SKATE OR DIE

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RACCONTO ILLUSTRATO È AUT EDIT ORI

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Racconto di Roberto Cesaro illustrato da Giovanni Donadini. MiMiSol Edizioni | Auteditori

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RACCONTO ILLUSTRATO

ÈAUT EDIT ORI

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ÈAUT EDIT ORI

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Copyright © 2006 Roberto CesaroCopyright © 2006 MiMiSol / AUTEDITORI Quarto d’Altino (VE) www.auteditori.it – [email protected]

Disegni e copertina: © Giovanni Donadini www.canedicoda.com

Finito di stampare nel febbraio 2006 pressoLitostampa Veneta S.r.l. – Mestre/Venezia

PRINTED IN ITALY – Stampato in Italia

ISBN-10: 88-89981-00-8ISBN-13: 978-88-89981-00-9

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NOSE

TRUCK

RAILS

TRUCK

TAIL

GRIP

WHEELS

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noseduzione

quando ero piccolo andavo in salagiochi con il mio skate giocattolo e mi facevo le ore su un videogame in cui a un certo punto uno sciame di api rincorreva lo skater protago-nista, e compariva la scritta Skate or die!

allora non pensavo certo che un giorno que-sta frase avrebbe assunto per me un signifi-cato reale. invece con il passare degli anni lo skate-boarding è entrato nella mia vita ed è diven-tato parte del mio equilibrio, insieme alla letteratura e tutto il resto.

quella che sto per raccontare è la storia di quando ho cominciato a skateare.

l’ho scritta nei mesi invernali a cavallo tra il 2003 e il 2004, in crisi di astinenza da skate-boarding, vagheggiando uno skatepark o una bowl al coperto, dato che col brutto tem-po è impossibile skateare.

ogni riferimento a fatti, persone e cose real-mente esistiti è puramente VOLUTO.

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tuttavia si tratta di ricordi personali, quindi la realtà potrebbe in qualche caso apparire involontariamente deformata. inoltre bisogna tenere conto che raccontare proprio tutto e nominare proprio tutti non è possibile, quindi spero che nessuno se la prenda se non si ritrova nella mia versione dei fatti.

dedico questo racconto ai miei genitori, agli Auteditori che hanno reso possibile la pub-blicazione di questo libro, a tutti gli amici con cui ho skateato e a quelli con cui con-tinuo ancora a skateare, e anche a tutte le persone simpatiche che ho conosciuto in più di mezza vita passata skateando. un ringraziamento particolare va a Giò per le illustrazioni che hanno reso il libro cen-tomila volte più bello, a Cooping/Arrigo lo gnomo delle rampe, e a Nikof, Paolo e Davide di Strange skateboards per il fondamentale supporto.

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1. in principio era il variflex

la storia comincia davanti a un negozio di articoli sportivi a Jesolo lido, in piazza Maz-zini: è il luglio del 1989, ho 14 anni e come ogni anno trascorro un mese di vacanza qui con i miei.davanti alla vetrina ci sono io che guardo ammirato uno skateboard pre-montato con la tavola di un bel legno scuro di cui si intra-vedono le venature, i trucks arancio fluo e le ruote bianche gommose che vanno forte, non come quelle di plastica inchiodate degli skate giocattolo.è il primo skate decente che ho trovato in vendita: semi-professionale, come mi ha detto il negoziante, anche se non so di che marca sia, perché lui mi ha detto Variflex, ma Variflex non è perché non c’è scritto da nessuna parte e pazienza.

i giorni precedenti a quella visione destabi-lizzante ho conosciuto un ragazzo di nome Alan che mi ha fatto provare una delle sue due tavole professionali, e ci sono rimasto di legno a scoprire che uno skate può andare così veloce.

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la tavola che mi ha prestato è senza grafica, mentre quella che usa lui è la più bella che ho mai visto, se si esclude quella che aveva una sera in sala giochi un tipo tedesco, che non dimenticherò, con la facciona di un mo-stro sotto. la tavola di Alan è una Santa Cruz, con la grafica di un pagliaccio su sfondo celeste e le ruote che vanno a duecento: ti dai due spin-te e vai a palla! altro che le ruote del mio skate giocattolo che si fermano subito...

io sono troppo contento di skateare con lui perché cominciavo proprio ad annoiarmi ad andare ogni giorno in spiaggia a fare le solite cose. e poi lo skate mi è sempre piaciuto e ne ho già posseduti tre: uno di plastica giallo, a forma di banana, quando avevo circa 8 o 10 anni, e allora era l’unica cosa che avevo tro-vato in vendita e me lo ero fatto comprare

BANANA

VARIFLEX???

SLALOM

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perché avevo visto mio cugino che ci giocava coi suoi amici, più grandi di me di quasi die-ci anni. subito mi sono unito a loro anche se ero più piccolo, e all’inizio ci andavo seduto, anche giù per una discesa. poi col tempo ho imparato a stare in piedi e a girarmi facendo leva sui trucks.

un altro skate che ho posseduto era vera-mente bellissimo e infatti poi me lo hanno rubato, non so più dove e quando: era di ve-troresina bianco e rosso con le ruote morbi-de rosse, piccolo come il primo ma molto più bello. me lo aveva comperato mio padre in un negozio di articoli sportivi e mi ha detto che era uno skate americano professionale da slalom. il tutto è successo qualche anno dopo l’acquisto del primo skate giocattolo.

poi, nel luglio 1988, ho scoperto che in un negozio di giocattoli, sempre a Jesolo, ven-devano degli skate prodotti dalla Gioca, con la tavola grande, che costavano cinquanta-mila lire. le avevo sognate tanto, le tavole grandi che avevo visto soltanto in televi-sione, senza mai riuscire a trovarne una in vendita: così quell’estate mio padre me l’ha

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comprata perché ha capito che ci tenevo, an-che se ne possedevo già due di piccole.

comunque, tornando all’estate 89, io ci sono rimasto male quando ho fatto vedere il mio skate Gioca ad Alan e lui ha comin-ciato a sfottermi perché in confronto ai suoi skate americani il mio era evidentemente una schifezza. e non erano serviti a niente i miei sforzi di farlo sembrare migliore co-prendo la grande G rossa di Gioca con un quadrato di carta adesiva nera, su cui poi ho attaccato l’adesivo luccicante di un cobra, scrivendoci anche il mio nome con le lettere adesive. niente da fare perché il mio skate era una merda comunque, e Alan a un certo punto ha cominciato a prendermi in giro ri-petendo ossessivamente: G - Gioca! G - Gio-ca! – fino a farmi incazzare.

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così, in quel negozio di articoli sportivi di piazza Mazzini, ho visto finalmente realiz-zato il mio sogno di avere uno skate decente che andava a palla, e i miei me lo hanno com-prato ancora una volta senza fare storie, perché ero stato promosso in terza media con un bel voto.

e da quel momento, si può dire che ho comin-ciato a skateare veramente.

2. l’arena di piazza aurora

ho realizzato subito che ad Alan non gliene fregava nulla di skateare.quando gli ho detto che su una rivista avevo letto che con lo skate si può ollare, cioè fare dei salti senza toccare la tavola con le mani, e ho cercato di provarci imitando i movimenti che avevo visto nelle foto, lui mi ha detto che sapeva già che si poteva saltare così ma era difficilissimo e non ci saremmo mai riusciti.Alan mi ha chiesto di andare in giro in bici con lui e poi in spiaggia a fare il bagno.io gli ho detto che volevo imparare a fare i salti, e sono rimasto da solo.

