"Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

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trascritto da Sergio Antognelli

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Questo argomento è tratto dal quaderno-libro

contenente le varie materie studiate nel campo di

prigionia di Zonderwater dal prigioniero di guerra

Costantino Antognelli, matricola 280208.

Al termine della trascrizione seguono le foto delle

pagine scritte di pugno da Costantino.

Come riportato anche in altre testimonianze, i prigionieri

si dovevano ingegnare anche per ricavare l’inchiostro dal-

le cose più strane che potevano avere a disposizione. In-

fatti nelle varie materie scritte nel quaderno-libro si tro-

vano vari colori, abbastanza tenui, e non tutti duraturi nel

tempo.

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Apicoltura

Come è composta la società della api:

Con l’ape la natura ci offre forse il più meraviglioso esemplare di

società di animali perfettamente organizzati con le più equilibrate

leggi produttive di concordia, di ordine, di economia, in cui sta

certo il segreto della grande attività che possono svolgere.

Una famiglia normale di api è composta di tre ordini di individui:

una sola ape madre, circa 2000 fuchi, 20… 50… 70… mila api

operaie, (numero molto variabile secondo lo spazio dell’arnia,

l’abbondanza della fioritura, i bisogni della famiglia).

La madre delle api si chiama anche Regina.

I fuchi sono i maschi; essi non lavorano, sono pigri e neghittosi.

Le piccole operaie sono invece la provvidenza della colonia. Esse

compiono con celerità molteplici e meravigliosi lavori: nutrono le

covate, dedicano cure particolari alla madre, provvedono il cibo,

costruiscono la casa, la puliscono, trasportano i morti e difendo-

no l’intera colonia contro qualsiasi nemico.

Come nasce l’ape e come si sviluppa:

Nella vita naturale delle api, ogni nuova famiglia “alveare” pro-

viene dalla moltiplicazione di uno sciame, cioè un gruppo com-

pleto di individui “madre, fuchi, api operaie” emigrati da un’altra

famiglia. Dopo che le operaie hanno fabbricato la nuova casa, la

madre, compiuto il volo di fecondazione, depone le uova, e la

famiglia aumenta rapidamente, se le circostanze lo permettono,

fino al completo riempimento della casa, con individui e con

provvigioni, di tutto lo spazio disponibile. A questo punto,

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se coincide la primavera, si inizia la costruzione degli alveoli per

le nuove madri e dopo 16 giorni la conseguente emigrazione di

una parte degli individui, cioè la formazione di un altro sciame.

Descrizione e vita delle api:

La storia naturale registra numerose specie del genere “api”, ma

quella che interessa l’industria apistica è l’ape mellifica, apparte-

nente all’ordine degli imenotteri. Come tutti gli insetti allo stato

perfetto, il corpo delle api è diviso in tre parti: testa, addome o

corsaletto e addome.

La testa: nella testa delle api sono notevoli le antenne, che sono

specialmente sensibilissimi organi del tatto. In virtù di esse le api

si dirigono nel buio della loro casa e si comunicano le loro im-

pressioni. Nelle antenne tante microscopiche fossette formano

uno sviluppatissimo apparato olfattivo, il quale permette loro di

distinguere l’odore delle intruse, che è diverso da quello del loro

alveare, e di distinguere i fiori che offrono la maggior quantità di

nettare e polline.

L’ape ha cinque occhi: tre semplici piccolissimi, disposti a trian-

golo (posteriori) e due più grandi sfaccettati che si chiamano oc-

chi composti, formati come dall’unione di numerosissimi occhi

(anteriori) ben visibili quest’ultimi senza microscopio. I semplici

pare che servano all’ape per vedere le cose lontane; i composti

invece per osservare le cose vicine. Riguardo all’apparato bocale,

è interessante la lingua muscolosa dell’operaia, perché più lunga e

flessibili delle altre api, atta a penetrare nella corolla dei fiori per

lambirvi il nettare da trasformarsi in miele. Il nettare ed il miele

raccolto sulla lingua, viene dall’operaia mandato alla faringe e da

quella all’esofago, e quindi ad un primo stomaco, detto sacco del

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miele o borsa melaria. Qui esso viene modificato dal succo delle

ghiandole salivari e poi in parte passato nel vero stomaco e

dall’intestino, viene utilizzato come alimento dall’insetto, e in

parte rigurgitato nelle celle per il bene dell’avvenire. La lingua è

conformata in modo da poter contenere una notevole quantità di

nettare, racchiusa in una specie di guaina tra due palpi labiali e

due mascellari. Le mandibole delle operaie sono forti e coriacee e

servono per compiere quasi tutti i lavori, mentre le mascelle ten-

gono fermi gli oggetti sui quali l’operaia lavora con le mandibole.

Il torace: il torace dell’ape, detto anche corsaletto, consta di tre

segmenti. Porta inserite nella parte posteriore due paia di ali, e

nella parte inferiore tre paia di zampe. Le ali, potente mezzo per

l’attività delle api operaie, hanno una forza che supera, in propor-

zione, quella delle ali degli uccelli più veloci. L’operaia vola di fio-

re in fiore in cerca di polline e nettare, per uno spazio di circa tre

chilometri di raggio intorno all’alveare. Me le ali servono anche

ad altro che al volo. Nelle afose giornate estive, alcune operaie si

dispongono innanzi alla porticina della loro casa, e per ore ed

ore, mediante un rapido movimento delle ali, ne rinnovano l’aria

a guisa d’un ventilatore. Delle sei zampe tutte articolate, interes-

santissimo è il terzo paio dell’ape operaia. La fedele massaia

dell’arnia, ha le ultime due zampe fornite al tarso di una serie di

peli in guisa di spazzola. Con esse spazzolandosi il dorso rag-

gruppa il polline, che serve come alimento. Lo deposita in una

cavità delle zampine posteriori, chiamata cestella. Così ben prov-

vista, l’operaia ritorna frettolosa al suo nido, avendo fatto il suo

ufficio e guadagnato il suo pane. L’ape madre ed i fuchi sono pri-

vi di spazzola e di cestella perché non lavorano. Ogni zampa ter-

mina con due uncini a guisa di tenaglia, i quali permettono all’ape

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di sospendersi in qualunque punto dell’arnia. Inoltre, per sospen-

dersi al soffitto o ai corpi levigati, l’ape, come la mosca, porta in

fondo ad ogni zampa, in mezzo agli uncini, degli organi speciali

che in qualche libro antico sono paragonati a delle ventose, ma

che si sa ora essere invece costituiti da numerosissimi e folti peli

che aderiscono alla superficie liscia, per i fenomeni di adesione

capillare, di un liquido di cui sono sempre bagnati.

L’addome: l’addome delle api è composto di nove anelli. Le api

operaie, alla base dei segmenti dell’addome, hanno tre paia di

sacchi membranosi detti sacchi della cera, perché servono alla

fabbricazione di questo materiale che trasuda sotto forma di esili

lamine. Nell’ultimo anello dell’addome, l’ape operaia porta na-

scosta la sua tanto temuta difesa “il pungiglione”. I fuchi sono

privi di pungiglione. La madre ne porta uno a forma ricurva che

toglie dal fodero solo per combattere con altra madre, sua rivale.

L’ape operaia punge iniettando veleno solo se è molestata e per

difendere la madre, le sorelle inermi, la casa. L’ape che punge ge-

neralmente muore, perché lascia appeso al pungiglione parte de-

gli intestini. Con un’azione meccanica l’operaia spinge nella no-

stra pelle il pungiglione e schiaccia nell’urto la vescichetta piena

di veleno “acido formico” che, attraversando il pungiglione entra

nella profondità della ferita, e produce per azione chimica una

enfiagione , che se data da più punture è talvolta considerevole.

La ragione per cui l’ape dopo la puntura muore è che dopo aver

inserito il pungiglione dentellato nella pelle, essa tenta di ritrarlo

con un forte strappo, cagionando la fuoriuscita del suo intestino.

Le api operaie:

Il numero delle api operaie è estremamente variabile, come la po-

polazione totale dell’arnia. Una famiglia normale ne conta di soli-

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to circa 30 mila, mentre una famiglia che abiti in un’arnia di 45

cm per 45 alta 30, all’epoca del grande raccolto può arrivare ad

una popolazione di 60…70 mila, ed in determinate speciali circo-

stanze a 100 mila api operaie. Queste provvide piccole massaie

dell’arnia, lavorano senza tregua dall’alba al tramonto in cerca di

nettare, polline, propoli e acqua. Per un raggio di tre chilometri

circa, le api adulte, dette raccoglitrici o esploratrici, volano di fio-

re in fiore, con la lingua lambiscono il nettare che trasformano in

miele, raccolgono e trasportano il polline che è il cibo preferito

per alimentare le covate. Il propoli, sostanza tenace, viene raccol-

to sulle gemme, specie sulle piante resinose, e con esso le operaie

cementano le pareti e chiudono le fessure dell’arnia. Con la cera,

che le operaie secernono da speciali ghiandole dell’addome, co-

struiscono le celle, l’insieme delle quali formano i favi. Il lavoro

nell’arnia è meravigliosamente diviso a vantaggio della comunità,

per amore dell’avvenire.

Oltre alle api operaie raccoglitrici e quelle che funzionano da mu-

ratori, ve ne sono altre che, quali dame d’onore della madre, vigi-

lano ogni suo atto. Altre come nutrici delle covate o per insegna-

re i primi voli sui fiori alle giovani api, come i primi passi nell’ar-

nia. Altre ancora montano la guardia, davanti alla porticina

dell’arnia, pronte a difendersela fino alla morte; altre ventilano la

casa nelle giornate afose e troppo calde.

