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SOCIOLOGIA DEL TERZO SETTORE Programma del corso e materiali di studio Dott. Simone Digennaro Università degli studi di Cassino, Facoltà di scienze motorie La presente dispensa propone allo studente tutte le indicazioni e i materiali di studio necessari per affrontare correttamente il corso di Sociologia del Terzo Settore così come programmato per l’anno accademico 2011-2012. Per ogni richiesta di chiarimento si può fare riferimento all’indirizzo email: [email protected] Il corso di Sociologia del Terzo Settore, nell’anno accademico 2011-2012 si articola in 4 incontri da 4 ore di lezioni ognuno. Tutti i materiali necessari per un corretto e proficuo studio possono essere reperiti all’interno della presente dispensa, sulla pagina docente Unicas, e sul sito http://simonedigennaro.xoom.it. Gli studenti interessati ad ulteriori approfondimenti possono contattare il docente: [email protected]. Verifiche di profitto e esame: il corso non prevede alcuna verifica di profitto intermedia ma un unico esame orale calendarizzato secondo le indicazioni della segreteria didattica. Indicazioni generali e consigli per lo studio A.A. 2011-2012 Temi principali 4 Sociologia del terzo settore: rudimenti; Scienze motorie e sportive e terzo settore; Il volontariato; Associazionismo e intervento sociale; Il ruolo dell’associazionismo a matrice sportiva nell politiche di welfare; Le nuove frontiere dello sport sociale Lavorare nel terzo settore: prospettive attuali e scenari futuri; Lavorare nel terzo settore: quali competenze e conoscenze? [email protected] Pagina docente Unicas http://simonedigennaro.xoom.it

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SOCIOLOGIA DEL TERZO SETTORE

Programma del corso e materiali di studio

Dott. Simone Digennaro Università degli studi di Cassino, Facoltà di scienze motorie

1

La presente dispensa propone allo studente tutte le indicazioni e i materiali di studio necessari per affrontare correttamente il corso di Sociologia del Terzo Settore così come programmato per l’anno accademico 2011-2012.

2

Per ogni richiesta di chiarimento si può fare riferimento all’indirizzo email:

[email protected]

1

Il corso di Sociologia del Terzo Settore, nell’anno accademico 2011-2012 si articola in 4 incontri da 4 ore di lezioni ognuno.

Tutti i materiali necessari per un corretto e proficuo studio possono essere reperiti all’interno della presente dispensa, sulla pagina docente Unicas, e sul sito http://simonedigennaro.xoom.it.

Gli studenti interessati ad ulteriori approfondimenti possono contattare il docente:

2

[email protected].

Verifiche di profitto e esame: il corso non prevede alcuna verifica di profitto intermedia ma un unico esame orale calendarizzato secondo le indicazioni della segreteria didattica.

Indicazioni generali e consigli per lo studio

A.A. 2011-2012

Temi principali

4

Sociologia del terzo settore: rudimenti; Scienze motorie e sportive e terzo settore; Il volontariato;

Associazionismo e intervento sociale; Il ruolo dell’associazionismo a matrice sportiva nell politiche di welfare; Le nuove frontiere dello sport sociale

Lavorare nel terzo settore: prospettive attuali e scenari futuri; Lavorare nel terzo settore: quali competenze e conoscenze?

[email protected] Pagina docente Unicas

http://simonedigennaro.xoom.it

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Sommario Terzo  settore:  concetti  generali  .......................................................................................................................  2  

Definizioni generali  .................................................................................................................................................................  2  Il triangolo del welfare  ...........................................................................................................................................................  2  Il  settore  in  Italia:  alcuni  dati  ............................................................................................................................................  3  Il  volontariato  in  Italia:  alcuni  dati  .................................................................................................................................  6  Il  volontariato  nel  settore  dello  sport  ...........................................................................................................................  8  

La  funzione  sociale  dell’associazionismo  sportivo  ................................................................................  12  Associazionismo  sportivo  e  stato  sociale  ..................................................................................................  25  Le  nuove  frontiere  dello  sport  sociale:  la  cooperazione  internazionale  .....................................................  33  

Lavorare  nel  terzo  settore:  quali  professioni  per  gli  operatori  sportivi?  ......................................  34  Allegati  ..................................................................................................................................................................  37  

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Terzo settore: concetti generali

Definizioni generali Ci si riferisce al terzo settore come a un insieme omogeneo di organizzazioni finalizzate al perseguimento di utilità collettive da riversare su beneficiari non capitalistici o non mutualistici. Esso è animato da una pluralità di attori (associazioni, fondazioni, cooperative, ecc.) tutte però focalizzate intorno a due obiettivi principali: o predisporre/agevolare l’agire socialmente finalizzato (organizzazioni impegnate nella raccolta fondi, ad esempio); o favorire affari socialmente finalizzati (organizzazioni che si occupano della distribuzione di beni relazionali, ad esempio). Le aree d’intervento in cui operano le organizzazioni appartenenti al terzo settore sono molteplici: cultura e ricreazione, istruzione e ricerca, sanità, assistenza sociale, ambientalismo, promozione e tutela dai diritti, movimento e stili di vita, ecc. Proprio la caratterizzazione delle attività svolte fa si che in alcuni contesti il terzo settore venga anche definito come il settore della cosiddetta economia sociale. In Italia il terzo settore è stato sovente configurato (e quindi anche studiato) come alternativo rispetto al ruolo del mercato e come suppletivo alla funzione di intervento sociale che lo Stato è chiamato a sviluppare. In effetti, il terzo settore italiano, a partire dagli anni ’80 ha assunto un ruolo produttivo di servizi sociali secondo modalità organizzative imprenditoriali e in alternativa al monopolio pubblico. Generalmente gli attori operanti nel terzo settore vengono ricondotti all’interno della galassia delle organizzazioni non profit. In base alla definizione del System of National Accounts, le organizzazioni non-profit si configurano come <<enti giuridici o sociali creati allo scopo di produrre beni e servizi, il cui status non permette loro di essere fonte di reddito, profitto o altro guadagno per le unità che le costituiscono, controllano o finanziano>> (SNA 1993, par. 4.54). Nel panorama italiano le organizzazioni non-profit possono presentarsi secondo 5 configurazioni differenti:

1. associazione riconosciuta;

2. Fondazione;

3. Associazione non riconosciuta;

4. Comitato;

5. Cooperativa Sociale

Il triangolo del welfare  Con il termine welfare state (in italiano stato sociale) si suole indicare l’insieme dei servizi che vengono assicurati dallo Stato come mezzi di contrasto ai rischi che minano il benessere del cittadino.  <<Il nucleo centrale del welfare è costituito dalle assicurazioni sociali, ossia da schemi pubblici che garantiscono protezione verso un insieme predefinito di rischi: vecchiaia, invalidità, malattia, ecc.>> (Ferrera, 2010). La complessità degli odierni sistemi sociali, e le nuove richieste avanzate dai cittadini, hanno determinato un’espansione del nucleo centrale attraverso lo sviluppo di numerosi programmi di intervento: servizi sociali, politiche attive per il lavoro, attività culturali e ricreative, ecc.  

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Generalmente il principale attore che opera nello scenario dello stato sociale è lo Stato, anche se è bene tener conto che la presenza dello Stato si articola con modalità che differenziano anche in maniera piuttosto significativa i modelli che i diversi Paesi adottano (si pensi ad esempio alle significative differenze che sono riscontrabili tra lo stato sociale americano e quello dei paesi scandinavi). Tuttavia, l’allargamento del nucleo centrale e l’aumento di complessità delle richieste che oggi sono avanzate dai cittadini, hanno richiesto l’intervento di nuove soggettività, tanto che oramai da diversi anni si parla giustamente di un welfare mix, cioè di un’azione congiunta di più soggetti che, secondo modalità e interessi anche assai differenti, operano per il bene comune. Una rappresentazione interessante delle soggettività interessate alla messa in opera di politiche e interventi di welfare è la seguente:

Questo modello, noto come triangolo del welfare, esalta ai vertici il ruolo dello Stato, del mercato e della comunità come i tre punti nevralgici intorno ai quali si sviluppano le politiche e le azioni di un welfare allargato di moderna concezione. <<A livello di astrazione, il triangolo riflette il ruolo e il peso dei diversi settori nella regolazione complessiva della società. In termini immediati, ci offre una rappresentazione empirica della capacità di ognuno dei settori di soddisfare determinate domande erogando servizi e combinando risorse>> (Porro, 2009).

Il perimetro del triangolo comprende perciò tutte quelle esperienze, strutturalmente organizzate - come organizzazioni, società, club, circoli, fondazioni- o del tutto informali (come gruppi di amici, comitati spontanee) che comunque interpretano domande prodotte dal cittadino in termini di bisogni di sociali. Domande individuali, di gruppo o formalmente strutturate, le quali inducono, a vario titolo, relazioni con le istituzioni sociali, politiche ed economiche.

Il  settore  in  Italia:  alcuni  dati  

Stato  

Mercato  

.  

Comunità  

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<<L’interesse per il complesso settore del non-profit ha assunto una consistenza significativa solo di recente. Le rilevazioni svolte dall’Istat possono essere classificate in due aeree:

1) rilevazioni relative a tutte le istituzioni non-profit; 2) rilevazioni settoriali riguardanti un determinato gruppo di istituzioni non-profit.

Appartiene alla prima area la rilevazione censuaria delle istituzioni nonprofit, svolta nel biennio 2000-2001, mentre della seconda fanno parte tre gruppi di rilevazioni periodiche: - la rilevazione delle organizzazioni di volontariato, svolta per la prima volta nel biennio 1996-1997 e ormai giunta alla sua quinta edizione; - la rilevazione delle cooperative sociali, svolta per la prima volta nel biennio 2002- 2003 e giunta alla terza edizione; - la rilevazione delle fondazioni, realizzata a partire dal 2006-2007. La rilevazione censuaria delle istituzioni nonprofit è stata effettuata dall’Istat nel 2000-2001 con riferimento alle istituzioni attive al 31 dicembre 1999. I risultati di questa rilevazione sono stati in parte aggiornati al 2001 dall’8° Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi>> (Cnel, 2008, 8). Dunque i dati più chiari e precisi ci arrivano dall’Istat per tramite della rilevazione censuaria (invero un po’ datata) dalla quale è possibile apprendere che: <<Alla fine del 1999 le istituzioni nonprofit in Italia erano 221.412, impiegavano più di 4 milioni di persone (di cui 3 milioni e 200 mila volontari) e facevano registrare un ammontare delle entrate pari a 73 mila miliardi di lire (circa 38 miliardi di euro). Nella maggior parte dei casi si trattava di istituzioni: -localizzate nell’Italia settentrionale (51,1%); -aventi la forma giuridica di associazione non riconosciuta (63,3%); -operanti in via principale nel settore della Cultura, sport e ricreazione (63,4%); - costituitesi dopo il 1980 (78,5%); -di dimensioni economiche contenute (54,9% con entrate annue fino a 30 milioni di lire); -operanti con volontari (80,2%); -finanziate prevalentemente da privati (87,1%)>>(Cnel, 2008)

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Tavola 4.1 - Istituzioni nonprofit per forma giuridica, regione, settore di attività prevalente e periodo di costituzione. Anno 1999 FORMA GIURIDICA REGIONE SETTORE DI ATTIVITA' PREVALENTE PERIODO DI COSTITUZIONE Associazione

riconosciuta Fondazione Associazione

non riconosciuta Comitato Cooperativa

sociale Altra forma

Totale

Piemonte 4.951 266 11.995 398 361 728 18.700Valle d' Aosta 352 11 404 22 28 15 833Lombardia 8.544 672 19.364 420 808 1.311 31.119Trentino-Alto Adige 2.059 86 5.490 232 118 324 8.308Bolzano-Bozen 1.398 50 2.658 60 49 247 4.461

Trento 661 36 2.832 172 69 77 3.848

Veneto 4.964 254 14.429 436 353 657 21.092Friuli-Venezia Giulia 1.475 51 4.210 136 113 134 6.119Liguria 2.501 122 4.615 120 142 340 7.841Emilia-Romagna 3.733 275 13.784 432 363 572 19.160Toscana 5.704 229 11.016 371 244 457 18.020Umbria 839 59 3.076 97 93 182 4.347Marche 2.100 69 4.779 164 127 237 7.476Lazio 4.506 342 10.776 309 328 860 17.122Abruzzo 1.914 71 3.550 64 117 124 5.841Molise 408 7 486 22 75 23 1.021Campania 4.047 137 6.525 127 141 434 11.411Puglia 3.622 125 7.406 191 277 415 12.036Basilicata 482 6 654 11 60 58 1.271Calabria 2.081 74 2.634 43 170 298 5.301Sicilia 4.278 111 11.052 111 489 485 16.526Sardegna 2.748 40 4.504 125 244 208 7.870ITALIA 61.309 3.008 140.752 3.832 4.651 7.861 221.412NORD 28.580 1.737 74.292 2.196 2.286 4.081 113.172CENTRO 13.149 699 29.648 941 792 1.736 46.965MEZZOGIORNO 19.580 572 36.812 695 1.573 2.044 61.275 Cultura, sport e ricreazione 37.245 865 97.725 2.334 476 1.747 140.391Istruzione e ricerca 2.631 714 5.676 202 135 2.294 11.652Sanità 5.338 167 3.483 64 362 262 9.676Assistenza sociale 6.575 773 8.073 322 2.397 1.204 19.344Ambiente 1.274 15 1.738 155 66 29 3.277

Sviluppo economico e coesione sociale 963 82 2.281 204 692 116 4.338

Tutela dei diritti e attività politica 1.578 21 4.954 170 0 120 6.842Filantropia e promozione del volontariato 380 147 635 59 0 25 1.246

Cooperazione e solidarietà internazionale 420 36 845 90 10 30 1.433

Religione 1.076 157 2.771 109 0 1.790 5.903

Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi 3.608 0 11.863 75 0 105 15.651

Altre attività 222 31 707 48 514 138 1.660TOTALE 61.309 3.008 140.752 3.832 4.651 7.861 221.412 fino al 1950 3.495 239 5.004 78 33 1.410 10.258dal 1951 al 1960 1.835 135 2.448 48 13 368 4.846dal 1961 al 1970 2.907 172 4.287 70 20 421 7.877dal 1971 al 1980 8.188 385 13.722 373 333 1.609 24.609dal 1981 al 1990 15.245 671 31.132 863 1.741 1.955 51.606dopo il 1990 29.640 1.406 84.159 2.401 2.511 2.099 122.216TOTALE 61.309 3.008 140.752 3.832 4.651 7.861 221.412Fonte: Istat, Censimento delle istituzioni nonprofit, 1999.

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<<Per svolgere le loro attività le istituzioni nonprofit si avvalgono molto frequentemente di volontari. L’80,2% delle istituzioni utilizzava volontari e questi costituivano l’unica tipologia di risorse umane impiegata dal 70,1% delle unità. Assai meno diffuso era l’impiego di lavoratori dipendenti: solo il 15,2% delle istituzioni se ne avvaleva e una quota dell’8% li utilizzava come unica risorsa. Ancora più limitato era l’impiego di lavoratori con contratto di collaborazione (5,6% delle istituzioni), di religiosi (4,7%), di obiettori di coscienza (2,3%) e di lavoratori distaccati da altri enti (1,7%)>> (Cnel, 2008 su dati Istat, 1999)

Allo stato attuale ci sono tuttavia indizi per ritenere che il mercato del lavoro si sia espanso in maniera significativa: pur rimanendo una significativa quota di volontariato ci sono indizi che lasciano percepire un sensibile aumento dell’impiego dipendente.

Il  volontariato  in  Italia:  alcuni  dati    Il ruolo che riveste il volontario nell’economia europea (e quella italiana) è fondamentale: non a caso per il 2011 è stato istituito l’anno europeo sul volontariato. L’importanza sociale che riveste il volontario è palese: <<esso gioca un ruolo essenziale nelle varie comunità, come insieme di nodi fondamentali delle reti di relazioni, e come aggregato composito di provider di servizi in settori che vanno dalla sanità all’assistenza sociale allo sport alla protezione civile; la sua azione da tempo contribuisce a innalzare la qualità globale della vita sociale e, nella recente fase di crisi, è stato uno dei protagonisti dei processi di ammortizzazione degli effetti della crisi stessa>> (Censis, 2010).

Secondo una recente ricerca condotta dal Centro Nazionale per il Volontariato i volontari sarebbero 826.000 le persone che in Italia prestano la propria opera come volontari all’interno del terzo settore 1 . (Complessivamente il dato parla di circa un milione di persone). Di seguito si riporta una sintetica descrizione dei principali tratti caratteristici del volontario italiano <<Oltre 1 milione di volontari sono attivi nelle organizzazioni italiane (2006, FIVOL): 54,4% dei quali uomini e 45,6% donne. La loro distribuzione

                                                                                                                         1  Per  maggiori  approfondimenti  http://www.ispro.it/site/content/volontariato-­‐sono-­‐826mila-­‐i-­‐volontari-­‐italia  

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Tavola 4.2 – Istituzioni nonprofit per numero di classi di attività e settore di attività prevalente. Anno 1999 Numero di classi di attività Totale

SETTORE DI ATTIVITÀ PREVALENTE 1 2 o 3 più di 3

Cultura, sport e ricreazione 90.131 41.415 8.845 140.391

Istruzione e ricerca 6.525 3.973 1.142 11.652

Sanità 6.115 2.671 890 9.676

Assistenza sociale 10.330 6.403 2.611 19.344

Ambiente 1.363 1.334 580 3.277

Sviluppo economico e coesione sociale 1.839 1.705 794 4.338

Tutela dei diritti e attività politica 4.283 1.793 759 6.842

Filantropia e promozione del volontariato 530 429 288 1.246

Cooperazione e solidarietà internazionale 610 547 274 1.433

Religione 4.049 1.340 514 5.903

Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi 9.453 5.337 861 15.651

Altre attività 940 588 133 1.660

TOTALE 136.168 67.531 17.713 221.412

Fonte: Istat, Censimento delle istituzioni nonprofit, 1999.

5. Dimensioni economiche e sociali

5.1 Risorse finanziarie

Nel 1999 le entrate delle istituzioni nonprofit ammontavano a 73 mila miliardi di lire (circa

38 mila milioni di euro), con un importo medio per istituzione di 331 milioni di lire (circa 170 mila

euro). Le uscite si attestavano su una cifra molto simile, 69 mila miliardi, con un valore medio di

312 milioni.

Il volume delle entrate, e conseguentemente delle uscite, si differenziava in modo

pronunciato secondo la forma giuridica, la regione, il periodo di costituzione e il settore di attività

prevalente.

Rispetto alla forma giuridica, più della metà dell’ammontare complessivo sia delle entrate

che delle uscite era suddiviso tra associazioni non riconosciute (31,5% delle entrate e 32,0% delle

uscite) e associazioni riconosciute (26,1% delle entrate e 24,9% delle uscite). Seguivano le

istituzioni con forma giuridica non altrimenti classificata, le fondazioni e le cooperative sociali, con

importi che si attestavano, rispettivamente e per ambedue gli aggregati, intorno al 20%, al 14% e

all’8%. Per i comitati si rilevava una quota pari allo 0,6%, sia per le entrate che per le uscite.

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sul territorio nazionale presenta percentuali diverse dalla distribuzione delle organizzazioni: infatti 31,5% di loro si situa nel Nord Est, 28,4% nel Nord Ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 18,6% nel Sud e nelle isole. I volontari coprono tutte le fasce d’età. Si dovrebbe notare però che sono leggermente più numerosi nella fascia d’età 30-54 anni (41,1%). I volontari sotto i 29 anni sono 22,1%; dai 55 ai 64 sono 23,3% e coloro con più di 64 anni sono13,5%. Oltre la metà dei volontari sono occupati (52,2%), mentre il 29,5% sono pensionati e il restante 18,3% sono studenti, casalinghe, disoccupati o persone in cerca di prima occupazione. La maggior parte svolge le proprie attività di volontariato nei seguenti settori: servizi sociali (31%); salute (28,5%); cultura e ricreazione (13,5%); protezione civile (10,2%); ambiente (4,3%)>> (Macchioni, 2010)

L’attività di volontariato è in maniera sempre crescente vista come una parte importante del percorso formativo di un individuo, poiché essa offre l’opportunità di poter sperimentare sul campo le competenze e le conoscenze acquisite, avvicinando, altresì il mondo del lavoro con quello della formazione. Tuttavia, come è possibile rilevare dalla tabella sotto, la possibilità di mettere a disposizione (sperimentare) competenze e conoscenze non è tra le prime motivazione che spingono i cittadini italiani a intraprendere un’attività nel volontariato.

Anzi, in alcuni casi il ruolo del volontario viene dipinto in maniera negativa perché percepito come un espediente da parte delle aziende che utilizzano (sfruttano) personale anche qualificato in forma volontaria, facendo svolgere gratuitamente un compito che altrimenti dovrebbe essere assegnato a un dipendente/lavoratore remunerato.

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Il  volontariato  nel  settore  dello  sport    Il volontario rappresenta una dei pilastri fondamentali dell’intero sistema sportivo nazionale. Senza l’intervento di molte persone che prestano quotidianamente una parte del proprio tempo libero in favore delle organizzazioni sportive, non sarebbero possibili molte delle attività e dei progetti che vengono realizzati. Si pensi ad esempio a quale importante contributo offrono i volontari per l’organizzazione dei Giochi Olimpici. Data l’importanza che riveste per il settore sportivo, sia a livello italiano che europeo ci sono diverse ricerche che hanno analizzato nel dettaglio il tema. Vediamo alcuni tra i dati più interessanti che sono emersi da questi studi. Come emerso da una recente ricerca del Censis (2010) su 100 addetti presenti in un’associazione sportiva più di 85 risultano appartenere alla categoria dei volontari. La quota più elevata si registra tra i dirigenti dove i non volontari rappresentano solo il 6% sul totale.

 <<Il numero medio di ore lavorate settimanalmente risulta maggiore per i tecnici – poco meno di 38 – e per chi si occupa di mansioni di tipo amministrativo e segretariato – circa 30 – mentre l’impegno dei dirigenti appare più diluito>> (Censis, 2010).

Come%si%distribuiscono%i%volontari%

84

Tab. 3.7 - Quota del personale all'interno delle associazioni sportive (val.%)

Dirigenti 49,8

Tecnici 30,2

Add. Segreteria 7,4 Manutenzione 6,7

Altro 5,9

Totale 100,0

Fonte: Censis Servizi, 2008

Il fenomeno più rilevante dell’esito dell’indagine sugli aspetti relativi al personale addetto è rappresentato

dall’alta quota di volontari, soggetti cioè che prestano la propria opera o a titolo completamente gratuito o

ricevendo un compenso sotto forma di rimborso spese nei limiti di 7.500 euro annui, come previsto dalle

norme vigenti.

Come si può vedere dalla tabella sottostante (Tab. 3.8), su 100 addetti presenti in un’associazione sportiva

più di 85 risultano appartenere alla categoria dei volontari. Anche in questo caso la quota più elevata si

registra tra i dirigenti dove i non volontari rappresentano solo il 6% sul totale.

La figura dove invece è maggiore la quota di addetti retribuiti è quella dei tecnici (allenatori, istruttori, ecc.)

con 30 retribuiti su 100 addetti in complesso.

La questione del volontariato all’interno delle strutture organizzative dello sport (non solo associazioni

sportive ma anche federazioni, comitati territoriali ed altri enti intermedi) è nota ed ha da sempre

caratterizzato lo sport italiano rappresentando sicuramente un positivo fenomeno di passione civile ma anche

un vincolo allo sviluppo di un approccio professionale necessario nell’affrontare tematiche complesse che

riguardano non solo gli aspetti tecnici ma culturali e psicologici (si pensi, ad esempio, al delicato tema

dell’avviamento allo sport dei soggetti più giovani per i quali oltre all’insegnamento dei fondamentali tecnici

bisogna ragionare di aspetti afferenti alla crescita, alla maturazione, all’orientamento, ai rapporti con la

famiglia, ecc.).

Tab. 3.8 – Il volontariato negli organismi sportivi. val.% per tipologia di addetti

Tipologia addetti % volontari Dirigenti 94,0

Tecnici 69,3

Add. Segreteria 80,7 Manutenzione 74,3

Altro 84,1

Totale 85,6

Fonte: Censis Servizi, 2008

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Anche se l’impegno del volontariato è certamente diffuso tra le organizzazioni sportive italiane, il dato complessivo è comunque inferiore rispetto a quanto accade in molti Paesi europei. Proprio l’Unione Europea in concomitanza con il lancio dell’Anno Europeo sul Volontariato (2010) ha sviluppato uno studio di tipo comparativo che ha cercato di realizzare una fotografia generale sullo stato dell’arte del volontariato negli Stati Membri. Dai dati disponibili, che comunque arrivano da ricerche svolte a livello nazionale attraverso tecniche assai diverse e quindi poco comparabili, la percentuale generale di popolazione che in Italia si dedica al volontariato è assai limitata se la si confronta con i dati della Francia o della Germania ad esempio.

   

Study on Volunteering in the European Union

Final Report

Job number 30256441 60

Table 3-2 Number and percentage of volunteers according to national studies

Number of volunteers

% adult population

Year Data coverage

Type of volunteering

Method / source Other information

Austria 3,040,000* 43.8% 2006 Population aged 15+

Formal and informal

A survey carried out by the national statistics office (Statistik Austria) on behalf of the Ministry of Labour, Social Affairs and Consumer Protection.

According to the study, 1.93 million engaged in formal and 1.87 in informal volunteering.

Belgium 1,166,000 13.5%* 2004 Population aged 15+

Formal only A review of volunteering among non-profit associations covered by the satellite accounts carried out by the Institute of National Accounts.

An under-estimate of the real number of volunteers as the results do not take into account the non-profit organisations outside the satellite account.

Other studies have concluded that 1 – 1.4 million Belgians are engaged in volunteering.

Bulgaria 403,000* 6% 2002 Population aged 15+

n.a. A Study on the voluntary sector in Bulgaria by the State Agency for Youth and Sport

Cyprus 122,000* 18.7% 2008 Population aged 15+

n.a. A small scale survey carried out by the Volunteer Network Project. Calculated what percentage of individuals had volunteered in the last 12 months. Based on a sample of 369 citizens.

The results should be treated with caution due to a small sample size (a survey among 369 citizens).

Czech Republic

Results range from 871,020 to 1,215,363

10%-14%* 2006-2007

Population aged 15+

n.a. Surveys carried out by the national statistics office. Significant differences in the results due to different methodologies used. The real figure expected to stand somewhere in-between these figure.

Denmark 1,477,000 35% 2004 Population aged 16-85

Formal and informal

Findings of the Danish study that formed part of the Johns Hopkins Comparative Nonprofit Sector project.

