Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale · nuto opportuno considerare la teoria...

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Andrea Bonomi Gabriele Usberti Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

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Andrea BonomiGabriele Usberti

Sintassi e semanticanella grammaticatrasformazionale

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Sommario

Premessa 9

Parte primaSintassi

I. Sul concetto intuitivo di grammatica 15

II. Nozioni formali 34

Parte secondaSemantica

III. Semantica interpretativa 69

IV. Semantica generativa 105

Conclusione

V. Grammaticalità e condizioni di verità 138

Nota terminologica 163

Bibliografia 165

Indice analitico 169

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« Se sentite parlare di metonimia, metafora, allegoriae altri termini simili della grammatica, non sembraforse che ci si riferisca a qualche forma di linguaggioraro e peregrino? Sono termini che riguardano leciance della vostra cameriera ».

Michel de Montaigne, Saggi, I, 51.

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Premessa

Il rapporto fra sintassi e semantica nelle lingue naturalicostituisce oggi uno degli argomenti più discussi non soloall’interno della linguistica, ma anche all’interno della logi-ca e della filosofia del linguaggio in genere. Nel presentelavoro si è adottata come quadro di riferimento la teoria tra-sformazionale, e tuttavia, proprio in vista del più ampiodibattito di cui l’argomento in questione è oggetto, non si èpotuto fare a meno di fornire qualche indicazione circa leimplicazioni che esso comporta negli altri campi di ricerca.

Ciò che ci siamo proposti è fornire un resoconto estre-mamente succinto della situazione attuale della teoria tra-sformazionale mettendone a fuoco i due aspetti che qui ciinteressano: sintassi e semantica. Per quanto concerne ilprimo punto, l’enorme sviluppo che la sintassi generativatrasformazionale ha conosciuto in questi ultimi anni sulpiano della ricerca effettiva ha determinato la pubblicazio-ne di numerosi studi critici e introduttivi sull’argomento. Inconsiderazione di ciò, come pure del fatto che si tratta pre-valentemente di studi di orientamento linguistico1, si è rite-

1 Per quanto concerne gli studi di impostazione essenzialmente linguistica, cilimiteremo a citare Ruwet (1967), che costituisce un’ottima introduzione alla teo-ria sintattica di Chomsky. Relativamente agli aspetti formali del discorso, per unaintroduzione generale a questi problemi rimandiamo ai lavori di Nelson (1968) edi Gross e Lentin (1969). Per le trasformazioni in particolare, cfr. Ginsburg ePartee (1969).

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nuto opportuno considerare la teoria sintattica elaborata daChomsky anche, e soprattutto, alla luce della cornice for-male in cui si colloca. Così, dopo un primo capitolo2 voltounicamente a familiarizzare il lettore con i problemi dellagrammatica trasformazionale, nel secondo capitolo abbia-mo cercato di indicare, seppure a un livello estremamenteelementare, alcuni dei presupposti formali della teoriachomskiana. In altri termini, ci siamo prefissi di arrivare,per questa via, a presentare il modello di teoria grammati-cale (o meglio: uno dei modelli) proposto da Chomskynegli Aspetti3.

Per ciò che riguarda invece la semantica, ci siamo trova-ti di fronte a problemi diversi. In questo campo ci si muoveinfatti in una situazione molto più fluida e le teorie svilup-pate hanno un carattere poco più che embrionale, anche serecentemente è proprio in tale direzione che si sono con-centrati gli sforzi di molti studiosi. Per questo motivo,abbiamo affrontato il discorso ignorando deliberatamenteuna quantità di polemiche che sono sorte sull’argomento –polemiche fitte di esempi e relativi controesempi, non sem-pre chiare e a volte perfino dispersive –, per cercare diesporre i due orientamenti che caratterizzano la situazioneodierna della teoria trasformazionale. Nel terzo capitoloabbiamo dunque preso in considerazione la teoria sviluppa-

10 Premessa

2 Nel primo capitolo ci siamo occupati essenzialmente di alcuni aspetti moltogenerali della teoria trasformazionale, trascurando però tutta una serie di proble-mi la cui trattazione non ci è sembrata pertinente qui (per esempio, i problemilegati agli aspetti « filosofici » o psicologici del discorso di Chomsky: acquisizio-ne del linguaggio, innatismo, creatività, ecc.). Nella nostra esposizione abbiamoquasi sempre seguito le formulazioni chomskiane, allontanandocene solo in qual-che punto. Per questo motivo, si troveranno esposte delle tesi (in particolare quel-le concernenti il rapporto fra sintassi e semantica e il concetto di grammaticalità)che vengono poi considerate criticamente in altre parti del testo.

3 Ripetiamo che, data l’abbondanza di studi in proposito, ci siamo limitati aesporre lo schema generale del discorso: compito peraltro non agevole, dalmomento che, a differenza dalle Strutture della sintassi, gli Aspetti costituisconoun testo che in più d’un punto risulta non del tutto chiaro, presentando a voltesoluzioni alternative per lo stesso problema ed essendo in definitiva difficilmentericonducibile a uno « schema ». Basti pensare al problema delle regole selettive ealla complessità delle considerazioni che Chomsky svolge in proposito.

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ta principalmente da Katz, e in buona parte fatta propria daChomsky: quella ormai nota come « semantica interpretati-va »; nel quarto capitolo abbiamo esaminato un approccioche si propone come alternativo al precedente: la cosiddet-ta « semantica generativa ».

L’ultimo capitolo, dedicato al problema del rapporto fragrammaticalità e condizioni di verità, ha invece di mira unaspetto più generale del discorso, sconfinando nei campidella logica e della filosofia del linguaggio. Tuttavia, ciòche si è voluto implicitamente mostrare è che in realtà nonsi tratta di uno sconfinamento, poiché riteniamo che, perquanto concerne la semantica delle lingue naturali, si avran-no dei sensibili progressi solo nella misura in cui si lavore-rà per una effettiva integrazione dei risultati ottenuti neidiversi campi d’indagine.4

Premessa 11

4 Ci limitiamo qui a ricordare l’enorme importanza che rivestono, relativa-mente ai problemi qui dibattuti, i risultati conseguiti nella semantica delle logichemodali. È questo un punto che non è stato sviluppato nel testo e che meriterebbecerto un discorso a parte.

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Parte primaSintassi

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Sul concetto intuitivodi grammatica

1. Preliminarmente, e in via del tutto provvisoria, si puòpartire da una caratterizzazione puramente informale delconcetto di grammatica. Se ci muoviamo su questo pianointuitivo, il linguaggio sembra innestarsi tra l’altro su duedimensioni distinte: quella, per così dire, « fisica », defini-bile per esempio come una sequenza fonica, e quella delsignificato, lasciando per ora del tutto impregiudicato que-sto termine (a questo livello, cioè, non è necessario pronun-ciarsi sul tipo di entità che esso dovrebbe denotare). Diremoallora che una grammatica è un dispositivo che permette diassociare suoni e significati.

2. Cerchiamo dunque di precisare l’obiettivo di una inda-gine linguistica così orientata. Anzitutto, dai brevi cenniforniti, risulta che una simile caratterizzazione della gram-matica dovrà prevedere (per lo meno) tre livelli di rappre-sentazione: occorrerà una specificazione sufficientementeadeguata della componente fonetica (compito rilevato dal-l’analisi fonologica: riduzione del continuumsonoro costi-tuito dall’emissione verbale a un’entità resa discretadal-l’introduzione, per esempio, di tratti distintivi), della com-ponente « significato » (la cui tematizzazione spetta all’a-nalisi semantica: problema che per il momento lasceremodel tutto aperto e senza ulteriori chiarimenti), e infine dellacomponente sintattica (il che, esprimendoci sempre in que-

I

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sto linguaggio provvisorio e approssimativo, equivale aindividuare le modalità secondo cui certi costituenti si com-binano per formare gli enunciati di una lingua).

3. Isoliamo dall’insieme del discorso il problema dellasintassi (d’ora in poi, salvo eccezioni, il termine « gramma-tica » denoterà limitativamente questa sola componente).Anzitutto ci troviamo di fronte a una questione che, anchese apparentemente banale, implica un preciso criterio discelta: su che cosa si esercita l’analisi? Assumiamo che unalingua sia un insieme infinito di enunciati (nel caso dellelingue naturali non è infatti consentito formulare restrizionisufficientemente fondate circa la possibilità di occorrenzadi determinate strutture d’enunciato, e questo per talune,proprietà « ricorsive » delle quali ci occuperemo nel capi-tolo successivo). Tale infinitezza motiverà allora una sceltadi natura epistemologica e porterà a individuare il corpusdell’analisi come una porzione finita sufficientemente rap-presentativadella lingua in questione. Il problema è dunquedi sapere cosa si nasconde dietro questa espressione.

4. Ci sono, anzitutto, osservazioni di ordine negativo. Lascelta cui abbiamo accennato implica la simultanea rimozio-ne di due diversi punti di vista: da un lato quello « statisti-co », secondo il quale il criterio per specificare l’insieme-lin-gua (ossia il criterio che ci permette di stabilire se una dataespressione appartiene o no a quell’insieme) si fonda essen-zialmente su considerazioni circa la frequenza d’occorrenzadell’espressione in causa; dall’altro quello « normativo », incui il problema dell’appartenenza all’insieme-lingua si iden-tifica grosso modo con il problema dell’« ammissibilità »secondo norme socialmente codificate. Tuttavia, all’internodi una prospettiva formale come quella di cui tratteremo inseguito, entrambe le ipotesi sono non pertinenti: l’apparte-nenza o meno di un’espressione all’insieme-lingua (e cioè ilsuo statuto d’enunciato) è decidibile solo in base a criteri digrammaticalità(su questo concetto si veda il par. 12 di que-sto capitolo, e, per l’aspetto formale, il capitolo successivo),

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ossia in base alla possibilità, o impossibilità, per quell’e-spressione di essere generataattraverso un insieme di rego-le di derivazione. – Positivamente, si potrà invece dire cheuna porzione finita è « sufficientemente rappresentativa » diuna lingua se gode di un potere preditivo nei suoi confron-ti. In altri termini, data una porzione arbitraria, l’analisi diessa ha per noi una funzione esplicativa generale se ci per-mette di predire per altre porzioni le proprietà e le relazioniin essa rinvenute (cfr. Harris, 1960: 14). È allora abbastan-za chiaro, e lo vedremo meglio in seguito, che questa capa-cità esplicativa può essere posta alla base di un criterio divalutazione per analisi linguistiche alternative.

5. Senza ulteriori specificazioni, il ragionamento prece-dente sembra nascondere una circolarità. Da un lato si affer-ma infatti che (a) il corpuscui si applica l’indagine è uninsieme finito di enunciati (cioè di espressioni grammatica-li), visto che, intuitivamente parlando, il compito di unagrammatica consiste nel caratterizzare certe regolarità lin-guistiche, dall’altro si afferma che (b) il criterio di gram-maticalità può essere fornito solo da un insieme di regoleche genera gli enunciati di una lingua, insieme la cui speci-ficazione è ovviamente compito dell’indagine stessa. Ciòche va qui chiarito è che il concetto di grammaticalità pre-sente in (a) è di tipo intuitivo, quello presente in (b) di tipoformale. In altri termini, il corpusè costituito da un insiemefinito E di espressioni che il parlante riconosce come enun-ciati in base a una data « competenza » linguistica, compe-tenza che la grammatica deve appunto caratterizzare in ter-mini formali, grazie alla specificazione di procedure ricor-sive.

6. È ovvio che la determinazione di E è un fatto del tuttoarbitrario: questo insieme può per esempio contenere tuttie solo gli enunciati « registrati » in un qualsiasi testo, o glienunciati effettivamente occorsi nell’idioletto di un datoparlante (eventualmente il linguista stesso), oppure questienunciati e quelli suscitati attraverso particolari sollecita-

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zioni sperimentali, ecc. In questo senso, si potrebbe dire1 checiò che è dato inizialmente come corpusnon è propriamentela « lingua », e questo per due motivi. Intuitivamente, ilconcetto di lingua è particolarmente complesso e difficil-mente maneggiabile: intenderemo una presunta lingua stan-dard? Ma allora come caratterizzarla, su basi puramente intui-tive, in vista della costituzione di un corpus? Intenderemoinvece un particolare dialetto o idioletto? Formalmente, vaperaltro detto che è solo alla fine dell’indagine che potremospecificare una lingua, quando avremo cioè trovato proce-dure ricorsive in grado di generarla (procedure che l’inda-gine deve appunto costruire a partire dal corpus).

7. Ciò che sottende queste considerazioni è in realtà ilproblema dell’adeguatezza di una grammatica (incidental-mente, il termine grammaticaè stato finora usato in modoambiguo, denotando sia un insieme di dispositivi messi inopera dal parlante nella sua attività linguistica, come p.e.nel par. 1, sia, come nel caso presente, un costrutto teoricodeterminato da una indagine linguistica: a parte il fatto cheil contesto fornisce di volta in volta la specificazione neces-saria, vedremo fra breve che questa ambiguità ha una suaragion d’essere). Se il compito di una grammatica è la deter-minazione di un insieme di regole, il compito di una teoriadella grammatica2 si articola fra l’altro su due punti essenzia-li: (i) caratterizzazione delle forme possibili di grammatica ingenere; (ii) caratterizzazione del rapporto fra una data gram-matica (intesa appunto come struttura formale) e il livellointuitivo (competenza linguistica del parlante). Individuiamo

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1 Se si assume infatti che formalmente una lingua è un insieme (infinito, nelnostro caso) di enunciati generati da una data grammatica, è chiaro che il cor-pus adottato, in quanto finito, sarà necessariamente un sottoinsieme propriodella lingua e quindi non si identifica con essa.

