regola è opportuno darcela.

Affinché il ricambio sia pensato, discusso, largamente condiviso e nonsia frutto di fatti traumatici o di eventi contenziosi che, naturalmente e ine-vitabilmente, nel tempo possono crearsi.

Lo dobbiamo fare pensando ai nostri giovani, nella prospettiva di for-mare i nostri futuri dirigenti. Lo dobbiamo a loro ed al sistema, che devesempre più essere trasparente e lungimirante.

Voi sapete che la democrazia si nutre anche e soprattutto di ricambioe di opportunità, che non debbono sembrare concessioni ma autentici di-ritti.

Noi crediamo che anche su questi principi il nostro movimento potrà ul-teriormente ribadire la propria diversità e la virtuosità del proprio sistema.

Buon lavoro a tutti. Spero di essere riuscito a rappresentarvi in modosereno e utile quello che volevo dire. Arrivederci alle prossime occasio-ni di incontro e di approfondimento.

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PAOLO LEGRENZIProfessore ordinario di Psicologia CognitivaUniversità IUAV - VeneziaPresidente del Comitato Scientifico - Ricerca d’Informazioni dell’ABI

Ho seguito i lavori, molto interessanti, di ieri e di questa mattina.C’è un mistero, da un punto di vista, nei dati che sono stati presentati

ieri mattina dal Prof. Lusignani, le varie zone blu. Il mistero è il seguente: partiamo da una grande schematizzazione dei

sistemi di banca. Avete in Italia delle banche grandi, le due più grandi che vi superano

nei vostri territori, che qui rappresentate, una delle quali è forte anche inmolte paesi fuori dall’Italia.

Queste banche, è noto, si sono ingrandite per le economie di scala. Sisono fuse, dopo la legge Amato, da piccole a grandi banche per le eco-nomie di scala.

Questo è ovvio e non mi intrattengo su questo.Curiosamente in Italia esiste un tipo di banca, opposta alla vostra.La banca Mediolanum che gestisce i risparmi dei clienti in cui singoli

operatori agiscono come attori autonomi e quanto più risparmio raccol-gono, quanto più benessere il singolo operatore ha.

È molto diverso dallo spirito che anima la nascita delle banche che voiqui rappresentate, che sono legate alla comunità e alla fiducia.

Non vi parlo di questo perché sapreste voi parlarne meglio di me.Dov’è il grande mistero, che è dato dalla relazione di ieri, fatta da Pro-

meteia? Il mistero è che nell’intervento precedente è stato descritto co-me “sovrapposizione”.

Immaginate che voi fate un servizio diverso dalle grandi banche nazio-nali e internazionali e dalle banche tipo Mediolanum.

In tutto il mondo ci sono questi tre tipi di banche, quindi anche banchecome le vostre. Sono nate in Germania quando è nata la società indu-striale. Qui con noi c’è il professor Cafaro molto più esperto di me e quin-di non è il caso di farne la storia.

Pigliate un territorio italiano. Teoricamente il vostro tipo di banca do-vrebbe avere più quote di mercato dove non c’è, perché il bisogno del vo-stro tipo di banca è più forte.

Tanto è vero che gli altri due tipi di banche - io sono nel comitato scien-tifico, per esempio, della banca Mediolanum - vanno dove hanno menoconsulenti perché la quantità di clientela di quel tipo è più presente dovesi pesca di meno. È abbastanza intuitivo.

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Questo vale per tutti i servizi. Voi siete un servizio non diverso dagli al-tri.

Perché voi siete un’eccezione? Perché le Banche di Credito Coopera-tivo tendono a nascere dove ne sono già nate? Perché, quindi, si crea ilproblema delle sovrapposizioni? Che non si crea invece con l’altro tipo dibanca! Perché lì c’è la concorrenza. L’Unicredit è in concorrenza con In-tesa San Paolo sul territorio.

Anche voi siete in concorrenza perché quando crescete su un territo-rio siete contenti e quando calate siete scontenti e non ci vuole un pro-fessore ordinario di psicologia per spiegare questo.

Quello che è interessante e, da un certo punto di vista, misterioso è co-me voi tendete a crescere dove siete già presenti, dove sono presenti al-tre banche del vostro tipo e quindi avete il problema delle sovrapposizio-ni.

Perché questo? Il premio Nobel dall’economia quest’anno, Oliver Wil-liamson, spiega esattamente questo.

Anche se è bello - le parole che ha detto mons. Spreafico sono moltobelle - restano giusti e anche fondati auspici.

Nell’equilibrio tra l’individuale e il collettivo, quello che rende in realtànon conveniente un atteggiamento puramente individualistico, cioè la fi-ducia, è una cosa che nella storia della specie umana le persone impa-rano.

Le persone imparano la convenienza dell’altruismo. È bene che ci sia-no dei buoni samaritani, ma se volete moltiplicare i buoni samaritani do-vete mostrare che è conveniente essere buoni samaritani.

Ed è facile mostrare che è conveniente perché i costi di transazione ca-lano molto. Non voglio fare un discorso tecnico ma in molte condizioni siapprende che la solidarietà è conveniente.

Ebbene, nei territori dove siete già presenti, questa forma di apprendi-mento da parte del territorio è già stata sviluppata.

La banca che si sovrappone, in un certo senso, vampirizza, cioè capi-talizza, su questa forma di apprendimento molto lunga che è già stata fat-ta in quel territorio.

Mons. Spreafico diceva: “A Frosinone non c’è verso di convincerli”.Sì, perché non hanno visto la convenienza. Non è che l’uomo cambia

perché voi dite “Tu devi essere solidale, devi avere fiducia” e così via. Noi,in realtà, siamo altruisti di natura.

In molte condizioni, fin dai tempi dei cacciatori raccoglitori, convieneessere altruisti perché il mondo è molto più incerto di quanto voi pensia-te.

Se voi oggi siete il samaritano che cura, in futuro le cose potranno an-dare in un altro modo.

La solidarietà, quella che è all’origine della genesi del vostro tipo dibanca, che infatti è nata quando di solidarietà ce n’era bisogno.

Tutti gli interventi di stamattina, e in particolare il primo intervento, han-no mostrato che nei momenti di crisi, per esempio, il vostro modello rilu-ce assai. È stato mostrato il parallelo con la crisi di fine ‘800.

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Queste condizioni non sono condizioni che uno si trova per opera del-lo Spirito Santo. Sono condizioni che uno impara sul territorio.

Io credo che per voi sia molto più facile - e di qui tutti i problemi cheadesso non sto ad esplorare perché non sono specialista del vostro tipodi banca -; ma è ovvio, quando avete sovrapposizioni, avete dei problemiperché andate a lottare per la stessa clientela (con gli stessi strumenti)sullo stesso territorio.

Però si può anche spiegare perché, contrariamente a quello che sa-rebbe più logico per gli altri due tipi di banche - per capirci Unicredit ebanca Mediolanum - per voi è molto più facile crescere, svilupparvi e af-fermarvi dove altri sono già presenti.

Questo, ovviamente, porta a una situazione di tensione.Voi ora siete in una situazione potenzialmente di conflitto e di tensione,

ad un certo punto, perché comunque ogni singola banca deve crescere.Voi siete, come modello di banca, un equilibrio tra la fiducia collettiva e

l’individuale.Voi stessi siete la compresenza di questi due aspetti. Probabilmente la-

vorare su un territorio vuol dire creare le condizioni per l’apprendimentodi questi felici scenari dove si capisce che la cooperazione conviene, for-se anche perché ora è di moda la cooperazione, le banche indiane, il pre-mio Nobel l’anno scorso e così via, ma ricordiamoci che queste cose so-no state inventate prima in Europa.

Il piccolo credito, come ci ha spiegato molto bene il primo intervento distamattina, l’abbiamo imparato in Germania e in Italia, in paesi dove cisono state a fine ‘800 prime forme di industrializzazione e quindi nelle so-cietà tradizionali è entrato un tasso molto alto di incertezza.

Il vostro caso non può essere affrontato con gli strumenti tradizionaliperché con gli strumenti tradizionali verrebbe da dire che voi ora doveteandare là dove non ci siete.

Guardate la carta di ieri. Dove c’è meno blu, teoricamente c’è più spa-zio.

In molti casi di beni e servizi è così. Se in un posto non c’è la Nutella,lì è più facile venderla.

Voi invece capitalizzate su una forma di apprendimento del territorio.Quindi non è facile probabilmente dare una soluzione al problema che

è stato così bene esposto nell’intervento precedente al mio.

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PIETRO CAFAROAssociato di Storia economica e socialeFacoltà di Sociologiadell’Università Cattolica di Milano

Solo due parole. Volevo ancora partire da Maffeo Pantaleoni, che è giàstato citato questa mattina.

Maffeo Pantaloni ammonisce: “Il vostro stesso egoismo vi seppellirà”.Secondo Pantaleoni la cooperazione - le cooperative di credito in parti-colare - non sono altro che una somma di egoismi privati.

Il sistema economico generalmente si basa sul conflitto di interessi el’egoismo dei singoli individui, e nella cooperazioni sono gli individui piùdeboli che si mettono assieme e cercano di soddisfare insieme questiegoismi privati, facendo massa.

“Attenzione - diceva lui - vedrete che alla fine questo stesso vostroegoismo vi seppellirà perché finirà per scatenare al vostro interno degliegoismi più forti che alla fine sfalderanno il tutto”.

Giuseppe Toniolo, quando faceva i discorsi dai quali sono partito oggi,criticava proprio questo concetto cercando di dimostrare che era possibi-le anche una coesione di persone (e anche di imprese) non legate dal-l’esigenza di difendere un interesse privato. Per poter far questo, però,doveva entrare in gioco anche la volontà perché l’esito conflittuale è sem-pre in agguato.

C’è molto volontarismo dentro la cassa rurale originaria. Lo stesso Luz-zatti se ne rende conto quando, nel 1905 e 1906, dalle pagine della suarivista, “Cooperazione Italiana”, interviene contro le sovrapposizione ter-ritoriali che, diceva lui, finiscono per mettere una consorella nei confron-ti dell’altra consorella come se fosse una antagonista.

La tentazione è sempre forte: è ovvio che un terreno già dissodato èpiù facile da coltivare. Tutte le istituzioni economiche, i mercati minuti, na-scono spontaneamente nel Medio Evo e nell’epoca moderna laddove siferma qualcuno che per primo inaugura , rischiando, un’attività: uno simette in un crocicchio di strade e dice: “Qui vendo la frutta”, naturalmen-te per altri diventa più comodo, per vendere frutta, mettersi lì a fianco per-ché il consumatore sa già dove andare. Naturalmente non si vuole difen-dere il monopolio, la concorrenza è un valore perché va a vantaggio delconsumatore, ma i comportamenti opportunistici possono essere ben al-tra cosa.

Il Luzzatti nel primo decennio del XX secolo si accorgeva che stava per

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scoppiare una guerra tra la Banca Popolare di Milano, che per lui era labanca più importante che rinunciava ad espandersi per fare da bancacentrale del sistema, e la Banca Popolare di Novara. Quest’ultima perònon se ne importò nulla ed arrivò ad aprire uno sportello a Milano.

Per Luzzatti questo era l’inizio della fine: “Vedrete, - scriveva - se noninterverrà nessuna protezione in pochi anni ci saranno 3 o 4 grandi ban-che popolari e avremo perso la nostra identità”. Noi sappiamo che tuttofu rallentato dalla burocratizzazione del sistema bancario dal 1936 aglianni ’90, ma poi le cose si avviarono proprio su quella strada.

Ecco perché i cattolici, portando avanti il loro modello, tenevano moltoalla rete condivisa. È una cosa volontaristica, cioè si tratta di una autore-golazione, ma serve ad evitare una deriva dello stesso tipo senza nullatogliere alla necessità, per il bene del cliente, di attuare la concorrenza.

Un’ultima cosa riguarda il confronto tra la banca Mediolanum e le vo-stre banche. Attenzione a distinguere sempre le banche che nascono sulversante della raccolta, cioè che hanno come obiettivo principale la rac-colta e quelle, come le BCC, originate dalla necessità di avere credito. Labanca Mediolanum è una moderna cassa di risparmio (con una strutturamolto diversa da quelle delle casse di risparmio originarie, che erano or-ganizzazioni filantropiche) ma portatrice della stessa logica di remunera-re la raccolta. L’investimento poi viene fatto dove si ritiene sia opportunofarlo.

Banche come le Casse Rurali, le BCC, e anche come le banche po-polari (anche se il Luzzatti le definiva “casse di risparmio perfezionate”),sono invece volte a tutelare coloro che abbisognano del credito. Quindi laraccolta è funzionale all’impiego. È l’impiego in prestiti la mission più im-portante per la banca.

La chiarezza è un bene importante, le confusioni di ruolo possono di-ventare rischiose.

Tanto più che c’è posto per tutti ed anche la complementarietà tra isti-tuti deve essere un valore.

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GIUSEPPE ALAIPresidenteBanca Reggiana

Credo che il convegno di oggi e di ieri, sia di assoluto interesse per ilcontenuto delle relazioni portate avanti che, a mio modo di vedere, sonostate assolutamente stimolanti dal punto di vista della capacità di rifles-sione.

Questo ha portato il mio pensiero ad esprimere alcune riflessioni,emerse dalle riflessioni portate ieri, anche a seguito dell’analisi fatta daldott. Lusignani di Prometeia.

Dentro a queste riflessioni vorrei cercare di capire quale possa essereil modello di coerenza nell’ambito del quale possiamo anche appoggiarele nostre linee di sviluppo.

Mai come adesso abbiamo ricevuto complimenti nell’essere bravi. Enon sono passati tanti anni da quando, invece, venivano dichiarati a po-tenziale pericolo.

Quindi le riflessioni di questi giorni mi portano immediatamente a pen-sare se il credito cooperativo sia una scienza ad indirizzo tecnico nell’at-tività bancaria o non sia invece una scienza ad indirizzo umanistico del-l’attività bancaria.

Se è una scienza tecnica avrà ciclicità. Passati di moda torneremo adessere quelli che eravamo considerati prima: piccole banche del territo-rio che fanno gli interventi piccoli e se un’azienda è importante e vuolesvilupparsi in un certo modo deve rivolgersi altrove.

Se invece siamo una scienza umanistica, allora dobbiamo essere noi iprimi a diffondere e a difendere una nuova cultura del modo di fare ban-ca.

Se questo modo di fare banca ha una prospettiva, o riteniamo che pos-sa avere una prospettiva, dobbiamo farcelo riconoscere e dobbiamo es-sere i primi praticanti in chiave propositiva di questa situazione.

Se valiamo - lasciatemelo dire come battuta - soltanto quando va ma-le, è troppo comodo. Cioè quando va male si tirano fuori i valori, gli usi,consumi e tradizioni di una civiltà. Poi, quando va bene, ci si avventuraverso il nuovo come se quello che ci ha detto sempre il nostro papà noncontasse niente.

Quando avevamo 18 anni pensavamo così, il mondo ci aspettava e leraccomandazioni dei nostri genitori valevano fino ad un certo punto.

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Se noi siamo anticiclici perché la cooperazione, lo sta dimostrando, èanticiclica, dobbiamo costruire il modo per essere pro-ciclici. In praticaessere capaci di cavalcare anche i momenti positivi, di navigare velociquando il mare è calmo.

La crisi è il punto a cui si arriva a seguito di determinate scelte, sba-gliate, da noi o da chi ce le ha indotte? Una prima risposta che sto cer-cando di darmi, e lo faccio a volta alta, è che non siamo stati noi a com-piere queste scelte, se siamo, addirittura, adesso alla moda, o se siamodiventati così importanti a funzionali all’attività bancaria.

Se queste scelte sono state compiute o indotte da altri, allora è il mo-mento di cominciare a dire: “guardate signori che, se fino a ieri qualcunodi voi pensava che non fosse così, forse è venuto il momento di ripensa-re il nostro modo di confrontarci fra di noi”.

Qualcuno si è sbagliato, per capirci. Questo qualcuno che si è sbaglia-to deve ripensare al proprio modello di proporre il credito nel nostro pae-se e in Europa. Anche perché, non dimentichiamo una cosa importante,nella nostra regione siamo il terzo gruppo (Unicredit 17%, Banca Intesa12%, noi 11,4%) ma la cooperazione di credito in certi paesi è anche il40 o il 50%.

Questo livello è un livello di soddisfazione o è un livello di riflessionesulle potenzialità da sviluppare per il futuro?

Credo che sia forse venuto il momento di cercare di trovare la forza perrilanciare il nostro modello.

Cioè se la scienza umanistica è la solidarietà, la scienza tecnica è ilmutualismo. Noi dobbiamo, a mio modo di vedere, cercare di costruire e,se la Federazione delle BCC è un sindacato di imprese e in questo casole imprese sono le banche, dobbiamo con forza cercare di chiedere unasorta di riconoscimento tecnico a questa attività solidaristica.

La banca mutualistica non è solo una banca solidaristica. È una bancache svolge dei ruoli molto precisi e che è in grado di sostenere determi-nate situazioni, anche di sviluppo, non soltanto quando va male.

L’essenza nostra è il fare, il fare insieme e il fare per tutti che, credo,francamente non sia una cosa di poco conto stante la situazione nellaquali siamo inseriti oggi.

Se per gli altri siamo di moda quando va male, ora dobbiamo cercaredi sforzarci per esserlo anche quando va bene, senza essere avari, nelsenso di “senza accontentarci”.

Io ho una preoccupazione ulteriore. Adesso tenderemo a gongolarci diquesta soddisfazione, poi per qualche anno, successivamente, avremopaura a rilanciare la nostra attività perché siamo stati bravi in questi diffi-cili momenti.

Non dobbiamo essere avari, nel senso di giocare a conservare quelloche abbiamo ottenuto fino ad oggi. Anche perché i successi del passatonon garantiscono il futuro.

Proprio per questo motivo credo che essere “banche contro corrente”significhi anche essere banche propositive nel momento in cui le cosepossono funzionare bene.

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Parto da quello che io ritengo essere da sempre il punto nodale dalquale sviluppare le nostre attività, la Federazione.

È il modello intermedio fra il livello centrale e il livello locale. La Fede-razione è il punto di aggregazione nel quale noi possiamo confrontarci edè anche il primo momento nel quale formalmente costruire cose condivi-se da proporre ai livelli successivi.

Vediamo come bisognosi di essere supportati, si diceva ieri, verso ilnuovo che verrà pensando a qualcosa che non esiste nella nostra storiama nello stesso tempo sto pensando a come costruire una sorta di at-trattività differenziata, o distintiva, del credito cooperativo rispetto a tuttigli altri metodi di fare banca nel nostro paese.

Credo che questo sia un fronte sul quale non conti soltanto il pericolodella sovrapposizione territoriale ma credo anzi che conti aggiungere an-che qualcos’altro.

Amici cari, lo sapete quanto lo so io, viviamo in un’epoca in cui si ten-de ad associare le banche come a chi svolge un’attività e ha l’immaginedi essere sempre protetto, che fa sempre meno fatica a far quadrare ipropri conti rispetto invece a quanto non facciano gli imprenditori, le im-prese.

Il problema del credito dibattuto a livello politico nel nostro paese an-che in questi momenti diventa qualcosa di essenziale. Nel momento incui le banche pensano soltanto a sé ecco che qualcun altro ritiene chegli si debba dire di fare qualcos’altro.

Questa è una sorta di contraddizione ma il percepito dell’attività ban-caria è associabile a qualcuno che opera in una sorta di contesto, di po-tere forte, e che riesce sempre ad incidere con le proprie volontà politi-che, addirittura abusando dei propri diritti.