Estonia 285,000 27% 2009 Population aged 15-74

Formal and informal

Based on a survey carried out by TNS emor and Praxis on behalf of Volunteer Development Estonia. The survey researched the percentage of population engaged in voluntary activities in the last 12 months. Based on a sample of 500 citizens.

The results should be treated with caution due to a sample size. Surveys in Estonia should cover 1,000 individuals to be statistically representative of the population.

As the term voluntary activity is not widely understood in Estonia, the survey concluded through other questions that 47% of people had in fact been involved in carrying out voluntary activities in the past 12 months.

Finland 1,300,000 37% 2002 Population aged 15-74

n.a. Survey led by a researcher Anne Birgitta Yeung

Study on Volunteering in the European Union

Final Report

Job number 30256441 61

Number of volunteers

% adult population

Year Data coverage

Type of volunteering

Method / source Other information

France 14,000,000 26%-27%* 2007 Population aged 15+

Formal Le paysage associatif français, mesures et évolutions, Viviane TCHERNONOG, Juris Associations Dalloz, 2007, based on a survey carried out by MATISSE/CNRS in 2005 (survey sent by post to associations in activity, with 9,265 associations constituting the sample used in the analysis).

Information refers to the number of bénévoles and does not include volontaires involved in formal voluntary service or scheme.

Germany 25,484,000* 36% 2004 Population aged 15+

n.a. National survey on volunteering. Information on the number of volunteers in 2004 ranges from 23.5 million to 25.5 million.

Greece 32,000 0.3%* 2009 Population aged 15+

Formal Based on estimates on the number of regular volunteers by the National Agency for Volunteering (Citizens in Deed)

The figure is an under estimate of the total number of volunteers as it only includes the number of regular volunteers in an organised sphere. It also excludes large scale volunteering for specific events, such as the Athens 2004 Olympics which attracted 45,000 persons to volunteer.

Hungary 472,000

3,404,000*

5.5%*

40%

2007

2004

Population aged 15+ Population aged 15+

Formal

Formal and informal

Surveys carried out by the Central Statistics Office Éva Kuti and Klára Czike carried out a survey among 5,000 Hungarian in 2004. The results of this study are published in a report called Citizens’ Donations and Voluntary Activities, published by the National Volunteer Centre and The Non-Profit Research Group Association. Based on a sample of 5,000 citizens.

The differences are explained by the fact that the survey carried out by the national statistics office only includes formal form of volunteering, while the latter includes formal as well as informal volunteering in all kinds of settings.

Ireland 553,255 16.4% 2006 Population aged 15+

n.a. Census data

Italy 1,125,000 2.23%* 2006 Population aged 15+

Formal A survey carried out by the FEO-FIVOL (Rome Foundation – Third sector) examining 12,686 voluntary organisations.

Results published in a study called Frisanco R., Volti e orizzonti del volontariato, Diocesane Caritas 33rd National congress ‘Do not conform to this world’, 2009, p.3

An under-estimate of the real number of volunteers as the study examined only the number of volunteers engaged in activities of 12,686 voluntary organisations.

Latvia 477,000* 24.3% 2007 Population aged 15+

n.a. The result based on a citizen survey investigating the number of respondents that had engaged in some voluntary activity during the course of that year.

The results published by ƮUMSILS PilsoniskƗs sabiedrƯbas stiprinƗšanas programma 2008.-2012.gadam RƯga, 2008

No reliable figures on the level of volunteering.

Lithuania 85,200* 3% 2005 Population aged 15+

n.a. NISC report on Lithuania, published in 2007 for SPES study (Studi per lo Sviluppo).

Statistical information on voluntary activities is not collected in a systematic. Other studies have shown that in 2005, 17% of the

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Queste differente si riverberano anche nel settore dello sport. Il dato utilizzato nella ricerca in parola per descrivere la situazione italiana deriva dalla ricerca Nomisma del 1999. Essa rilevata un 2.2% della popolazione adulta (pari a circa un milione di persone) attiva in un volontariato svolto in favore di organizzazioni sportive. Anche in questo caso il dato, pur significativo, è molto distante in termini percentuali rispetto a quanto espresso ad esempio dalla Germania.

   Come trend generale, durante gli ultimi 10 anni, si riscontra: un incremento nel numero di volontari per lo sport in: Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Malta, Olanda e Spagna;

una relativa stabilità in: Svezia, Cipro, Regno Unito

un decremento in: Austria, Bulgaria, Germania, Lussemburgo, Lettonia, Romania, Slovacchia e Slovenia.

Anche se non espressamente riportato, si può ritenere che il trend in Italia sia orientato verso una relativa stabilità . Infine, come trend generale che accomuna tutti i Paesi europei si può riscontrare una tendenza verso la professionalizzazione con una richiesta sempre più avanzata di competenze e conoscenze per mansioni via

Study on Volunteering in the European Union

Draft Final Report

Job number 30256441 174

national fiche includes partial data, estimates from stakeholders and estimates

based on volunteers’ participation to specific events; and,

� No information – no data was found with regard to the number of volunteers in

Bulgaria, Hungary, Poland and Slovakia.

Table 4.1 below summarises the data gathered in relation to the number of volunteers

in the sport sector in a given year, their percentage of the total adult population in the

country and the source of this information.

Table 4-1 Number and share of volunteers in the sport sector

MS No. of volunteers

% of adult pop.

% of all volunteers

Year Sample size

Method / source Other information

AT 474,000* 6.8 15.7 2006 Struktur und Volumen der Freiwilligenarbeit in Österreich, Wien, Dezember 2008, study commissioned by Ministry of Social Affairs and Consumer Protection

BE (NL)

313,170 in Flanders

28.6 2007 The survey on social-cultural trends in Flanders, which targets a representative sample of Flemish individuals and covers questions concerning regular/frequent volunteering

The share of sport volunteers over the total volunteer population was a result of the SCT survey in 2007. Because this is based on the total population of Flanders.

BG N/A N/A N/A

CY 12,500* 2 2006 Survey carried out by the Cyprus Sport Organisation (2006)

CZ 240,000* 2.7 2009 Survey carried out by the Czech Sport Association

DK N/A 11 31.5

2006

Johns Hopkins Comparative Non-profit Sector project

Boje, Fridberg & Ibsen, eds., 2006

11% of the population between 16-85 years of age in Denmark in 2006 based on the Johns Hopkins Comparative study

EE 12,000 1.1 2007 Survey carried out by Estonian Olympic Committee (EOK)

The actual number of volunteers in the sport sector is much higher as this figure only captures those who are actively involved in volunteering in sport clubs, committees and federations.

FI 532,000 16 2005/6 5,510 Kansallinen Liikuntatutkimus 2005-2006: vapaaehtoistyö, study carried out by TNS Gallup Oy

16% of adults aged 19-65 take part in volunteering in sport. The survey results are based on volunteering within the organised sport movement (e.g. in sport clubs, organisations, etc.); as such, the results do not encompass volunteering taking place informally in the sport sector

FR 3,500,000* 6.8 25 2006 French National Olympic and Sport Committee (CNOSF)

DE 7,700,000* 10.9 2005 Federal Institute of Sport Science (2007): Sportentwicklungsbericht 2005/2006; Federal Institute of Sport Science (2009): Sportentwicklungsbericht 2007/2008.

This estimation was made on the basis of 7.7 million volunteers in sport in Germany (both "regular" and "irregular" volunteers), of a total population of 70.4 million aged 14 and above.

GR 45,000* 0.5 2004 This information is based on the number of volunteers who participated in the 2004 Olympic Games

Study on Volunteering in the European Union

Draft Final Report

Job number 30256441 175

Table 4-1 Number and share of volunteers in the sport sector

MS No. of volunteers

% of adult pop.

% of all volunteers

Year Sample size

Method / source Other information

HU N/A N/A N/A

IE 400,000 15 2005 Research presented by the Economic and Social Research Institute (ESRI)

Issue to consider is in relation to the overlap between volunteering and playing: many players volunteer and many volunteers play, but yet they are distinct activities and draw to some extent on different categories of the population.

Research stated that in 2005, 15% of adults volunteered in sport in the previous twelve months (at least one occasion) – 18% among men, 12% among women. This equates to over 400,000 volunteers – 250,000 men, 170,000 women.

IT 1,078,000 2.2 1999 Nomisma, Sport ed economia 1999 – studio sugli aspetti economici del sistema sportivo italiano negli anni 1994-1998, Bologna 1999

This information is based on the number of volunteers donating their times to the 61,476 affiliated organisations in 1999.

LV 200-250* 0.01 2009 This information is based on the estimates provided by the Olympic Competitions Agency for the average number of people who would be involved in a sport event.

LT 3000* 0.1 2008 Sports Statistics 2008 It is most likely that such official data underestimates the extent of voluntary activities in the sport sector. Many main flagship events, organised by the national organisations which claim to have no volunteers, are in fact supported by volunteers.

LU 380 4.3 2001 9500 Lejealle B., Le travail bénévole au Luxembourg en 2001, CEPS/INSTEAD, 2001

This information is out of the total share of volunteers in the country in the associative sector: 17.9%.

MT 30,000* 9.2 84 2004 Culture Statistics programme launched by the National Statistics Office (NSO)

NL 1,500,000 12-14 2009 NOC*NSF June 2009 The number and profile and volunteers is based on a survey published in NOC*NSF Press article

PL N/A N/A N/A

PT 200,000* 2.4 1997 Estimates of the European Council

RO 4,500-5,000* 0.02/0.03 2008 This information is based on the estimates provided by stakeholders interviewed for the study.

SK N/A N/A N/A

SI 100,000* 5.8 2007 This information is based on an estimate provided by the Ministry of Education and Sports in Slovenia.

ES 35,000 N/A 2006 This information is based on estimations for the number of volunteers who would have been needed to host the Olympic Games of 2016 if Madrid had won the

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via più complesse che spingono le organizzazioni a servirsi di un volontariato più competente e con più alti tassi di scolarità/formazione.

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La funzione sociale dell’associazionismo sportivo

Nell’affrontare il discorso sul ruolo che l’associazionismo sportivo può avere nelle azioni d’intervento sociale, il rischio di cadere nella banalità e nella retorica è assai elevato. Questo perché è facile constatare che, nella vulgata popolare, lo sport e l’associazionismo sportivo, sia pure tra voci fuori dal coro, sembrano essere diventate una panacea per tutti i mali. Le organizzazioni che si occupano di sport vengono riconosciute come portatrici di virtù, qualità, pochi difetti – per lo più enumerati en passant – e di un potenziale di azione che le configura come “strumenti” efficaci per un novero incredibile di situazioni. Ci si riferisce alla valenza, vera o presunta, comunque dichiarata, dello sport di agire positivamente sull’educazione degli individui, aiutandone la crescita e la maturazione, offrendosi come piattaforma in cui apprendere le regole della vita, i valori di riferimento della società, le modalità di gestione del conflitto, i processi della vita democratica, le modalità di relazione con l’altro e con l’autorità, le dinamiche comunicative, la “coscientizzazione” del proprio io corporeo, della personalità, dell’io in generale, i processi di gestione della sconfitta, ma anche della vittoria, le modalità di costruzione di una buona resilienza e di gestione del trauma, i processi di sviluppo delle componenti motorie; a questi elementi si aggiungono, poi, le aspettative legate allo sviluppo di stili di vita attivi, alla riduzione delle spese medico sanitarie - conseguenza questa dei benefici effetti che una partecipazione attiva ha sulla salute contrastando la comparsa o il decorso negativo di patologie come il diabete, l’ipertensione, l’obesità, alcune malattie respiratorie, l’Alzheimer, alcune malattie autoimmuni, il morbo di Parkinson, le cardiopatie, i dimorfismi strutturati e non, i disagi psichici, le paraplegie, le tetraplegie, i tumori, i disturbi alimentari, l’artrite, l’osteoporosi, l’artrosi, l’ipotonia - ; lo sport è poi più volte richiamato come potente strumento di intervento nella gestione della disabilità, sia perché sembra ritardare il decorso di molte disabilità, sia perché offre un luogo educativo in cui creare canali di inserimento nel tessuto sociale di appartenenza anche attraverso la formazione di reti amicali di mutuo soccorso che si coagulano proprio intorno al gruppo sportivo. Grossa enfasi si riscontra poi nei programmi di attività a favore della popolazione anziana poiché in questo caso la partecipazione attiva è ritenuta un agente di contrasto all’invecchiamento e all’isolamento e un mezzo attraverso cui instillare stati d’animo positivi, sostenere la tenuta psicologica, ridurre l’ipotonia e l’insorgenza di patologie connesse all’invecchiamento, aumentare i livelli di autonomia e indipendenza, ridurre l’ospedalizzazione, il ricorso alle cure mediche e l’utilizzo di farmaci. Dagli ambiti della salute pubblica si passa poi a questioni più vicine alla sicurezza sociale con l’associazionismo sportivo chiamato a contrastare i livelli di criminalità e la delinquenza – specie tra la popolazione giovanile - a favorire i processi di reinserimento e rieducazione dei soggetti carcerati - rompendo la rigidità dei tempi della detenzione e formando dei canali con il tessuto comunitario esterno-, a gestire i processi di integrazione delle minoranze offrendo un punto di contatto tra comunità di accoglienza e migranti e istituendo ponti comunicativi tra coloro che accolgono e coloro che sono accolti, a fungere da valvola di sfogo per cittadini stressati dal lavoro, schiacciati dagli impegni e delle pressioni della vita quotidiana, in costante lotta con i <<disordini>> della città, non più padroni del proprio tempo e incapaci di saper gestire il proprio tempo libero durante il quale, se non possono o non vogliono praticarlo, possono godersi lo sport dato in televisione. Televisione che insieme agli altri media, ha permesso al sistema sportivo di diventare un’inesauribile fonte di denaro, un ottimo mezzo per fare business, per creare posti di lavoro sia nel mercato diretto che nell’indotto, di favorire lo sviluppo economico e territoriale, di stimolare la rigenerazione urbana, di favorire lo sviluppo di intere città o nazioni – come nel caso dei giochi Olimpici, peraltro spesso utilizzati come elemento di prestigio politico-, di dare nuovo impulso al prodotto interno lordo (PIL) di una nazione, di favorire lo scambio di risorse, materiali, lavoratori. Ed è proprio nell’idea di sviluppo che la progettazione a base sportiva ha trovato applicazione anche in un nuovo settore: quello della cooperazione internazionale. Ed ecco che troviamo un sempre crescente numero di agenzie specializzate che operano nei contesti della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario utilizzando programmi di

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intervento per rifugiati, profughi, popolazione in conflitto, poveri, superstiti di disastri generati dalla natura e/o dell’uomo, sfollati, senza tetto, orfani, bambini soldato, ex combattenti.

Quando si percepisce fino in fondo l’enorme richiesta sociale che viene avanzata agli operatori e al

sistema sportivo e che la provocatoria elencazione appena conclusa solo in parte descrive, si ha la netta misura del ruolo imponente riservato allo sport nella società contemporanea, ma anche, di pari passo, l’eccessiva fiducia rivolta ad uno strumento di cui solo in parte ne è stata dimostrata scientificamente l’efficacia. I risultati di varie ricerche scientifiche e di numerose esperienze sul campo sembrano confermare un simile impatto dello sport, anche se, proprio le ricerche, offrono risultati contraddittori e in parte inaspettati. D’altra parte, i ricercatori che lavorano su questi temi devono sempre far fronte alla difficile questione metodologica di come si possa separare l’effetto eventuale della partecipazione sportiva dall’influenza di altri fattori di socializzazione e cambiamento comportamentale2.

Con il gap di conoscenze sin qui lamentato si fanno poi ancora più difficili le analisi intorno al ruolo che i soggetti dell’associazionismo sportivo stanno assumendo nell’ambito dello stato sociale delle diverse nazioni europee. I principali soggetti politici delle scene nazionali ed europee, prima ancora di avere conferme scientifiche, fanno proprie le convinzioni di molti sul valore sociale della pratica sportiva, esaltandone le potenzialità e introducendola nelle politiche di intervento sociale. L’evoluzione della posizione delle istituzioni europee a tal proposito sembra abbastanza esemplare del cambiamento degli atteggiamenti dell’opinione pubblica e dei decision makers verso lo sport. Il Trattato di Roma istitutivo dell’Unione non faceva infatti alcun cenno della parola sport o esercizio fisico e per decenni la Commissione Europea nel riferirsi allo sport ha tenuto conto solo della sua natura economica (integrazione nel mercato unico, eliminazione delle barriere e delle concentrazioni di proprietà, ecc.). Tale prospettiva è cambiata nell’ultima decade: a partire dall’incontro di Vienna del Consiglio Europeo del dicembre 1998 e dal cosiddetto Rapporto di Helsinki sullo sport, la sensibilità è notevolmente mutata, per cui la Commissione ha riconosciuto l’<<eccezione>> dello sport, e quindi la sua funzione eminentemente sociale e culturale. Ed è proprio questo allargamento di prospettiva ad emergere con la pubblicazione del Libro bianco sullo sport del 2007 che indica come obiettivi prioritari per tutti gli Stati membri: migliorare la salute pubblica attraverso l’attività fisica; rafforzare il ruolo dello sport nel campo dell’istruzione e della formazione; promuovere il volontariato e la cittadinanza attiva attraverso lo sport; utilizzare il potenziale dello sport per l’inclusione sociale, l’integrazione e le pari opportunità; rafforzare la prevenzione e la lotta contro il razzismo e la violenza; promuovere lo sviluppo sostenibile; creare una base più sicura per gli aiuti pubblici allo sport. Queste priorità sono peraltro riprese dal Consiglio d’Europa attraverso il documento 15213/10 redatto il 22 ottobre 2010 dal Segretariato generale del consiglio al fine di richiamare con convinzione il ruolo sociale dell’associazionismo sportivo e dare indicazioni più dettagliate su quelle che dovrebbero essere le politiche richieste per il concretizzarsi degli scenari definiti:

<<Lo sport ha un’importante posizione nelle vite di molti cittadini europei e gioca un ruolo sociale importante con potenziale attivabile nell’ambito dell’inclusione sociale; la partecipazione in attività sportive e fisica può contribuire in molti modi ai processi di inclusione; tale processo si concretizza attraverso una combinazione tra lo sport per tutti, l’accesso democratico e una offerta di opportunità e di impianti orientata alle richieste e attraverso una partecipazione inclusiva, lo sviluppo delle comunità e il rafforzamento della coesione sociale>>.

Consiglio dell’Unione Europea, Segretariato generale, Bruxelles 22 ottobre 2010, 15213/10

                                                                                                                         2  Taylor,  P.  (1999).  External  benefits  of  leisure:  measurement  and  policy  implications,  Paper  presentato  al  Tolern  Seminar  DCMS,  luglio  1999.    

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Basandosi sul principio delle pari opportunità, lo stesso documento invita a sostenere i principi dello “sport per tutti”:

1. Aumentando la partecipazione generale nello sport favorendo le attività fisica per il maggior numero possibile di cittadini, giovani inclusi;

2. Prestando attenzione particolare all’inclusione sociale per quelle persone che attualmente non sono attive poiché appartenenti a gruppi sociali svantaggiati;

3. Ricordando che l’accesso alla “sport per tutti” è importante, insieme alla accessibilità e alla disponibilità degli impianti sportivi, delle infrastrutture e dei luoghi sportivi assicurata al numero più ampio possibile di cittadini; ricordando anche l’importanza della partecipazione delle persone con disabilità che devono essere messi nelle condizioni di partecipare con gli altri individui in attività sportive, ricreative e del tempo libero.

Anche per queste ragioni le agende politiche ufficiali di numerosi Paesi hanno scelto di promuovere la pratica sportiva come strumento primario di social intervention, nell’ambito di una visione rinnovata del welfare e del rapporto stato-cittadino3. Tra i Paesi guida di questa riforma troviamo il Regno Unito, nazione in cui a partire dagli anni ’80 si è concretizzato un significativo cambiamento nell’orientamento delle politiche pubbliche che, superando un’impostazione tesa a riconoscere l’accesso alla partecipazione sportiva come di un diritto egualmente disponibile tra la popolazione (recreation as welfare), “scoprono” il potenziale di azione delle attività sportive che vengono, in maniera sempre più decisa, impiegate come mezzo attraverso cui assicurare il godimento di altri diritti come la salute, la pace, ecc. (recreation for welfare)4. Nel solco dell’esperienza anglosassone molti Paesi europei hanno esplorato il potenziale di azione dell’associazionismo sportivo: <<a partire dagli anni ’70 si sono moltiplicate con riferimento a varie categorie di soggetti, quasi sempre sulla base di partnership tra l’associazionismo sportivo (specie nell’ambito degli enti di promozione sportiva) e gli enti locali. Sono stati via via coinvolti in progetti mirati anziani, donne, disabili, immigrati, carcerati, adolescenti cosiddetti a rischio>>5. Ciò che però è mancata in questi tutti i Paesi coinvolti in questo processo di cambiamento è stata la formazione di una governance in grado di gestire un elevato numero di stakeholder e di condurre le azioni messe in campo in maniera chiaramente allineata con le più generali politiche pubbliche di intervento sociale. Non si può poi concludere che dalla negoziazione politica, comunque tuttora in corso in molti Paesi, sia scaturita per la parte dell’associazionismo sportivo cha ha assunto il ruolo strumentale nelle politiche legate allo stato sociale, una redistribuzione delle risorse storicamente concentrata nello sport di alto livello e di performance. Tale mancanza è dovuta tanto a vincoli di sistema che a limiti nell’azione delle realtà operanti nel solco dello sport per tutti, soventi incapaci di agire come un gruppo compatto intorno a degli obiettivi e dei valori di riferimento. Nello stesso Regno Unito l’iniziale slancio ha trovato, ben presto, molte soluzioni di continuità, andando a determinare uno scenario in cui organizzazioni sportive di vario tipo sono state coinvolte in politiche pubbliche purtroppo frammentate a causa della mancanza di un reale

                                                                                                                         3  Collins,  M.F.,   Kennett,   C.   (1999).   Leisure,   poverty   and   social   inclusion.   The   growing   role   of   passports   to   leisure   in  Great   Britain.   European   Journal   of   Sport  Management,   6,1,   19-­‐30;   Hartmann,   D.   (2003).   Theorizing   sport   as   social  intervention:  a  view   from  the  grassroots,  Quest,  55,  118-­‐140;  Heinemann,  K.   (2005).   Sport  and   the  welfare   state   in  Europe,   European   Journal   of   Sport   Sciences,   Dicembre,   5,   4,   181-­‐188;   Houlihan,   B.   (2000).   Politics   and   Sport,   ,   in  Coakley,  J.  e  Dunning  E.  (a  cura  di),  Handbook  of  sport  studies,  Sag,  pp.  213-­‐227;    4  Madella,  A.  (2009).  Manuale  di  sociologia  dello  sport  –  studio  del  fenomeno  e  delle  organizzazioni  sportive.  Digennaro  Simone  (a  cura  di),  Roma:  Sds  edizioni;    Coalter,  A.,  Duffield,  B.  e  Long,  J.  (1986).  The  rationale  for  public  sector  investment  in  leisure.  Sports  Council;  Londra  5  Madella,  A.  (2009).  Manuale  di  sociologia  dello  sport  –  studio  del  fenomeno  e  delle  organizzazioni  sportive.  Digennaro  Simone  (a  cura  di),  Roma:  Sds  edizioni.    

