SISP2012_UE e contesto globale

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%1 XXVI CONVEGNO SISP UNIVERSITÀ DI ROMA III 13-15 SETTEMBRE 2012 Lo sviluppo dell'Unione Europea e la sua crisi nel contesto globale Roberto Castaldi 1 Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant'Anna, Pisa First draft. Commenti benvenuti: [email protected] Abstract Il paper intende da un lato evidenziare la necessità metodologica di analizzare l'interazione tra diversi livelli e settori di analisi nello studio del processo di unificazione europea, e dall'altro proporre di interpretare l'intero processo di unificazione europea come la risposta europea all'evoluzione del contesto globale, ed in particolare alla perdita di centralità dell'Europa seguita al passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale e bipolare degli Stati dopo il 1945. Verrà utilizzato lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership per analizzare la costante interazione tra il livello di analisi mondiale, europeo e nazionale nel determinare tempi e agenda del processo di unificazione europea in alcuni dei suoi passi più salienti, includendo i successi e gli insuccessi. Infine verranno analizzate le modalità con cui la crisi finanziaria scoppiata negli USA nel 2008 si è "trasferita" in Europa investendo e mettendo a rischio la tenuta dell'Unione Monetaria. 1 Desidero ringraziare gli amici Piero Esposito e Francesco Pigozzo per gli utili commenti a una precedente versione del paper e per l'indicazione di alcuni dati a sostegno delle tesi qui sostenute, di cui sono comunque il solo responsabile.

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XXVI CONVEGNO SISP UNIVERSITÀ DI ROMA III

13-15 SETTEMBRE 2012

Lo sviluppo dell'Unione Europea

e la sua crisi nel contesto globale

Roberto Castaldi1

Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant'Anna, Pisa

First draft. Commenti benvenuti: [email protected]

Abstract

Il paper intende da un lato evidenziare la necessità metodologica di analizzare l'interazione tra diversi livelli e

settori di analisi nello studio del processo di unificazione europea, e dall'altro proporre di interpretare l'intero

processo di unificazione europea come la risposta europea all'evoluzione del contesto globale, ed in particolare

alla perdita di centralità dell'Europa seguita al passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale e bipolare degli

Stati dopo il 1945.

Verrà utilizzato lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership per analizzare la costante interazione tra il

livello di analisi mondiale, europeo e nazionale nel determinare tempi e agenda del processo di unificazione

europea in alcuni dei suoi passi più salienti, includendo i successi e gli insuccessi.

Infine verranno analizzate le modalità con cui la crisi finanziaria scoppiata negli USA nel 2008 si è "trasferita" in

Europa investendo e mettendo a rischio la tenuta dell'Unione Monetaria.

1 Desidero ringraziare gli amici Piero Esposito e Francesco Pigozzo per gli utili commenti a una precedente versione del paper

e per l'indicazione di alcuni dati a sostegno delle tesi qui sostenute, di cui sono comunque il solo responsabile.

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Introduzione

La tradizione storiografica tedesca della politica di potenza, da Ranke a Dehio, ha sempre denunciato i

tentativi di produrre delle "storie nazionali" incentrate su narrazioni interamente domestiche2. Tuttavia, il

nazionalismo metodologico, denunciato da Beck (cfr. Beck 2000: 21-4, che ha il merito di valorizzare ed estendere

intuizioni di Martins 1974: 276 e sgg, e Smith 1983: 263), non domina solo negli studi storiografici, ma più in

generale nelle scienze sociali. Il tentativo di analizzare le realtà sociali ad un unico livello di analisi continua così

ad essere dominante, perfino nello studio di processi complessi e di lungo periodo.

Nella letteratura di Relazioni Internazionali si è sviluppato un dibattito sulla questione dei livelli di analisi4,

ma più rivolto a mettere in rilievo le diverse potenzialità dello studio dell'uno o dell'altro livello, e la possibilità di

sviluppare differenti teorie ai vari livelli, volte a spiegare processi e fenomeni specifici. Si tratta di riflessioni assai

utili, ma che non esauriscono la questione, tralasciando il tema dell'interazione tra i diversi livelli nell'analisi dei

sistemi internazionali. Il processo di unificazione europea costituisce un utile esempio dell'importanza di

considerare l'interazione tra diversi livelli di analisi: solo così infatti è possibile comprenderne tempi e natura.

Seguendo la distinzione proposta da Buzan e Little (2000: cap. 4) per individuare i diversi livelli, è possibile

considerare l'Unione Europea come un sub-sistema regionale del sistema internazionale mondiale, e in tale sub-

sistema possiamo distinguere tra le dinamiche legate all'interazione degli Stati membri con le istituzioni europee

e fra loro, e le dinamiche interne ai vari Stati membri. L'interazione tra queste dinamiche e l'evoluzione del

sistema mondiale è a sua volta cruciale per comprendere l'evoluzione del processo di unificazione europea.

In maniera analoga le principali tradizioni teoriche di Relazioni Internazionali tendono a formulare ipotesi

alternative rispetto alla prevalenza di un settore di analisi sull'altro, mettendo di volta in volta in evidenza il ruolo

del settore politico-militare, o di quello economico, o di quello culturale e inter-soggettivo, piuttosto che tentare

di analizzare la loro interazione. In un certo senso, sono ipotesi che replicano con contenuti diversi il tentativo

marxista di identificare un settore come strutturale e gli altri come sovra-strutture, sia pure dotate di autonomia

relativa, ma in ultima istanza e nel lungo periodo in qualche modo dipendenti dall'evoluzione del settore

strutturale. Anche nell'ambito delle teorie dell'integrazione la tradizione realista da un lato e quella liberale - e

specialmente il liberal intergovernmentalism - sottolineano la prevalenza del settore e quindi delle motivazioni e

delle logiche politica o economica rispettivamente. In questa sede si sostiene invece un approccio incentrato sul

pluralismo metodologico e teorico, fondato sul presupposto che non sia opportuno dare per scontato che in ogni

tempo e in ogni luogo lo stesso settore abbia avuto carattere strutturale, ovvero che tutte le dinamiche strutturali

di cambiamento abbiano sempre origine nelle evoluzioni di quel settore, ma che sia opportuno valutare

2 Per un'analisi delle maggiori figure di tale tradizione in Italia cfr. Pistone 1969, 1977 e 1978.

3 Molti lavori successivi di Beck approfondiscono questa critica e le contrappongono la proposta del "cosmopolitismo

metodologico", su cui vedi in particolare Beck 2006, Beck e Sznaider 2006, Beck 2012. 4 Su tale questione si sono soffermati in particolare alcuni autori della English School e del costruttivismo sociale: cfr. Ruggie

1989, Onuf 1995; Wendt 1999, Buzan e Little 2000 .

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l'eventuale predominanza di un settore di volta in volta alla luce del processo storico studiato e delle interazioni

empiricamente verificabili tra i vari settori.

Il paper analizza il processo di unificazione europea in rapporto all'evoluzione del sistema mondiale da

questa duplice prospettiva, volta a mettere in rilievo l'interazione tra diversi livelli e settori di analisi e

l'impossibilità di assegnare priorità ad uno solo di essi. La comprensione dei tempi e degli esiti delle varie fasi

dell'unificazione europea richiede infatti un'analisi attenta dell'evoluzione delle dinamiche politiche, economiche

e culturali al livello del sistema mondiale, del sistema europeo, e degli Stati membri - nonché della loro reciproca

interazione.

La tesi interpretativa qui proposta è che l'avvio dell'unificazione europea sia stata la risposta europea

all'evoluzione del contesto globale, ed in particolare alla perdita di centralità dell'Europa seguita al passaggio dal

sistema multipolare europeo al sistema mondiale bipolare dopo il 1945. Lo schema interpretativo crisi-iniziativa-

leadership5 aiuta ad analizzare la costante interazione tra il livello di analisi mondiale, europeo e nazionale nel

determinare tempi e agenda del processo di unificazione europea in alcuni dei suoi passi più salienti,

comprendendone i successi e gli insuccessi.