Se ciò possa essere vero per qualcuno - e secondo me può anche es-sere vero visto le scelte fatte, per esempio, sul massimo scoperto, sullamessa a disposizione fondi, sulle quali, francamente, qualche perplessi-tà sulle scelte la nutro - credo che oggi sia venuto il momento di costrui-re il passo successivo.

Attraverso la Federazione si potrà costruire una sorta di differenziazio-ne marcata dell’immagine che possa costruirci veramente quelle caratte-ristiche distintive rispetto a tutti gli altri.

Ma allora dobbiamo darci uno stile - non so se possano chiamarsi re-gole, se possa chiamarsi “codice deontologico”, “codice etico”, non so -individuiamo quale possa essere il modo migliore per costruire questecondizioni in cui si possa esprimere un ruolo di banchieri non azionisti.Ribadisco, non portatori di una proprietà azionaria delle nostre banchema banchieri strumentali alle esigenze della propria comunità.

Io sono il presidente di una banca ma non dimentico mai di essere quiperché sono un imprenditore, perché ho delle esigenze di tipo familiare edi tipo imprenditoriale da svolgere. Non sarei qui se così non fosse. Nonsono presidente di una banca perché sono banchiere che possiede unagrande quantità di pacchetti azionari detenuti nelle mie tasche. È una co-sa completamente diversa.

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La funzione è quella di ritenere l’attività bancaria non il fine ma il mez-zo per arrivare a costruire delle condizioni di benessere di comunità.

Il fare banca non solo per la banca e, in questo caso, un buon equili-brio, secondo me, del nostro modello è stato dimostrato nella possibilitàdi bilanciare l’attività imprenditoriale attraverso la separazione della ge-stione lasciata nelle mani dei direttori generali, rispetto all’attività politicae di indirizzo strategico lasciata nelle mani dei consigli di amministrazio-ne.

Credo sia un ottimo punto di partenza.Le nostre banche sono un modello che presenta determinate caratte-

ristiche. Viviamo di un momento favorevole, nel senso di poter godere dideterminati accreditamenti e di determinate autorevolezze.

È venuto, secondo me, il momento di costruire queste condizioni di col-laborazione che esprimono queste caratteristiche distintive in particolaresu alcuni punti fondamentali, che sono il rapporto coi soci, il rapporto deisoci con la banca, il rapporto fra banche nella gestione - e lasciatemelodire - anche nelle governance delle nostre stesse banche.

Non possono esistere banche che hanno dimensioni enormi e pochis-simi soci. È un paradosso. Dobbiamo costruire delle condizioni di per-meabilità delle nostre banche rispetto al territorio che siano assoluta-mente efficaci, anche perché oggi noi viviamo, ribadisco, l’essere allamoda.

Molto presto, speriamo, o un po’ più tardi, come si diceva ieri, arriveràuna fase successiva a questa e allora dovremo dimostrare di essere pro-ciclici e coerenti con quanto stiamo affermando adesso.

Credo che per allora dovremo assolutamente essere preparati perché,se non saremo preparati allora, vorrà dire che queste mie preoccupazio-ni probabilmente potrebbero costituire delle ulteriori difficoltà per il nostromovimento di credito cooperativo.

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GIOVANNI NANIPresidenteBCC Creta - Credito Cooperativo Piacentino

Condivido i ringraziamenti di coloro che mi hanno preceduto.Ci siamo trovati qui a Sorrento nel 2003. In quel momento avevo preso

la parola perché c’era un po’ di turbolenza ed avevo invitato tutti a segui-re una rotta comune, nel rispetto delle persone che erano state elette al-la guida del movimento.

Ebbene, dopo sei anni, è arrivata la pax romana che ha unito tuttal’Emilia Romagna in un percorso molto interessante e costruttivo anchea livello nazionale.

Non sono d’accordo con coloro che sostengono che le Banche di Cre-dito Cooperativo stiano vivendo un momento veramente eccezionale;parlando con i miei colleghi emergono molte difficoltà, specialmente que-st’anno, dove gli utili sono ridotti veramente all’osso, dove qualche bancacome la mia, in difficoltà, ha avuto la fortuna di avere un aiuto dalla Fe-derazione e dal Sistema, aiuto e solidarietà che gli altri sistemi ci invidia-no.

La transazione agli IAS per noi Banche di Credito Cooperativo, in par-ticolare per le più piccole, è stata un po’ prematura e traumatica; ci han-no tolto il fondo svalutazione crediti (semplifico) e hanno portato il saldo,opportunamente rettificato, a patrimonio; nel momento in cui si dovesse-ro verificare avvenimenti o perdite eccezionali, dovremo, quindi, intacca-re il patrimonio e rischiare di registrare una perdita d’esercizio, essendovenuti a mancare gli ammortamenti alle variazioni più consistenti.

Mi sembra un pochettino la legge sull’agricoltura che prima dava il pre-mio per l’abbattimento delle mucche e poi il premio per la nascita dei vi-telli.

Un altro punto importante: nel 2003 – scusatemi qualche critica – sem-brava che il sistema informatico fosse in procinto di essere unificato; siparlava già di programmi, di messe a punto, di riordino, ecc. ecc. .

Oggi ho l’impressione che il sistema informatico si sia arroccato dietroa divisioni medioevali, dietro a dogane, dietro ai dialetti dei vari localismi.

Un momento positivo, è stata sicuramente la sottoscrizione del capita-le della Holding.

Perché abbiamo sottoscritto il capitale? Perché, grazie alla presidenzaMagagni (bisogna dirlo onestamente) e di tutti i collaboratori che lo han-

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no coadiuvato, si è creato un sistema efficiente con società prodotto ca-paci, valide, che guadagnano il giusto ed in grado di aiutarci nella nor-male gestione e nei momenti più opportuni.

Per quanto riguarda ancora la Federazione regionale, sono d’accordocon il presidente Alai; l’ho detto sei anni fa e lo ripeto oggi.

La Federazione regionale è il primo punto e momento più importantedi aggregazione del nostro movimento; il nostro movimento non si puòaggregare a Roma se non si unisce prima in regione. Il primo passaggioè l’aggregazione regionale, con delle regole ferme, fisse, con delle obbli-gatorietà, altrimenti come potrebbe, la Federazione, intervenire su unabanca che non fosse obbligata ad essere iscritta alla Federazione stes-sa?

Ci vogliono delle regole precise. Questo è un altro punto che è rimastomorto per sei anni; non abbiamo fatto nessun passo avanti.

La Federazione delle Banche di Credito Cooperativo dell’Emilia Ro-magna ha lavorato tantissimo ed ha raggiunto ambiti traguardi; tra questivoglio ricordare in particolare quelli raggiunti nella “formazione”.

Un momento importante della formazione regionale, questo ultimo an-no, è stato il Master Course che abbiamo fatto sull’antiriciclaggio; è statointeressantissimo.

Ho fatto una domanda al Procuratore Pier Luigi Vigna: “Io che sonopresidente di una piccola BCC, che non ho accesso ad alcun conto deiclienti, come posso essere imputato di non rispettare la normativa “anti-riciclaggio” se qualcuno dei miei clienti opera in modo irregolare e nonmi viene segnalato dalla struttura? Mi è stato detto che effettivamente,mettendo in azione dei controlli interni, sarei scagionato.

Però Vigna ha confermato: “Comunque io, come procuratore, imputo leidi riciclaggio. Poi lei si difenda”.

Questo convegno è stato, come tanti altri, un momento importante del-la nostra Federazione.

Mi sono dilungato più del solito e quindi voglio chiudere con un auspi-cio.

Si è parlato di felicità, si è parlato di banca etica. Abbiamo dei problemi di espansione territoriale delle nostre BCC che

non riusciamo a risolvere. Perché non trovare delle regole? Perché inva-dere i territori dei più deboli? Lasciatemelo dire, altrimenti non sarei in pa-ce con la mia coscienza e con me stesso: nell’ambito del nostro movi-mento questo non mi sembra giusto e spero in un accordo regionale cheregoli lo sviluppo.

Ritorniamo alla felicità; speriamo e prendiamo come auspicio quanto ciha ricordato Mons. Ambrogio Spreafico: fare del bene porta felicità. Cer-chiamo allora di creare questa felicità insieme perché la felicità creata in-sieme è molto più grande e dà molta più soddisfazione e gioia.

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GIULIO MAGAGNIPresidente della Federazionedelle Banche di Credito Cooperativodell’Emilia Romagna

Visto gli spunti e gli stimoli che sono venuti fuori dagli interventi che mihanno preceduto, vorrei fare alcune brevi considerazioni, anche perchéalcuni ragionamenti, visto che domani ci sarà un’altra giornata di lavori,possono stimolare ulteriori interventi e mi piacerebbe farli insieme a voi.

Voglio prendere spunto da alcuni concetti che ha espresso il presiden-te Ravaglioli, che ringrazio perché ha fatto una lucida analisi delle pro-blematiche che oggi ci circondano, perché ritengo che ci siano alcuni ra-gionamenti che assolutamente dobbiamo fare.

Uno è che oggi siamo (il modello BCC) di moda; il direttore generaledella Holding Roberto Mazzotti lo può confermare. Con lui giriamo l’Italiae questo essere di moda non mi rende affatto felice, mi preoccupa.

Mi preoccupa perché questo sistema deve capire che è riuscito a cre-scere tantissimo, per tanti motivi. Le variabili che hanno inciso sulla cre-scita del credito cooperativo sono tante e non sono sempre armoniche, enon rappresentano sempre una vera e reale capacità industriale di fareBanca di Credito Cooperativo e spesso neanche sposano la coerenzacon “l’essere etico” delle banche cooperative.

È inutile negare questo. Ci sono tante BCC lontane anni luce dalle ori-gini del credito cooperativo, come modo di agire, come modo di stare sulterritorio, come modo di rapportarsi con i soci, come modo di rapportarsicon i clienti, per quanto riguarda la trasparenza. Sono lontane, veramen-te molto lontane.

Anche la crescita, molte volte, è stata una crescita inerziale, legata alfatto che i grandi gruppi hanno lasciato scoperte posizioni importanti.

Molte volte le BCC sono cresciute senza guardare cosa si mettevanoin pancia.

Quello che è venuto fuori dall’analisi che abbiamo visto ieri ci deve unattimo preoccupare perché i grandi gruppi bancari si stanno rafforzando.

Sono nel comitato esecutivo dell’ABI e vedo come stanno ragionandoi grandi gruppi. Dalla finanza innovativa all’ingegneria finanziaria, stannotornando a guardare il mercato retail, e il retail siamo noi.

La loro forza di affrontare il mercato, è completamente diversa dalla no-stra.

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Non potremo mai fare la gara con i numeri, con Unicredit, Banca Inte-sa, UBI Banca o Monte Paschi.

Se andiamo alla guerra solo sui numeri saranno sicuramente perden-ti! Abbiamo due o tre alternative.

Una è quella di rafforzare, come diceva anche il presidente Alai, il no-stro modello che è il modello che ci ha permesso di diventare quello chesiamo.

Quindi la coerenza con le nostre origini: Banche di Credito Cooperati-vo, Casse Rurali, banche per la gente, banche per l’uomo.

La seconda è l’efficienza. La coerenza è anche quella di cercare di capire. Lo scorso anno ab-

biamo fatto un convegno interessante, dove avevamo preso tutti insiemedegli impegni.

Io avevo proposto quella famosa moratoria che non è stata accettata.Sbagliando, non è stata accettata. Lo ripeto, sbagliando.

La moratoria ci avrebbe dato la possibilità di ragionare e di mettere inpiedi dei percorsi, senza creare dei precedenti. Ma qui, a volte, sembrache prevalgano atteggiamenti poco coerenti.

È quasi qualcosa di atavico. Io la chiamo la sindrome del pescatore. Unpescatore prende un pesce e tutti vanno lì e dopo nessuno prende piùnulla.

Ci dobbiamo rendere conto che aprire degli sportelli vuol dire fare deipiani strategici, vuol dire capire bene se le scelte che stiamo facendohanno una logica.

La logica non deve essere solo economica. La logica deve anche te-nere conto che noi siamo un sistema.

Allora come si fa a fare sistema?Gli egoismi non servono. Servono le strategie. Allora, invece di aggre-

dirci fra di noi, aggrediamo gli altri. Lo spazio è ancora grande. Abbiamo,come gruppo, l’11% in regione. Per arrivare al 100 per cento ce n’è distrada da fare.

Noi stiamo ad occupare posizioni, sfruttare posizionamenti già conso-lidati negli anni da altri. Ritengo che questo sia profondamente sbagliato.

Queste cose non possono essere scritte, codificate, perché l’antitrustnon vuole; però ricordiamo che stiamo andando in questa direzione. Lovoglio dire con chiarezza: con la scelta del Fondo di Garanzia Istituzio-nale stiamo diventando sistema.

Il fatto che noi ci autogarantiamo fra noi rende implicito che non possia-mo farci concorrenza perché, altrimenti, che senso avrebbe garantirci?Non posso garantire chi viene a farmi concorrenza sul mio territorio.

Come si fa a fare un percorso unitario? Quando la Legge 385 consen-tì la possibilità di apertura di sportelli dove c’erano già altre BCC, dentrodi me pensai: “Questo è un virus che ci potrebbe portare al collasso”.

Il virus è innescato, e non solo in Emilia Romagna (guardo altri presi-denti di Federazioni qui presenti e sono convinto che questo sia un virusche si sta innescando a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale).

Questo virus va disinnescato! Ci vuole buona volontà perché noi, es-

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sendo Banche di Credito Cooperativo, abbiamo come primo scopo quel-lo di dare un servizio ai territori e non solo di crescere o di cercare utili oespansioni, spesso insignificanti.

Abbiamo uno scopo ben preciso.Quindi si impone un’autoregolazione, un “gentlemen agreement”, che

possiamo, dobbiamo fare fra noi. Questa è la base del buon senso, chedovrebbe sempre guidarci, visto che noi siamo strutture volontaristiche enessuno ci ha ordinato di fare quello che facciamo.

L’ultimo ragionamento riguarda le regole del gioco.È difficile governare. Ve lo dico perché lo sto vivendo su tutti i fronti. Ma

è impossibile governare un sistema senza regole.Questo non è un sistema, è “un’anarchia”. Ognuno fa quello che gli pa-

re. Molto spesso questo agire non è spinto da sentimenti alti. Molte voltesono miseri i motivi per cui uno fa quello che gli pare, per poi nascondersidietro il concetto di “autonomia”.

Bisogna che iniziamo a dire queste cose. Lo vedo su tutto il territorionazionale.

Molte volte ci si nasconde dietro l’autonomia per meri interessi perso-nali. Lo voglio ribadire con forza.

Con questo modo di agire si intaccano i principi basilari del nostro si-stema.

Poi c’è tutta la parte del fare banca, dell’efficienza del sistema. Oggiabbiamo bisogno veramente di creare dei percorsi di efficienza su tutto ilnostro sistema.

Abbiamo in alcuni settori costi esasperati, ma abbiamo ancora dei mar-gini di manovra enormi, se facciamo sistema.

Il potenziamento del gruppo, il potenziamento delle federazioni, il po-tenziamento dei centri servizi, la ricerca di attività infra-regionali.

Dobbiamo iniziare a creare delle economie di scala perché, altrimenti,rischiamo veramente di avere dei problemi come sistema.

Questi sono ragionamenti che dobbiamo fare. L’Italia è lunga e i pro-blemi ci sono ovunque da questo punto di vista.

Qualcuno ha citato l’informatica. L’informatica è un problema che va ri-solto ma ci vuole la buona volontà. Tutti devono fare un passo indietro perfarne dieci in avanti.

L’impegno per portare avanti il discorso in merito all’informatica è sta-to messo da quando sono diventato presidente della Holding ma è diffi-cilissimo perché troppi interessi ruotano dietro l’informatica. Troppi costisono stati messi nell’informatica, troppe scelte, forse, a suo tempo giustee oggi forse troppo affrettate.

Però oggi siamo in una situazione complessa per quanto riguarda l’in-formatica. E questo è solo un esempio ma ce ne sono tanti altri.

Abbiamo bisogno veramente di fare una rivisitazione sul come si devegestire il sistema.

Tante sono le cose che dobbiamo fare insieme. Più attività riusciremoa concentrare in economie comuni, economie di scala, più riusciremo arisparmiare.

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Affermo che le Banche di Credito Cooperativo stanno quadruplicano icosti. Allora è necessario riuscire a trovare il modo per minimizzare que-sti costi.

Solo attraverso l’efficienza riusciremo a fare questo. Efficienza dellebanche, perché i costi nelle nostre banche sono alti, efficienza delle fe-derazioni, efficienza dei servizi, efficienza del gruppo bancario.

È necessario arrivare a fare questi percorsi. Bisogna arrivare a darsi al-cune regole dello stare insieme. Non può esistere la possibilità di stareinsieme senza la possibilità di coercizione verso chi non rispetta le rego-le.

Quando si chiede alla Federazione di intervenire perché “ci sono cosestrane”, noi come Federazione possiamo intervenire, ma anche noi dob-biamo basarci solo sul buon senso di chi ci ascolta.

Altre possibilità non ce ne sono.Questo non è più sufficiente, specialmente nell’ambito del Fondo di

Garanzia Istituzionale che stiamo mettendo in piedi.Sarà una svolta ma sarà anche un impegno importante per tutti.Ho voluto focalizzare la vostra attenzione su questi punti che ritengo

essere veramente complessi.Questo è un sistema che rischia di collassare, non voglio definirlo un

gigante dai piedi di argilla però potrebbe diventare così. Potrebbe diventare così perché i crediti deteriorati, i costi elevati, van-

no tutti contro una buona gestione dei prossimi anni di questo sistema.Allora dobbiamo lavorare per migliorarlo, tutti insieme.

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“L’egoismo vi seppellirà”. Uno studioso di Francesco d’Assisi, AndrèVauchez, ha scritto alcune cose molto belle su Francesco. Dice una co-sa, secondo me, molto vera che si lega a questa affermazione.

Dice: “Francesco ha capito che l’origine del male e del peccato è la vi-sione egocentrica del mondo”.

Penso che sia molto vero. L’io al centro. Il grande problema di oggi èche siamo tutti grandi protagonisti e pensiamo che gli altri devono girareintorno a noi.

Ma questo non funziona. Pensando a voi, quando ho sentito la storia – un po’ la conoscevo an-

che perché ho avuto rapporti con il vice presidente Liberati, con alcuneBanche di Credito Cooperativo anche per il mio lavoro con la comunità diSant’Egidio (noi siamo sempre un po’ mendicanti, dovete saperlo).

Lo spirito iniziale vostro qual è? Le Casse Rurali hanno cercato di ren-dere la solidarietà, il lavorare insieme, un modello che intaccasse anchel’economia, cioè l’uso del denaro.

Questo valore solidaristico, secondo me, è molto importante. Per que-sto in voi c’è una caratteristica che non c’è nei grandi gruppi bancari.

Ma voi siete anche rappresentanti di un territorio che, a livello sociale,per la presenza della chiesa ma anche di altre forze che esprimevano lasolidarietà, esprimete questa solidarietà.

Ma vorrei dire una cosa: non perdete queste vostre peculiarità e trova-te, nel vostro modo di portare avanti il credito cooperativo, la strada per ilglobale. Non siate solo locali.

È vero, voi siete locali. Ma non siate solo locali perché c’è il mondo.Le immagini che abbiamo visto prima e i dati che ci sono stati proiet-

tati, sono una domanda per tutti. Se aprite una finestra sul mondo, per chiunque (un missionario o per

chiunque), coinvolgete il territorio, aprite una sensibilità, fate uscire dal lo-cale, fate uscire da una visione egocentrica del mondo, che è il grandemale della nostra società.

La visione egocentrica del mondo è individuale ma molte volte è anchecollettiva.

