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2 IGNIS ARDENS S. Pio X e la sua terra Pubbl. Bimestrale n. 1 Anno CVI GENNAIO - FEBBRAIO 2011 Spedizione in abbonamento postale Gruppo IV Quota abbonamento annuo: Italia 25 sul c.c.p. n°13438312 Estero (via aerea) 40 Redazione - Amministrazione Via J. Monico, 1 31039 Riese Pio X (Treviso) Tel. 0423 483105 - Fax 0423 750177 Direttore Responsabile: Mons. Lucio Bonomo Direttore: Mons. Giorgio Piva Fotografie di: Silvano Zamprogna Autorizzazione del Tribunale di Treviso n° 106 del 10 maggio 1954 Tipolitografia “ERREPI” s.a.s. di Berno Elena & C. Via Castellana, 50 31039 Riese Pio X (TV) Tel. 0423 746276 - Fax 0423 746663 IGNIS ARDENS IGNIS ARDENS 57 Sommario Sommario LA MORTE DI PIO X PAG. 3 LA VITA DI GIUSEPPE SARTO PAG. 4 LA MULA BIANCA DEL PAPA DI BEPI MAFFIOLI PAG. 9 DON GIUSEPPE SARTO E LA CULTURA NEGLI ANNI DELLUNITÀ D’ITALIA PAG. 11 LA GIOIA DI UN SACERDOTE IN FAMIGLIA PAG. 13 LA MORTE DI BHATTI PAG. 14 UN INCONTRO...FUGACE, MA EFFICACE! PAG. 15 LA GIORNATA DEL CENTENARIO PAG. 17 LA CROCIFISSIONE DI PALMA IL GIOVANE PAG. 19 Cronaca parrocchiale CONSIGLIO PASTORALE PARROCCCHIALE PAG. 20 L’ULTIMO SALUTO DELLA COMUNITÀ DI SPINEDA A DON FERNANDO PARRINI PAG. 24 ELENCO DEI CRESIMATI IL 28 FEBBRAIO 2011 PAG. 25 In ricordo di... PAG. 26 Vita Parrocchiale PAG. 27

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IGNIS ARDENSS. Pio X e la sua terra

Pubbl. Bimestrale n. 1Anno CVI

GENNAIO - FEBBRAIO 2011

Spedizione in abbonamento postaleGruppo IV

Quota abbonamento annuo:Italia € 25

sul c.c.p. n°13438312Estero (via aerea) € 40

Redazione - AmministrazioneVia J. Monico, 1

31039 Riese Pio X (Treviso)Tel. 0423 483105 - Fax 0423 750177

Direttore Responsabile:Mons. Lucio Bonomo

Direttore:Mons. Giorgio Piva

Fotografie di:Silvano Zamprogna

Autorizzazione delTribunale di Treviso n° 106

del 10 maggio 1954

Tipolitografia “ERREPI” s.a.s.di Berno Elena & C.Via Castellana, 50

31039 Riese Pio X (TV)Tel. 0423 746276 - Fax 0423 746663

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SommarioSommarioLA MORTE DI PIO X PAG. 3

LA VITA DI GIUSEPPE SARTO PAG. 4

LA MULA BIANCA DEL PAPA DI BEPI MAFFIOLI PAG. 9

DON GIUSEPPE SARTO E LA CULTURANEGLI ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA PAG. 11

LA GIOIA DI UN SACERDOTE IN FAMIGLIA PAG. 13

LA MORTE DI BHATTI PAG. 14

UN INCONTRO...FUGACE, MA EFFICACE! PAG. 15

LA GIORNATA DEL CENTENARIO PAG. 17

LA CROCIFISSIONE DI PALMA IL GIOVANE PAG. 19

Cronaca parrocchiale

CONSIGLIO PASTORALE PARROCCCHIALE PAG. 20

L’ULTIMO SALUTO DELLA COMUNITÀ DI SPINEDAA DON FERNANDO PARRINI PAG. 24

ELENCO DEI CRESIMATI IL 28 FEBBRAIO 2011 PAG. 25

In ricordo di... PAG. 26

Vita Parrocchiale PAG. 27

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ROMA, 20 AGOSTO, ORE 1.40IN QUESTO MOMENTO SI ANNUNCI A

CHE S. S. PIO X È MORTOSTANOTTE ALLE ORE 1.35

In questi tragici giorni non giunge notizia chenon sia luttuosa. Mentre l’Europa si dilania e si insanguina in ungigantesco conflitto di razze, la morte che correle valli e i monti e tinge di rosso i fiumi e abbat-te le città, ha strappato via anche il vecchioPontefice dolente che sentiva da tante vocidiverse invocare a protettore e a santificatoredella battaglie il Dio della carità che egli avevaumilmente servito.Pare che il secolo si voglia tutto innovare, eaggiunga distruzione a distruzione, sicchénulla resti superstite di quanto diede l’impron-ta e il carattere al tempo che tramonta tra ibagliori sinistri della guerra.La notizia della morte del Pontefice, che avreb-be dovuto correr mesta le chiese solitarie eabbrunate, giungerà breve e secca nei campi,nelle trincee, sarà commentata attorno ai fascid’armi, tra il carreggio dei cannoni e delle sal-merie. Non verserà un pio pensiero di pace nel tumul-to immane. Aggiungerà solo una preoccupazio-ne di più alle preoccupazioni gravissime che

pesano sulla coscienza del mondo. Ecco ancoradell’ignoto, aggiunto al rischioso ignoto di chesono intessuti i nostri giorni. La guerra non penetrerà per vie oscure e tor-tuose entro la febbrile reclusione del Conclave?I cardinali che, per recarsi a Roma, si aprirannola via tra le selve di baionette che circondano i

CORRIERE DELLA SERA-GIOVEDÌ 20 AGOSTO 1014LA MORTE DI PIO X

1914-2014: CENTENARIO DELLA MORTE DI S. PIO XDa questo numero comincia una serie di articoli che riguardano la figura di San Pio X, specialmente della suamorte, avvenuta nel 1914, e di cui nel 2014 ricorre il centenario. Gli articoli sono tratti dai giornali dell’epoca (Corriere della Sera, La Vita del Popolo, L’Osservatore Romano,L’Avvenire d’Italia, Il Gazzettino, La Difesa…). Questi articoli denotano la freschezza delle informazioni, sonoimmediati, al di là del giudizio storico della sua vita. Infatti anche allora le tendenze socio-politiche dei varigiornali erano le più diverse. Comunque il giudizio su San Pio X è positivo.

Prima pagina del Corriere della Sera

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COME FU ASSUNTO ALLA TIARA

Il 20 luglio 1903 moriva Leone XIII dopo ven-ticinque anni e sei mesi di regno; questa lon-gevità aveva mano mano sconcertato le previ-sioni dei cronisti. Il Sacro Collegio d’anno inanno si modificava. Solo il CardinalRampolla, arbitro della diplomazia vaticana,spiccava con signoria fra i porporati: alcunidovevano a lui il cappello; il gruppo francesegli era devoto per la sua politica; il gruppospagnolo era disposto a favorirlo, per i buoniricordi lasciati durante la sua permanenzacome diplomatico in Spagna. Ma il Conclaveha le sue incognite.Il Patriarca di Venezia, quanto lasciò la pacedella sua Laguna per avviarsi a Roma, nondoveva certo pensare alla tiara. Allorché,salendo i gradini della stazione, vide raccoltauna gran folla di popolo che lo salutava, colsegreto accoramento che sboccia nell’ora dellepartenze, egli, commosso, aveva rivolto aisuoi veneziani poche parole di commiato; emostrando il biglietto valevole per un mese:

«A ben rivederci quanto prima -aveva sog-giunto.- Guardate, tengo il biglietto di ritorno;prima di un mese sarò tra voi». Quando il treno si mosse, echeggiò un applau-so formidabile, e si vide la destra del Patriarcaprotendersi e benedire Venezia, dove avevapassato nove anni di vita felice. Lo accompa-gnava il segretario mons. Bressan.Il 31 luglio, a sera, finiti i Novendiali di suf-fragio per il Pontefice morto, il principe Chigi,maresciallo del Conclave, chiuse l’uscio diclausura dal di fuori; il card. Orefice, decanodel sacro Collegio, lo chiuse dal di dentro: igrandi elettori, i conclavisti e tutto il persona-le, più di 300 persone, si trovarono così isolatidal mondo. I cardinali presenti erano sessan-tadue. Allo scrutinio del mattino del 1 agostoRampolla ebbe subito 24 voti, il Sarto 5 sol-tanto. Oltre a Rampolla erano ritenuti papabi-li il Gotti e Serafino Vannutelli. Allo scrutinioserale il Rampolla salì a 29, il Sarto guadagna-va cinque voti, portandosi a 10. Il due agosto,nella seduta mattutina, i voti del card.Rampolla si mantennero a 29, ma già sulnome del Sarto se ne raccoglievano 21.

loro paesi, non porteranno entro il petto crocia-to gli esasperati sentimenti della loro naziona-lità? Questo Monarca spirituale lascia apertauna successione irta di interessi terreni. Il Papareligioso scompare in un’ora che renderà forsenecessario un Papa politico. Pio X aveva molto sofferto in questi giorni delgrande dolore dei popoli. La morte lo liberòcerto da angosce peggiori. La sua mano nonsapeva ormai chi più benedire; la sua paternitànon poteva volger l’occhio che sull’odio deisuoi figli. C’è qualche cosa di tragico nello spe-gnersi così, di un uomo di pace, in mezzo atanto strepito di battaglie.Tutti i nostri pensieri ad esse. Ed ecco che il liverespiro di un morente ci fa volgere gli occhiverso il Vaticano che pareva raccolto in un suoimmobile silenzio. E per questo vegliardo che

sparisce, il Vaticano entra ora nella nostra lugu-bre attualità.C’è dunque una ragione di più per inchinarsipensosi davanti a questa morte.

Pio X sul letto di morte

LA VITA DI GIUSEPPE SARTO

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L’elezione del Segretario di Stato si rendevaprobabile. Quand’ecco, seduta stante, sorgereil card. Puzyna di Cracovia e avanzare innome dell’imperatore d’Austria il veto controil card. Rampolla del Tindaro. Fu un colpo discena. Il Rampolla fece una protesta dignitosa. Nello scrutinio serale la sua candidatura gua-dagnò ancora un voto, portandosi a 30. Ma ilSarto passava da 21 a 24. Il giorno dopo ilcard. Sarto passò a 27 voti, poi a 35; e final-mente lo scrutinio antimeridiano del quattroagosto (a due anni di distanza dalla salita aCima Grappa) diede al Saro voti 50, più deidue terzi necessari per l’elezione.Chi era a conoscenza delle tendenze e dei pro-positi del Sacro Collegio intese facilmente chela riuscita del card. Sarto non si doveva sol-tanto al veto dell’Austria. Infatti, i cardinali sierano trovati ad essere divisi in due gruppidistinti: i fautori del Rampolla, che si eranoaffermati subito con ventiquattro voti, e gli

altri che volevano una soluzione di continuitàcol papato precedente, di cui il card. Rampollaera stata la volontà preponderante. Quegli cherappresentava un tal principio era special-mente il card. Capecelatro di Capua. Era poiin generale sentito il desiderio di un pontifica-to a tinta più religiosa, che temperasse i meto-di prevalenti nel governo leonino. Ecco ciòche spingeva la fazione anti-rampollina; l’e-sclusiva di Vienna ebbe quindi un effetto par-ziale. Il Patriarca di Venezia, che era dei menoconosciuti e meno discussi fra i cardinali.Messo in valore nell’opinione di molti dalleistanze del card. Ferrari che lo stimava per lagrande bontà, eletto a grande maggioranza,pur renitente e sinceramente timoroso, finìper cedere, mettendosi in mano dellaProvvidenza. E il docile card. Puzyna, stordi-to dal gran rumore che il veto aveva destatonel mondo, doveva dire più tardi: «Ma perchémi si sono scritte e mi si scrivono lettere spia-centi se fui la causa per cui si è eletto un sìbuon Papa?».

