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L’attività imprenditoriale degli immigrati: integrazione e imprese creative
Giacomo Solano „This project is implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by the ERDF.”
con la collaborazione di
Chiara Fasce, Enrico Fravega e Marianna Mattera
Un ringraziamento sentito va ai protagonisti di
questo report: gli imprenditori e i lavoratori
autonomi stranieri
Grazie a:
Abdullah, Abess, Adil, Alemao, Attia, Axel, Bamba,
Carmen, Cheikh, Desiré, Esmeraldas, Gabriel,
Gueye, Hamid, Honorine, Issa, Juan, Michel, Mina,
Monica, Muhammad, Nabil, Patrizia, Peixing,
Poongalya, Rabia, Rahma, Yedong, Youssef,
Zammeli
Indice
1. Introduzione: riferimenti teorici di partenza e metodologia della ricerca 1
1.1. Osservazioni preliminari 1
1.2. Obiettivi e metodologia della ricerca 7
2. Parte I: percorsi di imprenditoria e integrazione degli stranieri 10
2.1. Il profilo socio-anagrafico degli intervistati e le tipologie di imprese 10
2.2. Prima dell’Italia: motivazioni e profilo pre-immigrazione 20
2.3. L’inizio in Italia 23
2.4. L’inizio dell’attività 25
2.5. I percorsi imprenditoriali: fra fragilità e espansione? 28
2.6. Nello svolgimento dell’attività: dipendenti, fornitori e clientela 30
2.7. L’impatto dell’attività: situazione economica e lavorativa 38
2.8. Le relazioni: frequenza, tipologia dei rapporti e impatto dell’attività 41
2.9. Inserimento e interesse per realtà italiana 52
2.10. Le capacità linguistiche e burocratiche 53
2.11. Le specificità personali 54
2.12. Aspirazioni per il futuro 57
3. Parte II: Percorsi di imprenditoria creativa degli stranieri 60
3.1. Parte Generale 60
3.1.1 Il profilo socio-anagrafico degli intervistati e le tipologie di imprese 60
3.1.2 Prima dell’attività autonoma 66
3.1.3 Nello svolgimento dell’attività: dipendenti, fornitori e clientela 68
3.1.4 L’impatto dell’attività: situazione economica e abitativa 70
3.1.5 Le relazioni: frequenza, tipologia dei rapporti e impatto dell’attività imprenditoriale 71
3.2. Parte specifica sul lavoro creativo 73
3.2.1. Aspetti di creatività, competenze e sviluppo futuro 73
3.2.2. Imprenditori creativi e caratteristiche del luogo di lavoro 76
Riferimenti bibliografici 82
1
Report di ricerca
L’attività imprenditoriale degli immigrati:
integrazione e imprese creative
nell’ambito del progetto europeo “Creative Cities – Città creative”- Genova
Giacomo Solano1
1. Introduzione: riferimenti teorici di partenza e metodologia della ricerca
1.1. Osservazioni preliminari
Prima di illustrare la metodologia e i risultati della ricerca è opportuno fornire alcuni
preliminari e brevi riferimenti di carattere teorico.
Innanzitutto per imprenditore si intende “colui che gestisce un’impresa con dei collaboratori o
che svolge un’attività con un cerco grado di autonomia sul mercato”2.
Si può quindi vedere come la definizione di imprenditore qui proposta si avvicini molto a
quella di lavoratore autonomo. L’attività imprenditoriale deve essere quindi intesa come
“attività indipendente”.
Parlando di integrazione dei migranti è opportuno innanzitutto specificare inoltre cosa si
intende con questo termine visto che indica un concetto sempre controverso e non privo di
ambiguità: si è scelta una definizione “minimalista” dell’integrazione, intendendola nel senso
di inserimento ottimale, e cioè la condizione di un immigrato di sapersi “muovere” nella
società di arrivo (sia nella vita quotidiana che in caso di bisogni particolari), e infine di
sentirsi accettato e percepirsi parte (pur mantenendo le proprie specificità) di una collettività3.
1 Laureato in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Genova, attualmente è dottorando in Urban and
Local European Studies (Urbeur) presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli
Studi di Milano–Bicocca. 2 Codagnone C., (2003), Imprenditori immigrati: quadro teorico e comparativo, Chiesi A. M., Zucchetti E. (a
cura di) (2003), Immigrati Imprenditori. Il contributo degli extracomunitari allo sviluppo della piccola impresa
in Lombardia, Egea, Milano, p. 34. 3 Quando si parla di “sentirsi parte di una società” non si deve intendere questo nei termini in cui lo intendeva la
teoria del melting pot, bensì semplicemente il fatto di interessarsi, anche prendendovi parte ma non solo, e di
sentirsi partecipe degli avvenimenti generali che avvengono e coinvolgono tale collettività.
2
Pennix e Martiniello propongono una definizione di integrazione che si confà perfettamente al
tentativo di “minimizzare” tale concetto: integrazione come “il processo del divenire una
parte accettata della società”4.
Per quanto riguarda le tipologie di imprese, ci si baserà sul seguente schema5:
Tab. 1 Tipologia dell’imprenditoria immigrata
Mercato Prodotto
Etnico Convenzionale (non etnico)
Etnico a) Impresa etnica b) Impresa intermediaria
Misto c) Impresa etnica allargata d) Impresa prossima
Generalistico e) Impresa esotica f) Impresa aperta
Questo schema, come si può vedere, distingue fra imprese che offrono prodotti e servizi alla
popolazione immigrata e imprese che li offrono ad una popolazione mista, e fra imprese che
offrono prodotti connessi al paese di origine degli immigrati e imprese che offrono beni non
riconducibili a tale origine.
L’impresa etnica è quell’impresa che si caratterizza per la vendita di beni, prodotti e servizi
che nascono per soddisfare le esigenze della popolazione immigrata: un esempio possono
essere le macellerie che offrono carne hallal, macellata cioè secondo i dettami della religione
islamica.
Le imprese intermediarie sono quelle imprese che svolgono servizi non di carattere “etnico”
ma legati comunque alla popolazione immigrata: un esempio di questa tipologia di impresa
sono i cosiddetti phone centers.
L’impresa etnica allargata fornisce beni e prodotti di carattere “etnico” ma la clientela è mista,
visto che oltre che da stranieri sono “frequentate” anche da autoctoni che vogliono avere
accesso a prodotti normalmente non disponibili sul mercato nazionale (un esempio sono i
4 Pennix R., Martiniello M. (2007), Processi di integrazione e politiche (locali): stato dell’arte e lezioni di
policy, in “Mondi Migranti” n. 3, p. 33. 5 Ambrosini M. (2005), Sociologia delle migrazioni, Il Mulino, Bologna, p. 127, ma originariamente proposto in
Ambrosini M. (1999), Utili invasori. L'inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano, Franco
Angeli, Milano e Martinelli M. (2003), Le caratteristiche dell'attività imprenditoriale, in Chiesi A. M., Zucchetti
E. (a cura di) (2003), cit.
3
minimarket dove si possono andare a comprare tipologie di prodotti provenienti da vari parti
del mondo).
Le imprese prossime sono caratterizzate da servizi specializzati per gli immigrati, ma che
possono attirare anche i nativi grazie ai bassi prezzi o alla qualità del servizio (un esempio
possono essere le agenzie di viaggio).
L’impresa esotica è poi un imprese che offre prodotti derivanti dalla tradizione del paese
d’origine del proprietario ma che viene offerta a un pubblico generalmente non straniero, che
viene attratto dalla particolarità dei prodotti offerti. É questo, per esempio, il caso dei
ristoranti tipici dei vari paesi di provenienza degli immigrati.
Infine, le imprese aperte sono quelle imprese che vendono prodotti non particolarmente legati
al paese di provenienza del titolare: in pratica di “straniero” queste imprese hanno solo il
titolare. É il caso delle aziende del settore dell’abbigliamento e della pelletteria che operano,
per esempio a Prato.
Parlando di “integrazione” e attività imprenditoriale dei migranti sembra opportuno mettere in
evidenza in via preliminare alcune cose e formulare alcune ipotesi collegate a queste
osservazioni.
A livello generale sembra che la presenza di una formale attività imprenditoriale possa
rappresentare un miglioramento nelle pratiche di “integrazione” sotto diversi punti di vista,
questo naturalmente se l’attività ha successo, in quanto purtroppo molte iniziative
imprenditoriali falliscono.
In primo luogo, a livello di “integrazione” economica, l’attività imprenditoriale permette un
miglioramento della condizione economica e di vita dell’immigrato e della sua famiglia e un
più facile inserimento nel mercato del lavoro della società di arrivo. L’immigrato riesce
infatti, attraverso il lavoro autonomo, ad uscire dalla classica tipologia di lavoro (dipendente)
dirty, dangerous, and demanding, unica tipologia solitamente accessibile ai nuovi arrivati. Ciò
ha delle ripercussioni anche in termini di classe sociale di appartenenza: attraverso
l’imprenditoria vera e propria l’immigrato, avendo successo nella propria attività, riesce a
“passare” di classe sociale, avvicinandosi a quella degli imprenditori italiani. Infatti senza
dubbio un imprenditore italiano avrà quasi le stesse problematiche e difficoltà (anche nel
rapporto e nella gestione con i propri dipendenti) di uno straniero, e questo li potrebbe rendere
solidali fra loro più che con i rispettivi connazionali subordinati. É anche vero però che alcune
volte i rapporti sono invece conflittuali (molti infatti si lamentano della concorrenza sleale che
gli stranieri fanno nei loro confronti, imponendo prezzi troppo bassi e lavorando per un
4
numero di ore molto superiore all’orario “canonico”), soprattutto a livello di
microimprenditorialità e di esperienze di commercio e servizi. Però a livello di “integrazione”
lavorativa ed economica l’attività imprenditoriale è senza dubbio un fattore di miglioramento
(per quanto riguarda la posizione lavorativa, il reddito, lo stile di vita etc.).
Il miglioramento delle condizioni di vita e della quantità di denaro a disposizione
dell’imprenditore può anche favorire quella che Golini (2003) chiama “integrazione
logistico-territoriale”: infatti con i soldi guadagnati attraverso l’attività, l’imprenditore potrà
decidere di spostarsi in una zona della città meno degradata e potrà riuscire magari anche a
comprare una casa e questo aumenterà senza dubbio le possibilità della persona di sentirsi
come “a casa sua”.
Proprio questo ultimo punto sembra utile approfondire, in quanto la situazione abitativa può
avere molteplici influssi sull’“integrazione” a livello generale e più precisamente a livello
socio-culturale. Infatti una persona che abiterà in un quartiere degradato e caratterizzato dalla
forte presenza di connazionali e/o altri stranieri inevitabilmente sarà portato a interagire poco
con i residenti di più vecchio insediamento e quindi sarà anche più difficile che, da un lato,
venga accettato da chi c’è da più tempo e, dall’altro, percepisca come “suo” il paese dove si è
insediato. Invece con l’aumento delle possibilità economiche l’immigrato potrà scegliere una
sistemazione in un quartiere meno degradato e più eterogeneo e questo favorirà i contatti con
la popolazione del paese. Tutto questo, insieme alla possibilità magari di comprarsi una casa,
favorirà e incrementerà senza dubbio il sentimento di appartenenza al paese dove l’immigrato
si è trasferito.
Sempre dal punto di vista sociale e delle relazioni con i nativi, l’imprenditorialità sembra
favorire un incremento dei contatti fra autoctoni ed imprenditori immigrati. Per suffragare
questa sensazione, nel corso della ricerca si dovrà quindi andare a vedere se con l’attività
imprenditoriale si è verificato un incremento delle relazioni non solo economiche e lavorative,
ma anche delle interazioni sociali più in generale.
Proprio per questo l’attività imprenditoriale può essere un’occasione di promozione sociale
e/o una strada per uscire da quel cono di invisibilità (in termini di diritti, problematiche e
percorsi positivi) e allo stesso tempo di ipervisibilità negativa a cui sono condannati tutti gli
immigrati, contribuendo a migliorare anche l’immagine di tutto il gruppo di connazionali.
Infatti la possibilità di contatto fra immigrati imprenditori e popolazione nativa può portare i
secondi a vedere gli immigrati, o per lo meno il singolo immigrato, sotto una luce diversa,
meno legata a facili stereotipi: è risaputo infatti che se una persona ha contatti diretti
abbastanza frequenti con un fenomeno la sua visione di tale fenomeno sarà meno stereotipata
5
e meno legata a facili paure e pregiudizi dovuti al fatto che, non conoscendola, spesso si
percepisce l’alterità come qualcosa di ostile e pericoloso. Non va infatti trascurato, a questo
proposito, “l’effetto di incrinatura degli stereotipi che può produrre la diffusione di
occupazioni diverse, socialmente più considerate, in termini di innalzamento dell’immagine
complessiva della popolazione immigrata, o almeno dei gruppi di appartenenza dei lavoratori
autonomi. Constatare che il negoziante, il muratore, il ristoratore, la parrucchiera che si
incontrano nella vita quotidiana provengono da lontano, può contribuire a collocare gli
immigrati in una luce diversa, più attenta alle specificità individuali e più consapevole della
pari dignità delle persone, da qualunque parte del mondo provengano” (Ambrosini, Zincone,
2005 p. 13). Si può quindi dire che “la costruzione di imprese commerciali e artigianali che si
rivolgono alla clientela italiana aiuta a correggere gli squilibri tra la caratteristica invisibilità
degli immigrati integrati nel lavoro subalterno e l’eccessiva visibilità degli immigrati
emarginati o coinvolti in attività disturbanti per la popolazione autoctona” (Ambrosini, 2001
p. 162). Si può pertanto riscontrare a livello generale una crescita in termini di esposizione
“positiva” e di visibilità sociale e conseguente aumento di interazioni positive con gli
autoctoni (rapporti con clienti, fornitori, settore finanziario etc.), anche se è pur vero che
spesso i clienti possono essere altri immigrati e i fornitori del paese di origine. A questo
proposito Ambrosini osserva che “le esperienze di imprenditoria più connotata in senso etnico
– per non dire dalla formazione di vere e proprie enclaves immigrate – pongono in rilievo la
possibilità che ad un inserimento riuscito nel sistema economico non corrisponda una
parallela “integrazione” culturale e sociale, o meglio, che dalle società occidentali gli
imprenditori immigrati assumano, […] soprattutto gli aspetti più funzionali al proprio
progetto di promozione; e che possano concepirsi, ed essere percepiti, come soggetti
marginali e appartenenti a comunità auto-referenziali, se non proprio estranei alla società di
accoglienza” (Ambrosini, 1999 p. 128). Anche altri autori condividono le perplessità di
Ambrosini (per esempio Broggi e Montelli in due differenti articoli in “Impresa e mercato”,
2002): l’“integrazione” sociale sembra rimanere infatti ancora difficoltosa e questo si può
vedere anche dalla bassa adesione a forme di rappresentanza imprenditoriale da parte degli
imprenditori immigrati. Inoltre il lavoro autonomo può anche essere un modo per rimanere
legato al proprio paese di origine e attuare forme di auto-esclusione sociale: un esempio può
essere quello dei ristoratori cinesi che hanno dipendenti esclusivamente cinesi e che servono
solo piatti del loro paese.
È però innegabile che, a livello di contatti sociali, l’immigrato imprenditore abbia più
possibilità di venire a contatto con persone fuori del proprio gruppo nazionale o clanico, e
6
interagendo con loro per lavoro, la sua immagine sarà sicuramente un’immagine per lo meno
in parte (se non del tutto) positiva. Insomma attraverso l’attività imprenditoriale l’immigrato
migliora senza dubbio la sua immagine sociale: questo potrebbe avere effetti molto positivi
infatti se gli immigrati si percepiranno maggiormente coinvolti e maggiormente accettati dal
paese d’insediamento sarà sicuramente più facile che questi sviluppino un sentimento di
appartenenza al paese stesso.
Alcune ricerche (per esempio Ambrosini, Zincone, 2005 ed Erminio, 2008) hanno poi
evidenziato come gli imprenditori migranti abbiano rapporti di amicizia (o meglio affermino
di averne) con persone del luogo: a questo punto c’è però da chiedersi se sia stata l’attività
imprenditoriale a far conoscere agli immigrati tali persone oppure, visto che molte ricerche
hanno segnalato che gli imprenditori si caratterizzano per essersi stabiliti già da qualche anno
nel territorio dove poi hanno intrapreso la loro attività, sia stata la conoscenza pregressa di
persone di più lunga residenza ad agevolarne l’apertura. Probabilmente entrambe le ipotesi
sono corrette: se la seconda ipotesi è già stata confermata da alcune ricerche e quindi si dovrà
solo cercare un’ulteriore conferma di quanto rilevato da altri, per quanto riguarda la prima
ipotesi nel corso della ricerca si dovrà cercare di capire se anche questa è corretta e in quale
misura.
Infine dal punto di vista politico, difficilmente l’attività imprenditoriale sembra poter favorire
un inserimento politico da parte dei nuovi arrivati; questo per una fondamentale ragione e
cioè che il diritto di voto viene dato agli immigrati dopo alcuni anni (che variano da paese a
paese) di insediamento regolare e continuato nel paese al di là del lavoro che questi svolgono.
