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GIORNATA DI STUDIO Roma 18 aprile 2013 NIDI E SCUOLE DELL’INFANZIA profili di qualità e ricerca scientifica in campo educativo Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici

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GIORNATA DI STUDIORoma 18 aprile 2013

NIDI E SCUOLE DELL’INFANZIAprofili di qualità e ricerca scientifica

in campo educativo

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GIORNATA DI STUDIORoma 18 aprile 2013

NIDI E SCUOLE DELL’INFANZIAprofili di qualità e ricerca scientifica

in campo educativoa cura di

Maria Teresa BellucciMaria Teresa Canali

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Roma CapitaleDipartimento Servizi Educativi e ScolasticiDirettore del Dipartimento Mariarosa TurchiArea Servizi Educativi e ScolasticiDirettore d’Area Rosaria Fattori

U.O. Programmazione e Monitoraggio del Sistema Pedagogico dei Servizi 0/6 anni e Formazione del Personale Educativo e ScolasticoDirigente Maria Teresa Bellucci Psicologo Direttivo - Responsabile Progettazione Pedagogica e Formazione Maria Teresa Canali

Giornata di studio Nidi e Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale: profili di qualità e ricerca scientifica in campo educativo

Pubblicazione a cura di Maria Teresa BellucciMaria Teresa CanaliCoordinamento EditorialeMarinella MassafraGabriella TassoneRita SalviniTraduzioniGioia Letizia CasalinoProgetto Grafico Costantino Quarta

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Finito di stampare nel mese di giugno 2013

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INDICE

Presentazione

Maria Teresa BellucciIl Modello Educativo dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale: fra tradizione e innovazione scientifica

Maria Teresa CanaliIl monitoraggio del piano di aggiornamento 2010/2013 rivolto al personale educativo e scolastico: innovazioni e verifica dei risultati

Gabriella TassoneLa formazione in cifre: sintesi del rapporto di monitoraggio del piano di aggiornamento 2011/2012 rivolto al personale educativo e scolastico

Emma BaumgartnerUn esempio di buone prassi:collaborazione tra Università e territorio

Silvana SperatiLa “rivoluzione” silenziosa e fantasiosa di Munari, dal museo ai Nidi ed alle Scuole di Roma

Raniero RegniMontessori contemporanea del futuro

Barry H. SchneiderTimidezza: solo un fattore di rischio o anche una risorsa?

Anna Silvia BombiRitiro sociale e caratteristiche temperamentali dei bambini: quale relazione?

Carla SogosIl progetto OsserviAmo: uno Screening sui Disturbi di Sviluppo per i bambini tra i 3 e i 4 anni

Fiorenzo Laghi, Susanna Pallini, Roberto Baiocco e Maria Teresa BellucciRegolazione emotiva, processi attentivi e attaccamento alle educatrici: la ricerca nei Nidi di Roma Capitale

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Presentazione

La Giornata di Studio dal titolo “Nidi e Scuole dell’Infanzia diRoma Capitale: profili di qualità e ricerca scientifica in campoeducativo”, organizzata dal Dipartimento Servizi Educativi eScolastici di Roma Capitale e tenuta a Roma, il 18 aprile 2013presso la Sala della Limonaia di Villa Torlonia, ha rappresentatoun importante momento formativo per i Funzionari Educativi eScolastici capitolini.L’incontro è stato dedicato all’approfondimento degli elementidi qualità che caratterizzano il sistema educativo e scolastico diRoma Capitale, al fine di poter analizzare i presupposti teorici ele modalità operative mediante le quali continuare a tutelare epromuovere il diritto all'educazione e all'istruzione di tutti ibambini romani.Nel corso della giornata, con l’obiettivo di arricchire l’offerta for-mativa educativo-culturale, sono state proposte ricerche scienti-fiche, nazionali e internazionali, realizzate nell'ambito dellaprima infanzia e illustrati i risultati del Piano di AggiornamentoTriennale per il personale educativo e scolastico 2010-2013. Inoltre, è stato presentato il Modello Educativo dei Nidi e delleScuole dell’Infanzia di Roma Capitale, elaborato grazie alla par-tecipazione dei diversi protagonisti impegnati nel settore educa-tivo e scolastico, documento che raccoglie la ricchezza della sto-ria dei Nidi e delle Scuole dell'Infanzia capitoline, unitamenteall'innovazione della ricerca e della cultura scientifica sull’infan-zia e sull’educazione prescolare.

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Il Modello Educativo dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale:

fra tradizione e innovazione scientifica

Maria Teresa BellucciDirigente del Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici, Roma Capitale

Roma è una delle Capitali piùestese nell’Europa continenta-le, i suoi Municipi sono perdimensioni territoriali edemografiche equiparabilialle più grandi città italiane erappresentano realtà territo-riali molto diversificate chevanno dai colli al mare, dalcentro storico alle periferie.Nell’ambito dei ServiziEducativi e Scolastici, talecomplessità e ricchezza sideclina nella presenza sul ter-ritorio capitolino di una retedi Nidi e Scuole dell’Infanzia

che per complessità strutturale e diversificazione socio-culturalenon trova paragoni in Italia. Parliamo di 202 Nidi a gestionediretta, 227 Nidi accreditati e convenzionati, 5 Nidi in concessio-ne e 315 Scuole dell’Infanzia. Inoltre, il personale che opera nellestrutture educative e scolastiche conta 3.867 insegnanti, 2.356educatori comunali, 1.306 educatori dei Nidi in convenzione,nonché 186 funzionari dei servizi educativi e scolastici, qualifigure di coordinamento. Tale sistema di servizi, accoglie 21.673bambini nei Nidi e 35.261 bambini nelle Scuole dell’Infanzia.

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Questi numeri ci danno la misura dell’impegnativo compito chel’Amministrazione capitolina affronta per la promozione e lagestione di un settore così importante in quanto destinato adaccompagnare la crescita dei più piccoli. Tale condizione, che dal punto di vista organizzativo-gestionalepuò essere considerata elemento di criticità, si rivela una risorsaper la promozione della cultura dell’infanzia a Roma. Infatti, le315 Scuole dell’Infanzia e i 434 Nidi, che si configurano comeveri e propri laboratori di ricerca, rappresentano un’occasione distudio ed evoluzione continua nell’ambito dell’impegno educa-tivo rivolto alla prima infanzia. È grazie all’esperienza maturata presso i Nidi e le Scuoledell’Infanzia di Roma Capitale, e al contributo offerto da prota-gonisti impegnati, a più livelli, nel settore dell’educazione e del-l’infanzia, quali Pedagogisti, Psicologi, Docenti e Ricercatoridelle Università romane, che si è elaborato il “ModelloEducativo dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia di RomaCapitale”.

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L’importante lavoro svolto, è partito dall’esigenza di dotareRoma, per la prima volta, di un manifesto identitario in grado didescrivere i principi fondamentali di riferimento del sistemaintegrato dei Servizi Educativi e Scolastici 0-6 anni.La metodologia adottata, si è basata sull’attivazione di una vastapartecipazione, capace di coinvolgere direttamente oltre 1.000persone tra Educatrici, Insegnanti, Funzionari Educativi,Referenti Municipali, Coordinatori dei servizi in convenzione,rappresentanti dei Comitati di Gestione e dei Consigli di Scuola.In ragione di ciò, si è prevista la costituzione di 19 gruppi dilavoro in sede Municipale e, in raccordo con gli stessi, di 2 grup-pi di lavoro Dipartimentali.La vasta partecipazione attivata, elemento distintivo del presen-te lavoro, ha favorito l’alto valore pedagogico e metodologicodel testo, in quanto ha contribuito a coniugare la ricchezza dellastoria dei Servizi Educativi e Scolastici, con l’innovazione dellaricerca e della cultura scientifica.Quanto emerso mediante l’elaborazione del “Modello Educativodei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale”, costitui-sce un patrimonio di conoscenza e di osservazioni fondamenta-li per rilanciare la cultura del Nido e della Scuola dell’Infanzia,sotto il profilo educativo e istituzionale, secondo un’ottica disistema integrato dei servizi 0-6, punto di forza di RomaCapitale. In particolare, la definizione di un percorso formativo coerente,che si sviluppa da 0 a 6 anni, nell’ambito del “ModelloEducativo dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia di RomaCapitale”, ha comportato una riflessione sulla qualità del Nido,della Scuola dell’Infanzia e dei servizi integrativi, in relazione aquegli aspetti salienti che li connotano e su cui fondarsi per deli-neare il continuum formativo. Nello specifico, si sono individuati dieci principi fondamentali sucui si fonda il Modello Educativo di Roma Capitale. Nel primo

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principio, innanzitutto, si è sancito che il Nido e la Scuoladell’Infanzia di Roma Capitale garantiscono i diritti delle bambi-ne e dei bambini, definendo quest’ultimi come persone uniche eirripetibili e l’azione educativa, proposta da educatrici e insegna-ti, come elemento che contribuisce alla costruzione dell’identitàdel bambino.Il secondo principio ha sottolineato la tutela dei bisogni dei bam-bini e delle famiglie da parte dei Nidi e delle Scuole dell’Infanziadi Roma Capitale. Nei Servizi Educativi e Scolastici il coinvolgi-mento delle famiglie è centrale nel progetto educativo e siriscontra un’attenzione rilevante ai cambiamenti sociali e cultu-rali.Il terzo principio, invece, si è focalizzato sulla capacità del Nidoe della Scuola dell’Infanzia di concorrere alla costruzione del-l’identità del territorio nel quale sono inseriti. Infatti, tali servizisono comunità educanti, caratterizzate da una rete di relazionisignificative, in grado di promuove lo sviluppo dell’identità cul-turale e della cittadinanza attiva mediante la partecipazione allavita sociale e istituzionale.Il quarto principio ha posto al centro dell’interesse i progettieducativi promossi dal Nido e dalla Scuola dell’Infanzia diRoma Capitale. Tali progetti, infatti, realizzano percorsi di qua-lità che sviluppano le capacità delle bambine e dei bambini.Nel quinto principio si è affermata, per i Servizi Educativi eScolastici di Roma Capitale, la centralità, nella crescita dellebambine e dei bambini, del gioco, dell’apprendimento e dellasocialità.Il sesto principio ha sottolineato il valore imprescindibile, neiNidi e nelle Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale, dell’inclusio-ne sociale, vista come processo mediante il quale viene offertauna specifica attenzione e un supporto mirato a tutti i bambiniin funzione dei bisogni e delle diverse necessità. Nel settimo principio il Nido e la Scuola dell’Infanzia sono stati

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definiti ambienti di vita e di apprendimento. Infatti, RomaCapitale è attenta all’organizzazione degli spazi e dei tempi divita, in quanto la sezione è vista come luogo di appartenenza delbambino.L’importanza della continuità educativa dell’esperienza deibambini nei servizi educativi e scolastici di Roma Capitale, èstata sancita nell’ottavo principio. Il concetto di continuitàeducativa, su cui si fonda il progetto educativo capitolino,nasce dall’idea di un bambino che cresce e si sviluppa in uncontinuum di esperienze, attraverso il passaggio e la condi-visione tra comunità educanti: Nido – Scuola dell’Infanzia –Famiglia. Nel nono principio si è affermato che la qualità dei servizi edu-cativi e scolastici è garantita da personale altamente qualificatoin campo pedagogico e didattico. Alla base dell’elevata compe-tenza professionale vi è la continua ricerca e sperimentazioneeducativa, sostenuta da una attenta e costante documentazionedelle attività realizzate.Per finire, nel decimo principio, si è definito il Sistema Integratodei Servizi 0/6 anni di Roma Capitale, mediante il quale sigarantisce alle famiglie il diritto di scelta sulla base delle lorospecifiche necessità. Tale Sistema Integrato prevede formegestionali pubblico-privato al fine di rispondere alle esigenze deibambini e dei genitori, promuovendo la diversificazione e, altre-sì, l’alta qualità dell’offerta formativa. La costituzione di unsistema integrato, infatti, rappresenta una significativa risposta,in termini quali-quantitativi, ai bisogni delle famiglie e dellacomunità.Le tematiche affrontate nei dieci principi del Modello Educativodei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia di Roma Capitale, sono stateanalizzate e approfondite nella consapevolezza che i primi seianni di vita del bambino sono di fondamentale importanza edincidono in modo determinante nella formazione dell’uomo che

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diventerà. Nella fascia di età da 0 a 6 anni, sono poste le basi perla futura evoluzione scolastica e professionale del bambino.Come dichiarato dall’Unione Europea, l’educazione, fin dallaprima infanzia, e l’istruzione, rappresentano leve fondamentalidi promozione sociale per consentire all’Europa di consolidarsicome società della conoscenza e per poter competere nell’econo-mia globale.

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Il monitoraggio del piano di aggiornamento2010/2013 rivolto al personale educativo e scolastico:

innovazioni e verifica dei risultati

Maria Teresa CanaliPsicologo Direttivo del Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici, Roma Capitale

L’Amministrazione Capitolina, nell’ambito delle attività diaggiornamento per il personale educativo e scolastico, si è dota-ta di strumenti di programmazione, attuazione e monitoraggiodelle azioni al fine di poter porre in essere modalità di coordina-mento e verifica della qualità dell’apprendimento, nonché perindividuare i bisogni formativi e poter progettare i Piani diaggiornamento delle annualità successive.In questa ottica va evidenziato come tali strumenti siano di estre-ma importanza per il ruolo che deve svolgere il DipartimentoServizi Educativi e Scolastici nel definire le strategie formative egarantire il governo dell’intero processo di sviluppo formativodel personale, favorendo il miglioramento continuo della quali-tà erogata dai servizi stessi.

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Per raggiungere tale scopo primario sono stati previsti strumen-ti di verifica dei risultati della formazione, sia a livello quantita-tivo, sia a livello qualitativo, quali:- audizioni intermedie e finali con i docenti/formatori dei

diversi corsi di aggiornamento;- schede di monitoraggio a cura dei docenti/formatori e dei

servizi stessi.Nella mia relazione entrerò nel dettaglio dei risultati relativi alleaudizioni con i docenti, ma in primo luogo mi soffermerò sulleinnovazioni introdotte con il Piano di aggiornamento dell’ulti-mo triennio.