LA CARRIERA ECCLESIASTICA

Pio X era nato a Riese (dioc. di Treviso) il 2giugno 1835, da buona famiglia popolana. Fatti gli studi elementari in paese, frequentòun collegio di Castelfranco, facendo ogni gior-no la via a piedi. Era per indole sua buono etranquillo, diligente nello studio con in fondoal cuore una nascosta vocazione al sacerdozio. Ma la famiglia Sarto era povera di fortuna; ederano otto i figli, due fratelli e sei sorelle; ilpadre Battista un povero impiegato alMunicipio, la madre una cucitrice di campa-gna. Perciò alla morte del padre, che avvennenel ’52, la famiglia rimase quasi priva dimezzi. Fu allora che i buoni uffici del curato diRiese fecero accettare il giovane GiuseppeSarto –aveva 17 anni- nel Seminario diPadova: erano i primi passi dell’alto cammi-no. Compiuti gli studi della preparazione,dopo avere avuto gli Ordini Minori Maggiori,

Pio X

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venne ordinato sacerdote il 18 settembre 1858,e mandato a Tombolo, in diocesi di Treviso(Padova), una borgata discreta; e ivi stettenove anni. «Don Beppi» vive ancora nel ricor-do di quei paesani, come uomo di miti costu-mi pastorali, di forze fisiche eccezionali e grangiocatore di bocce.Nel 1867 fu trasferito a Salzano in qualità diarciprete; anche qui nove anni di vista pasto-rale senza sussiego, intonata ad una sempli-cità di bene che non veniva mai meno dandoun esempio nobile di civismo cristiano.Ma qui anche finisce la sua carriera parroc-chiale; promosso canonico della cattedrale diTreviso, viene nominato nello stesso tempoinsegnante di teologia al seminario, ove restaaltri nove anni, sempre solerte e disinteressa-to nel suo ministero. Alla morte del vescovodeve poi reggere in sede vacante la diocesicome vicario capitolare; e l’anno appresso, nel1884, è nominato vescovo di Mantova.Come vescovo si adoperò a riordinare ladisciplina del Seminario e del clero, manife-stando le tendenze rigoriste che dovevanodistinguerlo nel papato. E fu vescovo ancoraper un periodo di nove anni.Il 12 giugno 1893 fu creato cardinalenell’Ordine dei preti; tre giorni dopo LeoneXIII gli conferì il patriarcato di Venezia.A Venezia recò le stesse abitudini di sempli-cità bonaria che non tardarono a renderlopopolare, perché erano l’espressione genuinadel suo spirito e si univano ad una perenneattività di ministero. Se qualcosa merita d’es-sere segnalato, di questo periodo della suacarriera, è la protezione ed il favore incondi-zionato che da lui ebbe la democrazia cristia-na economica, quella che ancor oggi è così dif-fusa nel Veneto colle Casse rurali. Questa cir-costanza merita rilievo, perché correvano allo-ra per i cattolici d’Italia anni di transizione: lavita politica li attirava, ma il non expedit lirespingeva; per cui essi si erano dedicati aiproblemi sociali, riassunti sotto il nome ed ilprogramma dell’Azione cattolica, la qualeaveva nel Veneto la sua cittadella e i suoimigliori rappresentanti: qui il Paganuzzi,

detto il papa laico, Mons. Cerutti, l’apostolodelle Casse rurali, i fratelli Scotton, monsigno-ri di asprissima intransigenza, e la stampa cat-tolica più intonata alle idee del PatriarcaSarto.Anche la politica del mondo clericale era incrisi; dell’astensione dalle urne erano stanchimoltissimi; qua e là spuntavano motivi diadattamento; la longevità di Papa Leoneimpediva al Vaticano di mutar rotta, ma nonpoteva impedire l’evoluzione del sentimentodei cattolici. Il Patriarca Sarto partecipò consincero e pubblico dolore al lutto d’Italia perla morte di Umberto, meritandosi la ricono-scenza della Regina Margherita; e poco di pois’era anche recato al palazzo reale di Veneziaa far visita ai nuovi Sovrani. Simili atti acqui-stavano a quel tempo un senso particolare edenotavano che il Patriarca Sarto non era perla politica dell’intransigenza assoluta.Volendo tentare il ritratto morale di lui, pasto-re della Laguna, si potrebbe fissarlo in questitratti caratteristici: religiosità vera e profonda;costume semplice, austero; rigido nella disci-plina chiesastica, bonario nel resto, perchénegato agli infingimenti della politica. La parrocchia era stata il suo campo d’azioneperfetto; mano mano che questo ingrandiva lafigura di lui poteva attenuarsi perché le suesemplici qualità nel mare magnum di una reg-gia, di una Corte, in mezzo alle gare, alle com-petizioni, alle mille furberie di quanti lo cir-condavano, non avevano modo di rifulgere diluce completa. Ma pure in questo mondocomplicato, l’uomo semplice avrebbe avuto -e volle averla- una missione da compiere.

INIZI DEL PONTIFICATOÈ vivo il ricordo della sua elezione. Il mitePatriarca di Venezia, non appena ebbe accetta-to l’altissimo ufficio di moderatore supremodella Chiesa, si sentì preso da una commozio-ne indicibile; e stringendosi il capo fra le maniesclamò: «Oh, mia cara mamma, mia buona

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mamma!». L’onda dei dolci ricordi risalivacon impeto dal cuore dell’umile garzonetto diRiese. Poi, quasi perduto in un sogno, lasciòche si svolgesse intorno a sé il vortice del ceri-moniale; i baldacchini si abbassarono, restan-do solo quello del nuovo Papa; e vennero lebianche pantofole, la sottana bianca la calottabianca, la stola rossa ricamata d’oro, il baciodei cardinali, l’omaggio dei conclavisti, la con-segna dell’anulus piscatoris, simbolo dellarinata giurisdizione. Il Papa pareva assorto inuna vaga vertigine spirituale. Frattanto ilcard. Macchi dalla loggia esterna dava l’an-nuncio solenne, accolto da un uragano diapplausi dalla folla stipata nel piazzale e pocodopo lo scampanio di tutte le chiese di Romasalutava la notizia gioconda. Ma ecco imme-diata la prima melanconica ombra politica.Dalla piazza di San Pietro salivano alte grida:fuori! fuori! Invocando la benedizione papaledalla loggia esterna. Sull’atto solenne, però,incombevano un precedente, quello di LeoneXIII, e l’interpretazione comune: benediredalla loggia esterna equivaleva ad un’accetta-zione dei fatti compiuti, alla conciliazione conl’Italia e il Quirinale. Pio X, non ancora padro-ne di sé stesso, si piegò ai suggerimenti delcard. Origlia e si lasciò condurre dove voleva-no. Così avvenne che la benedizione inaugu-rale fu data dalla loggia interna, guardantenella basilica. Ciò parve una sanzione dellapolitica tradizionale nei riguardi di Romacapitale. Rientrato in Vaticano, volle subitorecarsi ad abbracciare il card. Herrero, che gia-ceva malato nella cella; poi fece spedire untelegramma alle sorelle, un secondo al clero diVenezia, quasi saluto di rammarico alle inti-mità familiari ed alla dolce Laguna che nonavrebbe più riveduto.Si attendevano intanto i primi atti delPontefice per giudicare di Lui, e l’attesa eratanto più per questo; che il nuovo Papa rap-presentava sotto vari aspetti un’antitesi colPapa defunto. Leone XIII era di costumi ari-stocratici, d’ingegno alto, ornato di elegantecultura classica, di esigenze per natura e perconsuetudine diplomatiche; Pio X era figlio di

popolo, venuto dal nulla, ignaro di ogni astu-zia diplomatica, fornito di una cultura discre-ta, ma non cospicua. E abbiamo già visto comefosse stata intenzione dei cardinali di modifi-care appunto le direttive del papato sostituen-do ad un Pontefice di carriera gerarchica; unoche era stato prete, vicario, parroco, funziona-rio di curia, vescovo, patriarca, cardinale, ilquale pertanto doveva conoscere la realtàdelle esigenze religiose. Il 9 agosto fu l’incoro-nazione solenne. Il semplice uomo dovetteprestarsi a tutte le cerimonie grandiose,lasciarsi portare in sedia gestatoria, coi flabel-li orientali a fianco, lasciarsi applaudire, esal-tare in una continua apoteosi. Ma al di fuori diquesto cerimoniale, egli avrebbe reagitorichiamando intorno a sé, fin dove era possi-bile, un po’ della libertà e della quiete antica;e nelle consuetudini personali sarebbe rima-sto quello di prima, con la stessa bonomia, conla stessa semplicità pastorale, e sopra tuttocon la sua tenerezza fedelissima al dialettoveneto. Passati due mesi, tanto quanto basta-va al nuovo Pontefice per ritrovare sé stesso inquel mondo così diverso da lui, vide la luce ilprimo documento ufficiale, l’enciclica “Esupremi”, dove Pio X annunziò chiaramentequale sarebbe stato il suo programma. Il qualeera contenuto nella frase di San Paolo:“Instaurare omnia in Cristo”. Piacque a mol-tissimi quel linguaggio, che non era precisa-mente un elogio del predecessore; ma queipropositi di restauro generale a base religiosarispondevano ai desideri della maggioranza.I programmi, però, sono buoni o cattivi secon-do il modo di svilupparli; era quindi disomma importanza la scelta del Segretario diStato, quello che –nell’evoluzione recente delcattolicesimo- ha del papato la somma delpotere esecutivo. Che cosa abbia fatto Merrydel Val per ottenere le preferenze di Pio X nonè saputo. Non aveva quarant’anni; era diretto-re del Collegio dei Nobili; e nel Conclave erastato segretario. Ma non era cardinale. Tre mesi dopo l’incoronazione mons. Merrydel Val -con grande sorpresa del mondo uffi-ciale vaticanesco- era stato creato Segretario di

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Stato e nel Concistoro del 3 novembre sempredello stesso 1903 creato cardinale insieme amons. Callegari di Venezia. La ragione di questa straordinaria fortuna delgiovanissimo segretario è forse la seguente:che in lui c’era quello che mancava al Papa: laconoscenza delle lingue ed una certa espe-rienza diplomatica; oltre a ciò la giovinezzasua lo rendeva docile, alla mano; e Pio X, pres-so alla settantina, e tagliato giù alla buona,aveva subito, senza accorgersene. Lo charme sottile di quel giovane prelato cosìossequiente, così distinto nei modi, che sape-va i contrasti del mondo. Insieme uniti, sisarebbero integrati, tanto più che una vivacomunanza d’intendimenti li accomunava.