É quindi chiaro che l’immigrato, finché giuridicamente non avrà questa possibilità,
difficilmente si impegnerà anche in attività legate alla partecipazione politica (se non legate
alla sua condizione di immigrato). Inoltre l’attività imprenditoriale occupa molto tempo e
quindi difficilmente gli imprenditori saranno disponibili a forme di partecipazione e militanza
politica.
7
1.2. Obiettivi e metodologia della ricerca
In generale si voleva investigare:
- il percorso precedente all’apertura di un’attività e il grado di inserimento degli
immigrati nel momento della decisione di diventare autonomi
- se l’attività imprenditoriale ha portato un miglioramento nella vita degli intervistati e
se ne ha aumentato l’integrazione e l’inserimento nel tessuto sociale genovese
- se si riscontrano differenze nel profilo e nelle risposte alle precedenti in base alla
tipologia di “impresa”
Da una prima analisi teorica sembra che il rapporto fra imprenditoria e “integrazione” vari da
caso a caso e sia spesso circolare ma non riesce a comprendere se questa sia rilevante nel
favorire un’“integrazione” in senso pieno. Fino ad ora praticamente nessuna ricerca si è
focalizzata solo ed esclusivamente su questo rapporto e perciò sembra utile provare a fare uno
studio esplorativo, limitato e senza la velleità che questo rappresenti tutto il caso italiano (o
genovese), ma soltanto con l’intento di aprire un dibattito su questo punto ancora poco
esplorato.
L’“integrazione” è comunque sicuramente un fattore che agevola la decisione di aprire
un’attività imprenditoriale (la maggior parte degli imprenditori risulta presente sul territorio
dove opera da almeno alcuni anni). Per evidenziare questo si dovrà andare a vedere se gli
imprenditori, prima di avviare un’attività, hanno svolto altri lavori, se si erano già insediati da
alcuni anni sul territorio e se precedentemente all’inizio dell’attività imprenditoriale e di
lavoro autonomo conoscevano e avevano rapporti di amicizia con le persone del luogo.
Più problematica, e per questo a mio avviso più interessante, appare la formulazione di una
risposta alla domanda se l’imprenditorialità favorisce l’“integrazione”. In linea di ipotesi
teorica si può così rispondere: sì ma dipende dall’attività svolta. L’ipotesi qui formulata è che
le attività che presuppongono una clientela mista (non solo connazionali o altri stranieri)
favoriscano maggiormente l’“integrazione” in termini di possibilità: possibilità di
“integrazione” in sé e di “essere accettati” anche al di fuori della sfera dei connazionali
(sviluppando anche amicizie e rapporti con persone non connazionali né straniere ma del
luogo). Sembra infatti che la vendita di certi prodotti e l’intermediazione di servizi non
“etnici” o comunque non destinati solamente ad una clientela straniera, possa diventare
un’occasione di aggregazione e di scambio “culturale”.
8
Passando a parlare più nel concreto della ricerca, questa ha avuto come oggetto l’analisi dei
percorsi imprenditoriali degli stranieri e l’analisi dei percorsi di inserimento degli stessi nel
tessuto socio-economico di Genova con particolare attenzione ai soggetti economici attivi nel
campo della cosiddetta industria creativa.
La parte di rilevazione dei dati è stata svolta attraverso interviste (qualitative) con l’aggiunta
di una compilazione di un breve questionario somministrato successivamente all’intervista.
Con l’intervista si è cercato di capire il percorso imprenditoriale e la situazione a livello di
inserimento prima e dopo l’apertura dell’attività imprenditoriale, mentre con il questionario si
andrà a vedere l’autopercezione che gli imprenditori hanno per quanto riguarda i rapporti con
la società di arrivo. Il questionario verrà quindi somministrato successivamente in quanto,
essendo strutturato con domande più dirette, potrebbe poi influenzare le risposte nel corso
dell’intervista.
Nel corso delle interviste sono state approfondite le seguenti tematiche:
l’analisi dell’attività imprenditoriale e dei percorsi imprenditoriali
il rapporto degli imprenditori col territorio e con le persone che lo abitano
gli elementi di creatività e manualità degli imprenditori stranieri
Per quanto riguarda la scelta degli intervistati, partendo dallo schema di tipologie di imprese
sopra illustrato, si è scelto di intervistare 27 persone divise in maniera uguale secondo tre
fasce (ricavate dallo schema di Ambrosini e Martinelli):
- Fascia A: imprese che offrono servizi, beni, prodotti ecc. di carattere “etnico” o non
legati direttamente al paese di provenienza ma comunque destinati ad una clientela in
maggioranza di connazionali e/o di stranieri (macellerie islamiche, phone centers,
mediatori creditizi, agenzie di viaggio ecc.), comprende le tipologie “impresa etnica”,
“impresa intermediaria” e “impresa prossima”
- Fascia B: imprese che offrono servizi, beni, prodotti etc. di carattere “etnico” legati
alle esigenze della popolazione immigrata ma aventi una clientela mista, non solo di
connazionali e stranieri ma anche di altre persone, attratte dalla particolarità dei
prodotti offerti ecc. (minimarket con prodotti dall’estero, ristoranti tipici ecc.),
comprende le tipologie “impresa etnica allargata” e “impresa esotica”
- Fascia C: imprese che vendono prodotti non particolarmente legati all’essere straniero
dell’imprenditore, la cui clientela è quindi assolutamente eterogenea, in pratica solo il
titolare è straniero (pizzerie, aziende del settore dell’abbigliamento, imprese edili,
fotografi ecc.), comprende la tipologia “impresa aperta”
9
Sono state svolte 30 interviste a imprenditori stranieri aventi l’attività a Genova: 27 (9 per
ogni fascia –Tabella 1-) sono state le interviste “usate” per la parte relativa all’integrazione
degli immigrati imprenditori” (solo relativamente a questa parte è stato quindi usata la
classificazione a tre fasce) e 13 (3 delle quali utilizzate solo per questa parte) quelle fatte a
imprenditori creativi.
Tab. 2 Le 27 interviste per fascia
Fascia di attività Frequenza
Fascia A (beni e prodotti
solo per immigrati) 9
Fascia B (beni "etnici"
ma clientela mista) 9
Fascia C (beni e prodotti
generici) 9
Totale 27
Come si sarà già capito la ricerca è quindi divisa in due parti, una relativa alla connessione fra
attività imprenditoriale e integrazione degli immigrati e l’altra relativa alla creatività degli
stranieri imprenditori: proprio per questo si è deciso di analizzare separatamente i risultati
emersi per ogni categoria (anche se 10 soggetti appartengono ad entrambe), analizzando
prima i risultati delle 27 interviste e poi focalizzandosi sulle 13 della parte relativa alla
creatività.
Infine, le interviste sono svolte principalmente nella zona del centro storico (Municipio
Centro Est), ma queste sono state fatte anche in altre zone (in particolare nei Municipi:
Ponente, Medio Ponente, Centro Ovest, Medio Levante). La posizione territoriale all’interno
di Genova non è stata considerata rilevante e quindi non si è fatta attenzione a diversificare
più di tanto le area di reperimento degli intervistati.
10
2. Parte prima: percorsi di imprenditoria e integrazione degli stranieri
In questa prima parte si farà quindi riferimento al profilo dei 27 intervistati e ai risultati
emersi da tali interviste.
2.1. Il profilo socio-anagrafico degli intervistati e le tipologie di imprese
Dei 27 intervistati, 17 sono maschi e 10 femmine; per quanto riguarda l’età (prendendo come
riferimento l’anno 2011), la maggioranza degli intervistati ha fra i 36 e i 45 anni (14), con una
buona percentuale di persone fra i 46 e i 55: questo conferma6 il fatto che solitamente gli
imprenditori stranieri hanno un’età superiore ai quarant’anni (anche se non si vede dalla
tabella sottostante, dall’analisi delle età non divise in classi, emerge che due terzi degli
intervistati ha più di quarant’anni).
Tab. 3 Distribuzione per classi di età degli intervistati
Classe di età Frequenza
18-25 0
26-35 2
36-45 14
46-55 8
56-65 3
+65 0
(N=27)
6 Quando si usa il vocabolo confermare (i risultati delle precedenti ricerche) non si intende dire assolutamente
che quanto emerge dalle tabelle riportate sia rappresentativo o indicativo di una qualsivoglia popolazione
(esempio: imprenditori stranieri genovesi) ma solo che nella casualità della selezione degli intervistati (per età,
differenza apertura azienda e anno di arrivo ecc.) comunque si riproduce una situazione già messa in evidenza da
ricerche precedenti.
11
Fig. 1. Distribuzione per classi di età degli intervistati
Nel corso della ricerca si è cercato di variare la nazionalità degli intervistati in modo da non
focalizzarci su persone provenienti da uno stesso paese o da uno stesso continente. Sono stati
intervistate quindi persone provenienti da 16 stati differenti: Argentina (1), Brasile (1), Cina
(2), Costa d’Avorio (1), Ecuador (4), Egitto (1), Giordania (1), Iran (1), Marocco (5), Messico
(1), Pakistan (1), Perù (1), Senegal (4), Sri Lanka (1) , Thailandia (1) e Tunisia (1).
Per quanto riguarda lo stato civile degli intervistati la maggior parte sono sposati (e quasi tutti
hanno moglie e/o figli in Italia).
12
Tab. 4 Stato civile degli intervistati
Stato civile Frequenza
celibe/nubile 4
sposato/convivente 19
divorziato/separato 3
vedovo/a 1
(N=27)
Fig. 2. Stato civile degli intervistati
Riguardo al titolo di studio, in maggioranza gli intervistati hanno una scolarizzazione medio-
alta (la stragrande maggioranza ha almeno il Diploma) e nessuno è privo di titolo di studio.
Dall’analisi dei dati e delle interviste il titolo di studio non sembra utile per spiegare i
13
differenti tipi di attività (fasce). Il livello di educazione medio-alto è infatti comune a tutte e
tre le fasce.
Tab. 5 Titolo di studio degli intervistati
Titolo Frequenza
Nessun titolo 0
Licenza
elementare 3
Licenza media 2
Qualifica
professionale 4
Diploma 10
Laurea/Post-
laurea 8
(N=27)
Fig. 3. Titolo di studio degli intervistati
14
Per quanto riguarda invece l’anzianità migratoria questa si conferma essere (come nelle
ricerche svolte in precedenza sull’argomento) piuttosto elevata: addirittura più dell’80% è
arrivato in Italia da almeno 12 anni, e solo uno da meno di 5.
Tab. 6 Numero di anni da arrivo in Italia
Anni Frequenza
0-5 1
6-11 4
12-17 8
18-23 9
+ 23 5
(N=27)
Anche l’esperienza degli intervistati come imprenditori è abbastanza lunga (anche se non
come la presenza in Italia): quasi la metà degli intervistati ha iniziato questo percorso di
autonomia da almeno 6 a 11 anni fa e una buona parte già da almeno 12.
Tab. 7 Numero di anni da apertura prima attività in Italia
Anni Frequenza
0-5 7
6-11 11
12-17 6
18-23 2
+ 23 1
(N=27)
Interessante è poi analizzare la differenza fra l’anno di arrivo e l’apertura dell’attività: anche
qui viene confermato il fatto che gli immigrati difficilmente iniziano subito un’attività
15
imprenditoriale, ma aspettano comunque pochi anni prima di aprire l’attività: 11 persone nei
primi 5 anni (anche se 8 delle 11 persone che hanno aperto nei primi 5 anni lo hanno fatto
dopo 4-5), e quasi l’80% nei primi 10 anni.
Tabella 8 Differenza fra anno di arrivo e anno di apertura prima attività in Italia
Anni Frequenza Frequenza
Cumulata
0 2 2
1 1 3
4 3 6
5 5 11
6 1 12
7 2 14
8 4 18
10 3 21
11 1 22
12 1 23
15 2 25
21 1 26
29 1 27
(N=27)
16
Tabella 9 Differenza fra anno di arrivo e anno di apertura prima attività in Italia (classi)
Anni Frequenza
0-5 11
6-11 11
12-17 3
+18 2
(N=27)
Fig. 4. Differenza fra anno di arrivo e anno di apertura prima attività in Italia (classi)
Passando alla descrizione delle attività svolte da coloro che sono stati intervistati, anche qui si
è cercato di differenziarle il più possibile (sempre mantenendo fermo l’assunto di intervistare
9 persone per fascia), come si può vedere dalla tabella sottostante.
17
Tab. 10 Attività svolte
Attività Frequenza
Agenzia biglietti viaggi 1
Fotografo 1
Macelleria hallal 3
Minimarket 1
Money transfert-phone center 4
Negozio prodotti "tipici" 2
Orafo 1
Palestra Capoeira 1
Parrucchiere (treccine) 1
Pittore 1
Pizzeria da asporto 1
Restaurazione 1
Ristorazione "etnica" 5
Sartoria 3
Tappezziere 1
(N=27)
Sempre riguardo alle attività svolte, è utile vedere la tipologia sia dei beni, prodotti e servizi
venduti che il mercato che queste hanno. Dal punto di vista dei prodotti e servizi offerti, la
maggior parte di questi è di carattere “etnico” o comunque strettamente relazionato ai bisogni
degli immigrati. Però se si guarda la tipologia di mercato si vede come la grande maggioranza
delle attività abbia un carattere generalistico (o al più misto), cioè il prodotto viene “offerto” a
tutti.
18
Tab. 11 Distribuzione per tipo prodotto
Tipo prodotto Frequenza
Etnico 16
Convenzionale
(non etnico) 11
(N=27)
Fig. 5. Distribuzione per tipo prodotto
Tab. 12 Distribuzione per tipo di mercato
Tipo
mercato Frequenza
Etnico 3
Misto 7
Generalistico 17
(N=27)
19
Fig. 6. Distribuzione per tipo di mercato
Riassumendo le due tabelle precedenti, sembra opportuno riproporre lo schema di Martinelli e
Ambrosini per vedere come si distribuiscono le attività degli intervistati.
Tab. 13 Distribuzione per tipologia di impresa
Fascia Tipo
impresa Frequenza
A
a Impresa
etnica 3
b Impresa
intermediaria 5
d Impresa
prossima 1
B
c Impresa
etnica
allargata
2
e Impresa
esotica 7
C f Impresa
aperta 9
(N=27)
20
2.2. Prima dell’Italia: motivazioni e profilo pre-immigrazione
Iniziando a delineare il profilo degli intervistati dal punto di vista delle loro esperienza di vita
e lavorativa, sembra opportuno partire dall’analisi del lavoro che questi svolgevano nel loro
paese, prima di decidere di trasferirsi in Italia.
A questo proposito la maggioranza degli imprenditori svolgeva attività altamente qualificate,
solitamente legate al percorso di studio svolto in patria. Alcuni facevano lavori legati
all’intelletto (insegnante, ingegnere, architetto ecc.):
Io sono stata parecchio tempo insegnante al mio paese; ho insegnato inglese sia alle
elementari che alle superiori (F3b7)
Nel mio paese facevo l’architetto, […]. Sono venuta nel 1989, perché nel mio Paese non
pagavano bene, come architetto prendevo poco (F4b)
Altri facevano lavori legati alla manualità ma comunque socialmente molto considerati (per
esempio, restauratore d’arte):
Lavoravo già nel restauro di opere d’arte, il mio campo è più materiale archeologico,
era un’attività che svolgevo in parallelo con i miei studi universitari…poi ho continuato
e facevo anche qualche lezione all’università (M6c)
Fra coloro che non svolgevano un’attività altamente qualificata la maggioranza lavoravano
nel campo della manualità, ed erano piccoli commercianti (sartoria, oreficeria, fotografia);
inoltre il loro lavoro era connesso al percorso di studio precedente:
Nel mio paese facevo anche lì la sarta, sempre lavoravo nel campo della sartoria,
avendo preso il diploma di sarta (F6c)
7 Il codice posto a fine citazione identifica l’intervistato: il primo carattere indica il genere (m/f), il secondo il
numero progressivo di intervistato (in riferimento sempre al genere) e il terzo carattere la fascia di appartenenza
(a/b/c).
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Il mio lavoro è sempre stato l’orafo, perché sia mio padre che mio nonno lo erano
(M4c)
Alcuni fra gli intervistati (anche se in misura minore) sono venuti poi o per motivi di studio, o
subito dopo aver finito gli studi (solitamente universitari):
Nel mio paese studiavo, sono venuto per motivi di studio, ho preso il diploma e poi sono
venuto qua, mi sono iscritto all’università ma non ho finito, ho cominciato a lavorare
(M10c)
Al mio paese non facevo niente, avevo studiato Economia e Commercio, volevo
diventare commerciante (M15a)
Pochissime persone (meno di un quarto degli intervistati) svolgevano in patria lavori non
qualificati o avevano difficoltà lavorative:
Vivevo in una piccola cittadina e ho la Quinta elementare; non avevo nessuna
professionalità quindi facevo lavoretti ogni tanto di qualunque genere e senza
prospettive di sviluppo di carriera (M17b)
Lavoravo poco, facevo il venditore ambulante sulle spiagge (M19a)
Visto che la nostra analisi si basa anche sulla differenza fra tipologia di attività, si cercherà
ora di capire se vi sono differenze in questo ambito fra coloro che hanno attività differenti.