La madre:

La madre delle api, non come già si potrebbe credere dal nome

di regina, il capo dell’alveare. La madre è la sola femmina com-

pleta, dotata della possibilità di riprodurre la specie. In un’arnia

non può regnare che una sola madre. Essa si distingue dai fuchi e

dalle operaie, per la forma più lunga e più snella, per le ali corte, e

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per il colore di un bel giallo dorato, e soprattutto per il suo ince-

dere lento, veramente maestoso. La madre è l’anima della fami-

glia, l’oggetto delle cure più assidue e scrupolose da parte delle

operaie. Senza di essa la famiglia presto o tardi finirebbe per mo-

rire. La madre nasce in una cella speciale, più comoda, a forma di

ghianda. Viene alimentata con un cibo formato dal nettare più

delicato e del polline più fine, cibo che si usa chiamare “pappa

reale”. La metamorfosi della madre da uovo, ninfa, crisalide, ed

insetto perfetto, dura 16 giorni. Via via che la madre si sviluppa,

le operaie allungano la cella. A soli 4-6 giorni di vita perfetta ha

luogo il volo nuziale. Le nozze le compie nell’aria in un bel gior-

no, tutto dorato di sole, nel pieno trionfo dei fiori. Ma la felicità è

breve, perché il fuco prescelto dalla stessa madre, quello cioè che

ha raggiunto le sfere più alte dello spazio celeste, ed è riuscito

vittorioso nella lotta con gli altri maschi, accorsi numerosi anche

dalle arnie vicine, muore nel medesimo giorno delle nozze. La

madre non passa a seconde nozze, è fedele alla sua missione,

rientra subito nell’arnia e dopo qualche giorno inizia la deposizio-

ne delle uova, fra le cure più delicate delle api operaie. La madre

che rimane fecondata nei primi 20 giorni di vita, dicesi vergine o

fucaiola. Essa depone uova dalle quali nascono solamente fuchi.

L’apicoltore deve senz’altro sopprimerla e sostituirla. La madre

non raccoglie e non costruisce come le operaie, perciò non porta

gli strumenti del lavoro, quali la cestella, la spazzola ecc., essa ha

il pungiglione diverso dalle operaie, a forma di sciabola ricurva,

unicamente destinato alla lotta mortale, contro le altre madri ri-

vali, perché essa vuole e deve essere l’unica madre dell’alveare.

Morrà senza aver visitato alcun fiore, ma dopo aver dato la vita

ad una figliolanza numerosissima.

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L’opera della madre:

Dopo qualche giorno dal volo di fecondazione, la madre inizia la

deposizione delle uova, dalle quali nasceranno: le api operaie, i

fuchi, le nuove madri che dovranno succederle. In un solo gior-

no la madre può deporre da 1500 a 3000 uova, circa un milione

in tutta la sua vita, se l’accorto apicoltore non la sostituisce dopo

il terzo anno con altra più giovane e prolifica. La madre inizia il

suo giro di deposizione delle uova dal centro di un favo. Prima di

deporre l’uovo si accerta se la cella è veramente vuota e pulita.

Quando depone uova, la madre è assicurata da almeno 10-12 api

operaie, le quali da buone cortigiane, tengono sempre il capo ri-

volto ad essa, pronte a prestargli qualsiasi servigio. Allorché la

madre allunga la lingua, bisognosa di cibo, l’operaia si affretta a

deporvi una goccia di miele, altre sono frettolose nel ripulire le

celle, altre ancora vigilano attente a difenderla contro qualsiasi

nemico. Con tutto ciò, come è già stato detto, la madre in realtà

non comanda, ma è visibilmente regolata, in tutte le sue azioni,

dalle necessità dell’alveare, interpretate dalle operaie, e molte vol-

te sono proprio le api operaie che la indirizzano e la obbligano a

fare l’una o l’altra azione. E se a queste necessità essa non corri-

sponde, o per l’età, o perché pigra, o perché essendo ancora ver-

gine non è disposta e sollecita per il volo di fecondazione, le api

stesse provvedono ad eliminarla e sostituirla. La madre ha la pos-

sibilità di emettere uova maschili e femminili a seconda della sua

volontà (scoperta importantissima del parroco tedesco Driez-

zon). Questa volontà della madre è determinata visibilmente dalle

condizioni dell’alveare, ma probabilmente anche, in alcuni casi,

dalle necessità della specie, perché i fuchi servono per la feconda-

zione delle madri in generale, non soltanto di quella della propria

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arnia. Anzi vi è da credere che l’accoppiamento di ogni madre

avvenga sempre con fuchi di arnie diverse, essendo notissimo

l’orrore della natura per le nozze consanguinee. È desiderabile

che questi fuchi provengano da famiglie forti, e perciò all’epoca

in cui la fecondazione si ritiene probabile, è utile eliminare i fuchi

deboli, applicando alle arnie apposite sfucatrici, le quali lasciano

passare liberamente le operaie, e trattengono i fuchi che soppri-

meranno. In altre epoche le sfucatrici non sono consigliabili.

I fuchi:

Il fuco è più grosso delle api operaie, e meno lungo della madre;

il suo corpo è vellutato e privo di pungiglione, di cestello e spaz-

zola, perché esso è imbelle e ozioso. Non difende le sue compa-

gne, non lavora né per la raccolta del miele né per altri bisogni

della famiglia. Di essi uno solo diventerà sposo di una madre du-

rante il volo nuziale, dopo il quale troverà la morte. Il suo ufficio

è quello di cooperare alla propagazione della specie, per la quale

è necessario che le madri siano fecondate. La natura provvede

prodigalmente come sua consuetudine a questa necessità dell’a-

more. Per un fuco che feconderà una madre, se ne fanno nascere

e se ne mantengono lautamente delle centinaia in ogni alveare;

probabilmente perché la scelta dello sposo adatto possa farsi me-

glio tra molti; ma viene il momento che non vi sono più madri

giovani da fecondare, allora soltanto la natura diventa a loro av-

versa. Le operaie sembra che s’avvedano solo in quest’epoca che

i fuchi sono individui ingombranti, prepotenti, insaziabili, e con

una decisione subitanea li assalgono e molti li uccidono, e co-

stringono gli altri a morire di fame. Anche in questo fatto della

“strage dei fuchi” le api operaie si comportano come se fossero

dotate d’una grandissima intelligenza, decidendosi alla distruzio-

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ne dei fuchi nel momento in cui essi, esaurita la loro funzione,

diventano inutili per la loro famiglia e per la loro specie.

Metamorfosi dell’ape:

L’uovo dell’ape è microscopico e assai fragile. Dalla deposizione

delle uova alla nascita dell’insetto perfetto occorrono: 16 giorni

per la madre, 22 per l’ape operaia, 24 per il maschio o fuco. Ogni

uovo deposto dalla madre subisce la solita metamorfosi: da larva

a crisalide ad insetto perfetto. La bianca larva o cacchione che

nasce dall’uovo, ha il corpo diviso in tanti anelli. Per poter rima-

nere racchiuse nelle celle le larve si dispongono ad arco e nuota-

no in una sostanza nutritiva semiliquida, bianchiccia, che viene

loro somministrata da alcune api operaie dette “nutrici”. Per pre-

parare questa specie di pappa, le nutrici ingoiano del polline, che

nel loro stomaco si unisce a del miele, e vi sosta qualche tempo,

sinché, reso più assimilabile viene somministrato alle larve in

proporzione adatta alla loro età. La larva si trasforma poi in crisa-

lide, che attraverso ad una pellicola semitrasparente che l’avvolge

tutta, si vede via via assumere la forma dell’insetto perfetto. Le

giovani api operaie, da buone nutrici, si radunano sopra le celle

per tenere caldo alle covate, raggiungendo così la temperatura di

34°. Quando l’insetto perfetto sta per uscire e rompere il coper-

chio della cella, alcune api operaie lo circondano e lo difendono,

lo aiutano, lo spazzolano con cura, lo nutrono e gli insegnano i

primi passi con vero amore, mentre altre pensano a riassettare la

cella per la deposizione di un altro uovo, se la cella è piccola, o

per la deposizione del miele, se la cella è da fuchi.

Costruzione della cera:

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Dispostesi le api come in una grande cortina che prende il soffit-

to dell’arnia, viene prima appiccicata in un punto e terminato in

una piccola massa di cera. Un’ape detta “fondatrice” afferra le

laminette di cera dal suo addome, le sminuzza, le comprime, tra-

sformandole in una specie di nastro, il quale viene reso plastico

da un umore vischioso emesso dalla lingua; aiutandosi un po’

con la lingua, che fa da cazzuola, un po’ con le mandibole, un po’

con le zampette, le api fondatrici riescono ad iniziare la costru-

zione del favo contro il soffitto dell’alveare. Su questa striscia di

cera, che deve essere stata messa in un posto prestabilito da un’o-

peraia distinta per l’aspetto e per l’incedere (un’ape ingegnera!),

viene tracciato il disegno del fondo piramidale della prima cella,

fissandovi così matematicamente la posizione di tutte le altre cel-

le del primo favo, e la posizione degli altri favi dell’arnia. Per ca-

pire in seguito bisogna dire come è costruito un favo. Il favo è

costituito da numerosissime celle piccole da operaie, da celle più

capaci per i maschi o fuchi, e di altre molto più grandi ed a forma

di ghianda per le madri. Le celle da operaie e da fuchi, oltre che

per le covate, servono come deposito di miele e polline. Quando

il primo favo è un po’ avviato, comincia subito, parallelo ad esso,

la costruzione del secondo. Se il favo è costruito perpendicolar-

mente alla parete frontale dell’arnia, questo dicesi “a favo fred-

do”. Quando i favi sono paralleli alla parete frontale dell’arnia, si

dice “a favo caldo”. Nell’alveare villico, in ricoveri non sistemati

razionalmente, le api adottano spesso tutt’e due i sistemi. Le celle

da operaie e da fuchi sono di forma esagonale e di perfetta esat-

tezza geometrica. Tale forma esagonale è quella che potrebbe

scegliere il più bravo ingegnere matematico che si prefiggesse lo

scopo di farne un numero maggiore possibile su un minimo spa-

zio, con la minima quantità di materia e con la maggiore solidità

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possibile. Con solo 500 grammi di cera l’operaia costruisce da 40

a 50 mila celle, che servono da abitazione e dispensa per i viveri.