Le innovazioni istituzionali

Nel triennio, sono stati siglati “Protocolli d’intesa”, “Conven-zioni quadro” e “Accordi di collaborazione scientifica”, a titologratuito, con le Università di Roma “Sapienza”, “Roma Tre”,“Lumsa” e “Foro Italico” per la realizzazione di ricerche scienti-fiche e attività formative; in particolare, si è avviata la collabora-zione con la Facoltà di Psicologia 1 e con il Dipartimento di Pediatriae Neuropsichiatria Infantile della “Sapienza”, e con il Dipartimentodi Studi dei Processi Formativi Culturali e Interculturali nella SocietàContemporanea di “Roma Tre”.Sono state stipulate “Convenzioni” con altri soggetti pubblici,portatori di innovazione scientifica quali: il Policlinico Umberto I– DAI di Pediatria generale e specialistica, Neuropsichiatria Infantile eil Centro di Ricerca e Servizi Impresapiens della “Sapienza”.È stata implementata la collaborazione con Zétema ProgettoCultura e con Istituzione Sistema Biblioteche di Roma che haportato alla sottoscrizione di un “Protocollo d’intesa” per la rea-lizzazione di un programma condiviso di progetti culturali ededucativi.

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Le innovazioni progettuali

La ricerca scientificaL’“Accordo di collaborazione scientifica” sottoscritto, a titologratuito, con l’Università “Sapienza”, ha consentito di porre inessere una cooperazione tra le due Amministrazioni, nell’ambi-to delle attività di ricerca e sperimentazione a carattere scientifi-co, nonché degli interventi deputati alla promozione della primainfanzia.La ricerca scientifica, in ambito educativo e didattico, contribui-sce a valutare il sistema formativo attraverso procedure di rigo-re metodologico permettendo di comprendere l’efficacia degliinterventi e delle politiche educative e scolastiche.Creare un reale collegamento tra i riferimenti teorici, con l’espe-rienza educativa e d’insegnamento-apprendimento, consente diavviare un processo di esplorazione, comprensione e rappresen-tazione delle dinamiche della realtà educativa e scolastica, al finedi costruire proposte formative fondate sui risultati scientifica-mente validati.

I tirocini formativiIl tirocinio rappresenta un impegno istituzionale nell’ambitodelle politiche giovanili, della formazione e dell’orientamento allavoro.La fattiva collaborazione tra l’Amministrazione Capitolina e leIstituzioni Universitarie e di Ricerca ha permesso di accoglieregli studenti presso i servizi educativi e scolastici, così da favori-re lo svolgimento di esperienze di tirocinio e di stage.Il tirocinio costituisce, quindi, uno strumento vantaggioso siaper lo studente, il quale può completare la sua formazione evivere una prima esperienza professionale, sia per il Nido e laScuola dell’Infanzia ospitante, che possono beneficiare dei risul-tati della ricerca scientifica realizzata dalle CattedreUniversitarie e dagli Istituti di Ricerca, in collaborazione conRoma Capitale.

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Il rinnovamento del gruppo docentiUlteriori novità si ravvisano nel corpo docente, individuato trale maggiori professionalità nel campo della pedagogia e dellapsicologia; in particolare molti docenti provengono dalleUniversità “Sapienza” – Facoltà di Psicologia – e Università“Roma Tre” – Facoltà di Scienze della Formazione, pertanto sonoportatori dell’innovazione nel campo della ricerca psicologica edella più moderna psico-pedagogia. Nel nuovo impianto diaggiornamento, la svolta decisiva è stata di attingere quanto piùpossibile a professionalità romane e solo in forma residuale diprovenienza dalle altre città. Tutto ciò, non solo per innalzare illivello di qualità della prestazione, ma anche per operare note-voli risparmi economici.

Il protagonismo del personale educativo e scolasticoPunto innovativo del programma di aggiornamento 2010/2013,è rappresentato dal “protagonismo del personale educativo edinsegnante” che affida alle educatrici e alle insegnanti la sceltaconsapevole del Focus / Tematica da affrontare nell’anno educa-tivo/scolastico di riferimento. Il protagonismo del personale ha consentito, quindi, che ciascu-na Scuola dell’Infanzia o Nido, alla fine del triennio, raggiunges-se elevati livelli di qualità educativa e pedagogica e consolidas-se i propri punti di forza.

La stabilità del Piano di aggiornamento 2010 / 2013In data 20 luglio 2010 è stato sottoscritto un accordo traAmministrazione e Organizzazioni Sindacali, per la realizzazio-ne di un Piano di aggiornamento a valenza triennale, attualmen-te in fase di conclusione. Tale accordo ha permesso ai CollegiDocenti e ai Gruppi Educativi di lavorare in continuità per treanni con risultati eccellenti. La continuità ha coinvolto i seguen-ti aspetti: la tematica scelta, il docente assegnato, i gemellaggi traservizi. Le modifiche effettuate nel corso del triennio 2010 /2013, in relazione ai tre aspetti citati, hanno riguardato una

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minoranza di servizi e sono state apportate su richiesta deglistessi, o in modo residuale, per motivi relativi al docente.

Le tematiche formativeUlteriore innovazione è rappresentata da una forte implementa-zione dei “percorsi di continuità educativa 0/6 anni” mirati ad indi-viduare quegli aspetti che accomunano il ruolo delle differentifigure professionali ed a cogliere il bisogno delle famiglie per ilpassaggio dal Nido alla Scuola dell’Infanzia. In particolare, sonostati previsti moduli formativi congiunti nido-scuola dell’infan-zia sia nei percorsi di base che in quelli di aggiornamento com-plementare.Tra le tematiche innovative è collocato anche il “progetto spazi”,che ha coinvolto le Scuole dell’Infanzia nella riqualificazionedegli ambienti (interni, esterni, sezioni, laboratori, spazi comu-ni), al fine di rendere gli stessi luoghi di vita e di apprendimen-to, in grado di favorire il libero agire e lo sviluppo autonomo delbambino.Infine è stato realizzato il “progetto Munari”, percorso formativoper insegnanti ed educatrici impostato sul processo di sviluppocreativo ispirato al metodo di Bruno Munari. Il progetto ha dif-fuso, attraverso tale metodo, una nuova maniera di relazionarsie conoscere il mondo circostante mediante l’uso creativo dioggetti comuni considerati da diversi ed inusuali punti di vista.L’idea è scaturita dal collegamento tra arte e didattica, che emer-ge nel metodo, con il quale è possibile sperimentare una moda-lità di apprendimento non formale che coinvolge insegnanti ealunni come soggetti attivi nel processo pedagogico, non limi-tandosi al trasferimento di contenuti, ma superando l’apprendi-mento passivo.

Le innovazioni economicheGrazie all’operato di questa Amministrazione, che ha agito nell’ot-tica dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità dell’azioneamministrativa, si è avuta una graduale diminuzione della spesa

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per l’aggiornamento del personale del settore educativo e scolasti-co, a fronte del miglioramento della qualità dell’offerta formativa.Infatti, negli ultimi 5 anni, la spesa complessiva è diminuita dioltre il 40%. Le motivazioni che hanno portato a una significati-va diminuzione della spesa, unitamente a un innalzamento dellaqualità dell’attività di aggiornamento, sono state:- graduale sostituzione di docenti di altre città, con docenti roma-

ni, la maggior parte dei quali di provenienza universitaria;- eliminazione dei costi per trasporto, vitto e alloggio dei

docenti provenienti da fuori la Regione Lazio;- sottoscrizione di numerosi accordi di collaborazione scientifi-

ca, a titolo gratuito, con le prestigiose Università romane.

Il monitoraggio del piano di aggiornamento:le audizioni con i docenti

In questo paragrafo, sono illustrati gli elementi significativiemersi dalle audizioni con i docenti nell’ambito delle verifichefinali dell’anno educativo/scolastico 2011-2012 e delle verificheintermedie dell’anno educativo/scolastico 2012-2013.In primo luogo, nel corso della discussione con i docenti, sonostati puntualizzati gli obiettivi che l’Amministrazione si è posta,come risultato del processo di formazione delle insegnanti edelle educatrici: - produrre cambiamenti culturali e professionali;- generare trasformazioni nei servizi;- rafforzare l’identità del gruppo e del servizio;- implementare la capacità di progettare;- concepire la formazione stessa come processo di pensiero

attivo.In particolare, i docenti, nel corso di questi anni, hanno sostenu-to il consolidamento del senso di appartenenza del personale aduna grande comunità educante e il senso etico della professione,facendo sì che lo stesso personale potesse riconoscere il valoredell’essere educatore/insegnante e comprendere quanto tale

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professione possa incidere nel contesto sociale attuale. Inoltre,hanno stimolato il processo di contaminazione tra le miglioripratiche utilizzate nei diversi servizi, suscitando la curiosità eincoraggiando gli scambi di esperienze.Nella discussione con i diversi gruppi di docenti/formatori èstato evidenziato, in maniera condivisa, che negli ultimi anni letrasformazioni avvenute nei Collegi Docenti e nei GruppiEducativi sono state significative; è aumentata la motivazionealla crescita professionale, c’è una maggiore consapevolezza diquanto sia importante la formazione, è evidente una diversacapacità di mettersi in gioco e di essere protagonisti, ed infine èstata riscontrata, sia nelle insegnanti che nelle educatrici unamaggiore fiducia nel docente. Inoltre, sono stati colti gli elementi essenziali che danno più effi-cacia al setting formativo; essi sono presenti, e oramai consolida-ti, nella maggior parte delle situazioni formative:- sinergia tra il docente ed il funzionario educativo, ossia dialo-

go, suddivisione e pianificazione dei rispettivi compiti, chedevono essere complementari e non sovrapporsi;

- continuità dello stesso docente in un gruppo formativo peralmeno due anni;

- continuità tra il Percorso di aggiornamento di base e iPercorsi complementari di Ricerca - Azione e Potenziamento,soprattutto nelle situazioni di maggiore criticità;

- valorizzazione del tempo riservato all’osservazione-accom-pagnamento, che consente un rapporto più ravvicinato e per-sonalizzato con le insegnanti/educatrici e favorisce unoscambio di indicazioni e di valutazioni più esplicite, rispettoa quanto può avvenire nel grande gruppo;

- capacità, da parte del docente, di interpretare il focus sceltodal Collegio Docente / Gruppo Educativo in modo da farneil punto di partenza per riflettere sulla realtà organizzativacomplessiva del servizio; di dare suggerimenti pratici rispet-to all’organizzazione degli spazi, alle relazioni con i bambini,alla scelta delle attività; attribuire delle consegne tra un incon-

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tro e l’altro.Si tratta, comunque, di un processo trasformativo “a piccolipassi”, quindi, pur essendo stati evidenti i cambiamenti registra-ti, sono stati espressi, da più voci, i nodi sui quali continuare astimolare la riflessione e il lavoro dei gruppi formativi: appro-fondire gli strumenti metodologici dell’osservazione e delladocumentazione, della verifica e della valutazione; potenziare,in particolare per le insegnanti, il lavoro a classi aperte; supera-re le proposte stereotipate (lavoretti, organizzazione di feste,attività integrative, etc.) a vantaggio di attività ludiche che sti-molano la libertà d’espressione di ogni singolo bambino; favori-re i momenti d’incontro e di scambio tra servizi tesi a mettere invalore le buone pratiche; aumentare la consapevolezza di inse-gnanti ed educatrici sulle teorie che sostengono la loro prassi,riconducendole al senso del loro fare e alla costruzione diun’idea di bambino condivisa; rafforzare le competenze e forni-re stimoli culturali per sollecitare la riflessione e potenziare ilruolo professionale.Possiamo concludere sottolineando come il ruolo del formatoresia sempre più orientato nella traduzione dei riferimenti teoriciin fare educativo e nel sostegno ai Collegi Docenti / GruppiEducativi nell’organizzazione del servizio nel suo complesso,superando una modalità di conduzione degli incontri di forma-zione peculiarmente legata alla specifica competenza professio-nale di tipo accademico.A questo proposito è stata da tutti riconosciuta l’importanzadelle verifiche tra i formatori stessi, che hanno consentito il con-fronto e la riflessione sugli aspetti che qualificano la vita dellaScuola dell’Infanzia e del Nido, la creazione di un linguaggiocomune, oltre al passaggio di informazioni rispetto a modalità escelte che si sono mostrate efficaci nel condurre il percorso for-mativo.

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La formazione in cifre: sintesi del rapporto di monitoraggio del piano di aggiornamento

2011/2012 rivolto al personale educativo e scolastico

Gabriella TassoneFunzionario Educativo del Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici, Roma Capitale

Il presente rapporto tenta di offrire un quadro prospettico sullosviluppo del Piano di Formazione triennale 2010- 2013, ancora inprogress e spunti di riflessione utili per valutarne l’andamentoe, se necessario, operare azioni di miglioramento, nell’auspicioche tale attività intrapresa possa rispondere ai bisogni professio-nali di educatrici e insegnanti e contribuire a qualificare i servizieducativi e scolastici di Roma Capitale.In quanto strumento di conoscenza, capace di orientare le azioniin base alle informazioni sistematiche e “affidabili” raccolte, ilmonitoraggio assume un valore strategico ed etico per l’organiz-zazione. Le procedure valutative permettono, infatti, di correla-re la proposta formativa con le molteplici esigenze del contestoeducativo e rendere partecipi le comunità professionale e socia-le dei risultati delle attività programmate (G.Domenici, 2009; F.De Anna, 2005). L’arco temporale, considerato dal presente rap-porto, è stato scelto perché rappresentativo di una fase salientedel processo formativo avviato, in grado di analizzare i dati rac-colti e di poter svolgere un primo bilancio del percorso intrapre-so, nella duplice dimensione quantitativa e qualitativa.Il rapporto si articola in tre ambiti principali e generali e altri cin-que ambiti di approfondimento tematico, che rappresentanonuclei fondamentali del Piano Formativo esaminato.Gli ambiti principali riguardano i livelli di partecipazione dieducatrici ed insegnanti al percorso formativo; i contenuti pro-fessionali che hanno destato maggiore interesse; la valutazione

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dell’esperienza formativa svolta ed esame del gradimentoespresso.Gli ambiti di approfondimento tematico comprendono: il carat-tere annuale o pluriennale dei progetti formativi avviati; la coe-renza del Focus individuato dai gruppi ai parametri di qualitàscelti; i livelli dei cambiamenti realizzati; le forme di resistenzaalla formazione manifestata dai gruppi; la collaborazione tra iFunzionari Educativi, responsabili dei servizi, e i Tutor chehanno condotto la formazione.