Dall’analisi delle interviste non emerge una differenza fra i percorsi lavorativi in patria: da
questo punto di vista non si può trovare un profilo più ricorrente per ciascuna fascia.
L’unica cosa che si può sottolineare è che, coloro che avevano una qualifica professionale
legata ad un lavoro manuale (sartoria, restaurazione, oreficeria ecc.) riescono a riproporre le
loro competenze anche nel mercato italiano.
Riassumendo quanto emerso in questa prima parte del paragrafo, emerge quindi che gli
intervistati presentano un profilo lavorativo (ed educativo) tendenzialmente medio-alto.
Passando a trattare molto velocemente delle motivazioni che hanno spinto gli immigrati a
venire in Italia, queste sono fondamentalmente tre.
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La prima è quella economica, o più in generale la volontà di avere prospettive migliori: spesso
nel paese di origine i soggetti erano pagati poco (pur svolgendo un lavoro qualificato):
Sono venuta nel 1989, perché nel mio Paese non pagavano bene, come architetto
prendevo poco e perciò ho deciso di venire per migliorare, per cercare futuro (F4b)
La crisi economica ci ha fatto scappare dall’Ecuador. E’ in questo momento che è
iniziata l’immigrazione… (F7a)
Altra motivazione emersa è la volontà di conoscere un altro paese e svolgere un’esperienza
di vita differente, nuova:
Lavoravo in un ufficio come segretario da tanti anni e un giorno mi è venuta l’idea di
avere un’esperienza nuova (M7b)
38 anni fa ho deciso, per cambiare e scoprire il mondo, di venire in Italia. Da subito
sono venuta a Genova e sono venuta da sola (F5c)
Terzo percorso è stato quello di venire in Italia per ragioni di studio, non sempre andate a
buon fine:
Sono venuta nel ’98 da mio fratello con l’obiettivo di continuare i miei studi di
biologia; avevo già avuto il diploma in studi generali in biologia a Casablanca e qui a
Genova mi sono laureata in scienze biologiche (F8a)
Sono venuto in Italia nel ’70 da solo per studiare, mi sono iscritto a ingegneria e ho
fatto due anni (M11b)
Un percorso residuale, e non maggioritario, è stato quello di raggiungere o seguire un caro
(solitamente il marito, visto che questo percorso è tipico delle donne):
Ci siamo sposati ma mio marito è venuto prima qua, nel 1989, e io sono arrivata dopo,
nel 1993 (F1c)
23
Sono venuta nel ’92, dopo otto mesi che mio marito era venuto qui per curarsi il
diabete…io l’ho raggiunto per stare con lui insieme ai bambini (F9a)
Anche qui, come nel caso precedente non emergono differenze fra le tipologie di attività.
2.3. L’inizio in Italia: esperienze lavorativa pre-attività autonoma
Per quanto riguarda l’esperienza lavorativa una volta arrivati in Italia, qui emergono le note
più dolenti. Infatti la maggior parte degli individui afferma di aver fatto una molteplicità di
lavori malpagati, frustranti e non corrispondenti alle proprie competenze. Sembra quindi che
le interviste confermino l’ipotesi della mobilità bloccata (per esempio si veda: Ambrosini,
2005; Kwok Bun e Jin Hui, 1995):
Sono venuta da sola ma qui da un anno c’era già mia sorella, che mi ha aperto la
strada; tanto che sono arrivata di sabato e il lunedì lavoravo già in casa di due anziani.
Sono arrivata nell’ottobre del 2001. Mi prendevo cura della casa i di loro dal punto di
vista anche sanitario. Non sapevo una parola di italiano, ma mi sono imposta lo stesso
metodo che usavo con i miei studenti; ho usato un libro per imparare l’italiano,
studiavo molto quando i signori dormivano, di sera. Io essendo stata molto attiva nel
mio paese dove di giorno lavoravo in ufficio dal mio ex-marito, che aveva un’attività, e
di sera facevo l’insegnante, ora sentivo in gabbia perché lavoravo tutto il giorno in
quella casa (F3b)
Qui ho fatto tutti i mestieri…domestica, cameriera ecc: nell’ultimo ristorante dove sono
stata mi sono trovata molto male, in più ero diventata vedova e avevo mio figlio piccolo
e ho così deciso di provare a mettermi in proprio (M16a)
Alcune persone, altamente qualificate, hanno poi svolto all’inizio il lavoro per il quale
avevano studiato e che hanno fatto anche in patria (ingegnere, architetto ecc.), “cadendo”
dopo un po’ di tempo nel circolo vizioso sopra evidenziato:
Non ho sempre fatto questo lavoro: prima ho fatto una prova presso un architetto a
Ostuni, poi nel 1991 sono venuta a Genova e sino al 1992 facevo i mercati, vendevo le
sciarpe nei mercati, poi ho lavorato in un ristorante in Via Donghi in cui cucinavo,
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facevo la cameriera, facevo tutto, come dipendente però;e li ho lavorato più o meno 4
mesi, poi mi ha licenziato perché ero sotto mutua, cosi l’ho denunciato. Dopo poi ho
lavorato in un’impresa di pulizie. Poi dal 1996 ho iniziato a vendere in mezzo alla
strada, poi dal 1997 vendevo in casa e dal 2004 ho cominciato questa attività (F4b)
All’inizio arrivato in Italia ho fatto il programmatore, ma mi pagavano molto poco per
lavori difficili, poi c’era il problema che se sei straniero difficilmente ti affidavano
direttamente un lavoro. Poi ho fatto di tutto, lavascale, muratore ecc. (M14a)
Pochissimi sono stati coloro che da subito hanno svolto un lavoro consono alle loro
aspettative:
Ho lavorato all’inizio come insegnante di inglese, poi alla Costa Crociere e alla festival
prima che fallisse (F2b)
Da quando sono emigrato ho sempre svolto lavoro autonomo nella ristorazione. Prima
sono stato a Milano e anche là avevo un ristorante (M18b)
Altro percorso tipico, anche se nelle interviste emerge in misura molto minore rispetto al
precedente, è quello della valorizzazione delle esperienze precedenti, svolte nell’ambito in cui
poi si intraprenderà l’attività; questo in una duplice modalità.
In primis proprio per imparare un mestiere e poi avere la possibilità di portarlo avanti da soli:
Da subito ho fatto il macellaio, prima come dipendente di un italiano che mi ha
insegnato e poi mi sono messo in proprio (M12a)
Oppure perché in un primo momento si è lavorato da dipendente nell’ambito in cui si era già
esperti, e dopo un po’ di tempo, dopo essersi fatti conoscere ci si è messi in proprio:
Subito non ho fatto il tappezziere da solo per la lingua e perché ho voluto imparare i
gusti di qui che sono diversi da quelli dell’Africa, sapere dove vendono la stoffa ecc, ho
lavorato prima come dipendente (M13c)
25
Ho iniziato a Milano dove però non sono riuscito ad inserirmi in nessun contesto, né
per la palestra né nel sociale. Quindi sono venuto a Genova, il primo posto fu una
palestra ad Albaro che mi ospitava; poi dopo 10 anni di corsi in varie palestre, ho
trovato un certo numero di allievi, ho saputo dell’incubatore d’impresa, ho presentato
il mio progetto, ma la mia attività era già avviata, i clienti li avevo, mi serviva una sede,
l’avevo già individuata per caso passando avevo visto questo spazio (M8b)
Da subito ho fatto questo lavoro. Prima ho lavorato come dipendente, nel senso che
non ho aperto una partita iva ma lavoravo per un laboratorio. Dopo un anno mi sono
staccato e ho cominciato a lavorare in proprio (M6c)
A questo si collega anche il fattore della cosiddetta specializzazione lavorativa di certe
nazionalità (basti pensare al fatto che quasi tutti gli immigrati di nazionalità egiziana fanno i
pizzaioli):
La pizza non è mai stata una cosa della nostra cucina e giù la pizza che va di più è
quella americana, quella alta, non la pizza italiana; solo qua tutti gli egiziani fanno i
pizzaioli e mio marito ha imparato qua e lo dice che ha imparato qua e non giù perché
è la vera pizza italiana e non può dire diversamente. Gli egiziani scelgono il mestiere di
pizzaioli perché tutti i precedenti egiziani lo hanno fatto, e non vedo fare altre cose per
gli egiziani (F1c)
Visto che la maggioranza delle persone ha svolto le attività più disparate prima di diventare
lavoratore autonomo/imprenditore anche qui non si registrano differenze a seconda del ramo
di attività autonoma.
2.4. L’inizio dell’attività
Passando a trattare dell’attività imprenditoriale un primo punto da analizzare è quello
dell’aiuto e del supporto che è stato dato da amici, parenti, istituzioni ecc. e vedere se questo è
stato decisivo.
Quasi tutti gli intervistati hanno investito parecchi dei loro risparmi nell’apertura dell’attività,
pertanto possiamo dire che, al di là degli aiuti ricevuti, la maggior parte ha sviluppato
autonomamente le capacità economiche tali da intraprendere un’attività:
26
Nessuno mi ha aiutato, tutto di tasca mia, un aiutino del comune, ho fatto un corso per
lavoratori autonomi, quando apri la partita IVA ti danno circa 1000 euro … un piccolo
aiuto (M1c)
Qualche volta i parenti ti danno qualcosa, ma non è quello che cambia le cose, perché
nel momento in cui hai bisogno, non hai bisogno di 1.000€, ma di un bel malloppo tutto
assieme per fare qualcosa (M4c)
Un aiuto fondamentale a Genova è quello dell’Incubatore di Imprese che fa capo a Job Centre
del Comune di Genova.
Dal '99 l'Incubatore di Imprese Centro Storico del Comune di Genova supporta la creazione di
nuove unità produttive in una zona della città dalle storiche tradizioni artigianali e
commerciali (attraverso affitti di locali a prezzi bassi e finanziamenti a fondo perduto e/o a
tasso zero). L'area di intervento è la zona attorno a Via della Maddalena e Via Pré.
Molti intervistati hanno quindi aperto nel centro storico e grazie all’aiuto dell’Incubatore:
Per fortuna è uscito questo bando per le imprese al femminile e allora ha fatto il
progetto con il locale di sopra, facendo il cambio da uso abitativo ad uso commerciale,
e meno male che è andato a buon fine, è stato approvato e il Comune mi ha dato dei
soldi a fondo perduto per ristrutturare e una parte da restituire. Nell’apertura sono
stata aiutata da un caro amico, che mi ha scritto il progetto, mentre dal punto di vista
economico mi sono arrangiata, anzi ho addirittura venduto l’appartamento giù al
Paese per 40.000 €, poi ho venduto mucchi di oro e ho messo tutto qua dentro; quindi
erano i miei risparmi. (F4b)
…poi dopo 10 anni di corsi in varie palestre, ho trovato un certo numero di allievi, ho
saputo dell’incubatore d’impresa, ho presentato il mio progetto, ma la mia attività era
già avviata, i clienti li avevo, mi serviva una sede, l’avevo già individuata per caso
passando avevo visto questo spazio (M8b)
Spesso a quest’aiuto da parte del Comune si è aggiunta la possibilità di ottenere prestiti
bancari (forti dell’appoggio del Comune):
27
Ho aperto 5 anni fa (nel 2007), sfruttando il bando per l’assegnazione del locale
dell’incubatore.
All’inizio mi avevano bocciato l’idea ma poi nessuno voleva questo locale e me l’hanno
dato a me.
Il comune mi ha dato anche un piccolo aiuto: per questo locale, dove non c’era niente,
neanche il bagno, mi ha dato a fondo perduto 19mila euro. Poi mi ha prestato dei soldi,
con un tasso minore dell’1%, la Filse (Finanziaria Ligure per lo Sviluppo Economico),
anche se ti danno solo il 75% della somma di cui hai bisogno. Ho usato anche dei soldi
che avevo messo da parte nei miei primi anni in Italia (F2b)
Analizzando poi l’inserimento in reti amicali o parentali si è visto come la rete di parenti sia
stata fondamentale nell’avvio dell’impresa (unita come già detto al possesso di un capitale
proprio), anche e soprattutto dal punto di vista economico:
Il negozio è stato aperto grazie a prestiti da parte di familiari. I primi anni abbiamo
avuto grosse difficoltà economiche ma siamo andati avanti sempre con aiuti familiari.
Non abbiamo avuto nessun finanziamento dalle istituzioni per il problema soprattutto
della lingua e della burocrazia (M17b)
Ho aperto con l’aiuto economico della famiglia… (F8a)
Quando ho iniziato questa attività mio cugino mi ha prestato dei soldi (M3c)
Le reti di amici sembrano meno importanti perché solo sei persone affermano di avere avuto
aiuti da amici: tre da connazionali/altri stranieri e altri quattro da italiani.
L’aiuto ricevuto da amici italiani sembra più di supporto e consiglio, soprattutto per quanto
riguarda le difficoltà burocratiche che gli stranieri incontrano:
Io ho tantissimi amici genovesi, anche importanti, ho avuto subito le informazioni e
l’aiuto morale per aprire la mia attività (M1c)
Nell’apertura sono stata aiutata da un caro amico, che mi ha scritto il progetto, mentre
dal punto di vista economico mi sono arrangiata, anzi ho addirittura venduto
28
l’appartamento giù al Paese per 40.000 €, poi ho venduto mucchi di oro e ho messo
tutto qua dentro; quindi erano i miei risparmi. (F4b)
L’aiuto di altri stranieri e connazionali sembra invece più di carattere economico (come quello
dei famigliari):
Non ho avuto nessun aiuto da enti pubblici e similari ma alcuni amici mi hanno aiutato
economicamente. Gli amici (connazionali) non sono stati fondamentali ma comunque
molto importanti per l’apertura dell’attività (F6c)
Per aprire il negozio di scarpe mi hanno aiutato amici e parenti con qualche prestito
temporaneo. Inoltre il negozio l’ho rilevato da un amico marocchino e quindi l’ho
pagato pian piano. Le scarpe le compravo nei dintorni di Bari, dove vivevano i miei
fratelli (M16a)
Analizzando la tipologia di attività si vede che non ci sono moltissime differenza: comunque,
la tendenza che appare è che coloro che sono passati per canali maggiormente istituzionali
(aiuto comunale attraverso l’Incubatore di imprese e richiesta di finanziamenti/prestiti) siano
concentrati in misura minore nella fascia A. Al di là di questo dato non sembra che gli
intervistati appartenenti a tale attività presentino un profilo generale meno “virtuoso” rispetto
agli appartenenti alle altre due tipologie.
2.5. I percorsi imprenditoriali: fra fragilità e espansione?
I percorsi imprenditoriali degli intervistati sono poco lineari e frammentati. Poche (circa un
terzo degli intervistati) sono infatti le persone che hanno aperto un’attività e l’hanno
mantenuta per molto tempo (senza aprire un altro negozio o cambiare tipologia di attività).
Molto spesso invece gli imprenditori hanno aperto un’attività (tipicamente un negozio) e poi
ne hanno aperto un altra dopo un po’, chiudendo contestualmente la prima o tenendola aperto
per qualche altro anno per poi chiuderla.
Questo processo evidenzia sia un tentativo di assestamento e consolidamento dell’attività che
un’intrinseca fragilità delle stesse.
Per quanto riguarda il primo aspetto, alcuni imprenditori, una volta che la prima attività è ben
avviata decidono di intraprenderne un’altra in parallelo:
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Noi siamo stati il primo phone center in via Pré nel ’98, che andava molto bene. Poi nel
2001 abbiamo aperto questo in via Gramsci, e fino al 2003 abbiamo tenuto anche
quello in via pré. Da tre anni (2008) abbiamo aperto anche un negozio di alimentari in
corso Torino, che gestisce mio marito (F10a)
Prima ho iniziato a fare l’attività di importazione in Tunisia, prendere la merce qua e
portarla la, ho costruito un po’ il capitale per iniziare il lavoro qua; sono stato a
lavorare all’estero dal 1993 al 1994, sempre con base in Italia, era un bel business a
quei tempi li, avevo due magazzini a Genova, perché prima gli affitti non erano alti e
così ho fatto un po’ di capitale. Praticamente il mio lavoro è sempre stato spedire la
merce dall’Italia alla Tunisia, ma adesso mi sono fermato per i bambini Dal 2000,
prima avevo un phone center, dopo non andava più il phone center allora ho
cominciato a fare ristorazione, già nel 2002-2003. All’inizio ho iniziato con un altro
ristorante, poi ne ho fatto un altro in Piazza Caricamento che ho venduto, e dopo
questo qua. Adesso il mio ruolo è quello di gestire questi due locali (M5b)
Più spesso l’apertura/chiusura di attività è legata alla fragilità delle imprese, oltre che alla crisi
economica attuale, su cui torneremo più avanti:
…nel ’99 ho aperto un negozio sempre di parrucchiera (però a nome di mio marito) e
dopo qualche anno andava male e l’abbiamo chiuso. Subito dopo ho aperto un negozio
di alimentari: dal 2004 l’ho chiuso all’inizio del 2011 perché il padrone del negozio mi
voleva portare l’affitto da mille a 1500 euro al mese..e non ce la facevo. All’inizio il
negozio andava bene poi sempre peggio…ultimamente malissimo. Ora da 8 mesi ho
questo negozietto: non va tanto bene perché ci viene poca gente (F9a)
Prima a Sampierdarena in società con un amico di mio marito, ma è andata male
perché mio marito è troppo bravo e alla fine l’ha preso tutto lui il debito, qui siamo
venuti con il debito, ma piano piano ce l’abbiamo fatta. Siamo qua dal 2004, quindi 7
anni (F1c)
30
Addirittura alcune volte sono state chiuse le attività, per poi riprendere dopo qualche mese o
anno:
Prima avevo un negozio in cima, ma l’ho chiuso perché avevo dei problemi, poi quelli
dell’Incubatore mi hanno chiamato per darmi un’altra opportunità (M4c)
Una mia zia mi ha fatto venire qua e mi ha aiutato ad aprire l’attività che faccio
tutt’ora, però ero a Novara e visto che non andava bene, sono andato a scuola per
migliorare la mia esperienza e mi è piaciuta molto, sono riuscito a lavorare in alcune
ditte, ma poi con la crisi, mia zia non ha voluto che continuassi l’attività e allora sono
venuto qua a Genova a vendere le borse sulle spiagge, ma non andavo bene, perché mi
vergognavo a vendere le borse e sono riuscito a creare un’attività di nuovo qua a
Genova nel 2010 (M3c)
2.6. Nello svolgimento dell’attività: dipendenti, fornitori e clientela
Per quanto riguarda lo svolgimento dell’attività, si è poi investigato riguardo ai rapporti e
al profili di dipendenti, fornitori e alla clientela.