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era evidente che avrei dovuto cercare altri amici con cui skateare.

e mi è venuta in mente una puntata dei Chips in cui Frank Ponciarello, il poliziotto con la carnagione scura, multava ripetuta-mente dei ragazzi che skateavano sui mar-ciapiedi e infastidivano i passanti. così gli skaters lo odiavano ma alla fine Frank, per fargli capire che lo faceva per il loro bene, li invita un pomeriggio ad uno skatepark fatto di dune e curve di cemento, e si vedono loro che skateano con il casco e le ginocchiere, e si divertono un casino senza dare fastidio a nessuno. e nell’ultima scena i ragazzi han-no imparato a fare i salti sulle dune, mentre Ponciarello va giù di culo e tutti si mettono a ridere.ripensando a quel telefilm ho capito che vo-leva insegnare che bisogna skateare solo nelle piste dove non si crea pericolo per nessuno, ma a Jesolo non ce n’era neanche una, così ho preso il mio skate e sono andato all’arena di piazza Aurora, che almeno ave-va un piano liscio al centro, lontano dalla strada.

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l’arena era una costruzione nuova piena di scalini, dislivelli e superfici lisce dove si poteva skateare senza che nessuno si la-mentasse. lì ho conosciuto Matteo, Luca e Marietto, ragazzini che abitavano nei din-torni e si incontravano per skateare. Luca e Marietto erano bambini di dieci o undici anni, mentre Matteo era un po’ più grande e in skate la sapeva più lunga di tutti. usava un California Pro con la faccia di un mostro sotto, sapeva già ollare bene e saliva su tut-ti i gradini, compreso quello che loro chia-mavano “il panettone”: il gradino più alto e difficile.

OLLIE!

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con loro è stato da subito un gran parlare di tavole e manovre, riviste e skaters ame-ricani. veniva naturale parlare e confron-tarsi e insieme era più facile imparare le manovre. parlavamo di Hosoi e Caballero, di Tommy Guerrero e Tony Hawk, che erano gli skaters più famosi che si vedevano nel-le riviste in quegli anni. Marietto era il più piccolo e rotondo e faceva ridere perché sbagliava sempre i nomi delle manovre e dei pro, mentre Luca parlava poco e imparava in fretta guardando Matteo.con loro mi divertivo come quando giocavo in spiaggia da bambino, i pomeriggi volava-no via veloci e imparavo a skateare.

lì ho imparato a ollare, salendo sul gradino piccolo che c’è al centro della piazza.ho consumato tutto il truck a furia di cader-ci sopra incastrandomi sul gradino quando non riuscivo a far salire le ruote posteriori. poi ho imparato, nel giro di qualche giorno: ed è stata una conquista enorme, come sca-lare una montagna! da quel momento, skateare è diventato mol-to più bello, perché potevo ollare ogni volta che c’era un piccolo ostacolo o un gradino

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da salire, senza dover prendere in mano la tavola. e pensare che Alan diceva che non ci sarei mai riuscito!

contemporaneamente, passando ore e ore sulla tavoletta, quasi senza neanche accor-germene acquisivo equilibrio e sicurezza: scendevo dai gradini alti senza ollare, gioca-vo insieme agli altri a chi si caccia giù dal dislivello più alto, poi facevamo tutta una serie di figure prendendo la tavola con le mani, spingendoci coi piedi da terra o saltando giù dai gradini e ri-cacciandocela sotto (quelli che poi scopriremo chiamarsi foot plants e boneless...).

conoscevamo pochissimi nomi di manovre, e facevano ridere i nomi che inventavamo, come Matteo, che diceva: adesso faccio l’al-bero – e appoggiava una mano per terra e cercava di mettersi in verticale, tenendo la tavola sotto i piedi con una mano, imitando le pose che si vedevano nelle foto dei giorna-li (tentativi di street plants, hand plant da terra, quella roba lì...).

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nel tardo pomeriggio tornavo all’apparta-mento dove passavo le vacanze estive, e an-davo in spiaggia a fare il bagno, leggendo poi i giornali di skate disteso sull’asciugamano. LIFE’S A BEACH era la frase che più mi pia-ceva in quel periodo: era lo slogan di una dit-ta che produceva surf e skate.

3. andrea di milano

sfogliare le prime riviste di skate è stato fon-damentale perché mi ha fatto capire che lo skateboarding ormai era una realtà anche in Italia e non soltanto un sogno televisi-vo, veicolato da telefilm come i Chips o film come Ritorno al futuro e Scuola di polizia, dove avevo visto per la prima volta alcune evoluzioni sullo skate.e leggendo i giornali di skate entravo in un nuovo mondo.

si trattava dei primissimi numeri di due di-verse riviste che mio padre mi portava dal suo negozio di giornali: Skate e Skate and Snow Board.attraverso quelle pagine, lo skate mi appari-

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va come qualcosa di completamente nuovo e diverso da ogni altro sport. guardavo le foto e leggevo gli articoli che parlavano di gruppi di ragazzi che passa-vano i pomeriggi in strada o in luoghi della città particolarmente adatti per skateare, soprattutto nei grandi centri di Milano e Roma. erano tutti più grandi di me e dei miei amici e si vestivano con t-shirt colorate e jeans strappati, cappellini con il frontino e bandana. mi sembravano dei pazzi furiosi felici e tra-sandati, pieni di colori e simboli che mi pia-cevano. avevano tutte le tavole disegnate e piene di scritte e anche sui muri delle città che si vedevano sullo sfondo c’erano spesso degli strani disegni con delle scritte tutte co-lorate che mi piacevano un sacco.poi nelle riviste regalavano spesso adesivi che riproducevano i loghi delle ditte di skate

oppure strani mostri mutanti con le budella di fuori, teschi

ridicoli e mille altri soggetti bizzarri che mi ricordava-no certi film dell’orrore che amavo guardare nelle sere

d’estate, quelli del-

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la serie Notte horror presentati dallo zio Tibia, un pupazzo di gomma mostruoso che faceva più ridere che altro.comunque, l’adesivo più bello da attaccare sotto la tavola era quello con scritto: SKATE-BOARDING IS NOT A CRIME, perché quella scritta voleva dire a tutti i rompi palle che si lamentavano della nostra presenza lungo le strade e magari chiamavano anche i vigili o la polizia: lasciateci in pace che ci vogliamo soltanto divertire e non abbiamo nessun al-tro posto dove poterlo fare!

uscendo spesso in skate, quell’estate ho in-contrato altri skaters che trascorrevano lì una vacanza, e da ognuno ho imparato qualcosa. in particolare mi ricordo Andrea di Milano che era molto più grande di me, avrà avuto 18 o 19 anni, e sembrava uscito da una di quelle riviste. faceva tante mano-vre tutte diverse e di seguito, e sapeva tutti i nomi. lo guardavo e restavo strabiliato, quel pomeriggio in piazza Aurora, che fatalità non c’erano neanche gli altri amici e mi sono trovato da solo con questo milanese bravis-simo che non potrò mai dimenticare.è stato il primo vero skater che ho visto dal