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coordinamento e di una concreta gestione delle competenze e delle responsabilità6. Vale la pena di sottolineare che proprio sulla base della valorizzazione a fini sociali dello sport, le organizzazioni sportive hanno sollecitato sempre più, non solo un riconoscimento istituzionale, che in alcuni casi mancava (si pensi all’ambito scolastico dove l’educazione fisica e sportiva è stata spesso considerata di secondo ordine7), ma anche un sostegno di carattere logistico ed economico. In effetti, negli ultimi anni molte amministrazioni pubbliche hanno indirizzato le loro sovvenzioni verso progetti sportivi con un’implicazione socializzante ed educativa, in parte ritirando il supporto alle tradizionali attività associative8. Ponendo poi sotto la lente il movimento sportivo di per sé stesso, è argomentabile che un altro punto di criticità, riconducibile anch’esso ai motivi che hanno per ora rallentato il completo passaggio ad una configurazione politica di <<recreation for welfare>>, è il mancato innalzamento e reindirizzo delle competenze e delle conoscenze degli operatori sportivi, siano essi volontari che non. Senza prestare il fianco a facili critiche, non si può non sostenere che per effetto di quel processo di professionalizzazione ben argomentato da autori quali Slack e Kikulis9 si è assistito ad un deciso aumento del know-how complessivo che accompagna il movimento sportivo. Ciò che però è ancora una volta mancato, al netto delle differenti descrizioni che possono essere fatte da contesto a contesto, è la sistematicità del cambiamento. Piuttosto lo sviluppo delle competenze e delle conoscenze e reindirizzo delle stesse si sono avuti a macchia di leopardo, fenomeno questo che ha ulteriormente frammentato il quadro complessivo. E in particolar modo il settore del volontariato, vero e proprio fulcro negli ambiti di intervento sociale10, non ha visto concretizzarsi un netto passaggio verso una forma più professionalizzata di intervento, e questo nonostante in fatto che sia stato un settore oggetto di molte sovvenzioni pubbliche. Da ciò deriva il grande affollamento di personaggi e di istituzioni nei sistemi sportivi, soprattutto in Europa, dove a diverso titolo sono coinvolti nelle attività sportive gli stati centrali, gli enti locali, i comitati olimpici, le federazioni sportive nazionali e internazionali, le leghe, le organizzazioni dello sport per tutti, la galassia delle associazioni sportive, le associazioni professionali, le organizzazioni internazionali non sportive, le istituzioni religiose ed educative, e l’enorme universo degli operatori del business sportivo11. Non è ben chiaro però, e questo è un altro elemento di incertezza, se le richieste di cui è investito l’associazionismo sportivo, siano tutte copribili da una progettazione a base sportiva che, sia pure nella molteplicità delle applicazioni possibili, dovrà pur avere dei limiti operativi. Se nei discorsi di senso comune quotidiano può sembrare che lo sport realizzi pressoché automaticamente questa sua potenzialità e quindi vada sostenuto tout-court, nell’ambito della riflessione critica di sociologi ed addetti ai lavori si sta facendo strada una visione più sfumata e spesso relativista. Le logiche a cui questi soggetti eterogenei (privati, non profit e settore pubblico) si ispirano, sono profondamente diverse, come diverse sono le modalità di promozione e gestione dei loro servizi. Diviene così importante domandarsi quale sia la coerenza tra queste filosofie operative e l’impatto socializzante dello sport e come possa effettivamente funzionare in questo settore la sussidiarietà che si nota in altri contesti                                                                                                                          6   Cfr.  Houlihan,  B.,  Green  M.  (2004)  Advocacy  coalitions  and  elite  sport  policy  change  in  Canada  and  the  United  Kingdom.  International  review    for  the  sociology  of  sport,  4:  pp.  387-­‐403.  7  Hardman,  K.  (2003).  Physical  education:  deconstruction  and  reconstruction  -­‐  issues  and  directions,  International  Council  of  Sport  Science  and  Physical  Education:  Schondorf.    8  Ewing,  M.E.,  Gano-­‐Overway,  L.A.,  Branta,  C.F.  e  Seefeldt,  V.D.  (2002),  The  role  of  sports  in  youth  development,  In  M.  Gatza,  M.A.  Messner  e  S.J.  Ball-­‐Rokeach  (a  cura  di)  Paradoxes  of  youth  and  sport,  pp.  31-­‐48,  SUNY  Press:  Albany;  Crompton,  J.L.  e  McGregor,  B.  (1994).  Trends  in  the  financing  and  staffing  of  local  government  park  and  recreation  services,  Journal  of  Park  and  Recreation  Administration,  12,  3,  19-­‐37;  Pelucchi,  M.  e  Corrente,  G.  (2002).  La  spesa  pubblica  per  lo  sport,  pp.  169  –  187,  in  Dentro  lo  sport,  primo  rapporto  sullo  sport  in  Italia.  SWG,  Il  Sole  24  Ore,  Nomisma.  9  Kikulis,  L,  Slack,  T.,  e  Hinings,  T.  (1992).  Institutionally  specific  design  archetypes:  a  framework  for  understanding  changes  in  national  sport  organisations,  International  review  for  the  sociology  of  sport,  27,  343-­‐370  10  Room,  G.  (1993).  Services  sociaux  et  exclusion  sociale.  Rapport  de  l’observatoire  européen  sur  les  politiques  National  de  lutte  contre  l’exclusion  social.  Bruxelles:  Commissione  Europea  11  Camy,  J.,    Clijsens,  L,  Madella,  A.,  Pilkington,  A.  (2004).  Rapport:  Améliorer    l’emploi  dans  le  domain  du  sport  en  Europe  par  la  formation  professionnelle.  Progetto  Vocasport,  sostenuto  dalla  Commissione  Europea,  DG  Educazione  e  Cultura,  EZUS-­‐EOSE-­‐  ENSSEE  

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nell’erogazione di servizi sociali al cittadino12. In altre parole, ci si deve domandare se tale impatto sia realizzabile indipendentemente dalle logiche e dalla mission delle rispettive organizzazioni o se invece esso ne viene in qualche modo influenzato. Altra questione è se effettivamente si possa manifestare un gioco di squadra e un networking tra organizzazioni che hanno finalità così diverse nell’ottica di uno specifico welfare mix13. Viene quasi spontaneo domandarsi, delle molte riconosciute, quale siano le reali funzioni che è possibile espletare tramite la pratica sportiva. E poi oltre, data la molteplicità dei soggetti coinvolti e l’impressionante eterogeneità degli stessi, è lecito domandarsi se esistono modelli di organizzazione e gestione, e delle logiche operative più adeguate rispetto ad altre e così capire se esiste effettivamente un difetto di governance o piuttosto un problema che deve essere ricercato altrove. I sociologi, specie quelli di impostazione tedesca, da tempo hanno cominciato ad indagare con costanza la rispondenza tra presunte funzioni e concrete applicazioni. Tra i concetti più investigati c’è un tema cruciale per la sociologia: la cosiddetta socializzazione. La socializzazione è certamente un concetto chiave per i sociologi, come è comprovato da una vastissima letteratura specifica. Si tratta essenzialmente del processo di apprendimento sociale di abilità, atteggiamenti, valori e comportamenti richiesti per partecipare alla vita della società in cui si vive. Socializzare una persona significa quindi renderla in qualche modo idonea a vivere e a muoversi in modo efficace nella società di appartenenza, e proprio in quella, cogliendone le opportunità e i limiti: questo è indubbiamente il fine essenziale di ogni sistema educativo. Nessuna società umana può sussistere senza adeguati processi di socializzazione e senza agenzie che in modo primario o secondario se ne prendano carico. La famiglia e la scuola costituiscono nella maggior parte delle società contemporanee le principali agenzie di socializzazione. Accanto ad esse, però, agiscono altre agenzie per così dire “secondarie” che operano per lo più con bambini e giovani ma anche con adulti e anziani. Dal punto di vista individuale, il principale risultato dei processi di socializzazione è ciò che noi abitualmente chiamiamo personalità, ovvero modelli individuali specifici di rappresentazioni, pensiero, di atteggiamenti, e comportamenti che risultano dall’interazione complessa di fattori sociali, psicologici e biologici14. Se si affronta senza pregiudizi o idee preconcette il modo in cui il processo di socializzazione può essere influenzato attraverso lo sport, ci rendiamo subito conto di quanto complesso sia questo terreno di riflessione. Ciò accade in primo luogo per il fatto che il concetto di sport non è affatto univoco, ma identifica “pratiche” estremamente diverse che includono lo sport agonistico, quello non-competitivo, quello professionistico, quello auto-gestito piuttosto che organizzato. Va poi detto che gli sport presentano dal punto di vista motorio, fisico e sociale delle caratteristiche molto diverse: si pensi ad esempio agli sport estremi, agli sport di combattimento, a quelli collettivi. Ci si può rendere conto facilmente come sia pertanto difficile o addirittura impossibile giungere a delle generalizzazioni valide per ogni tipo di sport o per ciascun contesto di pratica a proposito del loro impatto sociale o dell’influenza sullo sviluppo individuale. Quando si afferma il valore socializzante dello sport si vuole intendere che:

- la pratica sistematica dell’attività sportiva produce adesione a valori socialmente condivisi, promuove comportamenti desiderabili dal punto di vista sociale e può contribuire - sotto vari aspetti

                                                                                                                         12  Room,  G.  (1993).  Services  sociaux  et  exclusion  sociale.  Rapport  de  l’observatoire  européen  sur  les  politiques  National  de  lutte  contre  l’exclusion  social.  Bruxelles:  Commissione  European;   Smith,  A.  (2001).  Physical  activity  and  behavioural  change:  reaching  the  socially  excluded,  paper  presentato  al  6°  Congresso  dello  European  College  of  Sport  Science,  Colonia,  24-­‐28  Luglio. 13  Fedele,  M.  (2002).  Il  management  delle  politiche  pubbliche.  Laterza:  Bari-­‐Roma.    14  Mead,  G.H.   (1934).  Mind,  self  and  society.  Chicago:  Chicago  University  Press; Smelser,  N.J.   (1987).  Manuale  di  Sociologia.  Il  Mulino:  Bologna.    

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- all’educazione dei cittadini, al rinforzo dell’identità comunitaria o nazionale, alla prevenzione del crimine giovanile e alla lotta alla devianza;

- la partecipazione sportiva può sostenere la lotta all’esclusione sociale e l’integrazione armoniosa di

gruppi e individui di differenti gruppi etnici, l’inclusione dei disabili, di coloro che soffrono di malattie, tossicomani, reclusi e - più in generale - di tutti i soggetti svantaggiati, vulnerabili e sociologicamente “diversi”. Sono in genere proprio questi soggetti, unitamente a quelli con più bassa capacità professionale e salute più precaria a mostrare nei diversi Paesi la più ridotta partecipazione sportiva15. Il concetto di inclusione (o di lotta all’inclusione) sociale si riferisce alla possibilità da un lato di poter conseguire un livello adeguato di condizioni di vita e dall’altro di potere partecipare alle principali istituzioni sociali e professionali di una società.

La promessa è tanto impegnativa quanto affascinante, anche se una piena adesione al riconoscimento delle potenzialità formative dell’attività sportiva non sembra ancora diffusa in modo univoco tra gli specialisti dell’educazione, spesso convinti dell’effetto di interferenza dello sport rispetto alle finalità educative scolastiche16, né tra gli utenti stessi, alcuni dei quali non sembrano davvero conservare una buona opinione della loro partecipazione sportiva o, in ambito scolastico, delle lezioni di educazione fisica. Va notato che la valenza formativa ed educativa delle attività sportive, non è certo una scoperta recente ma – almeno in alcuni contesti - è quasi un refrain da oltre duecento anni. L’effetto educativo è stato regolarmente annoverato tra le ragioni dell’inserimento dell’educazione fisica e dello sport scolastico nei curricula degli studenti. Anche nei discorsi dell’inizio del XIX secolo si possono trovare accenni ripetuti alla capacità che l’attività fisica ha di “costruire il carattere” e la personalità dell’individuo. La ragione del successo dello sport nelle public schools inglesi va proprio letta nella fiducia sul suo effetto sullo sviluppo della personalità, assunto come conseguenza della disciplina del corpo e dei comportamenti che l’allenamento e la gara sportiva comportano17. I valori dell’elite inglese dominante a metà del XIX secolo e quelli di sostegno allo sport competitivo attuale non sembrano d’altra parte molto cambiati (rispetto delle regole, auto-disciplina, coraggio fisico e determinazione di fronte alle difficoltà, impegno a lungo termine nel quadro di una strategia programmata e razionale). L’idea che i giochi e lo sport abbiano una funzione socializzate essenziale la ritroviamo da tempo anche nella letteratura scientifica di diverse discipline, condivisa da autori di grande reputazione, da Piaget a Mead, da Caillois a Erikson e Denzin e da una lunga sequela di sociologi e pedagogisti sportivi che ometteremo di citare in questa sede, proprio a causa del loro grande numero18. Anche la differenza degli sport praticati da uomini e donne è stata agevolmente letta attraverso questa specifica prospettiva, proprio in quanto tali pratiche diverse fossero isomorfiche al tipo di mondo sociale abitato dai due sessi19. Questo aspetto mette in evidenza una dimensione che in questa sede non affronteremo in dettaglio, ma che costituisce l’altra faccia della funzione socializzante dello sport ovvero la funzione di

                                                                                                                         15   Collins,  M.F.,  Kennett,  C.  (1999).  Leisure,  poverty  and  social  inclusion.  The  growing  role  of  passports  to  leisure  in  Great  Britain.  European  Journal  of  Sport  Management,  6,1,  19-­‐30  16  Loy,  J.W,    McPherson,  B.D  e    Kenyon,G.  (1978).    Sport  and  socializing  institutions,  In  Loy,  J.W.  (et  al.),  Sport  and  social  systems:  a  guide  to  the  analysis,  problems  and  literature,  Reading,  Mass.,  Addison-­‐Wesley,  1978,  Capitolo  6,  pp.  215-­‐255  17Mangan,  J.A.  (1981).  Athleticism  in  the  Victorian  and  Edwardian  public  school.  The  Falmer  Press:  Londra;  Patriksson,  G.  (1995),  Sport  et  activité  physique,  pp.  123-­‐142  in  CDDS,  (1995),  Le  rôle  du  sport  dans  la  societé:  santé  socialisation,  économie.  Strasbourg  :  Les  éditions  du  Conseil  de  l’Europe  18  per  una  rassegna  suggeriamo  Le  rôle  du  sport  dans  la  societé:  santé,  socialisation,  économie,  pubblicato  nel  1995  a  cura  del  Consiglio  d’Europa  19  Bryson,  L.  (1987).  Sport  and  the  maintenance  of  masculine  hegemony,  Women’s  studies  International  Forum,  10,  349-­‐360;    Duquin,  M.E.  (1977).  Attributions  made  by  children  in  coeducational  sport  settings,    in  Landers,  D.M.  (ed.),  Psychology  of  motor  behavior  and  sport,  Champaign,  Ill.,  Human  Kinetics  Publishers,  1978,  p.462-­‐469

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controllo e conservazione sociale che certamente non è sfuggita ai suoi critici più attenti20. Gli sport maschili e femminili risultano emblematici nella definizione e riproduzione di standard di comportamento e stereotipi associati al genere21, ma più in generale lo sport è stato letto e utilizzato per perpetuare l’ordine e la struttura sociale esistenti22. Sia nelle società totalitarie che nei contesti di indubbia tradizione democratica, come quello inglese e americano, lo sport è stato largamente e costantemente valorizzato come strumento di educazione del cittadino ma anche di controllo delle masse, tanto da essere assunto come uno dei pilastri dei sistemi educativi (si pensi ad esempio al sistema universitario americano o alle Little leagues giovanili). Proprio per questa grande potenzialità di controllo sociale, lo sport è stato definito da alcuni un vero e proprio moderno <<oppio dei popoli>>23, sia per l’effetto obnubilante dei grandi eventi sportivi che per la funzione di mobilità sociale ascendente che lo sport professionistico può svolgere per (pochi e) valenti atleti delle classi sociali più svantaggiate. I Paesi comunisti hanno tradizionalmente utilizzato lo sport in questo senso e l’imponente investimento di un Paese come Cuba, capace di vincere 15 volte più medaglie pro capite rispetto a Paesi come USA o Germania ne è tuttora evidente testimonianza. Peraltro il crescente interventismo degli stati centrali nello sport olimpico di elite con il finanziamento di istituti di sport e di programmi di sostegno agli atleti di alto livello24 evidenzia che il legame tra sport e controllo e legittimazione sociale non si limita affatto ai particolari Paesi. Ad esempio, come ha notato Swift25, la costruzione della nuova identità del Sudafrica post-apartheid è strettamente mescolata allo sport, specie al rugby, ai suoi simboli ed evoluzione organizzativa. In effetti, la grande visibilità televisiva conferma in un certo senso questa visione, data la forte pressione dei media e il loro ruolo sostituivo nei processi attuali di socializzazione. Sciolla e Ricolfi 26 a questo proposito hanno definito questa generazione come <<la generazione senza padri né maestri>> riferendosi proprio al ruolo sostitutivo assunto dai media direttamente nei processi educativi e al progressivo indebolimento dei processi educativi formali rispetto a quelli formali. Vi sono indubbiamente molte e documentate ragioni che sembrano legittimare l’attività motoria e sportiva come “luogo” privilegiato dal punto di vista delle prospettive educative27. Attraverso lo sport, i praticanti possono essere esposti a modelli positivi di ruolo e di comportamento, veicolati essenzialmente da istruttori e allenatori. Questo avviene in modo massiccio a partire già dall’età infantile28. Inoltre l’attività motoria e sportiva ha un’elevata potenzialità di coinvolgimento e di identificazione in quanto possiede la capacità di produrre un alto impatto espressivo ed emotivo e di accentuare lo sviluppo di una coscienza del sé, del controllo emotivo e dell’autovalutazione, attraverso il piacere della scoperta e della percezione del proprio progresso, nella performance e nel controllo delle abilità motorie. È proprio questa ricchezza emotiva associata alla pratica a consentire, nell’opinione di molti, un'importante attivazione di processi cognitivi e di apprendimenti motori e contemporaneamente a consolidare sul piano più strettamente psicologico lo

                                                                                                                         20  Eitzen,  D.S.  (2000).  Social  control  and  sport,  pp.  370-­‐381  in  Coakley,  J.  e  Dunning  E.  (a  cura  di),  Handbook  of  Sport  Studies,  Sage  21  Messner,  M.  A.  (1988).  Sport  and  male  domination:  the  female  athlete  as  contested  ideological  terrain,  Sociology  of  Sport  Journal,  5,3,  197-­‐21  22  Brohm,  J.M.  (1978).  Sport  –  A  prison  of  measured  time.  London:  Ink  Links.;  Donnelly,  P.  (1996).  Approaches  to  social  inequality  in  the  sociology  of  sport,  Quest,  48,  221-­‐242.  23  Eitzen,  D.S.  (2000).  Social  control  and  sport,  pp.  370-­‐381  in  Coakley,  J.  e  Dunning  E.  (a  cura  di),  Handbook  of  Sport  Studies,  Sage  24Chelladurai,  P.  e  Madella,  A.  (2006).  Human  resource  management  in  Olympic  sport  organisations,  Human  Kinetics:  Champaign  25   Swift,  E.M.  (1995).  Bok  to  the  future,  Sports  Illustrated,  3  luglio,  32-­‐33  26  Sciolla,  L.  e  Ricolfi,  L.  (1989).  Vent’anni  dopo.  Saggio  su  una  generazione  senza  ricordi.  Bologna:  Il  Mulino  27  Madella,  A.  (2009).  Manuale  di  sociologia  dello  sport  –  studio  del  fenomeno  e  delle  organizzazioni  sportive.  Digennaro  Simone  (a  cura  di),  Roma:  Sds  edizioni  28  Martens,  R.  (1986).  Youth  sport  in  the  USA,  in  Weiss  e  Gould  (a  cura  di),  Sport  for  children  and  youths,  Champaign:  Human  Kinetics; Augustini,  M.,  Irlinger,  P.,  Duret,  P.  e  Louveau,  C.  (1994).  Pratiques  sportives  des  enfants  et  rôle  socialisateur  du  Sport,  Enfance,  2-­‐3,  171-­‐185.  

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sviluppo dell'identità individuale. Questi e altri vantaggi di varia natura, documentati in relazione alla pratica dell’attività motoria e sportiva, si possono riverberare anche in altre sfere della vita favorendo l’autostima, l'abbassamento dell'ansia e della tensione, lo sviluppo di un umore positivo29 e almeno in certe fasce d’età lo stesso sviluppo intellettuale e performance scolastica30. L’effetto sull’autostima acquista un’importanza fondamentale quando si parla di valore sociale dell’attività educativa svolta attraverso l’educazione sportiva. L’autostima però è un prodotto diretto delle esperienze di successo vissute: una conoscenza precisa su come gli allievi costruiscono l’autostima attraverso lo sviluppo di una percezione di competenza in campo motorio oggi non è del tutto disponibile. Peraltro le ricerche mostrano che la pratica sportiva può anche agire come acceleratore di spersonalizzazione, stress e isolamento, a causa della restrizione delle reti sociali disponibili al giovane atleta. Tali esiti non sono probabilmente riferibili all'attività motoria e sportiva in quanto tale, ma sicuramente alle sue accentuazioni agonistiche tipiche di contesti iper-specializzanti e anticipatori. Non mancano inoltre studi31 che non rilevano particolari vantaggi derivanti dalla pratica sportiva in termini di stabilità emotiva e capacità di auto-controllo. Il carattere di “attivatore” e di supporto di processi di socializzazione svolto dallo sport viene sottolineato in particolare per l'individuo in fase di crescita, anche se è erroneo pensare che la socializzazione termini con la maggiore età. Lo sport può avere un’importante funzione di socializzazione o di ri-socializzazione anche per un adulto, un pensionato, un immigrato, un professionista che si trasferisce da un contesto lavorativo ad un altro a chilometri di distanza. Attraverso l’inserimento in un contesto sportivo, tende a crescere il potenziale di contatti sociali, si sviluppano le capacità di comunicazione e nuovi ruoli possono essere appresi. Il valore dell’attività motoria e sportiva per anziani è quasi sempre descritto anche in questi termini oltre che con riferimento al contrasto degli effetti fisici più marcati del processo di invecchiamento. Ma certamente è soprattutto per i bambini, in età compresa tra 7 e 11 anni, che si ritiene che l'attività motoria e sportiva in generale possano assumere un’elevata funzione di carattere socializzante, come fu ben descritto da Mead già negli anni ’3032. Lo studio di Mead, anche se un po’ datato, contiene elementi di sicuro interesse che forse sono suggiti a molti studiosi che si sono occupati e si occupano di gioco e di sport. La centralità delle argomentazioni dell’Autore si installa intorno alla costruzione del sé e alle condizioni sociali in cui esso sorge come oggetto, cioè come target a cui sono destinate specifiche azioni più o meno volontarie. Mead sostiene che il gioco semplice e quello organizzato, siano due <<esempi illuminanti>> di contesti in cui il sé viene oggettivato e manipolato, poiché <<solo in quanto [l’individuo] assume degli atteggiamenti del gruppo sociale organizzato [in questo caso il gruppo gioco] al quale appartiene nei confronti dell’attività sociale organizzata – cooperativa – o del complesso di quelle attività nelle quali quel gruppo, in quanto tale, è impegnato, l’individuo riesca a sviluppare un sé completo o a dominare quel particolare sé completo cha ha sviluppato>>33. È il bambino in particolare che nel gioco <<rileva la morale della società>> e ne diventa <<un membro essenziale>>, passaggi prodromi a quel processo di socializzazione che porta un individuo a saper essere parte di una società. Il soggetto che da esterno, sia esso in forma collettiva – l’organizzazione- che individuale – l’educatore-, padroneggia questa condizioni insite nel gioco, può influenzare educando (nel senso di educere,                                                                                                                          29  Potas,  I.,  Vining,  A.,  e  Wilson,  P.  (1990).  Young  people  and  crime:  costs  and  prevention  Australian,  Institute  of  Criminology:  Canberra;  Weiss,  M.  (1993).  Psychological  effects  of  intensive  sport  participation  on  children  and  youth:  self-­‐esteem  and  motivation,  pp.  39-­‐69  in  Cahill,  B.  e  Pearl,  A.  (a  cura  di),  intensive  participation  in  children’s  sport,  Human  Kinetics:  Champaign; Barrett,  J.  e  Greenaway,  R.  (1995).  The  role  and  value  of  outdoor  adventure  in  young  people’s  personal  and  social  development,  Foundation  for  Outdoor  Adventure:  Coventry;  Sullivan,  C.  (1998).  The  growing  business  of  sport  and  leisure;  the  social  impact  of  physical  leisure  –  an  update,  Hillary  Commission:  Wellington,  NZ;  Coalter,    F.  (2001).  Realising  the  potential  of  cultural  services:  the  case  for  sport.  research  briefing  twelve  point  three,The  Local  Government  Association:  Londra  30  Snyder,  E.E.  (1989).  Social  Aspects  of  Sport,  Englewood  Cliffs:  NJ,  Prentice-­‐Ha; Thomas,  J.R.,  Landers,  D.M.,    Salazar,  W.,  e    Etnier,  J.  (1994).  Exercise  and  cognitive  function,  in  Bouchard,  C.  et  al  (a  cura  di)  Physical  Activity  Fitness  and  Health:  International  Proceedings  and  Consensus  Statement,  Champagne,  Illinois,  Human  Kinetics.  31  Brettschneider,  W.D.  e  Kleine,  T.  (2001).  Jugendarbeit  in  Sportvereinen  –  Anspruch  und  Wirklichkeit.  Paderborn  32  Mead,  G.H.  (1934).  Mind,  self  and  society.  Chicago:  Chicago  University  Press  33  Mead,  G.H.  (1934).  Mind,  self  and  society.  Chicago:  Chicago  University  Press  

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portare fuori) il processo di costruzione della personalità e le dinamiche complesse attraverso cui tende a definire quel sé stesso nelle sue relazioni con il gruppo al quale appartiene. È un compito assai complesso, perché influenzato anche da altri fattori esterni rispetto al rapporto tra soggetto che educe ed educando, ma nel caso lo si riesca a sussumere nella realtà, ben si comprendono le conseguenze laddove tali azioni si inseriscano all’interno di programmi di inserimento ed integrazione di bambini ed adolescenti stranieri. D’altra parte, come per ogni processo socializzante34, va ritenuto che se la proposta sportiva non va al di là di una certa soglia di frequenza di pratica, di adesione emotiva e di orientamento motivazionale, non si può certamente pensare che gli effetti ipotizzati possano manifestarsi per il solo fatto che il bambino si è iscritto ad un centro sportivo. Per socializzare attraverso lo sport è quindi necessario dapprima socializzarsi allo sport, in modo che lo sport costituisca una prolungata esperienza “saliente” per l’individuo35. Se torniamo ancora agli effetti socializzanti della pratica sportiva organizzata, ipotizzando che essa sia effettivamente sostenuta da tutto il contesto personale dello sportivo, notiamo che diversi studi di carattere sociologico 36 hanno documentato la parziale trasferibilità di alcuni apprendimenti conseguiti attraverso l'attività motoria e sportiva in altre sfere della vita sociale. Abele e Brehm37, studiando in generale la socializzazione senza riferimenti al contesto sportivo, hanno enucleato alcuni aspetti specifici in cui l'impatto dei processi di socializzazione si definisce e che sembrano particolarmente rilevanti per lo sport:

- accettazione del proprio corpo; - comprensione dei ruoli sociali; - capacità di costruire relazioni con altri soggetti; - indipendenza emotiva; - preparazione alla vita familiare e professionale; - assunzione di responsabilità sociali; - creazione di un sistema di valori e comportamenti sociali.

Ancora una volta non bisogna lasciarsi travolgere da un entusiasmo cieco: è la combinazione di vari fattori che dà conto dei diversi esiti dell’esposizione alla pratica sportiva in termini di socializzazione e sviluppo della personalità:

- fattori individuali, in particolare dipendenti dalla personalità e da bisogni specifici, dal ruolo attivo svolto dall’individuo nelle situazioni di apprendimento e soprattutto dalla percezione del proprio livello tecnico e motorio e delle proprie possibilità di successo; è naturalmente molto probabile che un utente, soprattutto tra i ragazzi, che percepisca di avere basse possibilità di successo sportivo risultino meno coinvolti e si metta a coltivare altre esperienze che gli danno più successo e gratificazione;

                                                                                                                         34  Purdy,  D.A.  e  Richard,  S.F.  (1983).  Sport  and  juvenile  delinquency:  an  examination  and  assessment  of  four  major  themes,  Pacific  Sociological  Review,  14,  pp.328-­‐338  35  Coalter, F. (2001). Realising the potential of cultural services: the case for sport. research briefing twelve point three,The Local Government Association: Londra  36  Sage,  G.  H.  (1988),  Sports  participation  as  a  builder  of  character,  The  world,  13,  629-­‐641;  Svoboda,  B.  (1995).    Sport  et  activité  physique,  pp.  105-­‐122  in  CDDS,  (1995),  Le  rôle  du  sport  dans  la  societé:  santé  socialisation,  économie,  Les  éditions  du  Conseil  de  l’Europe  :  Strasburgo  ;  Argent,    E.  (2004).  From  the  locker  room  to  the  boardroom:  developing  leaders  through  Sport,  in  Proceedings  of  the  12th  EASM  Sport  Managememt  Congress,  197-­‐198  37  Abele,  A.  e  Brehm,  W.  (1989).  Sport  zum  “Sich  Wohlfuehlen”  als  Beitrag  zue  Bewaeltigung  von  Entwicklungsaufgaben  des  Jugendalters,  pp.  114-­‐132  in  W.D.  Brettscheider,  J.  Baur  e  M.  Braeutigam  (a  cura  di),  Sport  im  Alltag  Von  Jugendliche,  Schorndorf:  Hoffmann  

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- fattori dipendenti dalle esperienze vissute nelle situazioni sportive che sono state sperimentate durante la vita del ragazzo (ad esempio il modo specifico in cui lo sport è stato attuato nella scuola, nei club, nei gruppi spontanei, ecc.);

- fattori dipendenti dall’integrazione con l’azione degli altri agenti di socializzazione, ovvero dal modo in cui coloro che dovrebbero favorire la socializzazione dei giovani allo sport svolgono quotidianamente questo loro ruolo; vanno compresi tra questi soggetti soprattutto la famiglia, i pari, la scuola e indirettamente gli stessi mass-media che veicolano, tra l’altro, l’immagine degli idoli sportivi.