L’interesse era quello di vedere sia che dipendenti e fornitori (italiani, connazionali ecc.) gli
intervistati hanno, e come erano i rapporti con loro. Inoltre si è cercato di capire i rapporti che
i lavoratori hanno con la clientela, e se questi rapporti si differenziano a seconda della
tipologia di cliente (italiano, straniero ecc.). A questo proposito è opportuni chiarire che quasi
tutti gli intervistati hanno una clientela mista, con una preponderanza però per una categoria
(per esempio: stranieri).
Partendo dai dipendenti, si è considerati tali anche quei familiari (o amici) che aiutano
nell’impresa, senza che vi sia un contratto formalizzato.
31
Tabella 14 “Tipo” di dipendenti
Dipendenti Frequenza
Nessun dipendente 10
Solo italiani 2
Solo stranieri 6
Solo connazionali (no
famiglia)
-
Solo familiari (Co-gestione
famigliare)
5
Misti* 4
(N=27)
Come si può vedere dalla tabella sopra, molti non hanno dipendenti, un po’ perché non ne
hanno bisogno e un po’ perché non hanno i soldi per pagare una persona che li aiuti:
Attualmente non posso perché come faccio a pagare? Faccio tutto io (F4b)
Dipendenti non ne ho perché non ce la faccio a pagarli e poi non ho neanche tanto
lavoro (F9a)
Alcuni avevano dei dipendenti ma con la crisi hanno dovuto licenziarli:
Ora non ho dipendenti…prima avevo una ragazza straniera e ancora prima una
italiana…ma non potevo permettermi di pagarle (F10a)
Per ovviare a questa difficoltà economica molti si fanno aiutare da familiari (o meno
frequentemente amici):
* I casi di dipendenti misti erano così costituiti: un dipendente italiano e uno straniero; vari dipendenti italiani e il
marito; un dipendente straniero e uno connazionale; vari dipendenti connazionali e italiani.
32
Non ho dipendenti perché non me li posso permettere, mi aiuta mio figlio (F3b)
Viene un mio amico senegalese ad aiutarmi e anche mio marito che è marocchino (F8a)
Fra coloro che hanno almeno un dipendente la maggior parte ce li ha stranieri, soprattutto
perché dalle interviste emerge che, per i datori di lavoro, questi lavorano meglio:
Siamo due soci e due dipendenti anche loro stranieri. Il nostro rapporto è famigliare,
molto buono. Siamo solo stranieri perché mi ci trovo meglio, gli italiani fanno questo
lavoro con svogliatezza… (F5c)
E anche chi assume persone italiane lo fa in maniera strumentale, con lo scopo ben preciso di
“front-office”:
I Cinesi lavorano con più impegno, è per me è più facile la comunicazione. Ma i
camerieri italiani hanno la funzione di comunicare meglio con i clienti e capiscono
meglio come comportarsi. Magari il cameriere cinese è più riservato e non capisce
certe battute, mentre gli italiani sì. In questo modo si crea un ambiente più
interculturale (M18b)
Inoltre, negli unici due casi di sole persone italiane coinvolte nell’attività degli intervistati, tali
persone non sono dipendenti veri e propri ma solo aiutanti, che vengono saltuariamente:
C’è un mio conoscente italiano che viene spesso quando devo fare delle commissioni, in
modo da non chiudere il negozio (M7b)
Un caso molto interessante che mostra come gli intervistati siano inseriti nel tessuto genovese
è quello che sotto riportiamo:
Ho due dipendenti…una ragazza straniera e una italiana. Ci siamo conosciuti tramite
una borsa lavoro per ragazze che avevano difficoltà nell’inserirsi nell’ambiente
lavorativo. Poi mi aiuta mio marito (F2b)
33
Riassumendo, gli imprenditori intervistati mostrano di preferire altri stranieri quando devono
assumere formalmente un dipendente, in quanto, secondo loro, gli stranieri lavorano con più
voglia e abnegazione. Invece quando (per ragioni economiche ecc.) si affidano all’aiuto
saltuario attingono dalla rete famigliare o amicale.
Inoltre in tre casi si è evidenziato come spesso nei casi in cui è il marito o la moglie ad aiutare
l’intervistato, il rapporto che sussiste è quello di co-gestione dell’impresa:
Ci sono io che gestisco un po’ la pizzeria, poi c’è mio marito che fa il pizzaiolo, più
abbiamo alcuni ragazzi italiani che fanno da portapizze (F1c)
Le relazioni con i fornitori sono in generale più che buone. La maggior parte degli
intervistati ha quasi esclusivamente fornitori italiani (anche quando si forniscono di prodotti
tipicamente “esteri” come la carne hallal): infatti solo otto intervistati hanno fornitori
connazionali e solo sei dall’estero (ma non dal proprio paese di origine).
La maggioranza non rileva differenze fra fornitori “connazionali” (o “stranieri”) e fornitori
italiani. Nelle sfumature emerge però che i fornitori del proprio paese ripongono maggior
fiducia negli intervistati rispetto a quelli italiani, che inizialmente sono più diffidenti:
In generale con tutte ho ormai un rapporto di fiducia…soprattutto con quella del mio
paese…che magari la pago due o tre giorni dopo… ma anche con le altre (F10a)
I rapporti con i fornitori sono buoni, perché prima non mi conoscevano, ma adesso si
fidano, anche se è difficile farsi conoscere (M3c)
Tab.15 Rapporti con i fornitori
Modalità rapporti Connazionali Altri
stranieri Italiani
No rapporti 19 21 3
Per niente buoni 0 1 0
Non buoni 0 0 0
Abbastanza buoni 3 4 14
Molto buoni 5 1 10
34
(N=27)
Sempre riguardo ai fornitori, si possono evidenziare alcune cose.
In primis molti intervistati non hanno dei fornitori veri e propri, ma comprano ciò che gli
serve o nei negozi “normali”:
Appena aperto avevo un mucchio di ditte con cui ho lavorato tanto, per la birra,
verdura, pesce e carne, però adesso compro poco, perché non voglio poi mettere la
roba nel frigo che poi scade e buttarla e perdere così dei soldi per niente; faccio prima
a comprare piano piano. Mi rifornisco da altri negozianti sia italiani, che stranieri e il
cous cous lo compro nelle macellerie islamiche, mentre le birre le prendo al DìperDì,
all’Ekom, alla Metro, alla Lidl, nei supermercati. Non ho fornitori all’ingrosso, viene
solo uno ogni tanto a portarmi un po’ di pesce, patatine, ma prendo poca roba, perché
è inutile; però quando mi capitano dei gruppi che vengono a mangiare allora si (F4b)
Fornitori veri e propri non ne abbiamo, compriamo al minuto, quello che ci serve per
non sprecare e anche risparmiare. Una volta avevamo dei fornitori ma ci portavano
troppa roba che non ci serviva. Per la roba andiamo da altri negozi e andiamo anche
sul mercato. Abbiamo dei negozi soliti e i rapporti sono buoni, basta che chiami e mi
portano la roba o io la vado a prendere. Comunque dove ci riforniamo sono tutti
italiani (F5c)
Altri comprano via internet, sempre tendenzialmente al dettaglio, direttamente presso aziende
specializzate:
Ho fornitori da tutto il mondo…li scelgo in base alle mie esigenze, al prezzo e alla
qualità, e compro tutto via internet (M14a)
Per particolari materiali per il restauro mi rifornisco da grandi ditte francesi o
tedesche specializzate (M6c)
In generale gli intervistati mostrano di variare la “provenienza” dei loro fornitori a seconda
delle esigenze, del della qualità e del prezzo:
35
Per le ricariche uso dei fornitori italiani..per la Vodafone per esempio faccio
riferimento a un’azienda di Roma…mentre per le carte internazionali ho contatti con
un’azienda dello Sri Lanka e con italiane… (F10a)
All’inizio usavo fornitori francesi e spagnoli per la telefonia, poi ho deciso di
rivolgermi solo ad italiani, perché convenivano (F8a)
Fornitori sulle schede telefoniche e internet, italiani. Con Ecuador collaboriamo per i
conti correnti, noi riceviamo informazioni via internet tutte le informazioni, siamo in
contatto con la sede di Milano (F7a)
Anche coloro che vendono un prodotto profondamente legato al paese di origine (esempio:
artigianato del paese) o che è particolarmente legato alle esigenze di alcuni stranieri (per
esempio carne hallal) non si riforniscono esclusivamente da fornitori della madrepatria (o
comunque pochi lo fanno):
Ho due fornitori uno mi porta la carne da Cuneo e uno da Rapallo. Quello di Cuneo mi
porta anche hallal mentre quello di Rapallo carne italiana, anche se avendo clientela
non solo nordafricana non dovrei avere solo carne hallal (M12a)
Ho tre fornitori, tutti italiani, c’è una ditta italiana che importa cose dal Messico (F2b)
La maggior parte sono artigiani, infatti quando torno a casa porto i disegni e li faccio
fare li; sono 100% made in Thailand. Comunque faccio fare tutti i mobili lì e poi li
importo (M7b)
Per quanto riguarda la clientela, molti intervistati (un quarto) non ha clienti connazionali; fra
coloro che hanno come clientela persone del proprio paese di origine la maggior parte ha
buoni rapporti (17 persone su 20), anche se tre intervistati affermano di non avere buoni
rapporti.
Per quanto riguarda altri clienti stranieri, quasi tutti ce ne hanno, e i rapporti sono piuttosto
buoni; tutti gli intervistati hanno poi clienti italiani e questi sono di gran lunga i “preferiti”,
36
visto che tutti affermano di avere buoni se non ottimi rapporti (più di due terzi degli
intervistati).
Tab.16 Rapporti con i clienti
Modalità rapporti Connazionali Altri
stranieri Italiani
No rapporti 7 1 0
Per niente buoni 1 1 0
Non buoni 2 1 0
Abbastanza buoni 8 13 9
Molto buoni 9 11 18
(N=27)
Anche dalle interviste emerge il buon rapporto che c’è in generale con i clienti:
Con i clienti i rapporti sono ottimi, vengono volentieri…l’80% è italiano e poi il
restante sono latinoamericani (F2b)
Soprattutto sono stranieri, molti turisti che vengono dai paesi vicini. Ho poi i clienti
italiani che mi conoscevano già dalla fiera; i miei connazionali non hanno bisogno di
arredare casa. Chi non ha possibilità di viaggiare o a chi piace arredare casa in questo
stile si rivolge a me. I rapporti con questi clienti sono ottimi (M7b)
La clientela è 70% stranieri e 30% italiani in generale, i rapporti sono uguali con tutti
abbastanza buoni (M15a)
Anche se dalle interviste emerge che, soprattutto fra coloro che hanno più a che fare con gli
stranieri (e cioè gli imprenditori della fascia A), vi è una netta preferenza per i clienti italiani
(che sono una fetta minoritaria della loro clientela):
37
Vengono clienti di vario tipo anche turisti perché facciamo non solo call center,
pratiche, consulenze varie. Due terzi è straniero un terzo sono italiani. I rapporti di
lavoro sono un po’ difficile con gli immigrati ma anche in generale, bisogna avere
pazienza essere flessibili (F8a)
Io preferisco i clienti italiani, perché sono più precisi…anche gli stranieri ok…invece
con i miei compaesani è difficile trattarci..voglio sempre sconti, si lamentano…a volte
per non avere rotture gli dico che non ho più il prodotto che mi chiedono…almeno poi
non tornano a farmi perdere tempo (M14a)
In percentuale 90 clienti sono italiani, poi cinesi, filippini, e anche altre nazionalità.
Alcuni stranieri danno problemi (soprattutto Europa dell'est) perché non pagano. Con
gli italiani questo problema non c'è (M18b)
Se in generale i rapporti con la clientela italiana sono molto buoni e questi sono i “preferiti”
dagli imprenditori stranieri, alcuni intervistati hanno messo in evidenza come, soprattutto
all’inizio, vi sia stata una certa diffidenza nei loro confronti:
La clientela è sia italiana che straniera, generalmente l’italiano pensa di sapere molto
di più di uno straniero, dimostrare il contrario è difficile. C’è stata un po’ di diffidenza,
dimostrare la mia professionalità all’italiano è stato ed è ancora duro (M1c)
Anche se poi, superata la prima diffidenza:
Il rapporto con i clienti è abbastanza buono, il rapporto è normale, è quello fra cliente
e negoziante, però è difficile superare la diffidenza dell’italiano, anche se poi le
persone vengono da noi anche e soprattutto perché, anche se siamo bravi uguali
rispetto a un italiano, costiamo molto meno (M3c)
È da notare che questa diffidenza iniziale si ha solamente con persone che svolgono
un’attività non direttamente legata all’essere straniero (cioè i tipi di attività appartenenti alla
fascia C). Questo è dovuto al fatto che offrendo un bene o prodotto convenzionale, i lavoratori
escono dalla visione comune di persone che intraprendono solo in campi legati alla loro
provenienza. Non si attribuiscono infatti comunemente agli stranieri capacità come quelle di
38
orafa, sarto (ad alta specializzazione) ecc. È sintomatico che nel caso di una pizzeria da
asporto gestita da una coppia di egiziani, il problema non sia stato tanto la diffidenza riguardo
alla qualità della pizza (è opinione comune che tutti gli egiziani siano specializzati nella
pizza), ma per la pulizia del locale:
Con la clientela problemi li abbiamo avuti all’inizio, perché anche se la gente ti accetta
come amico, guarda tanto quando apri il negozio che sei straniero, se sei pulito, sempre
a fissarti e pensano che siamo sporchi e non capisco perché; ma giusto i primi due - tre
anni (F1c)
Si può vedere qui un primo influsso positivo della tipologia di prodotti offerti: attraverso
un’attività non legata all’essere straniero del titolare, gli immigrati riescono a uscire da quella
visione comune di persone senza particolari competenze e specializzazioni.
2.7. L’impatto dell’attività: situazione economica e abitativa
Si passerà ora ad analizzare l’impatto che l’attività autonoma ha avuto sugli intervistati, sia
per quanto riguarda la sfera economica che quella abitativa.
Quello che emerge è che pochi hanno avuto un netto miglioramento economico. Coloro che
hanno avuto un miglioramento economico sono spesso gli imprenditori di lunga data (cioè che
hanno aperto qualche hanno prima del 2008): questi appena hanno aperto hanno avuto un
buon miglioramento, salvo essere in difficoltà negli ultimi anni:
Per la condizione economica ci sono stati periodi buoni, attualmente non è un buon
periodo, fino a 5/6 anni fa andava bene, ora c’è la crisi, i fotografi hanno avuto il
crollo per l’uscita del digitale, è cambiato tutto completamente. Attualmente per saltare
questo periodo dobbiamo darci da fare in un altro modo, la gente non stampa le foto,
allora noi facciamo altre cose… i video, ecc.