2 In realtà, se si assume che una grammatica è una teoria (nel senso formaledella parola) della lingua, è ovvio che una teoria generale della grammatica èuna metateoria. Così, per evitare possibili fraintendimenti, quando sarà neces-sario parleremo rispettivamente di teoria della lingua e di teoria della gramma-tica.

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in (i) il problema dell’adeguatezza internadi una grammati-ca, e in (ii) quello della sua adeguatezza esterna.

8. Possiamo dire che, in quanto costrutto teorico elabora-to da un linguista in riferimento a un dato corpus(ossia, conle riserve formulate alla fine del par. 6, in riferimento a unadata lingua), una grammatica costituisce una serie di ipote-si circa la struttura dei fenomeni analizzati. È presumibileche, nel corso dell’analisi, si presentino ipotesi alternative(e al limite, in genere, grammatiche alternative): fra l’altro,una teoria generaledella grammatica è appunto caratteriz-zabile come un dispositivo che permette di valutare talialternative. Evidentemente, un dispositivo di questo generedovrà contenere una serie di nozioni che si distribuisconosu vari piani, che qui limiteremo essenzialmente a due:anzitutto si tratterà di delimitare la classe delle grammati-che possibili, ossia di stabilire dei principi formali prepostialla costruzione delle singole grammatiche; in secondoluogo di fornire una specificazione delle unità descrittiveutilizzate, e segnatamente del concetto di descrizione strut-turale (v. il cap. successivo). Vorremmo ora aggiungere che,in particolare, il primo di questi due requisiti colloca unasimile impostazione del problema dell’adeguatezza internaal di fuori della concezione epistemologica generale dellostrutturalismo americano. Infatti, se dovessimo definiremolto schematicamente e grossolanamente questa conce-zione, potremmo individuare in essa due momenti essenzia-li: il corpusè assunto come un insieme di sequenze osser-vabili che costituisce il campo proprio dell’indagine; l’o-biettivo dell’analisi linguistica è identificato con la possibi-lità di descrivere questo corpusnei termini di una strutturasufficientemente articolata, dotata di certe regolarità, dicerti fasci di rapporti, ecc. Chomsky qualifica questa proce-dura come « procedura di scoperta » proprio perché, comesi è visto, essa parte dal corpuscome insieme di eventi fisi-ci originariamente indifferenziato per individuarvi deglielementi ricorrendo a tecniche di « segmentazione », e per

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determinare, considerando le loro relazioni reciproche,delle classificazioni di elementi (in modo da semplificare almassimo l’apparato descrittivo). Così, secondo Harris, ilcompito essenziale della linguistica descrittiva è « ottenereuna rappresentazione biunivoca compatta del complessodelle espressioni nel corpus. Poiché la rappresentazione diun’espressione o delle sue parti è basata su un confronto diespressioni, essa è in realtà una rappresentazione di distin-zioni » (Harris, 1960: 366-67). È quindi evidente che, per ladefinizione stessa, una « rappresentazione biunivoca » èdestinata a rimanere nell’ambito del corpus dato, mettendoappunto in corrispondenza tra loro espressioni del corpus.Saranno dunque estranee, a un approccio di questo tipo,ipotesi circa determinate componenti « astratte » che possa-no condurre alla generazione di espressioni non occorrentinel corpus e nondimeno qualificabili come grammaticalisulla base di ipotesi formali circa la struttura d’enunciato ingenere: in particolare saranno fuori gioco procedure di tiporicorsivo,3 il cui compito consiste proprio nel fornire un cri-terio di decisione per tutte le espressioni possibili (che figu-

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3 Questa osservazione non è del tutto esatta, com’è rilevato in Chomsky(1962: 538, nota): alcune procedure adottate da Harris, per esempio, sono desti-nate « a metter capo ad asserzioni di carattere ricorsivo e quindi non servono afornire una rappresentazione del corpus». In genere, comunque, l’osservazionein questione sembra ben fondata. Una conferma post festum(cioè dopo l’avven-to della linguistica trasformazionale, e in risposta a essa) è fornita da Hockett(1968). In questo libro è costantemente in primo piano la contrapposizione fraun metodo che si presume autenticamente « empirico » e un altro (chomskiano)in cui si individua la predominanza di preoccupazioni astrattamente teoriche(spesso infondate, a giudizio dell’autore). Grosso modo il ragionamento diHockett è il seguente: 1) una lingua naturale non è un sistema « ben definito »(non è cioè dominabile mediante algoritmi); 2) è dunque assurdo cercare dicostruire una grammatica algebrica che generi una lingua simile; 3) non rimaneallora che manipolare i fatti (o meglio: quell’insieme di fatti osservabilichecostituisce un corpus) e procedere induttivamente alla costruzione sistematica diun inventario degli elementi e delle loro relazioni (dove l’utilizzazione di stru-menti formali ha solo una funzione marginale). In negativo, le tesi sostenute daHockett servono a mostrare il rovesciamento di prospettiva operato dalla lin-guistica trasformazionale sul piano epistemologico: in particolare, l’assunzionedell’apparato formale non si identifica con una semplice scorciatoia o comeuno strumento (per quanto utile) del lavoro descrittivo, ma con l’assunzione diuna teoria nel senso rigoroso della parola (cioè come sistema deduttivo). Delresto, è assurdo contrapporre brutalmente, come fa per esempio Hockett, teoria e

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rino o meno nel corpus), criterio grazie al quale potremodeterminare la classe delle espressioni grammaticali (i.e.degli « enunciati »), ossia delle espressioni che possonoessere generate dal sistema di regole approntato. In altri ter-mini, tutto ciò può essere riassunto dicendo che, a differen-za dell’impostazione strutturalista, una grammatica genera-tiva, qual è concepita, da Chomsky, deve essere in grado diproiettarel’insieme degli enunciati dati nell’insieme moltopiù vasto (eventualmente infinito), degli enunciati della lin-gua in questione. È qui importante sottolineare un aspettoessenziale della critica che Chomsky sviluppa nei confron-ti del metodo strutturalista, e cioè il fatto che la mancatadefinizione, in quest’ultimo, del concetto di grammaticalitàè addebitata preliminarmente (dal punto di vista epistemo-logico) all’assenza di procedure ricorsive, e questo nellamisura in cui il metodo stesso si identifica con tecniche di« segmentazione » e di « classificazione » del corpus. È suqueste basi, di natura appunto « formale », che si può ulte-riormente porre il problema della grammaticalità in riferi-mento al parlante (problema, connesso, come vedremo, conquello dell’adeguatezza « esterna »). Osservazioni analoghepossono essere fatte circa la questione dei presunti « uni-versali » linguistici; per il momento ci limiteremo a notareche tale questione ha una sua giustificazione epistemologi-ca (e non solo genericamente « filosofica », come si tendedi solito a sottolineare) proprio in questo ambito di consi-derazioni: in realtà una teoria generale della grammatica,che abbia per scopo una delimitazione delle grammatichepossibili (sulla base, come si è detto, di restrizioni formali),e che quindi enunci i requisiti cui devono soddisfare le variegrammatiche particolari, può eventualmente essere associa-ta, sul piano intuitivo, a un insieme di ipotesi circa la natu-ra del linguaggio in generale. Non tratteremo qui tale pro-

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fatti empirici (per sostenere, fra l’altro, il carattere « empirico » della linguistica):il problema è ovviamente molto più complesso e si identifica, come accenniamoaltrove, con il problema di determinare un eventuale modelloper quella teoria.

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blema, e ci limiteremo a dire che è anzitutto sotto questaluce che va considerato il problema degli universali lingui-stici, di modo che essi vengono a configurarsi non come« proprietà » empiricamente date, ma come ipotesi circa irequisiti formali che le grammatiche devono soddisfare.Limitarsi all’aspetto più dichiaratamente « filosofico » (oanche psicologico) del problema, e partire direttamente daconcetti come innatismo e simili, significherebbe perdere divista alcuni presupposti fondamentali.

9. Da quanto s’è detto risulta chiaro che il criterio di ade-guatezza interna per le grammatiche non è naturalmenteassoluto, ma relativo. Infatti, poiché in quest’ambito di con-siderazioni l’adeguatezza interna di una data grammaticadipende dalla capacità che essa ha di collimare con una teo-ria generale, è ovvio che il criterio di adeguatezza è relati-vo alla teoria scelta: cambiando teoria (cioè un insieme diipotesi sulle forme possibili di grammatica) si cambianoovviamente i requisiti che una grammatica deve soddisfare;al limite, quando si rinunci a formulare una teoria generale,si elimina contemporaneamente il problema dell’adeguatez-za interna e ci si limita, tacitamente o esplicitamente, al pro-blema dell’adeguatezza esterna, cioè descrittiva, comeavviene per esempio in una grammatica di tipo « tassono-mico ». In realtà, si potrebbe mostrare che un atteggiamen-to del genere implica egualmente, anche se a volte in modonon dichiarato, un certo tipo di teoria generale. Nello stabi-lire infatti i requisiti di adeguatezza esterna di una gramma-tica si è per lo più guidati da considerazioni generali sullanatura del linguaggio: stipulare, per esempio, che l’adegua-tezza esterna di una grammatica consiste nella sua capacitàdi collimare con un corpusdi dati osservabili – senza porreulteriormente requisiti più forti, del tipo di quelli introdottida Chomsky con i concetti di competenza, struttura profon-da, ecc. –, equivale solitamente a presupporre una teoriaorientata in senso comportamentistico, com’è il caso dellostrutturalismo americano. – Se d’altra parte, come s’è visto,

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il compito di una teoria generale consiste anche nel forniremisure di valutazione per grammatiche alternative, le con-siderazioni circa la relatività dei criteri di adeguatezza equi-valgono a dire che tali misure non sono date a priori, masono internealla teoria stessa e costituiscono ipotesi empi-riche suscettibili di smentita e quindi modificabili in basealle risultanze empiriche. Per esempio, assumendo comecriterio di adeguatezza la semplicità della descrizione, sipuò associare una misura di valutazione per grammatichealternative di una data lingua alla determinazione delle« generalizzazioni che sono significative per quella lin-gua ». Parliamo di generalizzazione quando un apparato diregole relative a un insieme di elementi può essere sostitui-to da una singola regola o quando una « classe naturale » dielementi è sussumibile sotto un dato processo o un insiemedi processi simili (cfr. Chomsky, 1965: 42). Specificare le« generalizzazioni » significative per una certa lingua equi-vale dunque a scegliere una misura di valutazione in gradodi determinare quelli che abbiamo chiamato « processisimili » e « classi naturali ». Si tratta, in altri termini, diescogitare una procedura « che assegnerà una misura mec-canica di valutazione a una grammatica nei termini delgrado di generalizzazione linguisticamente significativa chequella grammatica raggiunge. L’ovvia misura da applicarsia una grammatica è la lunghezza, in base al numero di sim-boli. Ma perché questa sia una misura sensata è necessarioapprontare notazioni e restringere la forma delle regole inmodo tale che le considerazioni significative di complessi-tà e generalità siano convertite in considerazioni di lun-ghezza, cosicché le generalizzazioni reali, ma non quellefalse, abbrevino la grammatica » (Chomsky, 1965: 42). È,questo, un problema epistemologico decisivo che, a partealcuni riferimenti nel caso di questioni specifiche,Chomsky lascia peraltro aperto per quanto concerne la suaportata generale. In breve, il discorso avviato da Chomskyè passibile di sviluppi in due direzioni distinte e comple-mentari: per fornire soddisfacenti criteri di adeguatezza

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interna si può, da un lato, rendere sempre più sottili le misu-re di valutazione, dall’altro potenziare le restrizioni circa leforme possibili di grammatica, rendendo quindi sempre piùforti i requisiti che una data grammatica deve soddisfare.D’altronde, questa seconda via è direttamente connessa congli sviluppi effettivi che le analisi grammaticali possonoavere nella tematizzazione di lingue particolari: nella misu-ra in cui le asserzioni circa date proprietà di queste linguesaranno generalizzabili al linguaggio, la teoria stessa dellinguaggio ne verrà potenziata e sarà quindi in grado di sta-bilire requisiti particolarmente forti relativamente alleforme possibili di grammatica, restringendo quindi ilcampo delle grammatiche altamente valutate.