Su questa base ci sentiamo di dire che l’impatto educativo dello sport risulta tanto più probabile quando esiste una convergenza di tutti o una gran parte di questi attori verso una trasmissione cosciente e intenzionale di valori, norme, conoscenze e atteggiamenti specifici a situazioni concrete, e di acquisizioni tangibili risultanti dall’apprendimento. Di recente ha acquisito maggiore consistenza la supposta funzione dell’associazionismo sportivo nell’ambito della sicurezza sociale. Nella fattispecie, Madella ipotizza due grandi linee di intervento:

- prevenire i comportamenti di carattere deviante, specie nei gruppi a rischio38; - favorire l’integrazione di gruppi socialmente marginali, come le minoranze etniche e gli immigrati39.

Tuttavia, mentre gli effetti dell’impatto dell’attività fisica sulla salute o le capacità di prestazione motoria sono abbastanza ben documentabili, gli effetti della pratica sportiva sull’inclusione sociale e sulla prevenzione della devianza in generale sono molto più difficili da dimostrare. In primo luogo ciò avviene perché gli stessi programmi di prevenzione e recupero sociale hanno spesso obiettivi piuttosto vaghi e generici ma soprattutto perché tali effetti richiedono periodi piuttosto lunghi di tempo per potersi evidenziare40. Una delle principali problematicità che gli studiosi riscontrano è la difficoltà di costruire sistemi di analisi diacronici che monitorino l’evolvere degli effetti prodotti dalle azioni realizzate. Altro punto di difficile soluzione è la distinzione tra gli effetti prodotti dall’azione in combinazione con la risultante delle influenze che il soggetto riceve all’interno del contesto sociale in cui vive. Con la complessificazione delle società, l’individuo è il centro di un influsso costante proveniente da una serie diversificata di agenzie educative che operano in maniera spesso disgiunta, le une inconsapevoli di ciò che fanno le altre. È innegabile che il contributo delle ricerche citate, insieme ad altre che forse dimentichiamo hanno fatto un po’ di luce su di un fenomeno di cui non abbiamo evitato di richiamarne la complessità. Nel ragionare sulla valenza o meno di un intervento a base sportiva in un certo qual modo, le ricerche fatte, inutile credere il contrario, lasciano irrisolti non pochi dubbi. Dubbi che permangono anche per via di un problema metodologico addizionale: la maggior parte delle ricerche effettuate, pur nella consistenza degli impianti teorici e investigativi adottati, presenta una sorta di miopia nelle analisi che tendono a concentrarsi nello

                                                                                                                         38  Best,  J.  (1999).  Making  the  case  for  the  benefits  of  sport:  research  programme  proposal,  Hong  Kong  Sports  Development  Board:  Hong  Kong;  Collins,  M.F.,  Henry,  I.P.  Houlihan,  B.,  Buller,  J.  (1999).  Research  report:  sport  and  social  exclusion,  A  report  to  the  Department  for  Culture,  Media  and  Sport,  Institute  of  Sport  and  Leisure  Policy,  Loughborough  University.  39  Putnam,  R.D.  (2000).  Bowling  alone:  the  collapse  and  revival  of  American  community.  Simon  e  Schuster:  New  York;  Elling,  A.  ,  Knoppers,  A.  e    De  Knop,  P.  (2001).  The  social  integrative  significance  of  sport:  a  critical  and  comparative  analysis  of  policy  and  practice  in  the  Netherlands.  Sociology  of  Sport  Journal,  18,  414-­‐434  40  De  Knop,  P.  e  Elling,  A.  (2004).  The  integrating  and  differentiating  significance  of  sport.  Paper  presentato  al  9°  Congresso  dell’European  College  of  Sport  Sciences,  3-­‐6  Luglio  2004,  Clermont  Ferrand,  Francia.  

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studio, assai difficile, degli effetti sugli individui, senza incrociarlo con altre variabili significative quali il tipo di struttura organizzativa adottata, le competenze e le conoscenze degli educatori/operatori coinvolti, le politiche adottate e le sinergie attivate. Quattro elementi che si sentiamo di identificare senza tema di smentita come le variabili che occorre sapientemente combinare per sperare in un effetto positivo derivante dalla partecipazione a progetti/programmi di attività sportiva. Il tutto poi deve trovare terreno fertile nel contesto sociale entro il quale viene attivato.

Al tempo stesso i risultati raccolti sembrano attestare che certamente i programmi di intervento sociale attraverso lo sport non sono in grado di produrre una riduzione permanente del crimine e della devianza se non sono accompagnati da altri tipi di misure e forme di intervento sociale più stabili e strutturali. Questo aspetto è ben evidenziato da Smith (op. cit.), che avendo analizzato i nove rapporti della Social exclusion unit del governo britannico con riferimento alle politiche pubbliche condotte nel periodo 1997-2000, sottolinea che bisogna assicurare che tutti gli interventi finalizzati ad affrontare l’esclusione sociale siano integrati, sostenibili e coinvolgano sempre iniziative locali e di self-help, con particolare riferimento alle società sportive, con volontari adeguatamente formati. Robins41 , invocando un approccio bottom-up, aggiunge che più formali e rigidi sono i programmi di intervento, più essi saranno tendenzialmente rifiutati proprio dai soggetti a maggiore rischio di comportamenti devianti. Meno restrittiva o contraddittoria sembra invece l’evidenza relativa ai progetti mirati all’inclusione sociale: i legami che abbiamo descritto tra partecipazione sportiva e acquisizione di confidenza, autostima, capacità di costruzione di legami e contatti sembrano generare più facilmente abilità trasferibili in altre aree della vita sociale e concorrere così alla costruzione del capitale sociale dell’individuo42, favorendone quindi l’integrazione. Le conclusioni del monitoraggio di numerosi progetti evidenziano che soggetti deprivati e marginalizzati coinvolti in simili azioni, almeno nel breve periodo, riuscivano ad inserirsi in nuove reti relazionali, partecipare a progetti e azioni comunitarie e perfino ad assumere ruoli operativi (ad esempio istruttori e animatori) in successivi progetti destinati ad altri soggetti deprivati dello stesso territorio. Viene anche mostrato un generale apprezzamento per queste iniziative di intervento sociale attraverso lo sport sia da parte degli organizzatori che degli utenti. Tuttavia anche in questo caso lo sport non sembra in grado di perseguire da solo l’obiettivo di integrazione ma ha bisogno di collocarsi in una prospettiva di network nella quale diverse agenzie di socializzazione e diverse progettualità si muovono in direzione comune. In generale, la maggior parte delle ricerche condotte sul tema sembrano mostrare che quando lo sport è il solo oggetto o contenuto di queste progettualità, non riesce a raggiungere l‘obiettivo dell’inclusione43. Questo si è evidenziato soprattutto nei casi di immigrati africani o asiatici che si erano creati elevate aspettative poi deluse dalla mancanza di un disegno stabile per proseguire l’inclusione attraverso lo sport. Lo studio di Elling44 evidenzia inoltre che è forte la possibilità che programmi di integrazione attraverso lo sport aumentino le relazioni amicali tra partecipanti dello stesso gruppo etnico o sociale, ma non agiscano necessariamente sul loro ampliamento all’esterno del gruppo di appartenenza. Il rischio di esperienze ghetto è piuttosto elevato45. Ciò corrisponde a quanto indicato da Theboom, Van den Bergh e De Knop46 che negli immigrati nelle Fiandre hanno rilevato

                                                                                                                         41  Robins,  D.  (1990).  Sport  as  prevention:  the  role  of  sport  in  crime  prevention  programmes  aimed  at  young  people,  University  of  Oxford,  Centre  for  Criminological  Research  occasional  paper  no.  12,  Oxford:  The  Centre    42  Long,  J.  e  Sanderson,  I.  (1998).  Social  benefits  of  sport:  Where’s  the  proof?  Sport  in  the  City-­‐Conference  Proceedings,  Vol.  2,  Sheffield    2-­‐4    Luglio,  pp.  295-­‐324.  43  Hartmann,  D.  (2003).  Theorizing  sport  as  social  intervention:  a  view  from  the  grassroots,  Quest,  55,  118-­‐140  44  Elling,  A.  (2002).  Ze  zijn  er  (niet)  voor  gebouwd.  Nieuwegein:  Arko  45  Porro,  N.  (2003).  Lo  sport  per  tutti  come  possibile  strategia  di  inclusione  sociale.  Indagine  condotta  sulla  provincia  di  Torino.  Torino:  Provincia  di  Torino  46  Theboom,  M.,  Van  den  Bergh,  K.  e  De  Knop,  P.  (2004).  Sport  and  Multiculturality.  Social  integration  of  ethnic  minorities  in  Flanders  through  Sport,  Proceedings  del  12°  European  Congress  of  Sport  Management.  EASM,  Ghent,  22-­‐25  September  2004,  pp.  248-­‐250  

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una forte preferenza per attività sportive “segregate” condotte quindi con membri della stessa comunità. Oltre a ciò è stato sottolineato che nella maggior parte dei casi tali iniziative sono generalmente rivolte ad un target maschile o comunque riproducono gli stereotipi sessuali più comuni47. Complessivamente le ricerche sottolineano che le potenzialità di integrazione richiedono che misure addizionali di sostegno alla lotta alla marginalizzazione vengano messe in atto oltre alla semplice pratica sportiva48. Sono inoltre necessari indicatori specifici e a lungo termine di inclusione sociale e/o di riduzione dei comportamenti devianti che possano essere sperimentati e valutati su un tempo sufficientemente lungo e quindi tecniche di valutazione dei progetti che non prendano in considerazione solo gli aspetti tipicamente gestionali di ciascuna iniziativa o gli effetti in termini di partecipazione sportiva49.

Coalter, Allison e Taylor50 suggeriscono ad esempio di sviluppare, con i più piccoli, strategie che

offrano attività sportive che rompano la territorialità tradizionale e riducano il rischio che i giovanissimi coinvolti finiscano nelle bande di strada. Il problema si sposta quindi alla creazione di efficaci strutture di coordinamento e monitoraggio di queste reti e delle azioni da esse attuate e alla sostenibilità dello sviluppo promosso attraverso i programmi di intervento. Ciò implica l’esistenza di strutture di volontariato specifiche di alta professionalità sia nella gestione delle attività sportive che nella progettazione e nel management di progetto. Tradizionalmente molte delle strutture esistenti tendono a lavorare in modo indipendente e a non essere sempre pronte alla collaborazione interorganizzativa. La ricerca già accennata di Theboom, mostra soprattutto quanto i club sportivi tradizionali abbiano difficoltà a collocarsi all’interno di reti di questo tipo. Osservazioni simili sono sviluppate da Porro51 con riferimento all’elaborazione di strategie di inclusione sociale attraverso lo sport nella provincia di Torino. Nel caso dei progetti diretti all’integrazione degli immigrati, queste strutture gestionali devono inoltre affrontare in modo corretto la sfida posta dalle specifiche policies nazionali di integrazione e assimilazione che mantengono, almeno nei vari paesi europei una sostanziale diversità e un diverso grado di interazione potenziale con le politiche pubbliche in materia di sport52. Muovendosi comunque con cautela, evitando qualsiasi clamore e facili generalizzazioni, è possibile ad ogni modo sostenere la tesi secondo cui lo sport, o meglio l’associazionismo sportivo, possa e debba avere un ruolo nelle azioni d’intervento sociale laddove queste contemplino un intervento allargato a soggetti che non sono di natura esclusivamente statale. Al netto dei distinguo presentati – che restano sempre e comunque validi - le possibili azioni dell’associazionismo sportivo si posizionano all’interno di cinque grandi aree: la sicurezza pubblica/il controllo delle devianze, l’integrazione/la multiculturalità, la salute pubblica, il lavoro/lo sviluppo, e l’ambiente. Se queste cinque aree, così come proposto nella tabella n° 1 sono poi

                                                                                                                         47  Coalter,    F.  (2001).  Realising  the  potential  of  cultural  services:  the  case  for  sport.  research  briefing  twelve  point  three,The  Local  Government  Association:  Londra  48  Utting,  D.  (1996).  Reducing  criminality  among  young  people:  a  sample  of  relevant  programmes  in  the  United  Kingdom,  Home  Office  Research  and  Statistics  Directorate:  Londra; Bianchini,  F.  (1998),  Culture,  economic  development  and  the  locality,    pp.  2-­‐10  in  Hardy,  S.,  Malbon,  B.  and  Taverner,C.  (a  cura  di)  The  role  of  art  and  sport  in  local  and  regional  economic  development  Regional,  Studies  Association/Jessica  Kingsley:  London.  49  Theboom,  M.,  Van  den  Bergh,  K.  e  De  Knop,  P.  (2004).  Sport  and  Multiculturality.  Social  integration  of  ethnic  minorities  in  Flanders  through  Sport,  Proceedings  del  12°  European  Congress  of  Sport  Management.  EASM,  Ghent,  22-­‐25  September  2004,  pp.  248-­‐250  50  Coalter,  F.,  Allison,  M.  e  Taylor,  J.  (2000).  The  role  of    sport  in  regenerating  deprived  urban  areas,  Scottish  Office  Central  Research  Unit:  Edimburgo  51  Porro,  N.  (2003).  Lo  sport  per  tutti  come  possibile  strategia  di  inclusione  sociale.  Indagine  condotta  sulla  provincia  di  Torino.  Torino:  Provincia  di  Torino  52  Henry,  I.,  Amara,  M.  e  Aquilina,  D.  (2004).  Philosophies  of  integration  and  assimilation  in  sport  policies  in  European  nation  states,  paper  presentato  al  9°  Congresso  dell’European  College  of  Sport  Sciences,  3-­‐6  Luglio  2004,  Clermont  Ferrand,  Francia  

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incrociate con le dimensioni dell’individuo, della comunità53 e, infine, dello Stato, si viene a determinare un quadro che sintetizza quali siano i risultati che possono essere raggiunti all’interno di un intenzionale e ben progettato intervento che contempli l’utilizzo di progetti a base sportiva e l’intervento diretto dell’associazionismo sportivo. Letto in questa chiave, quest’ultimo ha i “galloni” per poter essere a tutti gli effetti promosso a soggetto protagonista all’interno degli stati sociali di moderna concezione.

Tabella 1 Possibili effetti dell'associazionismo sportivo nell'ambito delle politiche di intervento sociale Sicurezza/controllo

devianze Integrazione/multiculturalità Salute

pubblica Lavoro/sviluppo Ambiente

Individuo Acquisizione norme di comportamento Gestione dei conflitti Riduzione dei comportamenti violenti socializzazione

Inserimento nel tessuto comunitario Conoscenza/rispetto delle diversità Sviluppo di atteggiamenti includenti

Miglioramento e mantenimento di uno stato di saluto inteso come benessere Gestione di alcune patologie

Aumento dell’occupabilità Aumento delle prestazioni lavorative e riduzione dei giorni di malattia

Conoscenza del territorio

Comunità* Riduzione comportamenti criminali Rieducazione detenuti Creazione di network e di reti amicali

Riduzione dei conflitti tra comunità e minoranze Sviluppo di comunità multiculturali Creazione di un senso di enpowerment

Aumento dei livelli di benessere a livello comunitario Riduzione delle incidenze di patologie connesse alla sedentarietà Integrazione di disabili

Creazione posti di lavoro; sviluppo di reti economiche dirette e indotte

Salvaguardia ambientale Valorizzazione del patrimonio artistico, naturalistico, architettonico

Stato Riduzione dei costi derivanti da programmi di intervento a favore della sicurezza pubblica Maggiore controllo dei comportamenti devianti Gestione della microcriminalità Creazione di network associativi in continuità con le agenzie pubbliche e para-statali.

Aumento della sicurezza pubblica Inserimento delle minoranze

Riduzione dei costi connessi con la salute pubblica Riduzione delle ospedalizzazioni Aumento dei livelli di benessere pubblico

Produttività Incremento del Pil Contributo allo sviluppo economico su larga scala Riduzione della disoccupazione

Sviluppo sostenibile Valorizzazione del patrimonio artistico, naturalistico, architettonico

* è da intendersi come un’entità sociale di piccola scala che può essere ricondotta ad un quartiere, una città e qualsiasi altro agglomerato sociale di medie-piccole dimensioni.

                                                                                                                         53  Da  intendersi  come  un’entità  sociale  di  piccola  scala  che  può  essere  ricondotta  ad  un  quartiere,  una  città  e  qualsiasi  altro  agglomerato  sociale  di  medie-­‐piccole  dimensioni  

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Associazionismo sportivo e stato sociale

Generalmente si tende a ricondurre le responsabilità e le competenze connesse con lo stato sociale ai compiti dei governi che, con la loro azione di gestione della cosa pubblica, sono chiamati a rispondere a tutta una serie di bisogni sociali che insistono sulle comunità di loro competenza. Le società in generale sono, infatti, vessate da una serie di rischi che, ove non adeguatamente gestiti, possono indebolire la pace e la stabilità sociale, ed è proprio l’azione di contrasto nei confronti di questi rischi che, più di tutte, chiama i governi ad intervenire affinché assicurino una serie di servizi e sistemi di protezione che tendono a ridurre l’eventuale portata degli effetti negativi. Ne consegue che è oramai uso comune il far rientrare nella definizione di protezione sociale tutte quelle attività svolte al fine di assicurare agli individui una copertura sociale rispetto a specifici rischi, eventi e bisogni. Il nucleo centrale di uno stato sociale è dunque composto dalle cosiddette assicurazioni sociali, ossia da una serie di protezioni che contrastano in modo particolare: la vecchiaia, l’invalidità, il decesso del coniuge, la malattia, la disoccupazione, l’infortunio sul lavoro e i carichi familiari54. Queste azioni nascono come l’esigenza di dare una risposta a tutta una serie di diritti di cittadinanza che vanno a svilupparsi nel XX secolo e che possono essere così riassunti: diritti ai servizi di base, diritti alla salute, diritto all’istruzione, diritto alla vecchiaia, diritto al lavoro e diritto alla casa. Il riconoscere i cittadini come destinatari di specifici diritti, ha responsabilizzato lo Stato, chiamato ad agire attraverso prestazioni e servizi che, dal riconoscimento formale, portassero al concretizzarsi di azioni volte a dare piena attuazione a questi diritti. Sin dall’origine dei primi esempi di stato sociale, i governi interessati hanno prestato la massima attenzione alla gestione di questi elementi, la cui presenza ha da sempre rappresentato un elemento centrale per il benessere degli individui, specie con l’evolvere delle comunità verso livelli maggiori di complessità, in ragione di tutta una serie di cambiamenti sociali che nel tempo hanno investito l’umanità. Nel tempo, l’azione degli stati sociali ha permesso un controllo via via più deciso dei suddetti rischi, sia pure con numerose contraddizioni che, anche in Paesi socialmente più evoluti, vedono sacche di popolazione non coperte da alcun sistema di protezione né diretto, né indiretto. Sono poi da registrarsi fasi storiche di profonda difficoltà, con i sistemi di protezione che hanno vacillato sotto l’onda d’urto dell’incremento della portata dei rischi e delle richieste con cui operare. Senza andare troppo a scavare nella storia, le vicende recenti già parlano di una profonda crisi dello stato sociale che a cavallo tra la fine del XX secolo e l’inizio di quello successivo ha mostrato evidenti segni di cedimento, con effetti e difficoltà che ancora oggi permangono. Pensare in questa ottica al processo di invecchiamento della popolazione, e a tutto ciò che ne consegue, offre certamente un punto di osservazione interessante attraverso cui testare l’ipotesi appena avanzata. Palesemente, e senza sforzo alcuno, anche senza far ricorso a statistiche ufficiali (invero assai numerose), la popolazione europea, e più in generale la popolazione dei Paesi cosiddetti occidentali, vive una stagione di benessere che ha aumentato in maniera decisa le aspettative di vita degli uomini (73 anni) e delle donne (79). Ora, una popolazione che invecchia creando squilibrio tra le fasce degli under 18 e quelle degli ultra sessantenni, è una popolazione che grava pesantemente sui sistemi sociali di tutti i Paesi. E questo anche in ragione di un indebolimento di quelle reti sociali – come la famiglia – che storicamente si sono fatte carico delle esigenze della popolazione anziana. A tal proposito è Ferrera ad affermare che <<lo stato del benessere europeo deve fare i conti non solo con una struttura demografica profondamente diversa rispetto al passato, ma anche con nuove e mobili configurazioni di rapporti familiari e più in generale sociali, non sempre capaci di autosufficienza>>55. Questi elementi di criticità meritano certamente una

                                                                                                                         54  Ferrera,  M.  (1998).  Le  trappole  del  welfare  –Uno  stato  sociale  sostenibile  per  l’Europa  del  XXI  secolo.  Bologna:Società  editrice  il  Mulino,  p.  8    55  Ferrera,  M.  (1998).  Le  trappole  del  welfare  –Uno  stato  sociale  sostenibile  per  l’Europa  del  XXI  secolo.  Bologna:Società  editrice  il  Mulino,  p.  15.    

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trattazione approfondita, ma ciò che occorre notare in questa riflessione preliminare, sono comunque le positività riscontrabili e i buoni effetti dei sistemi di protezione adottati. Positività che, paradossalmente, sono alla base delle difficoltà di cui abbiamo dato brevemente conto. L’esistenza di sistemi di contrasto di molti rischi sociali ha aumentato certamente i livelli di benessere di un gran numero di individui, i quali, affrancati da molte preoccupazioni, hanno potuto concentrare i propri sforzi verso la formazione di nuovi e più complessi bisogni, da cui si sono originate nuove e più complesse richieste. Ne è conseguito che, intorno allo storico nucleo centrale sul quale si è formato lo zoccolo duro dello stato sociale, si sono sviluppati nel corso del tempo numerosi altri programmi: servizi sociali e trasferimenti per individui e famiglie non autosufficienti, politiche attive del lavoro, schemi di reddito minimo garantito, interventi a sostegno dello sviluppo culturale e sociale dell’individuo e così via56. Si è, cioè, configurato un sistema che ha guadagnato in complessità, con l’aggiunta di nuove prestazioni, l’allargamento dei bisogni serviti, il coinvolgimento di nuovi soggetti produttori di politiche e servizi e l’ampliamento delle prospettive d’azione, il tutto nella logica di un agire per un bene comune più complesso e articolato. L’idea di stato sociale secondo una concezione di antica memoria, si incentra dunque sull’idea di un perseguimento del bonum commune che tende a riassumere il bene collettivo come la somma delle azioni politiche legate alla tutela della pace, dell’ordine e della giustizia sociale57. Secondo Ritter infatti <<lo stato sociale è una risposta al crescente bisogno di regolazione di rapporti sociali ed economici diventati più complessi dopo l’industrializzazione e l’urbanizzazione, alla sempre minore importanza delle forme tradizionali del solidarismo, soprattutto quello familiare, ed all’inasprimento dei conflitti di classe>>.58 Inoltre secondo lo stesso Autore, esso deve mirare all’integrazione della popolazione con la sicurezza sociale, l’uguagliamento delle posizioni e la partecipazione politico-sociale, nonché alla stabilizzazione dei sistemi politici, sociali ed economici, adeguandosi e sviluppandosi continuamente in ragione dell’evolversi della società umana che nel tempo riorganizza i propri rapporti sociali e economici verso livelli sempre più complessi e articolati. Ecco allora che tra i compiti di uno stato sociale di moderna concezione, accanto alla garanzia della sicurezza sociale del singolo, realizzata con misure di tutela del reddito in caso di vecchiaia, invalidità, malattia, infortunio e disoccupazione, con gli assegni familiari, con l’assistenza sanitaria e l’edilizia sociale, si aggiungono misure volte ad eguagliare le diverse possibilità iniziali del singolo, con l’istruzione e la formazione statale e la redistribuzione parziale del reddito da parte del sistema fiscale, nonché con la regolamentazione del mercato del lavoro e con provvedimenti di tutela delle condizioni lavorative.59 La forma dello stato sociale non è certamente statica, piuttosto plasmabile e in continua evoluzione. Inoltre, come è evidente, data la complessità e il numero elevato degli interventi richiesti, nel tempo non si è sviluppato un unico modello di riferimento, piuttosto sono emerse delle configurazioni che sono state adottate da diversi Stati che hanno inteso rispondere alle esigenze percepite secondo modalità differenti. Modalità che hanno avuto influenze significative dalla storia, dalla cultura, dai rapporti sociali ed economici che contraddistinguono una determinata comunità. Diversi autori hanno comunque provato a riassumere le molte configurazioni con cui sono stati allestiti gli stati sociali, individuando in tal senso un numero variabile di modelli idealtipici a cui fare riferimento per lo studio delle politiche sociali. Significativa è in questo senso l’opera di Norman Furniss e Timothy Tilton60 che, cercando di razionalizzare le diverse politiche di intervento sociale e le configurazioni adottate dai governi nell’allestimento di sistemi di protezione, vanno a distinguere ed individuare tre modalità operative a

                                                                                                                         56  Ferrera,  M.  (1998).  Le  trappole  del  welfare  –Uno  stato  sociale  sostenibile  per  l’Europa  del  XXI  secolo.  Bologna:Società  editrice  il  Mulino,  p.  8.  57  Ritter,  G.A.  (2007).  Storia  dello  stato  sociale.  Roma:Laterza  &  Figli.    58  Ritter,  G.A.  (2007).  Storia  dello  stato  sociale.  Roma:Laterza  &  Figli.,  p.  24-­‐25  59  Ritter,  G.A.  (2007).  Storia  dello  stato  sociale.  Roma:Laterza  &  Figli,  p.  21  60  Norman,  F  e    Tilton,  T.  (1944).  The  Case  for  the  Welfare  State.  From  Social  Security  to  Social  Equality.  Bloomington:  Indiana  University  Press.  