1. Lo sviluppo dell'unificazione europea

Il tema dell'unità europea è presente nella letteratura politica da secoli (cfr. almeno Croce 1932, Chabod

1964, Spadolini 1984; per la prima occorrenza dell'espressione "Stati Uniti d'Europa" cfr. Hugo 1849-1875: 220), e

ha acquisito salienza politica dopo la Prima guerra mondiale, con la formazione delle prime organizzazioni

europeiste come Pan-Europa, e l'avvio di riflessioni sul tema nell'ambito della Società delle Nazioni, e da parte di

molti leaders europei. Celebre la frase del deputato francese Gaston Riou, fatta propria da Aristide Briandt,

secondo cui la scelta per l'Europa è tra "s'unir ou mourir" [unirsi o perire] (Riou 1929). Tuttavia, l'Europa come

ente autonomo non esisteva e gli Stati nazionali europei - ancora grandi potenze nell'ambito della transizione dal

sistema europeo al sistema mondiale degli Stati - preferirono morire, provocando la Seconda guerra mondiale. La

conclusione di questo conflitto segna l'avvio del sistema mondiale bipolare dominato da due soli Stati, gli USA e

l'URSS, e la fine della centralità europea. Gli Stati europei perdono un ruolo autonomo e vengono spartiti tra le

due super-potenze, impossibilitati perfino a determinare autonomamente il proprio regime interno, oltre che la

propria collocazione internazionale e di politica estera. Nelle parole di Einaudi sono "polvere senza sostanza" (cfr.

Einaudi 1956: 89). In quelle più recenti di Brzezinski, "protettorati militari de facto" americani o sovietici prima e

solo americani poi, a dispetto dei risultati dell'integrazione (cfr. Brzezinski 1997 e Brzezinski 2000-2003: 70).

5 Tale schema interpretativo è stato sviluppato inizialmente da Albertini, e ho cercato poi di renderne esplicite le potenzialità

euristiche in alcuni scritti (cfr. Albertini 1966-1999a, 1968-1999b e Castaldi 2007, 2009, 2010b).

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In virtù degli sviluppi tecnologici e delle loro implicazioni economiche e militari tra la fine del XIX e il XX

secolo si è compiuto un mutamento di sistema internazionale con il passaggio dal sistema europeo al sistema

mondiale degli stati6. Per ragioni economiche e militari è necessario un territorio ed una popolazione più ampi che

in passato per essere grande potenza. Pertanto, le unità del sistema internazionale non sono più gli Stati nazionali

di taglia “europea”, ma gli Stati di dimensioni continentali già industrializzati, ovvero gli USA e l'URSS - la Cina e

successivamente l'India disponevano fin dall'inizio di tali dimensioni, ma dovevano anzitutto compensare la loro

arretratezza economica; perciò la loro attuale ascesa, legata al processo di industrializzazione in corso, non fa che

confermare la tesi in questione.

Questo mutamento di sistema internazionale - che è il corrispondente a livello mondiale di quella che a un

altro livello di analisi viene considerata la crisi degli Stati nazionali europei - costituisce la condizione di possibilità

per l'avvio di un processo di unificazione europea. Dopo aver dominato il mondo per alcuni secoli, era difficile per

gli europei accettare semplicemente un ruolo da comparse, e nell'ambito dei margini di autonomia a loro

disposizione - ciò che limitava automaticamente il campo agli Stati europei occidentali - cercavano mediante

l'integrazione di recuperare collettivamente un ruolo autonomo sul piano economico, e in prospettiva politico. Da

questa prospettiva il processo di unificazione europea costituisce una risposta da parte degli Stati europei, a

livello del sistema regionale, rispetto alle trasformazioni avvenute al livello del sistema internazionale mondiale.

Non può quindi essere studiato solo in riferimento ai rapporti tra gli Stati europei e all'evoluzione della loro

interazione e delle loro vicende politiche interne.

Lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership aiuta ad analizzare l'interazione tra i diversi livelli e

settori di analisi rispetto al processo di unificazione europea. Le crisi specifiche dei poteri nazionali, ovvero

l'emergere di problemi percepiti socialmente che non potevano trovare soluzione nel quadro nazionale,

costituiscono finestre di opportunità per l'avanzamento del processo di unificazione, e ne determinano la

possibile direzione, ovvero il settore: una crisi economica può permettere avanzamenti sul terreno

dell'integrazione economica, mentre una militare sull'integrazione militare e politica. L'effettivo sfruttamento di

tali finestre di opportunità dipende dal manifestarsi di una iniziativa, ovvero di una proposta di soluzione della

crisi mediante un avanzamento dell'unificazione europea - è questo il ruolo giocato in alcune fasi dalle personalità

ed organizzazioni federaliste (cfr. Albertini 1966-1999). Ma il successo di qualunque iniziativa dipende a sua volta

da due fattori: da un lato la sua effettiva corrispondenza alla crisi dei poteri nazionali socialmente percepita;

dall'altro il manifestarsi di una "leadership europea occasionale" che la faccia propria. Per "leadership europea

occasionale" Albertini intende una personalità politica (solitamente un primo ministro o un ministro degli esteri)

in grado di portare avanti la proposta, porla all'ordine del giorno dell'agenda politica europea, costruire intorno

ad essa il consenso necessario alla sua approvazione e successiva ratifica. Il carattere "occasionale" di tale

6 Non è possibile in questa sede soffermarsi sui diversi tipi di mutamento del sistema internazionale e sui metodi peculiari per

studiarli (cfr. Gilpin 1981-1995; Watson 1992; Buzan e Little 2000; Castaldi 2002-2007, 2012 in corso di pubblicazione), né sullo specifico passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale (su cui cfr. Seeley 1871-1989, Einaudi 1986, Toynbee 1948, Dehio 1948 e 1955, Elias 1989, Spinelli 1991, Albertini 1963-1993, 1999a e 1999b).

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leadership dipende dal fatto che i leaders politici si occupano essenzialmente di politica nazionale, e il loro

obiettivo è normalmente rimanere al governo, e non fare l'Europa; ma possono impegnarsi per fare l'Europa se

ritengono che questo sia il loro interesse e il loro dovere7. Tale ruolo di "leadership" potrebbe però essere giocato

in una certa misura anche da un'istituzione europea, e man mano che i loro poteri si sono venuti rafforzando

questo ruolo è stato in effetti occasionalmente giocato dal Parlamento e dalla Commissione. Così come la

proposta federalista può non corrispondere alla crisi, allo stesso modo la leadership europea può non emergere, o

non essere sufficientemente forte, o perdere il potere nel corso del tentativo e quindi non durare abbastanza,

considerati i tempi lunghi dei meccanismi decisionali europei.

Le crisi possono svilupparsi in seguito ad eventi determinatisi a livello mondiale, europeo o di Stati

membri. Similmente l'iniziativa e la leadership possono svilupparsi all'interno dell'ambito europeo - e anche qui si

può distinguere il livello degli Stati membri da quello delle istituzioni europee - o nell'ambito del sistema

mondiale. L'Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica fu creata grazie all'iniziativa e alla leadership

americana per gestire i fondi del Piano Marshall con cui gli USA intendevano rispondere al problema della

ricostruzione post-bellica europea e al consolidamento dei regimi democratici europei. Tuttavia, mentre le tappe

dell'unificazione europea sono state spesso la risposta a crisi conseguenti all'evoluzione del sistema mondiale,

raramente l'intervento diretto degli USA ha prodotto risultati significativi. L'OECE ha svolto un ruolo importante

nella ricostruzione più che nell'unificazione europea, e la pressione americana sulla Francia per la ratifica della

CED non ha avuto gli esiti sperati ed anzi è forse stata controproducente.

1.1. Dai primi tentativi al successo del Mercato Comune

Il primo tentativo di riflessione comune sull'unità europea, al Congresso de L'Aia del 1948, prese la forma

tradizionale della cooperazione internazionale e portò alla creazione del Consiglio d'Europa. Una grande

personalità europeista, Paul-Henri Spaak, venne chiamata a presiedere la sua assemblea parlamentare e subito

tentò di trasformarla nel luogo di riflessione e di elaborazione di una costituzione europea (cfr. Spaak 1980: parti

III e IV, Pistone 1992). Il fallimento di questo tentativo mostrò da un lato le diffidenze e le resistenze nazionali e

segnò l'abbandono sostanziale da parte delle personalità e delle organizzazioni europeiste del quadro offerto dal

Consiglio d'Europa, considerato non idoneo allo sviluppo del processo di unificazione europea.

Naturalmente, la stessa possibilità di avviare un cammino verso l'unità europea, anche solo da parte degli

Stati europei occidentali, richiedeva in primo luogo una riappacificazione strutturale, vincolante e perenne tra la

Francia e la Germania. A tal fine Monnet propose di creare un'Autorità sovranazionale per la gestione delle risorse

carbosiderurgiche - in primis i bacini della Ruhr e della Saar - per il controllo delle quali Francia e Germania

avevano combattuto tre guerre in meno di un secolo. Adenauer e Schuman accettarono l'idea e si arrivò alla

7 Spinelli nella sua azione sembra convinto che le personalità politiche agiscano tenendo conto sia del proprio interesse che

dei propri valori e di ciò che ritengono giusto per la collettività, dal momento che cerca sempre di convincere i propri interlocutori che fare l'Europa è tanto loro interesse quanto loro dovere (cfr. Castaldi 2010a).