10. Assumiamo che una grammatica è esternamenteade-guata se è in grado di generare tutti e solo gli enunciati diuna data lingua e di associare a essi una descrizione struttu-rale. Avremo modo in seguito di fornire una caratterizza-zione più precisa di questi concetti; per il momento, rima-nendo al livello intuitivo sul quale ci siamo collocati, cibasterà precisare che il compito di una descrizione struttu-rale è quello di stabilire, per ogni enunciato, quali siano glielementi di cui esso è costituito, la loro disposizione nellatotalità dell’enunciato, le loro interconnessioni e, in genera-le, qualsiasi altra specificazione sia necessaria per determi-nare la « forma » dell’enunciato in questione. Non mi sem-bra, che, a un livello così generico, questo concetto pongaparticolari problemi. Per contro, già a questo livello, l’e-spressione « generare tutti e solo gli enunciati di una datalingua » nasconde una serie di questioni assai ampie. Il fattoè che, come si è visto (v. par. 3 sopra), non sembrano esi-stere restrizioni ragionevoli circa l’occorribilità di determi-nati enunciati (o meglio: forme d’enunciato) in una lingua.Se per esempio voglio dar conto di una lingua naturalecome l’italiano, non potrò limitarmi agli enunciati effettiva-mente occorrenti nel corpus adottato, per quanto grandepossa essere questo corpus. Può darsi che un’espressione

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come « Nel 1999 ci sarà una conflagrazione cosmica » nonsia mai occorsa nel corpus, e nondimeno sembra indubbio,dal punto di vista intuitivo, che questa espressione appartie-ne all’insieme-lingua in questione. Su che basi specifichere-mo allora, sempre da un punto di vista intuitivo, gli enuncia-ti appartenenti a una data lingua, ossia quelli che sono perti-nenti per una grammatica (o anche: quelli che una gramma-tica deve appunto generare)? In altri termini: dato un voca-bolario M (un insieme finito di morfemi di una lingua: cioè,approssimativamente, un insieme di elementi atomici chedal punto di vista sintattico non possono essere scomposti incostituenti più semplici), come specificare, nell’insieme infi-nito M* delle sequenze di lunghezza finita costruite su M, ilsottoinsieme proprio E contenente tutti e solo gli enunciatidella lingua? Nel capitolo successivo, occupandoci di alcunenozioni formali, vedremo4 che E è caratterizzabile come uninsieme generato da una grammatica. In termini intuitivi,possiamo invece dire che E è l’insieme di quelle espressioniche, per il parlante, valgonocome enunciati della lingua.

11. Come è noto, è questo un punto della teoria chomskia-na sul quale si è concentrato il maggior numero di critiche.Grosso modo, per comodità d’esposizione, possiamo ricon-durle tutte a questo asserto comune: distinguere in questomodo gli enunciati (espressioni grammaticali) dai non-enun-ciati (espressioni non grammaticali) significa in realtà ricor-rere a un criterio del tutto « soggettivistico » di grammatica-lità, privo di garanzie sostanziali. Banalmente, trascurandol’accezione « negativa » in cui sono usati certi termini, que-sta asserzione è vera. Per renderla significante occorronoperò alcune importanti specificazioni, di fronte alle qualil’asserzione stessa risulterà alla fine irrilevante. Tenteremodunque di mostrare qual è la posizione assunta da Chomskyin merito al problema della grammaticalità, rinviando al par.

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4 Più precisamente, non dovremmo parlare tout courtdi E (cioè dell’insiemedegli enunciati), ma delle strutture astratte particolarmente semplici che soggia-ciono agli enunciati.

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7 del cap. V le considerazioni critiche cui andrebbe sottopo-sta questa posizione (considerazioni che ci sembrano averpoco a che fare con la questione del « soggettivismo »).

Anzitutto, cominciamo con l’osservare che, per avviarel’analisi di una data lingua naturale, occorre disporre di uninsieme finito di espressioni che, con « ragionevole sicu-rezza » (Chomsky, 1965: 121), possono essere consideratecome enunciati della lingua. Evidentemente, il problema ècostituito dal concetto di « ragionevole sicurezza », ed è aquesto che sembrano far riferimento le considerazioni criti-che cui s’è accennato. Crediamo però che la portata di que-sto problema sia stata sopravvalutata. Parlando di « ragio-nevole sicurezza » non si vuole dire altro che i dati da cui siparte sono posti in base a certe ipotesi empiriche: la delimi-tazione delle espressioni che si ritiene valgano come enun-ciati è inevitabilmente legata a criteri arbitrari. Non vedia-mo niente di scandaloso in ciò: semplicemente, si assumeche per qualcheparlante (al limite, come si è già detto, peril linguista stesso) certe espressioni risultino devianti(vedremo in seguito di precisare questo concetto), altre no.Si tratta appunto di un’ipotesi empirica che, come tale, nongode di garanzie a priori (né, del resto, è rilevante saperecome si arrivi a essa: tutto quello che ci interessa sapere èche si tratta di un punto di partenza e che, presumibilmen-te, avremmo anche potuto sceglierne un altro). A questopunto interviene però l’analisi formale, che metterà capo auna determinata grammatica, ossia a una teoria della lin-gua. Così, il problema è quello di determinare l’adeguatez-za empirica di questa teoria, di vedere come i criteri didevianza che sono stati attribuiti in via ipotetica al parlantee in base ai quali si è appunto distinto fra enunciati e non-enunciati possano costituire il modellodi quella teoria. Puòdarsi che la teoria risulti essenzialmente più potente dell’in-sieme dei criteri attribuiti al parlante, e in questo caso essagenererà espressioni che non valgono per lui come enun-ciati, o viceversa più debole, e in questo caso non sarà ingrado di generare tutti gli enunciati del parlante, o può darsi

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anche che la teoria non riesca a generare né tutti gli enun-ciati del parlante né solo quelli. È ovvio che in tutti questicasi avremo teorie che non soddisfino i requisiti intuitiviformulati inizialmente come ipotesi empiriche. Ciò che quiinteressa rilevare è che queste ipotesi non sono ovviamentedate una volta per tutte e che, per esempio, in sede di anali-si delle lingue naturali, esse sono suscettibili di un aggiu-stamento in base alle risultanze delle procedure formaliadottate. Il problema della « ragionevole sicurezza » rientraper intero in questo dominio; analogamente, ricondotteentro questi limiti, tutte le questioni circa la « competenza »del parlante, circa i criteri di « devianza », ecc. perdonomolta della loro drammaticità, nel senso che il momentointuitivo dell’indagine, sul quale si sono concentrate le cri-tiche di « soggettivismo », non può qui essere disgiunto dalmomento formale (come risulterà, tra l’altro, anche dalparagrafo successivo).

12. Ci rimane adesso da specificare meglio il concetto didevianza e da delimitare ciò che, in esso, è pertinente per lagrammatica (ossia per la sintassi, visto il taglio restrittivoche abbiamo dato al discorso). È superfluo dire che, a que-sto livello, tale concetto è del tutto intuitivo: intendiamoinfatti per espressioni devianti tutte quelle espressioni,costruite su un dato vocabolario, che il parlante non accet-terebbe come enunciati della propria lingua. A parte l’es-senziale mancanza di chiarezza (cui le pagine che seguonohanno appunto il compito di ovviare), questa asserzione puòsembrare banale; nondimeno essa ci serve per cominciare:non è infatti detto che le asserzioni introdotte preliminar-mente nel corso di una indagine debbano essere particolar-mente « rivelatrici ». Interessa invece sottolineare un altropunto: questa caratterizzazione del concetto di devianza ètroppo ampia ai fini di un discorso avente per oggetto lacomponente sintattica di una grammatica. I motivi per cuiun parlante potrebbe non « accettare » una data espressionesono molteplici, e ovviamente non è detto che siano tutti

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pertinenti per una analisi sintattica. In realtà, il punto è que-sto: se per sintassi, al livello intuitivo che è proprio del par-lante, intendiamo un insieme di dispositivi (di qualsiasigenere siano) che caratterizzano la combinazione degli ele-menti costitutivi degli enunciati, permettendo così certecombinazioni ed escludendone altre, è naturale che una sin-tassi in quanto sistema formalesia chiamata a render contosoltanto della devianza di un sottoinsieme proprio dell’insie-me delle espressioni devianti. In altri termini, una teoria dellalingua così intesa avrà il compito di indicare quali sono leregole che vengono violate quando ci troviamo di fronte aespressioni devianti di un certo tipo (quelle, appunto, devian-ti dal punto di vista sintattico, che d’ora in poi chiameremonon-grammaticali), mentre, nel caso di espressioni deviantidi tipo diverso, lascerà necessariamente ad altre componentitale compito. Per chiarire meglio questo punto prendiamo treesempi banali di espressioni che presumibilmente risultereb-bero devianti, cioè inaccettabili, per un parlante:5

(1) Questa superficie nera è bianca.1 2 3 4

(2) Ravel, che il pianista Wittgenstein, che il fratello, che 4 3 2 1

aveva scritto il Tractatus, ammirava, aveva interpellato,scrisse un concerto di piano per la mano sinistra.

(3) Il profondamente dorme.

Rozzamente parlando, per quanto concerne (1) si può direche l’incompatibilità che dà luogo alla devianza non riguarda la« forma » dell’espressione, e cioè, tra l’altro, l’insieme dei rap-porti di selezione reciproca che intercorrono fra i costituenticome membri di categorie grammaticali (concetto che va quiassunto in senso del tutto generico); si tratta invece di unaincompatibilità presumibilmente semantica, problema delquale avremo modo di parlare in seguito. La devianza di (2),

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5 Nell’espressione (2) i numeri hanno semplicemente la funzione di indicare irapporti fra gli elementi delle varie espressioni costituenti.

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d’altra parte, sembra estranea alla violazione di regole sintatti-che, dal momento che la struttura di questa espressione è carat-terizzata formalmente dall’applicazione di una regola di autoin-clusione (v. par. 9 della sez. successiva) che interviene fre-quentemente nella costruzione di enunciati. Semplicemente, ilnumero di volte in cui è applicata tale regola sembra compro-mettere in qualche modo la possibilità, per il parlante, di pado-neggiare completamente l’espressione. Risulta infatti abbastan-za chiaro, sul piano intuitivo, che un’espressione come:

(4) Ravel, che il pianista Wittgenstein aveva interpellato,scrisse un concerto di piano per la mano sinistra

risultante da un’unica applicazione della regola di autoin-clusione, appare del tutto non-deviante. Questo fatto lasciaquindi supporre che la devianza di (2) derivi non già dallaviolazione di una data regola sintattica, ma da difficoltà cheriguardano la capacità effettiva, propria del parlante, dimaneggiare espressioni del genere, e questo per limitazioniinerenti al modo in cui il parlante « esegue » certe opera-zioni linguistiche (in primo luogo, per esempio, limitazionidella sua capacità mnemonica). Occorre quindi distinguereda un lato la competenzadel parlante, caratterizzabile gros-so modo come l’insieme dei dispositivi di cui dispone inlinea di principioil parlante per produrre e comprendere glienunciati di una lingua, ossia come l’equivalente intuitivodi una grammatica formalizzata; dall’altro l’esecuzione,nella quale il parlante rende effettivamente operanti queidispositivi e che, come si è visto, riguarda la sua strutturapsico-fisica e l’insieme delle circostanze reali in cui agisce(mentre la competenza è il frutto di una « idealizzazione »che ha il compito di rendere più omogenei fra loro il pianoformale e quello intuitivo). Evidentemente, questa distin-zione non è gratuita e non poggia soltanto su motivazionigenericamente « filosofiche » (collocabili, in genere, nel-l’ambito di una polemica contro il comportamentismo). Sitratta di una scelta di carattere epistemologico nella misurain cui, al livello intuitivo, certi dispositivi possono essere

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considerati, in modo soddisfacente, come un modellodi unagrammatica formalizzata (cioè di una teoriadella lingua). Inaltri termini, una grammatica formalizzata è chiamata a ren-der conto della devianza di (3) – e questo perché si tratta diun’espressione non « derivabile » all’interno del sistemaformale adottato (vedremo quale) –, ma non di (2), la cuidevianza, trattandosi di un’espressione derivabile nel siste-ma formale in questione non sarà quindi imputabile a moti-vi « grammaticali ». Questo insieme di considerazioni costi-tuisce una ulteriore esemplificazione del modo in cui è statoimpostato il problema dell’interrelazione fra momentointuitivo e momento formale. Infatti, talune ipotesi formula-te a livello intuitivo (nella fattispecie, ipotesi circa espres-sioni devianti) sono suscettibili di una trattazione rigorosagrazie all’elaborazione di un sistema formale (qui, una sin-tassi), ma d’altra parte la scelta di questo sistema formalepone serie restrizioni circa le ipotesi formulabili al livellointuitivo. Per rimanere nel nostro esempio, se si adottasseuna grammatica formalizzata G1 che non generasse (1) e (2)(ossia una grammatica in cui (1) e (2) non siano derivabili –per tutti questi concetti rimandiamo alla sezione successi-va), è evidente che (1) e (2) sarebbero non solodevianti, maanche, contrariamente a quanto affermato, non-grammatica-li: il che comporterebbe ovviamente l’abbandono dell’ipote-si che (1) e (2) siano devianti ma grammaticali. D’altraparte, la scelta di G1 anziché di G2 (la grammatica che gene-ra invece (1) e (2)) potrebbe rivelarsi estremamente impro-duttiva per quanto concerne problemi generali di coerenza,esaustività e semplicità; ne conseguirebbe allora l’abbando-no di G1 in favore di G2 e quindi la riassunzione dell’ipote-si prima scartata. In particolare, queste asserzioni spieganoil motivo per cui il problema della devianza non è posto intermini assoluti, ma relativi: relativi, come si è visto, alsistema formale adottato. In altri termini, partendo dall’ipo-tesi della devianza di determinate espressioni (ipotesi, se sivuole, del tutto « soggettiva »), tale devianza potrà essereascritta, sulla base di un determinato sistema formale, a fat-

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tori puramente sintattici (e avremo espressioni devianti non-grammaticali come (3)), oppure a fattori non sintattici (eavremo, come nel caso di (2) e (1), espressioni deviantirispettivamente al livello dell’esecuzione e al livello seman-tico).6 Evidentemente queste scelte dipendono dal sistemaformale adottato, ed è alla luce di quest’ultimo che si pos-sono vagliare ipotesi alternative. Il caso più clamoroso,come vedremo, è quello in cui certi tipi di devianza dannoluogo a ipotesi alternative che attribuiscono questa devian-za a una violazione di regole sintattiche o, viceversa, a unaviolazione di regole semantiche. Ma, per l’appunto, la« relatività » del concetto di devianza cui s’è accennato fasì che siano considerazioni epistemologiche di coerenza esemplicità circa la grammatica complessiva, con tutte le suecomponenti, a dire l’ultima parola sul problema di attribui-re a questa o a quella componente l’origine della devianza.(Come s’è già detto, per la critica dell’atteggiamento assun-to da Chomsky circa il problema della grammaticalità, rin-viamo al par. 7, cap. V.)