MONS. AMBROGIO SPREAFICOVescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino

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Questa è la verità a cui noi stiamo assistendo, anche nel nostro pae-se, purtroppo. Visioni egocentriche del mondo che sono collettive.

Finisco dicendo solo questa frase: “Il vero interesse per sé è fare l’in-teresse per gli altri”.

Io sono convinto che l’egoista, quello che fa davvero il suo interesse, èquello che impara a fare l’interesse degli altri.

Allora troverà anche la gioia di dire: “Ho fatto l’interesse per gli altri maho fatto anche il mio e ho trovato la felicità vera”.

Io credo molto in questa cosa, l’ho sperimentata nella mia vita. Noncredo sia solo un principio cristiano, credo sia un principio che è nel cuo-re di ogni uomo e ogni donna di questo mondo.

Questo è quello che auguro a me stesso e auguro a tutti voi.

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Cari cooperatori, ringrazio dell’invito. In particolare ringrazio il presi-dente Magagni, gli amministratori, il dott. Quadrelli perché la Federazio-ne dell’Emilia Romagna è una Federazione che cresce e crescono leBanche di Credito Cooperativo dell’Emilia Romagna.

Credo che questa crescita sia un bene per l’Emilia Romagna, per il mo-vimento cooperativo e per il movimento cooperativo di credito, dove la Fe-derazione dell’Emilia Romagna ha e ricopre con alcuni suoi dirigenti, ini-ziando da Magagni, un ruolo molto importante, fondamentale, non solonegli assetti e nella gestione della federazione ma anche nei progetti cheFedercasse e il movimento cooperativo del credito ha nel nostro paese,dall’assicurazione, a quelle che Azzi chiama “le fabbriche”, alla Banca delMezzogiorno, passando anche attraverso il contributo e la presenza deidirigenti dell’Emilia Romagna.

Nel quarto d’ora di tempo che mi è concesso vorrei dirvi alcune cose,spero non confusamente, che riguardano più la situazione generale, chel’Emilia Romagna.

Di fronte alla crisi nessuno è invulnerabile. La depressione economica,come sappiamo, colpisce sia il mondo delle imprese, sia le persone e siale famiglie.

Sulle persone e sulle famiglie penso che il nostro paese e il nostro go-verno abbiano fatto quello che dovevano fare, cioè in una prima fase as-sicurare la massima protezione sociale possibile, assicurare gli stipendi,la sanità, il lavoro (almeno per quanto riguarda la parte pubblica), le pen-sioni.

Diversamente, invece, il ragionamento va fatto per le imprese. Per ilmondo delle imprese il discorso è molto più articolato e molto più com-plesso.

Nonostante le imprese abbiano delle rappresentanze molto discutibilinel mondo associativo, che inventano i problemi man mano che si pre-sentano e non operano con lungimiranza, il problema delle imprese vatraguardato, visto, interpretato nella fase storica in cui l’economia italia-na, si è andata sviluppando negli ultimi 10 anni.

Penso che reggeranno alla crisi le imprese ben dimensionate, ben pa-trimonializzate, efficienti ed internazionalizzate.

LUIGI MARINOPresidente nazionaleConfcooperative

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Come sapete ci sono in Italia 8 milioni di partite IVA rispetto ai 25 mi-lioni di partite IVA in Europa. Le imprese italiane sono 4.400.000 e diqueste 4.100.000 hanno meno di 10 addetti, 140.000 hanno tra i 10 e 20addetti e soltanto 4.700 imprese, fra cui 700 al sud, hanno più di 50 ad-detti.

Siamo, è vero, la seconda manifattura in Europa dopo la Germania. Lanostra ricchezza, bisogna che ce lo diciamo, non si può produrre solo conservizi e con finanza, bisogna fare i prodotti, bisogna fare industria, biso-gna fare manifattura.

Bisogna farlo in misura maggiore di quello che si è fatto sino ad oggi.Per questo l’esperienza del mondo cooperativo, che è analoga a quel-

le delle imprese di capitali, lucrative, è un’esperienza che ci dice che sol-tanto le imprese longeve, le imprese che hanno una dimensione congrua,le imprese che sono capitalizzate, creano occupazione, innovazione edanche internazionalizzazione.

Imprese modeste e rachitiche non sono una prova di virtù, tutt’altro. Ec-co perché noi abbiamo bisogno di costruire, con il sostegno del sistemabancario, imprese che siano congrue rispetto ai settori di appartenenzain quanto a dimensioni e che siano, soprattutto, ben patrimonializzate.

La seconda osservazione è questa: la finanza, che doveva essere laparte più avanzata della globalizzazione, si è confermata, come abbiamovisto, un mondo di artifizi, il tallone di Achille del mercato mondiale. Unmondo di artifizi, un mondo di illusioni, un mondo di furbi ed anche di la-dri.

I mercati non sono stati in grado di autodeterminare i controlli, di auto-regolamentarsi e neppure gli Stati sono riusciti in questa opera di rego-lamentazione ad agire.

I problemi di uno Stato diventano i problemi di tutti e la soluzione par-ziale che qualcuno individua non diventa una soluzione per tutti.

Se l’economia è mondiale, anche le regole debbono essere mondiali.Anche la governabilità è mondiale. Se non è mondiale, non c’è gover-

nabilità e non ci sono regole.Quindi all’economia globale occorrono delle regole globali, regole di

trasparenza, ovviamente condivise e, soprattutto, regole che siano ri-spettate.

Se persino il presidente degli Stati Uniti per ben due volte – l’ultimaqualche giorno fa – ha richiamato Wall Street ad imparare la lezione del-l’anno prima, significa che la repubblica internazionale del denaro conti-nua, o vuole continuare, a cantare sul vecchio spartito.

Anche nel recente incontro che hanno avuto i capi di Stati, i più gran-di, a Pittsburgh, che dovevano dettare le regole alla finanza e all’econo-mia del mondo, il risultato è stato piuttosto modesto. Non sono riusciti amettersi d’accordo neppure sui bonus che rappresentano, qualcosa diben più profondo di quanto non sembri.

Penso che nel mondo e in Europa (anche in Italia) ci sia una scuola,un pensiero, un’accademia, anche una spinta dei media, verso un iperli-berismo estremo che permea l’economia e l’opinione pubblica.

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L’iperliberismo è un’ideologia, una scuola di pensiero e di interessi, cherende ciechi verso la realtà.

Anche in Italia autorevoli rappresentanti di questa scuola iperliberistaci hanno raccontato fino a qualche tempo prima della crisi economica chegli hedge funds erano il sol dell’avvenire.

Anche oggi ci dicono che è preferibile che le regole del mercato e del-la finanza devono essere dettate dalle banche centrali e da organismitecnocratici.

Noi riteniamo che la politica abbia tanti problemi, che la politica abbiabisogno di passare dalla p minuscola alla p maiuscola, una cosa nobile,una cosa migliore di quella che c’è oggi, sia a livello nazionale che a li-vello internazionale.

Ma crediamo sempre che le regole devono essere dettate dalle istitu-zioni democratiche e le istituzioni democratiche vivono attraverso la poli-tica.

Tocca alla politica dare legalità al mercato. Il pendolo della visione po-litica si deve spostare dal mercato al diritto degli interessi sociali e dal di-ritto degli interessi sociali alle regole.

La terza considerazione che voglio portarvi credo di averla fatta anchequando avete inaugurato la vostra bella sede, la nuova sede di Feder-casse dell’Emilia Romagna.

Io credo che, oltre alla richiesta di regole nuove, occorre che i governiintroducano, all’interno del dominio dell’economia, dei valori diversi, piùqualificanti, che non siano solo il profitto e l’aumento costante di valoredelle aziende.

Penso che occorra introdurre, un nuovo rapporto tra economia e finan-za, dove, appunto, la finanza ha un ruolo puramente servente dell’eco-nomia e non un ruolo primario.

Bisogna riconoscere il valore del localismo, non perché è di moda direche siamo localisti, che c’è un’economia locale e un’economia globale,un’economia umana e un’economia generale, più ampia, più indistinta,più anonima, ma perché nell’economia locale la vita civile e la vita eco-nomica si rafforzano reciprocamente.

Bisogna introdurre un altro valore nel mercato: quello del diritto dellepersone alla loro dignità e al lavoro.

Credo che abbia ragione il ministro Tremonti. La stabilità è un valore.La flessibilità può anche essere un valore ma se determina comunquestabilità nel lavoro.

La precarietà, invece, che genera insicurezza e incertezza, che non fafondare, per esempio, sanamente una famiglia, non la fa reggere nei con-fronti degli urti della società, è un fattore negativo, è un disvalore.

Alcuni valori forti che devono essere introdotti: un nuovo rapporto tralavoro e famiglia, la sussidiarietà e, infine, cari cooperatori, credo che bi-sogna valorizzare nel mercato, nel dominio dell’economia, il pluralismodelle motivazioni imprenditoriali, che per noi cooperatori sono quelli del-la mutualità.

Nell’enciclica recente di Papa Benedetto XVI – mi limito per il tempo

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che ho soltanto a leggervela – al capitolo 38 si legge: “Serve, pertanto,un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pariopportunità, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto al-l'impresa privata, orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, de-vono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive cheperseguono fini mutualistici e sociali”. Ognuna di queste imprese esprimeuna “capacità imprenditoriale specifica”.

Noi troviamo queste parole una sintesi perfetta delle posizioni in cui ab-biamo sempre creduto e in cui, noi tutti, abbiamo sempre operato nelmercato.

Il mercato, per rispondere ad una sua funzione di emancipazione e dicivilizzazione, deve essere animato da tante tipologie diverse di impresa.

“Il mercato deve avere delle regole e deve essere controllato – dice ilPapa – da leggi giuste”.

“Il mercato deve consentire – dice sempre il Papa – forme di redistri-buzione guidate dalla politica”.

Penso che il nostro paese abbia fatto, in questi anni, pur tra mille con-traddizioni, mille difficoltà, dei passi avanti, abbia cioè tentato di realizza-re, o comunque di orientarsi verso la democrazia economica.

Penso però che così non avvenga sul mondo globalizzato. Non in Eu-ropa. Abbiamo un’Europa sempre più invadente, che tenta di imporreun’altra logica, la logica del mercato a taglia unica, del mercato forgiatosoltanto sull’impresa capitalistica di stampo lucrativo. Anzi, sulla grandeimpresa, sui grandi apparati finanziari, sui grandi apparati tecnologici esulla grande impresa comunque.

Noi cattolici, che abbiamo creduto e costruito l’Europa unita in tempinon sospetti, che siamo rimasti perplessi e contrariati per il mancato rife-rimento, per esempio, alla dottrina della Chiesa nella definizione dellaCostituzione europea, noi crediamo invece che non solo questa assenzaci amareggia, ma ancor più è preoccupante il fatto che sul piano econo-mico e sociale avevamo e abbiamo una visione diversa da quella Europache si vuole oggi costruire. Un’Europa di tecnocrati, che censura le iden-tità che l’hanno costituita, che brancola senza anima e senza unità.

Un’Europa, come dicevo prima, dominata dal paradigma dell’impresacapitalistica lucrativa.

È un’Europa che pretende, ad esempio, che ci sia la pluralità nelle tra-dizioni, nelle religioni, nella cultura, nella politica ma che quando parla dimercato, appunto, individua un solo tipo di mercato, un solo tipo di im-presa, senza capire e comprendere le ragioni profonde che fanno gran-de un Paese e che sono quelle di mettere insieme, anche nel mercato, ti-pologie diverse di imprese.

Una penultima considerazione. Sempre nell’enciclica, il Papa, ricolle-gandosi alla “Populorum progressio”, ripropone con forza il tema dellosviluppo.

Se andiamo a guardare i titoli dei tanti capitoli dell’enciclica, la parola“sviluppo” è la più usata.

Possiamo dire che sia un fatto ovvio. Mica tanto perché, come sapete,

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in Europa e in Italia c’è ormai la convinzione che lo sviluppo, la crescita,non sia più del nostro paese, o del nostro continente, ma che sia arriva-to il turno di altri.

Da qui ci sono conseguenze negative. Cioè, se c’è poca crescita, sec’è poco sviluppo, meglio essere in pochi, meglio essere protetti, quindimeglio ritirarci a difesa nella nostra casa, meglio goderci le ricchezze evivere di rendita.

Da qui i tanti investimenti nel settore immobiliare e nel settore finan-ziario, semmai dismettendo le nostre responsabilità nei confronti del fu-turo, delle nuove generazioni.

Addirittura da noi corrono pensieri insani: è meglio non fare, o fare po-co, piuttosto, come ci ricorda la chiesa, che fare meglio.

La classe dirigente del movimento cooperativo deve, invece, impegna-re i presidenti, gli amministratori e, perché no, i soci delle nostre coope-rative a investire e a pensare, sempre, alla crescita e allo sviluppo.

La chiesa ci ricorda che lo sviluppo, rettamente inteso, non è solo unimpegno, è una vocazione.

Lo sviluppo diventa uno dei fari che dobbiamo mettere davanti alla no-stra azione quotidiana.

La chiesa ci ricorda che dobbiamo camminare sulla strada dello svi-luppo con tutta la nostra mente, con tutto il nostro cuore.

Astenersi dallo sviluppo non è una manifestazione di virtù. Lo sviluppoè un dovere, non è un lusso.

Il cristiano deve pensare alla crescita, deve pensare a crescere perchécrescendo emancipa l’uomo.

Come lo si fa? Come lo si realizza? Come lo possiamo realizzare nel-le nostre banche, nelle nostre cooperative?

Soprattutto pensando a processi innovativi, all’innovazione.Non dobbiamo mai ritardare l’innovazione, soprattutto l’adozione di

nuove tecnologie che, peraltro, sono anche tecnologie più ecocompati-bili.

A proposito la chiesa ci ricorda che la natura è certamente un’espres-sione di amore e di verità però – cito testualmente – “costruire il vero svi-luppo è considerare la natura un fattore aggiuntivo e non invece un im-portante contraltare alla crescita della persona umana”.

Allora ricapitolo: dobbiamo costruire imprese ben dimensionate, capi-talizzate, innovative perché dobbiamo crescere, è un obbligo che dob-biamo sentirci come imprenditori, come cooperatori, come cittadini, comecristiani.

L’ultima conclusiva considerazione la rivolgo a voi su un tema che ci haparticolarmente impegnato in questi ultimi anni.

Sapete che esiste un contenzioso a Bruxelles contro le cooperative.Questo contenzioso è stato aperto dalla Federdistribuzione contro le Co-op ma poi a questa si sono aggiunte, qua e là, lettere, osservazioni edesposti contro le banche di credito cooperativo.

E’ diventato un contenzioso più ampio, che ha coinvolto tutta la coope-razione italiana.

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Gli avversari sostengono che il regime fiscale delle cooperative in Ita-lia è incompatibile con il diritto comunitario perché avvantaggia le coope-rative in modo spropositato e immeritato.

Questa accusa è stata sostenuta con accanimento poi, pian piano, ab-biamo cominciato a fare ragionare (abbiamo impiegato tre anni) la tec-nocrazia di Bruxelles sul perché è stata prevista questa particolare age-volazione che, come voi sapete, è ormai ridotta a ben poca cosa. Cioèserviva per capitalizzare le cooperative che non potevano accedere almercato dei capitali, giustamente, come fanno le altre imprese.

La Commissione di Bruxelles forse sta per chiudere questo capitolo elo chiude anche con la collaborazione del governo italiano che, in questafase, è stato ineccepibile.

Ma cosa emerge da questa vicenda? Emerge l’idea che la cooperativa meritevole è quella cooperativa lar-

gamente mutualistica, effettivamente partecipata dai soci, autenticamen-te vera, indipendentemente dalla dimensione. Una cooperativa che siaevoluta, anche grande nella dimensione e nella internazionalizzazione,ma che sia un’effettiva cooperativa. Quella è la cooperativa meritevole.

Vorrei portare dei dati che abbiamo rilevato, che riguardano sia le BCCche le cooperative di Confcooperative.

Ricorderete in passato, in un passato recente, fine anni ’80, tutti gli an-ni ’90 e un po’ del 2000, che vi è stata in molti la tentazione di allentarele regole mutualistiche, di finanziarizzare le cooperative, di trasformare lecooperative in una cosa diversa da quella che effettivamente sono.

In sostanza si diceva che le cooperative, anche le BCC, per compete-re dovevano spogliarsi della veste precedente e indossare la veste dellesocietà di capitali.

Sia nel centro-sinistra, che nel centro-destra – mi verrebbe da dire piùnella sinistra che nella destra – si è tentato di far passare la linea di tra-sformare le cooperative in fondazioni, le quali a loro volta detenevano ilcapitale di una S.p.A.

Si borbottava anche che la democrazia cooperativa era una bella co-sa, ma solo in teoria perché rendeva le decisioni lente, molto più lente diquelle delle società di capitali.

Invece, in questi anni, direi dal ’99 al 2008 le cooperative in Italia han-no avuto una crescita imponente e le BCC hanno avuto una crescita an-cora più imponente, sia di raccolta e di impieghi, sia di patrimonializza-zione, sia di sportelli.

Gli occupati in Confcooperative sono arrivati a 560.000, +93% in 10anni; il fatturato +104%, ha raggiunto i 61 miliardi, tolta, ovviamente, lamassa fiduciaria delle BCC.

Le imprese che fanno export sono su 20.000, quasi 1.000. 10 anni fale microimprese cooperative erano l’82%, oggi sono il 57%.

Ebbene, due terzi delle nostre cooperative hanno una prevalenza mu-tualistica superiore all’82%.

Questi dati – in più qualcun altro che non sto qui a dire per brevità –danno riscontro alle nostre convinzioni più profonde. Quanto più aumen-

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ta la partecipazione del socio alla vita della cooperativa, cresce il fattura-to e la capitalizzazione.

Nelle cooperative dove la partecipazione assembleare è stata superio-re al 50%, il fatturato è cresciuto del 93%; tra il 30 e il 50%, il fatturato ècresciuto del 78%, cioè è calata la crescita.

Nelle cooperative che hanno avuto una partecipazione all’assembleaal di sotto del 20%, il fatturato è cresciuto solo del 60%.

Quindi c’è una correlazione certa fra partecipazione, fatturati, capita-lizzazione. Fattori che si aiutano a vicenda.

Il ristorno viene praticato maggiormente nelle cooperative a maggiorepartecipazione.

Quindi, per farla breve, chi attenua la mutualità e non incoraggia la par-tecipazione dei soci, si illude di avere trovato una scappatoia al succes-so e invece, di fatto, spegne i motori della cooperativa.

Queste, signori, erano le considerazioni che vi volevo fare nel tempoche mi è stato dato.

L’Italia, come voi sapete, è uno straordinario paese, ci viviamo e siamotutti contenti di viverci perché la qualità della vita italiana regge bene ilconfronto con quella di altri Paesi.

Non dappertutto ma certamente nelle nostre zone, nella nostra terra,in Emilia Romagna.

Ma oggi il nostro è un paese che cresce meno degli altri, che invecchia,con una natalità insufficiente, che ha bisogno di ritrovare il futuro e biso-gna che lo ritrovi presto.

Bisogna ridare gioventù all’Italia. Noi cooperatori, che siamo italiani come gli altri, avvertiamo le stesse

difficoltà, abbiamo gli stessi timori e, perché no, abbiamo anche le stes-se tentazioni degli altri ma scegliamo di essere dalla parte del futuro,dobbiamo scegliere di essere dalla parte del futuro, del coraggio, della fi-ducia, della solidarietà, insomma della libertà di sviluppare pienamente lavocazione, la creatività, la solidarietà e la mutualità.