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Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 e alla creazione della prima Comunità Europea del Carbone e

dell'Acciaio tra Francia, Germania, Italia e Paesi del BENELUX (cfr. Monnet 1976; Albertini 1963-1993 e 1977a

ecc.).

Sono opportune due considerazioni sulla nascita della prima Comunità: sulla sua natura e sulla sua

composizione. Si è trattato solo apparentemente di un'integrazione economica, perché le finalità e le ragioni della

scelta di quello specifico settore economico erano eminentemente politiche, come mostra un'analisi attenta della

Dichiarazione Schuman (disponibile su http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/europe-

day/schuman-declaration/index_it.htm, consultato il 31 agosto 2012). E si è trattata di una scelta politica e

istituzionale altamente innovativa: il quadro istituzionale della CECA era in larga misura federale, coerentemente

con la Dichiarazione Schuman che la proponeva come "prima tappa della Federazione europea". L'organo di

governo principale era l'Alta Autorità, ovvero l'esecutivo sovranazionale, e la CECA disponeva di poteri di

imposizione fiscale e della possibilità di contrarre prestiti - contrariamente alla CEE e ora all'Unione Europea che

ha l'obbligo del pareggio di bilancio e non ha capacità impositiva. Il discorso di insediamento di Jean Monnet

come Presidente dell'Alta Autorità e il suo primo discorso all'Assemblea Parlamentare della CECA forniscono

un'analisi puntuale - sebbene dimenticata come mostra il dibattito contemporaneo sulla crisi del debito sovrano -

di tali caratteristiche (cfr. Monnet 1955).

Lo scoppio della Guerra di Corea, e il timore che un evento simile potesse ripetersi nell'altro Paese diviso

in due, la Germania, portò alla richiesta americana di riarmo della Germania occidentale. La Francia e gli altri Stati

europei erano ancora timorosi di un esercito tedesco, e Monnet convinse Pleven a lanciare in alternativa la

proposta di forze armate europee sotto l'egida di una Comunità Europea di Difesa. Ancora una volta è

l'evoluzione della situazione mondiale che comporta una crisi, di carattere militare, che determina il settore

rispetto al quale gli Stati europei tentano un avanzamento del processo di unificazione.

Il solo avvio del progetto di trasferimento della sovranità nazionale sullo strumento militare al livello

europeo costituì una sorta di crisi endogena, ponendo il problema del controllo democratico dell'esercito europeo

e delle risorse necessarie ad esso. Si trattava di una crisi sul tema delle istituzioni e della democrazia, e anche la

risposta fu su quel terreno in una duplice forma. Da un lato, convinto da Spinelli, De Gasperi propose il progetto di

una Comunità Politica Europea (CPE). Dall'altro, la stesura del Trattato-Costituzione di tale Comunità non fu

affidata ad una conferenza intergovernativa, ma ad un organo di natura parlamentare, l'Assembla parlamentare

della CECA allargata a comprendere il numero di membri previsto per quella della costituenda CED, che prese il

nome di Assemblea Ad Hoc - meno impegnativo di Assemblea costituente, sebbene la funzione fosse di fatto

quella. L'Assemblea produsse nei tempi previsti un Trattato-Costituzione, che rimase lettera morta a causa della

caduta del progetto della CED.

Spesso il fallimento della CED è stato liquidato con l'idea che i tempi non fossero maturi, ciò che non

spiega tuttavia come sia stato possibile arrivare alla stesura e alla firma del Trattato CED, a far partire subito la

procedura costituente volta a realizzare il Trattato-costituzione della CPE, ad ottenere la ratifica di diversi Stati

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membri prima del blocco francese. Tenendo conto dell'evoluzione a diversi livelli di analisi è possibile offrire una

spiegazione più efficace. Sul piano mondiale la crisi militare che aveva dato origine al progetto venne meno con la

fine della guerra di Corea. Una guerra in Germania non sembrava più un'eventualità probabile, e questo rendeva

meno urgente la creazione dell'esercito europeo e ridava fiato alle resistenze nazionali a cedere la sovranità

militare, specialmente in Francia - Paese formalmente vincitore della Seconda guerra mondiale, e ancora dotato

di un impero. Sul piano interno alla Francia, ma sempre in relazione all'evoluzione del quadro mondiale, la crisi

dell'impero francese catalizzò l'attenzione pubblica, ancora una volta facendo apparire non prioritaria la ratifica

della CED in un contesto in cui era sì presente una maggioranza parlamentare favorevole, ma il tema rimaneva

divisivo delle forze politiche e dell'opinione pubblica in una fase in cui era opportuna la massima coesione per

affrontare la crisi dell'impero, rispetto alla quale anche il mantenimento di una capacità militare autonoma

francese era decisiva. L'evoluzione della crisi dell'impero e della politica francese portò a una serie di cambiamenti

di governo, fino all'ingresso nel governo dei gaullisti - strenui oppositori dell'esercito europeo perché contrari a

rinunciare alla sovranità militare francese - e all'uscita del MRP di Schuman. Inoltre, la morte di Stalin nella

primavera del 1954 favorì il diffondersi dell'aspettativa di una fase di distensione nei rapporti est-ovest, rendendo

meno urgente - ed anzi per alcuni potenzialmente controproducente - la creazione di un esercito europeo.

Quando infine, nell'agosto 1954 venne calendarizzata la discussione sul Trattato CED, il governo francese era

diviso al suo interno su tale questione e non era quindi in grado di porre la fiducia. Grazie al voto comune, ma per

ragioni ben diverse, di gaullisti e comunisti su una mozione procedurale di rinvio della discussione, l'Assemblea

nazionale francese di fatto affossò il Trattato istitutivo della CED8 e la connessa Comunità Politica Europea9.

Il fatto che l'unità europea costituisse l'unica prospettiva per allargare i margini di libertà a disposizione

nel nuovo sistema internazionale fece sì che una così grave battuta d'arresto del processo non ne abbia segnato la

fine. Il termine del Piano Marshall lasciava agli europei la gestione dei loro rapporti economici e, come sottolinea

Milward, la fine della garanzia del commercio con la Germania, che era diventata il pivot del commercio europeo

(cfr. Milward 2000 e 2002). Fu tale problema a determinare il settore economico, e più specificamente quello

commerciale, come il terreno del rilancio europeo. A seguito della Conferenza di Messina si arrivò ai Trattati di

Roma nel 1957 e alla creazione della CEE che prevedeva la realizzazione di un mercato comune, con l'abolizione

progressiva dei dazi e delle tariffe interni, accompagnata da un'unione doganale, ovvero dalla creazione di dazi e

tariffe esterni unici, e da una limitata circolazione dei lavoratori. Il fallimento della CED aveva però inciso: la CEE

8 Il resoconto delle sedute dell'Assemblea che portarono al rigetto del Trattato è disponibile sul sito ufficiale dell'Assemblea

stessa: http://www.assemblee-nationale.fr/histoire/ced/sommaire.asp (consultato il 29 agosto 2012). 9 Rispetto alla complessa vicenda della CED cfr. A. Spinelli, Promemoria sul rapporto provvisorio presentato nel luglio 1951

dalla conferenza per l’organizzazione di una Comunità europea di difesa, in A. Spinelli, Una strategia per gli Stati Uniti d’Europa, (a cura di S. Pistone), Bologna, Il Mulino, 1989; D. Lerner and R. Aron, France Defeats EDC, London, Atlantic Press, 1957; M. Albertini, La fondazione dello Stato europeo. Esame e documentazione del tentativo intrapreso da De Gasperi nel 1951 e prospettive attuali, in «Il Federalista», XIX, 1, 1977b; E. Fursdon, The European Defence Community: A History, London and Basingstoke, MacMillan,1980; D. Preda, Storia di una speranza. La battaglia per la CED e la Federazione europea nelle carte della Delegazione italiana (1950-1952), Milano, Jaca Books, 1990; ID. Sulla soglia dell’unione: la vicenda della Comunità politica europea (1952-1954), Milano, Jaca Books, 1994; M. Dumoulin (a cura di), L’echec de la CED (1954), Leçons pour demain ?, Bern, Peter Lang, Euroclio, 1999.

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viene dotata di un assetto istituzionale più intergovernativo e meno sovranazionale rispetto alla CECA, non gode

degli stessi poteri fiscali, e nemmeno di personalità giuridica autonoma.

Contemporaneamente Monnet era riuscito a convincere i governi dei Sei a realizzare anche una Comunità

Europea per l'Energia Atomica, l'Euratom, nell'ipotesi che lo sviluppo dell'energia atomica risultasse decisivo per

l'economia europea, e che in prospettiva si potesse arrivare ad una proprietà europea del materiale fissile e ad un

controllo europeo del nucleare anche a fini militari. L'avvento di De Gaulle in Francia frustrò completamente tali

aspettative.