L’EREDITÀ DI LEONE XIIISotto il papato di Leone XIII la Chiesa diRoma aveva fatto progressi notevoli special-mente sul terreno diplomatico; non si puònegare che l’alta intelligenza, la cultura uma-nistica e la prodigiosa memoria di quelmagnifico vecchio, coronato della tiara, ave-vano cooperato ad elevare la stima ed i rap-porti del Vaticano con le Corti d’Europa. Mala troppa longevità aveva portato in seguitouna naturale stanchezza, quasi una senilitànormale di governo dalla quale sorgevanoproblemi nuovi.Se i rapporti diplomatici con le varie Cortierano buoni, il dissidio con la Francia nonaccennava a comporsi; la politica del card.Rampolla di accarezzare, di transigere con laRepubblica aveva fallito; il ralliement erastato un insuccesso. Chiesa e Stato in Francia si guardavano ostil-mente; più il Vaticano si rendeva conciliante epiù la Repubblica filava direttamente verso laseparazione. Questa era la passività maggioredel papato leonino.Altre passività si avevano nel bilanciocoll’Italia. La politica rampolliana, che erastata ligia fin troppo a Parigi, con il governo di

Roma aveva tenuto il broncio; e l’indice di talcontegno era il “non expedit” (non è lecito),che, pro forma almeno, vigeva sempre. Mauna grave questione interna agitava i cattolicid’Italia: la questione sociale. La democraziacristiana, cioè il nuovo indirizzo sociale deicattolici organizzati, aveva superato i vecchiripari dei Congressi cattolici, così chiusi, cosìtemporalisti. Il duce loro, il Paganuzzi, e glialtri capi del Veneto stavano per essere sopraf-fatti dagli uomini nuovi di tendenze democri-stiane. La difficoltà del momento stava in ciò:che Roma voleva tenere le redini dell’Azionecattolica, mettendola sotto la guida dei vesco-vi e dei parroci, mentre l’estrema sinistramirava ad emanciparsi da questa tutela gerar-chica. Altre difficoltà il nuovo Papa avrebbeincontrato ad ogni passo: la diminuzione del-l’obolo, la riforma dei Seminari, il problemabiblico, che già si agitava sotto Papa Leone, equell’assedio generale di modernità che simoveva da ogni campo di cultura intorno aiconfini dell’antica Chiesa. Uno dei primissimi atti papali fu la «costitu-zione» intorno al jus exclusione, al così dettoveto, che da alquanti secoli veniva esercitatodalle Corti di Vienna, Parigi, Madrid, Lisbona,e che da Roma veniva accettato o subìto. Che le Corti d’Europa tenessero all’esclusiva,è chiaro: il papato era una potenza morale edun regno tangibile. Pio X volle romperla con latradizione; l’atto, in data 20 gennaio 1904,impugna ai Sovrani la prerogativa, commi-nando la scomunica maggiore, riservata alfuturo Pontefice, contro i cardinali presenti efuturi che accettassero di farsi portatori inqualsiasi modo di qualunque ingerenza laicanel Conclave. Era un’ammonizione postumaal card. Puzyna, e un conforto al card.Rampolla; ma sopra tutto una misura che sicomprende. Dopo che il papato era stato libe-rato dal potere temporale, era certo che di talliberazione esso avrebbe prima o poi volutogodere nel suo monarcarto spirituale.Continua...

(a cura di Narciso Masaro)

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Ricorre quest’anno il 110° anniversario della salitadi San Pio X, allora Patriarca di Venezia, sulla Cimadel Monte Grappa il 4 Agosto 1901. Quale il motivo di quel viaggio? Papa Leone XIII,all’alba del nuovo secolo, il Novecento, voleva cheogni regione italiana consacrasse alla Madonna lacima di un monte di ciascuna regione. Per il Venetosi era pensato in un primo momento al MonteMatajur, che si trova in provincia di Udine, che inquel periodo storico facevaparte del Veneto. Ma ilCardinal Giuseppe Sarto,allora Patriarca di Venezia,diceva: “Nel Veneto questomonte è sconosciuto. Io, inve-ce, alla mattina, quando aprola finestra del Patriarcato,vedo stagliarsi all’orizzonte laCima del Monte Grappa,tanto caro ai Veneti”.Pertanto alla fine la sceltacadde su Cima Grappa.Doveva benedire il sacello, ilVescovo di Padova, apparte-nendo Crespano Veneto a talediocesi. Ma essendo malato, alla finetale viaggio lo compì ilPatriarca di Venezia, ancheperché era di casa a Crespanoperché vi aveva trascorsoperiodi di riposo, ospite del Conte Canal. Inoltredoveva premiare le allieve più meritevoli delCollegio.

“Le bestie creature di dio, hanno un posto con-siderevole nella vita dei Santi, si direbbe anziche i taumaturghi più popolari e simpaticiabbiano tutti o quasi, al loro seguito, un qual-che animale o animaletto, che occupa un ruolonon sempre solo simbolico, quale ad esempiol’aquila di S. Giovanni Evangelista o il bue perS. Luca. San Francesco detiene certo un primo

posto tra gli amici delle bestie; conversava conuccelli e pesci, seppe convincere alla mansuetu-dine il terribile lupo di Gubbio. Vien subitodopo quel sant’Antonio Abate che, protettoredi tutti gli animali in genere, ed in particolare diquelli domestici, viene abitudinalmente scorta-to da un roseo porcellino. Per salire a tempi piùmoderni, è noto il misterioso cane grigio di SanGiovanni Bosco. Di San Pio X°, si sapeva che

nell’istante stesso della SuaElezione, (sopra ad un col-legio retto dalle Rev.deSuore che seguivano conparticolare ansia il destinodel loro Grande Amico)uno stormo di rondinisembrò impazzire di gioianel cielo limpidissimo trala pianura ed il Grappa.Una delle fotografie piùnote del Cardinale Sarto èsenz’altro quella in cui Egliappare in groppa ad unamula bianca. Il Santo viappare ilare in volto, e conun fazzoletto annodatointorno al collo.In occasione del memora-bile ritorno delle Sue

Venerate Spoglie tra i Veneti,appunto questa mula bianca

è rientrata un poco nell’alone della gloria delsuo cavalcatore. E in fondo lo meritava, perchéquesta bestia ha una sua storia che val propriola pena che io vi racconti.Nel 1901 il Cardinale Sarto fu invitato sullacima del Monte Grappa a benedire un simula-cro della Madonna, espressione della grandedevozione e dell’amore della gente veneta perla Santa Madre di Dio. Quel simulacro, nell’ul-tima fase della grande guerra, gravemente feri-to, divenne poi il simbolo stesso del dolore edella speranza della patria tutta, e ricevettequell’appellativo di “Madonnina blù”, che gra-

LA MULA BIANCA DEL PAPA DI BEPI MAFFIOLI

Il Cardinale Sarto sulla mula bianca

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zie ad una delicata poesia di Renato Simoni,accoppiò pateticamente la devozione allaVergine e la venerazione per il Papa che ilpopolo aveva già decretato “Santo”) al patriot-tismo più acceso.Dunque il 3 di agosto, di buon mattino, ilCardinale Patriarca, da Borso, cavalcando sullamula bianca, aveva iniziato l’ascesa al monte.La mula, che s’era comportata benissimo, eraproprietà della famiglia Giacomelli, ed avevagià una sua notorietà nella zona, essendo spe-cializzata in faticose ed ardite ascensioni. Vaanzi detto che questa mula, in quel di Borsoall’inizio del secolo, era considerata come unica“vettura di lusso”, adatta al trasporto di perso-ne di rango, che poteva reggere in groppa otrainare in una decorosa “timonella”, un car-rozzino a due ruote. Di temperamento era piuttosto buona, matestarda quel tanto che richiedeva la circostan-za d’essere appunto una mula, ma una voltache le si era allacciato il basto ed aveva ricevu-to il carico, diventava buonissima, acquistavaquasi un senso di responsabilità.Il Parroco di Borso come aveva saputo che ilPatriarca necessitava di un mezzo di trasportoper salire sul Grappa non aveva avuto un atti-mo di esitazione, e si era rivolto ai Giacomelli.Questi commossi e fieri per la proposta, l’ave-vano giudicata un atto di stima, un onore.La mula fece un servizio stupendo, sia all’an-data che al ritorno. Il Cardinale le rivolgevamolto cordialmente la parola, ed essa obbediva,intendendo sin le sfumature di ogni esortazio-ne. Testimoni oculari asserivano come l’umilebestia trovasse in quel suo viaggio una grandedignità da destriero di purissimo sangue, cheunita ad una paziente saggezza, non si adom-brava per nulla alle manifestazioni di affetto,spesso anche rumorose ed irruenti, dei moltis-simi valligiani saliti sin lassù ad onorare il loroveneratissimo Patriarca.I Giacomelli si ebbero i ringraziamenti delCardinale, e la mula un pubblico elogio che neaccrebbe la considerazione in tutto il circonda-rio. Si guadagnò anzi, a voce di popolo, un tito-lo altamente onorifico: “Mula del Cardinale”.

Ma non basta. Trascorsero meno tre anni e salìal rango di “Mula del Papa”..Borso era orgoglioso di ospitare un animalecosì insigne, ma purtroppo, per questioni dieredità, i Giacomelli dovettero dividere la lorosostanza, e per non far torto a nessuno la mulafu venduta ad un membro della famigliaFontana, di Cassanego di Borso. E in casaFontana la mula invecchiò, sempre impegnatain duro lavoro, raggiungendo la rispettabilissi-ma età di trentacinque anni.Chi ci ha raccontato questa storia aveva noveanni quando il Patriarca Sarto salì sul Grappa eventidue quando il Santo Pontefice lasciò que-sto mondo. E questo “testimone” ci assicurache la mula visse sin dopo la grande guerra.Certo anche la mula bianca dovette morire, tut-tavia la sua morte avvenne in circostanze ecce-zionali, che sconfinano in un poetico clima dileggenda.Aveva perduto i denti, era dimagrita, avevaoramai raggiunto quello stato di pietosa debo-lezza che prelude la fine. Si sa qual’è la sorte deivecchi muli. Nel Veneto “proverbialmente” sidice che fanno viaggio verso Cencenighe, loca-lità, dove in altri tempi, pare esistesse una fab-brica di salumi che ovviamente non erano di“puro suino”.Ma nessuno dei Fontana aveva cuore di ucci-derla, o di affidarla a qualche sicario. Uno diessi, forse il più anziano, un bel mattino di pri-mavera, vedendo la mula un po’ più avvilitadel solito, e stimandola forse prossima alla fine,aprì la porta della stalla e la lasciò libera, cheuscisse nel “brolo”, che andasse a brucare l’er-ba novella nei pascoli, e che, se dovesse proprioesalare l’ultimo respiro, ciò avvenisse sotto ilcielo azzurro.La mula uscì dalla stalla, raccolse tutte le sueultime forze e salì nel pascolo più vicino, di làin quello più alto, sino ad incontrare una stra-dicciola…Quella che nel 1901 aveva percorso reggendo ilSanto Figlio di Riese… portava verso la cimadel Grappa, ancora sconvolta dalla recentissi-ma guerra. Qualcuno vide la mula bianca e cre-dette di capire. Nessuno pensò di fermarla.