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Questo è un intervento non previsto. L'amico Magagni mi ha pregato diportare a tutti voi il saluto della Federazione nazionale.

Voglio, nel contempo, però portare a voi il saluto degli amici del Credi-to Cooperativo delle Marche che seguono con molta attenzione i lavoridei vostri convegni.

Ho partecipato, nell'ultimo mese, almeno a tre convegni, iniziando daSan Pietroburgo, con il convegno di Phoenix, passando per Salonicco, ilconvegno della Federazione lombarda e approdando a Sorrento per il vo-stro.

Perché? Perché abbiamo bisogno di rinverdire il senso del nostro im-pegno nel credito cooperativo.

Si sta vivendo un tempo in cui il relativismo, la secolarizzazione, ci faperdere ogni giorno il senso del nostro impegno, secondo i valori che so-no tradizioni e sono tipici del nostro mondo.

Notiamo con preoccupazione che, giorno dopo giorno, mese dopo me-se, anno dopo anno, c'è una tendenza nella nostra società, e anche nelnostro movimento, all'omologazione.

Cioè da soggetti diversi si va riproponendo quello che Hegel sostene-va; nella notte di Hegel non c'è né il nero, né il bianco, siamo tutti grigi.

Questo non ce lo possiamo assolutamente permettere e non dobbia-mo neanche fare in modo che i nostri comportamenti ci portino a tanto.

Nel nostro mondo abbiamo subito una serie di normative che indistin-tamente si sono applicate al Credito Cooperativo così come alla bancache ha un orizzonte che va al di là dei nostri piccoli confini. L'abbiamo su-bita, abbiamo sicuramente appesantito i nostri bilanci e abbiamo comun-que risposto positivamente a quello che ci è stato dall'alto calato.

Penso che i nostri comportamenti non devono assecondare quello chesta accadendo.

Ho sentito preoccupazioni, nei tre convegni, in ordine alle sovrapposi-zioni, in ordine alle fusioni fra Banche di Credito Cooperativo.

Si fa dà sempre molta enfasi al discorso delle economie di scala. Nes-suno sottolinea invece che, laddove si procede in questo senso, esistonoanche altri problemi. Le diseconomie interne e quelle esterne, le difficol-tà che si creano all'interno delle strutture che si mettono insieme, la per-

BRUNO FIORELLIVice Presidente Federcasse

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dita di identità, che per il Credito Cooperativo è un grande valore, quan-do cerchiamo una dimensione che non è quella tipica e tradizionale delCredito Cooperativo.

Ebbene, questo tipo di comportamento, secondo me, tende ad asse-condare i processi che altri ci impongono.

Dobbiamo stare, caro presidente Magagni, molto, molto attenti.Si parla ultimamente – e qui finisco perché non voglio rubare tempo –

almeno nel nostro mondo, di due progetti estremamente importanti. Unoriguarda il Fondo di Garanzia Istituzionale.

Abbiamo bisogno di un paracadute comune che ci possa tutelare daeventi anche spiacevoli che potrebbero accadere nel tempo.

Siamo entrati in un certo modo nella crisi e non sappiamo come neusciremo. Probabilmente dovremo essere diversi rispetto a quello chesiamo stati.

Dovremo accelerare tutti i processi che portano a realizzare delle eco-nomie significative.

Io ti ringrazio, presidente, per l’impegno che tu stai profondendo a livellonazionale per raggiungere questo obiettivo estremamente importante.

Non abbiamo più risorse che ci permettano di sprecarle come abbia-mo fatto negli ultimi tempi. Il mercato e le condizioni oggettive non ce lopermetteranno.

Abbiamo bisogno quindi di ridisegnare il nostro modo di essere e distare insieme. Abbiamo bisogno di tanta solidarietà. Abbiamo bisogno difare un cammino comune, importante, interessante, dal nord al sud, sen-za distinzioni, perché il Credito Cooperativo in Italia è uno, e uno deve re-stare.

L'altro progetto di cui si parla è la Banca del Sud. Non so perché oggi,domenica, mi torna in mente la parabola dei talenti. Ci è stato dato un ta-lento, ci è stato consegnato.

Avremmo potuto seppellirlo per poi restituirlo a chi di dovere nel tem-po. Abbiamo ritenuto invece di poterlo valorizzare perché il Credito Coo-perativo, anche in questo, deve creare valore.

Allora cerchiamo di mettere insieme diverse realtà operative, che nelsud e in tutta Italia hanno fatto crescere la nostra economia.

Facciamo riferimento alle associazioni delle cooperative, indipendente-mente dal loro colore, sia rosso, sia bianco, che verde, alle associazionidegli artigiani, alle associazioni dei commercianti, ai diversi Confidi, perfare in modo di trovare una entità che faccia crescere dal basso l'econo-mia di una zona del paese verso la quale molti hanno provato a fare qual-che cosa ma nessuno ci è riuscito.

Ricordiamo le cattedrali nel deserto che dovevano essere la spinta perlo sviluppo del sud e che non lo sono state.

Probabilmente il Credito Cooperativo, come è riuscito nel tempo a farcrescere l'economia dei nostri luoghi, sarà in grado di far crescere anchequella economia.

Di Banca del Sud si è parlato molto, ed a sproposito, senza conosce-re il progetto.

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Noi siamo impegnati a partecipare al comitato promotore. Daremo, co-me abbiamo dato finora, il nostro contributo importante perché si realizziun modello che assomigli molto al nostro mondo. Siamo convinti di riu-scirci.

Chiudo con un appello, lo stesso che ho fatto a conclusione del qua-rantesimo anniversario della nostra federazione, ricordando un detto afri-cano: “Se vuoi andare in fretta vai da solo, se vuoi andare lontano vai as-sieme agli altri”.

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Il presidente Magagni mi ha chiesto di fare un breve intervento per rac-contare cosa si sta facendo nel Gruppo Bancario ICCREA, visto che og-gi è qui come Presidente della Federazione delle BCC dell’Emilia Roma-gna.

Voglio partire ricordando che stiamo lavorando per creare la Holdingdel Gruppo bancario del Credito Cooperativo in grado di esercitare unruolo di indirizzo, di coordinamento e di controllo rispetto ad un insiemedi Società che non possono più essere considerate delle Società di pro-dotto.

Nel tempo abbiamo sempre pensato di avere – e cercavamo – dellesemplici fabbriche di prodotto.

Oggi invece, a livello sistemico, abbiamo bisogno di avere dei partnerin grado di aiutarci ed integrarci nel cammino che ogni BCC sta facendosul proprio territorio. Pertanto è una missione profondamente diversa ri-spetto a quella di prima, più complicata, sfidante, difficile.

L'aumento di capitale che si è appena concluso è stato per noi motivodi grande soddisfazione perché si è chiesto al sistema del Credito Coo-perativo, dopo sei anni, di sottoscrivere una tranche di 200 milioni di eu-ro, nell'ambito di 500 totali, che rappresenta la più importante operazio-ne finora realizzata.

Il 10 ottobre scorso si è chiusa l’operazione con la sottoscrizione del-l’intero capitale richiesto. Lo abbiamo voluto leggere come un atto di fi-ducia unito alla volontà, da parte dei soci, di avere un Gruppo Bancariopatrimonializzato.

Per noi rappresenta una spinta per andare avanti su un percorso ini-ziato 18 mesi fa che si muove su due macro filoni nell'ambito del gruppobancario.

Uno è quello dell'efficientamento e l'altro è quello del mercato, del bu-siness.

L'efficientamento passa dal progetto “Tangram” partito nel luglio 2008e che oggi sta entrando nel pieno della sua attività.

È un progetto che ha un respiro ampio con una sua pianificazione diattività e di processi programmata fino al 31 dicembre 2011. Questo oriz-zonte temporale è necessario per portare avanti un complesso percorso

ROBERTO MAZZOTTIDirettore GeneraleIccrea Holding

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di efficientamento interno, che coinvolge diverse società con 1.400 per-sone, attività che vanno ripensate e filiere che vanno “pulite”.

Pertanto, non è un compito banale perché parliamo di abitudini, di per-sone, di cambiamenti.

Un altro tema importante è quello del mercato, in quella logica, che di-cevo prima, di interrelazione forte con la Banca di Credito Cooperativo,partendo dalle esigenze reali che stanno maturando nel contesto; con ciònon mi riferisco semplicemente all’offerta di prodotti nuovi ma soprattut-to alla creazione di una relazione nuova col mercato.

A questo proposito vorrei ricordare qual è la nostra attenzione e checosa stiamo realizzando nell’ambito dei tre principali segmenti della no-stra offerta (corporate, retail e istituzionale).

Comincerò dal segmento corporate, - inteso come supporto alle rela-zioni con le imprese, sia piccole che grandi - perché è strategico per tut-ti.

È strategico per i contesti e le difficoltà che ci sono e perché, per il Cre-dito Cooperativo, l’impresa rappresenta il suo DNA.

In questi giorni si è parlato parecchio della differenza che c'è fra unaCassa Rurale e Artigiana - oggi la BCC - e una banca ordinaria, com-prese le banche popolari.

Noi siamo nati per aiutare i micro imprenditori e mentre le altre banchesono nate per raccogliere e gestire i risparmi.

Questa differenza ce la portiamo ancora dentro da più di cento anni. Pertanto, di fronte ad una crescita delle BCC non possiamo non porre

un'attenzione particolare al segmento imprese.In tal senso abbiamo intrapreso un percorso nuovo, focalizzandoci so-

prattutto su una delle nostre realtà del GBI, Banca Agrileasing, che si tro-va ad avere un management nuovo - ma nella continuità - con un nuovoDirettore Generale, Enrico Duranti, che ha assunto questo incarico dal 15luglio scorso. Oggi è qui con noi e lo salutiamo insieme al Vice DirettoreGenerale, Giovanni Boccuzzi, entrambi impegnati in un lavoro assoluta-mente importante, difficile e complesso.

A Banca Agrileasing si chiede di passare da una struttura e da una lo-gica di prodotto - sebbene si tratti di un prodotto di eccellenza perché illeasing è diventato tale – ad una eccellenza che deve essere portata a360° nel supporto alle imprese.

Stiamo parlando di prestiti, di finanza straordinaria, di internazionale.Segmenti complessi dove è richiesta professionalità. Professionalità chestiamo portando all'interno di Agrileasing, ma è necessario - e questo lodico guardando alle BCC - che venga diffusa anche all'interno delle stes-se.

Abbiamo bisogno che in ogni BCC ci siano dei referenti corporate as-solutamente preparati. Qualora la BCC si trovasse in difficoltà nel rico-prire questo ruolo in maniera autonoma, stiamo lavorando per poterlaaiutare ed essere efficace.

Nell’ambito del corporate vorrei soffermarmi sul tema del factoring. In un contesto particolare come questo attuale, lo smobilizzo dei cre-

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diti per le imprese è un problema serio. La BCC è sempre stata abituataad utilizzare i suoi strumenti tradizionali (quali l’SBF e l’anticipo fatture),oggi però serve dell'altro.

All’interno del Gruppo bancario, circa tre anni fa, è stata costituita BCCFactoring. In questo periodo si è cercato di capire come organizzare que-sta struttura in funzione delle esigenze del mercato.

Oggi c'è un'azienda quasi pronta (ancora c'è qualcosa che occorre fa-re sul tema macchina) ma, dal punto di vista del posizionamento sul mer-cato e di come approcciare la clientela delle BCC, le idee sono chiare.

Anche questa è un altra struttura messa a disposizione nell'ambito delcorporate che nel tempo utilizzeremo sempre di più perché svolge un'at-tività che va oltre lo smobilizzo. Ed è soprattutto su questa attività “ulte-riore” che cercheremo di ricavare un valore per il Credito Cooperativo.

Passo al retail. Questo segmento di offerta rappresenta per noi la relazione con la per-

sona. La persona che si assicura, la persona che risparmia e che con-suma.

Rispetto al corporate, dove c'è di fatto una concentrazione sull'azienda,qui invece è posta attenzione al servizio perché, più che altrove, non stia-mo pensando alla creazione di strutture, di fabbriche, ovvero non solo aquello, ma soprattutto lavoriamo per offrire risposte alle esigenze delleBanche, come aiutarle ad essere vicine alle esigenze dei propri clienti.

Per quanto concerne il comparto assicurativo, come sapete nell'agostodel 2008 Iccrea Holding ha firmato un accordo con Cattolica Assicura-zioni (con noi oggi ci sono il presidente e l’amministratore delegato).

Con loro abbiamo perfezionato in luglio il passaggio della proprietà diBCC Vita. Attualmente il 51% della Compagnia è di Cattolica Assicura-zioni.

Contemporaneamente stiamo perfezionando la costituzione di BCCAssicurazioni, che sarà la compagnia danni del Credito Cooperativo perla copertura dei rami elementari, ambito in cui, a livello di gruppo, nonavevamo ancora nessuna risposta.

La costituzione di BCC Assicurazioni diventa per noi il completamentodell’offerta assicurativa.

Con riferimento al tema del credito al consumo entro giugno del 2010sarà pronta una nostra società, realizzata in collaborazione con un par-tner specializzato ed esperto nel settore, che conosciamo molto bene. Sitratta di un processo di internalizzazione di un servizio alle BCC che, a li-vello di sistema, ha avuto successo sotto il brand Crediper.

Mi preme sottolineare che, dal punto di vista del mercato, nulla cam-bierà perché il marchio Crediper andrà avanti. E’ il motore che cambieràe mi auguro e spero, che tutto ciò sia l'esempio, la possibilità e l’oppor-tunità di concludere finalmente qualcosa di concreto in sinergia con leCasse Centrali di Trento e di Bolzano.

Sarebbe la prima esperienza industriale di sistema.Mi auguro e spero che ciò possa avvenire anche nel campo assicura-

tivo.

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L'operazione con Cattolica ha una valenza che va al di là di quella in-dustriale perché si tratta di un partner che viene dal mondo della coope-razione: è l'unica compagnia assicurativa italiana in forma cooperativa. E’più vicina al mondo delle popolari che non al nostro ma la formula è quel-la.

Fra l'altro, in Assimoco c'è una proprietà di maggioranza – prima nonlo era – che proviene da un mondo esattamente uguale a quello che Cat-tolica e il Credito Cooperativo hanno messo assieme.

A mio avviso dovremo arrivare ad avere, anche nell’assicurativo, un’of-ferta unitaria a livello nazionale.

Il risparmio gestito è un altro comparto del retail che merita una forteattenzione. Stiamo riflettendo in maniera puntuale sul sistema di offerta,sull'assistenza alle banche, su quello che effettivamente serve.

C'è un team di lavoro che sta operando da parecchio tempo con unafocalizzazione al 2012.

Mi si potrebbe obiettare: “Ma perché guardi così lontano?”. Semplice-mente perché entro il 2011 entrerà in vigore una normativa comunitariache cambierà ulteriormente la relazione col mercato.

Il terzo segmento di offerta è quello che noi chiamiamo istituzionale:servizi, prodotti e assistenza fornita alle banche in quanto tali.

Il punto di riferimento per noi è ICCREA Banca, che entra in un per-corso di specializzazione in questo segmento di offerta.

Abbiamo già un’operatività avviata su tutta la finanza, intesa quale ge-stione creditizia della liquidità, all’interno del gruppo.

Ad oggi esiste un’avviata attività di gestione unitaria con una bancasempre più proattiva verso le esigenze e le opportunità di investire la li-quidità in eccesso che le vostre BCC hanno in patrimonio.

Altro tema è quello dei sistemi di pagamento. Abbiamo di recente per-fezionato un accordo con l’Istituto Centrale delle Banche Popolari Italia-ne, in forza del quale andremo ad acquisire il 10% di questa azienda, chesvolge alcune di queste attività al pari dell’ICCREA Banca.

Stiamo pensando a sistemi di pagamenti, e all’attività di banca deposi-taria.

Un’area che coinvolge in maniera più diretta il lavoro della singolaBCC, che è quello della monetica.

In materia l’Istituto Centrale Banche Popolari ha acquisito il 75% diCartasì, ma c’è, dall’altra parte, tutta l’operatività legata agli esercenti, iPOS.

Noi abbiamo la “carta di credito cooperativo” con la nostra macchina.Capite benissimo che, se ci si mette attorno a un tavolo, c’è senza dub-bio la possibilità di creare valore in sinergia, pur rispettando la specificitàdei rispettivi mercati.

Un terzo settore su cui stiamo riflettendo da diversi mesi è la gestionedei cosiddetti “non performing loans”, i crediti problematici che le BCChanno in portafoglio. Il nostro obiettivo è di poter fornire un supporto nel-l’attività di gestione/cessione e acquisizione degli stessi, anche nell’am-bito del settore immobiliare dei crediti ipotecari.

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Non possiamo immaginare che questo settore possa essere gestitodalla singola BCC in maniera esaustiva, per questo motivo stiamo av-viando un interlocuzione con tre possibili partner per valutare una jointventure nella gestione del business: da soli infatti non saremmo in gradodi poter soddisfare questa esigenza.

Un altro aspetto che merita attenzione, specie quando si opera in unastruttura nazionale, è quello della comunicazione.

È un pallino che ho in testa da quando ho iniziato questa esperienzanel Gruppo bancario. Sono nel Credito Cooperativo da una vita. Credevodi conoscere abbastanza bene che cosa il Gruppo Bancario potessemettere a disposizione delle BCC. Invece, quando sono entrato nel GBI,mi sono accorto che la mia conoscenza era limitata.

Per questo motivo ho subito concentrato i miei sforzi e quelli dei mieicollaboratori nel creare una relazione sempre più diretta con la banca dicredito cooperativo per dare a chi è in trincea la possibilità di conosceretutti i supporti messi a disposizione dalle strutture di secondo livello.

Sono convinto che tutt’ora esista la difficoltà da parte di chi si trova nel-la BCC o nella Federazione di comunicare con il Gruppo bancario.

Abbiamo ben presente il tema e stiamo lavorando su diverse aree per-ché sappiamo benissimo che la comunicazione non passa da un canalema occorre sfruttarli tutti.

Motivo di soddisfazione sono tre attività ormai consolidate sul territorioche nascono dall’esperienza maturata sul campo dall’Area Mercato di Ic-crea Holding.

Mi riferisco ai tavoli commerciali, in cui sono coinvolti i direttori e, spes-so, vice direttori o responsabili commerciali delle singole BCC. Si tratta dimomenti di riflessione molto utili perché, da un lato, consentono al Grup-po bancario di fornire informazioni e supporto alle banche ma, dall’altro,sono l’occasione per raccogliere le indicazioni dalla base.

E’ una dialettica che dobbiamo alimentare perché altrimenti chi lavoranella struttura nazionale corre il rischio di essere lontano, avulso, rispet-to alla realtà di base.

Poi c’è un altro strumento che forse conoscete poco, i TRT, i tavoli deireferenti territoriali, nati per consentire ai nostri collaboratori sul territoriodi ritrovarsi periodicamente assieme per condividere le tematiche di quelcontesto, le peculiarità e le iniziative da mettere in campo, nel comuneobiettivo di eliminare l’autoreferenzialità nell’approccio con le BCC.

Un terzo strumento di vicinanza/comunicazione con le BCC, sono lesedi di prossimità. A Bologna è stata istituita ed inaugurata assieme allanuova struttura della Federazione. Gradualmente le stiamo realizzando intutta Italia.

Non si tratta solo di mettere assieme le strutture decentrate delleaziende in un unico luogo fisico. In ogni sede di prossimità c’è un team dipersone che lavora con l’obiettivo di creare valore, integrazione e sup-porto alle Banche di Credito Cooperativo.