Gli esagoni, che sopra la prima parete di cera ha disegnato la pri-

ma ape operaia “architetta”, servono alle altre venute dopo a de-

lineare le celle che si prolungano in altrettanti tubi esagonali a

destra ed a sinistra della parete, formando così un favo che avrà

lo spessore doppio della lunghezza di una celletta. Il coperchio di

ogni cella è detto opercolo, ed a seconda della sua forma indica

che cosa contiene la cella stessa: se è piano e leggermente con-

vesso è da operaia; se è concavo le celle sono ricolme di miele; se

è convesso contiene covate da fuchi; se è assai sporgente contie-

ne covate gibbose. La cera è prodotta dalle api giovani. Il lavoro

di costruzione, quando ce n’è bisogno, non ha tregua, né di gior-

no né di notte; la temperatura per la facile lavorazione della cera

è prodotta dalle api operaie stesse, che si affollano formando

quello che l’apicoltore chiama “glomere”. Un dato pratico che

l’apicoltore deve conoscere è questo: che il materiale da costru-

zione, che è la cera, è prodotta dalle api consumando molto mie-

le (circa 6 o 7 chilogrammi di miele per produrne uno di cera).

Ecco perché con le arnie razionali a telaini, con fogli cerei si cer-

ca di diminuire quanto è possibile il lavoro di costruzione.

La razza da prescegliere:

L’ape italiana è riconosciuta come la razza migliore di tutto il

mondo. È docile, offre abbondanti prodotti che procura sino a

stagione inoltrata, ha maggiore resistenza alle malattie. È ricerca-

tissima all’estero. Alcuni allevatori si dedicano all’allevamento di

madri italiane che inviano in Francia, in Inghilterra, in Norvegia,

in Russia e persino negli Stati Uniti e nella Nuova Zelanda.

Un’altra razza pregiata è la Cipriota o Egiziana. L’ape Italiana si

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distingue per tre strisce gialle nell’addome; la Cipriota invece ha il

dorso di un giallo più vivo, quasi moro, e l’addome a punta neris-

sima. Buona covatrice è la Cipriota, ma difficile a maneggiarsi

perché irascibile e sempre pronta ad assalire. La nera della Ger-

mania, l’ape del Caucaso, è una razza inferiore di quella Italiana,

così che la sua introduzione nel nostro paese è sconsigliabile.

Conserviamo dunque la nostra razza, e conserviamola pure per-

ché i risultati degli incroci tentati non hanno dato buoni risultati.

La qualità di una buona arnia:

Un’arnia razionale deve essere costruita in legno stagionato leg-

gero e ben piallato; deve avere in basso il nido, in alto i melari. Il

nido riservato per le covate, il melario per l’eccedenza del miele;

spazio sufficiente per la colonia, fondo e soffitto mobile, telaini

di dimensioni e forma tutti uguali, tali da poter essere trasportati

da un’arnia all’altra. L’arnia deve proteggere le api dall’eccessivo

freddo come dall’eccessivo caldo, permettere la circolazione

dell’aria, impedire l’entrata di insetti dannosi, dar modo all’apicol-

tore di osservare lo stato di salute generale, senza ferire o mole-

stare le api. Le arnie si possono collocare in qualsiasi località; pre-

feribilmente tra levante e mezzogiorno, purché lontane dai rumo-

ri, dalle esalazioni nocive, riparate dai venti, e se possibile in

prossimità di ruscelli o di qualche sorgente.

Arnia Dadant Blatt:

Si può dire che tutte le arnie razionali moderne derivano dall’ar-

nia americana “Dadant Blatt”, che è a sua volta una derivazione,

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portata dagli apicoltori Dadant Blatt, all’arnia “Laugstrouth”,

che si è diffusa in tutti i paesi civili dove si allevano api. In Italia

predominano i tipi Italo - Dadant Blatt, il tipo Marchigiano, le

arnie tipo speciale ing. Crespi, Tonelli, Barberini ecc. Da molte

dichiarazioni di valenti apicoltori, si ritiene che praticamente allo

stato attuale non si possa consigliare niente di meglio che l’arnia

Italo - Dadant Blatt.

Vantaggi dell’arnia Italo - Dadant Blatt:

Permette di visitare tutti i favi senza danneggiare le api, l’uso dei

fogli ceri, di separare il miele che serve per le covate da quello

che si può estrarre per il consumo, una maggiore pulizia, aerazio-

ne e miglio distribuzione del calore. Non è costosa, può aver so-

vrapposti più melari, può venire impiegata per la formazione di

nuclei, può essere ingrandita e rimpicciolita a seconda della quan-

tità di flora, e della forza dell’alveare. Sovrapponendo un nido ad

un altro nido si ottiene l’arnia Marchigiana; sovrapponendo un

melario ad un altro melario si ottiene l’arnia Italo - Dadant Blatt.

Risparmia all’apicoltore molto lavoro, e permette di formarsi,

con una rapida visita, un concetto sulla produttività e salute della

famiglia. Nella sua pregiata pubblicazione “L’apicoltura pratica

Italiana”, l’egregio signor Carlini fa una minuziosa descrizione

dell’arnia, qui sotto riprodotta, con tutte le misure necessarie per

la costruzione.

Il Nido è quadrato 45x45 cm, misura in altezza 30,8 cm, ed è

staccato dal fondo rasente ai telaini. Il Melario è alto la metà pre-

cisa del nido e cioè 15,4 cm. Il fondo staccato poggia su apposito

cavalletto al quale è fissato il davanzalino della larghezza di 23

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cm, che coi 7 centimetri della sporgenza dal fondo, formano un

predellino di 30 centimetri, spazio sufficiente perché le api entri-

no ed escano con facilità dalle porticine senza cadere a terra. Il

telaino del nido nelle misure esterne è 30x43,5 cm, e il telaino del

melario è 14,6x43,5 cm. E così tenuto conto degli 8 millimetri del

passaggio delle api si ha che due telaini da melario formano un

telaino da nido, e due melari contengono pure esattamente un

telaino da nido. Nel modello a tettoia piatto, fra soffitto e tettoia

vi resta uno spazio di circa 6 centimetri; spazio indispensabile per

mantenere il caldo nell’arnia, e l’evaporazione dell’umidità dell’ar-

nia; per apicoltura nomade.

In quello a tettoia a due spioventi, invece del soffitto, ci vuole un

cuscino di spessore di 6 centimetri, da tenere tanto in estate co-

me in inverno. Una tela di iuta, come quella di sacco da zucche-

ro, inchiodata attorno a quattro strisce di tavola, con la larghezza

di quanto misura l’arnia, riempiendola di pula o piallatura di le-

gno di pino, ben asciutta. La tettoia a due spioventi, all’aperto

difende meglio il corpo dell’arnia e l’entrata delle api durante la

pioggia. Con l’uso del cuscino al posto del soffitto, viene favorita

l’evaporazione dell’umidità, così da non far riscontrare tracce di

muffa sui telaini e sui favi, come avviene facilmente sugli alveari

a tettoia piatta. Anche per estetica molti danno la preferenza alla

tettoia a due spioventi.

Le pareti del nido e del melario sono di tavole da 3 cm, che pial-

late restano 2,8 cm. Questo spessore è necessario per la robu-

stezza dell’arnia, e per mantenere il caldo indispensabile durante

l’inverno e la primavera.

Telaini per nido:

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Porta favo, lungo 47 cm, largo 2,8 cm, alto 2,5 cm.

Fiancheggiatori, 29 cm larghi, 2,8 cm in alto, e 1,8 cm in

basso, spessore 8 millimetri.

Tramezzino, lungo 41,8 cm, formato da un’asticciola qua-

drata di 8 millimetri.

Telaino per melario:

Porta favo, lungo 47 cm, largo 2,8 cm, alto 2 cm.

Fiancheggiatori, 13,6 cm larghi, 2,8 cm in alto, e 2 cm in

basso, spessore 6 millimetri.

Traversino, lungo 41,8 cm, formato da un’asticciola quadra-

ta di 8 millimetri.

Per istruzioni e consigli rivolgersi al prof. A. Cotini direttore della

“Società Apistica Italiana”- “Amici delle api di Ancona”.

La distanza fra telaino e telaino e fra telaini e pareti dell’arnia de-

ve essere di 8 millimetri, per dare modo all’ape di circolare in tut-

te le parti dell’arnia, e per evitare quanto è possibile la propoliz-

zazione che impedisce la facile estrazione dei telaini.

Strumenti da lavoro:

Affumicatore Bigan : (dal cat. Perucci San Severino Marche).

Maschera Bigan: (come sopra)

Guanti di pelle o gomma: (come sopra)

Raschiatore a paletta: (come sopra)

Coltella lunga e flessibile: (come sopra)

Spazzola morbida di crine con manico: (come sopra)

Page 18: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Sacco prendi - sciami : (Stabilimento apistico Guzzi, Sesto San

Giovanni - Milano).

Cassetta porta-sciami: (come sopra).

Leva Adami - Carlini Carlo Stelo Apis. S. Arcangelo Romagna.

Smelatore radiale Guzzi a mano: (Stabilimento apistico Guzzi,

Sesto San Giovanni - Milano).

Filtro per miele: (come sopra)

Secchio per miele con filtro: (come sopra)

Seccatrice solare: (come sopra)

Macchina “Rhieche” per la fabbricazione dei fogli ceri.

Sperone elettrico Guzzi Woiblett.

Frisa uncinetti automatico.