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vivo, con i pantaloni tagliati al ginocchio, il cappellino rovescio e i capelli biondi abba-stanza lunghi, una t-shirt colorata e la ta-vola tutta rovinata, i trucks consumati e la grafica segnata dalle slideate.sembrava non fregargliene nulla delle cose a cui noi ragazzini davamo tanta importan-za e di cui parlavamo continuamente, come le grafiche e le marche delle tavole: voleva farmi capire che era più importante impa-rare a skateare e per questo mi faceva ve-dere un sacco di manovre dicendomi anche i nomi e rispondendo alle mie domande da inesperto.

ero troppo contento di averlo incontrato e ci sono rimasto di legno quando si è messo a provare una cosa che all’inizio proprio non capivo: si avvicinava a un muro verticale e ci si lanciava addosso perdendo la tavola. a me pareva che si schiantasse apposta con-tro il muro e allora gli ho chiesto cosa stesse facendo e lui mi ha risposto: sto provando wall ride.io non ho capito quel nome e ho fatto finta di niente, ma continuando a guardarlo mi sono venute in mente delle foto incredibili in cui

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gli skaters sembravano correre sui muri verticali.era una manovra che non riuscivo neanche a concepire, che non mi sembrava proprio possibile, ma dopo una serie di tentativi fal-liti, Andrea è riuscito a salire per un at-timo sul muro con tutte e quattro le ruote e a scendere senza perdere la tavola. tutto soddisfatto ha detto: l’ho chiuso! – e io ci sono rimasto di sasso e gli ho detto: yeah! hai chiuso uenrait! (cercando di ripetere il nome che non avevo capito).

dopo poco che Andrea se ne era andato sono arrivati Matteo e gli altri: gli ho raccontato subito del mio incontro e di quella manovra difficilissima, e loro mi hanno raccontato di altri skaters tedeschi bravissimi che aveva-no incontrato qualche settimana prima, e delle manovre incredibili che facevano.

alla sera, prima di dormire, ho ripensato a tutto e mi sono addormentato con l’immagi-

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ne di Andrea che se ne andava spingendosi quasi senza sforzo e continuando a fare ogni tanto un trick, con una scioltezza strabilian-te: quella creatura che mi sembrava venuta da un altro pianeta è sparita nel nulla come dal nulla si era materializzata lì, in piazza Aurora, quel pomeriggio assolato del lu-glio 1989, quando ero un kid di quattordici anni.

4. thrashin’ – corsa al massacro1

al ritorno dalla vacanza al mare ho conta-giato con la mia passione per lo skate un mio compagno di classe con cui avevo condiviso mille avventure, giochi e scoperte negli anni delle scuole elementari e delle medie. quando mi ha visto così preso dallo skate, Marcello non ha resistito: se ne è compra-to uno anche lui e abbiamo cominciato a skateare insieme nel piccolo paese di cam-pagna dove lui viveva: sulle dune di uno strano marciapiede, giù dalla discesa che

1 il film di cui parlo in questo capitolo è Thrashin’, prodotto da Alan Sacks e diretto da David Winters (USA, 1986).

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portava al magazzino di suo nonno dove poi abbiamo costruito le prime jump e slaidiere, nella pista di pattinaggio e dovunque trovas-simo piccoli scalini e muretti dove provare in pace le nostre manovre.a fine agosto mi sono comperato il California Pro perché il mio skate era ormai da buttare e poi mi sono fatto costruire una jump di me-tallo da un conoscente. insieme a Marcello la mettevamo ai piedi della discesa che por-tava al magazzino, arrivavamo giù a palla e saltavamo tenendo la tavola con le mani. quella rampetta era talmente incazzata che dovevamo fissarla per terra perché non si spostasse, incastrandola nella feritoia dove scorreva il portone del magazzino. ed erava-mo costretti a metterci il casco perché ogni volta rischiavamo di sbattere la testa sul sof-fitto! (i nostri genitori ci avevano comprato tutte le protezioni dopo le prime sbucciature ai gomiti e alle ginocchia ma noi le usavamo solo quando provavamo le manovre più ri-schiose...)

un giorno ci siamo accorti che in tv pub-blicizzavano un film che parlava di skate, così, una sera di quell’estate, ognuno a casa

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propria, ci siamo sintonizzati entrambi su Odeon Tv e abbiamo guardato l’indimentica-bile THRASHIN’ – CORSA AL MASSACRO.mi sono esaltato già dalle prime scene, tan-to che alla prima pubblicità ho telefonato a Marcello, anche lui molto gasato, per assicu-rarmi che lo stesse registrando, dato che io non avevo ancora il videoregistratore.

Corey Webster è un ragazzo americano che una mattina si sveglia e si lancia in skate giù dalla finestra di casa atterrando su un bank che c’era sotto. da lì comincia il suo viaggio in skate e autostop verso Los Angeles dove si disputa un’importante e cruenta gara di discesa dalle colline: la down hill, detta an-che Corsa al massacro.per strada Corey fa delle session da restarci male: grinda e slidea muretti e marciapiedi,

olla e fa boneless e powerslide a destra e a manca, ammicca alle pattinatrici in bikini e chi più ne ha più ne metta...

arrivato a destinazione viene ospitato da un gruppo di amici skaters che hanno ap-

pena terminato di costruire una rampa verticale.

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Corey è il primo a collaudarla, e anche lì ci dà senza ritegno e la session si anima tan-to che una cifra di gente si ferma a guar-dare.insieme i ragazzi si divertono un sacco e vanno in giro a streettare e far casino, ma ben presto entrano in scena i cattivi di tur-no, che ovviamente non potevano mancare: trattasi della temibile Banda dei coltelli, ca-peggiata dal Gancio: tutti in jeans strappati e t-shirt nera, con le tavole nere con un pu-gnale disegnato sotto.ma a Corey non gliene può fregare di meno che Venice Beach sia zona loro, e si spara un paio di tricks sul loro quarter scatenando le ire del Gancio.la rivalità tra i due si acuisce ulteriormente quando Corey si innamora di una bionda da paura, la quale non poteva che essere la so-rella del Gancio: Crissy, vista la prima volta a Venice e poi ad una festa esagerata dove suonano i Red Hot Chili Peppers...quindi amore contrastato e conseguenti atti di viltà consumati dai Coltelli ai danni di Corey e i suoi amici: il Frate, il più vile dei Coltelli, che getta le puntine nella bowl dove Corey stava disputando un’ottima gara, e ne

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causa l’infortunio; e infine l’incendio doloso della nuova rampa dei locals.Corey però viene notato dal famoso produt-tore di tavole Mondo e di ruote che resiste-rebbero a una guerra nucleare, il quale a un certo punto gli pronuncia la mitica frase: vinci la down hill e correrai per la Smash Skate!per questo è molto gasato e di sera va a prendere furtivamente Crissy alla base dei Coltelli, dove c’è gente che skatea persino sopra il tetto, e se la porta nel camper dei suoi amici dove le mostra la grafica che lui stesso ha dipinto sulla sua nuova tavola.si tratta di un grosso ragno che stringe una biondona tra le zampe, immagine che turba molto Crissy, la quale si chiede quale mai sia la ragione di tanta aggressività. ma dopo aver guardato Corey negli occhi, Crissy sta già pensando ad altro e gli dice: e se fossi ag-gressiva io, adesso, subito... (seguono scene d’amore molto imbarazzanti in cui però non si vede neanche una tetta).il Gancio intanto si rode il fegato perché non sopporta che Corey venga da una riserva indiana, dato che oltre tutto è anche un ba-stardo razzista, e quindi lo sfida ad una lotta

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notturna in skate in un grande canale di ce-mento, dove il nostro eroe si prende un bel po’ di legnate.però, sia pure con le ossa mezze rotte, Corey non rinuncia al suo sogno di vincere la dif-ficilissima Corsa al massacro, e per questo stringe i denti e va ad allenarsi a scendere a palla giù dalle colline.arriva il gran giorno della gara e la discesa è talmente incazzata che prima o dopo cadono tutti, tranne Corey e il Gancio, che si dispu-tano la corsa in un testa a testa mozzafiato.ovviamente vince Corey che, arrivando giù a una velocità spropositata, prende una jump enorme e fa un volo di qualche decina di metri, atterrando in mezzo al pubblico in delirio, dove lo aspetta il capo della Smash Skate che lo sponsorizza all’istante, e poi ar-riva anche il Gancio a stringere la mano al suo avversario, perché dopo la sconfitta ca-pisce miracolosamente di essere stato catti-vo per tutta la pellicola.limonata idilliaca di Corey vincitore e Crissy innamorata: e vissero tutti felici, skaters e contenti.