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Non tornò più. Né si seppe dove fosse andata afinire. Un giorno un valligiano salì verso ipascoli alti per la fienagione, accompagnato daun suo figlioletto. Mentre il babbo falciava ilbimbo scese in un valloncello. Temendo che siavvicinasse ad un precipizio che era nei parag-gi il padre raggiunse la sua creatura per ripor-tarla in luogo più sicuro. Era ferma dinanzi aduna macchia di rododendri, più belli, più rossie più dorati di tutti gli altri intorno. Il bimbo si

volse verso il babbo, allungò la mano verso irododendri, poi con un tono di grande sicurez-za, disse: “Qui c’è la mula del Papa!”: i valligia-ni hanno creduto alle parole di quel bimbo ditre anni, e quando passano da quelle parti but-tano sempre un’occhiata al valloncello, dove,ad ogni primavera, i rododendri continuano asbocciare, bellissimi”.

(A cura di Narciso Masaro)

Uscito dal popolo, allevato col popolo, manda-to ad esercitare il suo ministerro sacerdotale inmezzo al popolo, a Tombolo, Don GiuseppeSarto divenne in brevepopolarissimo. Si metteva ,a quando a quando, anchein mezzo a piccoli crocchidi uomini e di giovanotti,parlava con loro, ne senti-va i discorsi, ne notava leaspirazioni, i bisogni.Un giorno, narra il corri-spondente dell’Avvenire,alcuni giovanotti e uominidiscorrevano dei loro affa-ri, e quasi tutti si lamenta-vano di non saper leggeree far di conto. A DonGiuseppe venne subitouna bella idea. Disse:“Amici, volete che fondia-mo una Scuola Serale?”. –“Magari, Don Giuseppe,”dissero quelli tutti in coro.E si fonda senz’altro lascuola. Gli iscritti sono molti, ma tra gli scolaric’era chi sapeva qualche cosa, chi poco, e chinull’affatto. – “Niente paura, dice DonGiuseppe: faremo varie sezioni”. E si fecerovarie sezioni. Ai maestri comunali furono affi-

dati quelli che sapevano qualche cosa; e glianalfabeti li tolse per sé Don Giuseppe. – “Ma,Don Giuseppe, disse una voce, perché si pren-

de gli analfabeti lei?”. –“Perché è la sezione piùfaticosa, disse DonGiuseppe, e taci”. “Ma checosa le daremo in compen-so?”, dissero quei giova-notti. “Una cosa sola,rispose Don Giuseppe; e semi concederete questa,sarò più che compensato.Non bestemmiate più”.Talvolta lo vedevi, comeSan Filippo Neri, in mezzoai fanciulli, partecipare ailoro giochi, intrattenerlicon episodi edificanti o conracconti piacevoli.Appassionato anche dimusica, istruì anche, ilmeglio che poté, parecchi

giovanotti ed uomini dellaparrocchia in questa nobile

arte. Ed è, in gran parte, merito suo, se pur oggia Tombolo, in luogo di quel canto vesperaleagrestamente snaturato, che s’ode nelle chiesedi molti villaggi, si sentono invece, sebbene, peril lungo lasso di tempo che vi corse sopra, un

DON GIUSEPPE SARTO E LA CULTURANEGLI ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA

Il Cappellano Giuseppe Sarto

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po’ alterati, dei buoni falsi bordoni a tre e aquattro voci. Negli anni che fu a Tombolo, DonGiuseppe, come se non avesse altre occupazio-ni, faceva anche scuola regolare ad alcuni gio-vanetti di quel paese e ad altri, che aspiravanoal sacerdozio. Ingegno versatile, insegnava lorotutte le discipline. Istruiti poi che erano, li man-dava nel Seminario di Treviso per sostenere gliesami ed essere quindi ammessi a queste scuo-le. Eccone infatti una prova lampante: è questauna lettera che egli scriveva da Tombolo il 22ottobre 1860, a don Pietro Jacuzzi, già cappella-no a Riese, allora rettore del Seminario diocesa-no: «È molto ch’io le sono debitore di lettere,ma oggi spero francamente d’avvantaggio,giacché ho per le mani un tale argomento, che,quantunque lungo, le recherà e sollievo econforto fra le tante sue cure. Come il solito, è ilpovero Beppe che ricorre al Santo quando habisogno di grazie; e mi giova il paragone, per-ché, mentre mi confesso da qual peccatoraccioch’io sono, spero di trovare il lei la bontà di chiperdona, e volentieri si presta. Eccomi dunqueall’argomento. I tre giovanetti, chierici o abati,come le piace chiamarli, che in mia compagnia,da circa un anno a questa parte, hanno studiatoun po’ di tutto, e nelle cui teste procurai di met-

ter tutto quello scibile, che conteneva la miapovera zucca o che ho trovato sui libri, mivanno sollevando perchè un pensiero mi pren-da di dimandare del tempo, in cui si farannoquesti benedetti esperimenti. Hanno studiatocon diligenza, ma principalmente l’italiano e illatino; hanno spiegato autori classici nell’uno enell’altro idioma; e tanto l’uno che l’altro hannofatto anche versi italiani e latini. Veramente suquest’ultimo non spiegano ancora gran genio,ma poetae nascuntur, né chi scrive, per dirverità a tutti nota, ha tanto di fantasia da tra-sfonderne parte in quelli che lo avvicinano. - Diceva che hanno fatto un po’ di tutto. Sì,Signore: qualche cosa di religione, di greco, dialgebra, che servirà ad iniziarli a studi più gravinelle scuole superiori, un po’ di storia…; - madelle materie fatte, quando si presenterannoagli esami, darò il quadro, perché possanoavere una regola gli esaminatori, e non me limandino in fiasco, ché allora sì vanno in aria iloro progressi, e va al vento il poco merito, chesi crede di avere il povero tirapiedi». Il Sartopoi non istruiva soltanto, ma educava i suoialunni alla bontà ed alla carità.

(A cura di Narciso Masaro)

Casa natale di Pio X agli inizi del ‘900

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Prima di comunicare l'intenzione di entrare inseminario, Matteo che era impegnato nellosport, ma anche con l'ACR; si era trovato laragazza e aveva un lavoro dove era apprezzato.Noi avevamo già visto una premessa per la for-mazione di una buona famiglia. Ad un certopunto chiedeva di lasciare il lavoro per fre-quentare l'università, un impegno che ha man-tenuto con buon profitto per 2 anni. Era ancheimpegnato in qualcosa (?), perché ogni tanto ciavvertiva che doveva andare ai campo-scuola(?), cosa che a noi sembrava un po' strana, maera impegnato all'ACR. Mai avremmo pensatoil percorso che stava intraprendendo, finchéuna domenica di agosto chiedeva di parlarciper dirci che voleva entrare in comunità.“Ma in che comunità vuoi entrare?” Intendevala comunità vocazionale, “il Seminario”:“Siamo caduti dalle nuvole!”. Come avevamo fatto a non accorgercene, cisembrava impossibile anche perché da giovanenon ha mai espresso il desiderio di fare il chie-richetto. Poi seguono le domande come, perché,ma non potresti terminare l'università; special-mente quelle della mamma che toccano più nelprofondo; una risposta molto complessa nellasua semplicità: “per quanto possa spiegarlo voinon potreste capire quello che io provo per que-sta decisione” Decisione certamente sofferta ma

ben ponderata visto dov'è arrivato.Sofferenza anche da parte nostra, l'unico figliomaschio che va in seminario..... e con la compli-cità (buona si intende) di Don Edoardo..... icampo-scuola ….. dopo avevamo capito cosaerano quando ci chiese di aiutare nella condu-zione della casetta sul Tomba a Villa Pio Marianei 2 giorni di ritiro della diaspora …..(è un riti-ro per giovani alla ricerca vocazionale) sembrache tutti i ragazzi che seguono questo percorsodicano la stessa cosa; ….. comunque noi abbia-mo accettato questa sua decisione.Nel frattempo qualcuno che aveva vissuto que-sta esperienza ci faceva notare che i figli nonsono nostri ma sono del Signore.Eh sì, una verità un po' difficile da accettare, maè così, questi sono i talenti che ci dà il Signore,noi dobbiamo cercare di farne buon uso finchénon viene a richiederceli. Penso che Matteoabbia apprezzato la nostra presenza, non esu-berante ma discreta, nel cammino che lo haaccompagnato verso il sacerdozio, che conl'aiuto del Signore avverrà il 21 maggio p. v. Una raccomandazione da genitori a Matteo.....che viva questa sua decisione nella certezza diDio, con dignità, perché ci sarà nel suo cammi-no chi lo farà sentire “piccolo” perciò sia al ser-vizio dei “piccoli” con la dignità e la certezzadell'aiuto di Gesù.

La gioia di un sacerdote in famiglia

Don Matteo Cecchetto con mamma, papà e sorelle

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La morte di BhattiIL MINISTRO INDIFESO NELPAKISTAN DEI FANATISMI

di Andrea Riccardi (Storico - Fondatore della Comunità di Sant’Egidio)

Nel turbolento Pakistan gli attentati non meraviglianopiù. Tuttavia l’assassinio del ministro per le minoranze,Shahbaz Bhatti, è sorprendente: pur essendo nel mirinodei terroristi, si muoveva tra casa e ufficio senza scorta.La protezione gli era stata tolta con la fine del prece-dente governo. Nominato nuovamente ministro nelnuovo esecutivo di Syed Yusif Raza Gilani non gli erastata concessa la scorta, nonostante le pressioni di varieambasciate occidentali. Sono i misteri (forse non tantooscuri) dello Stato pakistano, le cui forze dell’ordinesono infiltrate dalle influenze islamiste. All’inizio digennaio, il governatore Salman Taseer è stato ucciso daun agente della scorta. Taseer è un “giusto” musulma-no: aveva chiesto la grazia per Asia Bibi, condannataper blasfemia, e l’abolizione della legge che prevede ilcrimine. Un forte fronte islamico si oppone a questocambiamento, quasi fosse una de islamizzazione delloStato, anche se è evidente l’uso strumentale della legge.I cristiani in Pakistan rappresentano un gruppo socia-le povero, veri paria della società. Tra loro si sente ilpeso dell’intimidazione che li spinge a rassegnarsialla marginalità. Bhatti era un cattolico che era emerso.Proveniva da un misero villaggio cristiano, ma aveva studia-to grazie all’aiuto della Chiesa e di un forte e illuminatovescovo pakistano, mons. Lobo. Giurista, entrato nel parti-to del presidente, aveva fatto carriera politica. Avevafondato All Pakistan Minorities Alliance in difesa dellalibertà religiosa in un paese musulmano al 97% (dovenon mancano tensioni tra la maggioranza sunnita e glisciiti). I cristiani sono l’1,5% degli abitanti: 750.000 i cat-tolici. Meno dell’1% della popolazione è indù. Ci sonogruppi zoroastriani, buddisti, sikh e ahmadiyya(un’”eresia” dell’Islam), resti di una complessa stratifi-cazione religiosa, risalente a prima della Partition del1947. Allora il Pakistan fu eletto a patria dei musulma-ni indiani con il biblico esodo di questi dall’India indi-pendente (e degli indù dal Pakistan). Lo Stato, nonomogeneo etnicamente, nato dall’identità musulmana,non ha potuto resistere al vento dell’islamizzazione.All’inizio la nomina di un ministro per le minoranze

sembrava solo un fatto di facciata. Ma Bhatti lottavaseriamente e a mani nude: “Voglio mandare un mes-saggio di speranza alla gente che vive la rabbia, ladelusione, la disperazione…”, aveva dichiarato.Sentiva che qualcosa poteva cambiare. Ultimamenteera più tranquillo e con qualche speranza, anche se rice-veva forti minacce. Avrei dovuto incontrarlo (l’appun-tamento era già preso) proprio domani a Islamabad. Eravenuto a Roma nel settembre scorso. Colpiva per laserenità e il coraggio, nutrito da profonde convinzionicristiane. Bhatti si era molto esposto, parlando fortecontro i pogrom anticristiani. Su altre vicende, comequella di Asia Bibi, consigliava meno clamore mediati-co per alleggerire la reazione musulmana. Univa allatenacia un’intelligenza della situazione pakistana. Ildialogo con parecchi leader musulmani era una suapriorità. Bisognava far accettare i cristiani dall’islamcome parte della nazione. Ieri è morto senza alcuna difesa.E’ una sconfitta non solo per i cristiani. La convenienza poli-tica spinge il governo a non proteggere le minoranze in modofermo. Ma proteggerle è difendere la libertà di tutti.Prima il totalitarismo islamico colpisce i pochi cristiani;poi arriva l’ora degli altri, magari musulmani, colpevo-li solo di non volersi piegare.