Lo sciame e la sua raccolta:

Quando la popolazione di un’arnia si è notevolmente accresciuta,

in conseguenza del gran numero di api e uova deposte dalla ma-

dre, così che il numero delle api è sproporzionato alla casa ed alle

risorse del luogo, parte delle api abbandonano la casa, formando

uno sciame composto dalla vecchia madre, di api operaie adulte e

di alcuni fuchi (circa un fuco per ogni dieci operaie). Nell’arnia

rimangono una o più madri giovani, alcune migliaia di operaie, e

le nuove covate. Questa prima sciamatura avviene di solito in da-

ta variabile secondo le località, tra la prima quindicina di maggio

e la prima di giugno, cioè nel tempo della fioritura abbondante,

fra le ore 10 e le ore 13 di una giornata calda e serena. Qualche

giorno prima della sciamatura una agitazione insolita è nell’arnia,

il lavoro cessa quasi del tutto, alcune api si affollano innanzi alla

Page 19: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

porticina ove formano un raggruppamento detto “barba”. Sem-

bra che fra il numeroso popolo alato avvenga uno scambio d’i-

dee. Le api che si dispongono a sciame si rimpinzano di miele

per il fabbisogno di almeno tre giornate, giacché esse sono sem-

pre previdenti, e può darsi che qualche giornata di vento o di

pioggia renda difficile la raccolta. Ed è forse questa la ragione per

cui le api durante la sciamatura pungono difficilmente, ciò che

rende più facile la raccolta dello sciame. Precedute da una piccola

avanguardia esce il grosso dello sciame, con alla testa la madre,

sotto forma di una nuvola vibrante. Questo sciame fa quasi subi-

to una sosta, generalmente appendendosi ad un ramo di un albe-

ro, mentre una piccola parte di api operaie “esploratrici” percor-

rono la campagna circostante in cerca della nuova dimora; a que-

sto punto, e prima che le api esploratrici facciano ritorno, l’api-

coltore deve agire subito, e come primo lavoro spruzzare il grup-

po di api con acqua pulita, e poi iniziare l’operazione di raccolta.

Già da tempo l’apicoltore dovrà essersi preparato l’arnia raziona-

le, che al momento della raccolta dello sciame dovrà essere

spruzzata internamente di miele, e munita di qualche telaino con

traccia di cera, o meglio con foglio cero e favo, o meglio ancora

con un telaino fornito di covate scoperte, in previsione che lo

sciame abbia perduta la madre durante le operazioni di cattura.

Non bisogna mettere entro i primi dieci giorni troppi telaini, al-

trimenti le api li riempiono tutti di miele e non rimane posto per

le covate. Altri telaini con fogli ceri è necessario fornire dopo i

primi dieci giorni, in relazione alla forza dell’alveare. Non è con-

veniente formare una nuova famiglia se lo sciame non è abba-

stanza numeroso e se è di peso inferiore a 2 kg.

Sciami secondari:

Page 20: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Alla distanza di circa 8 giorni dal primo sciame “sciame prima-

rio”, può essere seguito da un secondo e anche da un terzo

“sciami secondari”. In generale questi sciami sono deboli, ma

con una madre giovane.

Questa madre deve fare il volo di fecondazione, e durante questo

è facile che le api operaie la seguano e quindi fuggono. Deside-

rando conservare questo sciame secondario è consigliabile rinfor-

zarlo, introducendo subito nell’arnia che lo ospita un favo con

covata. La sciamatura costituisce sempre un indebolimento della

famiglia, quindi è necessario tenere arnie da allevamento, e arnie

da raccolto. In quest’ultime è bene cercare d’impedire la sciama-

tura, esportando l’alveolo della nuova madre e ampliando l’arnia.

Non è detto che la sciamatura si possa sempre evitare, perché le

api a volte lo fanno per un incoercibile istinto ereditario, anche

quando per le condizioni procurate dall’allevatore la sciamatura

non sarebbe necessaria.

Come si prepara uno sciame artificiale:

Un buon metodo è il seguente: preparata un’arnia razionale, vi si

introducono sei telaini con api e covata fresca da operaie e da

madre; togliendo questi telaini da un’arnia che chiameremo

“Ceppo n° 1”, ricca e formata di una buona madre, di covate

opercolate, di api, di miele, di cera e sei telaini da un’arnia

“Ceppo n° 2” di pari forza. Quest’arnia nuova, quando è possibi-

le, va collocata in mezzo alle due ricche famiglie “Ceppo n° 1 e

Ceppo n°2”. In breve il nuovo sciame avrà una nuova madre. A

questo sciame è necessaria una visita dopo 5-6 giorni, lasciandovi

solo la madre ultima nata, perché da più tempo alimentata da

pappa speciale. Le porticine dell’arnia dove sta lo sciame artificia-

le, debbono essere ristrette, specie nei primi giorni, per evitare

Page 21: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

invasione e saccheggio. Con tale metodo si può sperare di non

perdere il raccolto, perché le operaie adulte dei due ceppi conti-

nueranno a foraggiare.

Acquisti di api:

Un modo per iniziare o aumentare un apiario è quello dell’acqui-

sto degli sciami che si fa in primavera. Lo sciame deve provenire

da una famiglia forte che abbia sciamato nell’anno precedente,

deve pesare circa 3 kg, che corrisponde ad un numero di circa 30

- 40 mila api. Non ci si deve far illudere di poter ricavare del mie-

le in quella stagione. Le api hanno appena il tempo di fabbricare i

loro favi sui fogli ceri forniti dall’apicoltore, e di pensare alle nuo-

ve covate, e a prepararsi le vettovaglie necessarie per il loro con-

sumo invernale.

Bugni Villici:

Un’opera buona, unita ad una buona specializzazione, per gli api-

coltori è di comperare i bugni villici, e fare il travaso in arnie ra-

zionali, le quali potranno essere tenute dall’apicoltore per aumen-

tare la sua azienda.

Le cautele per gli acquisti villici:

Le famiglie da acquistare devono aver dato luogo ad una sciama-

tura l’anno prima, se si vuole che dette famiglie portino una ma-

dre giovane e feconda.

Osservare che la famiglia sia sana, e non provenga per carità da

alveari ove è apparsa la peste “orneraia” , non abbia tarme o co-

struzioni di favi vecchi, sia ricco di miele e di api. Tale famiglia

dovrebbe pesare sette - otto kg in primavera, e venti - venticin-

que in autunno.

Page 22: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Trasporto dell’arnia villica:

L’acquisto del bugno si deve fare in settembre, nel momento in

cui, per togliere il miele da esso, usano molti uccidere il prezioso

insetto. Il trasporto di questi bugni da una località all’altra è bene

effettuarlo in autunno, quando vi è poca covata; se invece si è

costretti a farlo in primavera, sia fatto prima del volo di feconda-

zione e di orientamento. La località ove si fa l’acquisto è bene sia

lontana almeno 3 km, perché le api non abbiano a tornare alla

località della vecchia dimora. Le ore più adatte sono quelle della

sera. Si deve assicurare che i favi siano bene attaccati, si chiudono

le aperture con tela e fine rete metallica, che lascia passare suffi-

ciente quantità di aria, mentre le fessure si possono chiudere con

carta, mastice, gesso, ecc.

Nel trasporto cercare di evitare le scosse. I bugni si dispongono

capovolti quando i favi sono attaccati solo al soffitto, mentre si

possono trasportare senza essere capovolti quando i favi, oltre ad

essere attaccati al soffitto, sono attaccati da ambo le parti delle

pareti del bugno. Appoggiare i bugni su spessi letti di paglia, ma-

terassi, ecc. Appena giunti nella località destinata collocare il bu-

gno a sua dimora, aprire al tramonto una porticina piccola e poi

lasciare le api tranquille per almeno 15-20 ore.

Muta o travaso:

La muta o travaso delle api dall’una all’altra arnia, si può compie-

re in tutte le stagioni, specialmente se si tratta di una famiglia for-

te. Senza dubbio il principio della primavera è l’epoca che assicu-

ra il miglior risultato. Almeno due giorni prima d’iniziare l’opera-

zione, è bene trasportare l’arnia da vuota. La muta va effettuata

con larghezza di tempo e di materiale adatto a tale scopo; si scel-

Page 23: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

gono le prime ore del mattino, si disponga per il lavoro di un co-

modo locale appartato, allo scopo di evitare ruberie da parte delle

altre api. Se il travaso avviene da un’arnia villica, si toglie il coper-

chio, e col fumo dalla parte inferiore cercare di far salire le api

nell’arnia razionale sovrapposta a quella villica, dopo averne spal-

mate le superfici interne di miele; poi si toglie la parete dell’arnia

villica parallela alla faccia dei favi, i quali, di mano in mano, ven-

gono staccati avec le cateau e si fissano ai telaini dell’arnia razio-

nale, scartando i favi con celle maschili. Si badi di mantenere una

disposizione possibilmente analoga delle celle; si guardi che le

celle siano inclinate con la bocca verso l’alto, come dispongono

sempre le api, perché il miele non abbia a uscire. Maggior diligen-

za ci vuole nel trasporto e collocamento; ogni precauzione

dev’essere per i favi colmi di covate, in uno dei quali trovasi la

madre. Nella nuova arnia, a partire dalla parete, è bene introdurre

un favo con miele e polline, poi via via i favi con covate, e per

ultimi i favi contenenti miele. Se è stato possibile di riconoscere il

favo che ospita la madre lo si introduca subito nell’arnia raziona-

le, certi che allora le api la seguiranno nella nuova dimora. Lascia-

re in pace le api per 4-5 giorni, e far poi una visita per vedere per

vedere se sono necessari dei lavori come: ripulire il fondo, ag-

giungere i nuovi fogli cerei o favi con miele. Tenere presente che

durante i travasi le api consumano molto miele. Dovendo mutare

molte arnie nello stesso apiario non si compia l’operazione in una

sola volta (precauzione da usare contro il saccheggio).

Riunione di famiglia:

In primavera come in autunno si rende necessario sopprimere o

rinforzare delle famiglie deboli. Una famiglia debole di api segna

Page 24: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

sempre un forte deficit per l’apicoltore. Perciò, allo scopo che

questa scarsa manodopera non abbia ad andar distrutta, si può

unirla ad un’altra famiglia debole che abbia però una madre gio-

vane, oppure accoppiarla ad una famiglia forte. Alcuni giorni pri-

ma si avvicinano gradatamente le due famiglie, e poi si tolga se

c’è la madre vecchia, improduttiva, fucaiola. Scoperchiate con-

temporaneamente le cassette si spruzzino di miele le api, e se del

caso si trattano con un medesimo profumo: menta, melassa, ti-

mo, bergamotto, lavanda, ecc. Mentre le api sono affaccendate a

rimpinzarsi di miele come fanno immancabilmente quando sono

disturbate e temono qualche pericolo, si tolgano alla famiglia più

forte i telaini inutili, e si sostituiscano con quelli ripieni dell’arnia

debole. Finito questo lavoro si spruzzano ancora le api con miele

o profumo, si chiuda bene l’arnia rinforzata, e si colloca al posto

della famiglia. Se l’apicoltore non fosse riuscito a togliere la ma-

dre scadente, o se questa fosse andata con le sue operaie nella

nuova arnia, non dubiti che penseranno poi le api a sacrificarla.