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finito il film, avrei voluto che non ci fos-se la notte in mezzo, per andare subito a skateare!il giorno dopo, io e Marcello tutti gasati ab-biamo skateato in modo diverso: anziché fare singole manovre su una stessa transi-zione, abbiamo provato a distribuire i pochi tricks che conoscevamo lungo dei percorsi, come ad esempio partire dalla prima duna del marciapiede e arrivare alla jump giù dal-la discesa del magazzino, chiudendo più ma-novre possibili.rendersi conto che skateare così non era per niente facile, inizialmente ci ha smontato, ma poi abbiamo cercato di concludere i per-corsi anche commettendo degli errori, come si vedeva nelle scene del film in cui i ragazzi streettavano tutti insieme e ogni tanto qual-cuno cadeva, ma si rialzava subito e conti-nuava a seguire gli altri.comunque quel film ci ha insegnato qualcosa di nuovo e alla sera, distrutti, ci siamo mes-si a disegnare ragni e ragnatele sulle nostre tavole...

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5. il capannone della nautica

comincia la scuola e arriva l’inverno, e cam-biano un sacco di cose.io e Marcello frequentiamo scuole diverse in paesi diversi, c’è tanto da studiare e ci ve-diamo molto meno.però vengo a sapere che nella zona indu-striale di Porto Marghera c’è un negozio di prodotti per la nautica che vende anche skate. un fine settimana i miei mi portano lì e i proprietari ci mostrano una cosa stra-biliante: in un capannone dietro al negozio hanno costruito una rampa bella grande tipo quella dei ragazzi del film e una piccola area street con altre strutture!

primo ingresso allo skatepark della nau-tica: entro con il mio California Pro sottobraccio.non faccio neanche in tempo a guardarmi intorno e vedere i disegni sui muri e sulle rampe che arriva uno skater come me che mi dà la mano e mi dice: ciao io sono Pippo, che tavola è? quante tavole olli?– è un California Pro e una volta ho saltato quattro tavole.

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Pippo chiama altri due tipi e dice: oh, lui dice che olla quattro tavole!e uno di loro chiede: sì, ma quattro tavole messe come?– a Jesolo ho ollato quattro tavole in lungo messe giù da un gradino...Pippo: ah, ma no! io intendevo quante tavole olli messe in piedi incastrate coi trucks...

così ho conosciuto i locals del-la nautica e li ho guardati gira-re nel loro spot: si muovevano già bene sulle rampe e usavano skate professionali.ho skateato un po’ con loro e ho capito che la strada per progre-dire passava sicuramente di là.poi in negozio ho guardato tutte le tavole fighissime che c’erano appese al muro, e i trucks e le ruote e tutti gli accessori.

a Natale di quello stesso anno io e Marcello ci siamo fatti regalare finalmente uno skate professionale, acquistato alla nautica di Marghera. il mio set up era: tavola Tony Hawk street

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nera con l’aquila viola piccola sotto e la sua firma, trucks Indy e ruote Rat Bones. inoltre rails e tail guard di plastica gialla, e para-trucks in carbonio. (para-coda e para-trucks li ho tolti dopo pochi giorni, quando ho rea-lizzato che davano più fastidio che altro...)set up di Marcello: tavola Ray Barbee con la grafica del pupazzo con le carte, e anche lui Indy, Rat Bones e tutto il resto.skateare con quella roba era tutta un’altra storia! si andava da dio e ci divertivamo un sacco. e ci facevamo anche le foto per veder-ci in azione.

ben presto però Marcello ha smesso di skateare, perché ci vedevamo molto poco per varie ragioni, a cominciare dalla scuola e dal calcio, che lui praticava da tanto e io invece da un paio d’anni appena, solo per-ché il paese non offriva di meglio: e non mi piaceva per niente. poi Marcello ha comin-ciato a frequentare altri giri di ragazzi con cui ascoltava musica da discoteca che mi dava i nervi.ho mollato il calcio come slegarmi una pietra dal piede, lasciandomi alle spalle le fatiche immani e i geloni ai piedi degli allenamenti

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invernali, le sfuriate degli allenatori in spo-gliatoio e tutte le tensioni assurde legate alle partite di un campionato che non mi interes-sava molto di vincere.ho continuato a frequentare la nautica i fine settimana e ho conosciuto nuovi skaters di Mestre e di Treviso, mentre con Marcello ci siamo visti sempre meno.

sono skateato inesorabilmente via dal picco-lo paese dove passavo i pomeriggi da bambi-no, in cerca di nuovi mondi da esplorare con la tavoletta sotto i piedi.

6. la rampa di treba

la rampa di Trebaseleghe era strapiena di scritte e disegni colorati.è stata la prima vert ramp che ho visto dal vivo in vita mia, e non c’era il coping, ma tanto nessuno ci sapeva arrivare, fino al coping, all’inizio. allora è stata tagliata e ab-bassata, ed è diventata una mini di circa due metri dove gli skaters hanno cominciato ad imparare a skatearla come si deve.

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SKATEMANIA era la scritta più grande, di colore viola acceso, che si poteva leggere sul lato esterno della rampa.skatemania è quello che ho vissuto all’inizio degli anni novanta: una passione contagio-sa per lo skate che è partita dagli Stati Uniti (dove era già una realtà con una storia alle spalle) e attraverso video promozionali e ri-viste si è diffusa anche in Italia, prima nei principali centri di Milano e Roma, e da lì, attraverso le riviste italiane nate tra la fine degli ottanta e i primi novanta, si è propaga-ta in ogni piccolo paese sperduto delle pro-vince italiane, come quello in cui ho sempre vissuto.così è successo che gruppi di ragazzi assa-tanati di skate hanno cominciato ad incon-trarsi nelle piazze, pubbliche o private, più adatte per skateare, e intorno alle strutture volute e realizzate dai gestori di negozi di articoli sportivi che per primi hanno comin-ciato a vendere skateboards importati dal-l’America.

arrivo a Treba in macchina con mio padre e dal finestrino vedo la sagoma gigante della rampa.