13. Fatte queste precisazioni, la frase all’inizio del par.10, con la quale si specificava il criterio di adeguatezzaesterna per una grammatica, può ora essere tradotta in ter-mini più semplici in questo modo: una grammatica è ester-namente adeguata « nella misura in cui descrive corretta-mente la competenza intrinseca del parlante nativo idealiz-zato » (Chomsky, 1965: 24). L’uso del termine « idealizza-to »7 ha qui, in accordo con quanto s’è detto nel par. 11, una

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6 Evidentemente, questa è una tipizzazione puramente ideale, che non esclude,com’è facile capire, casi « misti », in cui la devianza è imputabile a fattori eterogenei.

7 Come il problema del presunto « soggettivismo », anche quello dell’« idea-lizzazione » ci sembra sia stato spesso frainteso. Tipico, ancora una volta, è il casodi Hockett (1968), che parla di una « oziosa speculazione filosofica ». Il fatto èche in questo modo si ignora la natura epistemologicadel concetto di idealizza-zione: si ignora cioè che questo concetto ha essenzialmente la funzione di delimi-tare il rapporto fra un dato costrutto teoricoe l’insieme dei fenomeni osservabili,specificando fra l’altro la non immediatezzadi questo rapporto. Dal punto di vistaepistemologico, concetti del genere sono addirittura banali (come lo è, per esem-pio, la distinzione fra geometria pura e geometria applicata), e non si capisce come

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funzione ben precisa, consistente nel restringere sensibil-mente la portata esplicativa (in termini intuitivi) di unagrammatica generativa, ossia di un sistema di regole che inmodo esplicito e meccanico generi gli enunciati di una lin-gua e le loro descrizioni strutturali. Infatti, grazie alla restri-zione cui s’è accennato, la corrispondenza che può essereistituita fra questa grammatica e la « competenza » del par-lante (o, in altri termini, il rapporto fra una teoria e un suopossibile modello intuitivo) non riguarderà il comporta-mento effettivodel parlante, ma, per l’appunto, un insiemedi capacità astratte (« idealizzate ») che non necessaria-mente trovano un equivalente esatto sul piano dell’esecuzio-ne. Ne consegue che, al livello intuitivo, il compito di unagrammatica non consisterà nel render conto di questo com-portamento (non sarà, altrimenti detto, un compito « norma-tivo »). « Quando diciamo che una grammatica genera unenunciato con una certa descrizione strutturale, intendiamosemplicemente dire che la grammatica assegna questadescrizione strutturale all’enunciato. Quando diciamo cheun enunciato ha una certa derivazione rispetto a una partico-lare grammatica generativa, non diciamo niente circa ilmodo in cui il parlante o l’ascoltatore potrebbe procedere, inqualche modo pratico o efficiente, per costruire una tale deri-vazione. Questi problemi sono di pertinenza della teoria del-l’uso del linguaggio: la teoria dell’esecuzione » (Chomsky,1965: 9). Pertanto, come si è detto, ciò di cui una grammati-

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la loro utilizzazione in linguistica possa destare ancora meraviglia. Se l’osserva-zione di Hockett fosse corretta, allora la storia della scienza sarebbe lastricata di« oziose speculazioni filosofiche ». Del resto, su questo punto si era già espressochiaramente Carnap (1934: 32): « L’analisi diretta [delle lingue naturali], che èsta-ta fino a oggi quella prevalentemente intrapresa, non può non risultare inade-guata, nello stesso modo in cui non potrebbe non riuscire vano il lavoro di un fisi-co che cercasse sin dall’inizio di stabilire un rapporto fra le proprie leggi e le cosereali: alberi, pietre e così via. Il fisico dapprincipio pone in relazione le proprieleggi con sistemi artificiali assai semplici: con una leva, sottile e diritta, con unpendolo rudimentale, con masse puntiformi, ecc. Quindi, sulla base delle leggirelative a questi sistemi artificiali, egli è, in un secondo tempo, in grado di analiz-zare nei suoi elementi essenziali il complesso comportamento dei corpi reali,riuscendo così a controllarli ».

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ca può render conto a livello intuitivo si trova sensibilmen-te limitato in virtù della non pertinenza del piano esecutivo:per questa stessa ragione, il rapporto fra una grammaticaformale e l’insieme delle procedure intuitive proprie delparlante può essere posto in termini molto più stretti.

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Nozioni formali

1. Nella sezione precedente, trattando la questione delcorpus, s’è visto come in realtà la specificazione di una lin-gua costituisca un problema la cui soluzione può scaturiresolo dalla elaborazione di una particolare procedura cheabbiamo chiamato grammatica. Era cioè emerso che, pro-priamente parlando, una lingua (intesa come un insiemeinfinito di enunciati) non è qualcosa che sia dato originaria-mente, ma qualcosa che va costruito, e avevamo appuntoassegnato a una grammatica questo compito « costruttivo ».

2. In realtà, il problema nel quale ci siamo imbattuti rien-tra nel problema generale di stabilire le procedure opportu-ne che permettono di « dominare » un dato insieme, cioè dipossederne la struttura e, conseguentemente, di poter rag-giungere in linea di principio ogni suo elemento. È chiaroche questa esigenza di dominabilità sarebbe per esempiosoddisfatta se disponessimo di una regola di generazionedegli elementi di quell’insieme, poiché, grazie a un oppor-tuno numero di applicazioni di quella regola, potremmo ar-rivare a ogni elemento arbitrario dell’insieme in questione.Una importante illustrazione di questo assunto è rappresen-tata dalla definizione per induzione. In termini approssima-tivi, possiamo dire che essa permette di specificare un certoinsieme a partire da un insieme di elementi dati e attraver-so un insieme finito di (schemi di) operazioni. Così, datoun insieme V di oggetti e un insieme finito R di operazio-

II

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ni, una possibile definizione induttiva di un insieme X sarà:(a) Ogni elemento che appartiene a V appartiene a X;(b) se a è un elemento generato secondo regole in R a

partire da elementi di V o da elementi ottenuti attraversoprecedenti applicazioni di quelle regole, allora a appartienea X;

(c) X non ha altri elementi se non quelli specificati in (a)e (b).

3. Nel caso delle lingue naturali, s’è visto che uno deiproblemi cruciali era il seguente: come specificare l’insie-me L degli enunciati che costituiscono una lingua? Dicendoche per risolvere tale questione occorre approntare un algo-ritmo, si intendeva dire che occorre elaborare una procedu-ra la cui applicazione richieda un numero finito di passi e sisvolga « meccanicamente », vale a dire in base a un nume-ro finito di regole che, ogniqualvolta sia stato compiuto uncerto passo, determinino automaticamente il passo succes-sivo. Ora, se L fosse un insieme finito, l’elaborazione di unatale procedura non presenterebbe ovviamente alcun proble-ma: per sapere, per esempio, se una data espressione appar-tiene o no a L, l’algoritmo coinciderebbe, banalmente, conuna ispezione dell’insieme dato: trattandosi di un insiemefinito, prima o poi avremmo una risposta. S’è visto però cheL non è finito, ed è questo il motivo per cui diventa essen-ziale il compito di « costruirlo ». È dunque evidente il col-legamento fra ciò che abbiamo accennato in merito alledefinizioni per induzione e il nostro problema originario:infatti, come si è visto, una definizione di questo tipo fa sìche, a partire dagli elementi dati, si possa raggiungere qual-siasi elemento dell’insieme attraverso un numero finito dipassi.

Una formulazione più precisa del problema sollevatosopra circa la possibilità di assegnare o meno a L espressio-ni arbitrarie potrebbe essere questa: L è decidibile? Infatti,intendiamo per insieme decidibileun insieme tale che, datoun oggetto arbitrario, esiste un algoritmo che determina se

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questo oggetto appartiene o no all’insieme. Ora, un modoper trattare problemi di decisione consiste nell’assegnare aogni insieme una particolare funzione, chiamata « funzionecaratteristica », che, applicata a un oggetto arbitrario x,assume il valore 1 se x appartiene a quell’insieme e il valo-re 0 se non gli appartiene, e che non può assumere altrivalori al di fuori di questi: ne consegue, in base alla defini-zione precedente, che una condizione necessaria e suffi-ciente per la decidibilità di un insieme sarà la calcolabilitàdella sua funzione caratteristica. È però chiaro che quiabbiamo fatto ricorso a un concetto del tutto intuitivo di cal-colabilità, un concetto che dunque va esplicitato su basi for-mali. Un modo per realizzare ciò è fornito dalla teoria dellefunzioni ricorsive, assumendo (ed è questa la cosiddetta« tesi di Church ») che queste funzioni siano tutte e solo lefunzioni calcolabili o, in altri termini, che il concetto diricorsività rappresenti una caratterizzazione formale ade-guata del concetto intuitivo di calcolabilità. Una delle for-mulazioni di questa teoria può essere sommariamentericondotta a questo schema di discorso: attraverso una pro-cedura induttiva si è definita la classe delle funzioni ricor-sive, tali che ognuna di esse può essere ottenuta a partire daun insieme finito di funzioni iniziali date e da un insiemefinito di operazioni. In particolare, queste funzioni sonocaratterizzate dalla proprietà che il valore calcolato per certiargomenti costituisce a sua volta l’argomento per il calcolosuccessivo, in modo che il procedimento complessivo puòessere caratterizzato come una sequenza di passi, ognunodei quali è determinato meccanicamente dal precedente, apartire da certi valori calcolati inizialmente.

È facile capire come la teoria delle funzioni ricorsivecostituisca uno strumento adeguato per la trattazione diproblemi di decisione: uno strumento che ci permette, fral’altro, di stabilire quale sia il grado di « effettività » ine-rente alla procedura utilizzata per risolvere un dato proble-ma, ossia il grado in cui questa procedura rappresenta unmetodo puramente meccanico, nel senso specificato sopra.

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Ci limiteremo qui a ricordare il massimo grado di effettivi-tà e quello immediatamente inferiore: nel primo caso dire-mo dunque che un insieme è decidibile (o, equivalentemen-te, ricorsivo), se e soltanto se la sua funzione caratteristicaè ricorsiva, mentre nel secondo caso diremo che un insiemeè ricorsivamente enumerabilese e soltanto se i suoi ele-menti sono i valori di una funzione ricorsiva. Così, dato uninsieme decidibile D, saremo sempre in grado, grazie a unnumero finito di passi, di stabilire se un oggetto arbitrario xappartiene o no a D (avremo cioè sempre una risposta, siain caso affermativo sia in caso negativo); invece, dato uninsieme ricorsivamente enumerabile E, potremo sempreappurare che x appartiene a E nel caso gli appartenga, ma,se non gli appartiene, non abbiamo nessuna garanzia dipoterlo stabilire.

Questi accenni superficiali hanno unicamente lo scopo diindicare quale sia la cornice teorica complessiva in cui pren-de forma il problema della grammatica. In effetti, definireuna grammatica non significa altro, all’interno della prospet-tiva chomskiana, che definire un sistema di regole che possaapplicarsi meccanicamente a un insieme finito di oggetti per« generarne » altri. Un sistema di questo tipo può essere qua-lificato come un tipo particolare di sistema formale.

4. Intuitivamente, un sistema formaleè determinato da (i)un insieme di oggetti dati, (ii) un insieme di regole, per com-binare in sequenze questi oggetti, (iii) un insieme di assiomie (iv) un insieme di regole per « manipolare » le sequenze,per esempio per derivarne alcune da altre. In realtà, il requi-sito (ii) definisce il criterio di « buona formazione », per-mettendo cioè di specificare ricorsivamente quali siano lecombinazioni consentite degli oggetti (in genere simboli)dati. Va altresì rilevato che questo criterio è particolarmenteinteressante nel caso di certi sistemi formali come p.e. il cal-colo degli enunciati, per l’evidente motivo che, allo scopo diessere interpretabili in termini di valori di verità, le espres-sioni devono soddisfare certi requisiti di strutturazione inter-

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na, devono cioè essere sequenze (o « formule ») « ben for-mate » a partire dagli elementi dati. Nel caso di grammati-che per lingue naturali (p.e. grammatiche generative di uncerto tipo), invece, il requisito (ii) è banalmente soddisfattodal fatto che qualsiasi combinazione ottenuta concatenandoda sinistra a destra i simboli è equiparabile alle « formuleben formate » del calcolo degli enunciati: in entrambi i casi,infatti, si tratta delle espressioni con le quali ha a che fare ilsistema, e quest’ultimo ci dirà in un caso (calcolo deglienunciati) che alcune di esse sono teoremi, nell’altro caso(grammatica) che alcune di esse sono espressioni grammati-cali. Una certa confusione su questo punto può nascere dalfatto che anche Chomsky, per esempio, parla di « buona for-mazione » delle espressioni; occorre qui specificare che que-sto concetto corrisponde però a quella che, in un sistemaformale come il calcolo degli enunciati, può essere chiama-ta la « teoremicità » di un’espressione, cioè la sua derivabi-lità dagli assiomi (v. par. successivo): infatti, un’espressioneben formata (o « enunciato ») è per Chomsky un’espressio-ne derivabile (cioè generabile) nel sistema grammaticale inquestione. Si può dunque concludere che nella teoria chom-skiana il criterio di costruzione delle espressioni corrispon-dente al criterio di buona formazione del calcolo degli enun-ciati è dato semplicemente dalla concatenazione (senza ulte-riori restrizioni), mentre quella che viene chiamata « buonaformazione » sembra corrispondere alla « teoremicità ».