Un altro metodo è quello di disporre un giornale ben steso fra il

fondo ed il nido della famiglia da riunire n° 1. Un altro giornale

va steso sopra i telaini del nido dell’altra famiglia n° 2. La sera si

chiudono le porticine della seconda famiglia. La mattina poi si

prende la famiglia n° 1, e tenendo ben tesi e sollevati gli orli del

giornale, affinché nessun’ape possa uscire, e si trasporti appog-

giandola sul giornale del nido n° 2. Le api dell’una e dell’altra ar-

nia che si trovano imprigionate, cominciano a rosicchiare la carta,

e in questo lavo comune si affratellano e formano subito una

unica famiglia. Il giorno dopo, riaperta la porticina, si vedranno

le api affaccendate a metter fuori i residui della carta rosicchiata,

e sarà il segno della buona riuscita. L’apicoltore dovrà poi regola-

re i telaini.

Page 25: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Come procurare una nuova madre:

Nella madre si può dire si accentra il destino della famiglia. Biso-

gna esaminare di frequente le sue condizioni, come durante una

malattia bisogna consultare il termometro. Molto spesso l’apicol-

tore si trova nella necessità di sostituire una madre vecchia o fu-

caiola. Se non può rimediare riunendo due famiglie, deve procu-

rarsi un’altra madre. Abbiamo in Italia famosi apicoltori che si

dedicano all’allevamento di madri; madri che sono assai apprez-

zate e richieste dall’estero per introdurre la nostra ottima razza di

api. Apicoltori specializzati in questo allevamento sono per esem-

pio: il Cav. Gaetano, Piana di Castel San Pietro, Bologna, ed altri

ancora. L’apicoltore diligente e appassionato che abbia già una

certa pratica, può preparasi anche da sé qualche nuova madre,

nel modo seguente: in periodo di grande raccolto introduca in

un’arnia forte e ricca di miele e cera un telaino con favo vuoto.

Attenda che la madre giovane vi abbia deposto le uova, e poi la

tolga subito richiudendola in apposita gabbietta. Questa gabbietta

con la giovane madre si incastri fra due telaini colmi miele della

famiglia orfana. Dopo due giorni di permanenza di questa madre

nella famiglia orfana, si sostituisca il coperchi della gabbietta con

una parete fatta di sola cera. Le api ormai abituate all’odore di

questa madre, rosicchieranno ben presto la cera, e libereranno la

nuova madre accettandola e festeggiandola. Queste precauzioni

sono consigliate da valenti apicoltori, perché senza di esse è pos-

sibilissimo che una madre estranea all’alveare sia ricevuta in ma-

niera molto brusca, e persino uccisa. Intanto la famiglia alla quale

abbiamo tolta la madre, si avvede prontamente di questa assenza,

e provvede ad allevarne un’altra. È molto probabile che le ope-

raie costruiscano le nuove celle per madri nel telaino nuovo, e

Page 26: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

così per covate di età inferiore ai tre giorni, condizioni essenziali

per la riuscita, altrimenti la madre non riuscirebbe o sarebbe

troppo piccola. Questa famiglia in cui deve nascere la nuova ma-

dre, deve essere nutrita esuberantemente. Al nono giorno le nuo-

ve celle per madre saranno opercolate. La madre così ottenuta

avrà da compiere il volo nuziale. Un altro fra i vari metodi per

ottenere una nuova madre è quello di usare un favo con covata

recente, tolto da un’arnia forte e che abbia madre giovane e fe-

conda. Nella parte inferiore del favo si tolga una striscia di celle,

di circa tre centimetri di altezza, per lasciare il posto alle future

celle da madre. Con tre celle da operaie se ne formi una sola, to-

gliendo le relative pareti. Il lavoro va fatto con massima delica-

tezza per non danneggiare l’uovo della cella superiore aperta in

basso, togliendo le due pareti inferiori per dar modo l’inizio della

cella da madre. Le api ben presto prolungheranno queste celle,

trasformandole in celle da madre, e penseranno ad alimentare la

ninfa con l’apposita pappa speciale. Dopo 16 giorni le api salute-

ranno la nuova madre che dopo qualche giorno si appresterà al

volo nuziale.

Fabbricazione dei fogli cerei:

Poche avvertenze occorrono per la fabbricazione dei fogli cerei.

La cera va sciolta a bagno Maria e versata con lestezza, il foglio

cereo a sua volta si adatta al telaino appoggiandolo, per facilitare

l’operazione, sopra una tavoletta di legno, e fissandolo con un

mastice fatto con tre parti di pece (pece greca), e una parte di ce-

ra. Per dare maggiore appoggio ai fogli cerei, vengono tesi prima

con appositi strumenti: dei sottilissimi fili di ferro ben stagnato

che affondano nel foglio cereo per mezzo dell’apposita rotella o

sperone di Woiblett. Lo sperone va mantenuto tiepido, o riscal-

Page 27: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

dandolo di tanto in tanto a bagno Maria, o con riscaldamento

diretto a spirito, o con energia elettrica, apparecchi Guzzi o To-

nelli. Buona macchina per la fabbricazione dei fogli cerei è la

macchina “Rhieche”, da richiedere presso lo stabilimento apisti-

co Carlini Carlo, di Santarcangelo di Romagna.

Alimentazione suppletiva degli alveari poveri:

L’apicoltore che si trovasse nella necessità di somministrare cibo

alle api, procuri di usare più che sia possibile favi colmi di miele,

provenienti da arnie sane, oppure per mezzo di appositi nutritori:

uno sciroppo composto di due parti di zucchero e una di acqua.

L’alimentazione suppletiva, alle api bisognasse, va praticata du-

rante la rivista primaverile ed autunnale. Essa ha lo scopo di rin-

forzare la famiglia, di favorire lo svernamento e la deposizione

delle uova, e di evitare il saccheggio reciproco fra gli alveari de-

boli. Per questa ragione è anche conveniente restringere le porti-

cine degli alveari deboli, e fare dette somministrazioni durante la

sera. Anche alle arnie forti, in momenti eccezionali, l’accorto api-

coltore regala qualche chilogrammo di miele per ottenere vantag-

gi sproporzionatamente maggiori, per esempio: quando una pri-

mavera precoce ha fatto anticipare una abbondante deposizione

di uova, e qualche giornata fredda rende difficile il vettovaglia-

mento con pericolo che molte covate patiscano la fame. Anche

alla scarsezza di polline, tanto necessario alle covate, si rimedia

con qualche manciata di farina di fave o di castagne, disposta in

piccoli recipienti situati nei pressi delle arnie. Le api sono prima

diffidenti, ma poi dopo averne assaggiato, ne apprezzano subito

con meravigliosa intuizione le qualità nutritive, e la trasportano

nell’arnia. Affinché le api debbano assaggiare le proprietà della

Page 28: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

farina è necessario mettere qualche goccia di miele sopra la fari-

na.

Apicoltura nomade:

Quando nel luogo dove l’apicoltore ha il suo apiario è diminuito

il raccolto, egli potrà spesso organizzare la cosiddetta apicoltura

nomade, trasportando le sue arnie colme di miele in regione ver-

gine, utilizzando così ciò che altrimenti andrebbe perduto. Per il

trasporto occorrono delle cure speciali, analoghe a quelle citate

per il trasporto dell’arnia villica.

Stato civile degli alveari:

Per una azienda apistica di notevole importanza, è indispensabile

aiutare la memoria dell’apicoltore con una registrazione accurata

che permetta di tener presente tutti gli elementi importanti che

riguardano ciascuna delle arnie. La tabella che segue non ha biso-

gno di alcuna spiegazione, e sarà riprodotta in grande ed appesa

nel laboratorio e tenuta aggiornata.

Page 29: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Rivista primaverile:

Si fa risveglio della dolce stagione, tra la fine di marzo ed i primi

di aprile, in una giornata calma, per accertarsi della presenza e

dello stato di salute della madre, per verificare le condizioni dei

favi, la quantità di miele e di cera in essi contenuta. Prima di ac-

cingersi a questo lavoro delicato occorre prepararsi tutti gli at-

trezzi necessari, per poter disporre di un certo tempo, affinché il

lavoro abbia a procedere con un massimo ordine e la massima

sollecitudine. Uno dei maggiori scopi della rivista primaverile, è

quella di accertarsi dell’esistenza della madre feconda, dove non

c’è una madre, o dove essa sia vecchia, o non fecondata, le cova-

te sono di soli fuchi, e la famiglia presto o tardi è destinata a peri-

re. In questa visita l’orfanità è accusata dalle covate gibbose

T A

a p

b i

e s

l t

l i

a c

a

Annotazioni varie sulle sin-

gole arnie, sui voli, stagioni

fioriture, raccolti ecc.

Smielatura

Riviste primaverili

Riviste autunnali

Sciamature

Madre

Provenienza

Nome dell’arnia

Numero dell’arnia

Page 30: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

(maschi nelle celle da operaie). In questo caso i favi vanno tolti,

ed alla famiglia va data un’altra madre, oppure questa famiglia

debole va unita ad un’altra. Oppure ancora, si può tentare di for-

nirle alcuni favi con covate da madre, ed osservare se le api li ac-

cettano e li trasformano in allevamenti per madri. Non si creda di

dover fare indagini minuziose e disturbatrici a proposito dell’assi-

stenza e la qualità delle madri (quando si cerca la madre non met-

tere mai le api in fuga. La covata si maneggi il meno possibile,

piuttosto affidarsi un po’ alla osservazione esterna). Se di tali favi

irregolari non se ne vedono, se fino allora si è riscontrata una

normale attività nel lavoro delle api boltinatrici, si può essere si-

curi che la madre ha deposto abbondantemente uova, e che le

covate sono promettenti, e che a suo tempo ricco sarà il raccolto.