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avvicinandomi vedo che c’è un ragazzino in skate che va su e giù.guardo il tutto strabiliato e dico immediata-mente: ma pa’, quello non ci sa andare! bi-sogna partire da sopra e fare i salti fuori dai bordi, non andare solo su e giù come fa lui!usavo ancora il California Pro ed ero con-vinto di arrivare lì, salire sulla rampa, cac-ciarmi giù dal coping e cominciare a volare come Corey nel film.arrivato vicino alla rampa mi è toccato cam-biare idea immediatamente...ma solo provando a spingermi sulle curve partendo dal basso ho realizzato l’infinità complessità del tutto!girare in rampa era diverso da tutto quello che avevo imparato in skate fino ad allora.la curva ha i suoi tempi e bisogna rispettarli: capire come e quando spingere sulle gambe per prendere velocità, altrimenti dopo due su e giù ci si trova di nuovo fermi in mezzo alla rampa.uno dei gestori del negozio che era lì vici-no alla rampa mi ha detto che il mio skate aveva le ruote lente e quindi spingere ri-sultava più faticoso, mi ha fatto provare la tavola dell’altro ragazzino che stava ska-

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teando ed effettivamente andava molto più veloce.ho skateato nella rampa per un po’ cercando di pompare il più possibile senza fermarmi e poi ho provato le altre strutture poste nel piccolo piazzale sul retro del negozio.

anche a Trebaseleghe come a Marghera si erano incontrate la skate-domanda e la skate-offerta.l’offerta dei negozianti che per incentivare le vendite dei nuovi prodotti costruivano le prime rampe e strutture da street, e la do-manda dei primi skaters in cerca di luoghi adatti per divertirsi in santa pace con la ta-vola a rotelle.ma le strutture dei negozi non erano certo l’unico punto di incontro degli skaters, che hanno imparato da subito ad individuare i luoghi più adatti per skateare, ragione per cui orde di giovani skateanti hanno comin-ciato ad invadere il parco della Bissuola a Mestre, in quegli stessi anni, prendendo d’assalto i cubi di cemento e le discese e le scalinate e i prendisole a forma di piramidi, così spesso inutilizzati.idem per il grande parcheggio del supermer-

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cato Silos di Treviso, completamente vuoto di domenica, con i cancelletti gialli porta-carrelli, lunghi e bassi: perfetti per scivolar-ci sopra con lo skate, per essere slideati dal-le nostre tavole affamate di bordi scivolosi.

7. il parco della bissuola

il capannone della nautica a Mar-ghera, il parco della Bissuola a Mestre, il parcheggio del Silos a Treviso, le strutture del negozio di Trebaseleghe: questi i primi posti dove andavo a skateare nei primi anni novanta.

c’erano sabati invernali freddi o piovosi in cui il capannone della nautica esplodeva di gente e solo i migliori riuscivano a skatear-selo e davano spettacolo, come Paolo Buset-ti, capo indiscusso delle rampe di Marghera e Treba, che faceva lunghe session di airs, hand plants e liptricks di ogni genere: tutti ne parlavano, qualcuno ne criticava lo stile, ma nessuno riusciva effettivamente a star-gli dietro (e infatti ha vinto lui il primo con-test di mini a Trebaseleghe, nel 1990).

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il capannone in quei giorni era fantastico! con i materassoni di gomma piuma addos-sati al muro di fianco alla rampa, per non spetasciarvisi contro, con la scritta SKATE rossa con il teschio nero. un casino di tavole che sbattevano ovunque, di trucks che grin-davano i coping e di YEAH urlati ad ogni trick chiuso.

lì ho droppato la mini per la prima volta, in-coraggiato dai più grandi, e mi sono smalta-to a terra di cattiveria; mi sono alzato dolo-rante e l’ho fatto una seconda volta arrivan-do giù con la coda che strisciava per terra, e la terza volta l’ho chiuso come si deve, tutto contento tra gli yeah degli altri.lì ho anche scoperto che nei giorni di sole si skateava al parco della Bissuola, e un sabato mia madre mi ci ha accompagnato.

arrivando in macchina ai piedi dei palazzo-ni popolari mi pareva di essere capitato nel posto sbagliato, ma mi sono ricreduto subi-to, quando ho visto due ragazzi grandi, uno bianco e uno nero, che provavano dei tricks insieme.ho salutato mia madre preoccupata di la-

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sciarmi da solo in quel posto sconosciuto e li ho seguiti in skate scoprendo così le me-raviglie del parco: scivolare veloce giù dalla prima discesa di sasso lavato che porta al terreno liscissimo del campo di pallavolo, dove i locals avevano piazzato una jump bel-la potente che spingeva un casino; percor-rere il lungo viale alberato guardando sulla destra le piramidi di pietra rossa che sem-bravano non aspettare altro che di essere skateate; sbucare infine sulla grande piazza con i cubi e le gradinate dove ho rincontrato gli skaters della nautica e ne ho conosciuti di nuovi.tutti questi ragazzi di età diverse, più o meno simpatici, più o meno bravi, ognuno con il suo carattere, ognuno con il suo sti-le; i più piccoli a fantasticare sull’abilità dei più grandi; tutti vestiti colorati e trasanda-ti come si vedeva nelle riviste, alcuni con il grip tagliato a ragnatela come Corey nel film, altri con il pugnale disegnato sotto la tavola come la banda dei coltelli: tutti lì a skateare e parlare di pro e di manovre, di video e riviste; a provare la figura più bella dalla jump, il wheelie più lungo sui cubi, il trick più innovativo e difficile in flat.

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tutti lì senza pensare ad altro che a skateare per infiniti sabati pomeriggio nei primissi-mi anni novanta, con gli adesivi attaccati ovunque, con scritto sopra, nero su bianco, la frase mitica: SKATEBOARDING IS NOT A CRIME!

così, provando fs air 180 dalla jump, ho co-nosciuto un tipo coi capelli lunghi che asso-migliava a Luky Luke e abitava a Treviso, e abbiamo scoperto di frequentare la stessa scuola.

8. i locals, le crew e chi spaccadi piÙ

Luky Luke è un tipo simpatico e si chiama Felice, ci vediamo ogni tanto a scuola e ci si becca spesso in giro a skateare nei soliti posti.

con il passare del tempo la scuola mi stressa sempre di più.ho scelto ragioneria perché volevo iscriver-mi al conservatorio dato che strimpello il piano e le tastiere, ma non avevo studiato

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abbastanza musica e quindi avrei dovuto darmi un sacco da fare per superare gli esa-mi di ammissione e non sopportavo i classici esercizi che i prof mi obbligavano a fare per imparare a leggere la musica.così ho scelto una scuola qualsiasi evitan-do i troppo impegnativi licei e sono finito a compilare finti assegni e risolvere problemi di matematica attuariale tra gli imponenti muri dell’ITC Riccati di Treviso. in questo modo, skateare il sabato diventa per me una necessità vitale come respirare.e per distrarmi un po’ dagli studi econo-mici orrendi continuo a suonacchiare per i fatti miei le tastiere e programmare il se-quencer.skateo anche qualche mezz’ora prima di cena nella sala da ballo dei miei zii, dove im-paro i tricks da flat, su un terreno sci-volosissimo spesso cosparso di bo-rotalco dai maestri della scuola di ballo, e lì vado avanti e indietro in pochi metri quadri e provo tutto solo i flat tricks che vedo nei video, oppure mi ollo via le sedie e i divanetti e grindo il bordo del palco.