(in Corriere della Sera del 3 Marzo 2011)

TESTAMENTOSPIRITUALE

NON HO PIÙALCUNAPAURA

DEDICO LAMIA VITA AGESÙ

DI SHAHBAZ BHATTI

Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in unafamiglia cattolica.Mio padre, insegnante in pensione, e

Shahbaz Bhatti

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Un incontro...fugace, ma efficace!

mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valoricristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hannoinfluenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solitoandare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli inse-gnamenti, nel sacrificio e nella crocifissione di Gesù. Ful’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei ser-vizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui ver-savano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero.Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredicianni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per lanostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensaidi corrispondere a quel suo amore donando amore ainostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio deicristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e deiperseguitati che vivono in questo paese islamico. Miè stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io hosempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. Lamia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popo-larità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo unposto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il miocarattere, le mie azioni parlino per me e dicano chesto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte inme che mi considererei privilegiato qualora (in questo miobattagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristia-ni perseguitati del Pakistan) Gesù volesse accettare ilsacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e perLui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo

paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccider-mi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato ehanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finchèavrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò aservire Gesù e questa povera, sofferente umanità, icristiani, i bisognosi, i poveri. Credo che i cristiani delmondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dallatragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei pontidi solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione edi tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremoa vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrràun cambiamento in positivo: le genti non si odieranno,non uccideranno nel nome della religione, ma si ameran-no le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno lapace e la comprensione in questa regione. Credo che i biso-gnosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religionevadano considerati innanzitutto come esseri umani.Penso che quelle persone siano parte del mio corpoin Cristo, che siano la parte perseguitata e bisogno-sa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a terminequesta missione, allora ci saremo guadagnati unposto ai piedi di Gesù ed io potrò guidarLo senzaprovare vergogna.

(a cura di M. Antonietta Calabrò, per gentile conces-sione della Fondazione Oasis e di Marcianum press)

La comunità in cui sono ora inserita è situata a poca distanza da Riese, mio paese natale e “luogo” assai amato incui ho imparato conoscere una Persona che è diventata sempre più importante nella mia vita: Gesù, il Signoremorto e risorto. Sì, lo affermo con convinzione profonda: la parrocchia (in primis la mia famiglia), è stata la scuo-la più efficace per la crescita della fede donata nel battesimo. Il ricordo di “maestri, ferventi educatori”, comeMons. Giuseppe Liessi e suor Gabriella Tirelli, mi accompagna e mi incoraggia sia per il mio cammino personaledi sequela che per il superamento di qualche difficoltà che costella il cielo di ogni vocazione. L’associazionismo,(allora “made A.C. – Azione Cattolica”) e il gruppo delle coetanee sono stati indicatori positivi per la mia cresci-ta. Ripenso ai momenti di incontro con le nostre delegate, ai giochi di quadra nell’indimenticabile cortile dell’asi-lo, aperto per noi “full time”, alle chiassose sfilate mascherate nei tempi opportuni, ecc… Quella era davvero“vita” con le sue piccole malizie dell’età, ma sempre limpida e orientata verso il Sole che, personalmente, ritrova-vo nella preghiera, nell’eucaristia quotidiana (in tempo di vacanza!) e negli insegnamenti della mamma e dellasorella maggiore. Ritorno, dunque, volentieri a Riese! Martedì 26 aprile, ho fatto una piccola fuga. Ho voluto par-tecipare all’eucaristia delle ore 8.30 anche per salutare il nuovo parroco, Mons. Giorgio Piva, e il cappellano donGianni, già conosciuto a Caerano San Marco. I due sacerdoti, quando sono entrata in chiesa, stavano pregandoinsieme. Ho atteso la fine della loro preghiera e poi mi sono avvicinata per salutare. Con Monsignore ho parlatoun po’ del calo di vocazioni che colpisce anche l’Istituto delle Suore di Maria Bambina, specie in Italia. Le pocheidee che ci siamo scambiati e la rilessione seguita alla liturgia della Parola, mi hanno spinta ad esternare alcunipensieri e interrogativi. Una domanda, innanzitutto: perché a Riese si è spento il seme vocazionale in particolareper le giovani? Posso considerarmi l’ultima figlia di Riese che a questo riguardo, con suor Anita Monico e suor

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Reginetta Borsato, chiamate in Istituti diversi dal mio. Che cosa manca nelle case odierne raggiunte dal benessereeconomico, dall’apertura al lavoro dipendente più che alla coltivazione della campagna? Quale posto ha l’espe-rienza religiosa nella gerarchia dei valori familiari? Lascio la risposta a chi legge… Mi limito a dire quanto sentoda amiche e conoscenti: pure a Riese tira una certa aria di falsa libertà che inquina l’istituzione del matrimonio tra-dotto oggi in forme di convivenza o in modalità strane di realizzare la vita di coppia…Forse gli arredamenti allamoda, il lavoro fuori casa della donna (non sono contraria a questo!), a volte, troppo impegnativo, le esigenze“salutistiche” dei figli hanno cancellato dalla “lista della spesa” un acquisto che è fondamentale per sostanziaretutti gli altri? Intendo parlare della FEDE. Le giornate di mia madre e di noi figli iniziavano con la preghiera e conla messa o, perlomeno, con la comunione che si poteva dare, quand’ero ragazzina, fuori della messa. Si conclude-vano, altrettanto, con la preghiera del rosario e con le devozioni della sera… Dio era presente sempre e si sentivail bisogno di conoscerlo, di adorarlo (ricordo le adorazioni del primo venerdì del mese, le 40 ore della settimanasanta, le adunanze e le ore di adorazione dei membri dell’A.C., il ricorso all’aiuto divino in ogni situazione esi-stenziale, comprese le inevitabili burrasche estive che, con le loro grandinate, rovinavano i raccolti già prometten-ti, le malattie del bestiame…), di accoglierlo in ogni figlio che veniva donato, di ascoltarlo nel consiglio del sacer-dote, onorati di riceverlo per la benedizione della casa o per la visita ad un malato, pronti a dare un contributo,magari modesto, per la vita della parrocchia e della stessa persona… Quanti richiami ad un fede semplice, matenace, erano presenti nelle nostre famiglie! Sopra il mio letto c’era un quadro; rappresentava un bambino cheattraversava una passerella, mentre l’acqua del torrente sottostante si colorava di fango e alzava onde minacciose.Un angelo custode, dalle ampie ali bianche, scortava il fanciullo: era una raffigurazione plastica del compito affi-dato agli Angeli Custodi… E la preghiera “Angelo di Dio” si imparava non appena usciva dalle labbra la primaparola, così come la mamma, tenendoci in braccio, ci insegnava a riconoscere nel Crocifisso appeso in cucina lapersona di Gesù. Nel nostro tempo, contagiato dal relativismo etico e dalla vergogna di professare la propria fede,il Crocifisso… dà fastidio, disturba: bisognerebbe toglierlo non solo dalle case, ma anche dai luoghi pubblici! E’ ilsenso della vita che abbiamo smarrito? Anche a Riese? E’ la forza delle convinzioni e dei valori non negoziabiliche, per inappetenza o scarso nutrimento voluto, è stato resettato e svuotato nel cestino del “Tutti fanno così”?Eppure siamo sostenuti dall’amore eccessivo di Dio! Siamo da Lui portati “su ali di aquila”, conosciuti e protettida ogni avversità! Mi pare che a Riese si preghi ogni giovedì per vocazioni sacerdotali e religiose. E’ doveroso pre-gare anche per le famiglie, perché, come auspicano i Vescovi nel documento “Educare alla vita buona del Vangelo”ritrovino il loro ruolo di “prima e indispensabile comunità educante” (n. 36) e tempo (36), la sopportino anche icondizionamenti esterni al loro; condizionamenti che influiscono sui figli, pronti ad ascoltare gli insegnamentidelle mode imperanti, anche sul piano religioso, anziché le parole e gli esempi dei genitori i praticanti, ma, a volte,poveri di motivazioni da trasmettere per educare veramente. Concludo queste mie riflessioni con uno slogan chepoteva incidere, forse, alcuni anni fa: FAMIGLIE SANTE = VOCAZIONI SANTE. Mettiamoci un punto di doman-da non tanto sulla chiamata alla santità anche della famiglia, ma sull’equazione che non tiene conto di quanto sidiceva prima: la società è “allergica” al dato della fede, a Gesù Cristo e alla sua Chiesa. Dio, che rimane il grande“wanted” di ogni cuore umano, è relegato in luogo oscuro e lontano dalle “intelligences” che dominano il pensie-ro contemporaneo. E’ meglio vivere in un libertinaggio sfrenato che sottostare alla legge dell’alleanza che Gesù harinnovato nel suo sangue! E’ meglio guardare a modelli di facile consumo che rifarsi ai Santi di ogni tempo e diogni luogo! Dio, Gesù Cristo, la sua Chiesa, il fratello che ti vive accanto non sono forse le traiettorie che portanola barca di ogni vita al porto sicuro dove l’AMORE ETERNO ci attende? I giovani e le giovani che rispondono aduna vocazione di speciale consacrazione hanno proprio questo compito: indicare da dove è scaturita l’esistenzaumana e dove approderà dopo il tempo del limite e della fatica del vivere. Parola di Dio, preghiera, compimentodel proprio dovere, accoglienza del magistero ecclesiale, fedeltà all’eucaristia domenicale, sacramento della ricon-ciliazione, fraternità, gratuità… Quanti doni del Padre a nostra disposizione per sostenere la vita di fede! Si riem-piranno ancora di sacerdoti e di suore i seminari e le case religiose? Non si tratta di un gioco dei prestigiatori, per-ché Dio sa condurre la storia meglio di noi. Credo che, pian piano, con l’apporto paziente di tutti, si risanerà il tes-suto sociale e la vita, oggi impreziosita da meravigliose scoperte tecniche e scientifiche, ritornerà ad essere il giar-dino dell’Eden da Dio preparato all’origine del mondo per la gioia dell’uomo e della donna.