(M1c)
La condizione economica ha avuto un certo miglioramento con il passaggio al lavoro
autonomo soprattutto fino al 2004 in quanto Genova ha fatto un sacco di restauri in
quegli anni, anche se ora è tutto fermo (M6c)
39
Dal punto di vista economico la situazione nostra è migliorata, il periodo migliore
ricordo nel 2005 (F7a)
La situazione economica da quando abbiamo i negozi è migliorata, soprattutto i primi
anni (F10a)
Come si può vedere negli ultimi anni anche gli imprenditori stranieri (come quelli italiani del
resto) hanno subito molto la crisi economica mondiale, come emerge da quasi tutte le
interviste svolte:
Quest’anno c’è stata crisi, anche se io sono molto conosciuto, ma è stato l’anno
peggiore, ho anche dovuto usare i risparmi per pagare i dipendenti. La mia forza è che
io faccio tutto (pane ad es. dolci) salto un passaggio e quindi le mie spese sono
abbastanza contenute (M11b)
Attualmente il phone center non va bene…all’inizio sì ma ora no…l’anno scorso siamo
stati anche alluvionati, e poi sentiamo anche la crisi…da due/tre anni va molto peggio
di prima (F10a)
Anche a causa della crisi quindi la situazione economica degli intervistati non è generalmente
migliorata nel passaggio da dipendente a lavoratore autonomo/imprenditore, anzi molti
rimpiangono quando erano dipendenti perché, seppur fra mille difficoltà, erano maggiormente
sicuri di avere un guadagno a fine mese:
Per la cosa di prima di mio marito, quando era dipendente, per me era meglio prima,
perché sia che ci fosse o meno lavoro alla fine del mese prendeva lo stipendio,
tredicesima, quattordicesima e ferie (F1c)
Quando lavoravo come badante era meglio perché loro mi pagavano i contributi più lo
stipendio (F6c)
Economicamente stavo meglio prima, quando facevo la colf…resto autonoma solo
perché non c’è lavoro e non potrei trovare uno da dipendente (F9a)
40
Riguardo alla condizione abitativa, alcuni degli intervistati sono riusciti nel corso degli anni,
spesso grazie all’attività, a comprarsi una casa o a trasferirsi in un quartiere considerato
migliore:
Sono riuscito a comprarmi casa con il mutuo e a mettere su famiglia; alla fine un
lavoratore autonomo che si sa gestire ha più possibilità (M6c)
Come abitazione sono sempre in affitto anche se ho migliorato un po’ la casa, prima
abitavo nel centro storico, poi sono andato a Molassana, ora abito vicino all’Ikea e mi
trovo meglio (M12a)
Con l’attività abbiamo fatto un mutuo e comprato una casa a Multedo (F7a)
Però la maggioranza degli intervistati non ha cambiato molto la sua situazione abitativa:
…non sono per esempio riuscito a comprarmi una casa…sono sempre in affitto (M14a)
Vivo in affitto, sempre nello stesso posto, sono sempre miscio uguale, ma sono molto
soddisfatto (M10c)
Proprio dall’ultima intervista emerge il vero cambiamento che gli intervistati hanno avuto con
l’inizio dell’attività, e cioè la maggior soddisfazione lavorativa:
La mia condizione economica è peggiorata nel senso che si sono ingrandite le entrate
ma anche i debiti, ma ho il negozio e questa è una soddisfazione (F3b)
Dal punto di vista economico no, ma è migliorata perché faccio il lavoro che mi piace
(M4c)
Economicamente penso che se vendessi focaccia sarebbe meglio! In generale direi che
va molto meglio, perché essendo indipendente posso fare quello che mi piace, ma
ovviamente ho delle spese in più (M7b)
41
Con l’apertura dell’attività è quindi aumentata la soddisfazione personale, legata al fatto di
svolgere un lavoro che piace e con un certo grado di autonomia. Questo aumento di
soddisfazione è emerso, nelle interviste, soprattutto fra coloro che svolgono un’attività che si
può inserire nella fascia B o C. Ciò può essere spiegato dal fatto che in queste due fasce c’è
una presenza rilevante di persone che fanno lavori manuali con un certo grado di creatività
(sarti, restauratori, tappezzieri) e/o che presentano qualche specificità legata alla promozione
del luogo di origine attraverso la cucina, i prodotti tipici, l’artigianato ecc.
Più in generale il passaggio al lavoro autonomo ha portato un miglioramento delle condizioni
di vita (al di là della parte economica), sia dal punto di vista del prestigio sociale che
dall’autonomia che tali categorie di lavoratori hanno:
La vita, perciò, in generale, è migliorata tanto, sono più libero, faccio quello che mi
piace (M4c)
…il passaggio a lavoratore autonomo è comunque sempre un miglioramento (M13c)
mentre se fai altri lavori ci sono altre variabili che dipendono da altre
persone/situazioni, inoltre con un'attività autonoma non devi metterti d'accordo con
altri…per esempio nell'edilizia, il lavoro lo decide tutto un capo squadra (M18b )
2.8. Le relazioni: frequenza, tipologia dei rapporti e impatto dell’attività
imprenditoriale
Passiamo ora a descrivere e analizzare i rapporti che gli intervistati affermano di avere con
determinate categorie di persone.
Si evidenzia innanzitutto come gli intervistati non abbiano solo rapporti con connazionali (o
altri stranieri) ma presentino anche numerose conoscenze e amicizie italiane. Ma prima di
trarre delle conclusioni più generali sul profilo degli intervistati sembra opportuno analizzare
con che frequenza avvengono le relazioni con tutte le categorie di persone considerate.
Per quanto riguarda i rapporti con i colleghi, si evidenzia come i rapporti più frequenti siano
con persone italiane (11 persone su 27 frequentano colleghi italiani almeno una volta alla
settimana). Meno frequenti sono i rapporti sia con colleghi connazionali che con colleghi di
altre nazionalità.
42
Tab.17 Frequenza rapporti i colleghi
Frequenza rapporti Connazionali Altri stranieri Italiani
No mai/Quasi mai 11 13 8
Sì, almeno una volta al mese 6 2 6
Sì, almeno una volta ogni due
settimane 1 4 2
Sì, almeno una volta alla
settimana 9 8 11
(N=27)
Per quanto riguarda i rapporti di amicizia, è evidente innanzitutto che questa batteria di
domande investigava, oltre alla frequenza dei rapporti anche se gli intervistati avessero
rapporti di amicizia con persone connazionali, straniere e/o italiane.
È chiaro che la distribuzione delle risposte a tutte e le domande è molto schiacciata verso
l’alto (verso cioè la modalità “una volta alla settimana”), ma anche qui, come nella batteria
precedente, risultano più marcati i rapporti con persone italiane. Molto frequenti sono anche i
rapporti con persone dello stesso paese di origine; meno assidui sono poi quelli con persone
immigrate ma non connazionali visto che più di un terzo afferma di non avere amicizie e
conoscenze approfondite con questa categoria di persone.
Tab. 18 Frequenza rapporti amici e conoscenti
Frequenza rapporti Connazionali Altri stranieri Italiani
No mai/Quasi mai 3 10 2
Sì, almeno una volta
al mese 4 3 3
Sì, almeno una volta
ogni due settimane 2 0 2
Sì, almeno una volta
alla settimana 18 14 20
(N=27)
43
Dal punto di vista dell’impegno associazionistico, risulta una scarsa partecipazione degli
imprenditori stranieri (e questo conferma le ricerche precedenti: ad esempio Erminio, 2008),
visto che in tutte e tre le domande la moda è rappresentata dalle modalità “no mai/quasi mai”.
Questo è dovuto soprattutto al tempo, che viene speso tutta nell’attività lavorativa:
Non faccio parte di associazioni o similari perché non ne ho il tempo, perché lavoro dal
lunedì pomeriggio al sabato sera (F5c)
Non faccio parte di nessuna associazione in particolare…ogni tanto frequentiamo
l’associazione che riunisce i tamil…ma vado solo alle feste perché non ho tempo…
(F10a)
Qui non si evince pressoché alcuna differenza fra la partecipazione ad associazioni italiane
(nel senso di non marcate dal fatto che sono strettamente legate alla provenienza e/o alla
condizione di immigrato) o straniere, anche se come al solito appare meno assidua la
relazione con organizzazioni composte da altri stranieri non connazionali.
Tab. 19 Frequenza rapporti associazioni
Frequenza rapporti Connazionali Altri stranieri Italiani
No mai/Quasi mai 20 22 20
Sì, almeno una volta al
mese 5 3 3
Sì, almeno una volta
ogni due settimane 0 1 2
Sì, almeno una volta
alla settimana 2 1 2
(N=27)
44
Fra coloro che frequentano un’associazione di connazionali, molti lo fanno saltuariamente:
Non faccio parte di nessuna associazione…ogni tanto vado a qualche festa o a qualche
evento organizzato dalla comunità e da associazioni senegalesi ma niente di più…(F9a)
Per analizzare meglio i risultati, anche se sembrano abbastanza chiari, si è deciso di creare tre
indici additivi8 sintetici rispettivamente dei rapporti con: italiani, connazionali e altri stranieri.
Una volta trovati i vari punteggi, si è deciso di dividere in classi tali valori e individuare tre
possibili modalità di “frequenza rapporti”9.
Tab.20 Indice di frequenza rapporti con persone italiane
Frequenza rapporti Connazionali Altri
stranieri Italiani
Mai/pochi 5 11 1
Abbastanza 17 8 16
Molti 5 8 10
(N=27)
Dall’analisi delle tre tabelle viene confermato quanto emerso dalle precedenti, e cioè la
maggior frequenza di relazioni con persone italiane da parte degli intervistati. Infatti
praticamente tutte le persone intervistate ha abbastanza rapporti (se non molti) con persone
italiane. Anche i rapporti con persone connazionali risultano abbastanza frequenti, anche se
non mancano persone che non hanno praticamente rapporti. L’analisi dell’indice di frequenza
delle relazioni con persone straniere ma non connazionali mostra come gli intervistati si
distribuiscano in maniera più omogenea rispetto agli altri due indici; ad ogni modo si vede
come in maggioranza siano le persone che hanno pochissimi rapporti con persone straniere
8 Pur consci del fatto che è una parziale forzatura creare un indice di variabili non cardinali attraverso operazioni
aritmetiche, si è però deciso di svolgere tale operazione in quanto la variabile è ordinale (come suggerito da Delli
Zotti, 2005), semplicemente per avere un’idea approssimativa dei rapporti con le varie categorie di persone. Si
sono quindi sommati i punteggi (cioè il numero associato alle singole modalità, numero che cresceva
all’aumentare dei rapporti) ottenuti in ogni domanda considerata. Inoltre bisogna ribadire che tale indice è
puramente indicativo visto l’esiguità del campione. 9 Tale indice avrà (essendo la somma di tre domande con risposte che possono variare il punteggio fra 1 e 4) un
minimo di 3 e un massimo di 12. Per una migliore leggibilità i risultati sono stati suddivisi in tre fasce (1-4, 5-8,
9-12).
45
non connazionali anche se non manca (e questo si vedeva anche dall’analisi delle precedenti
tabelle) una buona percentuale di persone che ha relazioni frequenti.
Tabella 21 Media punteggi rapporti per ogni indice
Indice rapporti
connazionali
Indice rapporti
stranieri
Indice rapporti
italiani
7 6,22 7,56
Fig.7 Media punteggi rapporti per ogni indice
Per riassumere, gli intervistati mostrano di preferire relazioni o con connazionali (media=7),
con cui condividono lingua, abitudine ecc., e/o, in misura ancora maggiore, con italiani
(media=7,56), che sono visti anche come un “mezzo” per inserirsi e conoscere la società
italiana. Molti meno rapporti vi sono con altri stranieri (media=6,22), anche se non mancano
intervistati che hanno frequentazioni assidue con persone straniere ma non del paese di
origine. Questo mostra come gli imprenditori manifestino, al di là delle normali reti di
connazionali che risultano comunque molto forti, anche una propensione all’apertura, alla
conoscenza della realtà italiana.
Se si analizzano i rapporti in base alle fasce di attività emergono alcuni dati interessanti.
Innanzitutto che il rapporto con i connazionali negli intervistati rimane pressoché invariato:
quindi al di là della tipologia di attività resta fermo il rapporto con i connazionali.
46
I rapporti con persone straniere (non connazionali) risulta invece molto significativo: gli unici
che affermano (nei questionari e nelle interviste) di avere un po’ più rapporti con questa
categoria sono coloro che svolgono un’attività appartenente alla I fascia, ma dalle interviste
emerge che questa si sviluppa solo attraverso la conoscenza dovuta all’attività lavorativa.
In generale i soggetti intervistati, pur manifestando un senso di legame con la propria
madrepatria, sono fortemente aperte alla realtà del paese dove si sono insediati.
Si potrebbe arrivare a ipotizzare che i soggetti intervistati non provino un forte sentimento di
appartenenza alla “comunità immigrata”, ma questa deduzione dovrebbe essere approfondita e
studiata maggiormente.
Andando più nello specifico, uno degli scopi della presente ricerca era capire come erano al
momento dell’apertura i rapporti con alcune categorie di persone e se tali rapporti sono
cambiati in seguito all’apertura dell’attività.
Ciò che emerge è innanzitutto che moltissime persone avevano rapporti con persone italiane
già prima dell’apertura dell’attività, alcuni addirittura avevano (e hanno tuttora) il coniuge
italiano:
Prima di aprire l’attività avevo già amicizie italiane…erano amicizie del lavoro, poi va
beh poi sono sposata con un italiano In generale avevo amici italiani ma anche
stranieri… (F2b)
Sono stata sposata con un italiano e con lui ho avuto una figlia. Non lavorando ho
sempre avuto con le mamme delle compagne di mia figlia un rapporto molto bello (F5c)
Da subito ho fatto amicizia più con gli italiani…uno non può arrivare qui e non
interessarsi a nulla…io ho sempre cercato l’amicizia di persone italiane, con cui è più
facile avere un rapporto di rispetto, amicizia…tu li aiuti e loro ti aiutano…
Frequento un sacco di circoli, le boccette e anche milito in un partito politico. Andando
nei circoli ecc. ho conosciuto e fatto amicizia con un sacco di persone, ho conquistato
la loro fiducia… (M14a)
Comunque attraverso l’attività molti rilevano un miglioramento dei rapporti, soprattutto con
gli italiani ma anche con i connazionali (e altri stranieri):
47
Amici sia italiani che stranieri, che mi sono fatto con l’attività…soprattutto italiani
(M15a)
Mi sento più integrato con la società italiana con il ristorante anche perché i rapporti
sono molto frequenti, con i clienti e con i dipendenti (M18b)
Per quanto riguarda gli italiani, come si è già detto rispetto alla parte sulla clientela, è emerso
un miglioramento della visione dello straniero, persone che vengono viste come dotate di
competenza, voglia di fare ecc.:
Tanto miglioramento perché tanta gente che passa gli piace vedere che ho aperto un
negozio, tanti italiani vengono perché all’inizio credono solo che non abbiamo un
mestiere, se invece ti vedono fare questi lavoro gli piaci, vengono volentieri e spesso
per questo (M4c)
Sì, da quando sono imprenditore sono visto meglio da più persone e sono agevolato per
gli affitti e la visione che gli altri hanno di me è migliorata sia connazionali, sia
stranieri e soprattutto italiani (M5b)
Ho notato che ora mi trattano con ancora più rispetto, come per dire hai fatto
qualcosa! (F5c)
Il rapporto è migliorato a livello personale. Perché se si apre un negozio il rapporto va
ad un livello leggermente superiore. Perché le persone vengono, conoscono… (F6c)
In generale quindi gli intervistati avevano già prima forti e buoni rapporti con gli italiani, ma
questi rapporti sono migliorati anche grazie all’attività:
Uno deve guadagnarsi la fiducia, io ho tantissimi amici genovesi, già dall’inizio, ho
avuto subito le informazioni e l’aiuto morale per aprire la mia attività… […] Con
l’attività ho incrementato molto le conoscenze con italiani, solitamente clienti che
conosco (M1c)
48
Avevo già una cerchia di amici italiani, anche la prima mostra a Noli l’ho fatta con un
mio amico pittore italiano. […] I rapporti con italiani forse è migliorato, avevo tanti
amici anche prima ma ora mi vedono forse in una situazione migliore (M10c)
Nel rapporto con altri stranieri, connazionali in primis, gli intervistati affermano di essere
diventati una sorta di punto di riferimento, di modello da seguire e di persone cui chiedere
consiglio:
Ho aumentato il giro di conoscenze sia italiane che di connazionali. Per loro sono
diventata anche un punto di riferimento, anche per il lavoro. Mi vengono a chiedere se
so di qualche signore che cerca una badante...oppure se so di qualche lavoro… (F3b)
I rapporti con le altre persone non sono molto cambiati…l’unica cosa è che ora sono
conosciuti da tutti..per esempio ogni festa che c’è dei suoi paesani vengono invitati…a
volte vengono invitati anche da persone che non conoscono (F10a)
Certo ora sono guardato in modo diverso per la mia attività che vale, che è conosciuta,
che è un punto d’incontro per la cultura araba (F6c)
Certi intervistati mettono però in evidenzia che con alcune persone (soprattutto altri stranieri)
il rapporto è peggiorato perché provano invidia per la loro posizione:
Nei rapporti in generale il cambiamento è stato positivo, la gente vede che sei una
persona che vuole fare qualcosa, che vuole crescere, che vuole organizzarsi.
A volte c’è invidia, non mi fido tanto delle persone. (M13c)
In generale comunque gli intervistati mostrano di avere amicizie miste, sia italiani che
stranieri, soprattutto connazionali:
Come amicizie ho sia connazionali ma anche italiani…e altri stranieri ma meno (M16a)
Passando a parlare della qualità di questi rapporti (nel senso se vengono percepiti come buoni
e cordiali oppure cattivi e difficoltosi) si andrà a vedere come gli intervistati valutano i
rapporti un buon numero di categorie di persone ed enti.