Modalità di rilevazioni delle informazioni

Il monitoraggio ha riguardato il secondo anno del percorso for-mativo di base del Piano triennale 2010-2013, rivolto a tutte leeducatrici dei Nidi e le insegnanti della Scuola dell’Infanzia. Gliattori coinvolti sono stati: 202 Gruppi Educativi dei Nidi (2.356educatrici); 315 Collegi Docenti della Scuola dell’Infanzia (3.867insegnanti); 186 Funzionari Educativi, responsabili dei servizi;96 Tutor, docenti universitari ed esperti in campo educativo.Obiettivo dell’indagine è stato quello di avviare, prima dell’ini-zio del terzo anno del programma formativo, una verifica sullostato di attuazione nei servizi degli indicatori di qualità prefissa-ti, nonché di valutare il livello delle proposte culturali e delleinnovazioni introdotte e individuare gli aspetti da privilegiare ocorreggere, in modo da rimodulare gli interventi e adattarli alleesigenze rilevate al fine di garantire alti livelli di efficacia forma-tiva.Per la raccolta delle informazioni è stato utilizzato un questiona-rio somministrato a tutti i gruppi in formazione, ai FunzionariEducativi e ai Tutor, composto da domande sia a risposta alter-nativa/dicotomiche, che aperte e articolato in tre macro areetematiche, comprendenti: il contesto formativo (dati descrittividei gruppi in formazione, livelli di partecipazione, atteggiamen-

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ti verso la formazione e gradimento dell’esperienza); i contenuticulturali e professionali trattati (indicatori di qualità scelti, rifles-sione teorica svolta, innovazioni introdotte, cambiamenti realiz-zati); processi avviati (percorsi di ricerca educativa, strategied’intervento, programmi e tecniche osservative attivate, modali-tà di confronto collegiale e di collaborazione tra Funzionari eTutor, innovazioni introdotte, cambiamenti realizzati).Hanno risposto al questionario il 75,4% dei Funzionari Educativie dei Gruppi in formazione dei Nidi; il 75,7% dei FunzionariEducativi e Gruppi in formazione delle Scuole dell’Infanzia; il100% dei Tutor dei Nidi; il 97,9% dei Tutor della Scuoladell’Infanzia. Si specifica che i Gruppi in Formazione corrispondono ad unasoluzione organizzativa, praticata per ottimizzare l’impianto,che aggrega più strutture, in relazione alle loro dimensioni(mediamente i gruppi sono formati da un minimo di 20 educa-tori/insegnanti a un massimo di 30).

Analisi dei dati

Per l’analisi dei dati si è scelto di valutare l’andamento del per-corso, effettuando un confronto tra risposte fornite daiFunzionari Educativi e dai Tutor. I Funzionari Educativi, inquanto responsabili dei servizi loro affidati, sono garanti anchedei pareri espressi dai gruppi in formazione. E’ stata effettuataun un’analisi della varianza, considerando come variabile indi-pendente il gruppo (Tutor/Funzionari), distinti tra Nidi e Scuoladell’Infanzia, e come variabile dipendente il punteggio espressonei vari item posti. Sono state, inoltre, verificate le “differenza divalutazione” dei pareri espressi dai Gruppi Nidi (Funzionari eTutor) e Gruppi Scuola (Funzionari e Tutor); per questo esame èstato utilizzato il Test del Chi-quadrato per dar conto della signi-ficatività delle differenze o non e della validità dei dati.

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Contesto e livelli di partecipazione all’attività formativa

L’analisi delle percentuali di frequenze relative alla partecipazio-ne delle educatrici e delle insegnanti alle attività formative rile-va che la presenza ai corsi si è attestata a livelli alti (> del 75%)nella maggioranza dei casi (57% nei Nidi; 71,2% nella Scuoladell’Infanzia). Alta risulta anche la partecipazione ai lavori (95%nei Nidi ; 96% nella Scuola dell’Infanzia) e l’interesse manifesta-to dalle educatrici/insegnanti per documentare l’esperienza rea-lizzata (89,2% nei Nidi ; 92% nella Scuola dell’Infanzia). Su que-sti dati non si sono registrate differenze significative tra le rispo-ste fornite dai Funzionari Educativi e Tutor.Differenze significative di valutazioni dei Funzionari e dei Tutorsi sono, invece, evidenziate rispetto alle resistenze osservate inalcuni gruppi in formazione. Nel gruppo dei Nidi il fenomeno è

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Figura 1 - Presenza delle educatrici e delle insegnanti ai corsi formativi

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stato segnalato dal 31,2% dei Tutor, mentre i Funzionari hannoindicato una percentuale minore, il 12,9% (¯Ç=10.802; p<.001).Stessa situazione si è osservata nel gruppo della Scuola, indicatodai Tutor nella misura del 28,8%, dai Funzionari per il 14,1% deicasi (¯Ç=9.469; p<.001). La percentuale espressa, sebbene non hacostituito un fattore critico, ha permesso verificare le situazioni eproporre soluzioni alternative, al fine di favorire processi signi-ficativi e soddisfacenti, quali obiettivi del Piano Formativo.Le percentuale di frequenze, inoltre, rilevano punteggi elevatiriguardo al clima di collaborazione, di cura e di sostegno ai pro-cessi formativi che, nella quasi totalità dei casi, si è sviluppatotra i Fun-zionari e Tutor. Nel gruppo dei Nidi, i Funzionari Educativi (86%) e i Tutor(95,1%) hanno dichiarano una positiva collaborazione; la “man-cata collaborazione” si è verificata per il 14% dei Funzionari eper il 4,9% dei Tutor. Situazione simile si osserva nel gruppodella Scuola dell’Infanzia. Tutti i Tutor (100%) e quasi tutti iFunzionari (91,7%) hanno confermato l’istaurarsi di una fattivacollaborazione. La “mancata collaborazione” è stata dichiaratadall’8,3% dei Funzionari.

Contenuti culturali e professionali

I “Parametri di Qualità” proposti per la discussione e la proget-tazione di percorsi di ricerca educativa e didattica coerenti sonostati variamente trattati. Nei Nidi le tematiche maggiormente scelte sono state: i materia-li didattici (24%), l’attività con bambini (16%), la relazione conle famiglie (16%), le diversità (7%), la continuità educativa (5%),i momenti di cura (5%), gli spazi (3%), i tempi del servizio (0,9).L’8% dei gruppi hanno trattato temi trasversali a più parametri.Nella Scuola dell’Infanzia i temi scelti hanno riguardato: i materia-li didattici (28%), le attività dei bambini (23%), lo spazio (11%),

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momenti di cura (9%), la relazione con le famiglie (5%), la diversi-tà (3%), la continuità educativa (2%). Anche nella Scuola l’8% deigruppi ha trattato temi trasversali a più parametri.Alcuni Nidi (4%) e Scuole dell’Infanzia (2%) hanno introdottonuove tematiche, quali ad esempio la ricerca azione, la collegia-lità come coerenza della proposta educativa, il valore dell’auto-stima, la valutazione delle attività educative.E’ interessante evidenziare che la riflessione teorica si è concen-trata su argomenti e autori classici e di attualità scientifica quali:- la mentalità dell’educatore e il sistema scolastico di Fonagy e

Gardner; - il concetto di ‘’affordance’’ e la teoria dello sviluppo cogniti-

vo e percettivo di Gibson; - lo sviluppo sensoriale e creativo, secondo Munari, Piaget,

Vygotskij, Kalff, Goldschmied; - gli stili genitoriali disfunzionanti e la comunicazione scuola

famiglia (Sanford, TEST LAP- Erickson, Kelly); - il bambino iperattivo (ADHD): nuove strategie di intervento; - lo sviluppo evolutivo del bambino: osservazioni in situazioni

controllate, individuazione dei bisogni e programmazionedelle attività;

- il benessere del bambino: attività, metodologie educative espazi adeguatamente strutturati (Morin, Montuschi, Gordon,Gardner).

I progetti formativi concordati tra Tutor e Gruppi in formazionenel precedente anno, hanno avuto uno sviluppo naturale. Infatti,il 70% dei gruppi Nidi e il 68,5% dei gruppi Scuola hanno man-tenuto la tematica prescelta. Per quanto riguarda l’innovazionedidattica e metodologica introdotta, i Tutor e Funzionari deiNidi esprimono pareri diversi. I Funzionari segnalano un mag-gior impegno sulla metodologia (54%) rispetto all’innovazionedidattica (30,6%), mentre i Tutor dichiarano di aver investito siasulla metodologia (51,6%) (¯Ç=11.427; p< .001) che sulla didatti-

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ca (76,3%) (¯Ç=9.766; p< .001). Nella Scuola dell’Infanzia differenze di valutazione traFunzionari e Tutor si registrano rispetto all’innovazione didatti-ca, sostenuta dai Funzionari (50,5%) e, in misura minore, daiTutor (41,4%)( ¯Ç=2.302; p< .1). I Funzionari e i Tutor concorda-no, invece, sull’innovazione metodologica introdotta (73,9%delle risposte fornite).In particolare l’innovazione didattica ha riguardato: tecnologieeducative, percorsi di attività laboratoriale (tattili, psicomotori,munariani, di lettura), ricerca e scoperta della realtà attraversoun approccio scientifico, strategie per l’identificazione dei biso-gni educativi, attività nei centri di interesse; funzionalità didatti-ca dello spazio. Gli aspetti metodologici trattati sono stati: illavoro collegiale, la progettualità educativa, le tecniche di osser-vazione (video-riprese), le strategie educative, le attività in pic-coli gruppi, l’osservazione sperimentale, la documentazione.

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Figura 2 – Cambiamenti introdotti e livelli di coinvolgimento degli operatori. *D.S= differenzasignificativa

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Valutazione dell’esperienza formativa

È interessante evidenziare che, nonostante l’indagine sia stataeffettuata nel secondo anno del ciclo formativo, sia i Tutor (Nidi,76,3%; Scuola, 73%) che i Funzionari (Nidi, 82,3%; Scuola, 87%)affermano che tutto il servizio è stato coinvolto nel cambiamento. IFunzionari e i Tutor della Scuola hanno espresso valutazionidiverse (=23.464; p< .001). La percentuale di frequenza relativa alla valutazione sull’espe-rienza formativa realizzata ha rilevato alti livelli di soddisfazio-ne sia nei gruppi dei Nidi sia in quelli della Scuola dell’Infanzia.I dati afferenti al gruppo dei Nidi, evidenziano risposte positivee molto positive sia per Funzionari (78,2%) che per i Tutor(90,3%), sebbene si mostrino differenze significative di valuta-

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Figura 3 – Valutazione dell’esperienza formativa espressa dai Tutor e dai Funzionari Educatividei Nidi e della Scuola dell’infanzia

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zione. L’Anova non ha evidenziato un effetto significativo(F(1.215)=25.73; p< .001) dove sono i Funzionari Educativi ariportare minori livelli di soddisfazione (M=2.82; DS=.72) rispet-to ai Tutor (M=3.30; DS= .64).I gruppi della Scuola concordano sulla positività dell’esperienza,nella misura dell’89% delle risposte dei Funzionari e dell’83,7%dei Tutor.L’Anova non ha evidenziato differenze statisticamente significa-tive per i due gruppi esaminati (F(1.293)=0.000; p=ns).

Considerazioni conclusive

Il monitoraggio ha rilevato buoni livelli di partecipazione e inte-resse all’attività formativa, un panorama ricco di temi di cultu-rali, educativi e psico-pedagogici coerenti con gli obiettivi deiservizi e rafforzativi della pratica educativo-didattica, una con-testualizzazione degli indicatori di qualità posti, cambiamentisignificativi introdotti e un alto tasso di gradimento espresso daidiversi attori.L’analisi dei dati evidenzia un quadro caratterizzato da un atteg-giamento positivo verso la formazione da parte di educatrici einsegnanti e di apertura riguardo la cultura pedagogica e scien-tifica.I parametri di qualità proposti sono serviti ad orientare la rifles-sione teorica e metodologica e ad esplorare percorsi, che non silimitano solo al “saper fare”, ma costituiscano scelte che giustifi-cano l’azione e la cognizione della decisione adottata (A.M.Ciraci, 2012). Come afferma Damiano (2004; 2007), l’insegnante(e l’educatrice) è una risorsa epistemologica, “produttrice” diconoscenze sull’educazione e sull’insegnamento.Tale impostazione risponde alle indicazione della CommissioneEuropea (2007) che sollecita le insegnanti (e le educatrici) “adappropriarsi in maniera significativa dei risultati della ricerca in ambi-

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to educativo e scientifico e di far evolvere i propri saperi e le propriecompetenze in funzione dell’innovazione per tener il passo con i setto-ri della conoscenza in rapido cambiamento”.La formazione triennale è stata giudicata una soluzione positivache, oltre al beneficio derivato dai tempi più lunghi di riflessio-ne, di confronto e impegno nella ricerca educativa, influisceanche sulla motivazione e sull’interesse delle educatrici e inse-gnanti ad ampliare le conoscenze in una situazione concreta,contribuendo alla definizione di progetti mirati e situati. È interessante evidenziare, inoltre, il ruolo di “governo” dei pro-cessi innovativi svolto dai Funzionari Educativi, di presenzaattiva e critica dell’esperienza avviata, garanti delle azioni istitu-zionali e capaci di interpretare le esigenze del contesto e di rap-presentarle. Dai risultati evidenziati, si profila una leadershipeducativa indirizzata a supportare i gruppi e promuovere la cul-tura del servizio.