Suor Mariafranca Gaetan

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LA GIORNATA DEL CENTENARIO

Nella mattinata sono arrivati tanti amici (quan-te lacrime!!!) - vari salesiani, una ventina di per-sone da Puerto Ayuacucho con una troupe tele-visiva da lì che ha seguito e intervistato pertutta la giornata per mostrarla poi il giornodopo a Puerto Ayacucho.

Alle 11 - 300 ragazzi della scuola salesiana diAltamira dove vive Don Giuseppe hanno can-tato e recitato gli auguri per lui.Pranzo nella comunità con tutti noi con ilvesco-

vo, l'ispettore, il vice ispettore e e vari altri sale-siani.

Alle 17 santa messa celebrata dal Vescovo conDon Giuseppe concelebrava insieme a una cin-quantina di preti. Presenti tante persone diquella comunità dove è molto conosciuto per-chè celebra ogni giorno la messa delle 17 e con-fessa per tutto il pomeriggio. Ha cantato unacorale bravissima - tutti i canti in italiano. P.S. Hanno cantato alla fine "Va’ Pensiero".Finita la messa sono entrati in chiesa con unaenorme torta con tante candeline e poi è stataofferta a tutti i presenti.Alle 18.30 c'è stata una cena offerta dai salesia-ni insieme a noi tutti, il vescovo e tutti i sacer-doti e gli amici di Puerto Ayacucho sotto untendone (tipo tendone pro loco). Tutti sedutiinsieme. Poi quelli della camionetta sono ripar-titi per viaggiare sul camion la seconda notte.Mirabili.

PUERTO AYACUCHOPuerto Ayacucho fu fondata il 9 dicembre del1924 ed è, dal 1928, la capitale dello stato fede-rale di Amazonas in Venezuela. Sorge sulla rivadestra dell'Orinoco, in prossimità della frontie-ra con Colombia, il cui territorio si estende sulla

di Tiziana Berno

Santa Messa concelebrata con il Vescovo Divassone con l'ispettore dei salesiani don Luciano Stefani

(originario di Due Carrare)

La foto con tre fratelli (ancora viventi di 11) don Giuseppe100, suor Antonietta 90, Angelo 80, e parenti

Don Giuseppe con il Vescovo salesiano di PuertoAyacucho Josè Angel Divasson Civeti

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sponda opposta del fiume. Si estende su un ter-ritorio prevalentemente pianeggiante, ma com-prendente anche alcuni bassi rilievi, chiamati"miradores" ("belvederi"), dai quali è possibilegodere il panorama della città. La popolazionepresente ha diverse origini etniche: molti sonogli indigeni (Jiwi) arrivati dai piccoli centri abi-tati, posti lungo la strada principale (tra PuertoAyacucho e Puerto Samariapo), o, ancora da

più lontano, dai villaggi che sorgono nella fore-sta lungo le sponde dei vari canali e fiumi, uti-

lizzati come vie di comunicazione. I pochi abitanti ancora residenti in tali villaggisi recano in città per il commercio di prodottialimentari e dei manufatti che vengono vendu-ti nel cosiddetto Mercado indígena, situatolungo la Avenida Rio Negro, principale arteriadella città, o nella Piazza Bolívar (PlazaBolívar), dove si trova il Mercado viejo(Mercato vecchio). Puerto Ayacucho è raggiun-gibile dalle altre città venezuelane principal-mente per mezzo di piccoli aerei, che atterranoin un piccolissimo aeroporto situato nelle vici-nanze perchè bruttissime. Puerto Ayacucho èstato l'ultimo posto in cui don Giuseppe è rima-sto per tanto tempo. Da lì sono partiti su unacamionetta una ventina di persone (in rappre-sentanza della comunità con padre Bortoli) peressere presenti alla festa di compleanno. Sono550 km su strade terribili. Partiti il pomeriggioe viaggiando tutta la notte sono arrivati la mat-tina successiva. Hanno assistito alla messa condon Giuseppe ed il loro vescovo, cenato con noie ripartiti la sera per arrivare il giorno dopo amezzogiorno.

Anche il Gruppo Missionario ha voluto essere vicino a Don Giuseppe per il suo compleannoinviandole una piccola riproduzione in marmo della Madonna delle Cendrole; Don Giuseppel’ha stretta al cuore, commosso, appoggiandola poi vicino al suo letto.

Al Gruppo Missionario diRiese Pio X,

Caracas, 24 febbraio 2011

Nel giorno del mio centesimocompleanno vi ringrazio delvostro ricordo.

Don Giuseppe

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Ancora una grande pittura ad olio su tela raffigu-rante la Crocifissione di Gesù, opera di JacopoNegretti (1548-1628) detto Palma il Giovane è col-locata nella Chiesa parrocchiale di San Matteo inRiese Pio X, sul lato sinistro del presbiterio.

Le notevoli dimensioni dell’opera (cm. 273x313)occupano buona parte della parete. Essa provieneda Montagnana (Padova) in seguito alla soppres-sione di chiese e conventi operata da NapoleoneBonaparte nei primi anni dell’Ottocento ed è statadepositata nelle Gallerie veneziane e quindi perinteressamento del riesino Card. Jacopo Monico,verso l’anno 1839, trasferita nella nostra chiesaparrocchiale, ma ancora di proprietà del Ministerodei Beni Culturali e Ambientali dello Stato. Ildipinto è stato eseguito verso la fine del 1500 dalgrande Maestro Jacopo Palma il Giovane, forma-tosi alla scuola di Tintoretto e di Tiziano. La tela èun’immane e concitata descrizione degli avveni-menti presentati dai vangeli in quel tumultuoso eabbastanza breve tempo che dopo la Crocefissioneprecede la morte di Gesù. Il cielo fosco adombra emette in risalto le tre figure dei crocifissi, di cuiGesù al centro, posti in una certa lontananza,quasi in disparte nel quadro, per permettere, nellospazio del dipinto, una descrizione ricca di perso-naggi e avvenimenti in questo tempo così solennein cui il Figlio di Dio fattosi uomo muore tragica-mente in croce assumendo su di sé il peccato del-l’umanità per redimere ogni uomo dal poteredelle tenebre. Sono descritte molte scene tratte dairacconti evangelici e tutte, accrescendo la tragicità

del momento, contribuiscono a creare con diversiinsiemi la descrizione dell’unico fatto della croci-fissione. Alla base si notano i morti che risorgonosollevando le pietre sotto cui erano sepolti, poidue soldati inginocchiati tirano a sorte a chi toccala tunica di Gesù. Un soldato avanza a cavallo conin una mano il cartiglio da apporre sopra la crocecome motivo della condanna di Gesù, e con l’altramano indica un vessillo rossastro ondeggiante,agitato dal vento, illusa ed effimera espressione dipotenza per aver messo a morte Gesù. Due giova-ni accostano una canna ad una spugna imbevutadi aceto per poterla accostare alle labbra di Gesùcon l’intento di alleviargli i dolori. La Maddalenaè inginocchiata sotto la croce con le braccia allar-gate in segno di affetto e di partecipazione allasofferenza in un dialogo interminabile col suoSignore. La madre di Gesù, Maria, nel vedere suoFiglio così trattato dalla grettezza degli uomini,immersa in un dolore atroce sviene ed è soccorsada S. Giovanni, al quale Gesù l’aveva affidata e dauna donna premurosa, probabilmente una diquelle donne fedeli che l’aveva seguito dallaGalilea. In alto, sul lato destro della scena, cam-peggia la figura di Gesù, figlio di Dio, accennatodall’aureola e da bagliori di luce che contornano lasua figura, oppressa dal dolore, ma con un corpoancora muscoloso e possente in cui nonostantetutto è presente l’energia della vita in fiore di unuomo trentenne. Ai lati di Gesù il ladrone didestra che in un gesto di fede si raccomanda aGesù, e viene da lui redento, mentre quello di sini-stra lo rifiuta e si accascia dalla parte opposta. Inmezzo alla folla si notano altre figure come i sol-dati con lance (per colpire al fianco Gesù dopo lamorte), a cavallo, a piedi occupati in qualche azio-ne, figure di anziani con barba e una con turbante(richiami a Isaia e altri profeti le cui parole prean-nunciate sul Messia, “uomo dei dolori” si stannoavverando?). Sotto il cielo nero attraversato da unfulmine vive e palpita tutta la drammatica e con-citata scena, mentre in una tenue fascia di cieloazzurrognola viene richiamata la città diGerusalemme col suo tempio quasi ignara e indif-ferente per quanto sta avvenendo fuori delle suemura.

LA CROCIFISSIONE DI PALMA IL GIOVANEdi Nazzareno Petrin

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1. SAPER ESSERE PER … SAPER FAREUna rilessione sul CPP potrebbe immediatamen-te far pensare ad alcune indicazioni pratiche daoffrire ai membri perché possano far parte nelmodo migliore a questo organismo di collabora-zione in parrocchia. Forse ci può essere tra i pre-senti chi pensa d’essere stato chiamato ad offrireun po’ di tempo per compiti più che altro praticie organizzativi. Pensa di poter così suggerirequalche idea riguardo la liturgia, la catechesi…C’è, infatti, il rischio che dovendo parlare delConsiglio Pastorale la prima domanda che ci siponga sia: “Che cosa deve fare?”, presupponendodi aver già compreso, in partenza, a grandi linee,che il CPP si tratta di un organismo che deveorganizzare le attività parrocchiali con il parroco.E’ necessario invece che ci si domandi anzitutto:“CHE COS’E’ IL CONSIGLIO PASTORALE?Quale è la sua identità più profonda?”Il Sinodo diocesano del 2000 ci ricorda che ilConsiglio pastorale è uno dei modi in cui si attualo stile di CORRESPONSABILITA’ che devecaratterizzare la comunità cristiana. (151)-Infatti la natura del CPP è qualificata dal diritto-dovere di tutti i battezzati alla partecipazionecorresponsabile nella Chiesa, e in quella partico-lare porzione di Chiesa che è la parrocchia.E’ proprio il significato del termine CORRE-SPONSABILITA’ che può offrirci i tratti essen-ziali di che cos’è un Consiglio Pastorale. Comerivelarci il suo cuore.“Corresponsabilità” significa: essere responsabilicon altri di una determinata azione. E’ la capacità dicollaborare con altri, e non da soli, per un obietti-vo da raggiungere. In altre parole c’è correspon-sabilità dove non c’è solo un agire, ma un agirecomune, condiviso.Nella comunità cristiana la corresponsabilitàmanifesta allora due tratti fondamentali:a) “La comunione che caratterizza la comunitàcristiana, nella quale i ruoli e le responsabilitàdiverse del pastore e degli altri cristiani devonoconvergere nella fedele ricerca della volontà delSignore” (151). In altre parole il CPP è chiamato arappresentare l’immagine della fraternità e dellacomunione dell’intera comunità parrocchiale di

cui è espressione in tutte le sue componenti.b) “La generosa disponibilità di ogni cristianoad assumersi la responsabilità ecclesiale a cui èchiamato in forza del battesimo”. In altre paroleil CPP costituisce lo strumento della decisionecomune pastorale, dove il servizio di presidenza,proprio del parroco e la corresponsabilità di tuttii fedeli devono trovare la loro sintesi. Il CPP èorganismo di programmazione e di verificapastorale.