5. Più precisamente, un sistema formale è determinato dauna quadrupla S = < V, F, A, R >, dove V è un insieme non-vuoto numerabile di simboli (alfabeto); F è l’insieme delleformuleben-formate, tale che se V* è l’insieme di tutte leespressioni di lunghezza finita costruite su V, allora F ⊆ V*;A è un sottoinsieme di F (i suoi elementi sono chiamatiassiomi); R è un insieme di regole di inferenza. Per quantoconcerne gli assiomi e le regole di inferenza, vale forse lapena di ricordare che in questo contesto (soprattutto avendodi mira il problema delle grammatiche) essi non sono ovvia-

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mente costruiti in vista di una interpretazione fondata suiconcetti di verità e falsità degli enunciati. Si tratta, per cosìdire, di pure entità operative, e in effetti vedremo che in queiparticolari sistemi formali che sono le grammatiche c’è ununico assioma, il quale non è altro che un « simbolo inizia-le » da cui si fa partire una derivazione. Analogamente unaregola di inferenza non esprime se non una relazione che facorrispondere a una certa n-pla di formule (φ1, φ2, …, φn) unasingola formula ψ. Inferire, in questo senso, significa che nelcorso della procedura possiamo « passare » da (φ1, φ2, …, φn)a ψ, passaggio che può per esempio consistere nel riscriverecerti simboli con certi altri simboli. Più precisamente, se R∈ R e se la n-pla (φ1, φ2, …, φn) si trova nella relazione Rcon ψ, allora diciamo che ψ è una conseguenza direttadi(φ1, φ2, …, φn). Così, dato un sistema formale S, una provain S è una sequenza finita di formule (φ1, φ2, …, φn) tale che,per ogni i (1 ≤ i ≤ n), o φi ∈ A, o φi è una conseguenza diret-ta di qualche formula precedente in base a una R di R.Infine, diciamo che una formula x è un teoremadi S se e sol-tanto se esiste una prova (φ1, φ2, …, φn) tale che φn = x.

6. Sempre allo scopo di fornire una sommaria caratteriz-zazione formale del concetto di grammatica, accenneremoora ad alcune varietà di sistemi formali.

(a) Un sistema semi-thuianoè determinato da una qua-drupla ST= < V, F, A, R >, dove V è un alfabeto non-vuotofinito; F = V* (vale a dire che l’insieme delle formule èl’insieme di tutte le espressioni costruite su V); A è ununico assioma (in altri termini, una sola formula di F, è quiassunta come assioma); R è un insieme di regole del tipoPAQ → PωQ (da leggere: PAQ è riscritto PωQ), dove A, ω∈ V e P e Q, sono variabili sintattiche, servono cioè a deno-tare l’intorno, eventualmente nullo, in cui un dato occorri-mento di A può essere riscritto ω (d’ora in poi chiameremoregole di riscritturale regole di questo tipo).

(b) Un automaè un sistema semi-thuiano tale che V = V1

∪ V2, dove V1, è un insieme non-vuoto finito di simboli

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chiamati talvolta atomicie V2 è un altro insieme non-vuotofinito di simboli chiamati ausiliari, e dove V1 ∩ V2 = ∅ (V1

e V2 sono cioè disgiunti, non hanno alcun elemento incomune: le ragioni e l’utilità dell’introduzione di un doppioalfabeto risulteranno chiare quando si parlerà più partico-larmente delle grammatiche).

Esempio. Come esempio di (b) possiamo assumere unagrammatica G1, determinata da:

(c)(i) V1 = a,b

V2 = E(ii) F = V* (poiché V è l’unione di V1 e V2, è chiaro che

F è eguale all’insieme di tutte le espressioni di lunghezzafinita costruite su a,b,E: per esempio, a; aEb; Eaa; E);

(iii) L’assioma è E.(iv) Ci sono due regole di riscrittura:

(I) E → aEb(II) E → ab

D’ora in poi, in questo contesto, chiameremostringaogni espressione di lunghezza finita costruita su un datoalfabeto (cioè ogni sequenza di simboli) e derivazionequel-la che nel par. 5 abbiamo definito « prova ». Se si tiene pre-sente quella definizione, è facile vedere che una derivazio-ne della stringa aaabbbsarà:1

(d)1. E (Assioma)2. aEb (reg. I)3. aaEbb (reg. I)4. aaabbb (reg. II)

7. Abbiamo visto che un automa è caratterizzato, fra l’al-tro, dal fatto di avere due alfabeti. Ciò ci permette di distin-

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1 Ogni riga contiene, oltre a una data stringa, la specificazione dell’indice chequesta stringa riceve nella sequenza di derivazione (numero a sinistra) e del modoin cui è stata ottenuta (parentesi a destra).

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guere le varie stringhe che occorrono nel corso di una deri-vazione: esse saranno cioè ausiliarie quando contengonosolo simboli dell’alfabeto ausiliario, purequando contengo-no solo simboli atomici, mistequando contengono entram-bi. Inoltre diremo che una derivazione ( φ1, φ2, …, φn) di unastringa x è terminatase φn = x e se non esiste nessuna strin-ga y derivabile da x in base a una qualsiasi delle regole elen-cate (vale a dire che x non è più suscettibile di nessunariscrittura): in questo caso diremo che x è un teorema ter-minale.

Tenendo presenti queste specificazioni, possiamo alloracaratterizzare un generatorecome un automa il cui (unico)assioma è ausiliario e i cui teoremi terminali sono puri. Ora,una grammaticaè appunto un generatore2 definito da unaquadrupla G = <V, V*, E, R>, dove si ha:

(a)I. V = VT ∪ VN (VT è l’insieme dei simboli terminali,

ossia di quei simboli che non sono « riscrivibili » in altrisimboli; VN è il complemento di VT in V: secondo le prece-denti definizioni, VT è un alfabeto di simboli atomici e VN

un alfabeto ausiliario).

II. V* è l’insieme di tutte le stringhe costruite su V (com-preso il caso di stringhe formate dall’occorrenza di un unico

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2 Com’è noto, il fatto che una grammatica sia un sistema che generaenuncia-ti non significa assumere, dal punto di vista intuitivo, l’atteggiamento del par-lante (che « produce » appunto enunciati) anziché quello dell’ascoltatore (che li« riconosce »). L’aggettivo « generativa » che viene associato alle grammatichequi in questione va infatti assunto nell’accezione formale esplicitata nel testo,denotante un dispositivo che enumera, o calcola, certi oggetti in base a un insie-me finito di regole. Propriamente, dunque, una grammatica non « produce »nulla, nel senso intuitivo della parola, ed è neutra rispetto alle operazioni del par-lante o dell’ascoltatore. Essa può essere accostata a un sistema astratto che in unmodo o nell’altro deve trovare riscontro nella competenza del parlante-ascoltato-re (per lo meno se vuole essere empiricamente significante), anche se è un pro-blema particolarmente complesso sapere come il parlante-ascoltatore utilizzieffettivamente (cioè nell’atto concreto di parola) le nozioni esplicitate formal-mente da una grammatica. Tutto ciò dovrebbe risultare chiaro tenendo presentela differenza fra livello formale e livello intuitivo cui s’è accennato nel capitoloprecedente.

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simbolo). Queste stringhe sono cioè formate concatenandoda sinistra a destra simboli di VT o VN oppure stringhe pre-cedentemente ottenute in questo modo; si tratta di un’ope-razione binaria, associativa e non commutativa, cosicché,adottando « + » come simbolo della concatenazione, si ha:

φ + ψ = φψ(φ + ψ) + χ = φ + (ψ + χ)φ + ψ ≠ ψ + φ

L’insieme di stringhe così costruite corrisponde alle for-mule ben formate di un sistema formale in genere, ma vanotato (cfr. par. 4 sopra) che nel caso presente il criterio distrutturazione delle stringhe è particolarmente debole,essendo soddisfatto dalla semplice concatenazione di sim-boli o di stringhe di simboli.

III. E è l’assioma, e appartiene a VN. D’ora in poi lo chia-meremo simbolo iniziale.

IV. R è l’insieme delle regole di riscrittura.

Crediamo che sia diventato chiaro, a questo punto, cosasi intenda per « generare » (e, correlativamente, per« grammatica generativa »): indipendentemente dalleestrapolazioni che sono state fatte al livello genericamen-te filosofico (in connessione con concetti come quello di« creatività » del linguaggio o simili), questo o termine èqui ovviamente legato a una procedura di natura ricorsiva,vale a di che, come mostra l’esempio del par. 6, dato uninsieme finito di elementi e un insieme finito di regole, èpossibile generare un certo insieme – eventualmente infi-nito – grazie all’applicazione « meccanica » di questeregole, cioè grazie a un calcolo. Ora, data una grammaticaG (definita come sopra), chiameremo enunciatoun teore-ma terminale di G, e chiameremo lingua l’insieme di tuttie solo gli enunciati generati da G: così, nell’esempio cita-to, la stringa aaabbb è un enunciato, mentre non lo èaabbb, e la lingua della grammatica G1 sarà l’insieme di

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tutte e solo le stringhe di lunghezza finita formate da uncerto numero di occorrenze del simbolo a e dallo stessonumero di occorrenze del simbolo b; in altri termini, G1

genera esclusivamentestringhe come: ab, aabb, aaabbb,ecc., nel senso che nonpuò generarne altre; inoltre, gene-ra qualsiasistringa di quel tipo, nel senso che, se comin-ciamo il calcolo dal simbolo iniziale e proseguiamo perpassi successivi, prima o poi dovremo necessariamenteincontrarla. Dovrebbe altresì risultare intuitivamente chia-ro che l’insieme degli enunciati generati da G1 è infinito,per il fatto che possiamo reiterare a piacere l’applicazionedella regola (I).

8. Si è ora in grado di presentare un esempio di gramma-tica per una lingua i cui simboli atomici (o terminali) sonosette parole dell’italiano. Questa grammatica (G2) risultacosì definita:

(a)I. VT = il, cane, topo, pane, mangia, annusa, desidera.

VN = E, SN, SV, N, V, Art (una possibile interpreta-zione di questi simboli è quella in termini di categoriegrammaticali intuitive. Rispettivamente: enunciato, sin-tagma nominale, sintagma verbale, nome, verbo, artico-lo).

II. Il simbolo iniziale è E.

III. Le regole in R sono le seguenti:(R1) E → SN + SV(R2) SN → Art + N(R3) SV→ V + SN(R4) Art → il(R5) N → cane / topo / pane3

(R6) V → mangia / annusa / desidera

Nozioni formali 43

3 D’ora in poi, le barre oblique indicano possibili alternative. Così, nel nostrocaso, « N » può esser riscritto come « cane », « topo », ecc. Incidentalmente, sipuò notare che mancando qui restrizioni selettive di qualsiasi genere, la gramma-tica in questione genererà enunciati come « Il pane mangia il cane ».

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Le regole R1 - R6 possono essere sottoposte a varierestrizioni. In particolare, ne adotteremo due: in ogni strin-ga si può riscrivere uno e un solo simbolo per volta; le rego-le vanno applicate in base al loro ordine di successione (piùprecisamente, in modo « ciclico »). Pertanto, data G2, l’e-spressione « Il cane mangia il pane » sarà generata da G2

secondo la seguente derivazione:

(b)

1. E (Simb. iniz.)

2. SN + SV (R1)

3. Art + N + SV (R2)

4. Art + N + V + SN (R3)

5. il + N + V + SN (R4)

6. il + cane + V + SN (R5)

7. il + cane + mangia + SN (R6)

8. il + cane + mangia + Art + N (R2)

9. il + cane + mangia + il + N (R4)

10. il + cane + mangia + il + pane (R5)

È evidente che una derivazione di questo tipo forniscetutta una serie di informazioni sintattiche. In particolare,ogni riga della derivazione, esclusa ovviamente la prima,può essere interpretata come una « espansione » della pre-cedente in base a una delle regole elencate, le quali permet-tono appunto di riscrivere un simbolo di una data stringa inuno o più simboli. In altri termini, una derivazione forma-lizza, grazie a una procedura meccanica, quel bagaglio diconoscenze intuitive tradizionalmente noto come analisi delperiodo. È così possibile vedere quale sia la struttura di unenunciato, rilevandone i costituenti: nel caso in questione,per esempio, l’enunciato risulta preliminarmente compostodi due costituenti (SN e SV), uno dei quali risulta a sua

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volta composto di due costituenti (Art e N), e così via.4

Tuttavia, per evitare fraintendimenti dovuti alla limitatezzadell’esempio, va notato sin d’ora che le regole R1 - R3hanno uno statuto diverso da quello delle regole R4 - R6.Intuitivamente, infatti, le prime sono interpretabili comeoperazioni che permettono di analizzare un sintagma(cioèun aggregato di elementi) nei suoi elementi costitutivi (egli oggetti denotati dai simboli che compaiono in questeregole sono intuitivamente interpretabili come categoriegrammaticali), mentre le seconde permettono di riscrivereun simbolo non terminale in un simbolo terminale (nell’in-terpretazione adottata, si potrebbe dire che queste regolepermettono di sostituire un simbolo di categoria con unmembro di questa categoria). Questo secondo aspettocostituisce il problema del lessico, che avremo modo divedere meglio analizzando più dettagliatamente la struttu-ra di una grammatica trasformazionale. Per il momento, sitrattava solo di caratterizzare intuitivamente il concetto didescrizione strutturale (relativamente alla sintassi).Formalmente, tale concetto può essere associato a un insie-me di regole analoghe a quella di G2, ma che comportanoun sistema di parentesizzazione. Così, se in (a) avevamouna regola Ri (1 ≤ i ≤ 6) rappresentata dallo schema A→ω, la nuova regola R’i che le corrisponde sarà rappresenta-ta dallo schema A→ (Αω)A (dove i simboli in deponenteindicano la « provenienza » della stringa ottenuta perriscrittura). In luogo della derivazione (b) avremo dunquela derivazione (c):

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4 Chiamiamo grammatica sintagmaticaun sistema di regole di questo tipo(ignorando qui il problema delle restrizioni cui esse dovrebbero essere sottoposteperché si abbia una grammatica linguisticamente significativa). Val la pena diosservare che una grammatica del genere formalizza il tipo di procedure adotta-te dalle cosiddette grammatiche a costituenti immediati (che Chomsky chiama« tassonomiche »): ossia procedure che, avendo di mira un inventario di elemen-ti, di sequenze di elementi, di classi di elementi e di classi di sequenze di ele-menti, analizza la composizione di un dato costituente in base ai suoi costituentiimmediati.