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cui riconducono altrettanti profili di stato sociale. Nello specifico, essi individuano: una prima configurazione in cui è il governo/stato, definito positivo, tende a privilegiare l’assicurazione sociale e ad utilizzarla come strumento di controllo sociale, non offrendo alcuna garanzia per i lavoratori senza un posto stabile; una seconda configurazione definita di <<social security state>> che tende a perseguire una politica di piena occupazione garantendo a tutti i cittadini un reddito minimo insieme ad un’eguaglianza nelle opportunità; un terzo modello che si basa su principi di eguaglianza, cooperazione e solidarietà promuovendo servizi sociali pubblici per tutti e un ruolo dominante per i lavoratori rispetto all’imprenditore che spesso viene concepito in senso del tutto negativo. I due sociologici definiscono un siffatto Stato un <<social welfare state>> descrivendolo come una configurazione tipica di Paesi come la Svezia; gli altri due idealtipi vengono invece riferiti agli Stati Uniti il primo e la Gran Bretagna il secondo. Ovviamente, come accade per tutte le rappresentazioni idealtipiche, i tre modelli proposti non esauriscono le possibili configurazioni esistenti non essendo in grado di percepire quelle distinzioni che tendono ad emergere da stato sociale a stato sociale. L’esempio dell’Italia è in questo caso emblematico non essendo possibile ricollocare il modello adottato all’interno di una delle tre configurazioni61. Il tentativo fatto è comunque certamente interessante, in quanto semplifica lo studio anche in una prospettiva transnazionale senza per questo depauperare delle loro componenti più significative i sistemi di protezione. Certamente il modello di classificazione soffre di una visuale troppo ristretta che concentra il proprio focus sull’azione dello Stato, lasciando fuori un elevato numero di soggetti produttori di politiche sociali. Nel su richiamato processo di evoluzione dei rapporti sociali, l’elemento di interesse che emerge nell’analisi del cambiamento degli stati sociali, è certamente la perdita, se così si può definire, del monopolio dei governi indotti a instaurare un dialogo sempre più intenso con soggetti pubblici e privati al fine di sostenere le azioni di risposta ai bisogni e di controllo dei rischi. L’ineluttabilità di questo allargamento, richiede una prospettiva d’analisi più articolata che non può concentrarsi sulla sola azione governativa. Ecco allora che, il sociologo Franz-Xaver Kaufmann nel tentativo di ampliare il discorso rispetto ai compiti di uno stato sociale il cui protagonista non è solo lo Stato, ma piuttosto un insieme di attori sociali coadiuvati da una governance, ha elaborato uno schema in cui riassume gli interventi di natura sociale all’interno di quattro direttrici: interventi di natura giuridica, tesi al miglioramento della posizione delle persone dinanzi la legge; interventi economici che operano direttamente sul reddito degli individui; interventi ecologici che hanno come fine quello di migliorare l’ambiente materiale e sociale; interventi pedagogici volti a migliorare la capacità di azione degli individui attraverso istanze formative, consultive ed informative62. È evidente che le logiche di azione proposte dal sociologo non si esauriscono nel solo intervento statale, piuttosto inducono un ampliamento della prospettiva che, ad esempio, nei compiti riconducibili all’area di intervento cosiddetta pedagogica, lascia intravedere l’opera della scuola pubblica, ma anche di quella privata, l’intervento di tutte le agenzie formative, il ruolo di quella parte dell’associazionismo che fa dell’azione formativa e informativa il proprio nucleo operativo. In questi termini sembra superata un’idea restrittiva di stato sociale laddove è certamente ampio lo spettro di soggetti che possono rendersi protagonisti attivi nei quatto paradigmi di intervento. La complessità degli interventi proposti a fatto si che, ovunque in Europa, si siano ricreati dei sistemi a rete che vedono la cooperazione tra pubblico e privato in una logica di intervento che cerca di rispondere alle istanze del cittadino attraverso l’integrazione di più servizi. Vengono, altresì, ad essere concepite delle strategie di azione che, oltre ad operare per la pace e la stabilità sociale, tendono ad influenzare comportamenti e abitudini sociali su larga scala, cercando di alimentare il progresso sociale. Anche se negli ultimi anni sembra aver assunto una connotazione negativa, in quest’ottica si può probabilmente parlare di strategie di azione integrate riconducibili all’interno del paradigma della cosiddetta ingegneria sociale, cioè ad un modus operanti che coinvolge più soggetti che intenzionalmente accomunano gli sforzi nel tentativo di influenzare positivamente i comportamenti su larga scala, anche laddove non emerge una chiara emergenza sociale.

                                                                                                                         61  Per  maggiori  approfondimenti  si  veda  il  capitolo  III.  62  Franz-­‐Xaver  Kaufmann  (1983).  Elemente  einer  soziologishen  Theorie  sozialpolitischer  Intervention.  In  Id,  (a  cura  di),  Staatliche  Sozialpolitik  und  Familie,  Monaco,  49-­‐86.    

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In quest’ottica, dagli inizi deli anni ‘80 ad oggi si assiste ad un maggiore utilizzo dello sport e del movimento in un’accezione razionale: sempre più la progettazione a base sportiva è pensata in ragione di una logica di ingegneria sociale che concepisce l’attività fisica e sportiva come uno strumento di lavoro intorno a cui costruire azioni di intervento sociale. Dalla promozione dello sport come di un diritto, si passa alla promozione dello sport come di un meta-diritto, cioè di un diritto che ingloba più libertà e che prende le mosse dal riconoscimento dell’uomo come di un essere le cui componenti legate alla corporeità e alla motricità sono imprescindibili. Da un punto di vista tecnico, esso si situa a cavallo tra i diritti cosiddetti di seconda e terza generazione, ed è da concepirsi come attinente tanto all’individuo che alla collettività. Nel particolare: i diritti di seconda generazione si contraddistinguono per una matrice socialista che comprende diritti di natura economica, sociale e culturale, riconosciuti ad ogni individuo in quanto facente parte di un determinato contesto culturale. Parlare ad esempio di sport in termini di cultura vuol dire parlare di ludodiversità cioè di quella variabilità che esiste tra le diverse culture del corpo e che va a contraddistinguere il patrimonio culturale di una comunità. Preservare questo patrimonio vuol dire difendere il diritto di ogni individuo a poter essere parte integrante delle tradizioni e delle identità che gli appartengono. Se poi si pensa allo sport come a un mezzo con cui assicurare altre libertà come quelle alla salute o ad un’istruzione completa, ecco che ci si accorge che il riconoscere questo diritto assicura un supporto alla realizzabilità di altri diritti. Allargando la prospettiva del ragionamento - dall’individuo alla collettività – si entra nel raggio di azione dei diritti di terza generazione: essi hanno natura collettiva e una matrice solidaristica che tocca temi quali la pace, lo sviluppo e la cooperazione internazionale. Anche in questi ambiti lo sport ha trovato un preciso statuto e una chiara ragione d’essere. Nel 2003, infatti, l’Onu, attraverso la risoluzione 58/5, ha riconosciuto lo sport come <<strumento per la promozione dell’educazione, della salute, della pace e dello sviluppo>>. La portata di questo atto è enorme e gli effetti di superficie si evidenziano dalla lettura del crescente numero di progetti di cooperazione internazionale che si strutturano intorno ad una progettualità di tipo sportivo. In particolare, oltre alla promozione del diritto allo sport, le molte organizzazioni coinvolte nel settore utilizzano la pratica sportiva come mezzo destinato a promuovere lo sviluppo di una comunità. Si noterà il sensibile cambio di prospettiva: fuori da ragionamenti puramente scientifici sulla portata di questi interventi (necessari, ma non utili in questo caso) emerge una massiccia richiesta avanzata nei confronti di un sistema sportivo non più chiamato a svolgere funzioni legate solo al loisir, al tempo libero, ma atteso su di un piano di intervento più ampio che, oltre a riconoscere e promuovere il diritto allo sport, sfrutta la plasmabilità della pratica sportiva per intervenire a sostegno di altri diritti. Il tessuto associativo viene ad essere centrale per le istanze di benessere di un’ampia fetta di cittadinanza, andando oltre quel recinto paramedico in cui abitualmente è inserito e interpretando lo sport non solo come uno strumento con cui contrastare molte patologie, ma anche come un agente attraverso cui, ad esempio, attutire l’inevitabile declino dell’invecchiamento. Da molte malattie non si può guarire, ma si può imparare a gestirle, senza subirle. Ed è in questa prospettiva che trova una prima importante giustificazione l’impegno di molte associazioni che trattano la disabilità in chiave sportiva, provando ad offrire al disabile percorsi attraverso cui acquisire maggiori livelli di autonomia e una più efficace gestione del benessere personale. L’essere parte di un’associazione vuol dire anche e soprattutto essere inserito in una rete di relazioni sociali: gli individui coinvolti possono usufruire di quei beni relazionali e quelle connessioni che fanno agire interessi collettivi determinando un plusvalore sociale per la comunità. Non è solo praticare ma agire nella società attraverso l’associazionismo. Vuol dire farsi carico di nuove responsabilità e di nuove richieste di cittadinanza. Ed ecco perché lo sport entra nelle carceri non per “occupare il tempo” ma per sperimentare sistemi di regole e attivare quelle interazioni sociali sepolte dalla costrizione di una cella. Lo stesso dicasi per quegli interventi che vogliono offrirsi come gateway per l’inserimento delle minoranze e degli immigrati. Gli ultimi decenni hanno, dunque, visto un sensibile mutamento della percezione sociale della pratica sportiva, per effetto di una:<<presa d’atto che la dimensione sportiva è divenuta patrimonio della collettività

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e dell’economia, costituendo un essenziale fattore di integrazione sociale e di educazione>>63. Questa presa d’atto ha trovato un riscontro concreto nel numero sempre crescenti di programmi di intervento sociale che tendono ad utilizzare la pratica sportiva in maniera via via più costante.64 Non desta meraviglia la dilatazione che ne consegue, con una pratica che valica i confini tradizionali e che viene arricchita di principi sociali, educativi e culturali concepiti in una logica di formazione del cittadino. È interessante rilevare una significativa presenza di iniziative sociali sviluppate dalle associazioni sportive a favore del territorio. La portata di questo allargamento di prospettiva va ad articolare la struttura stessa dello stato sociale, chiamando all’opera un numero crescente di soggetti attivi. Entro il perimetro dello stato sociale possono così essere ricondotte tutte quelle organizzazioni pubbliche o private che intrattengono relazioni con la comunità, che aggregano e che rispondono a bisogni collettivi, interagendo con gli individui e influenzandone le abitudini e i comportamenti a favore di una continua evoluzione sociale. È intuitivo che, potenzialmente, il numero di organizzazioni coinvolgibili è molto elevato, così come estremamente variegata risulta essere la loro composizione. Si tratta ovviamente di un passaggio di grande rilievo perché induce a ripensare una visione restrittiva di stato sociale e a spostare responsabilità e aspettative non solo sullo Stato, ma anche e soprattutto sulle componenti collettive della società. Forse, con logiche argomentative leggermente differenti, si è arrivati a quel punto di approdo a cui già a partire dai primi anni ’90 erano giunti Everts e Wintersberger65 attraverso una rappresentazione allargata di stato sociale definita come <<welfare mix>>. Gli Autori, accanto allo Stato pongono ai vertici di un ipotetico triangolo di intervento, il mercato (e dunque realtà organizzate di natura privata) e la comunità. All’interno di questi confini fanno poi confluire un’enorme varietà di attori collettivi, ognuno portatore di specificità e logiche operative caratteristiche, ma tutti coinvolti in una comune azione di intervento sociale. Questa configurazione sfugge all’egemonia degli apparati pubblici, inserendo nelle strategie di azione sia il mercato – che possiede logiche legate al guadagno al profitto e alle politiche economiche – sia la comunità, con la rete di relazione di tipo primario e i rapporti di solidarietà e mutuo sostegno. Il tutto dà vita a esperienze e forme organizzative quanto mai composite, ma certamente più pronte a rispondere alla complessificazione delle istanze avanzate dalla comunità. Nel perimetro tracciato, il sistema associazionistico ha un potenziale di azione di rilievo data la collocazione trasversale con cui si presenta rispetto alla società. È indiscutibile che l’associazionismo sia in grado di offrire esperienze di attività quanto mai composite, basate su significative risorse umane, finanziarie e simboliche, tutte potenzialmente attivabili a beneficio di una diffusa utilità sociale. In questo ambito, l’associazionismo a matrice sportiva occupa uno spazio di rilievo poiché, oltre ai citati valori, vede disporre di un’alta disponibilità di lavoro volontario e semivolontario e, altresì, di sentimenti di appartenenza e dinamiche emozionali non riscontrabili in altri contesti.66 Ecco allora che l’associazionismo sportivo, laddove opera in una logica di ingegneria sociale, può certamente trovare spazio di intervento in quelli che sono stati appunto definiti gli ambiti ecologici e pedagogici. Nei primi vi rientra sia in ragione di una progettazione di spazi sportivi rispondenti ai principi di sostenibilità ambientale che in una logica di partecipazione diffusa, che incoraggi l’utilizzo degli spazi sportivi da parte di tutta la cittadinanza, riducendo in tal senso barriere fisiche e/o sociali. Ampliando poi la portata del discorso si può tenere in considerazione anche l’impronta ecologica che le manifestazioni sportive hanno sul territorio in cui insistono. Pensare in tale circostanza al gigantismo dei Giochi Olimpici fa immediatamente comprendere l’impatto che un evento di tali dimensioni può avere su un territorio. Appare evidente che una politica accorta che miri a ridurre gli effetti negativi di tutto il complesso organizzativo che va dalla costruzione dei nuovi impianti, all’organizzazione della logistica di tutte le attività previste, può essere fatta rientrare in un piano di                                                                                                                          63  CNEL,  (2004).  Gli  aspetti  economici,  sociali  e  istituzionali  del  fenomeno  sportivo.  Cnel:  Roma  64  Madella,  A.  (2006).  Sport  e  intervento  sociale.  SDS,  Rivista  di  Cultura  Sportiva,  25,  70,  Lug-­‐Sett  2006,  p.  7-­‐18  65  Everts,  A,,  Wintersberger,  H.  (eds.)  (1990).  Shifts  in  the  Welfare  Mix.  Their  Impact  on  Work,  Social  Services  and  Welfare.  Boulder  (Co):  Policies,  Westview  Press  66  Porro,  N.  (2005).  Cittadini  in  movimento.  Bari:  La  Meridiana.      

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intervento ecologico. Certamente l’intervento dell’associazionismo sportivo può assumere anche una configurazione pedagogica laddove si vada ad operare sulle capacità di azione degli individui. All’uopo si pensi alla questione degli stili di vita sia in termini di azioni di informazione che in termini di miglioramento delle capacità di azione individuali. Il discorso si estende poi, se si tengono in considerazione gli incroci tra individuo, comunità e Stato da un lato e sicurezza, integrazione, salute pubblica, lavoro e ambiente dall’altro, e che sono stati sinteticamente descritti nella tabella n° 1. Se si accettano le argomentazioni avanzate, non si può non percepire l’emergere di una nuova stagione per l’associazionismo sportivo che segue quella ben descritta da Porro nel momento in cui aveva intuito che, nella tarda modernità, la pratica sportiva era stata individuata come l’espressione di un bisogno sociale e come un nuovo diritto di cittadinanza di cui lo Stato doveva farsi carico. Ed in effetti, l’emergere di questa nuova configurazione sociale per la pratica sportiva ha spinto lo Stato ad adottare misure di ampliamento della partecipazione e ad avviare politiche orientate al riconoscimento della pratica sportiva come di un bisogno a cui dover rispondere attraverso azioni orientate all’eguaglianza nelle opportunità. Questo orientamento politico certamente deve essere mantenuto ancora oggi, ma oltre ad essere oggetto di politiche sociali, lo sport e gli attori che ne popolano il sistema, sono ora chiamati a farsi carico di una responsabilità di azione che li configura come soggetti attivi e produttori di politiche di intervento sociale. Da beneficiari di politiche sociali, le associazioni sportive che, lo ripetiamo, operano in una configurazione di ingegneria sociale, possono agire a loro volta come produttori di politiche e servizi, facendosi carico delle richieste che la società avanza, e contribuendo all’azione di contrasto dei rischi sociali. Resta però da vedere quali siano le competenze e il raggio d’azione entro cui il sistema sportivo possa muoversi nonché i livelli di collaborazione e interazione con gli altri soggetti eventualmente coinvolti e il ruolo dello Stato in questo processo. Come rilievo di carattere generale c’è da argomentare che in molti casi, l’attenzione dello Stato sul ruolo dell’associazionismo sportivo appare, in Italia in particolare, come una strategia politica emergente, una scelta cioè obbligata in risposta ai mutamenti che stanno interessando l’intero sistema del welfare, piuttosto che a delle politiche deliberate concepite come una risposta ad una vasta domanda sociale in rapida espansione.67 L’emergere per lo Stato italiano di un interesse per questo tema è avvenuto proprio in un periodo di profonda crisi dei sistemi di protezione sociale. Ne sono conseguite politiche contraddittorie che hanno spinto il sistema sportivo ad assumere una diretta responsabilità nelle produzioni di politiche a matrice sociale. Lontano dai cliché e dalla retorica politica è inconfutabile che parte dell’associazionismo sportivo abbia deciso di allargare il proprio ambito di intervento per rispondere alle nuove richieste che lo Stato in particolare e la società in generale, hanno avanzato. A tal proposito uno sguardo di insieme sugli ultimi trent’anni darà maggiore forza a quanto affermato: verso la fine degli anni ’80, McPherson, Curtis e Loy hanno realizzato un’attenta disamina delle politiche sportive emergenti fino a quel momento, provando ad individuare delle costanti rispetto alle priorità rinvenibili nelle prospettive di intervento. I tre sociologi convennero che a pilotare i produttori di politiche sportive fossero i seguenti obiettivi: l’utilizzo della partecipazione di massa come mezzo per influenzare valori, credenze e comportamenti; la costruzione di infrastrutture sportive; lo sviluppo di una rete di controllo e di regolamentazione per il sistema sportivo, specie di alto livello; la promozione dell’immagine di una nazione attraverso l’organizzazione di eventi di portata internazionale; il rinforzo di politiche sociali esistenti (si pensi ad esempio all’apartheid in Sudafrica)68. L’uso strumentale di cui viene dato conto ha trovato un’applicazione più sistematica durante gli anni ’80 e ’90 lungo la scia di un utilizzo che aveva già trovato spazio in periodi precedenti. Con l’arrivo degli anni ’90 le cose cominciano però ad avere una veste differente con le priorità di cui sopra che tendono ad essere affiancate da nuove e con un allargamento degli ambiti di intervento. Si è determinato negli ultimi

                                                                                                                         67  Ci  sono  comunque  esperienze,  come  quella  inglese,  che  invece  mostrano  l’emergere  di  politiche  più  deliberate.  Allo  stesso   tempo,  al  di   fuori  dei  proclami  e  dall’autocelebrazione,  è  ancora   lontano  dal   concretizzarsi   il   riconoscimento  dell’operatore  sportivo  come  di  un  soggetto  protagonista  nelle  azioni  di  intervento  sociale.  68  McPherson,  B.D.,  Curtis,  J.  E.,  Loy,  J.W.  (1989).  The  social  significante  of  sport-­‐an  introduction  to  the  sociology  of  sport,  Illinois:Human  Kinetics  Books.    

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quindici/venti anni un utilizzo della pratica sportiva come parte di programmi d’intervento sociale69 con un incremento del numero di progetti e di soggetti che utilizzano lo sport in maniera variamente articolata. La società odierna, di fatto, ha posto un'enfasi maggiore sull'elemento razionale dello sport70, dando significato alla partecipazione sportiva nella misura in cui diventa mezzo attraverso cui raggiungere un fine ultimo che esula dallo sport tout-court e assume delle logiche d’azione e di utilizzo che vengono razionalizzate sulla base di pre-determinati obiettivi. Una quota sempre più ampia di organizzazioni che operano nel sociale, dedica una certa parte delle proprie attività a progetti a base sportiva, con il fine dichiarato di utilizzare lo strumento-sport come mezzo per conseguire i risultati desiderati nell’ambito delle proprie azioni d’intervento. L'attenta analisi dell’odierno fenomeno sportivo rilancia dunque con vigore la forte componente razionale che lo caratterizza, soprattutto nelle attribuzioni di significato e di funzione sociale che ad esso vengono fatte. Oggigiorno, l'impegno e la partecipazione sportiva hanno significato nella misura in cui diventano mezzo attraverso cui raggiungere un fine ultimo che esula dallo sport per sé, assumendo delle logiche d'azione e di utilizzo che vengono razionalizzate sulla base dei fini e degli scopi che si ritengono attuabili attraverso un diretto coinvolgimento sportivo: allo sport viene riconosciuta, con accezioni positive e raramente negative, una funzione sociale complessa che lo ritiene capace di influenzare tanto i singoli individui che la società in generale. Se dunque l’associazionismo sportivo tende ad essere guidato da una componente razionale, un po’ in tutta Europa si assiste ad una crescita dell’intervento dell’associazionismo a base sportiva che tende ad essere più intrinsecamente legato con le logiche operative dello stato sociale. Non a caso, come detto, anche a livello Comunitario si possono trovare le tracce di questo interessante cambio di prospettiva laddove si identificano come prioritarie per tutti gli Stati membri azioni come: il miglioramento della salute pubblica attraverso l’attività fisica, il rafforzamento del ruolo dello sport nel campo dell’istruzione e della formazione, la promozione del volontariato e della cittadinanza attiva attraverso lo sport, l’utilizzo del potenziale dello sport per l’inclusione sociale, l’integrazione e le pari opportunità, il rafforzamento delle azioni di prevenzione e di lotta contro il razzismo e la violenza, la promozione di uno sviluppo sostenibile e, infine, la creazione di una base più sicura per gli aiuti pubblici allo sport. Questo certamente può essere adottato come un programma/cartello politico per la nuova stagione che attende l’associazionismo sportivo e che può essere identificato come la stagione dello sport for welfare. Il riconoscimento formale, che sembra avere avuto un ampio consenso, deve poter essere però seguito dal concretizzarsi di azioni politiche che abbracciano due livelli di intervento: uno riconducibile allo Stato, l’altro al sistema sportivo tout court. Nel primo caso è necessario un ripensamento delle strategie d’inserimento dell’associazionismo sportivo nelle politiche sociali, con lo Stato che va ad attuare un coinvolgimento più sistematico degli attori sportivi e ad attuare/favorire azioni sinergiche con il sistema sportivo e tra il sistema sportivo e altri sistemi interessati (ad esempio quello dell’istruzione e della formazione). Il sistema sportivo a propria volta è chiamato a ri-orientare le proprie politiche e a rimodulare la distribuzione delle proprie risorse in ragione di un rinnovamento (anche questo necessario) della propria agenda. Agenda che deve poter prevedere un’azione di sostegno importante a favore di quella parte dell’associazionismo cheesce fuori dal circuito dello sport di prestazione e di alto livello, e quindi si allontana da canali di finanziamento significativi. In riferimento ai dati forniti dallo stesso Coni in relazione al quadriennio 2004-2009 risulta ben evidente il netto divario tra i finanziamenti concessi alle Federazioni sportive nazionali che ammontano a circa 242 milioni di euro rispetto a quelli erogati a favori degli Eps che sono stati finanziati per circa 16 milioni di euro.

                                                                                                                         69  Madella,  A.  (2006).  Sport  e  intervento  sociale.  SDS,  Rivista  di  Cultura  Sportiva,  25,  70,  Lug-­‐Sett  2006,  p.  7-­‐18  70  Guttman,  A.  (1979).  Dal  rituale  al  record    -­‐  la  natura  degli  sport  mederni.  Collana  Traguardi  

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Grafico 1 Distribuzione dei finanziamenti pubblici allo sport; fonti varie, anno 2009

Certamente lo sport Olimpico e di alta prestazione ha dei costi di gestione molto elevati, fatto questo che spiega, in parte, il divario esistente. Ma comunque, appaiono necessarie delle politiche ridistributive che drenino risorse dallo sport di alto livello riversandole a favore di quei soggetti che operano nel sociale, attuando in tal senso una politica distributiva ex-post. In tal modo si contribuirebbe certamente a dare una concreta attuazione al riconoscimento del valore sociale della pratica sportiva, riuscendo inoltre ad avviare in maniera più decisa le politiche richieste a livello comunitario.

284,6  

165,5  

242  

16   0,6   3   2,6  

Distribuzioni  fondi  per  lo  sport  

Coni  

Coni  Servizi  Spa  

Federazioni  

Ens  di  promozione  sporsva  

Associazioni  Benemerite  

Gruppi  sporsvi  Militari  

Discipline  sporsve  associate  

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Le  nuove  frontiere  dello  sport  sociale:  la  cooperazione  internazionale      Note: per lo studio di questo tema si faccia riferimento all’articolo posto in allegato e alla presentazione dedicata.