Il successo della CEE e della Commissione Hallstein nel realizzare rapidamente il Mercato Comune e nel

garantire alti tassi di crescita economica spinse ben presto altri Stati europei a richiedere l'adesione, ma il ripetuto

veto di De Gaulle all'ingresso britannico fece sì che il primo allargamento si compia solo nel 1973. Forte di questi

successi, e delle norme dei Trattati che prevedevano l'avvio del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio

al termine del periodo transitorio di creazione del mercato comune, la Commissione Hallstein lanciò nuove

proposte di politiche europee. La Francia di De Gaulle si oppose a tali proposte, e soprattutto all'applicazione del

voto a maggioranza qualificata, disertando le riunioni della CEE e aprendo la crisi della sedia vuota, che si

concluderà solo con il Compromesso di Lussemburgo del 1966: di fatto un prolungamento del diritto di veto per

gli Stati membri. Si tratta in questo caso di una crisi endogena all'integrazione europea, legata alla gradualità

prevista rispetto all'applicazione di una norma istituzionale fondamentale dei Trattati. Lo scontro tra nazionalisti

ed europeisti trova in questo effetto ritardato del Trattato di Roma un terreno di scontro palese, e vede la vittoria

dei primi, grazie all'iniziativa e alla leadership risoluta di De Gaulle.

1.2. Dalla crisi del sistema monetario di Bretton Woods alla caduta del Muro di Berlino: il difficile percorso verso

la moneta unica10

Gli anni '70 sono talvolta considerati una fase di stallo o di eurosclerosi. Una più attenta analisi del processo e

della sua interazione con gli eventi sul piano mondiale e sul piano interno agli Stati membri aiuta invece a

considerarlo un decennio decisivo per il successivo sviluppo del processo fino alla creazione dell'Euro.

Nel 1971 la Dichiarazione di Nixon di inconvertibilità del Dollaro in oro segna la fine del sistema monetario

di Bretton Woods, e il passaggio epocale dalle parità monetarie fisse a quelle fluttuanti. Da allora gli USA han

potuto pagare i propri debiti sostanzialmente stampando dollari, senza che questo causasse una forte perdita di

valore da parte del dollaro, grazie al suo ruolo di moneta internazionale e di riserva, ovvero grazie alla domanda

mondiale di dollari. Una domanda stabile e rigida, in quanto per accedere al mercato internazionale di beni, in

primo luogo il petrolio, era necessario, come è in gran parte ancora adesso, pagare in dollari. Fu così possibile

10

In questa sede mi limito ad un'analisi volta a mostrare l'interazione tra gli sviluppi legati a diversi settori e livelli di analisi. Per una più puntuale analisi del percorso verso la moneta unica e per i relativi riferimenti alla letteratura rilevante cfr. il paper "La moneta unica e l'unione politica" per il panel "La moneta unica e la cittadinanza europea" (disponibile su http://www.sisp.it/files/papers/2012/roberto-castaldi-1376.pdf) da cui è tratto in larga misura il testo di questo paragrafo.

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aumentare enormemente la massa monetaria in dollari senza necessariamente provocare inflazione interna e

svalutazione nel cambio con le altre monete, a differenza di quanto avveniva, e avviene, per tutti gli altri Stati11.

Tra le altre implicazioni, tutto questo comportò negli anni Settanta anche una crisi del Mercato comune

europeo, che si era retto anche sull’uso del dollaro come moneta di riferimento de facto. Con l'avvento dei cambi

flessibili, oscillazioni di cambio significative delle monete europee tendevano a distorcere la concorrenza interna e

a mettere in gioco il funzionamento del mercato comune. Tale crisi permise all'iniziativa delle personalità e delle

organizzazioni federaliste a favore della moneta unica di entrare nell'agenda politica, fino all'approvazione del

Piano Werner per la realizzazione dell'Unione monetaria entro il 1980, approvato nel 1971 (cfr. Steinherr 1994).

Il progetto della moneta unica ha rappresentato la risposta strutturale europea al crollo del sistema

monetario di Bretton Woods, che ha amplificato il potere di "signoraggio" del dollaro e reso possibile lo sviluppo

degli squilibri globali e il peggioramento dei deficit pubblico, commerciale e della bilancia dei pagamenti

americano alla base della crisi attuale. E sempre dal piano mondiale, e sempre in relazione a tale crisi, arrivo un

nuovo shock esogeno che decretò il fallimento del primo tentativo di unificazione monetaria, la crisi petrolifera

del 1973.

L'improvviso, enorme e repentino aumento del prezzo del greggio deciso dall’OPEC, cui gli Stati europei non

potevano far fronte - come gli USA - solo stampando le loro monete perché, non sorrette dalla domanda

internazionale, questo avrebbe comportato inflazione all’interno e svalutazione sul mercato dei cambi. Dovettero

effettivamente ‘stringere la cinghia’, pagare di più il petrolio - con tutto ciò che questo comporta in termini di

costi di produzione, trasporto, ecc. – e acquistare più dollari per ottenere il petrolio, contribuendo così a

sostenere l’economia americana, oltre a quella dei Paesi produttori di greggio. In sostanza lo shock petrolifero

comportò un trasferimento di risorse dall'Europa e dal Giappone verso gli Stati Uniti ed i Paesi dell'OPEC. Fu allora

che i tassi di disoccupazione tra le due sponde dell’Atlantico cominciarono a differenziarsi strutturalmente a

sfavore dell’Europa, e iniziò in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, la perversa spirale tra inflazione, debito

pubblico, perdita di competitività e svalutazione della moneta.

La crisi petrolifera colpiva i vari Paesi europei in maniera asimmetrica secondo le diverse politiche

energetiche ed economiche messe in atto in risposta alla crisi. Germania e Italia costituiscono al riguardo due

esempi opposti. La prima prese piena coscienza della nuova situazione e cercò di rispondere alla recessione

aumentando la produttività e riducendo le spese. La seconda invece lanciò delle grandi e costose riforme sociali -

sanità pubblica universale e università di massa - stampando moneta e innescando una spirale di aumento

dell'inflazione e del debito pubblico. Lo shock petrolifero comportò una grave e lunga crisi economica che poneva

agli europei due opzioni: un’accelerazione verso l’unità, con un grande sforzo di solidarietà tra i vari Paesi con un

salto in avanti verso un'unione economica e monetaria per affrontare insieme la nuova situazione; o al contrario

una serie di scoordinate risposte nazionali e la rinuncia al Piano Werner.

11

Trattandosi di un tema al di fuori del focus di questo paper non è possibile qui soffermarsi sul fatto che tale vantaggio ha avuto un ruolo decisivo nel permettere agli USA di mantenere un ruolo egemonico nonostante il peso della loro economia rispetto all'economia mondiale decrescesse significativamente.

%10

Tra "uno per tutti e tutti per uno" e "ognuno per sé e Dio per tutti", allora le leadership europee scelsero la

seconda strada: il progetto di unione monetaria venne accantonato. Ne rimane traccia, oltre che nel dibattito

degli anni '70, nella creazione di un sistema di cooperazione monetaria europea, prima il "Serpente monetario

europeo" nel 1973 e poi il Sistema Monetario Europeo nel 197912. Lo SME non era in alcun modo assimilabile a

un'unione monetaria, né poteva essere considerato come una tappa verso di essa, non essendo previste le

successive tappe. Tuttavia, esso serviva a garantire il funzionamento del mercato comune riducendo le oscillazioni

di cambio tra le monete europee, e manteneva in piedi con la sua sola esistenza la questione della necessità di

una risposta comune europea alle questioni monetarie, e così la possibilità in futuro di riprendere il cammino

verso l'unione monetaria.

La scelta dell'unità nel 1973 era resa più difficile dal fatto che la CEE aveva appena realizzato il suo primo

allargamento, con l'ingresso della Gran Bretagna, della Danimarca e dell'Irlanda. L'ingresso britannico è avvenuto

nel 1973, dopo lunga attesa dovuta ai veti di De Gaulle, sulla base del crescente differenziale di crescita

economica a favore dei Paesi del Mercato Comune rispetto alla Gran Bretagna (cfr. Milward 2000: cap. 7, e

Milward 2002), e quindi di una forte aspettativa che l'ingresso nella CEE avrebbe portato un forte rilancio

dell'economica inglese. Lo shock petrolifero del 1973 ha invece portato la più grave crisi economica dal 1929,

frustrando tali aspettative diffuse. Sebbene la crisi fosse il frutto di processi del tutto indipendenti dall'adesione

britannica alla CEE, la concomitanza con essa ha contribuito certamente allo sviluppo dell'euroscetticismo nei

Paesi che hanno aderito nel 1973 - sebbene nel caso dell'Irlanda il forte sviluppo realizzato anche grazie all'utilizzo

di fondi comunitari a partire dalla seconda metà degli anni '80 abbia migliorato la situazione in tale Paese. Tutto

questo mostra anche l'interazione costante tra i vari settori: eventi nel settore economico hanno effetti rilevanti

sul piano politico e culturale, legati alla percezione sociale diffusa.