49
Partendo dagli enti, si è investigato come sono (e se ci sono) rapporti con gli enti pubblici in
generale, con le banche e con la Camera di Commercio.
Da ciò emerge che i rapporti con gli enti pubblici sono piuttosto buoni, e questo non può che
essere un fattore positivo.
I rapporti con le banche invece sono molto contradditori: se infatti la maggioranza ha buone
relazioni, c’è però una buona parte che manifesta problemi nelle relazioni con le banche (un
terzo a cui si vanno a sommare coloro che non hanno rapporti con le banche, persone che di
solito scelgono liberamente di non averne in quanto hanno scarsa fiducia nelle banche).
Questi dati non vanno però enfatizzati perché si suppone che la sfiducia e i cattivi rapporti con
banche e similari siano un fattore comune anche a tanti imprenditori italiani.
Infine molti degli intervistati hanno quasi nulli rapporti con la Camera di Commercio (più
della metà degli intervistati), ma chi dice di avercene, afferma che questi sono buoni.
Dalle interviste viene confermato il generale buon rapporto che le istituzioni:
Ho un buon rapporto con polizia, amministratori, ecc (F6c)
Ho buoni rapporti con i poliziotti del quartiere, perché mi conoscono da piccolo, sono
cresciuto con loro; li conosco da quando sono entrati e quando per ventiquattro anni ti
vedono qua e allora sanno già che sei apposto (M5b)
I rapporti con le istituzioni sono buoni e mi hanno aiutato. (F8a)
Anche se non mancano casi di frizione:
Con le istituzioni e soprattutto con la polizia i rapporti sono sempre brutti…sono
ignoranti e razzisti…si riescono ad avere rapporti normali solo con Asl (F2b)
Le istituzioni anziché un aiuto sono un ostacolo, è sempre una lotta!!
Non ho problemi con le autorità, per il mio carattere, ho qualche amicizia in comune,
ho fatto anche il mediatore culturale, andavo nelle scuole, conosco benissimo il mondo
scolastico, aiuto molto bambini, anzi vorrei fare molto di più; in quel senso ho un
buonissimo rapporto con la chiesa. Anche le istituzioni bancarie sono dure, è difficile
(M1c)
50
Tab. 22 Rapporti con enti pubblici
Modalità rapporti Enti
pubblici Banche
Camera di
Commercio
No rapporti 3 2 15
Per niente buoni 0 2 0
Non buoni 3 7 1
Abbastanza buoni 17 10 9
Molto buoni 4 6 2
(N=27)
Dall’analisi dei rapporti con i “colleghi” si evidenzia (come quando si è parlato della
frequenza di tali rapporti) una preferenza degli intervistati verso gli italiani (fermo restando
che molte persone non hanno proprio rapporti con colleghi stranieri o connazionali): si può
infatti vedere come quasi tutti abbiano rapporti buoni o molto buoni con persone italiane.
Tab. 23 Rapporti con colleghi connazionali
Modalità rapporti Connazionali Altri
stranieri Italiani
No rapporti 10 13 4
Per niente buoni 2 1 1
Non buoni 1 0 0
Abbastanza buoni 11 10 11
Molto buoni 3 3 11
(N=27)
Analizzando poi i rapporti con amici e conoscenti, qui i risultati ottenuti vengono influenzati
dal fatto che un buon numero di persone non ha praticamente rapporti con altri stranieri non
connazionali. Analizzando le percentuali valide (cioè “depurate” da coloro che non hanno
51
relazioni) le tre distribuzioni mostrano un appiattimento su rapporti abbastanza e molto
buoni (forse a causa della parola amici nella domanda): emerge però che le percentuali di
molto buoni sono maggiori a proposito degli italiani e dei connazionali. Se però si sommano
le modalità di risposte “abbastanza buoni” e “molto buoni” non emergono grosse differenze.
Viene quindi confermato il fatto, evidenziato a proposito dei colleghi, che seppur molti non
abbiano relazioni con altri stranieri (a parte i connazionali) chi ce le ha, li ha molto buoni.
Tab. 24 Rapporti con conoscenti e amici
Modalità rapporti Connazionali Altri
stranieri Italiani
No rapporti 1 9 0
Per niente buoni 1 1 1
Non buoni 0 0 0
Abbastanza buoni 6 6 7
Molto buoni 19 11 19
(N=27)
La parziale preferenza per gli italiani viene molto bene resa da questo brano di intervista:
A me poi piace avere tanti amici e sono amica di più con gli italiani, perché stiamo sino
alle sette assieme poi ognuno a casa sua. Invece noi connazionali, parliamo troppo,
facciamo casino qua e la e poi scoppiano dei problemi (F1c)
A proposito dei rapporti con le associazioni, come già visto, quasi nessuno degli intervistati
appartiene e frequenta attivamente associazioni (siano esse composte da italiani o da
stranieri). Fra chi frequenta si può vedere come non sempre i rapporti siano buonissimi,
anche se la maggior parte, chiaramente, fornisce giudizi positivi sul rapporto.
52
Tab. 25 Rapporti con associazioni
Modalità rapporti Connazionali Altri
stranieri Italiani
No rapporti 17 20 18
Per niente buoni 2 2 0
Non buoni 0 0 1
Abbastanza buoni 5 3 2
Molto buoni 3 2 6
(N=27)
Singolare, e degno di riflessione, è il caso di una signora che ha affermato di avere rapporti
non buoni con le associazioni italiane, o meglio, con l’associazione che frequentava fino a
poco tempo prima:
Facevo anche parte di un’associazione di italiani dove ero una delle poche
straniere…ma poi dopo un po’ me ne sono andato perché ero sempre considerata la
povera straniera…quasi compatita…non riuscivo a superare la cosa che io sono
straniera (F3b)
2.9. Inserimento e interesse per realtà italiana
Altro punto “virtuoso” è l’interesse che gli intervistati mostrano di avere per la realtà
italiana: tutti (nessuno escluso) afferma di informarsi quotidianamente tramite giornali,
radio, televisione ecc. sulla situazione di Genova e dell’Italia, molto più che degli
avvenimenti del loro paese di nascita. Addirittura nel corso delle interviste molte persone si
stupivano della domanda, come se dessero per scontato che la risposta fosse sì:
Amo il mio Paese, ma, per esempio anche se ho la parabolica, io guardo la televisione
italiana. Dal primo giorno ho sempre detto che se il destino mi ha fatto venire qua devo
sapere come vive la gente qua, non ho mai voluto essere chiusa e dire guardo solo la
53
televisione egiziana e non quella italiana, anche perché allora restavo nel mio paese
(F1c)
mi piace sapere la realtà dove vivo, leggo tutti i giornali, i telegiornali, è importante
sapere dove vivi, sono preoccupato di questa situazione (M1c)
Leggo i giornali, seguo tutto qua, perché vivo qua ed è giusto che sia così (M5b)
Molti, e sono parole loro, ormai si sentono italiani (o “italianizzati”), come si vedrà anche
nella parte relative alle aspirazioni per il futuro:
Mi interesso a ciò che accade in Italia, mi piace molto il telegiornale per sentire della
politica, se posso ne sento più di uno al giorno. Ormai non mi interessa più tanto la
realtà del mio paese ma più quello che succede qua (F5c)
Mi interesso sia alla realtà di qui che a quella del mio paese… uno si interessa alla
realtà del paese di origine ma se sta qui deve sapere quello che accade in Italia (F6c)
Sono ormai proiettato più nella realtà italiana, non faccio niente per la Palestina; la
mia cultura ormai è in italiana da quando avevo 20 anni ora ne ho 61..In Giordania
non ho più i genitori quindi non sono più legato alla mia terra. (M11b)
Mi interesso sia della realtà che degli avvenimenti italiani che di quelli del Marocco e
del Nordafrica . Ormai mi sento a casa sia qui che là, anzi più qui, perché ci vivo..
Quando sono arrivato i primi periodi avevo l’idea di tornare al mio paese, poi dopo un
po’ mi sono italianizzato, poi mi piace l’Italia (M12a)
2.10. Le capacità linguistiche e burocratiche
Dal punto di vista linguistico, quasi tutti gli intervistati parlano in maniera comprensibile
l’italiano. In questo frangente l’attività sembra aver portato un netto miglioramento alla
maggior parte degli intervistati, in quanto la maggioranza degli intervistati ha a che fare
quotidianamente con persone italiane e quindi si deve sforzare di parlare l’italiano. Sembra
che al di là del normale miglioramento che si può avere vivendo in un paese, e avendo a che
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fare con colleghi nativi (nel caso di lavoratori dipendenti), ci sia un incremento delle
competenze linguistiche in quanto gi intervistati, oltre che parlare “normalmente”, devono
farsi capire usando termini appropriati e precisi per illustrare i prodotti che offrono:
Si, perché ogni giorno imparo qualcosa di nuovo, imparo parole che non avevo mai
sentito e poi parlando per forza italiano si migliora sempre (M4c)
Sì, anche perché per me è molto importante avere la capacità di spiegare gli aspetti
riguardanti un certo oggetto, la sua provenienza, delle informazioni particolari su
quell’oggetto (M7b)
Con il mio lavoro ho migliorato la lingua, perché il cliente ti dà una mano, e anche la
scrittura c’è perché dobbiamo far ei bigliettini e scrivere il nome e cosa si deve fare
(F5c)
In una cosa l’attività mi ha aiutato molto…con la lingua…quando i clienti vengono qui
devo spiegargli le cose (F9a)
L’unica eccezione sono coloro che hanno una clientela quasi esclusivamente straniera (cioè
in particolare una buona fetta della fascia A, ma non tutti):
A livello linguistico l’attività non mi ha aiutato molto perché parlo sempre con
stranieri…anzi prima quando ero badante parlavo con gli anziani che accudivo (F10a)
Anche a livello burocratico gli imprenditori affermano di essere molto migliorati, in quanto
hanno dovuto aver a che far con bandi, moduli per i finanziamenti e normali routine di
gestione; anche se per molte cose gli intervistati affermano di affidarsi ai commercialisti.
2.11. Le specificità personali
Dopo aver analizzato alcuni importanti punto come l’inserimento nel tessuto sociale italiano, i
rapporti con connazionali, stranieri ecc., si vuole ora mettere in luce come molti degli
intervistati evidenzino qualità umane e individuali ben specifiche e sopra alla media. Sembra
quindi che al di là dell’inserimento (e l’integrazione) prima e dopo l’attività autonoma, sia
proprio “speciale” la loro attitudine. Nel corso delle interviste sono quindi venute fuori certe
55
qualità, che non sembrano essere sempre presenti in tutti gli immigrati (come non sono
presenti sicuramente in tutte le persone appartenenti alla popolazione nativa): determinazione,
apertura mentale, disponibilità ad aiutare il prossimo, capacità manageriali e imprenditoriali.
Una delle cose che più colpisce è l’apertura mentale degli intervistati e la voglia di inserirsi e
di vivere appieno nella società dove si sono stabiliti, senza rinchiudersi nella rete dei
connazionali o di altri stranieri:
Anche quando vengono qua gli amici di mio marito, parlano sempre in italiano per non
fare la cosa di parlare arabo davanti a nessuno, perché è una cosa che fa innervosire
gli altri perché uno si domanda cosa stanno dicendo (F1c)
Purtroppo nella mia comunità dicono che quando uno viene qua o fa la badante o il
muratore e basta. Ma io non ci ho mai creduto, penso che il ghettizzare, stare sempre
tra loro fa male invece che bene . Io ho cominciato ad aprirmi, a cercare informazioni,
che poi ho condiviso con loro, molti ce l’hanno fatta a studiare, ad aprirsi un’attività, a
farsi strada…Mi sono sempre impegnata ad aprirmi e credo che si debba sempre fare
così prima di dire come si sta qui in Itala; io conosco persone della mia comunità che
vivono in Ecuador anche se sono fisicamente qui, adesso con internet ancora di
più,vedono le partite, mangiano quello che c’è là. Io invece ho cercato di andare agli
eventi, conoscere la città, ho creato 5 anni fa insieme a altre donne latino-americane
un’associazione (coordinamento ligure donne), è stato bellissimo, abbiamo fatto tante
cose e ci siamo divertite moltissimo (F3b)
Tutte le persone intervistate (e questo stride un po’ con lo scarso associazionismo rilevato)
dimostrano di aver voglia di fare, anche fuori dall’ambito lavorativo:
Sono stato speaker alla radio, ho trovato amici che mi hanno fatto fare questo
programma alla radio per circa 1 anno. Ho fatto conoscere a Genova la salsa (M1c)
Ho fatto un progetto in collaborazione col comune, quando Borzani era assessore ho
fatto domanda per fare una mostra di pitture iraniane, perché ci sono altri pittori
iraniani a Roma e a Firenze, mi hanno accettato, ma il comune dà spazi e pubblicità,
ma c’erano problemi e non ce l’ho fatta (M10c)
56
Molti dimostrano di essere molto attivi anche e soprattutto per cambiare nel quotidiano i
quartieri e i luoghi dove vivono, dimostrando qualità umane non indifferenti:
Ci sono difficoltà economiche che si possono anche superare con grandi idee: ad es io
vorrei creare un sito internet per via Prè, però dobbiamo aderire tutti, in modo che la
gente possa vedere cosa vendiamo e ordinarlo anche da casa.. e poi noi lo mandiamo
magari con un ragazzo in moto. Via Prè è difficile ma dobbiamo impegnarci tutti per
cambiare (F3b)
Sì, sì, è stata una crescita personale. Ogni mattina guardo la tv per vedere cosa
succede, perché vivendo qua è normale e bisogna sapere quello che succede in Italia e
bisogna capire. Una volta mi hanno chiesto come fare a sviluppare Via della
Maddalena: la mia famiglia mi ha insegnato ad essere onesto e pulito, quindi per
migliorare la via siamo noi, padroni dei negozi che dobbiamo dare l’esempio, per
migliorare la via, anche perché se diciamo tutti che schifo, lasciamo le ragazze a fare
quello che vogliono fare, è così, se invece siamo onesti, ci vedono lavorare, la gente
non seria cambia e le altre persone vengono. Io la mattina vengo qua e pulisco davanti
al mio negozio e anche se la gente mi guarda come uno scemo lo faccio, perché così se
lo facessimo tutti, tutta la via sarebbe pulita. Insomma ognuno di noi deve dare il buono
esempio e tutto deve iniziare da ciascuno di noi….[…]. Il mio pensiero è che nella vita
devi sempre aiutare la gente: per esempio, una sarta prende 12€ per fare l’orlo ai
pantaloni e so che non è più brava di me, anche la gente lo dice, però a me non
interessa che la gente dica che sono io più bravo di lei, solo mi interessa aiutare le
persone e così tengo i prezzi bassi così posso aiutare tutti, perché siamo in crisi e come
si fa ad andare avanti, sennò? (M3c)
Dal punto di vista professionale, gli intervistati dimostrano di essere in grado di svolgere
un’attività autonoma, riuscendo a continuare in una situazione, quella attuale, molto difficile
dal punto di vista economico. Molti hanno la tendenza a aprire più negozi nel momento di
successo, in modo da investire i propri soldi in qualcosa di produttivo. Altri ancora invece
manifestano una spiccata abilità imprenditoriale, come si può vedere dal brano sottostante:
Poi sto già studiando perché ho un progetto particolarmente buono e sto cercando dei
soci che abbiano ditte grosse di muratura e prendere appalti in Libia, perché ho dei
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buoni contatti lì. Non bisogna sempre fare il ristoratore, questo è il momento giusto per
investire in Libia e Tunisia, perché le banche danno dei grossi finanziamenti per i
lavori di ristrutturazione, ma serve l’appoggio giusto di una ditta che compra terreni e
costruisce. In Libia c’è un futuro particolare, perché quando si calmerà la situazione,
un pezzo grosso che conosco e abita lì, mi ha detto perché non mi butto, perché ci sarà
da ricostruire e vogliono far diventare la Libia come Dubai, visto che la Libia è
ricchissima. Sono già in trattativa con un senegalese per vendere questi due locali, così
investirò 50.000€, con un altro socio con una cifra simile; occorre avere sempre le
spalle coperte e partire con la persona giusta (M5b)
Questi brani mostrano anche la capacità di questi intervistati di muoversi in chiave
transnazionale, non solo investendo e lavorando a Genova e in Italia, ma anche all’estero:
Dopo essere venuta in Italia, per cinque sono stata a New York e mi sono specializzata
ulteriormente nella sartoria, ho lavorato lì e poi sono tornata qui (F5c)
Lavoro con l’università, lavoro molto con l’estero. Ho lavorato in Turchia dal’93 al
2008, sempre avendo sede qui ma diversi mesi all’anno stavo là. A volte tengo seminari
a livello universitario in Argentina (M6c)
2.12. Aspirazioni per il futuro
Infine, è stato chiesto agli intervistati quali fossero le loro aspirazioni per il futuro. Da tale
quesito sono emerse alcune interessanti cose.