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Lavorare nel terzo settore: quali professioni per gli operatori sportivi? Indicazioni per un corretto studio: lo studio del tema introdotto in questo paragrafo deve essere affrontato dallo studente attraverso due passaggi. Inizialmente si consiglia un’attenta lettura dell’artico di Digennaro et al. Il mercato del lavoro nel settore delle scienze motorie e sportive allegato in calce alla presente dispensa. Di seguito si suggerisce la lettura del paragrafo Lavorare nel terzo settore: quali professioni per gli operatori sportivi? utilizzando come ausilio didattico la presentazione dedicata reperibile tramite la pagina docente. A partire dagli anni ’90 si è assistito ad un progressivo aumento delle richieste sociali che la politica e più in generale la società ha avanzato verso una quota consistente di organizzazioni sportive. La <<scoperta>> dell’utilità per fini sociali che un’adeguata progettualità incentrata sulla promozione del movimento come mezzo educativo e come agente di cambiamento e di controllo sociale che hanno fatto le moderne società, ha di fatto posizionato molte organizzazioni sportive all’interno delle cosiddette politiche di welfare, favorendo la messa in opera di attività e di progetti che sempre più si configurano come dei servizi, talvolta essenziali, che vengono erogati in favore dei cittadini. La crisi dei sistemi sociali moderni, ampiamente descritta e acclarata in molte sedi sia accademiche che politiche, ha poi ulteriormente stimolato il ricorso da parte dei Governi ad un’azione quasi suppletiva dell’associazionismo in generale che è stato chiamato a integrare, spesso a sostituire, l’azione dello Stato negli schemi pubblici che garantiscono il controllo dei rischi sociali (vecchiaia, invalidità, ecc.) e il mantenimento di uno stato di benessere diffuso. Da un certo punto di vista l’azione dell’associazionismo si è palesata come più efficace rispetto alla struttura a volte troppo macchinosa dello Stato poiché la snellezza operativa che contraddistingue una parte consistente dell’associazionismo, determina modalità gestionali e processi organizzativi più flessibili che meglio si prestano ad assecondare i rapidi mutamenti che interessano le richieste sociali di gran lunga più complesse rispetto al passato. Come detto, in un siffatto scenario, una parte consistente dell’associazionismo sportivo ha assunto, in Italia e in Europa, un ruolo di primo piano, partecipando attivamente ai processi di produzione delle politiche di intervento sociale e agendo concretamente attraverso una fitta rete di attività che hanno prodotto servizi per i cittadini. L’allargamento degli ambiti d’interesse, andando oltre l’abituale ambito tecnico-sportivo tout-court, ha portato con sé un allargamento e una diversificazione del mercato del lavoro direttamente o indirettamente riconducibile al settore sportivo e alle organizzazioni che in esso vi operano. Di conseguenza si è avuto un aumento dei profili professionali e una rimodulazione delle richieste in termini di competenze e conoscenze necessarie per il corretto svolgimento delle mansioni richieste. Le competenze e conoscenze di natura tecnico-sportiva e didattica sono, infatti, condizioni necessarie ma non sufficienti per poter operare con efficacia, ad esempio, in programmi di intervento che utilizzano il potenziale aggregativo e educativo del gruppo sportivo per favorire l’inserimento dei giovani a rischio all’interno del tessuto sociale di riferimento. È da registrarsi dunque negli ultimi vent’anni una sensibile diversificazione del mercato del lavoro delle scienze motorie e sportive che, come abbiamo avuto modo di argomentare in altre occasioni (vedi Digennaro et. al, 2011), ha visto l’emergere e l’espansione di sotto-settori specifici, alcuni dei quali molto innovativi e originali. In particolare, hanno mostrato una significativa dinamicità il settore delle attività per fini sociali, quello della promozione degli stili di vita attivi e, infine, il settore dell’attività fisica adatta, ed è proprio su questi tre settori che vorremo far convergere i nostri ragionamenti, cercandoo di capire meglio nel dettaglio quali caratteristiche li contraddistinguono e, in linea generale, che tipo di profili professionali essi vanno ad intercettare. Cominciamo i discorsi partendo dal settore delle attività per fini sociali. Esso è certamente il sotto-settore che, proprio a partire dagli anni ’90, ha visto espandere in maniera significativa i propri confini grazie allo sviluppo di una serie significativa di progettualità ma anche alla nascita di organizzazioni che hanno costruito la propria mission intorno all’utilizzo del movimento, dell’attività fisica e lo sport come di strumenti di intervento sociale. Di concerto si è assistito a un significativo aumento della richiesta di personale qualificato capace di operare in una logica di ingegneria sociale in favore di immigrati, anziani, sfollati, rifugiati, ecc. Non è possibile determinare con certezza il dato quantitativo poiché, e questo è un discorso che interessa anche gli altri sotto-settori, allo stato attuale manca uno studio statistico serio e sistematico sulla dimensione del mercato del lavoro. Tuttavia grazie all’opera di studio e riflessione che

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organismi come il Censis o l’Osservatorio sulle Professioni e gli Operatori Sportivi (OPOS) hanno svolto di recente si può ragionevolmente presumere che l’incremento in termini occupazionali è stato piuttosto significativo. Tra l’altro proprio il Censis nel 2008 ha condotto una ricerca su 11.000 società sportive da cui è risultato che circa il 63% del campione ha condotto, nell’ambito di quanto fatto, almeno un’attività di carattere sociale. Se ne può dedurre anche quantitativamente un impegno significativo che intercetta in maniera trasversale il mondo dell’associazionismo sportivo e quindi anche una certa significativa domanda in termini di manodopera qualificata. Ma anche in termini di manodopera diversificata poiché gli ambiti in cui le organizzazioni vanno ad operare sono diversissimi. Si parte da attività che rimangono nel recinto dello sport, inteso come per tutti, e che abbracciano progettualità atte a favorire l’accesso alla pratica per le categorie svantaggiate, la sensibilizzazione sui temi degli stili di vita attivi, sulla corretta alimentazione, sulla lotta al doping, l’utilizzo della pratica sportiva come mezzo di contrasto agli effetti negativi dell’invecchiamento, le attività di movimento e motricità a scuola e così via discorrendo. Poi si intercettano ambiti più estesi che adattano lo strumento sport come mezzo di intervento sociale che arriva addirittura ad essere utilizzato come una parte significativa dei progetti di cooperazione internazionale. La pratica sportiva viene orientata verso traiettorie che possono portare una qualche utilità per la società e modellata sulla scorta di logiche fortemente intrise di razionalità (Digennaro, 2010). Nel contesto della cooperazione internazionale, ad esempio <<l’utilizzo di programmi a base sportiva si presenta più sofisticato, con attribuzioni di scopi e obiettivi che spaziano dalla risoluzione dei conflitti, alla lotta alla povertà e all’emarginazione; dell’educazione dei giovani al contrasto degli effetti negativi dell’invecchiamento>>(Digennaro, 2010). E lo sviluppo in termini progettuali e occupazionali in questo settore è stato negli ultimi anni florido e costante con Paesi come l’Olanda, la Norvegia e il Regno Unito che hanno fatto da testa di ponte. Anche in Italia sono nate significative esperienze (si pensi ad esempio a Peace Games e al Centro Orientamento Educativo) che hanno coinvolto un personale qualificato, che ha visto però la propria professionalità formarsi attraverso processi informali e destrutturati a causa di la diffusa mancanza nel nostro Paese di una efficace offerta formativa che intercetti tanto l’ambito della cooperazione internazionale che, più in generale, il settore delle attività per fini sociali. Come riflessione di chiosa è comunque ragionevole ritenere che la sempre maggiore attenzione per la funzione che un esperto di scienze motorie e sportive specializzato in progettualità dal carattere prevalentemente sociale può svolgere apre un lungo periodo di espansione per questa porzione del mercato del lavoro che porterà con sé un aumento in termini occupazionali. Passiamo adesso a esaminare il settore della promozione degli stili di vita attivi, segmento di mercato che è emerso significativamente negli ultimi anni sulla spinta di un maggiore interesse pubblico a cui sono seguite politiche e strategie relative alla promozione e al mantenimento degli stili di vita atti a favorire maggiori livelli di attività fisica e, di conseguenza, più alti livelli di benessere individuale e collettivo. Il mercato del lavoro italiano, data la novità, non si presenta ancora chiaramente orientato verso una precisa definizione dei profili professionali capaci di rispondere a una domanda che comunque comincia a palesarsi in maniera sempre più chiara. È ragionevole ritenere che, sulla spinta di quanto sta accadendo ad esempio nel Regno Unito o negli Stati Uniti, si renderà necessaria la presenza di personale qualificato in grado di sviluppare azioni di counselling in favore di particolari categorie di popolazione) che necessitano di un costante monitoraggio e di una adeguata pianificazione della quota di attività giornaliera dedicata al movimento (si pensi ad esempio agli anziani e agli effetti dell’ipocinesia. L’opera di counselling può essere poi svolta anche in termini di consulenza per le amministrazioni locali in vista della promozione e messa in opera di politiche e progettualità concepite per favorire maggiori tassi di movimento attivo tra la popolazione. Anche se questo tipo di professionalità non si è ancora completamente affermato in Italia, ci sembra di poter sostenere che esistono già nel mercato del lavoro soggetti in grado di poter svolgere con competenza le mansioni richieste. Se si guarda con attenzione, infatti, al meritorio progetto didattico su cui si fonda la laurea magistrale in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate si coglie infatti un profilo formativo coerente con gli approcci sin qui descritti. Affrontiamo infine il discorso concernente il settore dell’attività fisica adattata (da qui in poi AFA), anch’esso emerso in modo palese e strutturato solo negli ultimi anni, ma comunque anticipato da esperienze che in passato hanno già esplorato il potenziale della attività fisico-sportiva in favore di gruppi speciali di popolazione quali disabili o soggetti affetti da patologie croniche stabilizzate. Anche se allo stato attuale mancano delle specifiche descrizioni di carattere empirico del mercato del lavoro, attraverso un’analisi fatta a mo’ di cabotaggio, è fattibile una ricostruzione generale del settore tale da poter offrire una prima

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comprensione di massima delle dinamiche in atto. In aggiunta, è possibile poter attingere da alcune ricerche svolte a livello internazionale che, tra le altre cose, hanno inteso raccogliere alcune informazioni in merito. A tal proposito è utile citare e analizzare la ricerca sviluppata dalla Olomouc University (2010) all’interno della quale viene proposto un quadro di sintesi atto a rappresentare lo stato dell’arte in termini di riconoscimenti ufficiali delle professionalità legate all’attività fisica adattata a livello europeo. Nella classificazione, vengono distinti 4 grandi gruppi di Paesi:

- Paesi in cui l’AFA viene già chiaramente riconosciuta come professione, dove sono forniti servizi in tre differenti aree di intervento - educazione, sport e riabilitazione – e in cui i servizi sono finanziati da sistemi nazionali (esempio: la Finlandia);

- Paesi in cui l’AFA esiste come professione in una delle tre aree di intervento mentre i servizi nelle altre aree sono offerti da altri professionisti con esperienza in AFA (esempi: Belgio, Repubblica Ceca, Francia, e Svezia)

- Paesi dove l’AFA non esiste come professione ufficiale ma ci sono servizi erogati nelle tre aree di intervento da altre figure professionali (a.e fisioterapisti, allenatori, ecc.) (esempi: Irlanda, Lituania, Polonia, Regno Unito);

- Paesi in cui l’AFA non esiste ufficialmente e dove i servizi sono erogati da personale scarsamente qualificato.

L’Italia, anche se non direttamente menzionata e analizzata, può essere considerata come un membro effettivo del terzo gruppo: gli operatori AFA non hanno ancora un completo riconoscimento ed è facile registrare sovrapposizioni tra mansioni e compiti. Ad ogni modo, al di là delle criticità, se si guarda all’incidenza delle patologie croniche nella popolazione italiana e si pone tale informazione in combinato disposto con l’enorme attenzione che l’attività fisica ha guadagnato come determinante importante per la salute individuale e collettiva, si apre certamente una finestra su di un mercato del lavoro piuttosto significativo. Sempre più all’esperto nell’ambito delle scienze motorie e sportive viene richiesta una specifica capacità nel saper agire secondo una logica di servizio al cittadino, all’interno della quale trovano spazio interventi di attività motoria e sportiva che vengono concepiti come mezzi attraverso cui migliorare i livelli di benessere individuale, contrastare l’insorgenza di specifiche patologie, favorire la gestione di patologie croniche, ridurre gli effetti negativi della disabilità, ecc. All’interno di un continuum assistenziale, che è anticipato dalla prevenzione e che nella fase acuta affronta i passaggi di individuazione dei sintomi, diagnosi, terapia, compliance/autogestione del paziente e misurazione dei risultati a cui fanno seguito, in una fase post-acuta, i passaggi di recupero-riabilitazione, mantenimento e promozione della salute, hanno ragione di esistere figure professionali che operano proprio in quest’ultima fase, progettando e realizzando programmi di rieducazione al movimento e mettendo in atto interventi di promozione degli stili di vita attivi che vengono adattati alle caratteristiche di ogni soggetto. Nel momento in cui scriviamo questo tipo di servizio non ha trovato ancora un preciso e chiaro apparentamento con il settore medico-sanitario, soprattutto per ciò che riguarda il ruolo degli specialisti provenienti dalla laurea magistrale in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate. Al contrario, soprattutto nel settore non-profit, sono da registrare un numero sempre crescente di organizzazioni che attraverso l’opera di esperti del settore offrono servizi di siffatta tipologia.

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Allegati

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Simone Digennaro,lstituto Universitorio diScienze Motorie, Romo;Universito degliStudidiCossino

SPORT E SVIIUPPO: UN BINOM|O POSSlBltE?della pratica pro9rammrcooperazione i nternaziona le ,..irE

Si vuole fornire un'analisi del settore della cooperazione internazionale che utilizza la pratica sportiva come "strumento"tanto per progetti di aiuto umanitario, che per interventi di cooperazione allo sviluppo. A livello istituzionale lo sport èconsiderato un potenziale strumento di sviluppo e paee, come un mezzo di integrazione sociale e di cura e trattamentodelle popolazioni colpite da calamità. Tale atteggiamento si è tradotto in numerosi programmi di cooperazione internazionalesu base sportiva che hanno innestato un forte sviluppo del settore in termini di numero di attività, quantità di finanziamentierogati, numero di soggetti coinvolti. Si è, dunque, di fronte ad un settore in forte espansione, di cui non si sono ancoraindàgati in maniera sufficiente né gli aspetti quantitativi - quante associazioni operano, qual è il valore economico efinanziario -, né gli aspetti qualitativi - reale pertinenza dello sport nel settore, risultati attesi e raggiunti dai progetti.Attingendo ad alcune pionieristiche ricerche fatte in quest'ambito e alla ormai diffusa bibliografia dello sport sociale,si cerèa di delineare un quadro complessivo del settore e, altresì, di poter valutare su una più compiuta base scientifica,la reale spendibilità della pratica sportiva negli scenari della cooperazione internazionale.

sportiva

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Èi!

ùú

-s-ttt_f _rtp_p.$.!r-ne..l-p-îtn!:lgng.pp_n-c-gttla-f eNell 'ambito del l 'economia e piu in generale, nei contest i del la pol i -tica internazionale, il termine sviluppo viene utilizzato per descri-vere un cambiamento sociale globale che attraversa la politica, lacul tura, imodi di agire e di v ivere di una nazione e del la suapopolazione (Rist 1997). Attraverso i l processo di svi luppo, leNazioni giungono ad uno stato di benessere generale in cui lamaggior parte della popolazione ha un'attesa di vita media piutto-sto al ta, e caratter izzata da bassitassidi mortal i tà. ha buoni l ivel l id'istruzione scolastica e ha un regolare accesso all 'acqua potabile eai servizi igienici (Sachs 2005).Soprattut to dal 1945 ad oggi, sono stat i moltepl ic i i model l i teor ic iche hanno cercato di spiegare in che modo le Nazioni hanno rag-giunto o possano raggiungere adeguat i l ivel l i d i svi luppo e benes-sere. ll dibattito teorico intorno a questi elementi, sia per la com-plessi tà del le quest ioni t rat tate sia per i l loro impatto a l ivel lointernazionale in termini di sicurezza, rapporti tra le Nazioni, lottaalla povertà e piuttosto vivace e caratterizzato da una molteplicitàdi schemi teorici. Questi schemi, dati certi presupposti - economi-ci, sociali, naturali, geografici e storici- intendono individuare i fat-tor i determinant i per lo svi luppo e quindi le azioni da intraprende-re in funzione di esso.L'impossibilità di poter risolvere definitivamente il dibattito in attoe, al tempo stesso, la necessità di dover individuare un modelloappl icabi le al nostro ragionamento, c i induce ad optare per unoconcetto esfensiyo di sviluppo, che prenda in esame più fattori -economici, sociali, culturali - e che si basi su un approccio multidi-mensionale. Tale model lo interpretat ivo trova probabi lmente lamigl iore espressione nel documento noto come "Whot now?onother development" prodotto nel 1975 dalla Dog HommorskjóldFoundotion in cui lo sviluppo viene inteso come un tutt'uno, comeun processo integrale, valoriale e culturale che include I'ambientenaturale, le relazioni sociali, I 'educazione, la produzione, il consumoe il benessere e che deve essere capace di rispondere alle specificitàdel le varìe si tuazioni cul tural i o natural i (Dog HommorskjóldFoundotion 1975]r.

Secondo tale modello interpretativo sono tre i fattori che devonorealizzarsi affinche si possa parlare di un vero processo di svilup-po:

r l l soddisfacimento dei b isogni d i base per ognì indiv iduo: c ibo,hobitot, salute e educazione;

o La self-relionce (autorealizzazione) che intende lo sviluppocome un processo autonomo e fondato sul le carat ter ist ìchecul tural i , social i , pol i t iche, stor iche, economiche d'ogni s ingolanazr0ne;

o L'ecosviluppo, inteso come definizione di processi di sviluppo edi cresci ta che siano compat ib i l i con la f in i tezza del le r isorsenatural i e con uno st i le di v i ta globale sostenibi le, c ioè in gradodi preservare gli ecosistemi presenti sul pianeta Terra.

L 'e lemento chiave di ta le model lo di svi luppo è dunque la sel f -relionce, che non vuole assolutamente presentarsi come un inco-raggiamento al l 'autarchia (Hettne 1982), quanto piut tosto or ienta-re ogni singola Nazione a fare scelte operative e polit iche che ten-gano conto delle risorse locali senza per questo evitare raoporti dicolloborozione con altri Paesi. In questo senso e piu corretto oarla-re di sviluppi al plurale, poiché tale processo presenta caratteristeuniche e i r r ipet ib i l i per ogni s ingola Nazione che, pur avendo incomune con le altre la ricerca del soddisfacimento dei bisogni dìbase e un'azione polit ica, sociale e economica orientata all 'eòosvi-luppo, definisce,realizza e sostiene il processo di svilupoo secondomodalità e forme autonome.Oualora, ragioni di varia natura, non permettano ad una Nazionedi poter contare sulle proprie forze per awiare e sostenere i l pro-prio processo di sviluppo, ecco allora che il rapporto di collabora-zione tra Nazioni ipotizzato prima, puo trasformarsi in un rapportodi cooperozione in cui si realizza un intervento d'aiuto e sostegnoda parte di uno o più soggetti esterni e destinato a realizzare un'o-pera di r ipr ist ino d 'adeguat i l ivel l i d 'autonomia che rendano ingrado la Nazione sostenuta di poter riawiare i l proprio processo disviluppo. Ouanto detto rappresenta una delle modalità operativechiave delle cooperazione internazionale.

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la caaperczione intenozianoleè un aqent€ cata lzzatore dl rlsorseurnane e mater a , or entato a att ivazlofe d processi loca €nazona I d svluppo che rappreseria uno deg i st furnenl l p Ùefficientl p€r a Lotta a a povertà {Undp 20051 e I lraltamento dilut i i qu€ fattor che in var la f i lsura, inrpedlscono a Paes ln vlad sv luppo dl poter offr i r r adeguat l standard di ben€ssere ad ogrlmernbro de a propria popo azlone sostanz a mente quefo t pod'ntervento rappresenta una colaborazone che un soggetto cooperonte gereralmerte un'Aq€nz a qovernatva o uf 0ng or ienta direttanrente o indlrertamente a favo.e d un soggetlo desírofor io (un, Nrzione, una comun tà o un'associazione oca e) 2loscopo di of fr i r€ uir sostegno divar la natura a quest ul t imo.ta cooperazione internaz ona e assurne, dunqL.re, dlverse iorme as€conda d qu€ | che sono g iarnbi t i n cLr va ad operar€.Croloro o rr-po cb É po.e' de. t i ' ic , r ' -d.Fche pur rientrando n un'accez one afnpia d coop€razione Internazlonale rappfesertano a ' interno di essa dLre di l i int t ìpi dl nt€rvento;ess sono I 'a uto uîran t2r io e acooperazonealosv uppo.toiuta unonitoria è un ft€rvenio attuato per a culodia d€ lavl ta, at tenuaz one de e sol lererze e rnanlen rnenlo de adign tà urnara durante e susseguetrtemente dlsastr di or iginenaiura € e ufnana lRìsaluziane de|| 'Assenbleo genercle del leNoztani unirc a6/182, A/RES/46/7821. 0qn atllvlÌà fatta in nom€ ep€r conro d€ o sv uppo unranltar o è rvo ta a la sa vaquard a e arpr istnod adeguat i ivel d sost€nt3rn€nÌode bsognidibas€es 5!o qe n un si ferna dl neurr: i tà mparz a tà e uman tàlM:ck ntosh 20001.Dlversa è a rnoda i tà d'az one e d nterverto de e at l lv tà del aoopra o "o o. . r .ppo.t .sè.eóedef- la o ' ìFoo" " F

. assstenza a o sviuppo, che slal tLra anche n felaz one a arnblto de intervento : volle econornlco, a tr€ vo te po ltlco a trev0 te ancora soc a e;

' e rè- o.ale;. ai tv tà di scurezza def nate a paclf icare e a r solvere conf l i t

lUndp2a05\.

Provando ad ldentfcare un potet ico a;ming, or/e nec€ssaro, acoopeTazone a o svluppo non pLrò mal pr€ced€r€ un interventod aiuto urnanitar io pur avendo n oqni caso un'autonom a opera-t iva sua propr:a, dest lnata e pian fcare prograrnrn dicolaborazlone tr: soqgett cooperanti e sogqett deslinatarì

poler de lneare ur ffome teorico che g ustiflch ra € uti lzzo e arnolta enfasl (a vote eccessval ch€ s è venuta a creare intornoal o spoft cooperaUvo soprat lut to a s€guìto del a proc amaz oneda parte de e Nazloni lJn te del 'Anna nandiùle del la sparte delI educdziane fisica at\ra\eso a flso !zore 58 de 2005.Neq I u t mi ann una sempr€ rnaqqlore attenzÌone è stata dest inata al l ! r zzo de o sport corne parte nt€grante d lntervent id aiuto uman tar io (Kunz 2005) € sempre maqqior l proqet l i sonoStati sviuppati in rlsposta ad eveft calarrofic come t€rrernoti,tsuromi guerre civ l e corf i tu inter-etn cl tHeney 200s) Com€vedrerno d qu a poco, se sapi€ntemente ut iDzata, a prat icasportiva può offr re un contributo nor rdifferente al sst€ma deisoccorsl , f nanche ne pr irn r ,roment di cr i l ic tà neq I stant irnrnedalarnente successvi I d safro, lnfatt i , I semp ice r istab | -rnen:a d'attlvlrà sportlve può fornlre un importante contributo ar lpr is i ino di un senso di norma i tà (Petev 2001); evÌdenze hannopol m€sso n r i evo come g I €ffeit bereflci su a cordDlone mer-ta e dibreve per odo possono proraEifro a e tre ore succ€ssvela conc usione del e att iv i tà (Rag ln 1990) offrendo ur ben€f ic iopsco og co a persane oppr€sse da situazioni arnbienta i not€volrnente stressanti e concofendo a I creare presuppostl psicologicpiir aqevol per a gestione e I superarnento de 'emergenza.ta convening paweL a forza conv€rqente che o gport eserclta,rspeca rnoda nel confront l dei più q ovar , fac i ta, po , n-sta az one d proqet l d interu€nt i rrut turat i dl Lrnqo cor50 €dest inat l a a q€st on€ de i raurni € de conf i t Ì l (SchweryEqgengergerArgat€ 2003). Lo sport e I qioco rappresentano unava da a terrat lva p€r a r lab i taz ore psico-socla e deq i indivl 'dui (Kun2 2005) e una ca(a sperd;bl le in que le circostarze dovea cont inqenza dela sl tuazione non perrnette ntervert i p u speclc e slrutrurat i . n rae prosp€rt iva, osportsi propone comefrumento d intervenio dl naiura nor-medrco, a basso costo e ada ta p€n€trazlone tra a popo az one per i t rai tamenta d€ irau-" ede pob-a do'd1-p o.o ar he 1-" ,a o ^-^-

A cun dist inguo sono però d obbl igo. Non ci deve essere unasaprawa utaz on€ che c splnge a rltenere che o sport automatlcarnefte, con!€qua dei l raq!3rdi educat iv l (5voboda 1994Vladel a 20061 o soca I € che, n qenera €, a semp ice presa parl€ad un qua che t po d aitvtà sporUva possa conf bulre a processod paclf icazoneosviuppo d una comurl tà aff i t ta in ipotes daanni d guera o da una catafrofe naturale dl grardi d menslonAffnché o sport possa svluppare tut te e propr€ potenzaltà nta clfcostanze, è n€cessar o ch€ vengano garanl te de e cordbiolr isr f f lc iert i eenrent coèsenza qua s r lschad annchl l re evir t i r relse del o sport e di non aqlre ne : dovuta rnan era.

vantaqq assoc al a a partec pszlone sporl va non der vanoda la so a pr€sa parte, rna anche e soprattut to daL mrx tra aÌt -v l tà, impeqno f s ico e lnterazo'r socla i ( l ruson 1986 Fwinq eta . 19961: dette l r t€raz or l soclal i devono poter essere ai t wte €correttarnert€ g€st i te a nterno de mom€nto sport ivo e posso-no generarsi s iada natura e andamento dele nterazon tragindvidui (rapport con 'a enatore con compagni, con 9l a tr irnportant iJ s a da rnomentl educat lv / inforrnal iv i prevent ivamente lpallzzati. S€ così pensato e proposlo lo sport può fornire€cce lent opportur l tà educat ive lEwlnq €i a . 19961 e una p ar-taforrna nforrnatva r cu possono essere dl f fus€ ìnformazonsu temi corne la lor la al l Htv/Atds e al le nalatt e ln g€r€re edove, possono essere ln5€gnat l ' ig l€ne personale € a cura delaproprla persona. ljn'org de settore nola car"l.. 'Right ta Ploy',Va nro t progett 5v uppat i in d verse part l de rnondo, ut l l zzao sport proprio Ìn questa direzione: al i 'nterno dei mom..nt iud co-educ:tvl inserisce part i informative derlnate 2 sensibi-lzzare a popo azlone sul lmporianza d€ a pr€verz oie, a vacci-nazone e a cura persora e.

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Asslst l ;mo a giorn d'oggi ad un senrpre rnaqg or€ ut i lzzo d€ osport re l 'arnb to de a cooperaz one inlernazlona € corn€ rnezzodest inato a promuovefe a r so uz one paclf lca de € controveTs ea otta aia povertà Lrn approcc o non-nedico a prob enrl conness con disastr l di or ig n€ nalLrra e € urnana e o sv uppo eco-nom co soc a e € cu tura e di una cornur tà/Nazlone sot lo qre-ro prof io attv l tà sport iva appare ut i lzzab € con successo s an niervent l d 'aiuto uman tar o sia in proqramm dl cooperazion€ a lo sviuppo secondo moda l là e f lna l ià di f lerent, rna sempre a lnterro d specif lch€ caratter ist iche orqaf zzat ive, pfoqettua , pedagog che e socia e d que mode o t€or lco dl svl luppoestens vo che abbiamo r chiarnato n precedenza.Al o stato attua e, es ste ancora una rnarcanza d evidenze empl-r ch€ !u eff cacia de o sport n intervent dl cooperazion€ inter-faz ona e ln q€nere (Schwery 2003, Gschwand, Se wraju 2006J.Tuitav a, prerdendo n €sarn a cur recent i studl fat t l fe s€ttoree iorarnai dl f fusa blb ograf ia su o sport socia e, è possibl e

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Right to Play è unbrganizzazione umanitaria intemazionale cheusa lo sport e il gioco come strumenti di wiluppo per i bambini,i gíovani e le comunità delle aree più wantaggiate del mondo.

Bight lo Play ha attivi 78 progetti in 23 Paesi del mondo.Tali programmi d'attivita mirano a:

. Favorire lo sviluppo fisico, psicologico ed emotivo deibambini e dei giovani che vivono in situazioni di criticitàcome i campi profughi o le comunità in guerra

. Sensibilizzare/informare sull'importanza della vaccinazione,dell'igiene personale e dei luoghi per contrastare i rischidelle malattie infettive (AIDS, malaria...)