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TAVOLA ROTONDA

“Impresa, banca locale, società di gruppo:quali sinergie per lo sviluppo”

Moderatore

Diamo subito il via alla tavola rotonda. Chiamiamo al tavolo coloro iquali vi parteciperanno, vale a dire: Silvia Noè, imprenditrice di Bologna;Stefano Ferrari, imprenditore di Cento, in provincia di Ferrara; Edo Mise-rocchi, direttore generale del Credito Cooperativo Ravennate e Imolese;Augusto dell’Erba, presidente di Iccrea Banca; Paolo Bedoni, presidentedi Cattolica Assicurazioni.

Il tema della tavola rotonda è “Impresa, banca locale e società di grup-po. Quali sinergie per lo sviluppo” e non può ovviamente prescindere dauna riflessione sulla condizione economica generale e sulle cose che so-no state dette questa mattina.

Si è accennato prima alla necessità di sviluppo da parte del presiden-te Marino. Bisogna però considerare che questa crisi, se la si vuol vede-re per quello che è, come abbiamo detto anche nella mattinata di vener-dì, è una crisi di sovraproduzione. Ci dobbiamo rassegnare all’idea di pro-durre di meno.

Non credo che vada salvaguardato a tutti i costi un prodotto che non

ModeratoreGiorgio Costa

Giornalista - Caposervizio“Il Sole 24 Ore - Centro Nord”

Silvia NoèImprenditore

Stefano FerrariImprenditore

Paolo BedoniPresidente

Cattolica Assicurazioni

Edo MiserocchiDirettore Generale

C.C. Ravennate Imolese

Augusto Dell’ErbaPresidente

Iccrea Banca

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ha mercato. Secondo me, scegliendo questa strada, sceglieremmo sem-plicemente una rovina maggiore di quella che rischiamo.

In definitiva, con il meccanismo di incentivi e di sostegni – venerdì si di-ceva che la Banca d’Inghilterra ha immesso i due terzi del Pil di un annoa sostegno dell’economia – la tenuta del sistema è oggettivamente “dro-gata”. È un sistema che non sta comprando qualità, non sta comprandovisione, sta semplicemente comprando tempo nella speranza che l’eco-nomia riparta.

Non so quanto l’economia stia ripartendo, se ha ragione GuidalbertoGuidi in un’intervista che proprio ieri si poteva leggere sul giornale e di-ce: “La ripresa estiva è già finita. Semplicemente le imprese stavano ri-costituendo le scorte ma già settembre gela le aspettative”.

Guidalberto Guidi è abbastanza tranchant. Speriamo che non abbia ra-gione però guarda a un comparto produttivo interessante e non piccolo,quindi effettivamente il timore c’è. Lo sviluppo è un dovere e non un lus-so, si diceva stamattina. Certo, lo sviluppo è un dovere ma deve essereuno sviluppo reale e non, come scrive Salvatore Bragantini sul Corriere,“il paradiso artificiale dell’economia”. Bragantini fa anche un esempio.

Abbiamo impianti installati che possono sfornare 90 milioni di automobiliall’anno; il mercato però ne assorbe 60 milioni e ci si domanda se ab-bia senso continuare con incentivi diretti e si faceva il caso di Opel.

Bisogna chiedersi se si vuole conservare un sistema insostenibile op-pure si vuole andare verso un nuovo sistema. Credo che sia questa la ve-ra sfida perché questo sistema finisce per scaricare le sue rigidità e lesue durezze sul mercato del lavoro, non altro. Infatti l’altro monito di Bra-gantini è questo: “I clamorosi risultati di Goldman Sachs e J.P. Morgan,che tornano con un bell’utile, è un utile frutto dell’intervento dello Stato.Che non si sognino di distribuire bonus ai manager. Speriamo che ab-biano il pudore di non farlo”.

In tutto questo, però, c’è il dramma – perché di questo si tratta – dellapiccola impresa. C’è stato un convegno di Confindustria a Mantova cheha messo in luce numeri drammatici, con circa un milione di imprese arischio.

Le piccole imprese in Italia hanno numeri impressionanti. Su 4,4 milio-ni di imprese, il 94,8% ha meno di 10 addetti. Queste imprese hanno cir-ca il 50% degli occupati.

Sono imprese che fanno i conti non con le speranze ma con i numeridi un mercato che indica questa situazione: l’export del sistema arreda-mento nei primi sei mesi è diminuito del 25% e ha perso 1,6 miliardi; lemacchine utensili nel 2009 perderanno il 40% e torneranno ai livelli del1997. Pensiamo a cosa eravamo nel 1997 e cosa siamo oggi. Le previ-sioni delle piccole imprese della filiera del sistema moda stimano un ca-lo della produzione fra il 19 e il 23%, con una perdita complessiva di37.000 occupati.

Al di là delle speranze evangeliche e della nostra buona volontà, i nu-meri, purtroppo, sono questi. Nel corso della tavola rotonda partirei pro-prio con Silvia Noè, che è una piccola imprenditrice e opera nel settore

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moda. Non ha conti così negativi, mi diceva ieri sera, ma la situazione èpreoccupante.

È stata anche al convegno di Mantova, dove è stata proposta di ag-gregare le imprese in difficoltà. Le chiedo una valutazione sullo stato at-tuale e se le proposte che sono emerse a Mantova possono essere per-corribili.

Silvia Noè

Grazie. Innanzi tutto voglio ringraziare gli organizzatori di questa bel-lissima iniziativa perché scegliermi come rappresentante del mondo del-le piccole e medie imprese, che conta in un popolo di più di 4 milioni, ladice lunga e quindi sono onorata di partecipare a questo convegno. Vi rin-grazio nuovamente.

Sono molto contenta di quanto è emerso ieri al convegno di Mantova,una sessione di Confindustria dedicata alla micro, alla piccola e media in-dustria perché, secondo me, in questo contesto sono emersi dei dati e,forse, lo scenario più corrispondente della realtà attuale.

Negli ultimi tempi si sono sentite affermazioni di stop della recessione,eventuali segnali di ripresa però, obiettivamente, forse c’è stato un se-gnale importante che la recessione si è fermata ma comunque siamo an-cora nel pieno della crisi.

Questo è emerso chiaramente nel dibattito di ieri e di ieri l’altro. Rin-grazio chi ha avuto il coraggio di ammetterlo con grande franchezza e,soprattutto, a fronte di questa eventuale crisi, proporsi al dibattito, allaquestione, con strumenti operativi.

Personalmente sono un’imprenditrice di terza generazione. Opero nelsettore della maglieria, un’impresa ultrafamiliare. Sono tre generazioniche riconfermano l’impostazione familiare che caratterizza la maggiorparte di questo tessuto imprenditoriale.

Una familiarità che rappresenta un punto di forza ma sicuramente haanche quella debolezza che spesso non ci porta a far sì che oggi il mes-saggio non è “piccolo è bello”, come era una volta.

Forse diventa ancora più bello se impariamo a condividere. Ecco per-ché questa condivisione ieri è emersa nel convegno di Mantova quandosi è cercato di far comprendere che, per superare questo grande periododi impasse, occorre trovare delle formule che consentano la collabora-zione di aziende che operano nello stesso settore per creare una rete,delle occasioni consortili per fare massa critica per affrontare il mercato.

Il contributo che vorrei portare a questa discussione (perché il tempo amia disposizione non è molto) e cercare pragmaticamente di dare a voiBanche di Credito Cooperativo, che siete un po’ il medico generico dellafinanza di tante aziende, soprattutto di tante piccole aziende - perché idati che emergono dal sistema bancario rivelano che è proprio il tessutobancario locale che oggi incrementa l’offerta dei prestiti di credito versoil mondo della piccola e media industria -.

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Questo dato, nei confronti dei cinque più grandi colossi bancari, inve-ce, rivela un dato in calo.

A voi che avete tanto a cuore il territorio che vi appartiene anche unconcetto mutualistico che riconduce a certi valori, come la famiglia, e for-se la sensibilità di comprendere la difficoltà che vive una piccola impresaad impostazione familiare, raccomando, se mi è consentito usando il ter-mine “raccomando”, alcuni accorgimenti: fare sempre più riferimento allastoria, più che ai numeri che ci identificano, al rating, a Basilea 2.

Cerchiamo tutti insieme, il più possibile, non solo come imprenditori,unitamente alle categorie, ma assieme a tutto il mondo bancario, di farcomprendere che Basilea 2 è sicuramente uno strumento importante maoggi è un grande limite per voi e per noi.

Spesso i numeri rischiano di sopraffare la nostra storia quando, forse,la storia, il coraggio, il cuore e la buona volontà di superare il momentodifficile rischiano di essere penalizzati dai numeri.

È molto importante che facciamo un gioco di squadra perché forse ungioco di squadra, associazioni e banche, per riparametrare, anche solotemporaneamente, Basilea 2, può portare a dei risultati importanti.

Credo anche che, mai come in questo momento, vista la delicatezzadella situazione, sia importante rafforzare patrimonialmente un nostro evostro sponsor: i consorzi fidi.

Mai come in questo momento il loro valore aggiunto ci dà forza e so-prattutto tranquillizza. Ho pensato anche a una proposta indecente, tan-to fra amici possiamo anche dircela. Non so se posso anticiparla, ma ie-ri, prima di osarla l’ho confrontata e l’ho testata con alcuni amici.

Il problema è individuare queste maledette risorse che non sono maidisponibili, non si riescono a trovare. L’IRAP un giorno è da calare e l’al-tro giorno, ahimè, no, non si può toccare.

È uno scenario dove è difficile orientarsi però un dato è certo: i Tre-monti bond non sono stati, da parte vostra, richiesti al sistema, probabil-mente perché erano uno strumento eccessivamente oneroso.

Moderatore

Intendeva come sistema bancario complessivo?

Silvia Noè

Come sistema bancario.Faccio una proposta indecente, che è quella di capire se effettivamen-

te quelle risorse che dovevano essere utilizzate per i Tremonti bond in re-altà non possano trovare un impiego alternativo, per esempio per patri-monializzare i consorzi fidi.

Mi rendo conto che ci sono dei parametri che dovrebbero essere cam-biati però vi posso anche dire – sono anche un amministratore regiona-le, sono consigliere regionale dell’Emilia Romagna – che sforzi di questotipo li abbiamo fatti in Regione quando, avendo dei fondi sociali europei

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destinati alla formazione, in realtà, in un particolare momento congiuntu-rale come questo sono stati destinati per creare degli ammortizzatori so-ciali, per finanziare cassa integrazione in deroga.

Io credo che mai come in questo momento quando, a fronte di even-tuali priorità, vengono individuati strumenti e questi strumenti non trova-no una corrispondente reazione da parte del mercato, sia necessario ri-tarare le risorse laddove la domanda chiama.

Moderatore

Le faccio una domanda che presuppone una risposta velocissima. Ta-glieranno realmente l’IRAP, secondo lei?

Silvia Noé

Posso dare una duplice risposta; nelle vesti di imprenditore e di politi-co.

Come imprenditore, per certi aspetti, lo auspico ma sono anche con-sapevole che l’IRAP è un’imposta finalizzata a reperire le risorse che de-vono poi concorrere alla copertura della spesa sanitaria.

Quindi ricordiamo che se l’IRAP viene abolita ce la ritroveremo sottoaltre spoglie.

Quello che chiedo, come imprenditore, è che ci sia una rimodulazionenelle modalità di calcolo perché anche se, ad oggi, abbiamo ottenuto unosconto nella misura del 10%, di fondo questa è un’imposta che penaliz-za chi produce occupazione, chi favorisce occupazione, chi investe.

Perché quando, ai fini della determinazione della base imponibile IRAP,non mi è consentita la deducibilità del costo del lavoro, è logico che que-sta è un’imposta che non va nella direzione di chi favorisce occupazionee benessere.

Quindi rimoduliamola nel rispetto di questo, politicamente.In un’epoca di spot, ieri sembrava possibile. Oggi mi sembra di capire

che siano stati dati degli stop all’idea di prendere in considerazionel’IRAP.

So che anche da parte della mia confederazione c’è stata la proposta,che suggerisce di provare a iniziare a ridurla.

Io mi auguro che, intanto, si parta dal presupposto di applicarla se-condo un principio logico e quindi compatibilmente con chi, nell’impresa,favorisce occupazione e quindi sviluppo e benessere.

Moderatore

Prima, nel suo intervento, Marino evocava una sorta di contrapposizio-ne fra la repubblica internazionale del denaro, credo evocando il male, e,dall’altra parte, la politica che la potrebbe contrastare.

Ci ricordava però ieri mons. Spreafico, in un intervento davvero bello eintenso, che il dramma attuale dell’Italia è la mancanza di visione. E c’è

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infatti da domandarsi quale visione ha avuto la politica italiana. Siamo ilterzo debito pubblico del mondo ma non siamo la terza economia delmondo. Abbiamo un sistema pensionistico che nel 1980 è riuscito a par-torire le baby pensioni. Mi domando quale visione abbia avuto quel si-stema politico.

Abbiamo un sistema pensionistico in cui i giovani, bisogna dirglielo,non avranno una pensione, e non si capisce perché i giovani non vada-no in piazza, per questo, per le pensioni, perché gliele stiamo sottraendodi tasca.

Servirebbe una visione politica, non serve una politica qualsiasi dacontrapporre all’internazionale del denaro. Siamo, addirittura, al minuet-to, siamo alla battuta sull’Irap, siamo arrivati persino a che Tremonti fal’apologia del posto fisso. E se Tremonti va a “sinistra”, Franceschini, purdi contrapporglisi, va a destra: “Ma quale posto fisso? Serve la merito-crazia”. Allora effettivamente non capisce più assolutamente nulla.

Se questa è la politica che siamo riusciti ad esprimere, è facile capirecome la repubblica internazionale del denaro possa avere avuto vita fa-cile.

Volevo chiedere a Stefano Ferrari, un imprenditore del settore edile fer-rarese: può la politica, intesa in senso buono in questo caso, avviare unaserie di decisioni incentivanti, magari sul fronte delle opere pubbliche,che possono servire in questo momento a tamponare la falla nel settoreedile, che sta soffrendo una crisi che non ha precedenti?

Stefano Ferrari

L’esortazione alla politica, intesa in senso buono dopo quello che si èdetto, è un pochino complessa da percepire, in questo momento.

Comunque diciamo che senza politica non avremmo strade, nonavremmo indirizzi, per cui abbiamo bisogno di riquadrare tutto il sistema.

Chiudendo questa parentesi, credo che, per quello che riguarda il so-stegno ad uno dei settori fortemente trainanti dell’economia (almeno lo èstato in questi ultimi 10-15 anni), che è quello dell’edilizia, abbiamo biso-gno assolutamente di percepire regole nuove, riformulare le condizioniper cui le imprese possano trovare condizioni di lavoro e di applicabilitàdelle loro forze.

È finita l’epoca degli investimenti immobiliari, - i dati li vediamo tutti, sia-mo in calo anche se non repentino rispetto ad altri paesi – si sono co-struite e si costruiranno sempre meno abitazioni, per cui l’orientamentodelle imprese, in modo particolare, si deve spostare sul pubblico.

Abbiamo bisogno di riguardare profondamente la legislazione, rispettoal pubblico, perché queste imprese, che hanno acquisito professionalitàe capacità per stare sul mercato e stanno lavorando adesso rispetto a te-mi innovativi (risparmio energetico, antisismico e altre attività che credosiano futuribili), si trovano dedicate quasi completamente a livello com-merciale su un’attività che li rivolge verso il mercato pubblico.

Capite che rivolgendosi in massa al mercato pubblico si creano delle

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grosse difficoltà perché l’impresa professionalizzata che lavora con qua-lità si trova ad avere a che fare con concorrenti, o concorrenze, numero-sissime che, comunque, per il concetto di qualità, siamo ben lontani dal-la vera qualità che il consumatore finale, sia una pubblica amministrazio-ne che in generale, deve percepire.

Allora subentra un problema di mercato. C’è molta offerta, c’è una scar-sa qualità, c’è, forse, poca coscienza anche da parte di un certo numero diimprese nate nei momenti in cui andava bene qualsiasi cosa perché sia ilpubblico che il privato potevano dare, soprattutto il privato, soddisfazione.

Quindi con tanta concorrenza il gioco è al massacro, nel senso che co-munque affrontare il pubblico può essere interessante, può essere stra-tegico, però, credetemi, è molto difficile che un’impresa possa avere ilgiusto ricavo per il suo sostentamento.

Oggi nel nostro settore, lavorando con il pubblico, abbiamo delle mar-ginalità – mi metto anch’io, perché è un settore che seguo dall’82, vadosia sul pubblico che sul privato – che ci consentono a mala pena di chiu-dere i nostri bilanci diciamo in pareggio perché la crisi ci impone di direpareggio.

Voi capite la forte difficoltà.Qui il legislatore deve intervenire e bisogna che il governo dell’Emilia

Romagna si doti finalmente della legge regionale sugli appalti, come han-no fatto in altre regioni, vedi il Trentino, il Veneto, che sono regioni estre-mamente protezioniste.

È chiaro che tutto questo lo dobbiamo fare nell’ambito che ci è con-sentito dalla legge, però lo possiamo fare. Non vedo perché altre regionihanno fatto di questo un vessillo di mantenimento di un volano di econo-mia presso le proprie imprese del territorio.

Abbiamo bisogno di una legislazione regionale. Abbiamo bisogno di ri-guardare la legislazione nel suo intero.

Abbiamo bisogno di creare quei percorsi di merito che le imprese cheesprimono la vera qualità possano adire alle gare d’appalto in un modoassolutamente garantista. Non è più possibile, credetemi, continuare inquesto modo.

Abbiamo anche un’esigenza molto importante, che è quella, finalmen-te e velocissimamente, di liberarci del patto di stabilità.

Le imprese non possono fare da banca alle istituzioni, alle amministra-zioni. Non è possibile.

Pensate che oggi lavoriamo e incassiamo l’anno dopo. Questo è il pa-radosso. E con i margini che vi ho detto, credetemi i margini non ci sonoper le imprese, pensate voi quante attività di credito vi stiamo chiedendoe vi chiederemo (sconti di contratto, factoring e tutto quello che ne va).

Però tutte queste gabelle, tutti questi interessi, non credo sia giustoche le debbano pagare le imprese che vogliono rimanere sul mercato as-sieme a noi.

Quindi il patto di stabilità credo sia un mostro. Se fino a due anni fa di-cevo, anche pubblicamente, che per noi il più grosso problema era la bu-rocrazia, lo è ancora ma sicuramente ha scalato di posizione.

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Quindi patto di stabilità, garanzie sul lavoro e ci mettiamo per terza an-che la burocrazia.

Anche questa uccide le imprese, soprattutto le piccole imprese, chenon hanno nei loro portafogli e nei loro budget previsionali la possibilitàdi spesare più di tanto questi costi generali che veramente fanno girareun imprenditore dieci giorni su un mese in un ufficio pubblico.

Moderatore

Le faccio una seconda domanda velocissima, a proposito di politica edi visioni della politica, per restare a quello che ci diceva prima Ferrari.

Per rimanere al tema dell’edilizia e del territorio, l’Emilia Romagna in15 anni ha edificato un territorio pari all’intera provincia di Ravenna. Eraterreno agricolo ed è diventato territorio industriale, territorio commercia-le e territorio abitativo.

Le domando se sia possibile continuare ad un ritmo simile di cementi-ficazione del territorio o se non sia invece il caso di cominciare a pensa-re di ricostruire l’esistenze, di riqualificare quello che abbiamo perché, secontinuiamo così, ci “mangiamo” la regione un po’ troppo rapidamente.

Quale può essere la prospettiva delle imprese edili in una situazione incui non credo ci sia più il bisogno di nuove case? Bisogna dircelo, non c’èpiù bisogno di case. In Emilia Romagna ci sono 55.000 case nuove nonvendute. Questa è la verità.