Innanzitutto ormai la maggioranza delle persone intervistate si sente pienamente a suo agio
nella società italiana e vorrebbe restare a Genova anche dopo essere andato in pensione:
Non voglio tornare nel mio paese, perché i miei figli sono nati qua e bisogna basarsi
dove si è; a Tunisi non ho nemmeno una casa (M5b)
Rimarrò a Genova con il negozio spero sempre di migliorare e che prima o poi mi
daranno la pensione (M19a)
58
Questo dimostra l’alto grado di inserimento degli intervistati, che spesso si sentono più a casa
propria in Italia che nel loro paese di origine:
Ma ormai viviamo qua e lo sento come il Paese, perché quando siamo qua vogliamo
andare giù, ma quando siamo giù vogliamo tornare qua, perché ti manca perché qui c’è
il mio posto di lavoro, la mia vita (F1c)
Per il futuro, sto andando verso la pensione, però vorrei rimanere in Italia, il mio paese
va bene per visitarlo ma viverci ormai no. Ormai mi so muovere in Italia, ormai sono di
qui, conosco bene Genova (F5c)
Non ho particolari progetti per il futuro, continuo qua finché vado in pensione, e resto
in Italia…ormai sono italiano, non ho più nessuno al mio paese (M11b)
Una buona parte (seppur minoritaria) degli intervistati vorrebbe ritornare in patria:
Vorrei tornare in Thailandia; ma non so quando tornerò in Thailandia, dipenderà da
quando non avrò più voglia di stare qua (M7b)
Penso per il futuro di tornare sicuramente in Brasile , dove ho la famiglia, stiamo
valutando la situazione, ma con calma (M8b)
Alcuni vorrebbero però mantenere un legame con l’Italia:
Avendo vissuto 10 anni in Italia, a Genova, vivendoli intensamente, un po’ di me è qua
e non posso dire chiudo e me ne vado e basta. Mi piacerebbe però tornare nel mio
paese e aprire un'attività di prodotti italiani (F3b)
È da notare che, fra coloro che vorrebbero ritornare al proprio paese, la maggioranza svolge
un’attività che offre prodotti del proprio paese di origine: forse proprio per questo hanno
mantenuto un forte legame con le tradizioni e le tipicità del loro paese e quindi vorrebbero
ritornare.
Altri ancora (anche qui una piccola fetta di intervistati) legano la permanenza in Italia alla
loro situazione economica lavorativa:
59
In futuro vorrebbe tornare nel suo paese e continuare a fare il commerciante, perché
qui non c’è più lavoro (M15a)
Oltre ad avere più soldi per migliorare il mio negozio, non so ancora se voglio restare
qua o ritornare nel mio paese perché bisogna vedere la situazione complessiva: se
migliora la situazione resto, se non migliora meglio trovare un’altra cosa nel mio paese
(M4c)
La mia famiglia dice che devo restare qui perché nella vita bisogna avere coraggio e
che prima o poi cambierà, però non voglio fare brutta figura perché se alla fine non
riesco a pagare l’affitto, cosa faccio? E allora forse preferirei tornare al mio Paese in
quel caso, così sarei tranquillo. Se invece la situazione migliorasse un po’ preferirei
restare, anche perché l’Italia è la capitale della moda, quindi se rimanessi, sarebbe
meglio per me (M3c)
60
3. Percorsi di imprenditoria creativa degli stranieri
In questa prima parte si farà quindi riferimento al profilo dei 13 intervistati “creativi” e ai
risultati emersi da tali interviste.
3.1. Parte Generale
3.1.1 Il profilo socio-anagrafico degli intervistati e le tipologie di imprese
Dei 13 intervistati, ben 11 sono maschi e 2 femmine; per quanto riguarda l’età (prendendo
come riferimento l’anno 2011), la maggioranza degli intervistati ha fra i 36 e i 55 anni, con
una piccola percentuale di over 55: nessuno ha invece meno di 36 anni.
Tab.26 Distribuzione per classi di età degli imprenditori creativi
Classe
di età Frequenza
18-35 0
36-45 5
46-55 5
56-65 3
+ 65 0
(N=13)
61
Fig. 8. Distribuzione per classi di età degli imprenditori creativi
Dal punto di vista dello stato civile, anche qui la maggior parte è sposata o convivente.
Tab. 27 Stato civile degli intervistati degli intervistati imprenditori creativi
Stato civile Frequenza
celibe/nubile 3
sposato/convivente 7
divorziato/separato 2
vedovo/a 1
(N=13)
62
Fig. 9. Stato civile degli imprenditori creativi
Per quanto riguarda il titolo di studio, i diplomati sono più della metà anche se c’è un buon
numero di intervistati che ha una qualifica professionale (legata all’attività svolta, esempio:
diploma di sartoria).
Tab. 28 Titolo di studio degli imprenditori creativi
Stato civile Frequenza
Nessun titolo 0
Licenza elementare 0
Licenza media 2
Qualifica
professionale 3
Diploma 7
Laurea/Post-laurea 1
(N=13)
63
Fig. 10. Titolo di studio degli imprenditori creativi
I 13 intervistati sono così suddivisi per nazionalità: Algerina (1), Argentina (2), Brasiliana (1),
Ecuadoriana (2), Giordana (1), Iraniana (1), Marocchina (1), Peruviana (1) e Senegalese (3).
Per quanto riguarda invece l’anzianità migratoria, la maggior parte degli intervistati è arrivata
da almeno 18 anni: l’anzianità migratoria di questa sottopopolazione risulta quindi maggiore
rispetto a quella più generale.
Tab. 29 Numero di anni da arrivo in Italia
Anni Frequenza
0-5 1
6-11 1
12-17 1
18-23 7
+ 23 3
(N=13)
64
Tab. 30 Numero di anni da apertura prima attività in Italia
Anni Frequenza
0-5 3
6-11 5
12-17 2
18-23 2
+ 23 1
(N=13)
Per quanto riguarda il tempo passato fra l’arrivo in Italia e l’apertura, la maggior parte degli
intervistati ha aspettato parecchi anni prima di aprire l’attività (quasi un terzo più di 10 anni e
più della metà almeno 8 anni); anche se una grossa percentuale ha aperto nei primi tre anni
(quasi un terzo).
Tab. 31 Differenza fra anno di arrivo e anno di apertura prima attività in Italia
Anni Frequenza Frequenza
cumulata
0 1 1
1 1 2
2 1 3
3 1 4
8 2 6
10 2 8
11 1 9
15 1 10
21 2 12
29 1 13
(N=13)
65
Tab. 32 Differenza fra anno di arrivo e anno di apertura prima attività in Italia (classi)
Anni Frequenza
0-5 4
6-11 5
12-17 1
+18 3
(N=13)
Passando alla descrizione delle attività svolte da coloro che sono stati intervistati, le attività
“creative” maggiormente rappresentate sono quelle legate ai lavori manuali (sartoria in
primis).
Per quanto riguarda la fascia di attività gli intervistati appartengono alla Fascia B (2) o alla
Fascia C (11).
Tab. 33 Attività svolte
Attività Frequenza
Fotografo 1
Orafo 1
Palestra Capoeira 1
Pittore 1
Restaurazione 2
Ristorante (tutto fatto in
casa) 1
Sartoria 5
Tappezziere 1
(N=13)
66
Infine, la maggioranza degli intervistati hanno la loro attività nel Municipio Centro Est (10),
ed in particolare nella zona Pré-Maddalena; gli altri tre intervistati svolgono il loro lavoro nei
Municipi: Centro Ovest, Medio Ponente e Ponente.
3.1.2 Prima dell’attività autonoma: motivazioni e profilo pre-immigrazione, esperienze
lavorativa pre-attività autonoma e aiuto per aprire l’attività
La maggior parte degli intervistati appartenenti alla categoria imprenditori creativi è venuta in
Italia per motivi di studio oppure per scoprire il nostro paese e fare una nuova esperienza; solo
una persona afferma che la motivazione principale è stata quella economica:
Sono venuto in Italia nel ’90 per fare degli studi e delle ricerche (M6c)
38 anni fa ho deciso, per cambiare e scoprire il mondo, di venire in Italia. Da subito
sono venuta a Genova )(F5c)
In patria quasi la totalità degli intervistati svolgeva lo stesso lavoro che svolge qui in Italia, o
comunque un lavoro manuale/creativo:
Nel mio paese facevo il sarto e anche il commercio di tessuti (M3c)
Lavoravo già nel restauro di opere d’arte , il mio campo è più materiale archeologico,
era un’attività che svolgevo in parallelo con i miei studi universitari (M6c)
Per quanto riguarda l’attività lavorativa in Italia, pre-attività autonoma, sono due i percorsi
principali per arrivare all’apertura dell’attività autonoma.
Poco più della metà degli intervistati ha svolto molti lavori e lavoretti (venditore ambulante,
badante ecc.) per poi passare al lavoro autonomo una volta avutene le possibilità:
A Genova dal ’71, ho cominciato a fare il cameriere e poi anche il carpentiere per 3 / 4
anni. Nell’85 ho aperto un ristorante pizzeria e cucina araba e italiana perché allora
gli italiani non erano ancora preparati. Il secondo anno ho la pizzeria e facevo solo
67
cucina araba e italiana, il terzo anno ho tolto la cucina italiana alla sera e poi sono
venuto qua con solo cucina araba , nell’89. (M11b)
Prima ho fatto un sacco di lavoretti…volantini, magazziniere ecc…poi sono riuscito a
mettere qualche soldo da parte e aprire (M2-)
Una buona fetta di persone ha invece iniziato da dipendente nel settore che gli interessava, in
modo da fare esperienza, migliorare e capire le dinamiche italiane, per poi passare dopo
qualche anno a lavorare in autonomia:
Da subito ho fatto questo lavoro. Prima ho lavorato come dipendente, nel senso che
non ho aperto una partita iva ma lavoravo per un laboratorio. Dopo un anno mi sono
staccato e ho cominciato a lavorare in proprio (M6c)
Ho iniziato a Milano dove però non sono riuscito ad inserirmi in nessun contesto, né
per la palestra né nel sociale. Quindi sono venuto a Genova, il primo posto fu una
palestra ad Albaro che mi ospitava; poi dopo 10 anni di corsi in varie palestre, ho
trovato un certo numero di allievi, ho saputo dell’incubatore d’impresa, ho presentato
il mio progetto, ma la mia attività era già avviata, i clienti li avevo, mi serviva una sede,
l’avevo già individuata per caso passando avevo visto questo spazio, un rigattiere
pieno di roba (M8b)
Quasi nessuno ha invece iniziato praticamente subito a lavorare da subito in proprio (1 caso su
13):
Nel Luglio del 1990 sono arrivato in Italia, a Cortona, vicino ad Arezzo, perché avevo
un parente e ho lavorato per lui che aveva un negozio di pelli. Dopo alcuni mesi mi
sono fidanzato con una restauratrice e ho incominciato a lavorare con lei, e ho
imparato molto, soprattutto a lavorare con il marmo, perché lei era molto brava. Dopo
vari lavori abbiamo anche avuto un incarico qui a Genova, un lavoro molto lungo,
siamo stati un anno e mezzo e poi altri lavoretti. Alla fine abbiamo deciso di rimanere
qui. Più o meno da sempre ho lavorato come lavoratore autonomo, partita iva, libero
professionista (M9-)
68
Per quanto riguarda l’aiuto ricevuto per aprire varia da caso a caso: la base principale sono i
risparmi, ma un aiuto arriva spesso anche da parenti e/o amici, oltre che l’attività
dell’Incubatore:
Non ho avuto nessun aiuto da enti pubblici e similari ma alcuni amici mi hanno aiutato
economicamente. Gli amici (connazionali) non sono stati fondamentali ma comunque
molto importanti per l’apertura dell’attività (M2-)
Quando ho iniziato (questa attività nel 2010) mio cugino mi ha prestato dei soldi (M3c)
Ho deciso di cambiare attività, ho aperto un negozio qua, di oggettistica , tessuti, vestiti
del Nepal , Iindia nel 2001, avevo l’azione di incubatore…( M10c)
3.1.3 Nello svolgimento dell’attività: dipendenti, fornitori e clientela
Per quanto riguarda i dipendenti, quasi nessuno ha dei dipendenti: solo tre intervistati
affermano di avere dei dipendenti, anche se alcuni hanno assumono dei collaboratori in caso
di necessità:
Non ho collaboratori fissi, sono abituato a lavorare da solo, solo nei lavori più grandi
mi faccio aiutare (M9-)
Non ho dipendenti perché non ce la farei economicamente (F6c)
Ho quattro dipendenti, prima ne avevo altri due, e tutti fanno tutto (M11b)
Per quanto riguarda i fornitori, anche qui non tutti hanno fornitori fissi, alcuni hanno più
fornitori che scelgono in base ai prodotti che devono comprare; comunque non si registrano
casi particolari di fornitori scelti fra connazionali ecc:
Fornitori veri e propri non ne abbiamo, compriamo al minuto, quello che ci serve per
non sprecare e anche risparmiare. Una volta avevamo dei fornitori ma ci portavano
troppa roba che non ci serviva. Per la roba andiamo da altri negozi e andiamo anche
sul mercato. Abbiamo dei negozi soliti e i rapporti sono buoni, basta che chiami e mi
69
portano la roba o io la vado a prendere. Comunque dove ci riforniamo sono tutti
italiani (F5c)
Vado in Francia ma ho anche fornitori in Italia, in Francia però non ho solo fornitori
arabi ma anche francesi (M11b)
Per particolari materiali per il restauro mi rifornisco da grandi ditte francesi o
tedesche specializzate (M9-)
Nel corso delle interviste gli imprenditori, affermavano di avere in generale buoni rapporti
con i fornitori.
Più interessanti sicuramente sono i risultati delle relazioni con la clientela: i rapporti sembrano
molto buoni con tutte e tre le tipologie di clienti.
Sembra però dai colloqui svolti che i rapporti migliori si abbiano con i propri connazionali (e
in misura minore con altri stranieri e italiani), sempre, occorre ribadirlo, in un panorama di
buone e cordiali relazioni. È da notare che le “preferenze” rispetto alla clientela cambiano
leggermente rispetto agli imprenditori stranieri in generale.
Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che, al di là dei rapporti buoni, è in questa categoria
di persone che emerge il fatto che spesso coloro che svolgono un’attività del genere devono
superare la diffidenza delle persone:
In generale vengono più italiani, ma ci sono anche stranieri. il rapporto è con tutti
buono, anche se all’inizio abbiamo dovuto superare la diffidenza degli
italiani…credono che noi non sappiamo fare certe cose…ma poi dopo vedono e
capiscono che lo siamo e siamo anche più economici (M2-)
La clientela è in maggioranza composta da italiani, anche se non mancano i clienti stranieri:
La clientela è soprattutto formata da italiani ma anche da stranieri. Connazionali
pochissimi. Il rapporto con i clienti è buono (M8b)
I clienti sono solo italiani, gli stranieri comprano usato o cose già fatte, non cercano
l’artigiano (M13c)
70
3.1.4 L’impatto dell’attività: situazione economica e abitativa
Per quanto riguarda la condizione economica, la maggioranza degli intervistati afferma che
questa non è migliorata:
Uno deve guadagnarsi la fiducia, io ho tantissimi amici genovesi, anche importanti, ho
avuto subito le informazioni e l’aiuto morale per aprire la mia attività (M1c)
non è certo migliorata, prima avevo la casa poi l’ho venduta e mi sono trasferita da mio
figlio che è in affitto, perché non ce la facevo a pagare il mutuo per la casa e in più
l’affitto per il locale. Alloro ho dovuto restituirla alla banca (F6c)
Sono venuto qua pensando di trovare una situazione migliore, ma per me è un po’ dura
anche se il Comune mi ha dato il negozio qua è dura (M4c)
Quindi, come per il campione generale, anche qui non c’è stato un grosso miglioramento
economico, probabilmente anche a causa della crisi.
Anche dal punto di vista abitativo la situazione non è migliorata per la maggior parte degli
intervistati, che continua a vivere in affitto nello stesso posto:
Non mi sono potuto comprare casa sempre il fatto che non ho garanzie, sono artigiano,
mia moglie non lavora (M13c)
L’unico miglioramento è quello legato a svolgere un’attività che piace e che dà particolari
soddisfazioni, Questo è un punto su cui insistono proprio i lavoratori autonomi di questo
sottocampione, probabilmente visto che fanno dei lavori che presuppongono delle
competenze pregresse (e perciò può risultare per loro insopportabile svolgere un lavoro
non qualificato):
Dal punto di vista economico no, ma è migliorata perché faccio il lavoro che mi piace
(M4c)
71
3.1.5 Le relazioni: frequenza, tipologia dei rapporti e impatto dell’attività
imprenditoriale
Riguardo alle amicizie, ciò che emerge è che la maggior parte degli intervistati hanno rapporti
frequenti sia con connazionali che con italiani.
Si conferma quindi il fatto che la frequenza di rapporti sia maggiore con gli italiani e con i
connazionali. Si conferma molto minore la cadenza dei rapporti con stranieri non
connazionali.
Parlando poi dei rapporti con i colleghi, si evidenzia come più della metà delle persone non
abbia rapporti con colleghi connazionali o stranieri: chi ce li ha però afferma che questi sono
buoni (a parte un caso).
La situazione è invece differente per quanto riguarda gli italiani: i rapporti con questi colleghi
sono più numerosi, e sembrano anche migliori. Non si registrano problematiche di relazione,
anzi molti vengono aiutati da colleghi più esperti.