I detriti di cera e di propoli inutili vanno raschiati, ed il fondo

viene poi spazzolato. In un’arnia razionale questo lavoro riesce

facile e sollecito, e non si avrà da far lavorare le api per la pulizia,

e di temere invasioni dalle tarme. Non si abbia premura di toglie-

re i ripari e cuscini che, come segno vennero messi in autunno

per tenere calde le api. Tenere calde le api è come somministrare

loro del cibo. Non si abbia premura di allargare lo spazio interno

dell’alveare, prima che la stagione prometta un largo raccolto, e si

veda fare il glomere sotto i telaini. Come ho già detto è proprio

in questa stagione che le api hanno il massimo bisogno di caldo e

di miele per le loro abbondanti covate, dalle quali dipende la sa-

lute ed il prodotto, avvenire della famiglia. Qualora il miele non

fosse sufficiente per le covate numerose e promettenti, è buona

speculazione di fornirlo, sostituendo a favi vecchi e vuoti, con

favi opercolati. Mancando questi: introdurre in favi vuoti (e sani),

uno sciroppo di zucchero (due parti di zucchero e una di acqua),

sciolto a fuoco lento. Raffreddato lo sciroppo va prima introdot-

Page 31: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

to da una parte del favo, poi questo va coperto con carta perché

il miele non esca, quindi va riempita l’altra parte del favo. Questi

favi vanno introdotti di sera per non provocare il saccheggio. Si

possono costruire o acquistare degli appositi nutritori, i quali fa-

cilitano il lavoro ed evitano il saccheggio. Questi nutritori sono

recipienti di forma adatta, perché le api possano succhiare il liqui-

do zuccherino senza arrischiare di annegare in esso.

Rivista autunnale:

Prima dell’inizio della stagione invernale conviene fare una visita

a tutti gli alveari, per accertarsi della floridezza delle famiglie, e

per conoscere la quantità della provvista dell’alimento per l’inver-

no. Se questo scarseggia bisogna completarlo. Non potendo di-

sporre di miele si può usare anche lo sciroppo di zucchero, o

succo di frutta matura. Una famiglia normale di api, in autunno

deve avere almeno 10 kg di miele (meglio 12). Per regolarsi si

sappia che un favo da nido dell’arnia I.D.B. pesa 4 kg (tenendo

conto delle parti vuote, si faccia il calcolo del miele che contiene).

Questo per quanto riguarda l’eventuale scarsezza di miele; se in-

vece è la famiglia che è scarsa, allora si pensi a rimediarvi con la

riunione delle famiglie. È inutile che l’apicoltore tenti di conser-

vare ed esporre allo svernamento una famiglia scarsa di api e di

miele. Gli alveari deboli, oltre a soffrire il freddo, sono facilmen-

te invasi da tarme e da formiche, dai topi, e colpite da diarree,

esposte al saccheggio. L’apicoltore deve rendere possibile un

normale svernamento, seguito da una normale e regolare ovifica-

zione della madre, poi da una calda covata, che è sicura promessa

dell’abbondanza della famiglia, e quindi della produzione. Trova-

to il tempo, preparato il materiale necessario, prese le consuete

precauzioni per evitare il saccheggio, l’apicoltore comincerà col

Page 32: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

togliere tutti i melari. Normalmente da dodici telaini che contiene

la cassetta, se ne tolgono quattro al centro, e cioè fra quelli che

contengono meno miele, lasciandovi il rimanente di otto telaini,

fra quelli più ricchi di miele ed opercolati. Lo spazio di 15 cm

circa, resosi vuoto, deve essere riempito con cuscini pieni di pula,

paglia, o altro materiale coibente, purché sano ed asciutto (da

detto materiale per cuscini è da scartare la segatura). Osservare se

le famiglie hanno madre giovane e feconda, in caso negativo, e se

sono orfane, devesi provvedere subito per la sostituzione o per la

riunione con altre famiglie (anche le porticine vanno ristrette per

evitare il pericolo di invasione dei topi, farfalle, ecc.). La rivista

autunnale importa all’apicoltore una serie di operazioni diligenti

che abbiano di mira non solo lo stato attuale di salute della fami-

glia, ma anche il benessere futuro.

Calendario Apistico:

Gennaio: in questo mese è necessario lasciare le api in perfetto

riposo. Ogni disturbo è dannoso, perché aumenta notevolmente

il consumo di miele. In caso di nevicate, in questo o in altro me-

se, tenere liberi dalle nevi i davanzalini delle arnie, ed il terreno

davanti ad esse. Sorvegliare l’armadio delle riserve, per tenere

lontani e distruggere i topi, tarme, ecc. Se vi sono favi ammuffiti

esporli all’aria ed al sole nelle belle giornate.

Febbraio: lasciare ancora le api a riposo, tenere liberi i davanza-

lini dalla neve, togliere con un uncino ogni ingombro di api mor-

te. Preparare nuove arnie per gli sciami futuri. Verso la fine di

questo mese la madre inizia la deposizione delle uova. (Ci può

essere l’anticipo di un buon mese per regioni calde, un po’ in ri-

tardo per le località più fredde).

Page 33: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Marzo: nella prima quindicina lasciare ancora le api a riposo;

liberare sempre le porticine dell’arnia da ingombri di api morte,

sorvegliare i primi voli di purificazione, disporre d’innanzi all’a-

piario piccoli recipienti con farina di fave, castagne, purché fresca

ed asciutta e mista a qualche goccia di miele, per fornire alle api

cibo per le covate, in sostituzione del polline che ancora scarseg-

gia. Nella seconda quindicina del mese: eseguire la rivista prima-

verile per accertarsi dello stato della famiglia, eliminando i favi

vecchi e ammuffiti, non togliere ancora i ripari invernali, fornire

alle api un’alimentazione in base alle necessità della famiglia, con

miele o sciroppo di zucchero. Praticare le mute delle arnie villi-

che alle arnie razionali. Riunire famiglie deboli ed orfane; non

togliere i cuscini perché essi conservano ancora il caldo alle cova-

te ed evitano un maggior consumo di miele. Non allargare lo spa-

zio interno dell’arnia; preparare in seguito le tabelle che indicano

tutti i dati importanti.

Aprile: sorvegliare le sciamature, raccogliere gli sciami in arnie

veramente razionali. Questi primi sciami sono sempre preferiti,

perché nell’arnia razionale si faranno raccolti fin dalla prima

smielatura, preparati i melari. Continuare l’alimentazione alle fa-

miglie bisognose, a seconda del loro stato.

Maggio: curare gli sciami, combattere lo sviluppo delle tarme

con la pulizia delle arnie e col dare alla larve delle tarme una cac-

cia accanita, nelle prime ore del mattino, allargare il nido aggiun-

gendo nuovi telaini con celle da operaie, e gli eventuali telaini con

fogli cerei. Se il tempo è favorevole al raccolto sovrapporre il me-

lario con favi, anche se hanno celle da fuchi.

Giugno: finisce il periodo della più intensa ovificazione della

madre. Riunire gli sciami secondari al ceppo madre, salvo che

Page 34: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

non sia più conveniente farlo in autunno. In questo mese è mag-

giore il pericolo dell’invasione delle farfalle teschio, non lasciare

le porticine senza gli schermi che forse erano stati tolti all’epoca

del maggior lavoro, e che ormai non dovranno più essere tolti.

Luglio: la raccolta sui fiori va diminuendo, specie dopo il taglio

dell’erba medica. Un segno sicuro che il raccolto è diminuito è

quando si osservano le api foraggiare sui fiori di rovo nelle siepi;

le api in questo mese raccolgono anche quell’umore dolciastro

emesso dagli afidi, o trasudato dalle foglie, detto manna o rugiada

melata. Se il miele ha in gran parte questa origine, risulta di quali-

tà un po’ inferiore. Luglio è il mese in cui le famiglie forti distrug-

gono i fuchi diventati ormai inutili. Se si vedono ancora questi

oziosi mangioni ad entrare ed uscire in gran numero dalle portici-

ne, è segno che in quell’arnia non è stata fatta la strage dei fuchi,

ed è perciò che quella famiglia è debole od orfana, ed è necessa-

rio provvedere a seconda del caso. Continuare a fornire alimento

alle famiglie tardive, le quali non potrebbero coltivare a sufficien-

za, a questo punto si toglie qualche telaino ricco di miele da fami-

glie forti, e si passa alle famiglie deboli. Tale lavoro dovrà essere

fatto alla sera, dopo calato il sole, per non provocare il saccheg-

gio. Sorvegliare i favi nell’armadio di riserva. Luglio è anche il

mese dell’apicoltura normale, più quelli che si trovano in regioni

o località adatte e che possono praticarla. Togliere i melari ed

opercolati (smielatura).

Agosto: eseguire la rivista estiva, ricordarsi gli schermi alle por-

ticine. Ombreggiare gli apiari troppo soleggiati. Sorvegliare gli

apiari, giacché in questa stagione, specie se non piove, il raccolto

è quasi nullo. Molte api muoiono estenuate dalla fatica, e le fami-

glie meno popolose più esposte ai saccheggi ed ai nemici. Non

Page 35: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

dimenticare i suffumigi di zolfo nell’arnia di riserva. I favi che

non si desidera conservare, si facciano sciogliere a mezzo della

seccatrice solare.

Settembre: restringere le porticine, specie degli alveari poco for-

ti, eseguire la rivista alle arnie bisognose. Rinforzare le famiglie

deboli, prepararsi per le riviste autunnali.

Ottobre: iniziare la rivista autunnale, somministrare il cibo alle

famiglie di api che ne hanno meno di 10 kg, fare la stima del con-

tenuto. Restringere le porticine per aiutare la difesa contro i ne-

mici. Ottobre è il mese più conveniente per l’acquisto ed il tra-

sporto delle arnie villiche.