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(c)

1. E (Simb. iniz.)

2. (ESN + SV)E (R’1)

3. (E(SNArt + N)SN + SV)E (R’2)

4. (E(SNArt + N)SN + (SVV + SN)SV)E (R’3)

5. (E(SN(Artil) Art + N)SN + (SVV + SN)SV)E (R’4)

6. (E(SN(Artil) Art + (Ncane)N)SN + (SVV + SN)SV)E (R’5)

7. (E(SN(Artil) Art + (Ncane)N)SN + (SV(Vmangia)V +

SN)SV)E (R’6)

8. (E(SN(Artil) Art + (Ncane)N)SN + (SV(Vmangia)V +

(SNArt + N)SN)SV)E (R’2)

9. (E(SN(Artil) Art + (Ncane)N)SN + (SV(Vmangia)V +

(SN(Artil) Art + N)SN)SV)E (R’4)

10. (E(SN(Artil) Art + (Ncane)N)SN + (SV(Vmangia)V +

(SN(Artil) Art + (Npane)N)SN)SV)E (R’5)

La descrizione strutturale(sempre limitatamente allasintassi) di un’espressione o di una sua parte è dunque unarappresentazione astratta in termini di costituenti e di rap-porti fra questi costituenti, una rappresentazione che è resagraficamente da un indicatore sintagmatico, qual è peresempio la stringa contenuta nella riga 10 della derivazione(c). (In altri termini, ogni riga di (c) fornisce la descrizionestrutturale di una stringa – ausiliaria, mista o pura – perché,grazie al sistema di parentesi etichettate, ci rivela i rapportifra i vari costituenti. Così, sempre per rimanere nel nostroesempio, la riga 3 fornisce la descrizione strutturale dellastringa « Art N SV » e la riga 10 la descrizione strutturaledella stringa terminale, cioè dell’enunciato, « Il cane man-gia il pane »). Equivalentemente, l’indicatore può esserecostituito da un grafo ad albero, tale che, se nel corso delladerivazione il simbolo A è riscritto nei simboli α, β, γ, ...,allora A costituisce un nododal quale partono dei segmentiche terminano rispettivamente in α, β, γ, ... (il nodo inizia-

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le, cioè E, è chiamato radicedel grafo). Corrispondentementealla riga 10 di (c), avremo dunque:

(d) E

SN SV

Art N V SN

Art N

il cane mangia il pane

9. Un diagramma come (d) ha la proprietà di evidenzia-re visivamente quelli che sono i rapporti di dominanzafracostituenti nella struttura di un enunciato o di una sua parte.Si dice infatti che A domina ω (in simboli: A⇒ ω ) se e sol-tanto se c’è una sequenza σ1, …, σn (1 ≤ n), tale che σ1 = Ae σn = ω e tale che, per ogni i (i < n), σi + 1 è ottenuta da σi

grazie all’applicazione di una regola di riscrittura; in parti-colare, se σ2 = ω diremo che A domina immediatamenteω;così, per esempio, nel diagramma precedente E domina(Art + N + V + SN), mentre domina immediatamente (SN+ SV).

La nozione di autodominanza ci serve per definire certeproprietà dei simboli, proprietà che Chomsky chiama« ricorsive ». Esistono in proposito quattro possibilità:

(1) un simbolo A è non ricorsivose non esistono X, Ynonnulli tali che A⇒ XAY (vale a dire che A non figura innessuna stringa dominata dallo stesso A);

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(II) A è ricorsivo a sinistrase esiste un X non-nullo taleche A⇒ AX (vale a dire che, partendo da A, in una seriefinita di passi – eventualmente un unico passo, nel casodella dominanza immediata – si arriverà ancora ad A, segui-to da una stringa arbitraria);

(III) A è ricorsivo a destrase esiste un X non-nullo taleche A⇒ XA (partendo da A si arriverà ancora ad A, questavolta preceduto da una stringa arbitraria);

(IV) A è autoinclusivose esistono degli X, Y non-nullitali che A⇒ XAY (ossia, partendo da A si giungerà ancoraad A, preceduto e seguito da stringhe arbitrarie).

I casi di ricorsività elencati possono per esempio avererappresentazioni del tipo:

A A A

Caso II Caso III Caso IV

B C B C B C

A A A D

I brevi ragguagli forniti qui sottendono in realtà un pro-blema molto importante per la teoria generale. Infatti, l’esi-stenza di elementi « ricorsivi » rende possibile la genera-zione di un insieme infinito di enunciati, come risulta intui-tivamente dal fatto che se da un dato simbolo è possibileprima o poi derivare quello stesso simbolo (oltre a eventua-li altri costituenti), tale operazione può essere ripetuta inde-finitamente, in modo da generare un numero a piacere diespressioni. Nel caso di G1 (v. par. 6), per esempio, l’esi-

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stenza della regola (I) fa sì che, dopo aver derivatoaEb daE, dal risultato così ottenuto si possa poi derivare (sempreper la stessa regola) aaEbb, e così via. Ora, in un comples-so di analisi ben note (e sulle quali dunque non ci soffer-miamo) – analisi tendenti a dimostrare l’inadeguatezza divari modelli di grammatica –, Chomsky ha mostrato che lelingue naturali presentano appunto caratteristiche analo-ghe.5 Trattandosi dunque di insiemi infiniti, una via percaratterizzarli è quella induttiva (v. parr. 2 e 3), consistentenell’assumere alcuni elementi iniziali e nel determinarealcune operazioni tali che gli oggetti cui si applicano questeoperazioni siano o gli oggetti iniziali o il prodotto di unaprecedente applicazione di quelle regole. Così, per esempio,nella derivazione (d) del par. 6 la stringa contenuta nellariga 4 è il prodotto dell’applicazione della regola II allastringa contenuta nella riga 3, la quale è a sua volta il pro-dotto dell’applicazione della regola I alla stringa della riga2, ecc. ecc. (Qui E è il simbolo ricorsivo, e si vede subitoche ci possono essere infinite derivazioni a partire da E.)Ora, una grammatica come p.e. G1 è appunto un dispositivoper generare enunciati, e quella che è stata chiamata la« ricorsività » di alcuni elementi da essa maneggiati (cioè,banalmente, la proprietà di comparire sia a sinistra, sia adestra della freccia nelle regole di riscrittura, in modo dacostituire una catena che teoricamente può espandersi inde-finitamente) permette appunto di generare un insieme infi-nito di enunciati, i quali possono dunque essere consideraticome le stringhe terminali (di lunghezza finita) di un insie-me infinito di derivazioni.

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5 Non è difficile trovare esempi analoghi a quelli precedenti anche nelle lin-gue naturali. Per il caso II si potrebbe citare un’espressione inglese come « Boy’sfather’s car »; per il caso III la sua traduzione italiana « L’auto del padre delragazzo »; per il caso IV l’espressione italiana « Il film che ho visto ieri sera miha disgustato » (in questo ultimo esempio, risulta intuitivamente chiaro cheabbiamo un enunciato « incastrato » in un altro enunciato).

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10. Prima di passare al tipo di grammatica delineato daChomsky a partire dagli Aspetti, è opportuno fornire altrenozioni sommarie. Ricordiamo anzitutto la definizione dimonoide come una tripla M = < A, , I > tale che A è uninsieme non-vuoto di oggetti, è l’operazione del monoi-de e I è un elemento di A. Questa tripla ha inoltre le seguen-ti proprietà:

(a) I. Per ogni a,b ∈ Ac’è un c ∈ A tale che a b = c (chiusura) II. Per ogni a,b,c ∈ A(a b) c = a (b c) (associatività) III. Per ogni a ∈ Aa I = I a = a (esistenza di un elemento identità)

Ora, da un punto di vista algebrico, una grammatica G ècollegata a un monoide che ha A = (VT ∪ VN)* (dove conquesta notazione intendiamo come al solito l’insieme ditutte le stringhe di lunghezza finita – compresa la lunghez-za zero – costruite su VT ∪ VN), come operazione la conca-tenazione(v. par. 7) e come elemento identità l’elemento Λ(o parola vuota). Tuttavia, abbiamo visto in precedenza cheuno dei compiti essenziali di una grammatica è quello dispecificare l’insieme degli enunciati: in altri termini, seprendiamo il caso delle lingue naturali, e se as-sumiamo cheVT sia un lessico o una sua parte, una gram-matica dovràappunto « generare » (nel senso specificato sopra) quellestringhe costruite su VT che sono intuitivamente « ben for-mate ». È ovvio che in vista di un fine come questo la sem-plice operazione di concatenazione rappresenta un criteriotroppo debole, perché, anche con un VT estremamente limi-tato come quello dell’esempio (a) del par. 8, sarebbe possi-bile ottenere per concatenazione stringhe come « Topo paneil mangia », che ben difficilmente potrebbe soddisfareanche i più elementari requisiti di grammaticalità dal punto

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di vista intuitivo. È dunque necessario che una grammaticaspecifichi un sottoinsieme proprio dell’insieme di tutte lestringhe ottenute per concatenazione. D’altra parte, anchese ogni enunciato è di lunghezza finita, questa specifica-zione non può avvenire attraverso una mera elencazione (v.par. 3), per il semplice fatto che ci sono infiniti enunciati(banalmente, si può già osservare che nell’enunciato « Nel1999 ci sarà una conflagrazione universale » il termine« 1999 » è sostituibile da qualsiasi altro termine denotanteun numero superiore: potremmo cioè avere infiniti enun-ciati di questa forma). Proprio per questi motivi, una gram-matica introduce particolari restrizioni nel monoide: questeultime possono essere ricondotte a particolari relazioni frai costituenti delle varie stringhe, e tali relazioni sonoappunto espresse da quelle che abbiamo chiamato regole diriscrittura. Grossolanamente parlando, si può dire che l’ap-parato di regole è come una specie di « filtro », che per-mette di delimitare l’insieme degli enunciati (attraversouna procedura « costruttiva », dato che l’insieme è appun-to infinito; v. parr. 2 e 3) all’interno di quel più vasto insie-me che contiene tutte le possibili espressioni costruite perconcatenazione su un dato vocabolario.

Da un punto di vista formale, la relazione → espressadalle regole di riscrittura è una relazione a due posti chesoddisfa tra l’altro le seguenti condizioni:6

(b)I. → è irriflessiva (non si ha cioè X → X);II. → è asimmetrica (vale a dire che se X → Y, non si ha

Y → X);III. A ∈ VN se e soltanto se ci sono φ, ψ, ωtali che φA

ψ → φ ω ψ(vale a dire che un simbolo appartiene al voca-bolario non terminale se può figurare a sinistra della frecciain una regola di riscrittura, e conversamente);

IV. C’è un insieme finito di coppie (χ1, ω1), ..., (χn, ωn)

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6 Cfr., su questo punto, Chomsky (1959: 141).

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tali che, per ogni φe ψ , φ → ψ se e soltanto se ci sono φ1,φ2 e j ≤ n tali che φ = φ1 χj φ2 e ψ = φ1 ωj φ2 (in altri termi-ni, tutte le possibili derivazioni sono determinate in modoesaustivo dalle regole χj → ωj).

Oltre a queste condizioni di carattere generale, è oppor-tuno formularne altre, più particolari, che sono pertinenti alnostro problema e che delimitano classi di grammatiche:

(c)I. Non ci sono regole del tipo AB → cde(vale a dire che

si può riscrivere uno e un solo simbolo per volta);II. non ci sono regole del tipo A→ Λ (non è cioè possi-

bile riscrivere con l’elemento nullo un qualsiasi simbolo;non c’è cancellazione);

III. se φ → ψ è una regola di G, allora ci sono stringheχ1, χ2, A, ω, tali che φ= χ1Aχ2 e ψ = χ1ωχ2: vale a dire cheil simbolo A può riscriversi con ω nell’intorno χ1 χ 2,dove χ1 e χ2 possonoeventualmente essere nulle: chiame-remo regole contestualile regole di questo tipo e gramma-tiche contestuali i sistemi le cui regole sono tutte contestua-li; correlativamente, chiameremo regole non contestualiquelle in cui χ1 e χ2 devonoessere nulle. Grammatiche noncontestuali sono sistemi che contengono solo regole di que-st’ultimo tipo, esprimibili semplicemente nella forma A→ω, mentre le regole contestuali sono esprimibili nella formaχ1Aχ2 → χ1ωχ2. (Intuitivamente parlando, una regola noncontestuale permette che il simbolo a sinistra della frecciasia riscritto in un certo modo indipendentemente dall’intor-no in cui appare.)