Riferimenti bibliograficiA.M. Ajelli (2002) (a cura di) La competenza, il MulinoG. Berzanò (2008) Leadership per l’educazione, ArmandoA.M. Ciraci (2012) Strategie didattico- valutative degli insegnanti. Unostudio esplorativo nella scuola primaria. ECPS Journal – 5/2012E. Damiani (2004) L’insegnate. Identificazione di una professione, LaScuolaE. Damiani (2006) La nuova alleanza, il MulinoF.De Anna (2005) Autonomia scolastica e rendicontazione sociale, F.AngeliG. Domenici (2009) Ragione e strumenti della valutazione, TecnodidG.P. Quaglino, G.P. Lazzari (1996) Il processo di formazione, il Mulino

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Un esempio di buone prassi:collaborazione tra Università e territorio

Emma BaumgartnerDirettore del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione,

Sapienza Università di Roma

Ringrazio la dott.ssa Bellucci, gli organizzatori del Convegnoper l’invito che mi dà l’opportunità di parlare di un tema che mista molto a cuore e cioè quello dei rapporti tra Università e terri-torio, tra scienza e società, un tema che chiama in causa diretta-mente l’utilità sociale, il senso della ricerca scientifica, sia per chila vive dall’interno, che per chi la osserva dal di fuori. E’ anche un’opportunità di rivedere persone amiche che hoincontrato nel passato, più o meno recente, e con cui ho avutofeconde collaborazioni.L’Università, la ricerca nel suo complesso, sono solitamenteaccusate di autoreferenzialità, ovvero di rappresentare delle cit-tadelle chiuse, arroccate all’interno delle quali si parlano lin-guaggi astrusi, dove vivono individui che comunicano tra diloro e che guardano con una certa supponenza chi sta fuori dallemura, incapaci di dialogare con chi poi da scienza e ricercadovrebbe trarre beneficio.Queste accuse, in larga parte fondate, sono tuttavia anche deglistereotipi, false e sbrigative rappresentazioni di una realtà com-plessa che solo l’evidenza può modificare. Parlando di buoneprassi, cercherò di illustrarne alcune, allo scopo di mostrareappunto quanto il rapporto tra Università e territorio possa esse-re utile.Vi parlerò della mia esperienza personale, questa volta in dop-pia versione, quella della ricercatrice e quella del Direttore di unDipartimento universitario della più grande università europea,la Sapienza, di cui faccio parte con molto orgoglio, università che

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ha con Roma Capitale un’accordo quadro. Ma se vi parlo di meè soltanto perché nell’ambito della psicologia dello sviluppo ilmio caso è comune e ha a che fare con quelle che per me sonobuone pratiche.Per chi si occupa di infanzia è molto semplice affermare chericerca e mondo reale non solo dialogano, ma sono complemen-tari: non a caso è molto diffusa nel mondo la presenza di servi-zi 0-6 nelle Università laddove vi siano dipartimenti diPsicologia; noi non ci siamo riusciti, nonostante i nostri sforzi, eancora ce ne rammarichiamo, come accade per le occasioni man-cate.La mia collaborazione ai progetti di formazione nei servizi perl’infanzia viene da lontano, risale addirittura agli anni 90’, e haattraversato indenne diverse amministrazioni e diversi soggettiistituzionali: Provincia, Comune, Regione non solo nel Lazio maanche fuori. Sono stata impegnata in progetti che riguardavanoi nidi, le scuole dell’infanzia, le altre tipologie di servizio.Per diversi anni sono stata responsabile di un servizio innovati-vo “Piccoli e Grandi”, di grande interesse, finanziato dalComune di Roma, che aveva la finalità di accompagnare e soste-nere i bambini da 0 a 6 anni con bisogni speciali (ma non soltan-to loro) nei rapporti con le scuole e con i servizi territoriali; unservizio che ha avuto una funzione sociale importante, a mioavviso, e che poi ha dovuto cessare la propria attività per man-canza di fondi, come ahimé, sempre più spesso accade.Attualmente sono impegnata in un progetto di ricerca e forma-zione in una scuola dell’infanzia e ho partecipato alla discussio-ne sul documento che oggi viene presentato.Questa storia pluridecennale di presenza nei servizi per l’infan-zia, al di là di episodiche asperità, sempre in agguato nei rappor-ti interpersonali, è stata sempre per me fonte di stimoli moltoimportanti, mi ha costretto a pensare in modi diversi da quelleche potevano essere le mie consuetudini accademiche.

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Non ho mai creduto di saperne di più delle educatrici di nido odelle insegnanti di scuola dell’infanzia, ho sempre ritenuto disapere cose diverse e sono convinta del fatto che lo scambio tradiverse fonti di conoscenza e di sensibilità sia ugualmente neces-sario, per me come ricercatrice, così come per il personale edu-cativo con cui mi sono incontrata.Personalmente ho avuto un vantaggio, il fatto che ho prevalen-temente utilizzato il metodo osservativo nella mia ricerca e nellemie esperienze di formazione.L’osservazione è una buona palestra per la mente, richiede riser-vatezza, discrezione, abitua alla apertura mentale, costringe atenere conto di microfenomeni, che però nel loro insieme costi-tuiscono la trama delle relazioni sociali: chi osserva non ha cer-tezze, si dispone ad apprendere dall’esperienza e sopratuttodeve fare pratica di sospensione del giudizio, un bell’esercizioquando si ha a che fare con i bambini. Negli incontri di formazione ci confrontiamo con un problema ditempi che può rendere a volte più complicata la sintonia tra laprospettiva dello studioso e quella dell’operatore: i tempi della

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ricerca sono lenti mentre i tempi dell’azione educativa sonoaccelerati, sono il presente, noi siamo invece abituati a conside-rare il presente proiettandolo sul futuro che verrà (per arrivaread un risultato è necessaria una lunga elaborazione che si artico-la in tanti passaggi).Questa asincronia può generare, ad esempio, in chi partecipa adun progetto di formazione, la domanda: ma a cosa mi serve tuttoquesto? Una domanda non facile, che non prevede risposte uni-voche, ma alla quale è tuttavia nostro dovere cercare di rispon-dere. Ho parlato di conoscenze e prospettive diverse che hanno peròun oggetto comune: i bambini, le loro famiglie, il loro mondo.Nella mia visione il ricercatore, non essendo direttamente impli-cato nel rapporto educativo con i bambini, a differenza di educa-trici/insegnanti, può rappresentare una sorta di superficie chenon si limita a riflettere, come uno specchio, ma che rimandaimmagini filtrate, rielaborate criticamente e come depurate dalcarico emotivo che inevitabilmente accompagna ogni relazione.E’ assolutamente necessario che i ricercatori si sentano moral-mente impegnati, che si assumano fino in fondo la responsabili-tà formativa, anche quando si trovano a fare ricerca; ciò signifi-ca restituire quelle conoscenze che si sono sviluppate, renderletrasparenti e utili, creare uno scambio con insegnanti e genitoriall’interno del quale le informazioni siano condivise, verificate,rese trasparenti e, in quanto tali, siano utili.Concludo, parlando adesso come istituzione molto impegnatanel trasferimento delle conoscenze sul fronte sociale. IlDipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo eSocializzazione della Sapienza, Università di Roma, che tempo-raneamente dirigo, ha moltissimi rapporti con diversi soggetti,da Save the Children a Roma Capitale, dal Corpo Forestale delloStato all‘Istituto Nazionale dei Tumori, l’Invalsi, L’Enel, l’Itas. Cioccupiamo di infanzia, ma anche di rischio lavorativo, di dipen-

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denze, di prevenzione di abuso e maltrattamento, di accompa-gnamento al lavoro di persone con disabilità grave, condividen-do alcuni presupposti; per quanto ci riguarda, quello che semprechiediamo ai nostri committenti è la garanzia del rispetto dellanostra indipendenza e autonomia di pensiero, fondamento dibase del lavoro scientifico. Quello che offriamo, in aggiunta alle specifiche competenze, èl’impegno morale, il sentirci coinvolti e responsabili fino infondo nei confronti di coloro che, nell’affidarci un compito, ciaccordano fiducia.Se penso al rapporto tra Roma Capitale e Sapienza, nel mioDipartimento e nel caso specifico dei servizi per l’infanzia, credoche le due istituzioni possano impegnarsi a facilitare e moltipli-care le occasioni di collaborazione condividendo un presuppo-sto: l’infanzia è un bene pubblico, non privato, e così i serviziriservati ai bambini, in particolare i nidi, devono diventare ser-vizi di interesse generale e non a domanda individuale.A Roma, in particolare i nidi ma anche le scuole dell’infanzia,sono cambiati radicalmente negli ultimi 20 anni perchè è statafatta una azione massiccia e diffusa di formazione di cui sonostate protagoniste le educatrici, le insegnanti e i FunzionariEducativi che oggi sono qui, ma anche l’Università e il CNR:sono stati investiti denari, tempo, risorse umane nella formazio-ne e i risultati sono stai vistosi. Si deve continuare sulla stessastrada. Siamo indietro su tutti gli appuntamenti, il più importan-te quello europeo: è necessario un grande impegno collettivo(che vuol dire anche stanziamento di risorse) a sostegno dellaqualità dei servizi, alla estensione dell’offerta di servizi che sianotutti ugualmente monitorati sul piano della qualità.Il Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo eSocializzazione mette a disposizione tutte le sue competenze esoprattutto la nostra passione al servizio di un progetto di servi-zi di qualità 0-6 anni.

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La “rivoluzione” silenziosa e fantasiosa di Munari,dal Museo ai Nidi ed alle Scuole di Roma

Silvana SperatiPresidente dell’Associazione Bruno Munari

Ciò che è successo in Roma, a far tempo dalla mostra dedicataall’artista, ospitata presso la sede museale dell’ Ara Pacis, nel2009, si può definire come un processo virtuoso e fantasioso cheha coinvolto, di volta in volta, vari soggetti che hanno saputoriconoscersi in un intervento didattico innovativo che traeva ori-gine dal progetto dei laboratori nel museo.Ponendoci in osservazione di tale processo possiamo identificar-ne una genesi, osservarne gli sviluppi e le direzioni verso lequali si è mosso, in un viaggio che dall’area museale si è dirama-to verso i servizi della prima infanzia di Roma Capitale, metten-do in scena uno sviluppo ed una diversificazione mai vistaprima.

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Questo “movimento” che ha accompagno l’evolversi del proget-to ha, come accennavo, coinvolto vai soggetti (i bambini e le lorofamiglie, educatrici, insegnanti, funzionari educativi, responsa-bili del Dipartimento Servizi educativi e Scolastici, funzionari edoperatori di Zètema e dei servizi museali, funzionari ed operato-ri dei servizi delle Biblioteche di Roma, esperti dellaAssociazione Bruno Munari) che hanno saputo, non solo dialo-gare tra di loro, ma coinvolgersi ed implicarsi, creando un “flus-so virtuoso” di pensiero che ha saputo sostenere la sperimenta-zione. Il processo implica la relazione, non si può imporre, madeve essere come indossato e fatto proprio; questo è successo.Ora possiamo dire che sperimentare la possibilità d’applicazio-ne delle indicazioni che ci vengono dall’approccio didattico diBruno Munari vuol dire, soprattutto saper stare sui processi.

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Nel fare questo abbiamo operato all’interno dei servizi per l’in-fanzia che possono essere luogo privilegiato ed eccellente peruna educazione che contempla la costruzione di un pensiero piùcreativo.Allora ricordiamo cosa significa creatività in questo intervento.Potremmo rispondere: la ricerca sincera di viabili, il domandar-si: quanti ce ne sono? (di rossi, di cieli, di carte, di mele…), oppu-re chiedersi: in quanti altri modi si può fare ? Queste sono le domande che fanno pensare, quelle che ci aiuta-no a fare quella “ginnastica della mente” tanto cara a Munari,che stimola il bambino già da piccolo a non dare nulla per scon-tato, ma a chiedersi continuamente come sono fatte le cose.Cosa è successo nelle Scuole dell’Infanzia e nei Nidi dove talisperimentazioni sono in atto da alcuni anni?Prima di tutto si è cercato di riappropriarsi dei tempi dei bambi-ni che sono il tempo della scoperta, del provare e riprovare, edanche il tempo che accoglie lo sbaglio. Parimenti abbiamo cerca-to di allontanare una pratica della programmazione che rischia-va di essere una sorta di binario predefinito (o prestampato) chepotrebbe allontanare dal piacere dell’azione e dalla osservazioneche invece si inscrivono necessariamente nel “qui ed ora”.Abbiamo provato a porre maggiore attenzione al contesto, aglispazi, agli allestimenti ed alla relazione educativa, diventandoabili ad osservare ogni volta cosa il bambino imparasse vera-mente. Questa domanda ha sostenuto ogni azione di laboratorio e conessa la scelta dei materiali e degli strumenti da offrire ai bambi-ni dei Nidi e delle Scuole dell’Infanzia per la sperimentazione.Abituarsi a progettare le attività domandandosi costantementecosa potrebbe imparare un bambino attraverso questa esperien-za, è stato un motivo ricorrente nel nostro riflettere e nel nostroriposizionare le esperienze attraverso la buona pratica del diarioche continua a sostenere il lavoro nei servizi.

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È importante sottolineare come questa esperienza, anche per ilnumero delle persone coinvolte, sia veramente unica. Anchealtrove sono stati realizzati laboratori Metodo Munari all’internodelle Scuole, ma mai con un’estensione ed un coinvolgimento diquesto tipo. Inoltre, le esperienze sono state circoscritte soprat-tutto in spazi deputati prevalentemente all’educazione visiva edartistica, mentre in questo caso vi è stato un coinvolgimento piùdiffuso nei servizi tutti e nel modo stesso di far scuola. Infatti,nel caso della sperimentazione romana ciò che è stato realizzato,direi con naturalezza, attiene alla possibilità di ripensare il ser-vizio alla luce dei suggerimenti che ci vengono da un Metodoche vuole educare una modalità di pensiero più creativo, soste-nendo il benessere dell’individuo. Alla fine possiamo dire che abbiamo cercato di educare i gran-di ad avere verso i bambini la stessa fiducia che loro ripongo-no in noi.

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Montessori contemporanea del futuro

Raniero RegniDocente del Dipartimento di Scienze Umane, Università Lumsa di Roma

Mi fa piacere pensare che, anche grazie a questo convegno, unagrande tradizione educativa famosa in tutto il mondo torni unpo’ anche a casa. Il titolo del mio intervento, ricorda a tutti che la figura di MariaMontessori è un classico della pedagogia. Il rischio è considera-re i classici come dei fossili da ritrarre in una galleria storica cheriguarda il passato. In realtà un autore diventa classico quandosmette di invecchiare. Ha scritto e lavorato nel tempo, ma neesce fuori. Allora il suo studio e la sua lettura diventano un’espe-rienza radicale, un incontro che ci modifica, non è un ritrova-mento reperibile in altri autori.

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Montessori contemporanea del futuro

Montessori è contemporanea del futuro in quanto inattuale nelsenso di Nietzsche, ovvero trasforma in fantasmi molti aspettidella pedagogia contemporanea. In lei c’è sapienza e saggezzacome riserva del futuro. Montessori è contemporanea del futuronel senso che si occupa dei bambini che sono il nostro futuro, lafonte della vita. E’ all’inizio della scoperta dell’infanzia e ne hacapito la forza. Oggi la scoperta dell’infanzia continua, in particolare nell’ambi-to delle neuroscienze che studiano il cervello del bambino, padredel cervello dell’adulto. In un libro recente intitolato, Il bambinofilosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire ilsenso della vita (Bollati-Boringhieri 2010) di Alison Gopnik, adesempio, si sottolinea che per anestetizzare un bambino piccoloci vuole molto più anestetico, in proporzione, di quanto ne servaper anestetizzare un adulto. Questo perché le attività neurali del-l’infanzia sono più grandi e potenti di quelle presenti in altre etàdella vita, per cui per spegnere quel motore ci vuole più aneste-tico. Più altamente connessi di quello degli adulti, i percorsi neu-rali disponibili sono più numerosi. Poi, durante lo sviluppo, ilcervello sfronda i percorsi più deboli e meno battuti e rafforzaquelli impiegati di frequente. Successivamente l’intricata reteneurale sarà sostituita da più semplici, ma più veloci superstra-de dove passeranno i segnali. I bambini sono più coscienti emeno consapevoli, come quando si guarda un film, come nellameditazione o come quando si visita un paese esotico: si è moltocoscienti, ma poco consapevoli.Tutte queste ricerche mostrano come i bambini ci sembranofamiliari eppure alieni, alcune volte sembrano simili a noi, altrevolte invece sono inafferrabili; più sono piccoli e più sono avvol-ti nel mistero. Sono profondi e sconcertanti. Imparano più neiprimi anni della vita che in tutta la loro esistenza ed è difficile

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capire quanto il bambino sia il padre dell’uomo; in questo senso,il ruolo dell’infanzia è quello di creare attivamente l’esistenzadel mondo adulto. A tale proposito si cita Gopnik Noi cambiamoquello che ci circonda e quello che ci circonda cambia noi, per eviden-ziare che come esseri umani siamo dotati di un insieme di abili-tà fisse, ma siamo anche capaci di rispondere al nuovo, infatti, lanostra natura è determinata dai geni, ma la caratteristica umanaè la capacità di cambiamento.