Bisogna che i muratori continuino a lavorare però mi domando che hasenso fare case che non verranno vendute. Ha senso che la Regioni co-struisca altri 3.000 appartamenti di edilizia sociale, per cui non ha i soldiprobabilmente, lasciando sul mercato ancora questa quota?

Sta venendo meno anche il fenomeno immigrazione per cui gli immi-grati compravano case che gli italiani dismettevano e gli italiani compra-vano case migliori.

Le chiedo quali possono essere le prospettive reali dell’industria dellecostruzioni, tenendo conto anche di una visione un po’ più ampia del bi-sogno di infrastrutture?

Stefano Ferrari

Sicuramente, come dicevo anche prima, la sua osservazione calza apennello. Noi oggi abbiamo ormai l’80% di costruito sull’abitativo. Il pro-duttivo sappiamo in che difficoltà versa per cui dei capannoni, tanto peressere espliciti, se ne stanno facendo sempre meno.

Considerando anche che per il produttivo le tecnologie avanzano. Tuttigli anni di ricerca e innovazione hanno dato dei frutti e quindi minori di-mensioni, più servizio, più tecnologia per l’innovazione di processo e diprodotto.

Coglievo la richiesta che lei mi faceva. So che da qualche in anno inRegione – poi magari Silvia Noè potrebbe anche intervenire al riguardo,

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a conforto e a conferma – si sta ponendo fortemente il tema della riqua-lificazione degli ambienti urbani.

Alcune città hanno dato già una risposta forte, vedi Reggio Emilia. ConBologna forse siamo ancora molto indietro.

Questo perché abbiamo a che fare fortemente, rispondendo alla do-manda, con i temi relativi all’ambiente.

Cioè le immissioni di CO2 in atmosfera ci impongono fortemente di adi-re a tutte le nuove tecnologie possibili per l’abbattimento dell’impatto. Quisi parla dell’edilizia nel suo complesso, dalla ristrutturazione, dai sistemia cappotto nel recupero dei patrimoni edili esistenti, i quartieri degli anni’60 e ’70, all’edilizia convenzionata e quindi anche agli impianti per la mi-nore immissione di CO2, il risparmio energetico, le forme energetiche al-ternative.

A fronte di questo credo che la Regione, nell’ambito della discussione– sappiamo che in Emilia Romagna a marzo siamo elettivi per cui vedia-mo - credo sia patrimonio e bene comune anche da chi dovrà gestirequesto.

Il patrimonio immobiliare antico e la ristrutturazione impegnerà sicura-mente molto le aziende.

L’altra cosa sono le infrastrutture. Quando parliamo di Cispadana auto-stradale, la prima autostrada regionale, con il sistema del project finan-cing in modo particolare, è una nuova frontiera che si rivolge anche agliistituti di credito in maniera molto particolare

Per quello che riguarda le infrastrutture, col sistema di project finan-cing, la Cispadana, il passante nord di Bologna, abbiamo delle opportu-nità molto interessanti; alcuni sistemi di geotermia, le energie alternative,c’è tutto il tema delle infrastrutture che io credo sia molto importante per-ché poi sappiamo benissimo che quando ci infiliamo in tangenziale a Bo-logna abbiamo milioni di euro tutti i giorni che vengono persi in ore di at-tesa.

Le infrastrutture determineranno sicuramente una spinta per lo svilup-po e l’applicazione delle attività edili a trasformazione su questo settoresarà molto importante.

Moderatore

Grazie a Stefano Ferrari. Veniamo ora alle banche. La Bcc RavennateImolese è una delle due più grandi dell’Emilia Romagna. La dirige EdoMiserocchi a cui chiedo se è preoccupato per i suoi affidamenti in que-sto momento.

Edo Miserocchi

Certo. Sì, sono preoccupato. È da molto tempo che faccio questo me-stiere, questo fenomeno congiunturale è sicuramente il più grave degli ul-timi 50 anni, con ripercussioni dirette e indirette, su tutta l’economia lo-cale.

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Fra l’altro la nostra Regione, che fino al 2007 era, relativamente, in po-sizioni di forza rispetto al resto del sistema nazionale, nella seconda par-te del 2008 e dall’inizio del 2009 sta soffrendo in maniera significativa.

Sta soffrendo soprattutto sul lato delle esportazioni e sta soffrendo il fe-nomeno di trascinamento della crisi dall’ambito internazionale e dallegrandi imprese verso le piccole imprese e dentro le filiere, verso coloroche alle filiere danno il loro lavoro, le loro competenze, il loro know-how(che sono i tanti nostri piccoli imprenditori).

Il pessimismo non serve a risolvere il problema: anzi occorre indivi-duare quali sono gli elementi su cui puntare e – ricordo un titolo de Il So-le 24 Ore di Fortis del 9 ottobre – quali sono le condizioni nelle quali pos-siamo sperare di ricominciare a sorridere.

Fra questi elementi vorrei focalizzare un tema importante: quello dellerisorse.

Il nostro Paese ha visto una crescita del PIL nei dodici anni tra il 1995e il 2007 di poco inferiore al 20%, meno del 2% l’anno, però la ricchezzanetta delle famiglie italiane nello stesso periodo è aumentata del 47%.Quindi una cifra sorprendentemente più elevata.

Sono dati confermati da Banca d’Italia nella rilevazione delle attività in-vestite dalle famiglie, dedotto l’indebitamento – che nel nostro Paese è in-feriore a quello rilevato nel resto d’Europa.

Quindi in Italia ci sono riserve di risorse migliori che in altri Paesi d’Eu-ropa. Fra queste risorse raccomando di non dimenticare il risparmio per-ché è la materia prima su cui noi dobbiamo lavorare come banca localeed a cui attingono poi gli imprenditori per il credito.

Circa gli elementi di possibile riflessione sui modi per uscire dalla crisiè che sicuramente non può essere la finanza il motore principale su cuipuntare.

Per uscire dalla crisi una finanza che sia riformata dalle sue malefatte,come ha detto stamattina il presidente Marino, può essere uno strumen-to di supporto fondamentale ma non può essere il pilota che porta fuori ilsistema dalla crisi.

Non possono essere, nemmeno, i consumi finanziati a debito a darestabilità a un’economia in recessione come questa, una recessione cosìprofonda.

Gli stimoli ai consumi (ad esempio le “rottamazioni”) servono per af-frontare fenomeni congiunturali di più breve respiro e periodo.

Non può essere certamente trainante il settore delle costruzioni – neabbiamo appena parlato – gravato da un problema di iperofferta moltoserio: problema che si potrà ridurre soltanto se e quando l’economia rea-le tornerà a produrre reddito, occupazione e stabilità.

Invece bisogna scegliere di concentrare le risorse su alcuni settori del-l’economia reale. Ne cito tre: il settore primario, con l’agro-industria, ener-gia e ambiente; il settore manifatturiero, ad alta specializzazione dei ma-teriali e internazionalizzazione dei prodotti; il settore istruzione per dareun futuro alle competenze dei nostri giovani.

Mi sembrano questi i tre punti su cui lavorare.

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Vengo ai miei interlocutori e al segmento delle piccole imprese. In que-sta fase incontro quotidianamente molti soci, molti operatori, che sonoanche imprenditori, che mi ripetono le cose che ha detto la signora Noè,oppure il signor Ferrari prima, che rappresentano una serie di difficoltàfra le quali quelle procurate anche dal problema di trascinamento dellecriticità finanziarie delle grandi banche e, dall’altra parte, dei grandi grup-pi industriali: nel momento in cui le nubi nere della recessione hannooscurato l’orizzonte a metà 2008, costoro hanno reso molto più selettivele condizioni del mercato sia bancario che commerciale (pagamenti allafiliera, i fornitori e modalità di consegna).

L’altro giorno ho visitato l’impresa di un nostro socio e cliente ed ho tro-vato dei macchinari pronti e ordinati da tempo che un grande gruppo te-desco tardava a ritirare, avendo deciso delle politiche di dilazione degliimpegni presi nel tempo.

Le piccole imprese soffrono quindi su due lati: il lato del credito e il la-to della filiera industriale.

Io credo che, come rapporto fra le BCC e i nostri imprenditori – chespesso sono anche dei soci –, per superare l’handicap che c’è nel rap-porto banche e imprese, dobbiamo fare un ragionamento chiaro guar-dandoci negli occhi.

Il ragionamento è di rinnovare il contenuto della relazione banca e im-presa, banca e piccola impresa soprattutto, che è quella critica, perché lacultura delle relazioni banca e impresa, anche nella nostra Regione (cheè fra le più avanzate del Paese), è molto arcaica, ed è influenzata da unaconcorrenza per anni incentrata solo sul tema del tasso – concorrenzafra banche – e poco sul giudizio sulla qualità del servizio complessivo cheuna banca riesce a rendere a un imprenditore.

Su questo lato del bilancio metto anche i problemi che io, come banca,trovo nella relazione con i miei imprenditori: li voglio dire con molta tra-sparenza

Le piccole imprese hanno bilanci che di solito non dicono niente per-ché sono esigui come informazione sullo stato di salute dell’impresastessa.

Hanno progetti di investimento che a volte appaiono come una serie dibuone intenzioni ma non sempre sono vagliati a fondo i rischi di medioperiodo di un piano di investimento.

Hanno flussi finanziari – e non è colpa loro – fortemente condizionatidai loro clienti. Se i clienti sono buoni e pagano bene, tutto bene. Se no,saltano.

La valutazione della solidità e del giro di affari di una piccola impresaè spesso complessa e onerosa per una banca e non tutte le banche so-no allenate a ciò. Probabilmente nemmeno tutte le BCC e nemmeno lamia BCC è esente da difetti: abbiamo cercato di fare dei passi avanti, pe-rò la vecchia teoria del localismo e della vicinanza col cliente, che gene-ra sicuramente una simmetria informativa di segno positivo, è ancora va-lida ma non è esaustiva in questa fase, in una realtà globale caratteriz-zata da una grande numero di transazioni, da un numero elevato di con-

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tatti, che non garantiscono la sedimentazione a la storicizzazione neces-saria per documentare i fatti e i comportamenti.

Certo, ha ragione la signora Noè: la storia di un’azienda, di un impren-ditore è importante, però uno degli effetti della globalizzazione è anche ladifficoltà di ricostruirla bene.

Io proporrei uno sforzo insieme per fare un salto culturale nei rapportibilaterale BCC-imprese su tre argomenti, che cito brevemente, rivolti amigliorare lo scambio delle informazioni.

La BCC ha una sua arma che, secondo me, deve usare, e qui mi ri-volgo ai colleghi delle BCC, per utilizzarli in una chiave strategica mag-giore.

È una sua arma perché è nella tradizione genetica, nel suo DNA: es-sere una banca trasparente.

Probabilmente la vecchia normativa della trasparenza ci aveva un po’indotto a percorsi troppo complessi perché era fatta più di comunicazio-ne e di carte che non di contenuti reali.

Oggi i cambiamenti che anche l’organo di vigilanza ci spinge a fare cidevono indurre alla opportunità di valutare la scelta strategica e di gioca-re la trasparenza verso l’imprenditore come merce di scambio per otte-nere, però, informazioni molto più dettagliate su suoi progetti e un ap-proccio consulenziale nel rapporto socio/cliente.

Questa è la prima proposta: essa è finalizzata al secondo aspetto,quello di valutare i dati fondamentali. Non sono un tifoso di Basilea 2 inquanto tale, perché gli indici indicatori a volte storicizzano delle situazio-ni che poi, messe a confronto col futuro, con i dati di prospettiva, posso-no anche risultare fuorvianti.

Tuttavia, dovendo noi giudicare sulla capacità di rimborso di un’impre-sa, alcuni elementi dobbiamo averli, soprattutto in un contesto di con-giuntura economica sfavorevole, con una forte oscillazione dei fatturati.

Dobbiamo saper giudicare sulla stabilità finanziaria di un’impresa per-ché diventano decisive la storia e la struttura dell’impresa ma anche lasua capacità di attingere, in momenti di forte criticità sui fatturati, ad even-tuali risorse o riserve, ad esempio, di liquidità.

Il terzo aspetto, nelle relazioni reciproche con le imprese, è quello dichiamare i problemi col loro vero nome: evitiamo di confonderci le ideecon tematiche non affrontate propriamente.

Evitiamo di confondere i debiti verso le banche, ad esempio, con i de-biti di funzionamento.

La confusione deriva spesso dall’assimilazione fra loro di fatti di ge-stione di origine diversa. La crescita dei debiti verso le banche, seppurerappresenta una fonte degli investimenti delle imprese, ha un significatoben diverso rispetto a quello attribuibile ad un corretto utilizzo, ad esem-pio, del credito di fornitura che è riconducibile ad una normale e fisiologi-ca attività di gestione.

Fare confusione su questo punto significa eludere l’esame della natu-ra del fabbisogno creditizio, nascondendo a volte le vere ragioni del me-desimo (magari dietro agli aumenti di circolante netto o di fatturato) per-

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ché, se facciamo eccezione per l’anticipo delle fatture commerciali, l’au-mento di fatturato non necessariamente determina la necessità di au-mento di credito. Anzi, in teoria dovrebbe essere l’opposto.

Infine la misurazione dell’autofinanziamento è un problema su cui dob-biamo ragionare con gli stessi principi per arrivare a conclusioni comuni.

Concludo dicendo che i soci delle nostre BCC, che sono imprese chesi mettono insieme a noi per ricercare migliori condizioni di accesso almercato del credito, hanno tutta la convenienza a cercare un dialogo e unconfronto a 360 gradi su tutte le condizioni ma anche sulla loro realtà diazienda.

Discutere insieme non solo il bisogno di credito ma anche le strategieche ci stanno sotto.

Su questo potremmo mettere in campo anche altre risorse, oltre quel-le della BCC: però mi fermo qui.

Moderatore

Grazie a Edo Miserocchi. Con Cattolica Assicurazioni il mondo delleBCC ha realizzato già un importante accordo e ne realizzerà altri. Chie-do a Paolo Bedoni, che è presidente di Cattolica Assicurazioni, qual èstato l’humus in cui si è creata la premessa di questo accordo sul setto-re vita, a cui probabilmente ne seguiranno altri, in altri settori. E quali so-no le prospettive di collaborazione col sistema bancario in questo mo-mento di crisi, cercando di capire come le assicurazioni sono investite daquesto ciclone.

Paolo Bedoni

Prima di tutto, un ringraziamento per l’invito ad un convegno così im-portante in cui si sono affrontati problemi che sono “comuni” e “contigui”al mondo delle assicurazioni. Specialmente a quelli di una compagnia –l’unica in Italia tra i grandi gruppi – che ha una struttura cooperativa.

Il titolo del convegno “Valori antichi, banca moderna” ben si adatta ainostri rapporti. Potremmo declinarlo così:

“Valori antichi, radici comuni, collaborazione proficua da sempre, par-tnership moderna”.

Cattolica nasce nello stesso periodo che ha caratterizzato la nascitadelle BCC o del Credito Cooperativo. Nasce con lo stesso spirito, cioè as-sicurare i piccoli agricoltori contro i danni della grandine e dell’incendio.

Negli anni si trasforma e diventa una compagnia che gestisce tutti i ra-mi danni, per arrivare agli anni ’90 leader nella bancassicurazione.

Per quale motivo si è cercato questo rapporto con Iccrea? Si tratta difare qualcosa di nuovo, fondato sulle radici comuni, fare una vera e pro-pria partnership.

Con il nostro accordo, noi tracciamo un percorso innovativo all’internodi uno scenario consolidato e tradizionale.

Lo scenario è quello “originale ed originario” di un modello cooperativo

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che è al servizio del territorio di cui è diretta espressione e che ha finali-tà sociali dichiarate. Quindi anche “etica d’impresa”.

Questa è la forza originaria del modello cooperativo, una forza che si èun po’ sbiadita nel tempo a causa di un eccesso di politicizzazione. Unapoliticizzazione, dettata dal clima della guerra fredda, che ha rischiato difarle perdere identità e competitività. Conosciamo le ragioni di questa in-voluzione che ha toccato gran parte delle forze sociali, e danneggiato –in varia misura – la loro credibilità e la loro autonomia.

Alla debolezza e alla scarsa autonomia delle forze sociali si deve cer-tamente la difficoltà che si è registrata nel costruire in Italia una concer-tazione di tipo istituzionale (che non è né di destra né di sinistra ma chedovrebbe essere fisiologica in un sistema politico e sociale complesso).

Non mi voglio soffermare più di tanto su questo punto, ma io credo cheil movimento cooperativo avrebbe un grande ruolo all’interno di una con-certazione istituzionale.

Però mi viene bene dire questo: anche Cattolica, proprio perché Cat-tolica, pur essendo l’unica compagnia cooperativa di assicurazioni, è en-trata in borsa e ha rischiato, come tante realtà, di perdere la propria iden-tità e addirittura il proprio nome.

Quante banche in questi anni, per una crescita spasmodica, quasiegoista da un punto di vista umano, hanno fatto un percorso mettendo indiscussione la propria identità e la propria storia?

In pratica ci stavamo snaturando e perdendo valore. Se andiamo apensare a quanto ricchezza è stata bruciata nell’acquistare sportelli a va-lori oggi assurdi, quanta ricchezza è stata bruciata nel creare, attraversouna finanziarizzazione esasperata, non una giusta internazionalizzazio-ne delle imprese, non una giusta crescita che, partendo dal territorio,man mano si allarga, ma quelle semplificazioni che poi, di fatto, rischia-no di fare male all’impresa, alle persone, ai cittadini .

Su questo noi ci siamo opposti con forza e siamo partiti dalla crisi chestavamo vivendo ancora nel 2006.

Abbiamo riprogettato la necessità di puntare sui fondamentali, sulla tra-sparenza, sulla solidità patrimoniale, su un corretto e giusto rapporto conil cittadino, con i consumatori e con l’impresa, con la fortuna di avere del-le basi fondative solide come quelle valoriali, tornando a fare il nostro me-stiere, perché anche noi non stavamo più facendo gli assicuratori.

E’ fin troppo ovvio, dal nostro punto di vista, sottolineare come il lega-me con il territorio e con l’economia reale sia la grande forza del model-lo cooperativo. Una forza di cui si è capita la consistenza nel momento incui è esplosa la grave crisi finanziaria internazionale. Quando si è capitoche la finanziarizzazione aveva trasformato la globalizzazione in un mo-stro incontenibile ed ingovernabile.

Il rischio ora è che si pensi, che per risolvere i problemi, sia sufficienteriavvolgere la pellicola dopo aver eliminato le pratiche criminose e crimi-nali della cosiddetta finanza creativa, che in realtà era una finanza di-struttiva.

Anche noi, a nostro modo (direi con la nostra prudenza) stavamo an-

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dando dietro a quel modello ed abbiamo fatto appena in tempo a non es-serne travolti. La crescita per la crescita, un distacco progressivo dal ter-ritorio, allentamento delle forme di responsabilità sociale dell’impresa, equindi della sua ragion d’essere (che, soprattutto quando parliamo di mo-dello cooperativo, è fondativa dell’etica d’impresa).

E’ in questa chiave che va oggi riconsiderato il modello di partnershipche va sotto il nome di bancassicurazione. Cattolica ha svolto un ruoloquasi pioneristico in questo ambito e certamente a questo modello deveuna parte importante della sua crescita nell’ultimo decennio. Anche e so-prattutto perché ha costruito rapporti con banche di diretta espressionedel territorio. Con l’accordo che abbiamo fatto, tra Cattolica ed Iccrea, noilavoriamo nel solco di una tradizione fruttuosa e al tempo stesso diamouna risposta innovativa alla crisi.