Accanto alla risposta europea nel settore economico, e più specificamente monetario, chiaramente legata

alla crisi monetaria mondiale, si manifesta una risposta di natura politico-istituzionale. Il crollo del sistema di

Bretton Woods e lo shock petrolifero colpivano in particolar modo l'Europa e mettevano in evidenza la debolezza

degli Stati europei e della CEE. Ancora una volta sono le personalità e le organizzazioni europeiste che, in maniera

diversa, prendono delle iniziative volte a rafforzare la Comunità da un punto di vista politico-istituzionale. Monnet

sottolinea la necessità di governare l'Europa e propone di creare un "governo europeo provvisorio" mediante

l'istituzionalizzazione degli incontri al Vertice, fino ad allora occasionali. Si arriva così nel 1973 alla loro

istituzionalizzazione de facto mediante la previsione di almeno un incontro in ciascuna presidenza di turno

semestrale. Le organizzazioni federaliste rivendicano invece l'elezione diretta del Parlamento Europeo, che viene

stabilita nel 1974, e poi realizzata nel 1979.

Tali sviluppi sono spesso poco considerati dalla letteratura, anche perché difficilmente inquadrabili nel

contesto delle due macro-teorie dominanti sull'integrazione europea, il neo-funzionalismo e il liberal

12

Per un'analisi di questa fase cfr. Mosconi 1980, e per un'accurata ricostruzione del dibattito italiano sulla nascita dello SME e sull'adesione dell'Italia Masini 2004.

%11

intergovernmentalism. Secondo quest'ultima teoria le innovazioni istituzionali sono sempre il sottoprodotto di

negoziati sulla sostanza economica dell'integrazione, ovvero sul trasferimento al livello europeo di competenze o

politiche specifiche, e sono volte semplicemente a garantirne l'efficace applicazione (cfr. Moravcsik 1998). Nulla di

ciò è riscontrabile però per l'istituzionalizzazione dei Vertici e l'elezione diretta del Parlamento, essenzialmente

estranei al funzionamento del Serpente monetario e dello SME. Allo stesso modo è difficile inserire tali scelte in

una logica di tipo neo-funzionalista in assenza di un aumento delle competenze della Comunità.

Il Parlamento eletto allora era sostanzialmente privo di poteri ma, forte della sua nuova legittimità

democratica, prese l'iniziativa di lanciare un grande progetto di riforma della CEE predisponendo una bozza di

Trattato di Unione Europea, noto come Progetto Spinelli, che prevedeva maggiori poteri per esso, la realizzazione

del mercato unico, e, a termine, della moneta unica, nonché una maggiore cooperazione sul piano degli affari

interni e della politica estera. Una innovazione istituzionale, l'elezione diretta del Parlamento, di fatto scatena una

contraddizione politica: l'assenza di poteri per l'unica istituzione rappresentativa e con forte legittimità

democratica della Comunità. Da allora in poi tutte le successive riforme istituzionali hanno sempre comportato un

graduale aumento dei poteri del P.E.

Tuttavia, allora, il Parlamento era effettivamente privo di sostanziali poteri, e quindi non aveva ancora

acquisito - come oggi - un ruolo di veto-player nel sistema istituzionale europeo. Questo aiuta a comprendere

come, nonostante i sostegni iniziali - in particolare dei Parlamenti italiano e belga e di Miterrand - il suo Progetto

non venne ratificato. Tuttavia, l'iniziativa del Parlamento aveva suscitato un dibattito e un'aspettativa sul rilancio

della Comunità e sulla riforma istituzionale, così i governi europei si trovarono nell'impossibilità politica di

rigettare semplicemente il Progetto Spinelli, senza offrire qualcosa in cambio all'opinione pubblica.

Questa situazione aprì la via alla convocazione della prima Conferenza Intergovernativa per la revisione

dei Trattati dal 1957 da parte della presidenza italiana, che avvenne con un voto a maggioranza, superando il

tentativo di veto britannico ed il Compromesso di Lussemburgo del 1966. Senza il Progetto Spinelli e il sostegno

da esso ricevuto dal Parlamento Italiano, che impegnava il governo ad agire durante la Presidenza italiana per

favorirne la ratifica e comunque l'avvio di un processo di riforma della CEE, difficilmente il governo italiano

avrebbe avuto la forza politica di un tale passo.

Anche in questo caso si nota l'interazione di diversi livelli e settori di analisi. Da una parte la dinamica -

imprevista da parte dei governi - innescata da una decisione istituzionale come l'elezione diretta del Parlamento,

pur privo di significativi poteri. Dall'altra gli sviluppi politici interni al Paese che detiene la presidenza di turno, che

portano al superamento dell'unanimità e producono come risultato finale un avanzamento sia nel settore

economico con il mercato unico, che in quello istituzionale con l'introduzione del voto a maggioranza qualificata.

Il liberal intergovernmentalism, che privilegia strutturalmente il settore economico e i governi nazionali

come attori centrali del processo, ha difficoltà a spiegare la convocazione della CIG. La convergenza delle

preferenze intorno ad un'agenda neo-liberale può contribuire a spiegare il risultato della negoziazione che porta

all'Atto Unico e al progetto del Mercato unico, ma non la convocazione della CIG, dal momento che la Gran

%12

Bretagna guidata da Mrs. Thatcher aveva la maggiore "intensity preference" neo-liberale, eppure vota contro la

convocazione della CIG - addirittura, come ammette lo stesso Moravcsik, per alcuni giorni non è nemmeno chiaro

se parteciperà o meno ai suoi lavori (cfr. Moravcsik 1991). Inoltre, nella CIG gioca un ruolo centrale anche la

Commissione guidata da Delors. L'Atto Unico Europeo riprende una piccola parte del Progetto del Parlamento,

prevedendo la creazione del Mercato Unico e l'introduzione del voto a maggioranza qualificata in Consiglio

rispetto alle misure volte a realizzarlo, di fatto ripristinando le norme del Trattato di Roma messe in mora dal

Compromesso di Lussemburgo13.

Rispetto al successivo sviluppo del processo è diffusa la tesi neo-funzionalista, secondo la quale la

creazione del mercato unico ha creato una dinamica a favore della moneta unica come suo necessario

completamento (cfr. Sandholtz e Zysman 1989, Tranholm-Mikkelsen 1991, Sandholtz e Sweet e Fliegstein 2001).

In un Mercato Unico in cui venga realizzata anche la libera circolazione dei capitali la questione dei cambi è

decisiva per evitare fughe di capitali da un Paese all'altro. Il tema dell'integrazione monetaria torna dunque

sull'agenda ed il mondo economico preme per la realizzazione dell'unione monetaria (cfr. Collignon e Schwarzer

2002). Ma difficilmente si sarebbe potuti andare oltre un rafforzamento dello SME con vincoli sempre più stretti

alle oscillazioni dei cambi e meccanismi più stringenti di intervento di sostegno ai cambi senza il crollo dell'impero

sovietico e la prospettiva della riunificazione tedesca.

L'interazione tra il livello mondiale, quello europeo e quello nazionale si manifesta in questo caso con

grande evidenza. Il crollo dell'impero sovietico rende pensabile la riunificazione tedesca. E in un certo senso la

moneta unica è stata resa possibile dalla riunificazione tedesca e viceversa. Inizialmente l’idea di una Germania

riunificata ha continuato a suscitare timore in diversi statisti europei, inclusi Miterrand e Andreotti, cui la

Germania piaceva così tanto da preferirne due. Ma in assenza di un'opposizione da parte degli USA e dell'URSS, gli

Stati europei non potevano impedirla. La moneta unica è stata lo strumento per europeizzare la grande

Germania, trasferendo a livello europeo il suo maggior punto di forza, il marco e la sovranità monetaria. Se la

force de frappe è il simbolo del potere francese, il marco lo era di quello tedesco, ed era uno strumento assai più

utilizzabile ed efficace. Il marco costituiva de facto il fulcro del Sistema monetario europeo (SME) e quando la

BundesBank tedesca modificava i tassi di interesse, praticamente tutte le banche centrali europee la seguivano

mantenendo invariato il differenziale necessario a mantenere le rispettive valute nell’oscillazione consentita, del

2,25 % rispetto alla parità centrale, all’interno dello SME. In pratica, la banca centrale tedesca era de facto la

banca centrale europea e la Germania l’unico Paese europeo dotato di sovranità monetaria. Fortunatamente, il

leader tedesco che gestì la riunificazione, Helmut Kohl, fu tanto lungimirante ed europeista da comprendere e

condividere i timori europei della grande Germania e da farsi promotore dell’unificazione monetaria europea. Al

contempo la riunificazione tedesca costituiva il quadro entro cui era possibile per la Germania accettare di

rinunciare al Marco nel quadro ed in cambio di un'integrazione europea più forte.