Montessori pioniera dell’educazione

In questo contesto emerge la grandezza di Maria Montessori,non solo legata a quello che dice dell’infanzia, ma a quello che fae a quello che offre come risposta educativa. Montessori superal’artificiosa distinzione tra accudimento ed educazione che si èsempre riservata ai bambini piccoli. Pioniera e fondatrice della scoperta dell’infanzia del XX secolo, lasua pedagogia contiene, però, anche gli antidoti per correggere ledegenerazioni del culto dell’infanzia. Prima di Maria Montessori ibambini erano stati culturalmente invisibili (Sloterdijk); erano esse-ri sospesi tra la vita e la morte. Pediatria, psichiatria, e pedagogiahanno contribuito alla scoperta dell’infanzia.Ma se il XX secolo è stato quello della scoperta del bambino reale, ilXXI secolo si apre nel segno della sacralizzazione del bambino immagi-nario (Marcel Gauchet). A volte desideriamo talmente la felicitàdei nostri figli da perdere completamente di vista i loro realibisogni dando vita a una mitologia, a un immaginario socialedell’infanzia. Il bambino, divenuto un essere mitologico, è figliodel desiderio di avere un figlio. In definitiva, sotto le vesti di questoculto dell’infanzia noi abbandoniamo il bambino a se stesso nellagestione della sua difficile situazione; celebrandolo, lo ignoriamo. Oggi,a fronte di un interesse senza paragoni per il bambino, emerge unmisconoscimento strutturale dell’esperienza infantile. Il culto dei pic-

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coli dei, dei piccoli re non impedisce l’ignoranza e il disinteresse di ciòche effettivamente è dato loro vivere.

La dimensione spirituale e rituale

Prendendo un altro aspetto nel repertorio montessoriano, pos-siamo affermare che l’approccio scientifico si combina, in lei, conl’aspetto spirituale e rituale. Il rito è una forma basilare del com-portamento umano e non una forma tradizionale. Al contrario,nella prospettiva postmodernista il rito appare in contrasto conl’autonomia e spesso si tende alla de-ritualizzazione della rela-zione educativa. Montessori ha contribuito alla demistificazione e alla demitizza-zione dell’educazione tradizionale che era, ed è morta, ma hamantenuto intatto il rispetto per la dimensione rituale a cui ilbambino è giustamente sensibile. Il rituale struttura gli scambisimbolici e stabilisce potenti legami sociali. Crea, cioè i mondidel come se e del come potrebbe essere, realizza un mondo costrui-to di seriazione, ordine e ripetizione che si contrappone almondo del come è (A. Seligman). I riti della buonanotte, del buon giorno, della lettura della fiaba,hanno aspetti prevalentemente performativi, ritmici più chedenotativi. Essi servono a creare legami e a trovare spazio dimanovra da parte di entrambi i soggetti che vivono la relazione,nell’ambito del rito, con una tale condivisione di intenti cherichiede sforzo e attenzione. Anche se potrebbero sembrare delle convenzioni imposte, irituali creano nel bambino delle strutture, delle ripetizioni cherappresentano il presupposto delle variazioni. Quando il bambi-no molto piccolo chiede “per favore” e noi gli rispondiamo “gra-zie” e viceversa, lo fa come mero esercizio mnemonico. Ma cre-scendo produce forme nuove di soggiuntivo capace di creare unmondo di cortesia. Ciò sembra coincidere con la sensibilità cine-

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se-confuciana, per un bambino, un atto assume significato a partiredal momento in cui viene ritualizzato (A. Cheng). L’atteggiamentorituale, le piccole cerimonie con cui ci si prende cura del bambi-no piccolo, indicano che lui è “sacro”, è degno di rispetto.

La disciplina della libertà: aiutami a fare da solo

Montessori è tutta riassumibile in segui il bambino. Ma questonon vuol dire lasciare fare al bambino quello che vuole. Il bam-bino deve essere lasciato libero di scegliere, ma in un ambientepreparato. E’ necessario creare per i bambini un ambiente adat-to, preparato apposta per permettere alle guide interiori, ai pro-grammi innati per l'apprendimento, di mettersi in azione.Bisogna rispettare i tempi e i ritmi di apprendimento dei bambi-ni, avere fiducia nella loro iniziativa con una presenza vigile manon invadente da parte degli adulti. Occorre aiutare il più possi-bile il bambino ad agire per proprio conto; come diceva MariaMontessori: aiutami a fare da solo.La possibilità di agire in libertà non è in contrasto al concetto didisciplina, infatti se “la relazione precede l’individuazione” (E.Erikson), “l’autonomia precede la collaborazione” (M.Montessori).

L’educazione cosmica

Per concludere, Montessori parla una lingua internazionale. Ladimensione internazionale, interculturale come vera rispostaalla globalizzazione. Montessori è adeguata alle sfide ecologichee a quelle della globalizzazione e dell’intercultura, la sua educa-zione cosmica è una risposta geniale interna-esterna alla scienzae alla politica.

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Timidezza: solo un fattore di rischio o anche una risorsa?

Barry H. SchneiderDocente School of Psychology, University of Ottawa, Canada

Per molti anni, psicologi ed altrioperatori della salute mentalenon hanno riconosciuto la pos-sibilità che la timidezza neglianni della prima infanzia potes-se a volte diventare un proble-ma serio. Le prime ricerche sug-gerivano che la timidezza neibambini piccoli di solito scom-pariva in età adulta e che, inogni caso, i bambini timidi nonmostravano ulteriori problemi adistanza di tempo. A queltempo, l’aggressività era consi-derata il maggior fattore dirischio.

Ricerche più recenti hanno disconfermato questi risultati, cheoggi sono considerati erronei. Sappiamo che le ricerche di 30-50anni fa erano sbagliate. Prima di tutto, la timidezza e la solitudi-ne erano considerate la stessa cosa. Questo è un grande proble-ma perché è infatti possibile, sia per gli adulti che per i bambini,mostrare il piacere a stare da soli ed essere molto produttivi inmodo solitario. Questa non è timidezza. La timidezza è definitacome un modello di comportamento stabile che è caratterizzatonon solo dallo stare da soli, ma anche dall’essere cauti in presen-za di estranei o in situazioni nuove. Infatti, molte persone timi-

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de, adulti come bambini, non vogliono affatto stare da soli.Tuttavia, diventano sempre più ansiosi man mano che si avvici-nano ad una interazione con altri. Questo si chiama conflitto divicinanza-evitamento.

Stabilità nel tempo e generalizzazione nei vari contesti

Nelle ricerche più recenti, il riconoscimento che la timidezza siaspesso un tratto stabile di personalità o una caratteristica tempe-ramentale è emerso chiaramente. Alcuni esperti credono, infatti,che la timidezza sia uno dei tratti di personalità più stabili nellavita. Ciò è oggi confermato grazie a studi longitudinali effettua-ti in diversi paesi che sono stati pianificati in modo più accuratodei precedenti. Questo non significa che molti bambini, crescen-do, non siano più timidi, ma ciò può accadere. In particolare latimidezza non è particolarmente stabile entro il primo anno divita. In altre parole, bambini timidi a tre mesi di vita spesso per-dono la loro timidezza, per esempio a nove mesi. Dopo il primoanno di vita la timidezza tende ad essere un tratto abbastanzastabile. Inoltre, la timidezza eccessiva tende ad essere stabile atutte le età. Gli psicologi devono ancora sviluppare metodi perdistinguere forme di eccessiva timidezza che potrebbero diven-tare problematiche in seguito.Un altro importante requisito per determinare se la timidezzapossa essere considerata un fattore di rischio è che essa deveessere stabile in situazioni sociali differenti. Ciò in genere vieneassunto quando si parla della personalità di un individuo. L’assunto che la personalità sia la stessa in situazioni differenti èstato messo in discussione da Mischel, il quale sostiene che lamaggior parte dei comportamenti è meglio predetta dal contestosociale in cui avviene. Schneider, Freeman e altri hanno condot-to uno studio longitudinale nel quale alcune madri hanno com-pilato un diario giornaliero delle attività sociali dei loro figli

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dopo scuola e nei weekend. I bambini, di cui era nota la timidez-za, tendevano a rimanere da soli dopo la scuola; se giocavanocon altri bambini era di solito a casa loro e con un solo altro bam-bino. Molto importante, la timidezza, sia a scuola che fuori, erarimasta stabile per un periodo di tre anni.

Sempre un problema?

C’è ampia evidenza che la specie umana sia programmata peressere maggiormente felice e realizzata quando è in compagniadi altri. I bambini apprendono meglio quando studiano con altribambini. Tuttavia, la storia ci mostra come le persone timidesiano state considerate dei leader eccezionali nella società, daMosè a Steve Jobs. Ci sono diversi settori nella vita in cui la soli-tudine è un requisito di eccellenza, per esempio in letteratura ein ambito artistico. L’analisi qualitativa di Schneider sulle auto-biografie di individui che si sono distinti, ha rivelato che moltifamosi scrittori e compositori sono stati timidi da bambini.

Un disturbo?

Attualmente, la classificazione dei disordini mentali include unacondizione nota come disturbo da ansia sociale. Comunque, questodisturbo viene diagnosticato solo per adolescenti e adulti eccet-to che in casi molto inusuali. Non di meno, molti sociologi obiet-tano fortemente alla “medicalizzazione” di quella che considera-no soltanto una variante dello sviluppo normale della personali-tà.

Cause della timidezza

In alcune situazioni estreme, tipo un abuso minorile evidente, latimidezza può essere ricondotta in primis al contesto sociale.

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Tuttavia, la timidezza ha una base genetica. E’ importante ricor-dare, comunque, che questo non significa che la timidezza pro-blematica non sia influenzata dall’ambiente. Genitori ed inse-gnanti possono aiutare a determinare se una predisposizionegenetica in un individuo ad essere timido sia minima o massima.Migliorare l’ambiente offerto da genitori e insegnanti è probabil-mente il modo migliore per aiutare i bambini timidi, dato chenon è possibile modificare il patrimonio genetico.Fattori culturaliIn alcune culture la timidezza è molto apprezzata. Per contro,altre culture enfatizzano maggiormente la partecipazione socia-le. E’ molto importante tenere conto del contesto biculturalenelle vite dei bambini immigrati.

Malfunzionamento genitoriale e timidezza

Come già menzionato, il contesto familiare interagisce con lapredisposizione genetica nell’influenzare la timidezza o la socia-lizzazione dei singoli bambini. Ci sono diversi stili educativiparentali che sono collegati con la timidezza dei bambini. Uno èlo stile autoritario: i genitori sono così duri e punitivi che la timi-dezza emerge come un sottoprodotto della paura del bambino.Più spesso, tuttavia, i genitori del bambino timido sono iperpro-tettivi. Restringere i contatti sociali del bambino può risparmiar-gli qualche disagio momentaneo. Tuttavia, alla lunga, ciò lodepriva dell’opportunità di imparare ad interagire con gli altri,peggiorando le cose. Un altro atteggiamento scorretto è la ten-denza, di alcuni genitori di bambini timidi, a scoraggiarel’espressione delle emozioni nei loro figli. Trattenere le emozio-ni, generalmente, non è salutare; l’espressione dei sentimenti èuna parte importante degli scambi sociali di cui il bambino timi-do può, conseguentemente, essere deprivato.

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Genitori ed insegnanti come risorsa di aiuto

La migliore strategia generale che insegnanti e genitori possonousare è incrementare gradualmente le aspettative di interazionesociale. Con piccoli passi graduali, il bambino dovrebbe essereincoraggiato ad unirsi agli altri. Così facendo, può essere d’aiu-to affiancare il bambino timido con un compagno di classe chepuò diventare sia amico che facilitatore. Anche piccoli progressidovrebbero essere rinforzati positivamente. Ci sono anche deicomportamenti da evitare in classe. Per esempio, molti bambinitimidi tendono a stare sempre vicini all’insegnante e sono disupporto nelle attività per la maggior parte della giornata scola-stica. Inoltre, è molto importante non considerare la timidezzacome una caratteristica stabile della persona. Ciò si fa a volte,senza riflettere, quando si parla per il bambino o spiegando adaltri che si tratta di un bambino timido.

Genitori ed insegnanti lavorano insieme

Se un bambino piccolo inizia a sviluppare modelli comporta-mentali di timidezza problematica, può essere molto efficace chegenitori ed insegnanti operino insieme. Grazie alla loro forma-zione ed esperienza, lavorando con molti bambini nel tempo, gliinsegnanti possono essere importanti risorse per i genitori chehanno bisogno di aiuto per i loro bambini timidi.

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Ritiro sociale e caratteristiche temperamentalidei bambini: quale relazione?

Anna Silvia Bombi Docente del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione,

Sapienza Università di Roma

Lo studio da cui prendono spunto le mie riflessioni è un ampioprogetto dipartimentale, al cui interno sono stati raccolti dati suibambini e sui contesti educativi. L’obiettivo specifico dello stu-dio in questione era quello di delineare dei profili individuali, inbase ad alcuni tratti del temperamento, così come sono percepi-ti dalle madri di bambini in età di nido.Volevamo inoltre verificare se questi profili sono coerenti con levalutazioni delle educatrici, in termini di (a) Competenza socioemotiva e (b) Adattamento al gruppo dei pari. Allo studiohanno partecipato le madri e le educatrici di 396 bambini di 18nidi romani (comunali, in convenzione e privati); l’ètà media deipiccoli è di 27 mesi (gamma 8-42); 195 sono femmine e 201maschi. Lo strumento compilato dalle madri per valutare ilcarattere dei loro bambini è la Toddlers Temperament Scale(Fullard et al.,1984) comprendente 26 item, tramite i quali vengo-no esaminate cinque dimensioni temperamentali. In Tab. 1 sonoriportare le dimensioni, con qualche esempio illustrativo degliitem che le compongono e il valore dell’α di Cronbach per cia-scuna di esse, che risulta pienamente soddisfacente perIrrequietezza, Socievolezza e Regolarità, mentre è al limite del-l’accettabilità per Distraibilità e Reattività.Gli strumenti compilati dalle educatrici sono due: la scala SCBE-30 (LaFreniere & Dumas, 1996) e una breve valutazione sociome-trica. La SCBE-30 comprende, come suggerisce il nome, 30 item,e permette di evidenziare tre aspetti che concorrono all’adatta-mento sociale del bambino (Tab.2); il test sociometrico compren-

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de solo 4 item, che valutano accettazione e rifiuto del bambinoda parte dei compagni (Tab.3). Come si vede dalle tabelle 2 e 3,entrambi gli strumenti hanno un’ottima attendibilità, e sono difacile interpretazione nelle loro componenti.