Queste restrizioni sono determinate da importanti moti-vazioni teoriche. Per esempio, grazie alla I di (c) è possibi-le in ogni caso individuare da che cosa, in un albero, èdominata una certa stringa (infatti se fossero consentiteregole del tipo AB → cde, non sapremmo se, in cde, cd èdominato da A oppure se deè dominato da B, ecc.). La rile-vanza della II di (c) è d’altra parte fondamentale perché

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questa restrizione gioca un ruolo essenziale nel problemadella decidibilità di certe lingue. Intuitivamente, come s’ègià accennato, (v. par. 2), un insieme decidibile D è uninsieme tale che, dato un oggetto arbitrario x, è possibiledeterminare in un numero finito di passi se x appartiene ono a D. Ora, se prendiamo come esempio la grammatica G1

(v. par. 6) o G2 (v. par. 8), risulta chiaro che gli insiemi distringhe da esse generate (cioè le lingue) sono decidibili:infatti, per sapere se una stringa arbitraria x contenente nsimboli appartiene o no alla lingua in questione è sufficien-te effettuare tutte le derivazioni (in numero necessariamen-te finito) che generano stringhe contenenti un numero disimboli inferiore o eguale a n. Poiché si è appunto stabilitograzie alla II di (c) che nessun simbolo può riscriversi nelsimbolo nullo (non può cioè essere cancellato), è evidenteche ogni riga della derivazione sarà « più lunga » (conterràpiù simboli) della precedente, o come minimo sarà di lun-ghezza eguale: per questo motivo, se x appartiene alla lin-gua in questione, dovremo prima o poi incontrarla in unadelle derivazioni effettuate per stringhe aventi n come lun-ghezza massima, mentre se non le appartiene la nostra ispe-zione si fermerà appunto alle stringhe di lunghezza n.L’importanza della condizione III di (c) risulterà dai cenniche forniremo sul tipo di grammatica trasformazionaleabbozzato negli Aspetti.

Non ci soffermeremo sulla classificazione delle gramma-tiche in base al fatto che soddisfino o meno queste e altrecondizioni. Quello che semplicemente ci interessa osserva-re dal punto di vista generale è che è possibile istituire una« gerarchia » delle grammatiche in base al loro potere gene-rativo, nozione, questa, articolabile su due livelli. Si inten-de infatti per potere generativo deboledi una grammatica Gl’insieme degli enunciati (cioè la lingua) che possono esse-re generati da G e per potere generativo forte l’insieme delledescrizioni strutturali che possono essere generate da G.Conseguentemente, due grammatiche saranno dette debol-mente equivalenti se e soltanto se generano la stessa lingua,

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e fortemente equivalenti se e soltanto se generano non solola stessa lingua ma anche lo stesso insieme di descrizionistrutturali. Ora, il criterio che Chomsky adotta per dimostra-re la maggiore adeguatezza di una grammatica trasformazio-nale rispetto a quelle non trasformazionali è essenzialmentefondato sul concetto di potere generativo forte: in altri ter-mini, una grammatica del primo tipo si rivela più potente dalpunto di vista dell’adeguatezza esterna (o descrittiva: si trat-ta del problema di dar conto delle informazioni che il par-lante sembra possedere al livello intuitivo; v. parr. 7 e sgg.della sez. precedente) proprio perché fornisce un insieme piùricco di descrizioni strutturali. (Non si dimentichi, però, chea partire da ciò, il discorso è successivamente indirizzatoverso il problema dell’adeguatezza interna o esplicativa, neltentativo di dimostrare anche in questo caso la superiorità diuna grammatica trasformazionale.) Ancora una volta, fare-mo a meno di indicare, anche solo per brevi cenni, le moti-vazioni – inerenti, appunto, ai campi dell’adeguatezza ester-na e interna – che sono alla base dell’introduzione dello stru-mento trasformazionale. Basterà dire, in vista del prossimoparagrafo, che all’apparato precedentemente utilizzato perdefinire una grammatica generativa occorre ora aggiungereun insieme di operazioni chiamate trasformazioni.

Formalmente, una trasformazione è definibile come unafunzione che applica indicatori sintagmatici in indicatori sin-tagmatici. Una tale funzione ha cioè per argomento unastringa terminale generata dal sistema di regole di riscritturacon la relativa descrizione strutturale e per valore una nuovastringa con una nuova descrizione strutturale. Poiché ciò cheè rilevante per formulare una trasformazione è stabilire: I) lastruttura cui si applica; II) la « modificazione » che apporta,una trasformazione può essere così schematizzata:

(d)I. Analisi strutturale della stringa da sottoporre alla tra-

sformazione (in termini, per esempio, di nodi di un albero,e cioè, intuitivamente, di categorie grammaticali);

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II. mutamento strutturale (descrivente l’effetto esercitatodalla trasformazione).

Pertanto, assumendo un esempio fittizio e ignorandotutta una serie di restrizioni pertinenti, a una grammatica deltipo di G2 si potrebbe aggiungere una trasformazione percancellazione Tc così definita:

(e) I. Analisi strutturale: SN V SN II. Mutamento strutturale: X1 X2 X3 → X2 X3.

Ora, se in una grammatica del tipo di G2 una data deriva-zione aveva per esempio come stringa terminale « Io man-gio la mela » con associato l’indicatore SN V SN, alloraquesta stringa, essendo appunto analizzabilenel modo spe-cificato in I di (e), appartiene al dominio di Tc, e l’esito del-l’applicazione a essa di Tc sarà una stringa con associatol’indicatore V SN (ossia la stringa « mangio la mela »). Èquindi chiaro che la condizione I di (e) (o condizione dianalizzabilità) non fa altro che specificare il dominio di unatrasformazione (ossia l’insieme delle stringhe che sonosuscettibili di quella trasformazione), mentre la condizioneII ne specifica il rango (ossia l’insieme delle stringhe risul-tanti). È altresì chiaro che in genere l’introduzione di que-sto nuovo apparato permette fra l’altro operazioni come lacancellazione e la permutazione (scambio di posti fra costi-tuenti) che prima non erano consentite dalle regole diriscrittura (si pensi per esempio alla condizione II di (c) cheprecludeva espressamente la cancellazione).

11. Siamo ora in grado di delineare sommariamente iltipo di grammatica esposto negli Aspetti. In base alla carat-terizzazione intuitiva fornita nei primi due paragrafi delcapitolo precedente, una grammatica sembra articolataessenzialmente su tre livelli (fonologico, sintattico, seman-tico): nella nostra trattazione ignoreremo definitivamente ilprimo e, solo per il momento, il terzo. Limitandoci dunquealla sintassi, diremo che nella versione che stiamo per ana-

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lizzare essa risulta costituita di due componenti: unabaseeuna componente trasformazionale. Per motivi che appari-ranno chiari in seguito ci soffermeremo soprattutto sullaprima componente. Formalmente, la base è determinatadalla tripla < V, R, L >, che possiamo così specificare:

I. V = VN ∪ VT

VN è il vocabolario ausiliario (o non terminale), in lineadi principio analogo a quello stabilito per G2. Per esempio,semplificando molto, esso potrebbe consistere nell’insiemeE, SN, SP, Art, N, Det, Aus, SV, V, Agg (simboli che sonointerpretabili come categorie grammaticali; rispettivamen-te: enunciato, sintagma nominale, sintagma predicativo,articolo, nome, determinante, ausiliare, sintagma verbale,verbo, aggettivo).

VT è il vocabolario terminale, che intuitivamente è com-posto da un insieme di formativegrammaticali e dai simbo-li # e ∆. Il primo di questi simboli è interpretabile come unsimbolo di « confine » (nella fattispecie7 serve a delimitareai lati il simbolo iniziale E e quindi la struttura sottostantedell’enunciato), mentre ∆ è il cosiddetto simbolo fittizio,che ha essenzialmente la funzione di indicare la posizionein cui verrà inserita una data voce lessicale. Le formativegrammaticali sono simboli atomici che, unitamente alle for-mative lessicali (v. sotto), sono in parteaccostabili ai mor-femi della linguistica strutturale americana (che, in modogrossolano, possiamo definire come le « unità minime »manipolate in una descrizione sintattica). Sempre semplifi-cando molto il nostro esempio, potremmo dunque avere VT

= #, ∆, Neg, Int, Pres, Perf, dove # e∆ sono interpreta-

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7 Questo significa che, ogniqualvolta verrà introdotto, il simbolo iniziale E avràai suoi lati il simbolo di confine. Questo accorgimento, qui trascurabile, può rive-larsi utile, in particolare, nel caso si adottino indicatori sintagmatici generalizzati,cioè indicatori in cui il simbolo E occorre più di una volta (grosso modo, si potreb-be dire che si tratta di indicatori per enunciati « complessi », ossia costituiti da dueo più enunciati). Infatti, grazie al simbolo di confine, sarà sempre possibile deli-mitare le strutture dei vari enunciati costituenti.

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bili nel modo sopra accennato, mentre gli altri simboli (che inuna esposizione più completa e non puramente esemplificati-va dovrebbero ovviamente essere molto più numerosi) lo sonoin termini di concetti grammaticali concernenti gli enunciatiinteri (negativo, interrogativo, ecc.) o i loro costituenti (nelcaso, per esempio, dei verbi: tempo, modo, aspetto, ecc.).

II. R è, analogamente al caso di G2, un insieme di rego-le, tutte non contestuali. Per esempio:8

(R1) E → SN + SP(R2) SP→ Aus + SV(R3) SV→ V + (SN) + (Agg)(R4) V → D(R5) SN → (Art) + N + (E)(R6) Art → D(R7) N → D(R8) Aus → Pres(R9) Agg → D

III. L è il lessico, cioè un insieme non ordinato di elementi(voci lessicali) ognuno dei quali risulta essenzialmentecaratterizzato dalla specificazione: a) dei tratti fonologici; b)semantici; c) sintattici. Occupandoci per il momento soltan-to di questi ultimi, distingueremo fra tratti inerentie conte-stuali. Essi possono essere rappresentati mediante una nota-zione binaria dove i simboli +, – indicano rispettivamenteche la voce in questione è caratterizzata positivamente onegativamente rispetto a un dato tratto. Ora, i tratti inerentispecificano certe proprietà che, come dice il nome stesso,non hanno riferimento con l’intorno (in termini di indicatorisintagmatici) in cui la voce stessa può comparire: per esem-pio, i tratti [± Numerabile], [± Animato], [± Umano], [±Astratto], ecc. Viceversa, i tratti contestuali specificano qualirequisiti deve avere l’indicatore sintagmatico perché vipossa essere inserita la voce in questione.

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8 I simboli in parentesi sono facoltativi. Per esempio, in base a R3, SV potreb-be essere riscritto semplicemente come V.

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In questo ambito, il caso banale è rappresentato dai tratticategoriali (per esempio, [± N], [± VI, ecc.), i quali, defi-nendo la categoria cui appartiene una data voce, rinviano aun aspetto minimo dell’indicatore, cioè alla categoria chedomina il simbolo fittizio da sostituire e che deve appuntoessere identica a quella indicata dal tratto. Ciò permette distabilire il seguente punto:

a) perché nell’indicatore il simbolo fittizio ∆ sia sostitui-to da una voce x con associato il tratto categoriale [+Z], ∆deve essere dominato immediatamente da Z.

Così, ad esempio, per inserire al posto di ∆ una voce xavente il tratto [+ N], ossia un nome, nell’albero dovràesserci un ramo terminale come:

.

.

.

.N

Più interessanti sono i tratti contestuali di sottocategoriz-zazione, distinguibili in tratti di sottocategorizzazione stret-ta e in tratti selettivi. I primi hanno la funzione di determi-nare la « cornice » categoriale in cui una data voce può esse-re inserita. Essi sono rappresentati con la notazione [±X Y], dove X e Y sono sequenze di simboli di categoria (even-tualmente nulle). Possiamo così stabilire un secondo punto:

b) se la condizione a) è soddisfatta (cioè se la voce x hail tratto categoriale [+ Z] e se Z domina ∆ nell’indicatore),perché nell’indicatore il simbolo fittizio ∆ sia sostituitodalla voce x con associato il tratto di sottocategorizzazionestretta [+X Y], X, Z, Y devono essere dominati imme-diatamente da un unico nodo (altrimenti detto, X, Z, Y – inquest’ordine – devono formare insieme un unico costituen-te).

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Intuitivamente, come s’è detto, i tratti di sottocategoriz-zazione stretta specificano la struttura categoriale nellaquale può figurare una data voce lessicale e permettono ditradurre in termini precisi, per esempio, nozioni come quel-la di transitività. Così, la proprietà dei cosiddetti verbitransitivi di essere seguiti da un « complemento oggetto »(cioè un sintagma nominale) può essere espressa dal tratto[+ SN], vale a dire che per inserire una voce x avente iltratto [+ SN] (oltre che, naturalmente, il tratto [+ V]),nell’albero dovrà esserci un ramo come:

.