13

Anche successivamente i contenuti del Progetto Spinelli hanno ispirato le riforme dei Trattati. Ponzano ha osservato che ormai circa l'80 dei contenuti del Progetto è stato inserito con interventi successivi nei Trattati vigenti (cfr. Ponzano 2010).

%13

Questo non contraddice l'idea neo-funzionalista che l’Euro fosse l’opportuno coronamento alla creazione

del mercato unico, né che il progetto di unificazione monetaria fosse stato inizialmente la risposta europea

all’inconvertibilità del dollaro: al contrario. Ma tali ragioni non erano state sufficienti in passato a convincere gli

Stati europei, ed in particolare la Francia e la Germania, a cedere la sovranità monetaria, e infatti non era stato

inserito fin dall’inizio nel progetto di mercato unico. Per questo si può dire che la caduta del Muro di Berlino e la

prospettiva della riunificazione tedesca hanno costituito la ‘crisi’, che ha permesso l’emergere di una leadership

europea – di Kohl, Delors e Miterrand – in grado di vincere le resistenze nazionali a tale cessione di sovranità.

Che tale crisi, maturata sul piano mondiale, e i suoi effetti sull'Europa sia stata determinante è suggerito

dal fato toccato al Trattato di Unione Europea, o progetto Spinelli, approvato dal Parlamento europeo nel 1984,

ma che quegli stessi leaders - Kohl, Delors e Miterrand - non approvarono, nonostante non contenesse immediate

cessioni di sovranità così evidenti come quelle imposte dall’unione monetaria e dai criteri di convergenza fissati

dal Trattato di Maastricht.

Già allora, durante il percorso che portò al Trattato di Maastircht, come oggi, proprio dalla Germania

venne l'impulso per affiancare all'unione monetaria anche l'unione politica. Durante la negoziazione del Trattato

di Maastricht, la Germania stava realizzando contestualmente una riunificazione politica e monetaria e poteva

meglio comprenderne il legame strutturale. Un’unione monetaria richiede un certo grado di convergenza

economica e finanziaria, che può essere raggiunta dai singoli partecipanti prima dell’avvio dell’unione - come nel

caso dell'UEM - o dall’unione nel suo insieme con una condivisione generale dei costi della convergenza - come

nella riunificazione politica e monetaria tedesca. Il Trattato di Maastricht fu il prodotto di due CIG parallele, una

sull'unione economica e monetaria, e l'altra sull'unione politica. La natura a pilastri del Trattato di Maastricht fu il

frutto del successo della prima e del fallimento della seconda. Tuttavia, anche in questo caso è possibile osservare

l'interazione tra i diversi settori di analisi, poiché sebbene non vi fu un trasferimento di poteri all'Unione - e quindi

non vi fu la creazione di istituzioni e meccanismi decisionali sovranazionali, come sul piano monetario con la BCE -

tuttavia le furono formalmente assegnate delle competenze concorrenti prima gelosamente custodite dagli Stati

membri, come la politica estera e di sicurezza, e la giustizia e gli affari interni. Sebbene inizialmente le nuove

competenze fossero gestite a livello meramente intergovernativo, le successive riforme dei Trattati hanno avviato

- sebbene non concluso - la loro progressiva comunitarizzazione, prevedendo una maggiore partecipazione al

meccanismo decisionale da parte della Commissione, del Parlamento e della Corte di Giustizia.

Da Maastricht in poi si manifesta inoltre una dinamica endogena, legata all'allargamento dell'Unione, che

rende il mantenimento della regola dell'unanimità su tutte le questioni più rilevanti sempre più paralizzante.

Questo porta ad un processo di revisione dei Trattati semi-permanente che si manifesta con la rapida successiva

approvazione dei Trattati di Amsterdam, di Nizza e all'avvio di un processo costituente attraverso la Convenzione.

Tale dinamica però non risulta sufficientemente forte da portare a decisioni risolutive, in assenza di gravi crisi

internazionali. Significativo al riguardo che una delle maggiori innovazioni del Trattato costituzionale, la possibilità

di avviare una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, sia il frutto della risposta franco-tedesca

%14

alla spaccatura dell'Unione di fronte alla seconda guerra in Iraq. Anche in questo caso è possibile osservare sia

l'interazione tra il sistema mondiale e quello europeo, sia la necessità di una crisi per spingere gli Stati a

prevedere dei potenzialmente significativi passi in avanti nell'integrazione in un settore tradizionalmente

riservato agli Stati nazionali. La fine di tale crisi e i cambi di governo nei vari Paesi europei aiutano inoltre a

spiegare perché tali norme non abbiano ancora trovato alcuna attuazione pratica, non essendo maturata la

volontà politica di un gruppo di Stati membri di procedere effettivamente nell'integrazione nel campo della

difesa.

2. La crisi economico-finanziaria globale e la contraddizione di una moneta unica in assenza di un governo

europeo14

L'unione monetaria non richiede solo la convergenza iniziale, ma anche il suo mantenimento, che può essere

messo a rischio sia dagli sviluppi economici endogeni, che da shock esogeni. Questa è la sfida posta oggi all'UEM.

La nascita dell'Euro ha creato la situazione contraddittoria di un mercato unico, una moneta unica, e una

moltitudine di politiche economiche e fiscali nazionali in assenza di un governo europeo dell'economia. I dibattiti

intorno a Maastricht - e la convocazione di due CIG, una sull'unione economica e monetaria e l'altra sull'unione

politica - mostrano fin dalla nascita dell'Unione Europea l'esistenza di una certa consapevolezza delle élites

politiche e culturali del nesso tra le due, sebbene insufficiente, visto che la CIG sull'unione politica

fondamentalmente fallisce. Eppure, vi era una consapevolezza diffusa nelle élites politiche ed economiche ai

tempi di Maastricht circa l'impossibilità per la moneta unica di sopravvivere nel lungo periodo in assenza di

un'unione politica e di un governo federale, come mostrano ad esempio i dibattiti promossi dall'Institute of

Economic Affairs di Londra negli anni '90: Issing e Portillo si schierarono pro e contro la moneta unica, proprio

perché essa implicava poi inevitabilmente il completamento dell'unificazione politica dell'Europa (cfr. IEA 1990,

Issing 1996, Portillo 1998). Anche in seguito alcuni dei protagonisti dell'unificazione monetaria , come Ciampi,

hanno insistito sulla necessità di procedere anche verso l'unificazione politica (cfr. i contributi rispettivi di

Bressanelli, Castaldi, Martinico e Pigozzo in Campopiano et al. 2008).

L’Euro è nato anche per mettere l’Europa a un bivio, o meglio su un piano inclinato verso la statualità

europea. Una moneta unica senza un governo europeo dell’economia non poteva reggere a lungo. Nel frattempo

i criteri di convergenza prima e il Patto di stabilità poi dovevano surrogarlo, limitando le sovranità nazionali in

materia di bilancio. Tali limiti si sono rivelati insufficienti, anche a causa del fatto che Francia e Germania lo hanno

14

Questo paragrafo ripropone in chiave diversa alcune argomentazioni presentate paper "La moneta unica e l'unione politica" per il panel "La moneta unica e la cittadinanza europea" (disponibile su http://www.sisp.it/files/papers/2012/roberto-castaldi-1376.pdf) da cui è tratto in parte il testo di questo paragrafo, e in cui è offerta un'analisi più ampia degli effetti dell'Euro.

%15

violato rapidamente. Tuttavia, l'Euro ha avuto uno straordinario successo, che ha permesso di ignorare queste

contraddizioni, tanto che anche il Trattato costituzionale elaborato dalla Convenzione, e poi i Trattati di Lisbona,

non hanno previsto la creazione di un potere federale di governo dell'economica o un'attribuzione all'Unione dei

poteri fiscali di cui disponeva la CECA. Le resistenze nazionali alla messa in comune di una quota significativa di

risorse rimaneva troppo forte, come dimostrano anche le penose trattative sul bilancio dell'UE, da tempo fermo

all1% del PIL.