. Formare personale in loco che sia in grado di potercontinuare l'opera di progettazione e sviluppo awiata

. Formare volontari internazionali

fabella 1-

Un ulteriore distinguo nguarda la durata dell ' intero ifer progettuale.E necessario un intervento basato su di un serio progetto dl lungotermine per evitare che Ie iniziative intraprese risultino episodiche espesso poco efficaci, f inanche controproducenti (Weddington 2000;Schwery 2003; Gschwand, Selvaraju 2006). lcambiament i negl iat teggiament i e nei comportament i non sono sempl ic i e rapidi . Unnuovo programma deve poter durare almeno cinque annì (Col l ins etal . 1999) per sperare di poter real izzare un cambiamento di lungocorso nei soggettl destinatari. Appare evidente, inoltre, che maggiorimoment i sport iv i possono tradursi in maggior i vantaggi per lapopolazione e favorire la trasformazione der progettl, da programmìd' ìntervento umanitar io a programmi di cooperazione al lo svi luppodi p iù ampio respiro per le comunità local i .In ta l senso, lo svi luppo del le comunità e da intendersi come i lrafforzamento delle risorse sociali e dei processl attraverso l 'esten-sione di contat t i , del le relazioni , del le ret i socialr , degl i accordi edel le at t iv i tà anche aldi fuorìdeisobborghi local ìa l f ine di rende-re migl iore i l posto ìn cui s i lavora e v ive (Thomas 1995). Lo sportsembra poter avere un' inf luenza anche in questo ambìto: la f re-quenza non passiva a programmi d 'at t iv ì tà sport iva, promuovendole ìnterazionì t ra gl i indiv idui , favor isce la formazione di gruppisocial i che s ' incontrano regolarmente, r ìsul tando un elementocentrale per lo svi luppo di una comunità e di buoni l ivel l i d ' inclu-sione sociale, salute f is ica e mentale (Thomas 1995; Forrest , Keans1999). l l tut to s i t raduce in programmi di svi luppo ad ampio respi-ro che, accanto al l 'approccio non-medico, possono far godere deivantaggi che i l s lstema sport lvo puo of f r i re in termini economici ,social l e ambiental i , con I ' importante contr ibuto apportabi le nel lar igenerazione di aree degradate.Specifici e ben strutturati programml sportivi possono presentarsicome un ef fet t ivo mezzo di mobi l i tazione per r ipul i re aree proble-mat iche e promuovere un ig ienico ut i l izzo degl i spazi pubbl ic icomuni, favorendo al contempo l ' lnformazione su di un ut ì l izzosostenibi le del terr i tor io (Sdpiwg 2005) in quanto i l terr i tor io e v is-suto, fat to proprì0, d iv lene oggetto di d inamìche personal i , èesplorato, e conosciuto, e elet to a luogo di g ioco e quindi r ispetta-to e conservato. Le infrastrut ture [d i cui g l i impiant i sport iv i fanno

Progetto Universitas

ll progetto Universitas promuove I'identificazione e la successivaapplicazione di soluzioni innovative ai problemi dello sviluppo,con particolare riferimento all'ambito lavorativo, ai supporti educativie ad iniziative di formazione di leader, educatori e uomini di govemo

Lbrganizzazione Inlemazionale per il Lavoro, all'intemodel progétto Universitas, fa ampin utilizzo dello sport,riconoscerdone I'unfuersale appeal e un elevato numero d,efiettibenefici cfie vanno dal miglioramento della salute del cittadino,allo wiluppo sostenibile e alla lottia contro la povefta

I macroobiettivi che l'oil si propone di perseguire sono:

. Lo sviluppo economico locale

. La creazione di posti di lavoro

. Lo sviluppo d'adeguate politiche sociali

Tabella 2 -

parte) giocano un importante ruolo nel cambiamento del la perce-zione del l 'area, incoraggiando le persone a v iver la e at t i rando diconseguenza nuovi contr ibut i dest inabi l i a l processo dì r igenera-zione (Hooper 1998). L 'espansione su di un terr i tor lo dì ben pro-gettate attività sportive, a sua volta, concorre a favorire I 'occupa-zione lavorat iva (Sdpiwg 2005) e a migl iorare lo stato del l 'econo-mia, soprat tut to a l lvel lo locale.I 'Organtzzazione inte rnazionale per ì l lavoro, ad esempio, ha inserì-to al l ' interno del le propr ie at t iv i tà programmi di t ipo sport ivo cheoperano a l ivello locale su piu gradi: offerta sportiva, partecipazio-ne sportiva, manifattura sportlva. Lo sforzo fatto sì traduce in van-taggi per l 'economia locale e in uno svi luppo tanto del capi ta le pro-dutt ivo/ infrastrut turale che del capi ta le umano; quest 'u l t imo e,infatti, coinvolto sia nella partecipazione - con tutte le positività adessa connesse - sla nella realizzazioneloromozione - con la crea-zione di post ì d i lavoro e opportuni tà lavorat ive. Incoraggiandoun'economia locale basata, t ra l 'a l t ro, su di un complesso d'at t lv i tàsport ive di var ia natura, s i contr ibulsce, dunque, ad at t ìvare un cir-colo v i r tuoso al l ' interno del quale nuove forme d'at t iv i tà vengonogenerate, st imolando la r ichiesta di prodott i , dei serviz i e nuovaoccupazione e contr ibuendo al la progressione economica in loco(Unive rsitos 2OO1).Alcuni Autor i (Resentraub 1994; Crompton 1995) sostengono chei l rapporto t ra benef ic i in termini economlci , numero di post i d ifavoro generabi l i e investìment l fat t l nel s istema sport ivo, puressendo posi t ivo, non e ta le da giust i f ìcare una preferenza d' inve-strmento nel comparto sport lvo piut tosto che in al t r i potenzìal-mente piu produtt iv i a par i tà dl invest imento. Pur r lconoscendo lavalenza di ta le af fermazione in una prospett iva stret tamente eco-nomica, bisogna evidenziare come gl ì invest iment i fat t i su unsìstema sport ivo locale, abbìano un' incìdenza var iamente art icola-ta che supera i l solo aspetto economico e s i r i f ranqe in molt i a l t r iamblt i del la v i ta sociale di una comunità come lo possono esserela salute, l 'educazione, le interazioni social i t ra gl l indiv idui . A ta lproposi to Bovaird, Nichols e Taylor ( t ggZ) hanno cercato dl r iassu-mere tut te Ie connessioni "soclal i " at t ivabi l i dal la prat ica sport iva;la rappresentazìone da loro proposta è così art icolata:

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. tempo e q sforz sp€si ln aiUvià sportve determlnano benef ic su a sa ute deql l ndivldu € de la societài

. un mig iofe fato d sa ute qen€ra e r duce cost i cornessi cona salute pubb ca e ncrernenta a produtt iv i tài

. incr€mento dele attv tà sport iv€ determ na un au.nento de ler€ azioni t ra g I individul che può tradurs in un ncrernento de aqua i tà de a vl ta;

. I num€ro rnagqiore di at t lvtà sporl ive deterrn na ur aumertodei post d lavoro ne seltofe e nel indotto;

. a rnagqlor€ r ch era part3 ad una maqqiore fornl tura dis€rvzie di spazl dest inat ia a prat lca

Spoft è coopèfazioné intefnazionaloi!t!|- qladp 9it9!ti99

Lattua e €s to d€ja r icerca emp r ica non permette d def lnreconprecsione qua e sa a dlmensione de let tore sporivo nei contef lde a cooperazione lnÌernazlona e in t€rrnin di nvel imeft i fat tnumero d progetti attlvati, assocazloni co nvote, rurnero di destnaiar, c loè non è possibìe d€f inir€ con ch arezza quale siano ecaratter ist che rnorfo oglche del sei tore. lut tava con ausi;odedau r rvenib l , ln a cune pionier ist ich€ r icerch€ svote neg I u t lmannlè posslb e poter cogl lere, s la pur qenera nrente a crnie€rnentche possono essere utl Ì per comprender€ le dinam che n atto.ln sefso qenera e sono sostanz a rnerte quatt fo ecategoredsogqeÌt ch€, a varlo tllo o e in varia rn sura, fanno uso de o sportcooperatvo. Esse sono:

. te Nazioni unite e e Agenzie speciolizntelad esenrpio, Urdp,Sdplwg.. l e qua isvolgono n€ settore ur 'ozlonepol i f ;co, con arnessa a punto di dcharazlon ed svateqÌe ún'ozione prot icocon a slrLrttLrraz on€ € a rea zzazon€ di int€rventl su campo,un azone disosteqno econornlco, cor a rn€ssa a disposizlone drlsorse ecoromich€, un ozionedisosiegnomedlotico, con i supporto ai messagg e a e ternatiche d interesse attraverso i medis€, lnfine un'azione d sostegno cu tura e con la prornoz on€ e lapubb icazlone di stud re settorei

. I Canitata lntenozianole )linpìca (Cl)) e le kderczioni sponiveirlernozioroii che, a.ch€ attrav€rso oper: dei Comitati nazionalle oca i promlovoro o sv uppo de le attlvità sportive, soprattuttoladdove assenii lavorendo i qod mento d€ivartaggl che a pfaticasportlva offr€ € a d ffusione ad ampio raggio de dirltto a pratcaresport. n ur certo s€rso a direzlone che esse ntraprendono è differerte rspetto a avoro de € Agenz€ dele Nazon unte: nepri f .o caso sl persegue o sviuppo de e attv i tà sportve, nesecondo caso 5l persegue o sv uppo attraverso e allivtà sportve.Ne cornplesso, ad oqn modo, qu€sto qruppo d'lntervento ha rea-zzato e sta r€3 izzando anche proqrammiche vanro r€ a d r€zo

ne de lo sport com€ rrurnento per osv uppo;

. te Assacidzioni spartive e le 0ryonizzozioni non govetnotive:sofarzia rnente qu€sto gruppo d ntervento compendia p€rfr tefo quanto fat to dale Nazion unìt€ con 'eccezlon€ de 'a-zonepo tca,macon'agquntad un fo(e impeqno ln dir€zlo-ne del sofeqno dl t ipo med at co con I r lcorso al mo t carnp o-ni e :i vo ti che affo lano € Assoclazloni sporiive soprattuttodato lve o

. | Governt la cui oper, pr nclpa € sl perpetua ne sostegno poltco e, qulnd, n€ ruaad foci l i totar ia sost€gno dela prat casportva, dei progett i e de e attvtà soprattut to del€ onq € dlun messagg o rnediatico rivo to a 'otterlmento dl !rna rnaqg oreconsapevo ezza tTa a ci t tadlnanza de l ' lmportanza dl una cor-rella e sana pralrca sponiva.

I quattro attor l pr ncipa i aqiscono con moda irà d f ferent sug iscenari de a cooperaz one nternaziona e, qlocando spesso unruoÌo fondamentae a sostegno degl r terv€nt i diautournanita-rlo e dl cooperazlone a lo sv luppo. 5e s corcentra però ?tt€nzlon€ su un prano pfettarnente operalv0, c 5 accorge che opera sulcarnpo vlene in gran m sura svo ta dale ofqanlzzazlon non govern:tve le qua g ocaro un ruolo di pr m ord ne in terrnÌnl dl sv; uppo del€ att lvtà e di connesslone tra più portator d 'nteressi . SuqLresto versanle possono ess€re dist lnt€ due cateqorizzrzionld Arg: Ong spottive specifiche f055, a cu i a ttività sl conc€ ntra lntutto o n massirna parte nel v€rsante sportivo; Ong spartive o-specifiche {OSA), € cui attivitè solo parz la mente farro rlcorso a ospon corne parre 0e propr o mpeqn0.Da dat ev denziabi i sLrl a piarrafattrrz Sport 1nd DevelapnentLaccesso setternbre 2006J - ur netwo*che raccoq e Ìnformazionsu nrotideiprogett tutt ne setiore - sono otlantotto e onq specit che e centonovaftuno i progetti che esse conducono n€l cÌnquecont nenU a rnassirna parte vene svolta n€ contlnente africano(ott3ntanove); poi segLrono Europa (trentas€l), I Asia (irent3), con-I n€nte amercano (quattordlcl i Medlo or lente {dod ci ì€ oc€aria(uno) A questl si agqiuiqono dieci progettl di carattere transcorti-nenta e. E bene r€ndere evid€nte che ta idatl derlvano da un op."/rspoce refwofk a cul le orqanizazloni possono accedere spontaneamente e che quindi probabirnente ron sono esauf€nt del ' ln leroun verso. Tuttavla e informazlonievldenziabi c i paranod unsettore pluttosto dlnarnico e atUvo su tutto I terrllorlo rnondlae e diun s€mpr€ rnaqqiore numefo d Ong che farnode o sport corn€ rne2zo dl cooperazioneta dinamicità de lettore è ! teriorrnente corlerrnala da un irdagirecondotta da la lotk-fatce spartfar peoce ond developnent de eNazion un t€ ne Ianno 2006 attraverso a sornm nÌsvazlone d questonarle d lntervste ad hoc fat l€ a lelPaes id€nt i fcat icomeirvad sviuppo Brasl€, Ghana tuerbajan lanzanla, Zanrbia e SieraL€one - e a sette paesi va utat come svluppat: Austra a, Austrla,Canada,0 arda, Norvegia, Svizzera € Gran Br€taqna. Le realtà n:zo-nall nvestlqat€ rappresentaro sicuram€nte cortesti privileqiatl nelarnb to dele t€matlche su o sport per o svl luppo e a pace; le

6

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i 'o r" . o dedu b oo 'oqq . \o1o dpor-\e rdt.e o qLe:'FeF o e?di oo'-del I ero f - ro.e oer. ,nterpretate n€ otUca de a direzone che comptesso ha tntrapresoo pofebbe nrraprerdere nei pfossimi anni, rna c€rtamente in qua -che rnodo, confibu scono a far uce su cornplesso settore che sUamo nvel iqando. Dei Paesi nviadi svi tuppo ana izzaU, qLreto pi lprodrgo ne seltore è certamenle i l Bras te con un invest inentodichlarato dl 320 rni l loni d dotart . Seguono Ghanalt ,5mlionl'Azerbaijan (600.000 do lari), a lanzanla (80000 dolaril to Zambiai40.000 doiar i) mentr€ per a Sierra Leon€ non è stato posslb teidertificar€ con chiar€zza ii comp elso fnanzario invefto. AcLrneprecsazior i sui dat sono d'obb igo: a dl f fco tà tncontrata, e p i rvote cltata al interro de a stessa ricerca, sta in ura cornune deln -zion€ de campo d'ana si. r a tre parote, ta diffcotà è r posta ne iacornLrne definlzlone deiterrnini sport svri{rppo e poce I Braste,paese con magg or valore investito ritelr€ ad esenrpo che intefaattvtà svota ne ambito de proprio Ministero de Ìo sport sa fatta' d Fio eeo-.o rodeio. , r ,oDoeqnlo ai acolp op-oenv€5i ro ' lntero budqet m n ster a €.Clnque pa€sl su se (Brasi le, chana, Tanzaria, S €ra Leor€ eZambiaì hanno dichiarato che, lndipendenternent€ oa varor eco-norni lndlcat i , comurqu€, i settor€ è oqg€tto dhttenzione crescente cor arnpie prospettve d'espansione sa in termtni di co aborazioni, dl r sorse f lnarziar e e soprattut to in termin r lhmbiì iapp ical iv lsv luppat € svl uppabi i .fa tra facca de p aneta Terra, ava la, n effett qLranto emerqe dadati forniti dai Paes ln v a di sv lLrppo: i sr:tre paes sv tupparianaD2at d chlarano un invest m€nto conplessivo di o re 2t rni ionidi U5$ cor una fort€ presenza norveges€ che s agq ra Inlorno ao!f nrp€gno econom co pari a poco piir dl sei rnil oni d do tari. ciòcrre sorprend€ è, ad ogn rnodo 'enorrne varietà d (of Lrrur e odestinatarl ricercalir sono c rca v€nti ql arnbiti d intervenro o cn arat i con nunrerosi punt i di converqe'rza che v:nno dala sa urea o svluppo dele comLrntà, a a prevenzone dete malatUe, atacosfuz one de capitalesocaleeindlvdlaeea a prevenzlone deconf i t t i . tut to ln ragione di un ampio fofgetche ccrca o nrer-cettar€ arnp e iasce di popo aziore: qiovani, donne, bamb r j , rnaanche disab l, rifug atl, tosslco dlpefdenli e inrnrigrari.n conc usione, pLrr r iservando I ter ior valut3z oni at mornento in

cu nuov e u tef ior i dat i €mp rc aaranno anal izzabi i , è raqionevo e pensare che lsettore f ia vivendo una fase diespans on€ dura base gà di per sé piuttosto r icca e artcoata da nurnerosatton co nvo t , proget l e f lnarzlarnent sp€nd bi i . Ouanto r rve-nibi e, o re ad informarcl sul e caratter ist che morfotog che desettore è probab rnente, un u ter ore conlerma de 'ef f icactade 0 sport cooperat lvo e de la dut i i tà/adattabi tà che questo

Ln p,f,o.g9!!îri-o.[9..dr!19. -3t9tt.9oo,p.-è,-r.tlf y9

ì

II

Lo sport, corne rnote attività, nof è a prio. bLrono o cattivo dapunto dl vista socia e, ma ha i potenz ale per d venlto (Patr ksson19951: i punto sta ne conre o si ut t tzza. ouanlo d€tto presup-pone che ne caso in cu si vog la ut i zzare a prat ica sport ivaa-e r

" lD;aè' p p.c, , t 'oporr 'ó doeiOF r-o,- . , ìOSp€

'o0o9- l od.ea" o, oprat . r 'o,q,e co,-s : ,1 , tecondiz ion socia ie terr tora lsono cr l t ich€.E dilfici/e poter tracc:re con precisione gt e ernenti dj una coret-ra n,ooet$l io l - F ospo , oooe "r .0. grd. , | - re,ce,dpFois, | 'oprd L,p,ooF' .o sopa , odi Lrgoio. .o, ,o lo, , , , - r_revo i Per owiare a quena d f f ico tà, e nel intento di vo ercornunque del neare un frome cortenente g i € ern€nt l ch ave duna corretta pr0gettaz one ne 'ambito da nol ana lzzato, sbbiafionteso ndiv idu:re c lnque aspett ch ave a nostro aw so nrprescrndlbi ida qua sas t lpo diprogetto coop€ral ivo. Ess sono:

. L0 stud o del contesto inlz ale

. La delniz one d€g oblett iv l

. La progettazone partec pata

. rnon toragqio € conùo o

0gniemergenza è unica € rrepet ibie (Oecdt999), per cu è n€cessafio poter deterrn nare dei iernrin di rtferimerto, che perrnettano0anarzzare e cornprefdere qLra è o tato d€ arte inizale ne?rnblto in cuis va ad operare. fana is i de e cau!€ e degt effet t

d"ds. " ,1o, o i , . .o,- oobó1d?ol0t ' ,1(do"(ap o. ,dad . le, - ,o, l îpo. o e.por.fsponoere n rnan era adequata. E a tresi v€ro che ta conoscenzade contesto perm€tte di nd viduare con prec s ore a struftura. -è-o . , " . , to. î , 'd." 01aoFo,d.oo.e. \o,F èpoi . .ed| 'e ' . - o. a lo; / ionedel" , o,s"- I d p,og.oî rè- o, " 0d. :l " ,d r-"(o - o oec , o/ o,e o-g Ioo ef . o- , .eoLorLl l , oO' | .a de,- oo_e /"a o-, | , c :o '

- 0- especi f iche azon che si r tefdono rea tzzar€ e rne[ere n prarcaper raqgiunqere g iscoplqen€ra I prefssat. lat obiet tv i rsutanotc1 00/ , î /o1èt,oLd -op,, .o o0e - r 'J t . .o é ' re rs LF \pe r ' à, r ' , 'ob ." qLo.r ' raùvamente e qua tal lvanrente - , raqgiung b l tà, r i levanza per pro0"!ro. LrdF."r . \e.e r . - : -o aoro ra-ore, - , : . e, .oa- la

deo.op - ' . - adPq,a-- / /a 1: .. . r .0 - - îoo'd"d-- . i ra ' "oo " d- t" îo -F qe,_F o--s stent l f inafz iar le €cororìr che, soc a i , po t che cLr tura i(Coa re' 2006ì.N-

"de lo "oegl ooi--r ' - .o-ora,oo'os(o. .o. ," ,a.F._- lc loìed PooÉt ; o0o sa,o"dqqo'

possibi i tà di intercettare € esiqenz€ d€ contesto int€ressato, laddo,e ! o , i . r , I oo d F, ,F, to oo..- oè .o, . o.d, to dor,r 'Oorîe(0a.ord r l o a(o ó. r .oo0 pog- d

zionecondlvso può det€rminare t lnsta ars d Lrn s€nsod appar-- . - . 'a " d è1Do^-4-r t i -dooa e r- - .5. . ,o p-. " o,0, ,

' r r 'd de o oo*r - d" F at . . , , lvcDo.. o. rL-g, , 09. I .ta sersoi ufa progettaziore d t ipo partectpatvo, se condorta inrnanrera adeguata e concreta po(a con sé num€rosi vantaqqi. Essi

. una corrett : rappfesentaztone dt tut t gruppl {at tor ) co nvo _t ne drseqno, nelo svi !ppo, ne nron toraqqjo e ne a vatuta_

. , ddÉgLoo i .e od orL ,a/o,e- td.d.e.h td-r t ) gstoleho/de, ro nv0 t

. un maggiore svi lppo dele potenzia tà oca : una comun tàrob é-"e. o,o" l , to, ," rL 1100 reo o -o,op.- .. una sorenib ltà di ungo periodo (Sphere Bo;k 2004);

. un conùolo co letiivo e d€mocratico del a cofnun ra co nvo ra

. Lrna proqeltaz one eqit t nrata data comuntlà de uoqo e glust _fcata dale rea ies gerze e daib soqniemerqei t .

a od sooalroîó de,- oorr ' . oo? arF or p.oqel lo 'de.e oor-r !è.or ' - d pa - po7o e 0" .eror oF dcornun tà nteressaú non so o come uteft fnal rna arcn€ comed'oid - o-e e o, l ,O. rFF.t . o. . : Oe-. ooe)erpod " oîF o 'dqgo.LF, p,oo_-re-oo L- _loo ,oonGrloca n termnl organ zzat v iecononr c - an: s econornich€hanro dimostrato che o sport è pa esement€ dtpenoefre 0ar avoroeda' impegnodeivoontar (Coatter et a . 2000) chesvogonocompil i chlav (arbi tro, a €natore, amm nisfatore..) e d nctdenza de proqetto n quanto a sceta d'a tenator ocal può aiutare

'dopo _o or rd. a or oF I .o q, ! p.og- .olh ' e, ,00r e qL d 'a,o 'Foo,o,d i .sc o r . . 5.e5 o.

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5E

I

t rnpatto educat ivo dl un progetto, ad esernp o rsuta tanlo pl i rprobab le quando es ste una corv€rqenza da parte dl tLr l te [o qranpaft€) e agenz e d soc a zzazione vefso Lrna trasm ss orecosciente e ntenzlona € dl va ori, norme conoscenze e attegg ament spec f c l (Schwery, EqgefqerqecArqate 20031Letto in questa prosp€ltva Lrn proq€ito ha buone probabi tà dpoter rsu tare sorenlb e.Inlerd amo uti zzare terrnlne sosleribr/;to come un conten lore conceitua e in cui p ù element sono conterìpofaneamente raccolt nfanztutto, ura prarr:a è sostenible seè capac€ di utilzzare con €ffic€nza ed efflcacia tLtte e rsorse adlsposizione sano esse nterne al proqetto sla €st€rie. A ta fife lasostenbltà nterna è r evab e ln un ad€quato r icorso e uU lzzode le risorse urnane a d spogzone e ne oro otlirÌra € ut izzo n terrn nid professonal l tà e corìrp€tenze a qrero dev€ polaqg ungersiun'acco(a qestone econorn ca e f lnanzaria. fapprocco può es5erepoi qiud cato sostenible anche erernamente se è capace di saperusufrLr lre adeqralarnente de le rsorse present isul terr tor io, conrbuendo maqar ai r inrovamento de le stess€ e cornunque, mai adeturpamenio e a a rovira delt€rr toro.Ata proposito è nleres-.dr-pop' F.cpoF,

" o "

p"t ope d! . io "o, o 1-.opir :r con a sofer ibl i tà interna, è dentf icabl€ con una buoro conduzloneditut te le attv i tài l secondo d orentamento pl i iesterno,è rlcorduc ble a oîa dìnensiane ponecipotivo de lntero snerna.Un avoro soster ibl€, dunque, è caratt€rDzato s a da Lrna dim€nsone top dow, che si espl ica attr :v€rso a cofrel ta conduzon€ egefione dl tutte e varlab i da parte de : governorce de p.ogetto,e sla da un3 dlmensione bottom-up che co nvo ge tutti i porlatorl diinteresse (stokehoided e che apre ideazone, a pro_oranrnrazlÒn€, averifca e a valutazione a una estensone partec pat \r: che colnvo -ge attvamerte ln tutu ipassagg sia destnatar de € al l ivtà slatrtt que soggetu che n rnanlera d !€rsa, d fett: o ind r€tta, vengoro co nvo u da quanto fatto.Lult imo elemento ch ave che vorreÍrrno poter lÉt lare è a tempostesso uno del rnonrentl plù nrportant de lnlera proqettaz one eprobabl l rnente !no de meno pr€s n esarn€ € lat to oggetto dattenz one. C sliafno r fefendo a momerto de manitntoggia ciedeve paler essere nteso corne a reqolar€, sisternatica facco ta eana is i d informaz oni connesse ad un pian lcato e accettato pro-qramma dl lavoro (Coa ter 2006). avoro di rnon toraqg o per-r--d ooo q,a o.o,oodo.F S- r- .oop,p'o-. i .