Tab.2 – Dimensioni rilevate dalla SCBE-30

Tab.3 – Dimensioni rilevate dal test sociometrico

Utilizzando i punteggi delle valutazioni temperamentali, sonostati ricavati tre profili, che raggruppano la grande maggioranzadei soggetti: infatti, su 396 bambini, solo 62 non sono classifica-ti; gli altri sono: - facili (157): socievoli, regolari, ponderati, calmi, attenti;- difficili (108): mediamente socievoli e regolari, ma reattivi,

irrequieti e disattenti;

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Tab.1 – Dimensioni rilevate dalla Toddlers Temperament Scale

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- ritrosi (69): calmi e attenti, mediamente reattivi, ma pocoregolari e soprattutto molto poco socievoli.

Fig. 1. Profili temperamentali

Questi profili sono molto simili a quelli individuati daAlexander Thomas e Stella Chess, nella loro ormai celebre ricer-ca “NYLS” (New York Longitudinal Study; cfr Chess e Thomas,2008), anche se la numerosità dei bambini in ciascun profilo sonodiverse (Tab.4).

Tab. 4 – Confronto di frequenze tra NYLS e nostro studio

Come si vede, la percentuale di bambini “facili” è identica neidue studi, mentre vi sono differenze importanti nelle altre cate-gorie. I criteri in parte diversi spiegano la presenza di più bam-bini difficili o ritrosi. Infatti, tre dimensioni (regolarità dei ritmibiologici, socievolezza, grado reattività agli stimoli sia positivi

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che negativi) sono valutate in entrambe le ricerche, ma mentre ilNYLS si concentra poi su adattabilità e umore, noi abbiamo esa-minato due aspetti che possono concorrere maggiormente aidentificare delle difficoltà di adattamento, l’irritabilità, e ladistraibilità. Si noti comunque che etichette non positive come“difficile” o “ritroso” non identificano nel nostro studio bambinicon caratteristiche patologiche, ma semplici “varianti della nor-malità”. Andiamo dunque a esaminare come sono visti questi bambinidalle loro educatrici. Come era facile attendersi, sono i bambinifacili a riportare il miglior punteggio di competenza sociale (3,6)seguiti dai ritrosi (3,4) e dai difficili (3,3) (differenza solo tenden-ziale dal punto di vista statistico: F2; 289 = 2,74; p=.07). I bambi-ni dei tre gruppi non differiscono invece in modo significativonei punteggi di rabbia-aggressività. Infine, per quanto riguardal’ansia e il ritiro, troviamo le differenze significative (F2; 289 =3,84; p=.02) illustrate in Fig.2.

Fig.2. Punteggi nella scala di Ansia-Ritiro nei tre profili

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Come si vede dal grafico di Fig.2, i bambini ritrosi sono piùansiosi e ritirati dal gruppo rispetto ai facili, mentre quelli diffi-cili si situano in posizione intermedia. Un primo commento a questi dati è l’ottimo accordo tra mammeed educatrici nella valutazione dei bambini facili e di quelli ritro-si. L’assenza di convergenze nel giudizio sull’aggressività e larabbia si spiega, d’altra parte, con le poche informazioni, su que-sto aspetto, richieste dalla scala sul temperamento e dalle diver-se circostanze in cui i bambini sono osservati: se a casa il bambi-no piccolo ha poche occasioni di essere contrariato e provocato,ben maggiori sono le sfide che incontra al nido, in mezzo ad altribambini non certo disposti a trattarlo con speciali riguardi. Nonci si meraviglia dunque se le educatrici sono in grado di osserva-re aspetti del comportamento che forse sono meno salienti incasa.Andiamo infine a verificare come il temperamento si riflettanella posizione sociometrica (Fig. 3 e 4).

Fig.3 – Popolarità per temperamento Fig.4 – Rifiuto per temperament

Anche dal punto di vista sociometrico, i bambini facili sono inovvio e significativo vantaggio: ricevono più scelte (F2; 287 =4,77; p=.01) e meno rifiuti (F2; 289 = 3,04; p=.05) di tutti. Per con-tro, i bambini difficili sono i meno scelti, ma non i più rifiutati:

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eppure, sebbene solo tendenzialmente, sono considerati i menocompetenti dalle educatrici. Sono proprio i bambini ritrosi a tro-varsi nella posizione più svantaggiosa: poco popolari quanto idifficili, essi appaiono più rifiutati di tutti. Questo risultato sollecita senza dubbio una riflessione: come maii bambini ritrosi si trovano in una condizione così sfavorevole, incui alla loro reticenza si aggiunge il rifiuto dei piccoli compagni?Senza dubbio può darsi che per le educatrici, alle prese con unintero gruppo di bambini in continua attività, sia difficile distin-guere con precisione tra ritiro volontario ed esclusione attiva.Un piano di osservazione da parte di osservatori esterni, miratoai bambini che mamme ed educatrici indicano come ritrosi,sarebbe necessario per dirimere questo dubbio. D’altra parte, èpossibile che i bambini dal carattere ritrosi, che non sono attiva-mente disposti a interagire e sono fortemente ansiosi, presentinoscarse attrattive per i coetanei. Non dimentichiamo che, nel loroprofilo, la scarsa socievolezza si coniuga con la reattività, ossial’inclinazione a una notevole emotività sia positiva che negativa. Le difficoltà dei bambini ritrosi sono però meno visibili deglieventi conflittuali espliciti che si originano dalle azioni aggressi-ve. E’ quindi possibile che i bambini ritirati non siano al centrodel lavoro educativo. Tuttavia, non bisogna dimenticare chescarsa popolarità e rifiuto sono fattori che alimentano l’incompe-tenza sociale: poco inclini all’interazione, i bambini ritrosi avran-no quindi sempre meno occasioni di uscire dal guscio. Benché meno vistoso dell’aggressione, il ritiro sociale non devequindi essere trascurato: come sottolinea Robert Coplan (Coplanet al., 2004) il problema non si risolverà da solo! Vi sono variemisure che gli educatori possono prendere, sia sul piano preven-tivo che su quello dell’intervento nelle situazioni quotidiane. Penso che il livello della prevenzione sia ampiamente praticatonei nidi di qualità, in cui si pone attenzione alla strutturazionedell’ambiente fisico ed emotivo e al coinvolgimento dei bambini

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nella varie attività. Forse meno comune è l’intervento “caso percaso”, quando si manifesta l’isolamento ed il rifiuto. Da questopunto di vista mi è sembrata interessante la recente proposta didue studiose statunitensi, Lissy Gloeckler e Jennifer Cassell(2012), orientata a mettere in atto con bambini molto piccoli, pro-prio come quelli da noi studiati, delle forme di “problem solvingsociale”. Nella Tab. 5 ho tradotto alcuni esempi di come si possano affron-tare delle situazioni problematiche con i bambini e non solo peri bambini.

Tab. 5 – Strategie di intervento educativo per e con i bambini: esempi sul ritiro sociale

Lo spostamento d’attenzione dai comportamenti “attivamentenegativi”, come le aggressioni, a quelli più sottilmente sfavore-voli, come il trascurare un bambino o il respingerlo, non è facile.Esso richiede una capacità di analisi più fine, per cogliere segna-li meno eclatanti e distinguere tra esclusione / ritiro ansioso edesiderio di solitudine costruttiva. Si configura quindi come unintervento “di secondo livello” che presuppone di avere giàrisolto le difficoltà più evidenti. E’ tuttavia, a mio parere, una prospettiva appassionante, perchépermette agli educatori uno spostamento da una problematicitàquotidiana, limitata al “qui ed ora”, verso azioni più ambizioseed orientate al futuro.

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Riferimenti bibliografici

Chess S. e Thomas A. (2008). Conosci tuo figlio. Trad. it. Firenze,Giunti.Coplan, R.J., Prakash, K., O’Neil, K.and Armer, M. (2004) Do you“want” to play? Distinguishing between conflicted shyness and socialdisinterest in early childhood, Developmental Psychology, 40(2), pp.244–258Fullard, W., McDevitt, S.C. and Carey, W.B. (1984). Assessing tempera-ment in one-to three-year-old children, Journal of Pediatric Psychology,9(2), pp. 205-217. Gloeckler, L. and Cassell, J. (2012). Teacher practices with toddlersduring social problem solving opportunities. Early ChildhoodEducation Journal, 40(4), pp. 251-257. LaFreniere, P. J., Dumas, J. E. (1996). Social competence and behaviorevaluation in children age 3 to 6 years: The short form (SCBE-30).Psychological Assessment, 8(4), pp. 369-377Rubin, K. H and Coplan, R. J. (2004). Paying attention to and notneglecting social withdrawal and social isolation, Merrill - PalmerQuarterly, 50(4), pp.506-534.

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Il progetto OsserviAmo: uno Screening sui Disturbi di Sviluppo

per i bambini tra i 3 e i 4 anni

Carla SogosNeuropsichiatra Infantile del Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile,

Sapienza Università di Roma

Per Disturbi Neuroevolutivi o Disturbi di Sviluppo si intendonoquei disturbi che insorgono nel corso dello sviluppo, possonointeressare una o più linee evolutive e si trasformano in rappor-to alle fasi di crescita del bambino. I Disturbi di Sviluppo possono riguardare in modo settorialeuna specifica area di competenze (Disturbi Specifici diLinguaggio, Disturbi della Coordinazione Motoria, DisturbiSpecifici di Apprendimento) oppure presentarsi in modo perva-sivo coinvolgendo lo sviluppo di tutte, o quasi tutte, le funzionimentali del bambino (Disturbi dello Spettro Autistico, RitardoPsicomotorio, Ritardo Mentale).

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Questi disturbi hanno un’elevata frequenza sul piano epidemio-logico: interessano infatti circa il 10% della popolazione in etàevolutiva. Nonostante i notevoli passi in avanti fatti nella diagnosi precoceper la maggiore consapevolezza e attenzione da parte dellefamiglie, dei pediatri e della scuola, i Disturbi di Sviluppo nonsempre vengono riconosciuti in una fase precoce per:• lo stretto legame tra competenze emergenti e fase evolutiva;• la non sempre facile distinzione tra quadri di sviluppo “tardi-

vo” (ad esempio, late talker) e quadri di disturbo “sfumato”;• l’aspecificità di molti sintomi e la variabilità di presentazione

di diversi quadri clinici;• la trasformabilità rapida dei nuclei sintomatici non sempre

prevedibile.Quest’ultimo caso è particolarmente vero per le forme cosiddet-te lievi, in cui i sintomi non sono ancora ben definiti e completipur essendo presenti.In altri termini, si possono verificare 3 situazioni diverse cherichiedono approcci e interventi completamente differenti:1. bambini che hanno un semplice sviluppo “tardivo”, ma non

un disturbo vero e proprio;2. bambini che hanno sintomi non ancora organizzati in un qua-

dro clinico definito, ma che devono essere monitorati al finedi ridurre il rischio evolutivo;

3. bambini che hanno sintomi organizzati in un quadro clinico,ma, poichè lievi, rischiano di non essere visti e quindi noncorrettamente seguiti.

Saper distinguere tra questi tre gruppi è fondamentale per evita-re inutili terapie a chi non ha bisogno (gruppo 1) e, invece, indi-rizzare chi ne ha veramente bisogno verso un intervento miratoe precoce.I bambini che hanno una difficoltà di sviluppo, possono infattievitare di sviluppare un disturbo se sono aiutati subito: con un

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programma che integrando genitori, insegnanti e operatori sani-tari permetta di:• vedere tutti i bambini che hanno una difficoltà;• individuare i bambini che ce la possono fare da soli e accom-

pagnarli nella crescita e a stare bene a scuola;• aiutare subito chi ne ha veramente bisogno.A questo proposito è necessario sottolineare che l'identificazioneprecoce delle difficoltà è la base per la programmazione di inter-venti efficaci; in particolare, la fase evolutiva tra i 3 e i 4 anni divita è centrale per gli interventi preventivi. In questa fase, infat-ti, i bambini consolidano tappe fondamentali dello sviluppo, lin-guaggio e comunicazione, motricità ed esplorazione dell'am-biente, gioco e disegno, interazione con gli adulti e i pari, che, nelloro insieme, gli permettono di crescere in modo armonico .

I progetti della Neuropsichiatria Infantile con Roma Capitale

Dall’anno scolastico 2010/2011, la UOC B di NeuropsichiatriaInfantile, Sapienza Università di Roma e Policlinico Umberto 1°,collaborano con il Dipartimento dei Servizi Educativi eScolastici di Roma Capitale a progetti di Screening nella Scuoladell’Infanzia per l’identificazione precoce dei bambini con diffi-coltà nello sviluppo in età precoce.

Primo annoIl primo anno è stato realizzato uno studio sperimentale diScreening per approfondire la correlazione tra il ritardo motoriosemplice e lo sviluppo successivo del linguaggio e della coordi-nazione motoria.I “camminatori tardivi” possono essere considerati come unapopolazione a rischio per il futuro sviluppo delle diverse compe-tenze neuromotorie e neuropsicologiche.Abbiamo proposto un questionario sensibile a circa 600 genitori.

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58 genitori hanno dato delle risposte da valutare, rispetto alrischio di difficoltà successive al ritardo di deambulazione. 11bambini sono risultati positivi per difficoltà di coordinazionee/o difficoltà di linguaggio.A questi 11 bambini, che si differenziavano nettamente da ungruppo di bambini non segnalati, è stato suggerito un breveintervento mirato e preventivo.