Innovativa perché? Perché non opereremo secondo una logica di de-leghe ma appunto in una logica di presenza contestuale e coordinata sulterritorio. E in una visione che io immagino pienamente integrativa a so-stegno del processo di sviluppo, quando parliamo di imprese, e di “wel-fare state” quando parliamo di persone e di famiglie.

La nostra è un’alleanza di ferro, con grandi potenzialità e prospettive.Un’alleanza che deve saper leggere le esigenze delle economie locali efornire risposte integrate e convergenti. Dando valore aggiunto laddoveinvece il sistema bancario e quello assicurativo vengono letti negativa-mente dall’impresa e dalle persone.

Ci vuole una filosofia nuova, un nuovo modo di porsi verso il mercato,con prodotti davvero innovativi. E noi abbiamo sempre un test formidabi-le da mettere in atto: quello che riguarda i prodotti forniti ai nostri soci. Noicome Cattolica abbiamo scelto con decisione questa che è la stradamaestra. I soci che sono i nostri primi clienti e i clienti che possono e deb-bono diventare nostri soci.

Se scegliamo questa strada come la strada maestra le altre forme disviluppo e di crescita – prima di tutto quella fondamentale della reteagenziale, per quanto ci riguarda – sono facilitate e sostenute. Si posso-no perfettamente integrare quando la cultura d’impresa è chiara e di-chiarata.

Moderatore

Grazie a Paolo Bedoni. Ora vorrei sapere da Augusto Dell’Erba, che èpresidente di Iccrea Banca, cosa possa fare in questa fase di passaggioIccrea come polmone finanziario del sistema e come possa aiutarlo adevolvere e a reggere il momento di difficoltà.

Augusto DellʼErba

Iccrea, come avete sentito da quanto ha detto Roberto Mazzotti, fa par-te di quelle società di gruppo che sono andate via via ristrutturandosi e an-cora andranno avanti verso questo processo di ristrutturazione.

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Il disegno che è venuto compiendosi è di affidare sempre più a Iccreaun ruolo, come lei diceva, di polmone finanziario del gruppo perché, seesiste una finanza cattiva, della quale tutti parlano male, esiste una fi-nanza non buona ma necessaria.

Il nostro sistema, parcellizzato tra tante banche, ha bisogno di un sog-getto che operi sul piano finanziario in modo serio, affidabile, qualificatoe, magari, indovinando anche le scelte che via via sono necessarie du-rante lo svolgimento delle complesse attività di mercato.

Vorrei ricordare che Iccrea Banca - lo dico, ovviamente, a beneficio diquanti non conoscono compiutamente il nostro articolato sistema im-prenditoriale, associativo e industriale - è una sorta di parte alta di ungrande gruppo bancario, cioè la parte della direzione generale e finan-ziaria di un grande gruppo bancario.

Questa crisi, prima finanziaria e poi economica, in particolare da set-tembre 2008, ha prodotto una serie di guasti notevolissimi. Pensate co-me grandi soggetti, grandi intermediari bancari, abbiano perso grande-mente del loro valore di quotazione in borsa, della loro capitalizzazionein borsa.

L’hanno persa, si dice, in modo irreversibile. Cioè chi ha comprato leazioni a certe quote, ragionevolmente non le rivedrà mai più.

Questo colpo è stato forte - si dice in Italia meno che all’estero, ma an-che in Italia è stato cospicuo - e ha generato la necessità di fare degli in-terventi sulla patrimonializzazione delle banche.

La patrimonializzazione è avvenuta mediante il ricorso, in fasi di ur-genza, ai soci istituzionali ma è avvenuta anche per il tramite dei Tremontibond, che prima la Dott.ssa Noè richiamava.

I Tremonti bond altro non sono che un “aiuto di stato” ma ci si dimenti-ca di dire che, innanzi tutto, le altre banche (visto che siamo in un conte-sto domestico è bene distinguerci) hanno avuto dallo Stato, cioè dal Go-verno, un aiuto politico prima ancora che economico.

Potremmo discutere se i Tremonti bond siano economici, vantaggiosi omeno - fa parte di un dibattito che può compiersi - ma soprattutto le ban-che hanno avuto un grande beneficio politico dal Governo.

Quando c’è stata la grande crisi, è stata promulgata una legge, tuttoravigente, che ha detto: lo Stato paga tutto.

Questa legge è stata senza un reale contenuto giuridico perché è unalegge alla quale non sono seguiti dei provvedimenti concretamente at-tuativi, cioè il reale stanziamento dei fondi e le modalità di accesso a que-sti fondi.

Sapete bene come certe leggi hanno un contenuto giuridico quandotrovano attuazione effettiva e concreta. Altre leggi, prive di questo conte-nuto, hanno valore di enunciazione politica.

Nel momento di crisi, quando alla televisione vedevamo le file dei ri-sparmiatori che, con un effetto Mary Poppins, si rivolgevano frettolosa-mente agli sportelli delle banche per riscuotere i loro risparmi di indoleprevidenziale, il Governo italiano viene fuori con questa dichiarazione.

Questa dichiarazione ha consentito al sistema bancario altro di portare

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sul mercato, nella specie, nel gennaio 2009, una serie di prodotti finanziari(anche banalissime operazioni pronti contro termine o, come più finemen-te vengono chiamati, dei “repo”), a condizioni di mercato non competitiveper il nostro sistema perché noi (sia noi Iccrea Banca che le singole Ban-che di Credito Cooperativo che hanno nel patrimonio la possibilità di far-lo), collochiamo i pronti contro termine a condizioni di mercato.

Certe istituzioni creditizie, a corto di liquidità, sono corse a fare opera-zioni a breve sul mercato a condizioni assolutamente non competitive.

Chi fa il direttore di BCC si è trovato a gennaio con importanti istituzio-ni creditizie che offrivano - dobbiamo fare dei numeri - il 4% sui pronticontro termine.

Se nelle nostre banche avessimo offerto il 4% sui pronti contro termi-ne avremmo compiuto un’operazione antieconomica.

Questa operazione sarebbe stata per noi antieconomica perché nonavevamo la necessità di rincorrere, a quel prezzo, quella liquidità in unafase di panico.

In un contesto così complesso - e gli esempi potrebbero continuare -Iccrea Banca e Iccrea Holding con la quale la collaborazione è insisten-te e qualificata, non ha avuto bisogno di nessun intervento.

Cioè il patrimonio del nostro sistema bancario, sotto le sue varie con-figurazioni (che sono appunto Holding e le altre banche, da Iccrea Ban-ca, che è il soggetto tipico, ad Agrileasing), non ha avuto bisogno di ri-correre a interventi di ripatrimonializzazione, o mediante sottoscrizione dicapitale diretto, o mediante l’introduzione di strumenti di ingegneria fi-nanziaria, come sono i Tremonti bond, o altre forme di subordinati, ibridi,e tutto quello che ci si può inventare di volta in volta, perché il nostro si-stema, da questo punto di vista, è uscito in modo assolutamente sano.

Questo è un dato non da poco perché anche noi avremmo potuto ce-dere alla sirena della finanziarizzazione dal facile guadagno per rimpin-guare nei momenti favorevoli i nostri bilanci, accrescere la distribuzione,premiare le banche e rendere più appetibile la relazione.

Ma noi siamo stati coerenti al mandato dato dal nostro contesto di ri-ferimento, che è un contesto di riferimento di economia reale.

Quindi la finanza che è stata sviluppata in Iccrea è stata una finanza alservizio dell’attività delle BCC.

Se abbiamo fatto derivati, abbiamo fatto derivati per favorire l’importa-zione o l’esportazione delle merci. Se abbiamo fatto swap con Lehman(con la quale abbiamo preso un colpetto) l’abbiamo fatto per fare coper-tura sui tassi; e quando i tassi si sono volti a nostro favore, noi Iccrea liabbiamo pagati per il convenuto alle nostre banche, e Lehman non le hapagate a noi. Va sottolineato questo ruolo della struttura centrale comemomento di cuscinetto e di ammortizzazione, rispetto all’oceano della fi-nanza, perché quando voi ci sottoscrivete una protezione, state sotto-scrivendo molti covered warrant, sottoscrivete questi prodotti, avete co-me interlocutore Iccrea (per Iccrea voglio dire il sistema, non Iccrea Ban-ca). È chiaro che Iccrea Banca è solo uno strumento che assume un ri-schio, e voi avete come controparte il sistema, poi il sistema va nel-

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l’oceano mare a cercare a sua volta la copertura di questi prodotti.Quando si verifica il sinistro, che mai nessuno aveva pensato si potes-

se verificare, soprattutto con interlocutori di questa qualità (come dicevail professore dell’Università di Bologna due giorni fa: “Il giorno prima Leh-man era considerato un soggetto primario, mica spazzatura”) il sistemadel credito cooperativo ha svolto una funzione di cuscinetto, di ammor-tizzatore finanziario, rispetto a questo tipo di relazioni.

Iccrea ha dimostrato di essere capace di navigare in questo mare. Èstata utile nei momenti di difficoltà e questa capacità di reggere il merca-to si è riverberata in concreto perché, ad un certo punto, siamo stati oc-cupati da masse di liquidità che evidentemente venivano distratte da altriintermediari bancari e affluivano nella tesoreria di Iccrea.

È chiaro che poi Iccrea non ha, a sua volta, un interlocutore più sicu-ro, migliore, più solido di quello che l’operatore diretto ha. A nostra voltaabbiamo il problema di dove e come collocare questa rischiosità, questaliquidità, che diventa importante.

Noi, come molti altri, l’abbiamo portata, quando c’è stata la bufera, inBCE, creando un disvalore significativo.

Voi avete continuato a percepire un tasso da interbancario. Noi siamoandati a portarlo in BCE con qualche minus ma poi la situazione si è rad-drizzata e questi volumi sono stati recuperati.

Ecco che cosa fa un intermediario finanziario di secondo livello. Altrecose potremmo fare, perché abbiamo la necessità di crescere ulterior-mente sul piano finanziario.

Cresceremo, la struttura si va specializzando perché le nostre societàdi gruppo hanno, a loro volta, bisogno di fare raccolta e dobbiamo ancheproteggere le banche su un problema istituzionale.

Le nostre banche sono, per sistema, per loro natura, raccoglitrici di de-naro a breve. Una BCC, al massimo, riesce a piazzare delle obbligazionia 5 anni, comunque in un mercato domestico, cioè alla famiglia che ha fi-ducia, vede il direttore Miserocchi e dice: “È una persona seria, la bancaè ben gestita e io gli do i soldi per 5 anni”.

Se provassimo a prendere quel pezzo di carta e portarlo fuori dalla co-noscenza di sistema, quel pezzo di carta avrebbe rendimenti evidente-mente diversi, avrebbe quotazioni diverse. Sarebbe difficile portarlo.

Iccrea aiuta le banche a fare questi percorsi con operazioni finanziarieda collocare sui mercati internazionali. E sempre più ne faremo. Abbiamoavuto dei rating favorevoli, ci siamo accreditati.

Via via faremo assistenza alle banche alla ricerca di questo capitalema non dimentichiamoci che teniamo vari CBO in corso di scadenza chedovranno essere rimborsati. Vediamo con quali operazioni li faremo.

A grandi linee questa è una parte della partita.

Moderatore

Grazie. Sento l’obbligo di un secondo giro però dovete garantirmi ri-sposte di un minuto altrimenti non ce la possiamo fare.

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Silvia Noè, diceva prima Miserocchi che i bilanci delle piccole aziendespesso non dicono niente. È così?

Silvia Noè

Lo dice lui.

Moderatore

Appunto. Per questo le chiedo conferma.

Silvia Noè

È logico che non sempre questi bilanci possono dare, in particolare inquesto momento, in particolare per il 2009, delle informazioni che pos-sano rassicurare sulle prospettive future, anche perché di fronte a unacrisi di questo genere, se vuoi provare a pensare di sopravvivere questavolta devi essere obbligato a ragionare in termini prospettici futuri.

Non sempre sono dei bilanci incoraggianti. Debbo anche dire però chesono sempre dei bilanci che, proprio perché partono da imprese di natu-ra familiare, hanno messo mano ai risparmi personali, ai risparmi delle fa-miglie. Una sorta di autofinanziamento nelle piccole realtà c’è semprestata.

Raccomando – e mi gestisco la domanda per conto mio – per onestàintellettuale dico questo: oggi è importante, come diceva prima il dott. Mi-serocchi, rinnovare il rapporto banche e imprese. E metteteci dentro an-che le istituzioni.

Lo dobbiamo rinnovare perché dobbiamo essere consapevoli che cidobbiamo dare tutti una mano, soprattutto per voi sistema del creditocooperativo perché ritengo che il vostro destino sia legato al territorio,quindi a quelle aziende a cui maggiormente oggi state dando delle ri-sposte.

Mi permetto di focalizzare dei consigli per gli acquisti, nel senso cheoggi sarebbe veramente auspicabile che, almeno da parte del vostro si-stema, ci sia una risposta positiva, a fronte della richiesta di un accordosulla moratoria dei 12 mesi, nella proroga della quota di capitale che, pe-raltro, mi risulta che qui avvenga già.

Ci sono comunque alcune imprese che lamentano questo, come èemerso a Mantova.

Alcune imprese lamentano che molte volte, da parte dell’istituto di cre-dito, vengano richieste alcune documentazioni, per non dire ulteriori ga-ranzie, come se si trattasse dell’apertura di una nuova posizione.

Questo non dovrebbe succedere. Così come mi sento di dire che ci so-no alcuni imprenditori che spesso, a fronte dell’esigenza di voler ottene-re una moratoria, non fanno questa richiesta perché hanno timore che larichiesta si traduca nell’ammissibilità di una situazione di difficoltà.

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Vi chiedo cortesemente di unirvi per ottenere una revisione, anche setemporanea, dei parametri di Basilea 2.

Vi chiedo anche di fare insieme agli altri una battaglia per patrimonia-lizzare il sistema dei consorzi fidi, attraverso una proposta provocatoriacome facevo prima ma - perché no? - non pensando eventualmente a de-stinare una quota parte dei depositi presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Questa è un’altra proposta che faccio. In ultimo voglio dirvi che, come Regione Emilia-Romagna, questa è

una Regione che fa. Forse per il 2009 poteva fare ancora di più, nel sen-so che per il 2009 non abbiamo dato segnali di sforzi ulteriori.

A sostegno del credito potrei dirvi che, rispetto ad un budget assegna-to all’Assessorato alle Attività Produttive, quota parte di quel budget, cheè uguale a quello dell’anno scorso, è stato distolto da politiche dell’inter-nazionalizzazione per dedicarlo al rafforzamento della tutela e le garan-zie del credito.

Però bisogna fare ancora di più. Un’informazione tecnica: martedì pros-simo la Regione Emilia-Romagna – lo dico perché prima il nostro mode-ratore ci sollecitava sulla questione relativa al tema casa – delibererà unpiano casa per le giovani coppie.

Senza entrare nel merito di come la nostra Regione intenda le giovanicoppie, proprio perché c’è bisogno di smaltire uno stock di invenduto no-tevolissimo, per giovani coppie ci sono tutti coloro che risiedono da più didue anni nello stesso posto, con una gamma che va dai coniugi, agli ami-ci, ai parenti conviventi.

Vorrei dirvi che c’è una proposta che prevedrà di assegnare alle cop-pie che non hanno più di 35 anni, che risiedono da più di due anni nellostesso posto, una soluzione agevolativa per vedersi aggiudicato un al-loggio, che avrà determinati requisiti.

Attenzione, qui potreste venire in campo voi perché la procedura av-verrà così: si riconoscerà un affitto calmierato per 4 anni, nella misura di400 euro al mese, per poi riconoscere a queste coppie l’opportunità diacquistare quell’alloggio ricevendo dalla Regione un contributo a fondoperduto di 10.000 o 13.000 euro, a seconda che l’alloggio abbia partico-lari requisiti energetici.

Questo può essere per voi un provvedimento da osservare, nel sensoche, ovviamente, essendo un provvedimento a sostegno dell’avvicina-mento alla casa per le giovani coppie, potrebbe richiedere un ulteriore so-stegno da parte del sistema creditizio.

È un’informazione che vi do, a cui vi prego di fare attenzione ma chie-do anche a voi tanto coraggio, così come stiamo cercando di averne noi,imprenditori.

Moderatore

Vorrei ora chiedere a Stefano Ferrari di toccare un tema che veloce-mente ha toccato anche Silvia Noè. E’ vero che le imprese si autofinan-ziano troppo poco?

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Stefano Ferrari

Questo è un po’ il tallone di Achille perché tutto passa attraverso la di-mensione e la debolezza del sistema della piccola impresa.

L’imprenditore ha bisogno di creare un percorso di acculturamento inquesta fase delicata dell’economia. Uno dei problemi è andare alla ricer-ca di sistemi di autofinanziamento.

Oggi il piccolo imprenditore non ha ancora - secondo il mio punto di vi-sta, la maggioranza degli imprenditori - questa capacità e questa dispo-nibilità.

È anche vero che noi operiamo in un campo – abbiamo operato alme-no fino ad agosto/settembre dello scorso anno – in cui la disponibilità de-gli istituti di credito è sempre stata larga e più che sufficiente.

Per cui è anche la capacità di fare dei budget e di progettare il propriocash flow. E qui bisogna andare a parlare di formazione dell’imprendito-re in un rinnovato sistema di accordo tra banche e imprese.

Moderatore

Miserocchi le imprese chiedono servizi e non sportelli. C’è una retebancaria ipertrofica, secondo lei, o la struttura che c’è va bene e comun-que bisogna fermare la crescita di sportelli, giunti a questo punto?

Edo Miserocchi

Sicuramente la nostra regione, nella crescita degli sportelli, ha rag-giunto un rapporto sportello/abitanti superiore a quello di molti altri terri-tori anche europei ad alta concentrazione di attività economiche.

Non credo occorra fermarla con una diversa normativa, che non misembra possibile, ma credo che il mercato si dovrà autoregolamentare ele banche dovranno fare questo, anche correggendo gli errori eventuali.La crescita degli sportelli ha aumentato la quantità dell’offerta bancaria,ma spesso ne ha peggiorato la qualità.

Il vero problema sarà, invece, che le imprese hanno bisogno di mag-giori servizi e maggiore qualità di consulenza; la signora Noè ci ha rac-contato che è venuta da un incontro dove si è parlato di processi di ag-gregazione, di associazione d’impresa e quant’altro: ci sarà perciò unamaggiore richiesta di credito in termini dimensionali.

Questo è un problema che interroga le BCC e anche le nostre banchedel Gruppo Bancario Iccrea, per le quali, dovrebbe essere messa a pun-to una proposta circa la necessità di procedere a una gestione integratadei rischi di credito sui clienti di elevato standing delle BCC, in particola-re sulle posizioni che approssimano il limite prudenziale del 10% del pa-trimonio di vigilanza: oltre il 7 % del proprio patrimonio la valutazione diun rischio di finanziamento da parte di una BCC dovrebbe essere svoltacongiuntamente col gruppo bancario nazionale.

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Moderatore

Bedoni, sono in arrivo nuove polizze per le aziende?

Paolo Bedoni

L’accordo che dobbiamo realizzare con BCC Danni, possiamo dire cheè tutta da costruire.

Mi rendo conto, da questo giro di tavolo, quanto le imprese stanno cer-cando molteplici soluzioni e le possono trovare nel rapporto con le ban-che e in misura minore con le compagnie di assicurazione.

Questo è vero fino ad un certo punto perché, se la mission di una com-pagnia di assicurazione come Cattolica è la cooperativa e il territorio,credo che anche noi, insieme alle BCC, possiamo realizzare un progettomolto positivo.