Parlando invece dei rapporti con amici e conoscenti, si confermano le migliori relazioni con i
connazionali rispetto agli altri stranieri, e con gli italiani rispetto alle altre due categorie di
persone.
Infine, parlando di come l’attività ha modificato i rapporti emerge un quadro positivo
dell’impatto dell’attività creativa. Sebbene già prima dell’apertura gli intervistati
manifestavano un forte legame con persone italiane, segno che erano già profondamente
inserite nel tessuto sociale del territorio, tutti affermano di aver visto un certo miglioramento
dei rapporti, soprattutto con le persone italiane:
I rapporti con italiani forse è migliorato, avevo tanti amici anche prima ma ora mi
vedono forse in una situazione migliore (M10c)
Ho fatto amicizie soprattutto con italiani, che mi hanno aiutato e dato consigli e anche
critiche (M13c)
72
Per quanto riguarda poi l’inserimento e l’interesse per la realtà italiana, tutti gli intervistati
(come nel campione generale) hanno un forte interesse per la realtà italiana e si informano
quotidianamente più sugli avvenimenti italiani che su quelli del proprio paese di origine:
Mi interesso a ciò che accade in Italia, mi piace molto il telegiornale per sentire della
politica, se posso ne sento più di uno al giorno. Ormai non mi interessa più tanto la
realtà del mio paese ma più quello che succede qua (F5c)
Sembra poi che l’attività abbia portato alla maggior parte degli intervistati un miglioramento
sia nelle loro capacità linguistiche che per quanto riguarda le competenze burocratiche, di
gestione ecc.
Si, sono migliorato perché ogni giorno imparo parole nuove…anche se ormai sono qui
da tanto e lo parlo abbastanza bene. Anche livello burocratico non ho problemi, ormai
so gestirmi e rapportarmi con le istituzioni (M9-)
Per quanto riguarda i rapporti con gli enti, si evidenzia qui come pressoché tutti abbiano
rapporti con gli enti pubblici, e come questi (siano buoni se non ottimi. Con le banche invece i
rapporti risultano contradditori: se alcuni non hanno proprio rapporti, altri hanno rapporti non
buoni. È però vero che quasi la metà degli intervistati afferma di avere relazioni buone con le
banche. Infine per quanto riguarda la Camera di Commercio, moltissimi non hanno rapporti
(in linea con la tendenza generale degli intervistati), chi ce li ha esprime un giudizio positivo
su tali relazioni.
Dal punto di vista dell’associazionismo quasi nessuno partecipa attivamente ad associazioni,
senza che vi sia una distinzione netta fra le tre categorie di associazioni, con una leggermente
maggiore partecipazione (comunque bassissima) quando si parla di associazioni di
connazionali.
73
3.2. Parte specifica sul lavoro creativo
3.2.1. Aspetti di creatività, competenze e sviluppo futuro
Tutti gli intervistati di questa sottopopolazione sono ben consci di svolgere un’attività creativa
(intesa in senso ampio), pur non svolgendo lavori che comunemente vengono legati alla
creatività, ma bensì alla mera manualità.
Inoltre i lavoratori intervistati mostrano con orgoglio il fatto che la loro abilità, le loro
competenze emergano nel loro lavoro.
Il mio lavoro è arte… (M1c)
Beh sì il nostro lavoro è legato alla creatività, facciamo anche vestiti su misura…gli
aspetti di maggior creatività del mio lavoro è legato soprattutto ai vestiti fatti su
misura…per esempio abbiamo fatto recentemente un vestito per un teatro che ci
avevano dato solo una foto (M2-)
La creatività da giovane sta nel fisico, poi con la musica, la manualità nel costruire gli
strumenti, costruisco strumenti a percussione brasiliani (M8b)
A mezzogiorno creo piatti miei personali, alla sera faccio piatti arabi tradizionali…è
soprattutto a mezzogiorno che ci metto del mio…che sperimento (M8b)
Sì beh certo il mio lavoro è tutto legato ala creatività…il restauro è un lavoro
fortemente creativo anche se di fatto ripristiniamo spesso cose che ci sono già…però
non è semplice…tutt’altro (M6c)
Sì certo il mio lavoro e legato molto alla creatività, soprattutto alla creatività in quanto
manualità (M9-)
Sì certo la parte più creativa è soprattutto la creazione della tappezzeria, poi metterla
su è un lavoro più da manovale (M13c)
74
Gli intervistati affermano quindi che nel loro lavoro una certa dose di inventiva, di capacità
manuale (e non) è necessaria, e che in questo non si sentono assolutamente inferiori agli
italiani:
Le persone vengono da noi anche e soprattutto perché siamo bravi uguali rispetto a un
italiano e costiamo molto meno (M3c)
Ogni giorno creo qualcosa di nuovo, perche i clienti mi portano dei disegni e lo faccio;
ma tanti non si aspettano che io sia in grado di farlo, poi dicono “oh, non me
l’aspettavo!”. Perché la gente vede sempre che noi vendiamo le borse e pensano che
non siamo capaci a lavorare (M4c)
Per quanto riguarda le competenze, la maggior parte ha un titolo di studio medio-alto (come si
è già visto), alcune volte legato all’attività che svolge, le competenze per svolgere il lavoro
vengono quindi a spesso dal percorso scolastico ed educativo:
Le competenze le ho maturate all’università attraverso corsi di specializzazione.
Lavorando qui ho poi migliorato molto (M6c)
In Brasile fai il corso (circa sei anni) poi prendi il diploma e poi fai un corso e diventi
insegnante e poi ne fai un altro e diventi maestro riconosciuto dalla federazione
brasiliana di capoeira (M8b)
Ho preso il diploma di sartoria in Ecuador in tre anni…sono poi migliorata andando a
New York, dove lavoravo cercavo di imparare di più, cercavo di andare a vedere come
si facevano certe cose (F5c)
Altri hanno invece imparato le competenze per il lavoro in famiglia:
Nel mio paese sona nato in una famiglia dove si cuciva, ho sempre cucito e da lì ho
imparato anche altre cose, per fare il tappezzieri devi anche saper tagliare e fare
modelli, fare sartoria. Molti tappezzieri hanno bisogno di una sarta per potere cucire
ad es una fodera (M13c)
75
Nel mio paese facevo già l’artigiano, ma ero giovane, avevo 22 anni; quando sono
venuto qua ho cominciato a frequentare orafi italiani e ho migliorato un po’. Nel mio
paese ho imparato da mio padre e arrivato qua ho migliorato, perché il lavoro non è
uguale in tutti i paesi (M4c)
Molti quindi hanno già avuto esperienze lavorative simili nel loro paese:
Avevo già avuto esperienza nel mio paese prima di venire in Italia…giustamente per
avere questa esperienza, ho scelto questa attività (M1c)
Già nel mio paese facevo il sarto, avendo preso il diploma e poi fatto una specie di
stage e ho imparato così. Sono arrivato in Italia e già avevo le capacità per aprire un
negozio. (M2-)
Si è poi cercato di capire come gli imprenditori creativi vogliano sviluppare la propria attività
nel futuro, in un momento economico non certo positivo. La maggior parte afferma di voler
puntare proprio sugli aspetti di creatività, sia per contrastare gli effetti della crisi che per
distinguersi e realizzare completamente le proprie aspirazioni:
Attualmente per saltare questo periodo dobbiamo darci da fare in un altro modo, la
gente non stampa le foto, allora noi facciamo altre cose… i video, ecc. (M1c)
Per il futuro se ci è possibile vorremmo sviluppare la parte più creativa, legata ai
vestiti su misura (M2-)
Come qualifica io sono uno stilista, ma finanziariamente sono povero quindi non posso
fare niente, a parte le riparazioni, ma piano piano cerco di cambiare e infatti le persone
prima mi portavano solo le riparazioni, ora mi portano anche da fare abiti da sposa e
camicie (M3c)
Alcuni vorrebbero allargare un po’ le proprie attività, diversificarle, per attirare più persone:
76
Adesso in base ai problemi accennati prima bisogna puntare sull’artigianato, su corsi
di musica, altre danze, solo con la palestra non si sopravvive. L’idea è quella di creare
una sorta di un centro culturale (M8b)
Altri invece, vista la situazione italiana, pensano di aprirsi al mercato estero, o spostandosi
definitivamente di paese oppure facendo periodi fuori dall’Italia:
Per lo sviluppo dell’attività cercherei di spostarmi in altri mercati, perché qui in Italia
non interessa a nessuno che uno sia in grado di effettuare un’altissima
professionalità… (M6c)
3.2.2. Imprenditori creativi e caratteristiche del luogo di lavoro
Riportiamo ora tutte le valutazioni su alcune caratteristiche del luogo di lavoro, interessanti
per capire quali sono le caratteristiche che gli imprenditori creativi cercano nel luogo di
lavoro.
Tab. 34 Importanza accessibilità al luogo di lavoro con mezzi privati (automobile, motorino)
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 2
Poco importante 3
Importante 5
Molto importante 3
(N=13)
L’importanza di accedere con mezzi privati all’area è sicuramente importante ma non sembra
comunque una delle cose principali che ricercano in via prioritaria nel luogo di lavoro. Invece
più incisiva (anche se non di molto) sembra l’importanza dell’accessibilità al luogo di lavoro
con mezzi pubblici: questa differenza sembra dovuta principalmente alla peculiarità di
Genova (soprattutto nel centro storico), legata alla difficoltà di trovare parcheggio e alla
conseguente preferenza per l’utilizzo dei mezzi pubblici.
77
Tab. 35 Importanza accessibilità del luogo di lavoro con mezzi pubblici e vicinanza alle vie
principali di traffico veicolare e sistemi di trasporto pubblico
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 0
Poco importante 1
Importante 7
Molto importante 5
(N=13)
Anche la visibilità del luogo di lavoro dall’esterno sembra non molto rilevante; o meglio,
vedendo la distribuzione si nota una polarizzazione su poco importante e molto importante, e
questo sembra suggerire il fatto che la rilevanza dell’esposizione al pubblico dipende da caso
a caso.
Tab. 36 Importanza visibilità del luogo di lavoro dall'esterno (posizione a piano strada)
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 1
Poco importante 4
Importante 2
Molto importante 6
(N=13)
78
Tab. 37 Importanza luminosità del luogo di lavoro
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 0
Poco importante 0
Importante 2
Molto importante 11
(N=13)
Molto rilevanti sono poi la luminosità e la dimensione dello spazio di lavoro. Per quanto
riguarda la luminosità questa è sicuramente importantissima in quanto la maggior parte degli
intervistati sono artigiani o comunque svolgono lavori di alta manualità e precisione. Anche la
dimensione viene ritenuta fondamentale in quanto spesso le maggiori difficoltà nello
svolgimento del lavoro sono legate all’ambiente troppo piccolo.
Tab. 38 Importanza dimensione dello spazio di lavoro
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 0
Poco importante 1
Importante 3
Molto importante 9
(N=13)
79
Tab. 39 Importanza prossimità del luogo di lavoro al luogo di residenza
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 0
Poco importante 5
Importante 3
Molto importante 5
(N=13)
Abbastanza tenuta in considerazione sembra la prossimità al luogo di residenza, ma più per un
discorso di comodità che di utilità per il proprio lavoro.
Assolutamente non considerata utile è la condivisione dello spazio con altri lavoratori visto
che ben più della metà degli intervistati afferma che non è per nulla/poco importante.
Solo un intervistato su 13 attua già questa forma di condivisione degli spazi:
Non ho dipendenti, ci sono io e anche loro lavorano qua, ma siamo tutti artigiani e
dividiamo le spese (sono altre 2 persone), sono stranieri e diciamo che siamo soci,
perché condividiamo le spese (M3c)
Tab. 40 Importanza disponibilità e condivisione di spazi con altri lavoratori autonomi (per
comodità, per ridurre costi etc.)
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 8
Poco importante 1
Importante 4
Molto importante 0
(N=13)
80
Tab. 41 Importanza disponibilità di elementi tecnologici (computer, accesso ad internet etc.)
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 2
Poco importante 2
Importante 2
Molto importante 7
(N=13)
Rilevanti (ma non fondamentali) sembrano poi la disponibilità di elementi tecnologici e
l’ambiente generale del quartiere dove si situa il posto di lavoro.
Tab. 42 Importanza ambiente positivo (del quartiere) e adatto alle esigenze del lavoro che
svolge
Valutazione Frequenza
Per nulla importante 1
Poco importante 1
Importante 4
Molto importante 7
(N=13)
Riassumendo, emerge che le due caratteristiche considerate più importanti sono luminosità e
dimensione, anche se rilevanti sembrano anche l’accessibilità del luogo di lavoro con mezzi
pubblici (e vicinanza alle vie principali di traffico veicolare e sistemi di trasporto pubblico) e
l’ambiente positivo del quartiere (e adatto alle esigenze del lavoro).
Due sono le caratteristiche meno ricercate dagli intervistati: la condivisione degli spazi con
altri lavoratori autonomi e (anche se in misura molto minore) l’accessibilità con mezzi privati.
Non molto rilevanti sono le altre variabili (prossimità rispetto al luogo di abitazione, visibilità
dall’esterno e disponibilità elementi tecnologici); fermo restando l’importanza in generale di
81
tutte le caratteristiche menzionate (solo l’opzione di condivisione degli spazi è stata rifiutata e
vista come non positiva da una larga fetta di intervistati).
Nella scelta del locale per l’attività pesa però molto anche l’aspetto economico:
Beh è molto importante soprattutto la visibilità del negozio. Qui l’abbiamo scelto
perché è economico ma è molto ma molto piccolo, però pur non essendo proprio in una
via di passaggio passa abbastanza gente. Vogliamo migliorare la visibilità con
un’insegna luminosa. L’aspetto più positivo è quindi quello economico ma abbiamo
difficoltà per via della piccolezza del negozio, ma per essere l’inizio va abbastanza
bene.
Per il futuro speriamo di migliorare la posizione economica, di più che rimanendo
lavoratori dipendenti. Se c’è lavoro e guadagno, vorrei spostarmi in un’altra zona, più
visibile, o aprire un altro negozio (M2-)
Se avessi le possibilità sarei in via XX Settembre, ma non ce le ho le possibilità; la
scelta di questa zona è per una questione economica, se avessi più soldi prima proverei
a lavorare qua poi se le cose cambiassero proverei ad aprire un altro negozio, ma qui è
la base (M4c)
Alcuni però hanno scelto proprio il centro storico per l’ambiente che c’è:
La collocazione l’ho scelta perché è molto comoda a livello ambiente artistico, lavoro
tantissimo nel centro storico…è più comodo. Quindi non mi vorrei spostare…(M6c)
Questa collocazione l’ho scelta per la realtà dove c’è disagio, difficoltà, perché la
capoeira può contribuire a risolvere, essere strumento sociale. Questo territorio è
importante per la mia attività ma è anche la sua difficoltà.
Quando ho aperto c’erano già i problemi di adesso, ho aperto nell’illusione che
avrebbero risolto e invece niente. L’incubatore ti dà lo spazio e poi basta. Tante attività
sono state aperte con l’incubatore; sembra però che di 30 attività aperte con
l’incubatore, la mia sia una delle poche rimaste (M8b)
Trattando dei principali difetti che gli intervistati hanno riscontrato nei loro luoghi attuali di
lavoro, emerge che i difetti più riscontrati sono stati la dimensione e l’ambiente (il quartiere)
82
in cui si trova il luogo di lavoro. Pochi hanno menzionato come carenza la luminosità:
probabilmente essendo la più importante fra le caratteristiche sopra menzionate (e alla quale si
può anche relativamente facilmente rimediare) è stata l’unica caratteristica non negoziabile
nel momento della scelta dello spazio di lavoro.
Facendo un focus sugli intervistati risiedenti nel centro storico (10 su 13), emergono più o
meno gli stessi risultati ma con un leggero aumento (percentuale) della dimensione
ambientale e delle problematiche di accesso con mezzi pubblici e privati. Questa insistenza
sulla dimensione ambientale, del quartiere ci mostra come gli stessi immigrati imprenditori
vedano alcuni difetti nel centro storico, anche se spesso non se ne vogliono andare, ma anzi
desiderano migliorarlo:
La mia famiglia mi ha insegnato ad essere onesto e pulito, quindi per migliorare la via
siamo noi, padroni dei negozi che dobbiamo dare l’esempio, per migliorare la via,
anche perché se diciamo tutti che schifo è così, se invece siamo onesti, ci vedono
lavorare, la gente non seria cambia e le altre persone vengono. Io la mattina vengo qua
e pulisco davanti al mio negozio e anche se la gente mi guarda come uno scemo lo
faccio, perché così se lo facessimo tutti, tutta la via sarebbe pulita (M3c)
Tab. 43 I difetti del luogo di lavoro
Difetto Frequenza
Accessibilità al luogo di lavoro 4
Visibilità luogo di lavoro 1
Luminosità luogo di lavoro 3
Dimensione luogo di lavoro 7
Disponibilità e condivisione di
spazi con altri lavoratori 1
Difetto: disponibilità di elementi
tecnologici 4
Ambiente positivo (del quartiere)
e adatto alle esigenze del lavoro 7
Nessun difetto 1
Totale risposte date 28
83
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