. salule: Aumsnro d,alls c€pacila fisiche, migrioÉÍÉnrod€lla salute lisica 6 m€rfab

. Abll tà social : èmpalia e lolleÉua, coopeEzione

. Sv luppo dela persna i1à stima in se st6sso,nducia in sé, atltoconlrello

. Benessere psico og co dduzione dell ansietà, sensod€l b€ness€r€, lduzione deì liElli di islamenlo (Coaher 2006)

' I r,;i i.',.r nuovi pcri di lavoro, $ilùppo di s€Niz,€ di punli di produzione

,,r r:r:nì.,, rigènèfazìorE zone degradatE, cosirutoi€di nuovs ìntashultùÉ, geslione so$onibrle d€l iolnoío

_ r./ . Ìi r -_ .: .,,r I r diminuili livelli di confitrualità,aumentali liv€lli di coop€razione

di delermin3re qualesano e pf or i tà dl dert f care e€nrergenzeeiprobem,d s€qLr l re g i andament d tLr t re le at t iv i tà didetermlnare €f f lcacìa de le (pfopr ieJ r sposte e di quidar€ ui event!a er€visione dei pfograrnml (5phere Baak2ao+).

fatlo ch€ s oper in contesti dlfflcl l, probab mente r€nd€ qrestomomento p ! t tofo compl lcato da at tuar€: tut tavla è fordamen--"-0o- dF.r . - -app dF..rod-o0 -or o.oqqoF.o-_lrolo che sa in grrdo d ten€r corto s ia dei r isu tat i su s lngooche deq i es t prodott 5u a cornun tàA ta proposl lo provando ad amp iare ! r mod€ lo d 'ara 5 proposto da Coa ter (2006ì Lrn corretto quadfo va rtalivo potr€bbe €ssere qLre o r lportato ne r iquadro ln ato, ln cu è posslb le poterprendere in esame tut te €possbl infuenz€ posl l ive che ospor lcooperatvo puògererare su s lnqo o e su la comLrn tà.

Conclu€lonl

Nonolante l r l Ìevo pÌù vote fat to sul 'at tua e rnancanza dir lcefcaernpirca nlorno a recente settore de o spo( cooperativo è possib e, su a sca dei raqlonamenl i fat l i n pr€cedenza poter conc uder€ che ove adequatamenle proqeltali, ntervent a base sport;vapossono contrbuire in var is misura al evoversl d€ e operazlonide a cooperazion€ irternaziona €.

rcorosc rnento i r ternazona e de lo spor l com€ diun dlr t to (cortointetnozanole .Jello sport e leducozrone tslco, redatta da Unescoart 3l de a CofverzioneiuidtritttpetIinfonzio) o pone de foctocorn€ un rninifno cornur denomlnatore da rcoroscere a tutU lndstintamenle e, qu ndi, corne uira prorltà ne riprstlno de bisogri dibose che patrenna definirc di secando foscio n qúanto lncarna ldr l t toa movimento dir l l to ad Lrna vi ta pi i r at tvaeqLrnd pi lsana,I d r t to a dvertmentoea oswqo:element che nun pole-uca sca a qerarchica s i t rovano n€le imrnediare v c inanza d€lbsoqnpr mar d pr rna fasca (cibo, acqLra a oqq ol.tut l lzzo de o sport cooperaUvo r ientra sosianzia rn€nl€ a l lntef-no di quattro categor zzaz oni :

. edLrcallvo-socla lzzante

. nlerv€nlo non-fned c0;

. frrd roBlrglatlenz one med at ca.

1

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i r oqnuna del le cat€gorlzzazion , e iniz iat ive sport lve, :ddoveinser te in un adeguato frone proqettua e e cornb rate con intervent i disofeqno parale I possono m q lorare la si tuazione ocaefornendo, attraverso mo t i / , r f soc al i at t ivabi i da una partecpazione sportva di ungo corlo, vantaqgi per a sa ute fs ica em€nta e de s nqo o € de e cornunità e deterrnlnando no trepost ive nfuerzeper 'econorniade posto e per un gerera e svi-uppo ocale.Detto qlesto, occorre mitgare in qualche modo j prodani fatti avote con eccess va enfos cheince(aqua rnlsurafanno ntendere osport corne una panacea per turtti i mail: a prauca sporliva di per sépuo ben poco, e solo una programrnazore dampio respiro che ains€rlsca in progetti dl lungo corso € che veda concorso d que leche abbiamo ndicato come condizionl suffìcient , puòsperare diincÌd€re postivarnente nelle quesUon rilevanti per a cornunrtà rr€rff-zionale corn€ o possono esser€ a lotia a a povertà la qestione deiconf i t t ie a sa ute deql i lnd vidu. A I 'nterno de h dlctura cordi lof lsrfflclerti r ertra no nurneros eenrerti: 'ut izzodifgureconrpetentiche, accanto a conoscenze lportive, abbiamo unadequara preparazone ne op€rare ln contesti terr torlall e socialicrltci, è, ad esernpio,uno di q!€sti ed ad esso si devono poi poter agg ungere una /eodefshlp arrotla e ú nonogene, t proqettuale che sia cor€srrdle coecapace di egqere le istarze delcontesto e d lntercettare ibisoqnl e leesigerze del ierritorio.E bene comunque precisare che sa purr€l ipotes chevenqanosoddisfatte tutte e cond zloni sopraddette, non è alsicurat3 h va id tà diquanto fitto, giacchè a buona rluscta di un ntervento cooperatlvo

n genera€ è fruro del concorso d piir fattor non tuti intern ao'ooF-ro stF\.o. lo o ete lq dr oroaFlt oa cr p re q,esio. po i .,ìeo.die ' le,o/o o.COS co.e " , Celo- p o, Or C1e È \o.ollnflLriscono in man era deterninante sule rispost€ personat deg llndvdui che 5 trov2ro investte da quete che Coater i2006) haInteso clriamare lrflrerzepo,.o//e/e Ta nfuenze possono, a secordadei casi arnplfcare, mitlqare o addirittura contrastare q €stt di urprogetto a bas€ sportiva.In corclusione, c senrbra opportLrno poter tore a cune propulk cn€ anostro aw so possano corù buire a superamento del e cr l t c tàmesse i'r r ievo I primo passo da attuaB è certarnente Ìa creazionedi un networf irternazora e su o sport cooperalivo che vada ne adlrezlone di una dupl ice funziore: contro are anoamenro 0e elnf uen2e para le e e qu ndifavorlre ! nerq e tra porrreroperantisu rliuno stesso terr loro e a tenrpo tesso, fornlre una banca dat ich€progressivamente vada a co mafe a mancanza dievdenz€ ernpirtche,plù vote messe n risalto. La rlcerca ne settore deve poter po continuare e para eiamente deve poter essere potenziato I sistema formatvo del€ fgure che agiscono ne e dive6€ fasi dei progettl. Lafiqura retorlca, dunque, da more part prodotta lntorno a to sportcooperativo, deve poter evtare unacrltca ldoatria de rnezzo e, vce-ver$ coifluie ve6o un approcco sistematico che faccia luce su epotenzis ità d€ a pratica spo(va e definisca d€te nee proqramrna-trchesulsuo coretto ut izzo.

LAutore 5 mone D gennaro, ! a e Napo n'20 03IOO Fros nonee-ma :s.diqennaro@a lce l t

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Il mercato del lavoro

in Italia

Il mercato del lavoro che interessal’ambito delle scienze motorie esportive è un settore che negli ulti-mi venti anni ha visto una rapidaespansione, solo in parte attenua-ta dal diffuso stato di crisi che hainteressato i mercati italiani e inter-nazionali. Ad esempio, un’interes-sante stima della ConfederazioneNazionale dell’Artigianato nontroppo datata (2008) ci informache un settore particolare come

quello del fitness è stato uno deipochi in grado di mantenere trenddi crescita in un periodo di forte dif-ficoltà per l’intera economia nazio-nale come quello riscontrato nelbiennio 2006-2008. È benecomunque precisare che solo direcente si è assistito ad una piùchiara strutturazione del settore:sono infatti gli anni ’80 e ’90 quelliche hanno visto un mutamento deirapporti tra gli attori, accompagna-to da una notevolissima crescitadella domanda, dalla diffusione ediversificazione delle infrastrutture,

dalla moltiplicazione delle forme edelle modalità di pratica, ma ancheda un allargamento degli ambitilavorativi in cui gli operatori delsettore hanno trovato una colloca-zione. Tutto ciò – come è noto - hatrascinato verso l’alto la percezio-ne dell’importanza sociale ed eco-nomica delle scienze motorie esportive (sia da parte degli entilocali, che dei privati) innescandofenomeni di commercializzazionee di segmentazione, sia del merca-to che dell’offerta, e avviando unprocesso di specializzazione e di

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IL MERCATO DEL LAVORO

NEL SETTORE DELLE SCIENZE

MOTORIE E SPORTIVE

SIMONE DIGENNARO

Università degli Studi di Cassino, Facoltà di Scienze Motorie

DARIO COLELLA

Università degli Studi di Foggia, Corso di Laurea in Scienze Motorie e Sportive

MILENA MORANO

Università degli Studi di Foggia, Corso di Laurea in Scienze Motorie e Sportive

ERIKA VANNINI

Università degli Studi di Cassino, Facoltà di Scienze Motorie

ANTONIO BORGOGNI

Università degli Studi di Cassino, Dipartimento di Scienze Motorie e della Salute

SOMMARIO

In questo primo articolo si offre una panoramica delle principali caratteristiche del mercato del lavoro nel settore

delle scienze motorie e sportive. A seguito di una breve descrizione dei principali processi di cambiamento che

hanno interessato il settore a partire dagli anni '80-'90, si propone una sintetica disamina dei sistemi di formazio-

ne e delle modalità di ingresso al mercato del lavoro, le cui peculiarità rendono il settore delle scienze motorie e

sportive un interessante caso di studio e di approfondimento. In particolare verranno descritte le modalità opera-

tive delle principali agenzie di formazione attive nel settore, le dinamiche con cui i lavoratori vengono reclutati e,

altresì, le modalità con cui essi acquisiscono le competenze necessarie per svolgere le mansioni richieste. Nella

parte conclusiva verranno infine tracciate alcune prospettive future, proposte nell'ottica di un superamento di alcu-

ne delle criticità che interessano il settore.

PAROLE CHIAVE: professionalizzazione, iperqualificazione, bi-formazione, mercato del lavoro, tavoli di dialogo.

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professionalizzazione degli opera-tori e delle organizzazioni del set-tore. Sono inoltre fortemente cam-biate le relazioni tra gli attori (pri-vati, pubblici e associativi) e ledimensioni quantitative dell’indu-stria associata alle scienze moto-rie e sportive (da 25 mila a oltre 64mila aziende negli ultimi diecianni). Alle professioni tradizionalise ne sono quindi aggiunte altrespesso assai innovative che sonoemerse da un’offerta di attività e diservizi via via sempre più variega-ta. In effetti, il settore si presentadavvero diversificato, tanto che alsuo interno possono essere indivi-duati dei sotto-settori specifici. Trai più significativi, vogliamo citare:

• Il settore dello sport profes-

sionistico, che si è largamentesviluppato negli ultimi ventianni, più in termini di valoreeconomico che occupazionale(non copre infatti più del 5-6%del totale degli impieghi del set-tore) vero e proprio;

• Il settore dello sport agonisti-

co federale non professioni-

stico, che corrisponde insostanza alle attività organizza-te dal movimento associativofederale (a cui si aggiungonoanche le attività sviluppate dalleDiscipline sportive associate edagli Enti di promozione sporti-va), incorporando l’attività deiclub dilettantistici che in Italiaattualmente sono poco meno di70.000 (Censis, 2008)1;

• Il settore delle attività infor-

mali, del tempo libero e del

fitness, organizzato in parteda associazioni o imprese pri-vate presso appositi impianti osvolto individualmente all’a-perto, in maniera informale, ocomunque in impianti aperti alpubblico; in totale si tratta dicirca il 19% della popolazioneitaliana (oltre 10 milioni di per-sone) e di attività che dalpunto di vista della partecipa-zione crescono ad un ritmoparticolarmente elevato;

• Il settore delle attività per fini

sociali, composto da tuttequelle realtà associative cheerogano servizi con una funzio-

ne di integrazione e di interven-to sociale andando a interessa-re, in modo crescente, anziani,emarginati, minoranze, ecc.;

• Il settore della promozione

degli stili di vita attivi, svilup-patosi recentemente, raccoglietutti quegli attori che operanoall’interno di politiche e di stra-tegie per il contrasto allasedentarietà e per la promozio-ne e il mantenimento di stili divita atti a favorire maggiorilivelli di attività fisica;

• Il settore dell’attività fisica

adattata, che comprende tuttele figure professionali che ope-rano con gruppi speciali dipopolazione quali i disabili o lepersone affette da patologiecroniche stabilizzate.

Attorno a questi sottosettori,soprattutto in riferimento a quellodello sport professionistico e ago-nistico-federale, sono fiorite poiuna serie di attività correlate cheincludono organizzazioni operanti

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destrutturata, in rapporto alladiretta conoscenza personale, ocomunque attraverso vie di reclu-tamento informali. Inoltre, unnumero significativo di organizza-zioni che operano nel settore,viste le ridotte dimensioni che lecontraddistinguono, non sonosempre in grado di sopportare glioneri derivanti dall’istituzione diregolari rapporti di lavoro e posso-no continuare ad erogare i loroservizi solo in un contesto disostanziale volontariato o offrendoretribuzioni minime.

Formazione e ingresso

nel mercato del lavoro

In Italia, le professioni riconduci-bili al vasto ambito delle scienzemotorie e sportive, rientranoall’interno del gruppo delle cosid-dette professioni non regolamen-tate. Sono comunque evidenzia-bili delle eccezioni tra le qualipossiamo citare i maestri di sci ele guide alpine la cui attività èregolamentata per legge. Malgra-do la mancanza di una regola-mentazione ad hoc, è abbastanzararo che le attività professionalivengano svolte da soggetti privi diuna qualche formazione specifica

o di una qualifica rila-sciata da un ente for-mativo. In Italia, comenella maggior partedegli altri Paesi euro-pei, esistono quattroagenzie di riferimento

per la formazione delleprofessioni richiestenel settore. Esse sono:le Università, che apartire dall’anno acca-demico 1999-2000hanno visto l’avvio diappositi corsi di laureadedicati alle scienzemotorie e sportive; ilCONI con la Scuola36

in ambiti come il giornalismo spor-tivo, la medicina dello sport, lacostruzione di impianti sportivi, laproduzione di materiali sportivi, laformazione, ecc. La descrizione generale del setto-re appena fatta, ci permette di pro-porre una stima quantitativa in ter-mini occupazionali: poggiandosisu dati incrociati da diverse ricer-che si può affermare che in Italiagli occupati nel settore delle scien-ze motorie e sportive in sensostretto sono attualmente circa70.000, mentre l’intera filiera (quin-di inclusiva delle attività produttivecorrelate) rappresenta un volumedi manodopera stimabile tra le270.000 e le 320.000 persone, perun totale di circa 340-390.000 ope-ratori complessivi2. Questo datonon è ovviamente comprensivodell’impatto del sommerso, cheper le attività in senso stretto arrivaa percentuali pari al 30-35%. Inol-tre, le statistiche ufficiali non rie-scono a registrare compiutamentel’impatto dell’attività volontaria(integrale o parziale), fornita inmodo massiccio da persone cheprestano la loro opera per decinedi ore settimanali, a volte del tuttogratuitamente o più frequentemen-te con modesti rimborsi spese. Malgrado questo quadro, apparen-

temente positivo, si tratta però diun settore economico con caratte-ristiche molto specifiche e condi-zioni di professionalizzazione e dicarriera molto variabili, instabili,flessibili, precarie, stagionali e ati-piche, poco comparabili con imodelli tradizionali di occupazione.Questa contraddizione tra dinami-che quantitative di crescita e pre-carietà e insufficiente professiona-lizzazione delle condizioni di lavo-ro non è stata sufficientementefocalizzata, soprattutto da chi negliultimi anni ha sviluppato propostedi formazione dirette agli operatoridel settore, scarsamente attente aqueste problematiche. Come giàrilevato anche per altri settorioccupazionali, non sempre la cre-scita quantitativa dell’occupazionegenera lavori di qualità; anzi, indiversi casi, essa può dare luogo aprocessi di iperqualificazione dellamanodopera che si presenta sulmercato del lavoro con titoli di stu-dio e qualifiche sovradimensionaterispetto alle abilità realmenterichieste per la professione.Complessivamente non risulta poievidente una chiara politica diinserimento degli operatori sulmercato del lavoro. Infatti, nellamaggior parte dei casi, la sceltadegli operatori avviene in maniera

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dello Sport e le strutture periferi-che ma anche con le organizza-zioni ad esso collegate (Federa-zioni sportive nazionali, Enti dipromozione sportiva, ecc.); gliEnti locali, e in particolar modo leRegioni, che hanno moltiplicatonegli ultimi anni le ore di forma-zione erogate; e infine, le orga-nizzazioni professionali, menodiffuse in Italia rispetto a Paesicome la Francia, ma certamentecoinvolte in un’intensa opera diformazione e aggiornamento (sipensi ad esempio al ComitatoScuola Maestri di Sci o alle diver-se organizzazioni professionaliattive nel settore del fitness). Èpiuttosto frequente, ed è peraltrouna prerogativa del settore dellescienze motorie e sportive, che glioperatori prendano parte a per-corsi formativi che si sviluppanoattraverso le quattro agenzieanche in parallelo; in alcuni casiquesti percorsi tendono ad affian-carsi, finanche a sovrapporsi. Siparla in tal senso di un processodi bi-formazione ovvero di unfenomeno che vede la partecipa-zione, da parte di coloro chevogliono lavorare nel settore, siain percorsi formativi più struttura-ti, come lo sono ad esempio quel-li accademici, ma anche, a voltein contemporanea, in percorsiprofessionalizzanti proposti,generalmente, nell’ambito dell’of-ferta formativa delle Federazionio di altre strutture pubbliche o pri-vate. Peraltro, non è neancheraro che alcune delle competenzerichieste vengano acquisite al difuori dei cosiddetti percorsi for-mativi canonici, attraverso deiprocessi di apprendimento non-formali o informali quali possonoessere la partecipazione comevolontario in eventi/attività, l’af-fiancamento, la formazione peer-to-peer, ecc. Al di là del profiloformativo che comunque sicostruisce, le informazioni dispo-

nibili e le ricerche condottemostrano che – qualunque sia l’a-genzia di formazione presa inconsiderazione e la modalità diacquisizione delle competenze –la relazione tra formazione eoccupazione in Italia è estrema-mente debole a causa di unanetta discrepanza tra i contenuti ele prassi formative e le abilitàrealmente richieste sul mercatodel lavoro. Oltre a ciò, il tasso didisoccupazione nel settore

appare più che doppio rispetto aquello medio delle facoltà univer-sitarie, confermando la debolez-za del legame tra preparazioneprofessionale e esigenze delmercato del lavoro. Questa è evi-dentemente una delle sfide prin-cipali che preme sulle Università,la cui soluzione passa anche tra-mite un continuo confronto con gliambienti professionali. A tal pro-posito, una significativa presenzadelle parti sociali (datori di lavoroe associazioni professionali)nella definizione e riconoscimen-to delle qualifiche occupazionali,in Italia, è ancora del tutto scono-sciuta, a differenza di quantoinvece avviene in altri Paesi euro-pei, soprattutto in Francia, Sveziae Olanda, in cui gli aspetti legatialla formazione degli operatorivengono presi in considerazionenell’ambito della contrattazionecollettiva. Peraltro, ci sono ele-menti per sostenere che le quattrotipologie di agenzie formativepoc’anzi citate non hanno dimo-strato finora una certa capacità nelproporre un’offerta formativa inte-grata, che sfrutti i percorsi di bi-formazione a vantaggio degli ope-ratori, proponendo loro dei piani diformazione integrati. Questacapacità nel sapere fare “rete for-mativa”, ma anche l’avvicinamen-to tra settore della formazione emercato del lavoro rappresentanocertamente una delle sfide piùimportanti per l’intero settore.

Infatti il tema caldo, e certamenteun nervo scoperto per tutti coloroi quali operano nel settore, è l’ac-cesso alle professioni lavorative,questione che vogliamo trattarericorrendo al concetto di profes-sionalizzazione. Esso ricom-prende, infatti, due dimensioniconcettuali, differenti, ma correla-te tra loro: da un lato il saper farebene, il saper svolgere con com-petenza le mansioni richieste,dall’altro l’essere remunerati in

misura adeguata a quantoespresso. Dei due termini delproblema, decidiamo di metterein evidenza innanzitutto il primo:indubbiamente soggetti compe-tenti agiscono sul mercato dellavoro massimizzando e diversifi-cando le opportunità di remune-razione. C’è poi inoltre una signi-ficativa correlazione tra livelli dicompetenza e accesso alle pro-fessioni adeguate: all’aumentaredella dimensione del saper fare,cioè, aumentano in manierasignificativa le possibilità di potersvolgere una professione ade-guata alle aspettative personali.Come detto in precedenza l’ac-quisizione di queste competenzepassa non solo attraverso il com-pletamento di percorsi formativiformali ma anche attraversoesperienze e attività svolte diret-tamente sul campo. In particola-re, nel sistema delle scienzemotorie e sportive, in molte circo-stanze e in riferimento a diversiprofili professionali (si pensi aquelli legati al management o allemolte attività riconducibili al fit-ness), i datori di lavoro tendono afavorire l’inserimento di operatoriche hanno acquisito competenzesul campo senza tenere troppo inconsiderazione i titoli e le certifi-cazioni ottenuti. C’è poi un’altracriticità riscontrabile: non è infre-quente che operatori che hanno

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affrontato lunghi percorsi formati-vi (giungendo alla laurea trienna-le o alle laurea magistrale adesempio) si trovino a dover svol-gere professioni le cui competen-ze richieste sono sottodimensio-nate rispetto a quelle che sonostate acquisite durante il percor-so di studi. In letteratura questofenomeno è conosciuto con ilnome di iperqualificazione, termi-ne con il quale si vuole descrive-re la presenza su di un determi-nato mercato del lavoro di unamanodopera con titoli di studio equalifiche sovradimensionaterispetto alle competenze real-mente richieste per svolgere unadeterminata professione (su que-sto frangente si intercetta ilsecondo termine della questionecioè la remunerazione). Non èsemplice spiegare in poche righequali dinamiche favoriscano talefenomeno, tuttavia si può soste-nere che esso è alimentatosoprattutto da un combinato tra ledinamiche di crescita di un setto-re, l’aumento del numero di ope-ratori disponibili - che a loro voltaaumenta il numero di potenzialipretendenti ad una specificaposizione - e la messa in operadi proposte formative scarsamen-te calibrate sulle reali necessitàprofessionali del settore.

Prospettive future

Riprendendo a prestito un concet-to utilizzato in precedenza, si puòaffermare che negli ultimi anni si èassistito a un significativo proces-so di professionalizzazione che hainteressato il settore delle scienzemotorie e sportive. Tale processoha visto l’entrata nel mondo dellavoro di operatori che, rispetto alpassato, possiedono livelli di com-petenze superiori, acquisite attra-verso percorsi di formazione misti(formali/non-formali e informali),

che si sono resi necessari perpoter rispondere in maniera ade-guata alle richieste via via piùcomplesse che le organizzazionidel settore hanno avanzato ai pro-pri operatori. L’allargamento degliambiti di interesse – andati benoltre le tradizionali offerte di prati-ca – accompagnato dalla diversifi-cazione delle richieste provenientidai cittadini e dalle maggioriaspettative che la società ha ripo-sto soprattutto nei confronti delleassociazioni di carattere sportivo,ha infatti alimentato l’espansionedel settore, portando con sé unaumento della concorrenza equindi un aumento delle compe-tenze sia di carattere organizzati-vo che individuale. Anche se que-sto processo deve essere vistonella sua interezza in manierapositiva, perché ha prodotto unaumento della qualità dei serviziche il settore delle scienze motoriee sportive è in grado di offrire alcittadino e, altresì, un ampliamen-to del numero di profili professio-nali che possono intercettare gliinteressi degli operatori del setto-re, emergono comunque degli ele-menti di criticità che reclamanoattenzione. Essi sono stati trattatiin precedenza ma, per il prosieguodel discorso, nel tentativo di antici-pare degli scenari futuri, deside-riamo riassumerli brevemente.Innanzitutto, si registra una certadebolezza da parte delle agenzieformative a sapere rispondere inmaniera adeguata alle richiestedel mercato del lavoro; ad essa siaggiunge una serie di sbarramen-ti che impediscono un fluidoaccesso degli operatori all’internodel mercato del lavoro; si nota poiuna diffusa presenza di manodo-pera iperqualificata; ed infine sipuò sostenere che, nel comples-so, sono mancate delle strategie edelle politiche globali capaci diregolamentare in maniera chiara epuntuale il settore. Ora è chiaro

che la presenza simultanea ditutte queste problematicità richie-de un intervento che non puòespletarsi in un’unica risoluzione.Molti hanno visto in un passaggiodi tipo legislativo una possibilesoluzione attraverso la costituzio-ne, ope legis, di albi professionalio di una regolamentazione parti-colare per l’accesso alle profes-sioni. I tentativi fatti per ora nonhanno prodotto nulla di significati-vo, anche perché questo tipo diintervento finisce per cozzare confacilità con le tutele sulla libera cir-colazione dei lavoratori e con ledirettive europee che vanno pro-prio in questa direzione. Ci sentia-mo inoltre di dire che in un siste-ma economico ad impostazionemista come quello italiano la solaregolamentazione tramite un inter-vento legislativo non ha moltesperanze di successo. Probabilmente, un interventocapace di affrontare le criticità dicui sopra, deve giocoforza passa-re attraverso delle azioni e dellestrategie miste, che vedano lacompartecipazione di più attori.Innanzitutto è palese la necessitàdi un’azione da parte dello Statoche, nell’ambito di quel processogenerale che sta portando ilPaese verso un assetto federali-sta, attribuisca in maniera chiaracompetenze e responsabilità che,in materia di attività fisico-sportiva,oggi sono divise/condivise tra ilsistema del Comitato OlimpicoNazionale Italiano e del ComitatoItaliano Paralimpico, le Regioni egli Enti locali e alcuni Ministeri.Dopodiché, su un piano operativo,si rende necessaria la messa inopera di tavoli di dialogo e di stra-tegie di collaborazione tra le agen-zie formative ma anche tra il mer-

cato del lavoro e il sistema della

formazione in maniera tale che:- venga aumentata la qualitàdella competenze trasmesseagli operatori,

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- venga altresì ridotto, attraversouna razionalizzazione dei per-corsi di bi-formazione, il tempoche intercorre tra l’inizio delpercorso formativo e l’ingressonel mercato del lavoro,

- e infine, i programmi formativivengano calibrati alle realinecessità del mercato dellavoro.

In seconda battuta, i lavoratori delsettore dovrebbero poi essere ingrado di agire in maniera compat-ta, evitando l’eccessiva frammen-tazione che li contraddistingue eoperando, nell’interesse collettivo,come un gruppo di pressionecoeso, in maniera tale che leistanze che essi rappresentanopossano acquisire maggiore forzain sede di contrattazione con ilmercato del lavoro.

Note

1 Circa il 5,3% (poco più di 2 milioni emezzo di persone) della popolazioneitaliana di oltre 3 anni di età usufruiscedei servizi resi da queste organizzazioni(Elaborazioni dell’Osservatorio sulleProfessioni e le Occupazioni Sportive,Opos, 2008).

2 Stime dell’Osservatorio sulle professioni

e le occupazioni sportive, Progetto Voca-

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