2. IL MISTERO DELLA CHIESAPer poter attuare e vivere una tale corresponsabi-lità nella chiesa, fatta di comunione e di respon-sabilità, per un buon funzionamento del CPP nonci si può riferire solo a strumenti istituzionali ogiuridici. Ciò che è necessaria è una coscienzaecclesiale da parte di tutti i suoi membri.In altre parole, non possiamo rispondere checos’è un consiglio pastorale parrocchiale e checosa deve fare, se prima non si matura un sensoautentico di Chiesa, se non si ha consapevolezza diciò che significa la realtà “Chiesa”, a cui il consigliopastorale è a servizio.Dobbiamo riconoscere che ci portiamo dentroistintivamente l’immagine di Chiesa come di unaorganizzazione, sullo stile di altre organizzazioniumane. Per chiesa oggi si intende l’insieme deifedeli in Cristo, ma anche le diocesi e le parroc-chie. Come si chiama pure l’edificio consacrato alculto.La prima generazione cristiana ha usato, invece,il termine Chiesa nel senso etimologico di “chia-mare da…” “convocare”.Ecclesia-Chiesa significa il raduno degli uominiconvocati dall’iniziativa di Dio.Comprendendosi come Chiesa, i cristiani hannocoscienza di essere un popolo che non vienedagli uomini, ma da Dio. Che non si è auto orga-nizzato per affrontare i problemi dell’annunciodella fede. La Chiesa non frutto di una decisioneumana.

3. IL MISTERO DELLA TRINITA’Se essere Chiesa significa essere radunati, convo-cati da Dio, si deve però precisare che il Dio che

CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE

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di don Antonio Guidolin*

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ci convoca non è un Dio qualunque, o un Diosolitario, ma è Dio TRINITA’-I primi cristiani affermavano di essere “il popoloadunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello SpiritoSanto” (S. Cipriano) Che cosa significa dire cheDio è Trinità? Significa dire che “Dio è Amore” (1Gv 4,89) che l’amore è il segreto di Dio. Dio è unacomunità di persone che si amano così tanto dacostituire una sola, indivisibile unità. Non sonotre persone una accanto all’altra (1+1+1=3), masono uno per l’altra (1x1x1=1). Nella Trinità il Padre, il Figlio, lo Spirito Santovivono una comunione perfetta, da essere unasola realtà. Ma ognuno è se stesso ed è tutto rivol-to alle altre persone. Ognuno vive per l’altro, agi-sce per l’altro. Se crediamo a ciò che la rivelazio-ne biblica ci dice, che cioè noi uomini siamo fattia immagine e somiglianza di Dio Trinità, alloraDio non ci ha creati perché vivessimo una vitasolitaria, ma ci ha creati per essere introdotti,radunati insieme nel cuore della sua vita trinita-ria di amore. Questo è il sogno, il dediderio piùgrande di Dio: raccogliere i suoi figli in un’unicafamiglia. In tempi di forti tensioni e lotte, inRussia, il santo monaco pittore Andrej Rublevdiceva: “Contempla la Santa Trinità e vincerai l’o-diosa divisione del mondo”.Ora c’è un luogo in cui Dio vuole cominciare quiin terra questa riunione di tutti nella Trinità. C’èuna famiglia che già in questa terra è chiamata asplancare le sue porte perché tutti possano ritro-vare una pienezza di vita: è la Chiesa.

4. IL CPP A SERVIZIO DELLA CHIESA (COM-POSIZIONE)Se una parrocchia è chiamata ad essere un luogodi comunione e di impegno responsabile tra tuttii suoi membri a immagine della Santa Trinità, ilCPP è un organismo a servizio della comunionetra tutti e dell’agire della parrocchia.Il CPP rivela, nella sua realtà pur piccola e fragi-le, la vera fisionomia della Chiesa: popolo di Dioe comunità di fratelli, animati da un solo Spiritoa servizio del Vangelo, uguali nella dignità e nel-l’agire, pur nella diversità e complementarietàdei doni. Concretamente, allora da chi è compo-sto il CPP? Da persone che rappresentino effetti-vamente le varie componenti della parrocchia.Che possano raccogliere tutti i doni significatividi una comunità:

- I sacerdoti- Rappresentanza dei religiosi e religiose- Dai fedeli laici oltre i 18 anni che “per esempla-rità e spirito di comunione ecclesiale, rappresen-tino effettivamente le varie componenti dellaparrocchia”- Appartenenti e rappresentanti di tutti i gruppiecclesiali- Rappresentanti del CPAE- Altri eletti dai praticanti- Altri possono essere nominati dal parrocosecondo le opportunità

5. LO STILE DI COMUNIONE E DI FRATER-NITA’Nella lettera per il nuovo millennio, GiovanniPaolo II ricordava quella che è un grande compi-to, una grande sfida per noi cristiani nel nostrotempo: “fare della Chiesa la casa e la scuola dellacomunione… se vogliamo essere fedeli al dise-gno di Dio e rispondere anche alle attese profon-de del mondo” (NMI 43)Un CPP non può non avvertire che questa è lagrande sfida che lo impegna: diventare lui perprimo e fare della parrocchia la casa e la scuoladella comunione. Don Mazzolari parlava dellaChiesa e della parrocchia come “la casa delPadre”. Ma in questa casa i “fratelli maggiori” cistanno a volte senza amore, senza cuore per ilPadre e per i fratelli, e chi ci sta non sempre rendeattraente per chi li vede da fuori il ritornarci per-ché sono troppo segnati da protagonismi e con-trapposizioni. Chi partecipa ad un CPP deveavvertire in sé l’urgenza e la passione dell’ultimapreghiera di Gesù: “Ut unum sint”. Dovrebbedire a sé e agli altri: “Lavoriamo insieme per ren-dere sempre più la nostra parrocchia, per render-la sempre più un luogo dove chi è lontano odistante dalla fede possa dire come per in primicristiani: Guarda come si amano!”. Il PapaGiovanni Paolo ci ricordava che la nostra primatentazione sarebbe quella di chiederci quali ini-ziative, attività programmare. “Ma sarebbe sba-gliato assecondare un simile impulso… Prima diprogrammare iniziative occorre promuovere unaspiritualità della comunione, facendola emergerecome principio educativo” (43).

6. LO STILE DEI MEMBRI DEL CPPEcco alcune note:

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- Essere membri del CPP significa scoprirsisempre più discepoli di Gesù- Diventeremo sempre più capaci di accoglien-za e di ascolto reciproco se sapremo diventaresempre più fedeli e attenti ascoltatori della paro-la di Dio- La prima cosa da “fare” è mettersi in ascoltodi ciò che il Signore vuole. “Parla Signore, che iltuo servo ti ascolta”. “Fate tutto quello che vidirà”.- Il CPP parte sempre dall’ascolto della paroladel Signore perché riconosce che è da essa chetrae la sua forza di azione: “Sulla tua parola get-terò le reti”. Partire dalla Parola di Dio è ricono-scere a Dio la sua parte, che è sempre all’inizio.- Partire dalla Parola di Dio è crescere nellafede. La parola di Dio suscita la fede.- La Parola di Dio diventa “luce ai passi” ditutta una comunità. Solo la Parola di Dio puòdare la “lucidità per renderci conto di dove ecome sta agendo l’incredulità e anche i modi checi rendono disponibili alla grazia santa delSignore” (Adoratori e Missionari!, n. 7) “Il discer-nimento resta il metodo per programmare e veri-ficare in parrocchia l’attività pastorale”.(Camminare nella carità… 3).- “Ogni iniziativa parrocchiale - ci ricorda ilSinodo 2000 - deve perciò dipendere dalla Paroladi Dio (Eucaristia e preghiera)… Ciò deve riguar-dare l’organizzazione concreta delle attività einsieme gli atteggiamenti profondi delle perso-ne” (670)- L’ascolto della Parola del Signore, non è stu-dio o discussione, ma va vissuto in un clima dipreghiera. Lo stesso clima che ha vissuto il“primo CPP” della storia: il gruppo dei dodici,delle donne con Maria e i parenti di Gesù, nelCenacolo. E’ questo il clima in cui maturare unautentico spirito ecclesiale. Il Cardinal Martini chiedeva ai CPP: “Comeviviamo la preghiera di inizio del CPP?... E’ unapreghiera che facciamo per aspettare i ritardata-

ri? Oppure è un entrare nel mistero che dovrem-mo poi, nel corso della riflessione, rendere visibi-le?”.- Questa capacità di sintonizzarci con il Signoreci aiuta a sintonizzarci tra di noi. Giovanni PaoloII ci rcordava che “una spiritualità di comunio-ne domanda la capacità di sentire il fratello e lasorella di fede nell’unità profonda del CorpoMistico di Cristo, come “uno che mi appartiene”(NMI 43)”. Le relazioni tra i componenti del CPP dovrannosempre più caratterizzarsi per un’accoglienza einteresse reciproco, sempre attenti a non volerrivendicare primazie… o interessati a far emerge-re il proprio punto di vista o proposta. Prontiinvece a condividere le gioie e le fatiche di altrerealtà parrocchiali. Sempre attenti a verificarecome dietro a grandi ideali anche di carità o difede si nasconda la ricerca di se stessi, in quantosingoli, sia come gruppo… Non dimentichiamo ilduro monito dell’Imitazione di Cristo: “Videturesse caritas et est carnalitas”.- Spiritualità di comunione significa anchecapacità di vedere anzitutto il positivo che c’ènell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo comedono di Dio per la comunità.- Spiritualità di comunione significa maturarein un ascolto sempre più attento anche deglialtri, di ciò che pensano. Significativo è ciò cheSan Benedetto ricorda all’abate del monastero,nell’invitarlo a consultare anche i più giovani:“Spesso a uno più giovane il Signore ispira unparere migliore”. E San Paolino da Nola esorta:“Pendiamo dalla bocca di tutti i fedeli, perché inogni fedele soffia lo Spirito di Dio”.E’ dentro questo clima di comunione che nascedall’ascolto di Dio e dei fratelli che si afferma ilparticolare volto del CPP.Continua…

*Don Antonio Giudolin-Direttore dellaPastorale della Salute della Diocesi di Treviso

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IL NUOVO CONSIGLIO PASTORALE AFFARI ECONOMICIDELLA PARROCCHIA DI RIESE PIO X

Pellizzari Lino - Berno Nico - Zanellato Stefano - Massaro Marilisa - Favaro Jessica - Bernardi Agostino- Bendo Valerio - Foscarini Paolo - Brunato Gianni - Parolin Vittorio

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IL NUOVO CONSIGLIO PASTORALE PASTORALEDELLA PARROCCHIA DI RIESE PIO X