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frequentando tutti i sabati i principali skate spot della zona, mi rendo conto che ogni spot ha i suoi locals, ogni paese le sue crew e ogni crew i suoi skaters più spaccusi: Pao-lo è il capo delle rampe, ha uno stile molto da vert e per questo dà il meglio sulle mini alte. a Mestre Pippo è il primo ad imparare i tricks più innovativi, skatea street tecnico e ci sa fare anche sulle curve piccole, mentre Manu è il re delle jump e impressiona con airs alti e contorti. il fenomeno di Treviso è invece Enrico Biffis che ha talento da vende-re sia in street che in mini ed è innovativo e veloce, mentre tra i padovani si distinguono il Crazy per lo stile inconfondibile e le ma-novre tendenzialmente old, e il Saggio per la velocità e la consistenza con cui skatea street peso, muretti gradinate rails, e per gli olloni sulle curve.al primo contest della zona, a Trebaseleghe, nel 1990: Paolo vince in mini, Crazy in street A, e in street B si piazzano primo Biffis e se-condo Pippo.ma intorno ai capi delle varie crew c’è una selva di altri skaters, ognuno con un ruo-lo e ognuno ugualmente importante per il gruppo: alcuni magari meno talentuosi nel-

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lo sport ed interessati ad altri aspetti della cultura di strada, alla musica o ai graffiti; altri più giovani che crescono guardando i più bravi; altri che contemporaneamente skateano e tengono i contatti con le riviste fotografando e scrivendo articoli, realizzan-do piccole mappe degli spot e resoconti degli eventi che poi gli skaters di tutta Italia pos-sono leggere sui giornali ed invogliarsi ma-gari a fare altrettanto nei loro paesi: e così cresce la scena.il contest è di certo un evento importante ma lo skateboarding va ben oltre le classifi-che di gara, ciò che più conta è incontrare gli skaters dei paesi vicini e divertirsi insieme imparando nuovi tricks.

tramite Felice conosco altri skaters di Tre-viso e ci incontriamo un pomeriggio al par-cheggio del Silos strapieno di gente riunita lì per skateare insieme.qualche mese più tardi mi aggrego ai Trevi-giani per una fotosession a Lignano Sabbia-doro, a cura di Beppe, uno skater padovano che fotografa e scrive articoli per la rivista Skate and Snow Board. ci accompagna in macchina Arrigo, punk rocker e skater del-

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la prima generazione, e giungiamo alla meta dove incontriamo i padovani. skateiamo street tutti gasati dalla presenza della mac-china fotografica di Beppe e dai nuovi fighis-simi spot: il piazzale del supermercato Epam con le panchine di marmo liscio dove Saggio ci dà di nosewheelie; la discesa straincazza-ta che porta ai garages di un palazzone dove il Biffo si spara sad to fakie improbabili; i cancelletti ferma posto e i pilottini di mar-mo da grindare e slideare; e infine il bank to wall dell’arena e la scalinata da sette che sempre il Saggio si mangia in olloni grabbati e tirati.

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trascorriamo un pomeriggio stupendo in una Lignano invernale deserta e l’architettura della città, le forme delle piazze e dei luoghi più impensati, progettati per le esigenze del-la vita di tutti i giorni, diventano teatro delle nostre session. monumenti al nulla come un parcheggio vuoto o una piazza o una gradi-nata deserte acquistano significati inediti sotto i colpi delle nostre manovre: si fanno skatepark sotto le nostre ruote.

9. tha spastegon prot-eam

vivere in campagna tra Mestre e Treviso, più o meno alla stessa distanza dai due cen-tri, mi ha portato ad entrare in contatto da singolo individuo con le due diverse scene skate sentendomi inizialmente un po’ alieno da entrambe le parti. poi, studiando a Trevi-so, ho intensificato i contatti con i trevigiani e naturalmente, quasi senza accorgercene, abbiamo dato vita ad una vera e propria crew.uscivamo a skateare insieme ogni sabato e ogni giorno di vacanza, sempre in cerca di nuovi spot: alla scuola elementare di Pre-

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ganziol, piena di muretti, panchine di mar-mo e gap su fondo di cemento liscio e asfalto, e davanti al nuovo municipio di Dosson, con-tornato di piccoli banks. ma la cosa migliore era allontanarsi un po’ da Treviso, usando i mezzi pubblici, dato che nessuno guidava, principalmente verso il parco di Mestre e soprattutto verso Bassano, che aveva una sua piccola scena di locals simpatici, uno skateshop con relativa mini bassa molto fa-cile e divertente, e una serie di street spot interessanti.incontrarsi alla stazione, salire in treno con gli skate sotto braccio e parlare di mille cazzate durante il viaggio, poi giungere alla meta e passare ore di divertimento skatean-do con i locals in giro per la città era il nostro modo per ricaricarci dopo una settimana di studio e per distrarci dai problemi di tutti i giorni: trascorrevamo ore spensierate con-dividendo non solo la passione per lo skate, ma anche parlando dei nostri diversi inte-ressi, di musica e di arte.così, sabato dopo sabato cresceva sempre più il piacere di stare insieme e la coscienza di essere un gruppo.ogni sabato al ritorno da scuola i nostri te-

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lefoni di casa diventavano incandescenti: io chiamo quello, tu chiami quell’altro e poi ci becchiamo lì a quell’ora per prendere quel treno... ma dove si va questa volta? uno pre-ferisce da una parte, uno dall’altra ma alla fine si trova sempre un accordo, si perde qualche treno per aspettare i ritardatari e si arriva allo spot sempre troppo tardi, ac-comunati dalla voglia di skateare oltre ogni limite.

nasce così lo Spastegon team, o meglio an-cora prot-eam (dove prot è l’onomatopea di scoreggia, sia chiaro!), nome bizzarro che ci siamo dati in quel periodo: di composizione estremamente variabile, ma con i seguenti membri fissi, che resteranno tali negli anni seguenti:Felix e Guido: fratelli, il primo più vecchio di qualche anno del secondo. litigano tutto il giorno con rari momenti di tregua durante le skateate, quando non si sfidano a chi spacca di più.Felix è il più vecchio e responsabile, quasi un team manager, praticamente lo zietto del gruppo che per primo si farà la patente e ci scarrozzerà in giro per nuovi remoti spot.

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Guido skatea come un folle, inizialmente è sempre per terra e torna a casa con i vestiti sporchissimi e strappati, perché prova ma-novre assurde che progressivamente impa-ra a chiudere con grande stupore di tutti.una volta, a Bassano, si caccia giù da una gradinata estendendo un sad con le gambe parallele in stile Mat Hensley, come nessuno di noi mai era riuscito a fare, però si speta-scia inspiegabilmente a terra. rialzatosi su-bito dopo dichiara: era così bello vedere la mia ombra in sad tirato che mi dispiaceva mollare la tavola per atterrare... voglio re-stare in sad per tutta la vita!altra volta: Guido skatea senza ritegno men-tre Felice va a comprare una boccia di coca al supermercato. al momento di lasciare lo spot per prendere il treno, Guido la ficca nel-lo zaino senza chiudere bene il tappo e giun-to alla stazione realizza di aver inzuppato i ricambi suoi e del fratello.tutti si piegano in due dalle risate, tranne Felice che senza proferire parola spacca a metà la tavola di Guido con una scarpata. in segno di sfida Guido la raddrizza alla meglio e comincia a skateare come se nulla fosse, chiudendo manovre a raffica mentre insul-

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ta il fratello. non si sa come, la tavola non si spezza e il folle chiude la session con un sad più tirato che mai, urlando: tieni! questo è per te! brutto pezzo di merda!!!Andrea: testa tonda e sorriso smagliante nonché risata piratesca, è l’avanguardia del gruppo dato che impara per primo i tricks tecnici all’ultimo grido visti nei video. è il primo a ricevere tavole gratis come sponso-rizzato dallo shop bassanese e dà il meglio in street puro che preferisce di gran lunga alle curve.Mr Love: fico bello fotomodello, carnagione olivastra capello lungo, origine sud ameri-cana, skatea street e strutture, sciupa fem-mine, dimentica ovunque il portafogli e gli viene la diarrea appena prende freddo.infine ci sono io, folgorato dallo stile del pro americano Christian Hosoi, capello lungo come il mio idolo, molto amante degli skate-park delle jump e degli ollie grabbati, non-ché della demenza intesa come atto consa-pevolmente liberatorio.

questa la cricca di skaters a cui se ne aggiun-gono vari altri in momenti diversi tra cui an-che il Biffo che ci degna ogni tanto della sua

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presenza facendoci sbiancare ogni volta con la sua abilità fuori dall’ordinario.