Novembre: completare i ripari invernali con stuoie paglia, cusci-

ni pieni di pula, poi lasciare le api completamente tranquille.

Dicembre: in questo mese le api abbisognano della massima

quiete. Sgomberare dalla neve le porticine e i davanzalini, e quan-

do si può il terreno innanzi all’apiario.

Flora melifera:

Le piante che offrono la maggior quantità di polline e nettare so-

no:

Fra le piante aromatiche: maggiorana, salvia, timo, rosmarino,

lavanda, menta, melissa. Esse offrono il miele più profumato.

Fra le piante da orto: zucche, zucchette, cocomeri, fagioli, piselli,

cavolfiori, ecc.

Fra le piante da frutto: vite, nocciola, uva spina, lampone, frago-

la, ciliegio, pruno, mandorlo, albicocco, ecc. Esse offrono miele

rosastro e delicato. Il castagno è ricco di nettare, ma di gusto ed

odore inferiore a quello delle altre piante da frutto. Saporito è il

Page 36: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

miele che proviene dai meli, mentre insipido è quello che provie-

ne dai peri.

Fra le piante da campo e pratensi: veccia, fava, cavallina, colza,

ravizzone, senape, grano saraceno, fraine, trifoglio, medica, lino,

rape, borena, ecc. Le superbe produzioni di miele delle Marche e

degli Abruzzi si devono specialmente alle larghe distese di sulla, e

poi erba medica, ove le api trovano un abbondantissimo forag-

giamento. La sulla, la lupinella, l’erba medica, il rododendro e l’e-

dera, offrono miele bianco e delicatissimo.

Fra le piante ornamentali ed industriali: reseda, geranio, garofano,

mughetto, caprifoglio, placelia, tenacetifolie, ginestra, robina, ti-

fro, olmo, quercia, salice, pioppo, sophora, albero di giuda, abete

e tutte le altre conifere in generale. Acacia e tiglio offrono miele

color ambra con gusto e profumo caratteristico. Le genziane e

l’ippocastano danno il miele dal gusto amarognolo. Oltre il vero

nettare, dobbiamo considerare la rugiada melata, un succo zuc-

cherino eliminato da alcune foglie, forse per effetto delle punture

degli afidi, e che viene pure succhiato dalle api, e utilizzato per la

trasformazione in miele.

Come impedire il saccheggio o il brigantaggio delle api:

Avviene talvolta che un’arnia venga invasa da api di un’arnia vici-

na. Ben presto si accende una lotta accanita, e se la famiglia presa

di mira è debole, la madre rimane uccisa, ed il miele viene del tut-

to asportato. Le cause che determinano il saccheggio sono gene-

ralmente due: la famiglia è debole, le guardie dell’arnia non sanno

difenderla, e perciò essa viene presa di mira dalle bottinatrici del-

le famiglie forti, che esaurite le risorse della fioritura si mettono

in cerca di nuovo bottino; oppure il saccheggio è dovuto all’iner-

Page 37: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

zia dell’apicoltore stesso, durante le diverse operazioni. Ciò si ve-

rifica specialmente in primavera ed in autunno, quando si lascia-

no troppo esposti i telaini o pezzi di favo con miele, mentre le

api raccoglitrici non trovano nettare nei campi. Il saccheggio una

volta manifestatosi è contagioso, e si propaga di arnia in arnia.

Diviene veramente difficile impedirlo quando la popolazione del

nostro apiario ha perduto il rispetto dell’altrui proprietà. È natu-

rale che i periodi più pericolosi siano quelli della fine del raccolto

(estate - autunno). Per evitare il saccheggio necessita dunque ave-

re famiglie forti, e che i lavori che importano lo scoperchiamento

delle arnie non si facciano che verso la sera, e sempre assai rapi-

damente, con ordine e pulizia, guardare bene di non lasciare trac-

ce di miele e di cera all’esterno dell’arnia. Per aiutare la difesa si

trasporti, se possibile, l’arnia saccheggiata a notevole distanza,

ponendo al suo posto un’arnia vuota con due telaini con cera

(niente miele), perché vi entrino le api che si trovavano a forag-

giare, altrimenti esse entrerebbero nelle arnie vicine. Poi si re-

stringono e si chiudono subito le porticine con uno schermo.

Può anche giovare lo stratagemma di spruzzare le api simulando

una pioggia. Esistono anche degli apparecchi per rendere più dif-

ficile il saccheggio.

Malattie:

Diarrea.

In seguito ad un inverno troppo prolungato, per la mancata eva-

cuazione delle feci del primo volo di purificazione per miele cat-

tivo, o per mancanza di polline, è facile che le api si ammalino di

diarrea. Gli alveari deboli vanno soggetti più facilmente dei forti.

Le api ammalate insudiciano l’arnia, i favi ammuffiscono; le api

Page 38: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

hanno il ventre gonfio, e se il male è molto diffuso e non soprag-

giungono giornate buone, è facile che la colonia abbia a perire.

Peste o marciaia:

La peste, o marciaia, o putredine delle covate, è una malattia che

colpisce le covate. La peste è di due speci: americana ed europea.

I nomi non significano che queste due malattie siano solo in Eu-

ropa o in America, ma ricordano i primi paesi dove furono stu-

diate. Sintomi comuni di queste due malattie: la famiglia colpita è

depressa e inattiva; le covate, invece che in celle tutte vicine le

une alle altre, sono sparse qua e là per il favo, e trasformate in

una massa semisolida, fetida, spesso filante, di colore bianco

sporco, che poi passa al bruno, e che le api operaie non sempre

riescono ad esportare. La peste europea (Bacillus Sluton), è meno

grave della peste americana (Bacillus Larvae), perché le larve

muoiono generalmente nei primi giorni di vita, e perciò prima

dell’opercolatura delle celle, e le operaie possono portare facil-

mente fuori dall’alveare i cacchioni morti. La peste americana è

detta anche peste maligna; colpisce le larve quando le celle sono

già opercolate, e le larve stanno per trasformarsi in ninfa. La

massa che riempie le celle diventa dapprima giallognola, e poi si

trasforma in una massa vischiosa, nera, fetida (analogo puzzo a

quello della colla da falegname marcita). Al bacillo Sluton, che a

milioni invade le larve morte, si aggiungano altri bacilli che impu-

tridiscono e dissolvono la massa, quale lo (Streptococus Apis), il

(Bacillus Alvei). Il miele è normalmente il veicolo principale di

questa malattia, cosicché, oltre alla eliminazione di tutta la covata

completa, è necessario togliere ogni traccia di miele tenuta sia nei

favi come nel corpo stesso dell’ape. Da ciò il tentativo di cura

che consiste nel cambiare l’arnia e la madre, e fare la cosiddetta

Page 39: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

cura della fame. A tale scopo bruciare tutti i favi con covata, so-

stituendoli con fogli cerei o telaini con tracce di cera, lasciando

pochissimo miele ed anche, in luogo di esso, un po’ di sciroppo

allungato con disinfettante (1 kg di zucchero e 5g di acido salicili-

co, sciolto in 2 kg di acqua). Non basta: le api non possono asso-

lutamente trasportare le larve che sono socchiuse in queste celle,

e che diventano un centro stabile d’infezione. All’infuori dell’a-

spetto esteriore, l’apicoltore è sicuro della diagnosi di peste ame-

ricana forando con uno spillo un opercolo, dal quale vedrà uscire

un lungo filo di sostanza nera, (vischiosa e putrida). Dopo due

ore si debbono togliere i telaini con foglio cereo che avevamo

messo, perché essi possono ancora contenere dei germi della ma-

lattia, e si debbono sostituire con altri fogli cerei, i quali pure do-

po ventiquattro ore dalla completa costruzione, debbono essere

estratti e rimessi a posto, dopo una rapida disinfezione ottenuta

imergendoli per un momento in bagno di soluzione di acido for-

mico (1/2 litro in 5 litri di acqua). L’arnia ed i telaini infetti, per

poter essere in seguito adoperati di nuovo, devono essere accura-

tamente disinfettati, prima strofinandoli bene con un cencio im-

bevuto di benzina o petrolio, e poi col passarli rapidamente sopra

una fiammata di paglia o di carta. I favi infetti, se sono pochi,

vanno bruciati senz’altro. Se fossero in notevole quantità devono

subito essere allontanati e lasciati immersi per almeno due giorni

in una soluzione energicamente disinfettante (acido solforico in

acqua al 5%, o in alcool contenente il 20% di formalina, 2 litri

ogni 25 favi). La cera potrà essere ottenuta per fusione, riscaldan-

do la soluzione medesima. Per estrarre la propagazione del mor-

bo, l’apicoltore deve disinfettare energicamente, con sublimato

all’1% o al 2%, mani, vesti e tutti gli attrezzi che abbiano servito

o comunque avuto contatto con api ammalate, o anche solo so-

Page 40: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

spette. I fratelli Giardini di Ravenna consigliano di spruzzare le

famiglie ammalate di peste con una miscela formata di: gr. 800 di

acido formico, gr. 160 di alcool, gr. 760 di acqua. Gli apicoltori

Lewis consigliano una soluzione di ipoclorito di sodio. Il Dubin

consiglia di somministrare alle api un alimento antisettico, forma-

to aggiungendo a 1/2 litro di miele, da 300 a 500 gocce di una

soluzione alcoolica di acido salicilico (1 parte di acido in 4 di al-

cool). Il lavoro va fatto naturalmente alla sera, chiudendo le por-

ticine delle arnie, portando quelle curate in località lontana.

Covate a sacco:

Ha qualche carattere esteriore per cui in principio può essere

confusa con la terribile peste. Nessuno speciale odore rivela que-

sta malattia abbastanza rara. Le larve che ne sono colpite cadono

nel fondo della cella già opercolata, e rimangono come insaccate

in un involucro durissimo. Le api estraggono i cacchioni morti e,

assai spesso senza l’intervento dell’uomo, la malattia diminuisce e

scompare. (Il trovare molti cacchioni morti non deve fare neces-

sariamente pensare a questa peste benigna). In qualche caso l’api-

coltore scoprirà facilmente che tale moria proviene da freddo

preso, o da mancanza di nutrici.