Presidente Azione Cattolica: Berno DianaReligiose: Suor NazzarenaCatechiste Scuole Elementari: Fraccaro Gabriella - Murarotto AntoniaCatechiste Scuole Medie: Piva Pierangela - Contarin Alice - Pastro MoiraAzione Cattolica italiana Adulti: Petrin NazzarenoAzione Cattolica Ragazzi: Maggiotto Enrica - Tonin AlessandroScout FSE: Quaggiotto AlessandroAnimatori Giovani: Antonioli Chiara - Tranquillin Andrea - Fagan Claudia Chierichetti: Menato RiccardoPro-Loco: Gazzola Renata Caritas: Tonin Giuseppe - Carlesso AlessandraGruppo Amici: Bitonti FilomenaGruppo Missionario: Segato M. AntoniettaEquo solidale: Battagello ErminioFidanzati: Stradiotto Giuseppe e MariaAssociazioni Noi: Pasqualotto Massimo - Piccolo OscarGenitori Scuola Materna: Bendo Valerio - Pozzobon Elisa Ministri Straordinari: Pizzuti Francesco - Zamprogna AliceCorali: Guidolin GiovanniGruppo “Marta”: Stradiotto Ivana FaganAmici Presepio: Bonato PioParroco: Mons. Giorgio PivaVicario Parrocchiale: Don Antonio Martignago

Chiesa parrocchiale di Riese agli inizi del ‘900

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Si è spento il 6 feb-braio il parrocoemerito diSpineda di RiesePio X, donFernando Parrini.Mercoledì 9 ilfunerale, presie-duto dal Vescovonella chiesa par-rocchiale, con l’ul-timo saluto dellacomunità al suopastore, che l’haguidata per ben 33anni.Settantotto anni,originario diScorzè, donFernando avevaconcluso da pocoil mandato di par-roco, e non eralontano dal 50° diordinazione sacer-dotale. “Era giustoche potesse gode-re di un meritatoriposo, anche per-ché le sue condi-zioni di saluteerano da tempoassai precarie (ha ricordato Mons. Gardin). Inverità, il bisogno di riposo e di tranquillità che eglistesso avvertiva non si conciliava facilmente con ilsuo spirito sacerdotale e anche con il suo amoreoperoso verso questa comunità. Possiamo dire chefaceva fatica a cessare di dedicarsi a questa par-rocchia così a lungo servita. Il Signore lo ha chia-mato a sé, senza che potesse assaporare queltempo prolungato di tranquillità che noi tutti desi-deravamo per lui. Ma ora egli è nella quiete delDio della pace, del Dio in cui trova conforto ognisofferenza e trova risposta ogni desiderio di bene.E’ il Dio che egli ha imparato ad amare fin dalla

sua infanzia,che è stato alcentro dellasua vita e dellasua fede di cri-stiano e disacerdote. E’Dio che egliper tanti anniha fatto cono-scere, ha pre-gato e ha inse-gnato a prega-re. E noi cre-diamo che donFernando siastato un verocercatore diDio, da uomoi n t e l l i g e n t equal’era”. IlVescovo ha poiletto alcunistralci di lette-re che donFernando neglianni ha scrittoai diversiVicari generalie ai Vescovi,lettere da cuitraspare la sua

lucidità di pensiero, la sua arguzia e la sua fineironia, talora la sua critica un po’ pungente, maanche la sua rettitudine e la sua schiettezza.“Certo, Don Fernando è stato un lavoratore piut-tosto solitario, ma il campo di lavoro che gli èstato affidato lo ha dissodato con alacre impegno,con dedizione sincera e con spirito di pastore,sapendo donare agli altri con generosità. Del restoil suo stile di vita, sia nello spirito che nelle cosemateriali, è stato austero, sobrio, essenziale (haricordato il Vescovo). Certamente egli, accanto alSignore che ha a lungo servito nei suoi fratelli,continua ad essere pastore che ama il suo gregge,

L’ULTIMO SALUTO DELLA COMUNITÀ DI SPINEDAA DON FERNANDO PARRINI

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Avalini RiccardoBerno AngelaBerno GiampietroBittoto AndreaBordin FilippoBrianese GiorgiaBrunato IreneCasella AlbertoCassetta LedaCattapan SofiaCirotto MarcoCremasco Giovanni

Dalla Palma DeborahDe Luca NicolòDe Nardi RacheleFantin SabrinaFavaro ErikaFavaro MassimilianoFavretto AlessandraFavretto SaraFrigo AnnaGazzola GiacomoGazzola AlviseGuidolin Alice

Luccato GiuliaMandaio MicheleMartini LeonardoMonico GiuliaMontin AlessandroPagnan GaiaParolin DavideParolin DeniseParolin LucaParolin SilviaPasqualotto AnnaPasqualotto Francesco

Pietrobon FrancescaPilotto DanielPiras AlessandroSalvador ElenaSimeoni EmanueleStradiotto AlessandroVair RiccardoZedda FedericaPauletto KevinSimeoni Mirko

ELENCO DEI CRESIMATI IL 28 FEBBRAIO 2011

I Cresimati

Foto Zoppa

e lo attende con gioia lì dove è il Signore. E noi,mentre gli diciamo il nostro grazie commosso, for-mulato con la sua stessa semplicità e schiettezza,lo affidiamo al tenero abbraccio del Padre miseri-cordioso, chiedendo per lui (come ci ha dettoPaolo) “la ricompensa delle opere compiute quan-do era nel corpo”. Moltissimi i sacerdoti presentinella chiesa di Spineda, assieme al Vicario genera-le e ai vescovi emeriti Magnani e Daniel.Espressioni di cordoglio sono giunte anchedall’Ags Volley Pool Piave. Parroco di Noventa diPiave a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta,infatti è stato don Fernando a volere fortemente lacostituzione della “Società Giovani Sportivi

Noventa”, da cui si è poi sviluppato il movimentopallavolistico oggi conosciuto in tutta Italia comeAgs – Volley Pool Piave. “Ho sempre creduto nel-l’importante ruolo dell’oratorio, sia dal punto divista educativo che di aggregazione sociale e diimpegno civile”, aveva detto qualche tempo faparlando della sua esperienza a Noventa. “Alloradiede il via a tante iniziative (ricorda il presidentedell’Ags Volley San Donà, Luciano Bassoli) dall’o-ratorio alla società sportiva, dal gruppo chieri-chetti al catechismo”. L’Ags Volley Pool Piave haavuto trascorsi anche in serie A2 (metà anniNovanta) e lanciato molte giocatrici nella massi-ma serie e in Nazionale.

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MARCO REGINATOUn triste lutto ha colpito la famiglia Reginato e tutta la comunità di RiesePio X. Lo scorso 8 gennaio si è spento infatti in un disastroso indicedented’auto Marco Reginato di anni 22. Assieme a lui è venuto a mancare ancheun altro giovane del montebellunese, Manuel Beltrame.Marco era lattoniere, lavoro che svolgeva con dedizione e da diversi anni.Lascia, insieme ai suoi cari e ai numerosi amici, anche la fidanzataFrancesca. Era un giovane non soltanto dedito al lavoro ma che ha dedi-cato la sua vita alle sue passioni, quella del calcio soprattutto, e attivoanche durante gli eventi paesani, come il Palio a settembre.Sorridente, solare, generoso, vivace e scherzoso: è per questo che chi haavuto la fortuna di conoscere questo splendido ragazzo non dimenticheràmai il sorriso che lo distingueva. Un giovane serio e responsabile, che oraprotegge tutti quelle che l’hanno amato, dal Cielo, sorridendo.

MANUEL BELTRAMEBeltrame Manuel “Vespa” per gli amici, ha lasciato un immenso vuotodentro tutti noi. Era un ragazzo pieno di vita, rispettoso, altruista e con ilsuo immancabile sorriso sulle labbra nonostante il suo percorso di vitadifficile per la grande perdita di suo padre (Siro) e lo zio Jerry.Vespa appena ventenne, con una grinta nell’ambito lavorativo, già da unpaio d’anni faceva il pavimentista e da poco aveva raggiunto il suo gran-de sogno essere artigiano. Ti ringraziamo per tutti i bei momenti cheabbiamo trascorso assieme. Ora che sei il nostro angelo custode proteggici da lassù.Nonni e cari amici.

AMEDEO SIMEONIRicordiamo con affetto il caro Amedeo, marito, papà, suocero e nonno,scomparso improvvisamente il 17 gennaio.Lui, come tutti, la vita ha riservato momenti di gioia e di sofferenza che havissuto insieme alla famiglia e ai tanti amici che lo hanno conosciuto.Dietro un carattere all’apparenza riservato Amedeo nascondeva un cuorebuono, attento alle persone care e premurose verso le nipoti.Il vuoto che ha lasciato è grande e la tristezza infinita, come la gratitudi-ne e la speranza.Ringraziano Amedeo per il suo esempio di vita, la sua testimonianza, ilsuo affetto.

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RIGENERATI ALLA VITARIGENERATI ALLA VITA

SUSANU SEBASTIAN di Cristian e Sasanu Carla, nato l’11 Ottobre 2010 - Battezzato il 15 gennaio 2011

GATTO AXEL di Maichel e Schiavon Silvia, nato il 28 Ottobre 2010 - Battezzato il 30 gennaio 2011.

CARON MARTA di Roberto e Zalla Michela, nata il 13 Settembre 2010 - Battezzata il 27 febbraio 2011

ALL’OMBRA DELLA CROCEALL’OMBRA DELLA CROCE

FORELLI LUIGI, coniugato con Cosma Antonia, deceduto il 30 dicembre 2010, di anni 83.

REGINATO MARCO, figlio di Roberto e Parisotto Gianna, deceduto l’8 gennaio 2011, di anni 22.

SIMEONI AMEDEO, coniugato con Gaetan Maria, deceduto il 17 gennaio 2011, di anni 83.

CAVALLIN GIULIO, coniugato con Gaetan Liliana, deceduto il 7 febbraio 2011, di anni 74.

SIMEONI PIA, nubile, deceduta il 17 febbraio 2011, di anni 74.

PIA SIMEONIPia Simeoni è tornata alla casa del Padre il 17 febbraio 2011 amorevol-mente assistita dalla sorella Gabriella e dai nipoti. Donna di grande fedee di forte personalità, Pia sapeva comunicare amore anche agli ammalatiche amorevolmente assisteva come volontaria nell’associazione del“Segretariato dei malati”. Sempre verso gli ammalati ha avuto particolareattenzione nelle sue ultime disposizioni: “non fiori ma opere di bene”destinando del denaro per aiutare associazioni che si occupano di loro.Significativo è stato il saluto del professore Bruno Andolfato, fondatoredell’UTEM (Università della terza età di Montebelluna): “Pia donnasplendida e per questo indimenticabile”. Pia sia stata un esempio per tuttinoi e con l’aiuto della preghiera ti sentiamo ancora vicina.

GINO GAETANIl 25 agosto se n’è andato Gino Gaetan. Da giovane è emigrato in Canadadove ha lavorato per molti anni per poi tornare al suo paese e far cresce-re la sua famiglia. Gino era un uomo semplice con un grande cuore e unonesto lavoratore. Vissuto nella fede, ha dedicato la sua vita alla famigliae alla sua casa dove amava coltivare il suo piccolo orto. L’arrivo dellamalattia lo ha messo a dura prova, e Gino non voleva arrendersi. Finoall’ultimo ha voluto tenere fede al suo impegno di marito, di padre, diuomo, ma il male non ha avuto pietà e dopo un percorso di sofferenzaalleviata dalla fede in Cristo, dall’affetto della moglie e dei figli è tornatoalla casa del Signore.

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