10. bologna e viserbella

a momenti la scuola mi sembra un mostro che si vuole mangiare tutto il mio tempo.perché questo non accada devo muovermi veloce.allora le rotelle sotto i piedi mi servono pro-prio, mi sono necessarie.

le mattinate passano grazie alle materie che mi piacciono e agli insegnanti che stimo.per il resto riempio il diario di foto di skate ritagliate dalle riviste e skateo i libri con un portachiavi a forma di skate su cui ho appli-cato pure il grip, faccio i tricks con le dita e uso il banco come uno skatepark in minia-tura.

anche l’amore per una mia compagna di classe mi fa stare bene: ha un anno più di me, è ripetente ed è più alta di me.

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quando c’è un solo posto per sedersi, sto io in braccio suo, perché ci viene più naturale di fare così, date le pro-porzioni.ci scriviamo bigliettini nei momenti vuoti delle lezioni o ci scambiamo i diari, passia-mo insieme la ricreazione e chiacchieriamo percorrendo la strada verso la stazione del-le corriere.ci baciamo sulle scale, nelle aule vuote e nei bagni della scuola, in stazione, sulle panchi-ne dei giardinetti.è così bella e grande, e mi piace parlare con lei.

i pomeriggi studio sempre a casa da solo. suono un po’, skateo qualche mezz’ora in sala verso sera.il sabato torno a casa mangio e mi cambio mentre chiamo e rispondo al telefono che suona duemila volte, fin che si trova un ac-cordo e riprendo la corriera per andare fi-nalmente a skateare allo spot stabilito.

sentire i miei compagni di classe il lunedì che parlano di discoteche mi fa venire mal di pancia.

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la corriera strapiena che li porta tutti ag-ghindati verso quei grandi cubi di cemento fumosi e pulsanti dove si rinchiudono ogni fine settimana mi sembra la carrozza che porta Pinocchio e Lucignolo al paese dei ba-locchi dove si trasformano in asini.

penso che non voglio passare dalla prigione della scuola a quella della disco e non voglio restare intrappolato in questa catena.per carità: skateo via più veloce della luce!

così, un fine settimana lo Spastegon team va in trasferta due giorni a Bologna.seguiamo l’invito dell’amico bassanese Oc-chiale che va spesso a skateare lì, dove abi-tano i suoi nonni.è la prima volta che passo una notte fuori con i miei amici e già in treno rompo le pal-le a tutti perché troviamo un posto per dor-mire appena arriviamo in città ma nessuno mi bada perché sono invasati di skateare in un posto nuovo e tempestano Occhiale di do-mande sugli spot bolognesi.sceso dal treno, la città mi sembra una giun-gla incasinata e per non perdermi mi attac-co al serpentone di skaters con Occhiale in

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testa, fin che si arriva al primo spot: i giardi-ni Margherita.inutile parlare di posti per dormire, si skatea tutti senza pensieri e presto ci si sposta in autobus verso un ufficio postale di periferia dove skateano i locals.il pomeriggio passa in un baleno streetando con loro, e la sera, col buio, non abbiamo an-cora stabilito dove passare la notte.a questo punto Occhiale chiede consiglio ai suoi nonni che gentilissimi ci ospitano tutti in blocco!dormiamo io Love e Felice su un letto ma-trimoniale e Andrea su un letto singolo dato che si è slogato una caviglia (Guido non c’è per qualche ragione).scoreggiamo sonoramente e ridiamo per questo prima di crollare addormentati.

svegliati e colazionati sempre grazie ai gen-tili nonni Occhiali ci rimettiamo in treno e si parte per Viserbella insieme ai locals come deciso la sera prima. sempre gasati di vede-re un altro posto nuovo giungiamo in questa piccola località di mare semideserta dato che è una domenica di marzo: c’è il sole, l’aria buona e skateiamo in gruppo dalla stazione

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verso lo skatepark visto in foto sui giornali. il mare e la città mi scorrono veloci a lato mentre ollo ogni irregolarità del terreno per evitare di andare giù di bocca con lo zaino in spalla e tutto. e sono strafelice di sentirmi libero skater e non discotecaro inscatolato!le strutture da street sono facili e divertenti al centro di un’area contornata da una mi-cro a spina, una mini bassa e una alta: ce n’è per tutti i gusti e l’adrenalina sale man mano che si anima la session.ad un certo punto fanno il loro ingresso tre skaters che in breve ci lasciano tutti di sas-so. e chi l’avrebbe mai detto? il meno pro-mettente di loro, in tuta da ginnastica verde pisello e occhiale spesso che sembra un in-crocio tra Woody Allen e il ragionier Filini, spacca senza ritegno! gira a velocità doppia rispetto al migliore di noi e ha un bagaglio di tricks di tutto rispetto per ogni struttura, dal funbox alla mini alta, senza dire che pro-va improbable salendo sul funbox (come gli streeters più innovativi dei migliori video americani) e bs nollie kick tailgrab uscendo dal wallride, trick che ho visto fare soltan-to da Steve Cab in foto. non c’è dubbio che

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l’abito non fa il monaco! e girano bene an-che i suoi amici, di cui uno sempre occhia-luto e molto bambino che olla sulle curve come una cavalletta. ma chi sono questi? Giovanni Morri e i suoi amici, ci informano

i bolognesi: un nome che ritrove-remo spessissimo sulle riviste e nei primi video italiani di Totally Skate, negli anni successivi...

ma quanto è bello, dopo aver skateato le mi-gliori ore del pomeriggio, sedersi in spiaggia al tramonto e sfondarsi di crackers panini patatine merendine e altre cazzate compra-te il giorno prima al supermercato? e spac-carsi pure dalle risate rievocando le migliori scene del giorno precedente, come Andrea che fa la cacca sui binari e io che cerco di

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addentare un trancio di pizza mentre ollo e quello mi cade a terra e ci passo pure sopra con le ruote restando a bocca asciutta...queste le gioie delle nostre giovani vite di skaters trevigiani in trasferta a Viserbella.

salutiamo tutti e torniamo a casa sfasciati, addormentandoci in treno con la bolla che esce dal naso, come nei migliori cartoni giapponesi.

11. due giorni memorabili

luglio 1991: come sempre sono in vacanza a Jesolo e skateo ogni giorno l’arena e altri spot con i locals e gli skaters vacanzieri.so che il 15 c’è un contest a Lignano Sabbia-doro e chiedo a tutti se ci vogliono venire ma nessuno può o a nessuno gliene frega nulla, compresi i compagni dello Spastegon, ognu-no perso per la sua estate. fanculo!se aspetto gli altri marcisco qua: prendo la corriera e ci vado da solo.

a Lignano c’ero già stato l’estate precedente e mi era piaciuto un casino.