La svolta è arrivata ancora una volta da uno shock esogeno, lo scoppio della crisi finanziaria negli USA,

ultimo frutto della fine del sistema monetario di Bretton Woods e degli squilibri da essa resi possibili15. La crisi

finanziaria è scoppiata negli Stati Uniti a causa di una politica monetaria espansiva che è stata sostanzialmente

una costante dal 1971, ma che dopo l'11 Settembre si è accompagnata ad un forte incremento della spesa

pubblica, ad una riduzione delle tasse e al conseguente aumento del debito pubblico. A tale crisi si è risposto con

ulteriori misure non convenzionali di iniezione di liquidità nel sistema. In un contesto in cui l'economia reale non

offre alti rendimenti, una quota significativa di liquidità cerca opportunità di natura speculativa per remunerarsi.

Questo ha favorito il passaggio della crisi dagli USA all'Europa, in cui il debito pubblico è nazionale ma la Banca

Centrale, pur essendo europea, ha per statuto poteri e compiti più limitati delle tradizionali banche centrali e non

si affianca al Tesoro di un governo federale.

Va osservato che l'origine della crisi dell'Eurozona ha natura politico-istituzionale, erroneamente

percepita come economico-finanziaria, nonostante i fondamentali europei in termini di debito, deficit, riserve e

risparmio siano nettamente migliori di quelli americani (cfr. la tabella n. 1 con i dati per il periodo 2007-2011 a p.

seguente).

La creazione della moneta europea aveva comportato una notevole riduzione fino quasi a una sostanziale

scomparsa del differenziale dei tassi di interesse sul debito pubblico dei suoi Paesi membri, lo "spread",

nonostante la situazione debitoria dei vari Stati fosse assai differente. Questo ha comportato enormi benefici in

termini di riduzione dei costi per il servizio del debito, specialmente per i Paesi maggiormente indebitati, come

l'Italia16. La crisi attuale ha nuovamente aumentato lo spread, ma i tassi di interesse rimangono ben al di sotto dei

livelli degli anni '80 e dei primi anni '90. In sostanza è un preludio che indica la direzione di marcia dei mercati nel

caso di una disgregazione della moneta unica. La Grecia, che è ormai considerata già quasi fuori dall'Euro, ha

ormai raggiunto uno spread di oltre 2200 punti base.

15

Non è possibile offrire un'analisi dettagliata del legame tra questi processi così distanti tra loro nel tempo. Sul fatto che il sistema monetario successivo alla fine di Bretton Woods sia la condizione di possibilità della crisi contemporanea c'è però ampia convergenza come mostrano lo Special Report del Council of Foreign Relations, il discorso del Governatore della Banca Centrale cinese, e numerosi articoli di studiosi europei (cfr. Mosconi 2000 e 2009, Jozzo e Mosconi 2006, Dunaway 2009, Xiaochuan 2009, ). 16

Nel paper "La moneta unica e l'unione politica" per il panel "La moneta unica e la cittadinanza europea" (disponibile su http://www.sisp.it/files/papers/2012/roberto-castaldi-1376.pdf) da cui è tratto in parte il testo di questo paragrafo, viene offerta un'analisi dettagliata degli effetti dell'Euro sull'Italia e dell'evoluzione della situazione italiana.

%16

Tabella 1 – Andamento di deficit, debito, riserve e risparmi negli Stati Uniti e in Europa (% del PIL, salvo

diversamente indicato)

2007 2008 2009 2010 2011

Deficit di bilancio

UE27 -0.9 -2.4 -6.7 -6.5 -4.6

Area Euro -0.7 -2.1 -6.4 -6.3 -4.1

USA -2.7 -6.7 -13.0 -10.5 -9.6

Debito pubblico

UE27 59.5 64.0 74.4 79.6 82.4

Area Euro 66.4 70.2 79.9 85.7 88.1

USA 67.2 76.1 89.9 98.5 102.9

Riserve (escluso oro)

UE27 2.6 2.7 3.4 4.0 4.1

Area Euro 1.5 1.4 1.6 1.9 2.0

USA 0.4 0.5 0.7 0.8 0.9

Riserve (mld di euro)

UE27 324.3 337.6 393.5 489.3 516.8

Area Euro 134.2 131.4 139.5 177.9 186.4

USA 41.6 43.7 67.9 89.0 97.0

Risparmi lordi

UE27 21.6 20.7 17.9 18.3 19.0

Area Euro 23.1 21.5 18.8 19.4 19.8

USA 14.6 13.4 11.1 12.2 12.2

Risparmi lordi in valore assoluto (mld di euro)

UE27 2700.9 2596.2 2133 2270.5 2423.1

Area Euro 2078.6 1986.7 1675.2 1769.9 1857.7

USA 1972.7 1817.1 1500.8 1715.8 1778.7

Fonte: elaborazioni su dati AMECO, Eurostat, ECB, FED

Ancora una volta è utile soffermarsi sull'interazione tra gli avvenimenti a vari livelli. La crisi finanziaria

americana colpisce inizialmente il sistema bancario europeo e in particolare quello irlandese, maggiormente

esposto al crollo dei sub-prime americani. L'assenza di una risposta europea, ed il salvataggio del sistema bancario

da parte dello Stato irlandese avvia la crisi del debito sovrano europeo. La scoperta da parte del nuovo governo

%17

greco di centro-sinistra guidato da Papandreu che il precedente governo di centro-destra guidato da Karamanlis

aveva truccato i conti pubblici per ottenere l'ingresso nella moneta unica, sposta l'asse della crisi verso i Paesi

mediterranei. Allora l'intero debito pubblico greco ammontava al 3% del Pil dell'Eurozona (fonte: AMECO) . Era

dunque possibile sterilizzare immediatamente la crisi mediante l'acquisto in blocco dell'intero debito pubblico

greco, mediante un prestito alla Grecia, ai tassi di interesse di mercato di allora, che erano bassi, e che la Grecia

sarebbe stata in grado di ripagare mediante un Piano di austerity meno impegnativo di quello realizzato finora.

L'Europa però non è riuscita a decidere e intervenire tempestivamente e la crisi del debito sovrano greco

si è avvitata, con un aumento enorme dei tassi di interesse sui titoli di Stato - sui decennali è pari al 25% (dato di

inizio agosto 2012) - che rende politicamente e socialmente estremamente difficile qualunque riduzione del

debito stesso. Va osservato che, una volta scoperto il buco di bilancio, il debito pubblico greco era comunque il

110% del PIL, ovvero analogo a quello italiano. Questa è stata una delle ragioni del mancato salvataggio iniziale

della Grecia, il cui debito pure ammontava solo al 3% del PIL dell'Eurozona: nessuno era disposto a creare un

precedente che potesse indurre la speculazione ad attaccare l'Italia e permettesse a questa di richiedere un

salvataggio europeo, viste le dimensioni complessive del debito pubblico italiano e il trend negativo dei conti

pubblici con il governo allora in carica. In Italia il dibattito pubblico si è soffermato sulle responsabilità della

Cancelliera Merkel, attenta alle dinamiche politiche e alle scadenze elettorali interne della Germania, senza

interrogarsi adeguatamente sulle responsabilità italiane.

Anche successivamente i meccanismi decisionali europei sono stati assai lenti e gli interventi mai decisivi,

sebbene gli Stati europei abbiano in realtà speso molto più di quanto sarebbe costato l'iniziale salvataggio greco -

basti pensare che le risorse teoricamente a disposizione dello European Stability Mechanism ammontano a circa il

5% del PIL dell'Eurozona. La crisi ha così mostrato con chiarezza la zoppia della costruzione dell'unione monetaria

e la crisi del debito sovrano ha investito anche altri Paesi europei fino a mettere a rischio la stessa esistenza

dell'Eurozona.

La contraddizione di una moneta senza governo però investe in modo differenziato i Paesi dell'UE, dal

momento che dieci Stati membri non fanno parte dell'Euro, e due di questi, Danimarca e Gran Bretagna17, hanno

la possibilità di non aderirvi anche qualora rientrassero nei parametri di convergenza, in virtù di uno specifico

opting out. Pertanto, la crisi del debito sovrano ha prodotto anche il risultato politicamente rilevante di mettere

in evidenza che l'Euro costituisce la base per un'Europa a due velocità (cfr. Rossolillo 2012). Il trattato per la

creazione dello European Stability Mechanism è stato firmato dai soli Paesi dell'Eurozona, mentre l'Euro-Plus Pact

e il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Eurozona (il cosiddetto Fiscal Compact), ha visto

la partecipazione anche di altri Stati membri, ad eccezione della Gran Bretagna e della Repubblica Ceca. Tali

17

La situazione della Gran Bretagna e quella di alcuni Stati americani mostrano con chiarezza la natura politico-istituzionale della crisi. Tra il 2008 e il 2011 il debito pubblico britannico è salito dal 54,8 all'84% del PIL con un aumento di quasi il 30%. Nello stesso periodo il debito spagnolo è salito dal 40,2 al 68,5% del PIL, con un aumento leggermente inferiore a quello inglese ed un debito complessivo nettamente inferiore. Tuttavia, l'attacco speculativo avviene contro la Spagna e non contro la Gran Bretagna. Allo stesso modo non c'è stato contro la California, l'Illinois e altri Stati americani sull'orlo della bancarotta ma inseriti dentro ad un'unione politica e monetaria.