Mal di maggio, o frenesia:

Non si conosce ancora se questa malattia sia di origine infettiva.

Le api colpite sono spelate, hanno l’addome un po’ gonfio, luci-

do, untuoso, e prese da tremito si aggirano con movimenti scom-

posti, e cadono davanti all’apiario senza sapere più volare; strano

che ne vengano colpite le famiglie più forti. Si è osservato però

che ciò avviene dopo un lungo periodo di cattivo tempo, in se-

guito a mancanza di miele e di polline per le covate, e per tra-

Page 41: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

sporto di arnie durante questo periodo. Cercare di ovviare ai

suaccennati inconvenienti è certo un grande passo col prevenire

queste strane malattie. A malattia già sviluppata è sempre stato

usato, con risultato spesse volte felice, il cambiamento della ma-

dre, e la somministrazione di miele reso franco, con l’aggiunta di

un po’ di vino generoso, o con qualche goccia di essenza di ro-

smarino, di salvia, ecc.

Nosema:

È una malattia contagiosissima dovuta ad un protozoo (Nosema

Apis), che si installa nello stomaco ed anche nell’intestino dell’a-

pe. In Italia per fortuna non si è mai propagata entro i vecchi

confini; esiste però nel Trentino e nell’Alto Adige, forse importa-

ta dalla Svizzera. È anche da consigliare all’apicoltore una grande

cautela nell’importazione di api dai paesi sunnominati. Bisogna

accertarsi prima della inesistenza della malattia nel luogo di ac-

quisto. Per curare questa malattia è consigliabile lo sciroppo me-

dicato all’1 per mille con scaftolo beta, o con salolo. Queste so-

stanze devono essere prima sciolte nell’alcool.

Le tarme degli alveari:

Le tarme degli alveari sono fra le più temibili nemiche delle api.

La sera la farfalla delle tarme cerca di introdursi nell’arnia per de-

positarvi le uova, dalle quali nascono le larve. Le larve sono fusi-

formi, biancastre, lunghe persino tre centimetri, hanno movi-

menti vivi, serpentini, sono voracissime, distruggono i favi in po-

chissimo tempo. Compiono nell’arnia tutta la loro metamorfosi;

mangiano voracemente per 30 lunghi giorni, finché sono allo sta-

to larvale. Poi si chiudono nel bozzolo dove stanno altri 20 gior-

ni, finché giunte allo stato perfetto escono da bozzolo e dall’al-

Page 42: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

veare, ove rientrano ancora solo per deporvi le uova. Guai se le

larve riescono a vivere e a crescere. Le api stesse pensano a di-

fendersi dalle tarme, ma talvolta avviene che sono occupatissime

per le covate e fuori faccia troppo freddo per esportare le larve.

L’apicoltore deve aiutarle nella lotta, praticando soprattutto la

pulizia del fondo delle arnie. Le tarme possono attecchire solo

nelle famiglie deboli e maltenute. In una famiglia forte non pos-

sono regnare. L’apicoltore non dimentichi neppure la sorveglian-

za degli armadi, dove stanno i favi di riserva, facendo pulizia e

abbondanti solforazioni. Anche qui le tarme in pochissimo tem-

po sono capaci di distruggere ogni traccia di cera.

Sfinge o testa di morto:

Altro nemico accanito dell’ape è la sfinge, detta anche “testa di

morto”, o “Acherontia Atropos”, perché porta deposte sul cor-

saletto alcune macchie gialle e nere, a guisa di teschio. La farfalla,

alla fine dell’estate sull’imbrunire, entra nell’arnia e si rimpinza di

miele (una sola femmina è capace di rubare 50 gr. di miele per

volta). Le api delle famiglie forti riescono spesso ad ucciderla, ed

allora fanno come tutti i nemici uccisi che sono ingombranti per

poter essere trasportati (l’avvolgono e la imbalsamano col propo-

li, perché non imputridisca ed infetti l’arnia). Da parte dell’apicol-

tore il rimedio è semplice, si tratta di applicare alla porticina il

cosiddetto schermo, che è una specie di cancelletto di lastre me-

talliche, di chiodi, ecc., che non lascerà passare animali più grossi

delle api. Lo stesso schermo vale evidentemente per altri animali

più grossi delle api, come i calabroni, i topi, ecc., ed anche per

altri nemici, meno grossi, come formiche, vespe, ecc. Gli schermi

danno sempre del vantaggio, favorendo la difesa delle api, le qua-

Page 43: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

li rimarranno sempre vittoriose nella lotta, se si tratta di famiglie

forti.

Un nemico proteiforme “Trichodes Apiarius”:

È un bel coleottero, per la forma assomiglia alle cantaridi. Ne è

poco più piccolo (circa 13 mm). Ha la parte anteriore del corpo

di color azzurro lucente, con strisce rosse. Le sue larve nel primo

stadio di vita insidiano le uova delle api; in stadi larvali successivi,

prima di diventare insetti perfetti saccheggiano il miele.

La “Braula Cocca” o pidocchio dell’ape.

È un dittero grosso circa quanto un granellino di miglio, che vive

nel corsaletto delle api, di preferenza sulle madre, le quali spesso

sono veramente sovraccariche. Le api operaie e le madri giovani

ne sono quasi immuni. Per liberare l’ape dalla Braula è sufficiente

cambiare la madre se vecchia o ammalata, sostituire i favi vecchi,

e spargere un po’ di naftalina sul fondo dell’arnia.

Acaro Tarsonemo Wooidi:

C’è una malattia detta dell’Isola di Wight (isola tra l’Inghilterra e

la Francia), dovuta ad un acaro, il “Tarsonemus Wooidi”, il quale

s’insinua nelle vie respiratorie delle api, e specialmente nella tra-

chea, dove compie tutta la sua metamorfosi da uovo a insetto

perfetto. (Non si sa precisamente se siano veri parassiti o dei

concorrenti al parto dell’ospite; c’è però chi asserisce che le ma-

dri importate qualche volta soffrono e anche muoiono). Le fami-

glie colpite si vedono perire. Ancora non vi si è trovato il rime-

dio, perciò molti scienziati stanno occupandosene. Visto che tale

malattia fortunatamente non si è mai diffusa in Italia, ed è molto

improbabile che possa diffondervisi, perché l’ape nostra, portata

Page 44: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

nei paesi colpiti è sempre rimasta immune, possiamo limitarci a

questo breve cenno.

Articoli del Codice Civile.

Art. 413: sono beni immobili per destinazione, le cose che un

proprietario di un fondo vi ha posto per il servizio e la coltivazio-

ne del medesimo. Come le conigliere, le colombaie, ecc. Sono

considerati tali anche gli apiari.

Art. 713: ogni proprietario di sciami di api ha diritto d’inseguirli,

ma deve risarcire il danno cagionato al possessore del fondo.

Quando il proprietario non li abbia inseguiti entro due giorni, e

abbia cessato di inseguirli, può il possessore del fondo prenderli e

ritenerseli.

Nomi di studiosi apicoltori, e stabilimenti di materiali apistici.

1. Barbini Edoardo, insegnante di apicoltura nella Scuola

Pratica Agricola femminile (favi artificiali per melari).

2. Bebi Nazzareno, Apicoltore di Gubbio (Umbria).

3. Carlini Carlo, dello Stabilimento apistico di Santarcangelo

di Romagna (Apicoltura pratica italiana, Carlo Tarantola

editore, Piacenza).

4. Catini prof. A. Direttore della Società Apistica Italiana

“Gli amici delle api”, Ancona.

5. Guzzi Antonio e figlio, dello Stabilimento apistico di Se-

sto San Giovanni, Milano.

6. Paglia Lucio, dello Stabilimento apistico di Castel San Pie-

tro, Bologna. (Allevamento madri).

Page 45: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

7. Pantanelli, dello Stabilimento apistico di Santarcangelo,

Romagna.

8. Perucci, cav. I., dello Stabilimento apistico di San Severi-

no, Marche.

9. Piana Gaetano, dello Stabilimento apistico di Castel San

Pietro, Bologna. (Allevamento madri).

{ Un litro di miele pesa Kg 1,400 circa }

Indice:

Apicoltura

Descrizione e vita delle api - La testa

Il torace

L’addome

Le api operaie

La madre

L’opera della madre

I fuchi

Metamorfosi dell’ape

Costruzione della cera

La razza da prescegliere

La qualità di una buona arnia

Arnia Dadant Blatt

Page 46: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Vantaggi dell’arnia Italo - Dadant Blatt

Strumenti di lavoro

Lo sciame e la sua raccolta

Sciami secondari

Come si prepara uno sciame artificiale

Acquisti api

Bugni villici

Le cautele per gli acquisti villici

Trasporto dell’arnia villica

Muta o travaso

Riunione di famiglie

Come procurare una nuova madre

Fabbricazione dei fogli cerei

Alimentazione suppletiva degli alveari poveri

Apicoltura nomade - Stato civile degli alveari

Tabella apistica

Rivista primaverile

Rivista autunnale

Calendario apistico. Gennaio - Febbraio - Marzo

Aprile - Maggio - Giugno

Luglio - Agosto

Page 47: "Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

Sett. - Ott. - Nov. - Dic. Flora melifera fra le piante aro-

matiche

Da orto - Da campo e pratensi - Ornamentali e industriali

Come impedire il saccheggio o il brigantaggio delle api

Malattie: - Diarrea - Peste o marciaia

Covate a sacco - Mal di maggio o frenesia

Nosema - Le tarme degli alveari

Sfinge o testa di morto

Un nemico proteiforme

La Braula Cocca - Acaro Tarsonemo Wooidi

Articoli del codice civile

Art. 413 - Art. 713

Nomi di studiosi apicoltori e stabilimenti di materiali api-

stici

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Trascritto da Sergio, figlio di Costantino Antognelli.

Anno 2012