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c’erano tutti gli skaters che conoscevo attra-verso le riviste, mi pareva impossibile aver-celi tutti a portata di mano, mi trovavo in un mondo che fino ad allora avevo visto soltan-to in foto, e questo mi entusiasmava.in mini: i frontside roastbeef puliti di Geppo, le session varie e complesse di un giovanis-simo Giorgio Zattoni e lo stile potente di Pao-lo Nelzi, che consideravo una specie di eroe per quanto mi erano piaciute le sue foto di vert sui giornali.in street: lo stile di Jena, che mi ricordava molto il pro americano Ron Allen nei video BBC e H-street, la velocità di Matteo Storelli, i sad di Pilutza e i contorcimenti dalla jump di Edo Tagliavini...immagini che si sono impresse a fuoco nella mia mente di quindicenne invasato di skate e assatanato di manovre.così a fine gara mi sono lanciato a skateare con loro in mezzo a quella bolgia e non era per niente facile, dato che arrivavano da tutte le parti a gran velocità per fare i tricks più pesi e guadagnarsi l’attenzione dei foto-grafi schierati ai piedi delle strutture.quel giorno ho deciso che l’anno prossimo mi sarei iscritto anch’io al contest.

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nel frattempo ho partecipato a due piccole gare a Scorzè e a Marghera dove ho impa-

rato a selezionare le manovre che chiu-devo con più sicurezza e distribuirle nel breve tempo delle run: al primo contest

non mi sono neanche qualificato per la finale, mentre al secondo mi sono

piazzato quarto in categoria B.

così sono arrivato a Lignano con il deside-rio maturato un intero anno di iscrivermi al contest e dare il massimo.lo spettacolo che mi si è presentato davanti agli occhi è stato indimenticabile: al posto delle vecchie strutture rattoppate e appros-

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simative c’era un nuovo fighissimo skate-park appena ultimato, con una bowl di legno a fianco, ancora in fase di costruzione.ho skateato tutto il pomeriggio imparando a trasferirmi da una curva all’altra e provan-do le linee per la gara del giorno dopo.e ho passato la notte insieme a due amici incontrati allo skatepark, in una pensione a basso costo popolata soltanto da austriaci ultra sessantenni.in quei giorni a Lignano c’erano un sacco di pro che hanno inaugurato il nuovo skate-park con demo indimenticabili: Salman Agah, Max Shaff, Jason Rogers e Sluggo dei team Real e Evol hanno snocciolato i loro tricks davanti agli occhi di una quantità di skaters accorsi da tutta Italia per l’evento, ma anche dalle vicine Austria e Jugoslavia, senza contare gli skaters stranieri, princi-palmente tedeschi, che trascorrevano lì le vacanze estive.assistere a session di alto livello tecnico e vedere dal vivo chiudere tricks conosciuti soltanto attraverso i video ha fatto salire l’adrenalina di tutti gli skaters ed anche il contest si è rivelato entusiasmante.soltanto il tempo non prometteva nulla di

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buono dato che nuvole minacciose si erano addensate sopra le nostre teste e dopo le qualificazioni qualche goccia di pioggia era bastata a seminare l’incertezza sulla possi-bilità di portare a termine la gara.

ho skateato tenendo a mente le lezioni impa-rate nei due contest precedenti e sono riu-scito a chiudere in run non solo le mie ma-novre preferite, prevalentemente da street, ma anche i tricks appresi appena il giorno prima sulle nuove strutture.qualificato per la finale di street B, la piog-gia sembrava volermi rovinare la giornata, ma non ci è riuscita per niente, dato che le strutture si sono asciugate in tempo e la fi-nale si è disputata al calar del sole.le due demo dei pro e il contest di A di un così alto livello, il senso di libertà che senti-vo per essermi arrangiato da solo a giunge-re sul posto, provare le mie session e passa-re la notte fuori casa senza neanche i miei soliti amici che mi avevano un po’ deluso: quell’insieme di circostanze, e anche il supe-ramento dell’incertezza finale causata dalla pioggia, mi hanno dato la forza per skateare al massimo delle mie possibilità.

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ho vinto il contest di B portando a termine le run di finale senza commettere alcun er-rore e sono tornato a Jesolo tutto felice con un paio di scarpe nuove ai piedi (primo ricco premio per la categoria B...) e il desiderio di continuare a skateare per sempre, o almeno fin che le gambe me lo avrebbero permesso.

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tailfazione

dopo quel contest ne ho fatti molti altri ma lo skateboarding è rimasto per me sempre e soltanto un grande divertimento che si è af-fiancato a tutti gli altri miei interessi senza mai diventare un lavoro.

ho skateato per piccoli sponsor e non ho mai vinto contest importanti, però in tutti que-sti anni la passione per lo skate non mi ha mai abbandonato e anche se col tempo molte cose sono cambiate, continuo ancora oggi a divertirmi e a provare le stesse sensazioni che provavo all’inizio: ogni volta che chiudo un trick stiloso o skateo una bella linea o im-paro qualcosa di nuovo magari in un nuovo spot, insieme a vecchi e nuovi amici.

non escludo che prima o poi per qualche ra-gione smetterò di skateare.

ma per adesso, non ci voglio pensare.

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Roberto Cesaro (VE-Mestre, 1975) è laureato in lettere e ha collaborato con varie fanzine, giornali autoprodotti e riviste tra cui Space Cake e 06:00AM – Skateboard Culture Magazine. Nel 2003 ha partecipato all’antologia “9 poeti esordienti” (edizioniDN). Nel 2004 ha pubblicato il racconto lun-go “Condominio Frontemare” (Autedi-tori). Vive in campagna con un gatto.

Giovanni Donadini nasce a Treviso la prima calda domenica del luglio 1979, durante il GranPremio. Da allora cerca di svegliarsi presto la mattina, per dise-gnare o per giocare. Ama tuz tuz e la musica salterina, suona con la banda folk TheWithLove, stampa le t-shirts e si propaga nell’aere come la puzza.

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indice

nose-duzione 5

1. in principio era il Variflex 7

2. l’arena di piazza Aurora 11

3. Andrea di Milano 16

4. Thrashin’ – Corsa al massacro 21

5. il capannone della Nautica 28

6. la rampa di Treba 31

7. il parco della Bissuola 35

8. i locals, le crew e chi spacca

di più 38

9. tha Spastegon prot-eam 43

10. Bologna e Viserbella 48

11. due giorni memorabili 54

tail-fazione 60

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a momenti la scuola mi sembraun mostro che si vuole mangiare tutto il mio tempo.perché questo non accada devo muovermi veloce.allora le rotelle sotto i piedi mi servono proprio, mi sono necessarie. questa è la storia di quando ho cominciato a skateare, più di mezza vita fa, nel 1989, quando Thrashin’ – Corsa al massacro veicolava sogni adolescenziali e la scena skate nel Veneto era appena nata.l’ho scritta perché, come diceva il Leopardi, “la rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico”, e se fosse stato anche lui uno skater avrebbe sicuramente aggiunto che ricordare le prime skateate è una figata pazzesca che ci sta troppo dentro di cattiveria!

Roby “hosoi” Cesaro

disegni di Giovanni Donadini

€ 3,50

ÈAUT EDIT ORI

788889 9810099