%18

strumenti hanno però il limite di essere una prosecuzione della logica di Maastricht: si surroga la creazione di un

governo europeo dell'economia mediante vincoli più stringenti sulle politiche di bilancio nazionali, affiancati da

strumenti di monitoraggio e sanzioni più automatici e meno sottoposti a decisione politica e da uno strumento di

solidarietà e stabilità gestito in maniera intergovernativa e non affidato alla Commissione né sottoposto al

controllo del Parlamento europeo.

Tutto ciò non ha risolto la crisi: il problema di affiancare alla BCE una qualche forma di governo

economico dell'Europa, con adeguati poteri e risorse fiscali, rimane sul campo. Il fatto che lo ESM sia finanziato da

fondi provenienti dai bilanci nazionali rischia di aggravare la situazione di alcuni Stati nel momento in cui lo ESM

dovesse aiutarne altri. Al contempo è evidente che il 5% del Pil europeo messo a disposizione dello ESM è cinque

volte il bilancio europeo, e che la stessa somma sarebbe probabilmente molto più efficace se inserita nel bilancio

europeo andando a finanziare investimenti per il rilancio dell'economia europea e/o sostenendo l'emissione di

Europrojectbonds ad essi finalizzati.

Come ha osservato Fabbrini, l'insuccesso della gestione della crisi del debito sovrano rappresenta un

fallimento del metodo intergovernativo, ovvero dei governi nazionali (cfr. Fabbrini 2012a e 2012b). Indicativo il

connubio Sarkozy-Merkel, laddove il primo rivendicava l'esigenza di un governo economico per l'Eurozona e la

seconda ribadiva che erano loro. Ebbene, il governo intergovernativo dell'Eurozona ha fallito: i governi nazionali

non sono in grado con il mero coordinamento di governare l'economia europea. Vi sono state oltre venti riunioni

del Consiglio Europeo dedicate alla gestione e soluzione della crisi, evidentemente senza successo. Ma la

percezione sociale, alimentata dai media e dalle classi politiche nazionali, è che la crisi e la sua pessima gestione

rappresentino un fallimento dell'Europa e del progetto di unità europea.

Così le conseguenze economiche e sociali della crisi alimentano le pulsioni alla chiusura e lo sviluppo di

forze politiche populiste a livello nazionale, a fronte dello svuotamento della democrazia nazionale, legato alla

necessaria e inevitabile cessione di sovranità implicata dall'unione monetaria, resa ancora più evidente dal Fiscal

Compact. Né è possibile alcun ritorno indietro: nell'economia globale gli attori principali - USA e BRICs - sono tutti

Stati di dimensioni continentali. Nessuno Stato europeo è in grado di competere sull'arena mondiale, e solo uniti

hanno la possibilità di sfruttare il loro potenziale comune. L'UE è infatti la seconda economia del mondo, il

secondo centro di risparmio e ha un sistema di istruzione di base tra i migliori - sebbene manchi di investimenti

mirati su pochi centri di eccellenza in grado di garantire brevetti e ricerca tecnologica avanzata come avviene

negli USA. In altre parole, l'UE avrebbe le potenzialità per garantirsi ancora una crescita economica e un ruolo

mondiale significativo, ma la sua divisione lo impedisce.

Tuttavia, la possibilità di prendere decisioni radicali è spesso legata anche a coincidenze temporali

favorevoli. I tempi lunghi dei processi decisionali di riforma e ratifica dei Trattati rendono restii gli Stati ad

impegnarsi in presenza di leadership nei principali Paesi prive di un mandato con un adeguato lasso temporale. Al

termine del ciclo elettorale che tra il 2011 e il 2013 avrà visto l'insediamento di nuovi governi in Spagna, Francia,

Italia e Germania sarà forse più facile impegnarsi in tal senso. Lo sviluppo di un ampio dibattito pubblico in tal

%19

senso e la possibilità di abbinare alle elezioni europee del 2014 un referendum consultivo sull'eventuale decisione

relativa alle cessioni di sovranità e al trasferimento di poteri finalizzati alla creazione di una più efficace Unione

Europea potrebbero costituire un contesto favorevole.

3. Conclusioni

La schematica ricostruzione qui proposta - utilizzando lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership - ha

cercato di mettere in rilievo come l'intera evoluzione del processo di unificazione europea sia stata in larga misura

legata all'evoluzione del sistema internazionale mondiale. Da un lato l'avvio, il significato storico e la persistenza

del processo di unificazione europea possono essere meglio compresi se intesi come la risposta europea ad un

mutamento di sistema internazionale che permette solo alle unità di dimensioni continentali di poter aspirare allo

status di grande potenza - che determina la polarità del sistema. Ma anche i tempi ed il settore specifico degli

avanzamenti del processo sono stati in larga misura la risposta europea a crisi internazionali.

Questo suggerisce inoltre l'impossibilità di attribuire una priorità esplicativa ad un settore di analisi

piuttosto che ad un altro. La natura militare, economica, o politica della crisi emersa sul piano mondiale ha avuto

un ruolo nel determinare il settore della risposta europea. La Guerra di Corea e la richiesta di riarmo tedesco ha

costituito la crisi in cui si è sviluppato l'iniziativa di Monnet per la creazione di un esercito europeo. La fine di tale

crisi e altri sviluppi sul piano internazionale hanno poi avuto un'influenza decisiva anche nel determinare il

fallimento finale di tale iniziativa. La crisi del sistema monetario di Bretton Woods ha favorito le iniziative a

sostegno dell'integrazione monetaria, inizialmente frustrate dallo shock petrolifero. Il crollo dell'impero sovietico

e del muro di Berlino ha giocato un ruolo decisivo per raggiungere l'unione monetarie e per avviare la discussione

sull'unione politica. La seconda guerra in Iraq ha portato alla previsione della possibilità della cooperazione

strutturata permanente in materia di difesa, che non è però ancora stata avviata. L'interazione tra il sistema

mondiale e il sistema europeo è stata spesso una delle dinamiche propulsive del processo di unificazione europea.

Allo stesso tempo sono state messe in rilievo anche dinamiche endogene al sub-sistema europeo che

hanno influenzato in modo egualmente significativo lo sviluppo del processo. In tale contesto sono state prese in

esame sia le rilevanti evoluzioni interne agli Stati membri, sia quelle dei loro rapporti nel quadro dell'unificazione

europea e dei rapporti inter-istituzionali. L'interazione tra l'evoluzione del sistema internazionale - crisi

dell'impero francese e morte di Stalin - e le dinamiche politiche interne francesi aiutano a comprendere la caduta

del Trattato CED. La dinamica politica europea legata alla contraddizione di un esercito europeo senza un governo

europeo ha permesso l'avvio di un processo sostanzialmente costituente finalizzato alla creazione della Comunità

Politica Europea, poi caduta insieme alla CED. La dinamica endogena innescata dall'elezione diretta del

Parlamento Europeo - resa possibile anche dalla presenza della leadership di Spinelli all'interno del primo

%20

Parlamento eletto - ha portato alla creazione del mercato unico e al superamento del principio dell'unanimità

rispetto ad esso. La dinamica innescata dall'allargamento ha portato ad una situazione di riforma semi-

permanente delle istituzioni e dei meccanismi decisionali, sebbene non sia stata sufficientemente forte da portare

a risultati decisivi rispetto al superamento del principio dell'unanimità. La contraddizione di una moneta europea

senza un governo europeo ha favorito l'avvio di un processo costituente, ma il fatto che l'Euro stesse proteggendo

efficacemente l'economia europea rendeva tale contraddizione meno pressante, tanto che non è stata ancora

risolta.

Lo scoppio della crisi finanziaria negli USA, unita a tale contraddizione, ha favorito l'avvio e l'avvitamento

della crisi del debito sovrano, che non può essere intesa meramente come una crisi di natura economica o fiscale,

e la cui gestione è stata influenzata significativamente anche delle dinamiche - politiche ed economiche - interne

ai Paesi membri. L'interazione tra l'evoluzione del sistema mondiale e le dinamiche europee - interne all'Unione e

interne agli Stati membri - sarà decisiva nel determinare le soluzioni che gli europei individueranno ed i loro tempi

di attuazione.

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