Secondo annoNell’anno scolastico 2011/12 è stato attivato il progettoOsserviAmo rivolto a 1090 bambini del primo anno di 47 Scuoledell’Infanzia di tutti i Municipi di Roma Capitale, finalizzato alriconoscimento precoce dei disturbi di sviluppo. Tutti i genitori hanno ricevuto un questionario sullo sviluppodelle competenze motorie, grafiche, prassiche, linguistiche, diautonomia e di socializzazione.Il questionario ha costituito, per i genitori, un’occasione perriflettere sullo sviluppo del loro bambino e un spunto per parla-re con gli insegnanti di eventuali dubbi sulla sua crescita.La partecipazione dei genitori è stata alta (87%). Tra i 91 questio-nari positivi: • 3 casi hanno ricevuto una diagnosi di Disturbo Globale dello

Sviluppo (Disturbi dello Spettro Autistico lieve e RitardoPsicomotorio);

• 34 bambini hanno presentato un disturbo della coordinazionemotoria (maldestri) associato a difficoltà nel linguaggio e aproblemi emotivi/comportamentali;

• 21 bambini erano già seguiti per disturbi di linguaggio, • 33 senza diagnosi conclamata, erano caratterizzati da fragili-

tà neuropsicologiche lievi. Il risultato significativo è rappresentato dal fatto che con un pro-getto non invasivo è stato possibile identificare 3 bambini con unDisturbo Severo in cui la diagnosi precoce e l’intervento tempe-

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stivo potrà aiutare a migliorare significativamente l’evoluzionedel Disturbo.Gli altri casi identificati con il progetto OsserviAmo erano, dun-que, prevalentemente i bambini goffi/maldestri, in cui a 3/4anni il problema è evidente per gli specialisti, ma meno chiaroper insegnanti e genitori.I bambini goffi, poco precisi nei gesti e nelle azioni quotidiane,sono bambini intelligenti, che riescono a trovare strategie dicompenso che permettono di “aggirare” le proprie difficoltà, chequindi non vengono riconosciute come tali. A 3-4 anni la maggior parte di questi disturbi sono già riconosci-bili, ma se non diagnosticati, questi bambini trovano strategie dicompenso per “aggirare” le richieste su cui sanno di non riusci-re e a 4-5 anni possono sviluppare disturbi più articolati. Bambini, insomma, che a partire da una difficoltà motoria pos-sono evidenziare nel tempo difficoltà emotive e di relazione congli altri o le cui difficoltà possono trasformarsi in problemi diapprendimento al momento dell’inserimento nella ScuolaPrimaria. Bambini per cui, un riconoscimento precoce del problema ed unintervento mirato, permette una rapida riduzione delle difficol-tà e l’evitamento dei rischi per lo sviluppo successivo.Questo progetto ha permesso finora di raggiungere una consi-stente percentuale dei bambini con piccole difficoltà (3% dellapopolazione che ha ricevuto il questionario).Tutti questi bambini hanno poi in età scolare un alto rischio disviluppare un disturbo di apprendimento, che invece può esse-re prevenuto o circoscritto con un intervento specifico e precoce. Presupponiamo che, superata la fase di rodaggio e attivandoquindi una continuità nella proposta, si possa raggiungereanche un 2% di genitori che descrivono le loro preoccupazioni,ma che poi, se non adeguatamente supportati, si “spaventano”all’idea della consultazione.

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Terzo annoPer l’anno scolastico 2012/13 è stato attivato un Semaforo verderivolto ai circa 10.000 bambini che frequentano il I anno dellaScuola dell’Infanzia di Roma Capitale. In questo caso lo screeningper i disturbi di sviluppo viene effettuato sulla base della divulga-zione di un opuscolo informativo alle famiglie e alle scuole cheguiderà genitori ed insegnanti nella segnalazione del bambino,attraverso esempi concreti e i possibili “campanelli di allarme”.

Quarto annoPer l’anno scolastico 2013/14 è previsto uno Screening ancora piùmirato su 6.000/10.000 bambini di 3-4 anni, attraverso la sommini-strazione di un protocollo specifico per le sospette fragilità di svi-luppo che permetterà di selezionare in modo più specifico i bam-bini che necessitano di una valutazione approfondita delle compe-tenze evolutive. Nel prossimo anno scolastico, quindi, ci si propo-ne di coinvolgere un numero sempre maggiore di famiglie nelloScreening, nonché di approfondire le competenze relazionali eaffettive e gli aspetti comportamentali del bambino.Inoltre, con il Semaforo Verde che rimarrà attivo, si raggiungerà l’obiet-tivo di stare vicini e favorire il benessere di tutti i bambini che entranonelle Scuole dell'Infanzia di Roma Capitale. Infatti si sosterrà il genito-re che ha bisogno di essere tranquillizzato, mentre si aiuterà il nucleofamiliare che ha necessità di essere preso in carico. Il progetto, quindi, prevede due diversi modalità di azione: 1) con strumenti specifici volti ad individuare le difficoltà di svi-

luppo;2) rispondendo a delle segnalazioni dirette da parte degli inse-

gnanti e dei genitori.Attraverso questo progetto e soprattutto con il coinvolgimentoattivo e partecipe dei funzionari educativi di Roma Capitale, si stacostruendo un linguaggio comune tra genitori, insegnanti e opera-tori, che permetterà di condividere e consolidare sempre meglio ipunti di forza di ogni singolo bambino.

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Regolazione emotiva, processi attentivi e attaccamento alle educatrici:

la ricerca nei Nidi di Roma Capitale

Fiorenzo Laghi, Roberto BaioccoRicercatori del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione,

Sapienza Università di RomaSusanna Pallini

Docente del Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi Roma Tre Maria Teresa Bellucci

Dirigente del Dipartimento Servizi Educativi e Scolastici, Roma Capitale

Il presente contributo è frutto di una ricerca condotta nei Nidi diRoma Capitale volta ad indagare la relazione tra regolazioneemotiva, processi attentivi e attaccamento alle educatrici. Glistudi in letteratura mettono in evidenza l’importanza dell’edu-catrice come figura di riferimento nei contesti educativi chedovrebbe rappresentare, per il bambino, un’ulteriore “base sicu-ra”, dopo le figure genitoriali. Proprio per questo motivo ci èsembrato particolarmente importante e utile indagare come laqualità della relazione con l’educatrice possa influenzare la rego-lazione emotiva e i processi attentivi del bambino. La ricerca ha coinvolto 120 bambini, equamente distribuiti pergenere ed età (24 / 36 mesi) e 60 educatrici dei Nidi di RomaCapitale 1. E’ stato utilizzato l’AQS (Cassibba, D’Odorico, 2000)per la valutazione dell’attaccamento all’educatrice. Si tratta diuna procedura basata sulla metodologia Q-sort, che fornisce unaserie di indicazioni che consentono, a giudici diversi, di valuta-re il livello di sicurezza di attaccamento all’educatrice.

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1 Un ringraziamento particolare: 1. a tutti i bambini e i funzionari educativi dei Nidi di RomaCapitale che hanno partecipato alla ricerca: Il piccolo giardino dei colori- La Cometa- Riccioli d’oro- Ibimbi dell'arcobaleno -Servizio 0/6 anni Il sole- Accademia della briciola- Le marionette- Pollicino- Ilgermoglio verde- La Chiocciola- L’aquilone- II Trenino -L’acquerello- Il bruco verde –Mirò; 2. alleDr.sse Canali, Amadei, Bologna, Casalino, Ienuso,Maniccia, Massafra, Piazza,Tassone, Vianello eSalvini che hanno partecipato attivamente nella fase di reclutamento e di pianificazione dell’attivitàprogettuale nei diversi Nidi di Roma Capitale.

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Sono stati analizzati, inoltre, i processi attentivi dei bambini conil Toddler Attention Questionnaire (Pallini e Laghi, 2012), chepermette di indagare 4 dimensioni: Labilità Negativa, Distanzia-mento, Disorientamento e Flessibilità attentiva.Lo strumento si basa sull’osservazione di ogni bambino, per unadurata complessiva di 45 minuti, durante una seduta di giocolibero e strutturato. Alle educatrici è stato chiesto, inoltre, didare una valutazione della regolazione emotiva dei bambini chehanno partecipato alla ricerca, utilizzando l’Emotion RegulationChecklist (adattamento italiano Molina, Nives e Zappulla, 2011),uno strumento che indaga l’abilità dei bambini di saper regolarele proprie emozioni. I risultati della ricerca hanno mostrato unaforte correlazione tra attaccamento e processi attentivi; in parti-

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colare sono emerse correlazioni positive significative tra alcunedimensioni dell’attenzione, come la flessibilità attentiva (capaci-tà di spostare il focus attentivo da un oggetto ad un altro rapida-mente) e l’attaccamento. Quest’ultima dimensione è inoltre cor-relata positivamente alla dimensione di “regolazione emotiva”. Irisultati ci aiutano a riflettere su come alcune caratteristiche delbambino, ritenute di solito variabili individuali, siano invece“relazionali” e che l’educatrice, se percepita come base sicura,può dare un contributo significativo per un buon adattamentodel bambino, sia sul piano cognitivo, che affettivo-relazionale.

I processi attentivi nei contesti educativi: perché analizzarli?

Tutte le educatrici, nell’osservazione dei bambini al Nido, utiliz-zano il parametro “attenzione”. Più in particolare osservano ledifferenze nelle modalità attentive. Vi sono alcuni bambini la cuiattenzione vaga continuamente e che non riescono a soffermarsisu nessun aspetto in particolare, con una certa incapacità a fissa-re l’attenzione su di un contenuto o sulle parole dell’educatrice.Ve ne sono altri, all’opposto, che manifestano una particolarecapacità di soffermare a lungo la loro attenzione su quanto vienedetto, concentrandosi pienamente. Oppure, in determinati casi,alcuni bambini possono rivolgere un elevato grado di attenzioneal loro mondo interno, manifestando una fissità attentiva, total-mente distante dal contesto. Nei casi citati la stessa capacità diconcentrazione attentiva o di focalizzazione intensa può deter-minare una qualità di totale concentrazione sui materiali propo-sti o all’opposto di totale estraneamento.Si possono differenziare gli stili attentivi a seconda della quanti-tà di eventi considerati: da uno stile globale, in cui vengono con-siderati tutti gli aspetti nel loro insieme, ad uno analitico in cuiviene considerato un solo aspetto in relazione all’insieme, oppu-re ancora può essere considerato un solo aspetto privo di inter-

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connessioni e viene facilmente persa la visione d’insieme.Pekala (1991) opera una distinzione fra diverse dimensioniattentive tra cui: la flessibilità, la direzione, la focalizzazione,l’absorption, la densità, la simultaneità, il controllo, la vigilanza.Può essere molto utile, per l’educatrice, distinguere le variedimensioni tra loro.La flessibilità è la capacità di controllare e focalizzare l’attenzio-ne su qualsiasi impressione, pensiero e sentimento. La flessibili-tà attentiva permette al bambino di porre attenzione ai contenu-ti dell’apprendimento e contemporaneamente alle richieste delcontesto e agli aspetti relazionali, quale l’atteggiamento del-l’educatrice e dei compagni. In questo senso potremmo ritenereche la flessibilità sia una capacità attentiva particolarmente con-nessa alle capacità interpersonali. La rigidità attentiva, al contrario, può essere colta in tutti queibambini che si applicano con sforzo e con ansia, con una certadifficoltà a tener conto di più aspetti di una situazione; tale carat-teristica sarebbe in relazione ad una minore fluidità nell’atteg-giamento e nei rapporti.Anche la direzione dell’attenzione è una variabile di rilievo.L’attenzione può essere rivolta verso l’esperienza interna sogget-tiva o verso l’ambiente interno della classe. Il bambino può diri-gere l’attenzione sui contenuti proposti o su di sè, perché è trop-po in ansia o perché è preso dalle sue fantasie o progetti.La focalizzazione è la capacità di concentrare l’attenzione su diun oggetto con l’esclusione di tutti gli altri.L’absorption è la dimensione dell’attenzione più legata al piace-re. Implica un livello di concentrazione tale da comportare l’as-soluta esclusione di tutti gli eventi distraenti. La densità riguar-da la quantità di sentimenti o sensazioni presenti nel campoattentivo dei quali si è contemporaneamente consapevoli.Un’eccessiva densità di oggetti d’attenzione va sicuramente ascapito della concentrazione.

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Il controllo attivo e volontario dell’attenzione si contrappone aduna modalità attentiva passiva, in cui il soggetto è recettivosenza operare una scelta consapevole degli stimoli su cui focaliz-zare l’attenzione. La vigilanza, come capacità di scanning eosservazione continuata del campo attentivo, è collegata allacapacità di cogliere gli stimoli nuovi che si verificano nell’am-biente. Sembrerebbe, che le modalità di percezione degli oggetti dell’at-tenzione e la regolazione degli affetti siano strettamente collega-te fra loro. Questo legame si esplicherebbe anche, in una partico-lare modalità di elaborazione degli oggetti di attenzione attra-verso stati d’animo e sentimenti; oppure, in una modalità di fun-zionamento attentivo dovuta ad una motivazione intrinseca - inmodo esperienziale quindi, più che in modo strumentale - per-ché tale atteggiamento è più adatto a indurre, a mantenere, oincrementare a sua volta stati affettivi. Roche et al. (1990) riten-gono che, ad esempio, l’absorption esperienziale riguardi il desi-derio e la disponibilità al coinvolgimento affettivo.Come abbiamo accennato precedentemente, la stretta interrela-zione fra aspetti attentivi, organizzativi e di regolazione emotivaè particolarmente evidente nell’analisi dei modelli di relazionemadre-bambino nell’ambito della teoria dell’attaccamento. Untema saliente di tale teoria è l’osservazione delle varie modalitàdi costruzione di legami d’attaccamento con figure “ritenute piùforti e più sagge” che possono essere i genitori e gli insegnanti.Infatti, in ogni epoca della vita l’attaccamento permane e sia ilbambino che l’adolescente ricercheranno un legame con dellefigure autorevoli che possano costituire per lui un punto di rife-rimento: in tali legami verranno riproposte le modalità peculiaridi rapporto che saranno caratterizzate da un particolare assettoemotivo, attentivo ed organizzativo.Nel corso dello sviluppo, in base alle prime esperienze, il bam-bino formerà dei modelli rappresentativi delle figure di riferi-

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mento, di sé e delle relazioni interpersonali. I modelli relativiall’attaccamento governeranno da una parte i sentimenti versose stessi, verso i propri genitori, e verso le persone ritenute piùsignificative e dall’altra il comportamento nei loro confronti. Nel corso della vita, ogni qualvolta il bambino dovrà confrontar-si con esperienze nuove, come l’ingresso al Nido, confronterà inuovi dati con le precedenti esperienze e tenderà ad attribuiread essi un significato coerente alle proprie strutture di significa-to, o più semplicemente, interpreterà le situazioni nuove allaluce delle precedenti esperienze e attuerà comportamenti corri-spondenti.Ad esempio, qualora si formino modelli operativi interni su di sée sulla relazione d’accudimento collegati ad esperienze d’attac-camento insicuro, al bambino non sarà possibile strutturareun’idea di sé come accettato. Tali schemi guideranno previsionied aspettative su di sé e sulla relazione cariche di ansia e che,come tali, potranno essere fonte di difficoltà relazionali al Nido.Il vissuto di accettazione materna e paterna risulta correlatonegativamente con la paura nelle relazioni interpersonali(Kliewer, Fearnow e Walton, 1998). In una tale visione possiamodedurre che ad ogni modalità d’attaccamento corrisponda unpeculiare modello attentivo, organizzativo e di regolazione emo-tiva che si riflette anche nel contesto “Asilo Nido”. Le differenzenella sicurezza dell’attaccamento, osservabili nelle diverse sezio-ni del Nido, si riflettono anche nel rapporto con le educatrici. Ibambini più vulnerabili mostrano le difficoltà maggiori a porsiin relazione con le educatrici (Ladd e Burgess, 1999).