Abbiamo messo in campo un progetto con il quale avvicinare le asso-ciazioni di categoria (artigiani, commercianti e agricoltori) per assistere leimprese sul rischio d’impresa, che è uno degli aspetti fondamentali.

La banca viene percepita in maniera positiva rispetto alle compagnie diassicurazione, solitamente considerate come un costo per l’impresa esenza alcun beneficio.

Questo è un luogo comune da sfatare in quanto il modello assicurativopuò diventare, in sinergia con il sistema bancario, una buona opportuni-tà. Se l’impresa, ogni giorno, si apre in un mercato globalizzato e rischia- tocchiamo il tema delle contraffazione e della concorrenza sleale pen-so che l’assicurazione, su questi temi, possa giocare un ruolo di primopiano.

E penso che lo possa fare con chi sul territorio vive, con chi interpretaquel territorio, a fianco delle imprese e ha la fortuna di stare insieme conloro per un progetto comune.

Moderatore

Telegraficamente, Augusto Dell’Erba, si parlava ieri negli ultimi inter-venti della necessità complessiva per il sistema di ridurre i costi.

Iccrea Banca sta organizzandosi in questa direzione?

Augusto DellʼErba

Intensamente.

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GIORGIO COSTAGiornalista - Caposervizio“Il Sole 24 Ore - Centro Nord”

intervista

GIULIO MAGAGNIPresidente della Federazionedelle Banche di Credito Cooperativodell’Emilia Romagna

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Costa

Presidente, lei ha varie giacche. Ha la giacca dell’imprenditore, del pre-sidente di una banca e del presidente di una Federazione regionale, piùtutte le cariche che ne conseguono.

È preoccupato per la crisi economica, è ovvio. Vede qualche segnaledi uscita o la situazione non si sta radicalmente modificando?

Magagni

No. Dagli osservatori che abbiamo (l’ultimo in ordine di tempo, è statoil Comitato Esecutivo ABI, che è un buon osservatorio) la crisi, quella rea-le, quella sulle imprese, deve ancora venire probabilmente.

Noi stiamo uscendo, forse, da una crisi finanziaria se mantiene questilivelli ma, se pensiamo all’economia reale, questa deve ancora affronta-re la crisi.

Costa

Anche dal dibattito che abbiamo avuto prima è emersa la difficoltà del-le imprese e delle banche di parlarsi, di capirsi, di interpretarsi e di leg-gersi, probabilmente.

Di leggere anche i bilanci, di capirli fino in fondo, di capire quale sia unsistema di garanzie – perché non bisogna scordare che le banche dan-no i soldi a prestito ma li vogliono, giustamente, indietro – che possa va-lere oggi.

Il cosiddetto valore del capannone è un dato abbastanza aleatorio inquesto momento.

Le chiedo, però: è vero, dal suo punto di vista, che le banche hannochiuso i rubinetti, come spesso le imprese dicono?

Magagni

Le banche hanno chiuso i rubinetti, specialmente in questi ultimi mesi.Da settembre-ottobre dell’anno scorso le banche hanno chiuso i rubinetti.

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C’è stato un momento di mancanza di fiducia tra le banche stesse che hafatto sì che la liquidità circolante fosse quasi nulla. Questo è fuori dubbio.

Però ci sono aspetti che vanno rivisti. Sempre in Comitato Esecutivo ABIci è stata presentata la proposta, a livello internazionale, di rivedere i para-metri di Basilea, sia per quanto riguarda il capitale delle banche sia perquanto riguarda la valutazione, sia per gli assett.

È evidente che anche i sistemi contabili, lo diceva il presidente Nani nelsuo intervento, effettivamente vanno a penalizzare ulteriormente le ban-che.

C’è quindi una volontà dei vari board di rivedere questi ambiti. Questipotrebbero poi aiutare a fare credito alle imprese.

È evidente che le grandi banche e, soprattutto, i grandi istituti – e nonperché giochiamo in casa - si sono allontanati moltissimo in questi annidal territorio abbandonando l’economia vera.

Si facevano utili molto più facili e con meno difficoltà.

Costa

Lei aveva previsto questo miglior andamento del sistema del piccolocredito rispetto alle difficoltà che investono attualmente i grandi istitutibancari?

Magagni

Noi abbiamo sempre fatto il nostro lavoro. Io penso che il credito coo-perativo, da 130 anni, fa sempre il suo lavoro, cioè raccoglie e investe.L’abbiamo detto, è nella sua natura.

Noi abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Anzi, molte volte abbiamooccupato spazi che altri hanno lasciato liberi.

La cosa che ci dobbiamo chiedere, come credito cooperativo, è se sia-mo in grado di mantenere questa nostra capacità anche perché i creditia rischio saranno tanti (l’abbiamo visto nella relazione che ha fatto pro-fessor Lusignani) e abbiamo certamente un percorso complesso da ge-stire.

Come diceva prima Bedoni per Cattolica, è emerso che abbiamo an-cora degli spazi enormi sull’ambito dei risparmi dei costi.

Silvia Noè diceva che a Mantova è emerso che le piccole imprese han-no bisogno di fare una rete: noi abbiamo una rete e ancora non la sap-piamo valorizzare nel modo giusto.

Il nostro modello può essere copiato dalla piccola e media impresa. Larete serve per creare economie e sgravare tutte le imprese dalle attivitàche non sono core business dell’impresa.

La rete deve iniziare a fare questo.Noi abbiamo, come credito cooperativo, almeno un 30-35% di margine

che può essere recuperato sui costi.

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Costa

In quali settori in particolare lei interverrebbe nell’attività bancaria com-plessivamente intesa?

Magagni

Su tutti i costi gestionali. Spendiamo circa in un anno un miliardo e 200milioni di costi gestionali. Il 30-35% su un miliardo e 200 milioni è una ci-fra assai rilevante.

C’è l’informatica, c’è la centrale di acquisti. Faccio un esempio concre-to e positivo.

Abbiamo una società, che si chiama CISCRA, che fa tipografia, stam-pa assegni e carte valori.

Unicredit fa qualche milione di assegni con noi, a costi inferiori ai no-stri perché sui nostri assegni mettiamo di tutto, mettiamo, la torre, il cam-panile.

Abbiamo delle nostalgie assurde. Spendiamo milioni all’anno per valo-rizzare il marchio BCC, spendiamo 7-8 milioni di pubblicità all’anno e poiandiamo a mettere il campanilino.

Noi abbiamo 430 banche e, molte volte, anche per filiale abbiamo as-segni diversi.

Compriamo il computer? Ognuno compra il suo. Noi compreremo, for-se, in un anno sui 10.000 pezzi.

Con questi volumi possiamo andare a fare contratti diretti con i mag-giori fornitori.

Costa

La Federazione si può pensare che abbia anche qualche potere co-gente nei confronti delle banche o devo solo limitarsi a invitarle a com-portarsi in un certo modo?

Penso al campanile sull’assegno...

Magagni

Oggi, se vuole, la BCC fa il campanile sull’assegno.Abbiamo visto in questi ultimi mesi delle cose che hanno dell’incredi-

bile.Di fronte a tante e complesse disposizioni normative, abbiamo bisogno

di creare una classe dirigente informata e competente, consapevole di ri-schiosità e responsabilità. Noi abbiamo bisogno di regole.

Viene di conseguenza che la Federazione deve avere il potere di in-tervenire perché il sistema, altrimenti, rischia la stabilità.

Solamente attraverso un percorso importante di regolamentazione riu-sciremo infatti a mettere in piedi una struttura stabile.

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Costa Lei chiede un intervento strutturale. Per esempio certi requisiti per la

nomina a Presidente.

Magagni

Abbiamo i requisiti di professionalità e onorabilità.

Costa Bastano?

Magagni

Ci sta dentro tutto. L’onorabilità … tutti siamo onorati. Dal punto di vistadella professionalità, qual è la professionalità? Allora un minimo di rego-le vanno codificate.

Sto guardando il direttore Quadrelli: ore e ore spese per aiutare alcunia uscire da percorsi complessi.

Il presidente di una BCC deve avere un percorso di esperienza, deveaver fatto almeno due mandati in un consiglio. Perché, altrimenti i rischisono palesi.

La partecipazione ai convegni, ai corsi, alla formazione, diventa diun’importanza assoluta.

Costa

Secondo lei le banche sono disponibili a cedere questa quota di auto-nomia che le porta, appunto, a eleggere presidenti, lei dice, di specchia-ta onorabilità ma non all’altezza delle competenze tecniche?

Magagni

Se veramente mettiamo in piedi quel percorso, come stiamo facendo -perché a breve verrà presentata l’istanza in Banca d’Italia della valida-zione del sistema delle garanzie istituzionali – se andiamo in quella dire-zione, tutte le BCC dovranno entrare nell’ottica di adattarsi a delle rego-le. Le regole non saranno solo quelle, saranno anche regole comporta-mentali, relative allo stare insieme.

Noi abbiamo un gruppo bancario che lavora per le banche, che devechiedere, come di recente, quando è a corto di capitale una ricapitaliz-zazione.

Penso che occorra che le banche utilizzino sempre più questo gruppobancario e che siano vicine al sistema.

È necessario che ci sia una forma di adesione più cogente dal puntodi vista del rispetto delle regole.

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Costa

Il tema delle fusioni resta un tema importante. In una decina di anni, mipare, il numero delle BCC è dimezzato, sono diventate 22, erano 44 e po-trebbero esserci in vista altre aggregazioni.

La prima domanda è: ci sono effettivamente in vista altre aggregazio-ni, che lei vede realizzabili a breve in Emilia Romagna?

Magagni

In questo momento no. Almeno, sul tavolo non c’è nulla.Io non ho nulla contro le fusioni, però devono essere determinate da

scelte strategiche per migliorare e rendere efficiente il servizio sui terri-tori di comune operatività.

Costa

L’ostacolo alla fusione è ancora il campanile, cioè la torricella sull’as-segno?

Magagni

È il campanile, sono i posti in consiglio. Tanto siamo tutti grandi e vac-cinati. La fusione porta sempre a forti discussioni. Si può rompere una fu-sione per il nome da dare alla nuova banca o per la nuova sede.

Molte volte le fusioni crollano anche per queste cose, che sono co-munque legate alla nostra storia. Non ci deve meravigliare.

Penso che succeda in Emilia-Romagna come dappertutto in Italia.La nostra storia è quella del campanile, è quella degli assegni con la

torretta perché ci identifichiamo veramente, totalmente, col territorio.In momenti come questi, tuttavia, bisogna trovare la forza di andare ol-

tre, di vederci come sistema, non solo come atomo di un sistema.

Costa

Lei è reduce da un’esperienza importante di fusione; qual è stata lamaggiore difficoltà che ha dovuto superare in questo caso?

Magagni

Noi l’abbiamo fatta sulla base di un percorso strategico. Eravamo duebanche con competenza su Bologna, piccole per Bologna, separata-mente. Non avevamo nessuno sportello sovrapposto e una cultura omo-genea; da questo punto di vista, è stato tutto semplice.

La parte complessa è stata mettere insieme due strutture che da oltre

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200 e passa dipendenti ne hanno costruita 1 da 470, con conseguenterivisitazione di tutti i processi.

Devo ammettere, a un anno dalla fusione – e i consiglieri qui presentipossono confermarlo – che non ho rilevato la minima difficoltà di integra-zione e collaborazione per quanto riguarda il Consiglio di Amministrazione.

È stata ed è talmente condivisa la visione di far Banca di Credito Coo-perativo che non ci sono mai state difficoltà da questo punto di vista.

Più difficoltà ci sono state sulla struttura. Questo aspetto va gestito. La direzione sta facendo un buon lavoro in

questa direzione.

Costa

Torniamo ai conti delle banche. In questo momento lei teme più il calodegli utili o l’aumento delle sofferenze?

Magagni

L’aumento delle sofferenze perché poi hanno una diretta conseguenza.

Costa

Su questo fronte come si stanno muovendo nel sistema del creditocooperativo?

Magagni

Le sofferenze stanno crescendo notevolmente. È un problema che ci dobbiamo porre perché oggi diciamo tutti che sia-

mo il sistema più patrimonializzato. È vero, 18 miliardi di patrimonio no-stro e quindi con un coefficiente di solidità che è sempre stato vicino al12%. Ora è in leggera flessione.

Anche questo ci deve far riflettere perché ci sono banche adeguatamen-te patrimonializzate ma ci sono banche pericolosamente sottopatrimonia-lizzate. I 18 miliardi non sono omogeneamente distribuiti su tutte le BCC.

Costa

Anche su questo tema la Federazione potrebbe dare indicazioni dicomportamento, di atteggiamento, sulle singole banche?

Magagni

Per me sì, anzi lo stiamo già facendo, attraverso incontri e approfondi-menti.

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Lo studio di Prometeia non è fuori da questo percorso. Ma serve ancheuna forte consapevolezza che oggi la formazione è fondamentale.

Costa

È proprio della formazione che le volevo chiedere. Cosa state facendo,come Federazione? Cosa stanno facendo le singole banche per aumen-tare la formazione ai loro dipendenti?

Magagni

Come Federazione abbiamo investito tantissimo sulla formazione, sianell’ambito di formazione all’interno della Federazione, ma soprattuttonelle banche.

Per il sistema delle BCC dell’Emilia-Romagna credo sia stato uno deisettori più importanti e qualificanti, in particolare l’offerta formativa per gliamministratori. Oggi c’è bisogno di capire le complessità veramente no-tevoli (ad esempio tutto il settore relativo alll’antiriciclaggio, che a volteviene sottovalutato).

Oggi la formazione è il maggiore investimento che stiamo facendo.

Costa

A che punto è il Fondo di Garanzia Istituzionale? Se ne parla forse dal2005.

Magagni

Sì, se ne parla dal 2005. Il Fondo ha avuto un altalenare di vicende. IlFondo di Garanzia oggi ha chiuso il primo percorso, la prima fase, che èstata la stesura del regolamento e degli statuti e la messa a punto delmodello matematico che sta dietro alla gestione del rischio.

Probabilmente è un modello che ha ancora alcuni punti da vedere sualcuni parametri e alcuni ambiti; per questo si è deciso di chiedere unavalidazione alla Banca d’Italia.

Probabilmente sui pesi all’interno del modello per vedere i coefficientidi rischiosità qualcosa bisognerà andare a modificare.

Costa

Le Federazioni che ruolo avranno nell’applicazione di questo strumen-to?

Magagni

Le Federazioni avranno un ruolo fondamentale, ruolo che hanno giàoggi. Oggi le Federazioni sono un’articolazione del Fondo di Garanzia dei

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Depositanti sul territorio. Diventeranno i garanti, rispetto al Fondo, dellasolidità delle banche.

Quindi le Federazioni, a quel punto, dovranno avere quel potere di in-dirizzo sulla base di parametri oggettivi.

Chi esce dai parametri, tende a peggiorare i propri coefficienti di ri-schiosità e deve essere controllato.

Il Fondo non è stato creato per andare a coprire i default ma per evita-re i default; quindi agisce in maniera preventiva, non curativa.

Questo è fondamentale. Le Federazioni avranno questo compito.È evidente che non tutte le Federazioni saranno in grado, all’inizio, di

assolvere a questo compito perché ci sono Federazioni più strutturate ealtre meno strutturate.

Ci sarà bisogno anche di tutoraggio, di aiuti e di percorsi.Però la Federazione è fondamentale da questo punto di vista.

Costa

Il tema dell’informatica è sempre stato piuttosto caldo. Ci sono novitàper l’informatica di sistema?

Magagni

No, non mi risulta.Voglio dare alcuni numeri al fine di renderci conto di quanto perdiamo

come gruppo nel non avere un’informatica di sistema.I sistemi informatici oggi, grosso modo, sono quattro. Più i vari addetti

all’interno delle banche, e coinvolgono circa 1.500 dipendenti.Abbiamo 1.500 dipendenti addetti all’informatica (praticamente un altro

gruppo bancario) e spendiamo milioni di euro all’anno per avere sistemiche funzionano ma non sono il massimo di quello che si potrebbe avere.

Pensiamo solamente al Fondo di Garanzia Istituzionale e al suo im-patto su banche che hanno sistemi informatici diversi.

Costa Quanto ci vorrebbe per realizzare un sistema unificato per le banche?

Magagni

Nel 2005 si era approntato un progetto e ne erano stati valutati atten-tamente i costi. Probabilmente metterlo in piedi ora costerebbe quelloche si spende in un anno a gestire le attuali strutture.

Il vero problema è la gestione di tutto il personale che ruota intorno.Questo è l’aspetto più complesso.

Costa Cioè le 1.500 persone?

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Magagni

Le 1.500 persone. Ma dovremo arrivare a farlo, non abbiamo alterna-tive. Come gruppo bancario oggi abbiamo riaperto un tavolo di informati-ca per iniziare quel percorso creato nel 2005, partendo da una facilitymanagement di sistema per vedere di arrivare nel tempo, con gradualità,a unificare il sistema.

CostaÈ però vero che l’aumento di capitale del gruppo bancario è andato ol-

tre alle aspettative. Quindi per tanti segni “ognuno per la sua strada”, que-sto invece dà un’altra indicazione. Perché, secondo lei?

Magagni

Voglio leggere in questo il riconoscimento nell’attività che in questi an-ni è stata fatta. Lo diceva prima il direttore di Holding, in questi anni è sta-to fatto tanto lavoro.

Penso che le banche inizino a vedere che il sistema è l’unico modo perstare sul mercato, e da qui è derivata questa forte adesione.

Voglio cogliere l’occasione per ricordare che la Federazione Emilia Ro-magna è stata la più brava – passatemi il termine semplicistico -. Siamostati gli unici ad avere fatto quello che ci spettava come diritto di opzionee in più una parte di inoptato.

Questo fa capire che questa è una Federazione che ci tiene ed è le-gata a questo sistema. Sono veramente orgoglioso di essere presidentedi questa Federazione e ringrazio sinceramente tutti di questo.

Spero anche, col mio lavoro, di ricambiare la fiducia che le BCC mi dan-no riportando questa Federazione come punto di riferimento per l’intero si-stema del Credito Cooperativo. Questo è dimostrato anche della forte pre-senza di nostri uomini nei tavoli di lavoro in Federcasse. Se oggi non cifossero i nostri uomini in Federcasse, tante cose probabilmente non si fa-rebbero.

Siamo su tutti i consigli e portiamo i nostri contributi con una visioneaperta.

Costa Le faccio l’ultima domanda. Le banche di credito cooperativo sono ban-

che locali, difendono con i denti questo loro localismo.Ieri mons. Spreafico ha detto: “Sì, voi siete locali però c’è il mondo fuo-

ri di voi”.Come può essere accolto questo invito ad essere locali però ad aprir-

si contemporaneamente al mondo?

Magagni

Penso che noi ci siamo aperti al mondo. Stiamo facendo questo salto,

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anche perché siamo costretti. Anche l’impegno che stiamo mettendo al difuori (penso al nostro impegno in Ecuador e a tutta una serie di attivitàche stiamo facendo come sistema all’esterno) sia un buon segno di uncredito cooperativo che sta guardando anche all’esterno. Penso che ilCredito Cooperativo, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. È il moti-vo per cui sto qua. Perché ci credo.

Lo vedo con la mia esperienza in ABI. Molte volte si fa la parte del gril-lo parlante, un po’ la coscienza degli altri.

È fondamentale il ruolo. L’abbiamo in quella sede e l’abbiamo sul terri-torio, un ruolo di calmiere, cioè di banca che parla con la gente.

Questo forse è quel messaggio che anche ieri monsignor Spreafico ciha lasciato, cioè la visione e, soprattutto la coerenza.

Il credito cooperativo è forte anche per questo.

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Finito di stampare presso Ciscra S.p.A.

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