Sicurezza nell’attaccamento, regolazione emotiva e flessibilitàattentiva

Nella teoria dell’attaccamento vengono individuate diversemodalità relazionali: sicura (B), evitante (A), ansioso/resistente

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(C) e disorganizzata (D). Nella modalità d’attaccamento B ilbambino piccolo sicuro esplora attivamente l’ambiente nuovo,allontanandosi e avvicinandosi liberamente alla figura d’accudi-mento. Quando la madre si allontana dal bambino, il comporta-mento d’attaccamento viene chiaramente e prontamente attiva-to: il bambino smette immediatamente di esplorare e ricerca lasua vicinanza, protestando energicamente. Al suo ritorno lecorre incontro ed è prontamente rassicurato dalla sua presenza:smette immediatamente di piangere e torna a giocare. Il suocomportamento è pienamente organizzato: la sua volontà divicinanza alla madre è incontrovertibile, come il suo pianto diprotesta quando la madre si allontana, che cessa non appena haraggiunto il suo scopo di richiamo della madre. Tutto il suo com-portamento è deciso e chiaramente decodificabile. La madre asua volta è diretta ed efficace nel calmare il bambino. Nella suaevoluzione il bambino ha un comportamento diretto, chiaro epertinente rispetto ai suoi scopi.L’attenzione del bambino sicuro è vigile, flessibile e coerente-mente orientata alla situazione di gioco in presenza della madre:il bambino si rivolge liberamente ora all’esplorazione nel gioco,ora alla madre. Può, ad esempio, concentrarsi su di un nuovogiocattolo e poi tornare a focalizzarsi sulla madre per mostrar-glielo. Quando, invece, la madre si allontana, la sua attenzione siconcentra esclusivamente sulla sua scomparsa e sui tentativi chemette in atto per “riconquistarla”, con un maggiore impegnoattentivo, manifestando una grande coerenza e leggibilità nelsuo atteggiamento. Quando la madre ritorna, è di nuovo pronta-mente libero di rivolgersi flessibilmente, ora su di lei, ora sulgioco. Il bambino gestisce la propria dimensione emotiva effica-cemente: il bambino sicuro piange per l’assenza della madre, masi rassicura immediatamente al suo ritorno.Il comportamento attentivo è caratterizzato dalla vigilanza, dallaflessibilità e dalla facilità dei cambiamenti di focus attentivo a

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seconda delle necessità del contesto. La flessibilità attentiva sem-brerebbe in stretta relazione con un’esperienza interpersonalearmoniosa; al contrario, l’assenza di flessibilità attentiva potreb-be essere in relazione con una difficoltà comunicativa. Le capaci-tà interpersonali, infatti, implicano una possibilità di tenereconto di sé e dell’altro e, quindi, di poter dirigere flessibilmentel’attenzione su di sé e sull’interlocutore. I bambini sicuri hannoun controllo attentivo e volontario dell’attenzione e sono gradodi dirigerla sul focus attentivo che scelgono, in relazione alle lorointenzioni. Essi manifestano la capacità di regolare la direzioneattentiva sia verso l’esperienza interna soggettiva, che verso leistanze ambientali. Per il bambino nella strange situation sonopresenti sia istanze di esplorazione, che di bisogno di vicinanzaalla madre. L’attenzione del bambino evitante (A) non è flessibile. Il bambi-no concentra selettivamente l’attenzione sul gioco e sull’ambien-te in modo rigido e forzato e non sulla madre, alla quale si rivol-ge con meno frequenza rispetto ai bambini sicuri; anche il com-portamento esploratorio è rigido durante il gioco. A sua volta lamadre emette pochi segnali interattivi e sembra favorire taleorientamento selettivo sull’ambiente. Se la madre lo lascia solo,il bambino non protesta; quando ritorna, dopo una breve sepa-razione, evita attivamente ogni contatto con lei.Il comportamento del bambino evitante nella strange situation èorganizzato per evitare la figura d’attaccamento, ma le strategierelative all’attaccamento implicano un’incongruenza tra la fun-zione del comportamento d’attaccamento stesso, quale la ricercadi vicinanza, e il comportamento adottato dal bambino - il tener-si lontano dalla figura d’attaccamento. La regolazione emotivaappare forzata e basata su di una sorta di autocontrollo imposto.Il bambino evitante ha, inoltre, una strategia comunicativa piùpovera, in cui manca una segnalazione del proprio stato emotivo.L’attenzione del bambino evitante è rigida e priva di flessibilità.

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Sembrerebbe che l’attenzione venga distolta attivamente dallapropria esperienza soggettiva di relazione e focalizzata su aspet-ti molto concreti. Sembra essere presente un ipercontrollo deiprocessi attentivi. I bambini ansiosi/resistenti (C), appaiono nella strange situationmeno sicuri degli altri nell’esplorazione autonoma dell’ambien-te in presenza della madre e rimangono aggrappati a quest’ulti-ma. L’attenzione del bambino ansioso/resistente sembra focaliz-zarsi esclusivamente sulla madre, che pur tentando di distrarreil bambino con gli oggetti dell’ambiente, non riesce in realtà adoffrirgli quella risposta di contenimento emotivo che consente albambino d’interagire con lei e con l’ambiente in modo fluido.Quando la madre si allontana dalla stanza, il bambino si disperaper la sua assenza, non riuscendo a calmarsi nemmeno al suoritorno, mostrando, quindi, una resistenza ai suoi tentativi dirassicurazione. In tal senso il comportamento di protesta delbambino, essendo ritornata la madre, non è organizzato rispettoallo scopo di protesta per l’assenza della madre. Il bambinoansioso/resistente ha una strategia confusa e una scarsa organiz-zazione; la mancanza di organizzazione è in stretta relazione conl’incapacità di regolazione emotiva. L’attenzione del bambinoambivalente è vigile, ma rigida e manca totalmente di flessibili-tà; è talmente concentrato sulla madre da esserne assorbito e nonpotersi focalizzare flessibilmente sugli oggetti della stanza edesplorare liberamente.L’attenzione per la propria esperienza soggettiva prevale suquella ambientale, tanto che il bambino ansioso resistente èimpermeabile ai tentativi di rassicurazione. Sembra non esserciun controllo attivo e volontario dell’attenzione, ma sembra chevi sia un totale assorbimento nella propria esperienza soggetti-va, con una perdita di controllo ed una totale passività dei pro-cessi attentivi. C’è una totale predominanza del mondo internorispetto al contesto. La regolazione emotiva è insufficiente.

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Ancora una volta all’incapacità attentiva si accompagna minoreorganizzazione e incapacità di regolazione emotiva. Mentre i primi tre modelli d’attaccamento (Ainsworth et al.,1978) che abbiamo appena descritto, sono comunque caratteriz-zati da intenzionalità comportamentale e da una strategia direlazione madre-bambino univoca, nella quarta modalità d’at-taccamento non vi è né un comportamento che esprima intenzio-nalità, né organizzazione e capacità attentiva.Il quarto modello d’attaccamento individuato (D) è senza dub-bio il più problematico. Il bambino disorganizzato nella strangesituation può, ad esempio, avvicinarsi alla madre con le bracciaaperte e poi subito dopo scappare da lei. Possiamo dire che ilbambino in questo caso mette in atto un comportamento defini-to come conflittuale. Sono presenti contemporaneamente laricerca di vicinanza alla madre e la fuga da lei; da ciò si puòdedurre una contraddizione nella finalità del comportamento euna totale disorganizzazione. Tra due finalità opposte, rifugiarsio fuggire dalla madre, il bambino si paralizza o mette in attocomportamenti privi di finalità caratterizzati, quindi, da unapeculiare alterazione attentiva. Il bambino disorganizzato, infat-ti, può rimanere immobile, come perplesso, per lungo temposenza metter in atto nessun comportamento definito.

I modelli d’attaccamento, la regolazione emotiva del bambinoe l’attaccamento alle educatrici

Al Nido l’educatrice potrà notare bambini caratterizzati damodalità attentive, organizzative ed emotive analoghe a quelleillustrate. Il comportamento dei bambini disorganizzati, è visibi-le in situazioni particolari di “distrazione”: il bambino tende adassentarsi con la mente dalle attività che vengono svolte, a volteperché presi dal proprio mondo fantastico, a volte perché siritrovano in una condizione di vuoto mentale.

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Le modalità di porsi, che i bambini hanno imparato nella relazio-ne con le loro madri, si riflettono nella qualità dell’interazionecon le educatrici, perché vengono riproposte dai bambini inmodo analogo.Se la figura d’attaccamento riconosce i bisogni di protezione e diautonomia del bambino, quest’ultimo svilupperà fiducia in sestesso come capace e degno di considerazione e tenderà ad avereun atteggiamento di sicurezza e di apertura nei successivi rap-porti. Questi modelli costituiranno, qualora siano frutto di rela-zioni sicure, un supporto interno nell’affrontare le situazioni didifficoltà emotiva e cognitiva, fornendo una maggiore fiducianella propria autoefficacia, se utilizziamo la terminologia diBandura (1995).La relazione complessa che esiste tra un buon assetto emotivo,una buona autostima e buone capacità di relazione da una parte,ed esperienze positive di attaccamento dall’altra, è un concettoche ormai fa parte della cultura attuale. Ciò su cui vogliamoporre l’accento è che le prime esperienze d’attaccamento nonfavoriscono soltanto un determinato vissuto di sé positivo,quanto una chiarezza nel vissuto di sé e della relazione. Le rela-zioni successive non saranno perciò lette soltanto alla luce deicontenuti dell’esperienza: nello sviluppo della personalità suc-cessiva sarà fondamentale l’aspetto formale delle rappresenta-zioni. Attraverso i propri modelli operativi interni il bambinoorganizzerà il proprio comportamento e le strategie di relazionee pianificherà le proprie risposte. Se, invece, costruirà un’imma-gine di sé e delle proprie relazioni incoerente e disorganizzata,avrà in seguito difficoltà ad organizzare le proprie relazioni epotrà avere anche difficoltà con le proprie prestazioni scolastichefuture.L’attaccamento sicuro non è soltanto frutto di un’esperienza diamore e di accettazione, ma soprattutto è l’esito di un’esperien-za chiara ed organizzata. Il bambino sicuro ha un comportamen-

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to intenzionale definito, che esprime l’attivazione chiara delsistema motivazionale dell’attaccamento, atto ad essere compre-so e a terminare solo se soddisfatto nella sua intenzione.Un bambino sicuro costruirà progressivamente, non soltantoun’immagine di sé come più amabile ed un atteggiamento dimaggiore fiducia in se stesso e negli altri, ma soprattutto costrui-rà un’immagine di sé e delle proprie relazioni come più accessi-bili, comprensibili e chiare, e come tali, atte a consentire un com-portamento governato da intenzionalità. Secondo questi presupposti teorici ed empirici, viene dato gran-de rilievo all’influenza genitoriale sul successivo assetto emoti-vo e comportamentale del bambino nelle situazioni sociali, maanche all’influenza di figure altrettanto importanti e significati-ve per il bambino: le educatrici. L’incoerenza comportamentale ele peculiarità attentive dei vari modelli d’attaccamento si riflet-terebbero anche al Nido.Come abbiamo appena dimostrato, la capacità organizzativa e lemodalità attentive, relative alle esperienze d’attaccamento, sidifferenziano considerevolmente nei 4 modelli d’attaccamento esono strettamente interrelate, tanto da risultare strettamenteinterconnesse. I processi organizzativi ed attentivi costituisconoi parametri basilari per l’individuazione dei diversi stili d’attac-camento, che sono contraddistinti da un particolare stato atten-tivo ed una particolare modalità organizzativa della relazione. Relativamente all’attenzione è forse possibile contrapporre allaflessibilità attentiva del modello d’attaccamento sicuro, ladimensione di un’absorption dissociativa del bambino disorga-nizzato e/o il restringimento e la fissità attentiva del bambinoevitante ed ambivalente. L’organizzazione comportamentalepresuppone una flessibilità attentiva. Sembrerebbe che nei sog-getti con problemi attentivi si produca un’alterazione del focusattentivo forzata e continuata nel tempo, con una conseguentediminuzione delle capacità di controllo e di flessibilità attentiva,

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che consente invece una interrelazione fra processi cognitivi eprocessi sociali.L’interrogativo che emerge a questo punto è sulle possibilità cheha l’educatrice d’influire sul bambino in modo da poterlo aiuta-re a riorganizzare il proprio comportamento e la propria moda-lità attentiva. Se impostiamo la questione in senso filosofico,invece, un più ampio interrogativo riguarda la possibilità di con-tinuità e di cambiamento dell’esperienza e del Sé. Le nostre espe-rienze infantili sono tali da influenzare i comportamenti e le rela-zioni successive, attraverso sia un filtro percettivo, che un’attri-buzione semantica ed una formulazione di previsioni e strategiecomportamentali, ed è proprio attraverso la continuità dell’espe-rienza che noi individuiamo un’identità personale. La nostraidentità è, infatti, caratterizzata da sistemi di significati persona-li attraverso i quali viene data continuità alla nostra esperienza.Allo stesso tempo anche i cambiamenti nelle modalità di relazio-ne sono mediati dai nostri sistemi di elaborazione delle esperien-ze interpersonali. I benefici che derivano dalla sicurezza nell’at-taccamento si mantengono soltanto se il bambino sperimenteràcon l’insegnante una relazione positiva, così come l’insicurezzadell’attaccamento al genitore potrà essere controbilanciata da unrapporto di fiducia con l’educatrice e successivamente con gliinsegnanti. Vi è quindi una continua interazione e confronto tral’esperienza passata e l’esperienza presente, tra memoria deglieventi ed interpretazione degli eventi. Quanto più diventiamo ingrado di cogliere la complessità della vita mentale, tanto più inostri ricordi evolvono e riescono a cogliere un’esperienza sem-pre più ampia. In questo senso possiamo ritenere che nuoveesperienze nel corso della vita possano contribuire a ristruttura-re i ricordi, attribuendo nuovi significati (Bartlett, 1932; Piaget,1968).

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GIORNATA DI STUDIORoma 18 aprile 2013

NIDI E SCUOLE DELL’INFANZIAprofili di qualità e ricerca scientifica

in campo educativo

DDiippaarrttiimmeennttoo SSeerrvviizzii EEdduuccaattiivvii ee SSccoollaassttiiccii

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-profili di qualità e ricerca scientifica in campo educativo

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