.

SV

V SN

.

∆ .

Analogamente, al posto di ∆ si può inserire una voce ycon il tratto [+ Agg] solo se abbiamo un ramo come:

.

.

SV

V SN

.

∆ .

Nel primo caso potremo dunque sostituire ∆ con « man-giare » (che ha appunto il tratto [+ SN]), ma non con« sdrucciolare » (che ha il tratto [– SN]), per evitareespressioni come « Io sdrucciolo la mela », contrapposta a« Io mangio la mela »; nel secondo potremo sostituire ∆ con« crescere » (avente il tratto [+ Agg]), ma non con« aumentare » (avente il tratto [– Agg]) per evitareespressioni come « Paolo aumenta robusto », contrappostaa « Paolo cresce robusto ».

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Mentre, come s’è appena visto, i tratti di sottocategoriz-zazione stretta specificano in termini di simboli categorialil’intorno in cui una data voce può comparire, i tratti seletti-vi lo specificano in termini di tratti inerenti: la loro funzio-ne, cioè, consiste nel determinare quali proprietà (del tipo:[± Numerabile], [± Animato], [± Umano], ecc.) devono pos-sedere le voci lessicali che costituiscono l’intorno di unadata voce x. Stabiliamo così un terzo punto:

c) se le condizioni a) e b) sono soddisfatte, perché nel-l’indicatore il simbolo fittizio ∆ sia sostituito da una vocexcon associato il tratto selettivo9 [+ α ... ... β] (dove α eβ stanno per tratti inerenti e l’uno o l’altro, ma non entram-bi, possono essere nulli), è necessario che nell’intorno α ... ... β le voci lessicali a e b abbiano rispettivamente i trat-ti inerenti α e β.

Intuitivamente parlando, il compito dei tratti selettivi è didelimitare le possibilità di cooccorrenza delle varie voci,ossia di restringere la classe delle combinazioni possibili. Inquesto modo, per esempio, è possibile dar conto del fattoche il verbo è selezionato in funzione dei tratti posseduti daquelli che, tradizionalmente, vengono chiamati il suo sog-getto e il suo oggetto (cioè, sintagmi nominali): così, ilverbo « ammirare » sarà specificato positivamente (+)rispetto al tratto [± [+ Umano] [+ Astratto]] (in modo dapermettere enunciati come « Paolo ammira la sincerità »),mentre lo sarà negativamente (–) rispetto al tratto [± [+Astratto] [+ Umano]] (per escludere espressioni come« La sincerità ammira Paolo »).10

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9 I puntini indicano qui gli elementi interposti che non sono però pertinenti perla selezione della voce in questione: per esempio, nel caso della selezione delverbo nei termini del suo « oggetto », tutto ciò che si interpone fra la posizionedestinata al verbo stesso e il sintagma nominale che fa da « oggetto ». Per elimi-nare questo aspetto ridondante, cfr. Chomsky (1965: 155-156). Per semplicità,d’ora in poi faremo a meno dei puntini.

10 In realtà, sia nel caso di questo esempio, sia in generale, le specificazioni for-nite sono ampiamente ridondanti, dal momento che, per uniformità d’esposizione, laselezione del verbo è stata posta in termini di « soggetto » e di « oggetto », mentre

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12. Come s’è già accennato, le regole di riscrittura dellabase (che costituiscono il suo componente « categoriale »)sono tutte di tipo non contestuale. Esse genereranno dellestringhe terminali in cui, oltre a formative grammaticali,figurano occorrenze del simbolo fittizio ∆. Ora, l’inseri-mento delle voci lessicali al posto di questo simbolo puòessere effettuato attraverso una trasformazione di sostitu-zione che ha la proprietà di essere contestuale. In altri ter-mini, grazie ai punti a), b), c) del paragrafo precedente, ven-gono appunto fornite delle restrizioni circa gli intorni in cuiuna data voce, con determinati tratti intrinseci e contestua-li, viene inserita. Ciò può essere esemplificato dal fatto che,per inserire una voce x appartenente alla categoria N (aven-te cioè il tratto categoriale [+ N]), è necessario che nell’in-dicatore l’occorrenza di ∆ che si vuole sostituire con x siadominato da N (il che presuppone, ovviamente, nella deri-vazione complessiva, una applicazione della regola N →∆). Pertanto, nel caso dell’inserimento di queste voci (intui-tivamente: « nomi ») è pertinente la condizione a) (mentrenon lo sono b) e c)). Poiché, d’altro canto, a tali voci sonoassociati tratti inerenti, una volta operato questo inserimen-to l’indicatore conterrà l’informazione sufficiente per ope-rare una nuova sostituzione (che questa volta inserisce peresempio voci appartenenti alla categoria V, cioè, intuitiva-mente, « verbi »: così, per quest’ultima sostituzione, saran-no pertinenti non solo la condizione a), ma anche b) e c)).Altrimenti detto ciò significa che l’inserimento dei « verbi »(o, analogamente, degli « aggettivi ») presuppone quello dei« nomi » (sulla giustificazione di questa priorità, v.

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si trattava solo di dar conto del fatto che « ammirare » presuppone un soggettoumano, ma nonastratto. Soprattutto, va sottolineato il fatto che, nel corso della nostraesposizione concernente i tratti di sottocategorizzazione in genere, non è stata forni-ta alcuna indicazione circa i rapporti che legano l’uno all’altro tratti di uno stesso tipoo che legano tipi diversi di tratti. Senza questa indicazione, si potrebbe pensare cheuna voce sia rappresentabile come un coacervo di tratti irrelati. D’altra parte, entrarein questi dettagli essenziali avrebbe significato appesantire troppo l’esposizione: nonci rimane dunque che rinviare al testo stesso di Chomsky (1965: 79 sgg.; 164 sgg.),in particolare per quanto concerne il problema di eliminare i tratti ridondanti.

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Chomsky, 1965: 113 sgg.) e che i primi sono selezionati neitermini dei secondi. Più precisamente, se chiamiamo C l’in-sieme dei tratti della voce x, diremo che C è un indice distruttura I di una certa trasformazione per sostituzione.Questa trasformazione sostituisce x « al posto di una certaoccorrenza di ∆ nell’indicatore sintagmatico K, se K soddi-sfa la condizione I, la quale è una condizione booleana intermini di Analizzabilità nel senso corrente della grammati-ca trasformazionale » (Chomsky, 1965: 122). In altre paro-le, C specifica come deve essere analizzabile un dato intor-no (in termini di tratti inerenti e contestuali) perché sia pos-sibile la sostituzione. Ciò significa che, se consideriamouna trasformazione di sostituzione di questo genere comeuna funzione che applica certi indicatori sintagmatici (in cuifigurano occorrenze di ∆) in altri indicatori sintagmatici (incui, al loro posto, figurano voci lessicali), allora C specifi-ca quale struttura devono avere gli argomenti di questa fun-zione perché a essi corrispondano certi valori.

Possiamo riassumere quanto detto finora ricorrendo auna breve esposizione contenuta in Chomsky (1968: 1-3):« Il sistema delle trasformazioni grammaticali determinauna classe infinita X di sequenze finite di indicatori sintag-matici; ognuna di queste sequenze P1, ..., Pn soddisfa leseguenti condizioni:

(a)I. Pn è una struttura superficiale.II. Ogni Pi è formato applicando una certa trasformazio-

ne a Pi – 1, in un modo consentito dalle condizioni impostealle regole grammaticali.

III. Non c’è P0 tale che P0, P1, ..., Pn soddisfa le condi-zioni I e II ».

Ogni sequenza P1, ..., Pn è dunque assimilabile a unaderivazionenel senso preciso che abbiamo dato a questotermine, dove però i vari « stati » della derivazione sonorappresentati da indicatori sintagmatici (anziché da strin-

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ghe, come nei casi prima esaminati) e dove le transizioni dauno stato all’altro (cioè da un indicatore all’altro) sonodeterminate da trasformazioni anziché da regole di riscrit-tura (si ricorderà infatti che le trasformazioni applicanoindicatori in indicatori). Le condizioni sopra elencate in (a)stabiliscono che tali derivazioni trasformazionali, per esse-re grammaticalmente rilevanti, devono avere un indicatoreterminale Pn, tale, cioè, che da esso non si possono deriva-re altri indicatori. Inoltre, stabiliscono che ogni indicatore èderivato dal precedente grazie all’applicazione di una deter-minata regola di trasformazione e che il primo elementodella sequenza (P1) non è derivabile trasformazionalmenteda un qualsiasi indicatore P0 in modo da ottenere un’altraderivazione trasformazionale con Pn come indicatore termi-nale. Altrimenti detto, ciò significa che – nella sequenza P1,..., Pn – P1 è un indicatore che non ha subito alcuna trasfor-mazione. È allora chiaro che P1 (ossia l’indicatore con ilquale si inizia la derivazione trasformazionale) non è altroche l’indicatore generato dal componente categoriale dellabase, cioè dall’insieme delle regole di riscrittura. D’altraparte, abbiamo appena visto che le trasformazioni di inseri-mento lessicale permettono di sostituire occorrenze di ∆con voci del lessico. Ora, se supponiamo che l’applicazionedi queste trasformazioni lessicali preceda quella di altre tra-sformazioni non lessicali, avremo la condizione:

IV. « Data P1, ..., Pn in K [K è l’insieme delle strutturesintattiche generate dalla grammatica], c’è un i tale che, perj < i, la trasformazione usata per formare Pj + 1 da Pj è lessi-cale, e, per j > i, la trasformazione usata per formare Pj + 1 daPj è non lessicale ». (Chomsky, 1968: 3).

Come s’è già accennato, ciò che è stipulato da questacondizione è che le trasformazioni di inserimento lessicalevengano applicate primadelle altre trasformazioni, in mododa formare la struttura post-lessicale Pi, a partire dalla qualesi potranno applicare solo trasformazioni non lessicali.Nella terminologia che adotteremo in seguito, Pi sarà defi-

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nita come la struttura profonda: essa è dunque un indicato-re che, grazie alle trasformazioni di inserimento lessicale(cioè grazie alle sostituzioni di occorrenze di ∆ con voci dellessico), otteniamo dall’indicatore della stringa terminalegenerata dal componente categoriale (= regole di riscrittu-ra) della base. Viceversa, una struttura superficiale(Pn) èottenuta a partire da Pi attraverso l’applicazione di trasfor-mazioni non lessicali specificate dalla grammatica.

13. I brevi cenni forniti dovrebbero rendere approssimati-vamente l’idea del modo di funzionare della basenella teoriachomskiana. Riassumendo, questo componente consiste inun apparato di regole di riscrittura (o di « ramificazione »), lequali manipolano simboli di due specie: ausiliari e terminali.I primi denotano quelle che, intuitivamente, sono categoriegrammaticali, e così il compito essenziale delle regole diriscrittura della base è di specificare relazioni e funzionigrammaticali (di specificare, p.e., il fatto che l’articolo e ilnome costituiscono insieme un sintagma nominale, il quale asua volta costituisce un sintagma predicativo insieme con...,e via dicendo). A differenza dell’esempio ipersemplificatofornito nel par. 8 (e a differenza delle versioni della teoriachomskiana anteriori a Chomsky, 1965), il vocabolario ter-minale utilizzato dalle regole di riscrittura è ora ridottissimo,contenendo soltanto formative grammaticali (indicanti p.e. iltempo, il modo, l’aspetto dei verbi, forme come il superlati-vo e il comparativo per gli aggettivi, ecc.) e il simbolo fitti-zio ∆ (ignoriamo qui il simbolo di confine #). Ora, mentrenell’esempio della grammatica G2 definita nel par. 8 (comepure nella grammatica prospettata in Chomsky, 1957), le vocilessicali venivano inserite attraverso normali regole di riscrit-tura (del tipo: N → cane, vale a dire che una categoria veni-va riscritta come un membro di questa stessa categoria), nellaversione che stiamo esaminando le categorie semplici (comeN, V, Agg, ecc.) vengono applicate tutte nel simbolo ∆, dimodo che una stringa terminale di una derivazione così con-cepita conterrà solo occorrenze di questo simbolo e formati-

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ve grammaticali. In realtà queste stringhe terminali generatedalle regole di riscrittura (regole, lo ricordiamo, tutte noncontestuali) sono adesso stringhe preterminali, in quantosono soggette a una trasformazione di « inserimento lessica-le », il cui compito consiste appunto nel sostituire le occor-renze del simbolo fittizio ∆ con formative lessicali. Con ciòveniamo al secondo componente della base: il lessico. Essosarà dunque un insieme di formative (o voci) lessicali ognu-na delle quali è caratterizzata (dal punto di vista sintattico,ignorando qui le specificazioni fonologiche e, per il momen-to, quelle semantiche) da un « simbolo complesso » costitui-to dai tratti (inerenti, categoriali, sottocategoriali, ecc.) pos-seduti dalla voce stessa: evidentemente, la funzione di questitratti è di specificare in quale intorno può avvenire la trasfor-mazione di inserimento lessicale (o, in altri termini, in qualeintorno una data occorrenza del simbolo fittizio ∆ può esseresostituita da una voce del lessico: ciò che è espresso più pre-cisamente dalle condizioni a), b), c) del par. 11). Sempre par-lando molto approssimativamente (e impropriamente) ci sipuò immaginare che prima vengano inserite voci apparte-nenti alla categoria Nome (condizione pertinente: a)); suc-cessivamente, vengono inserite voci appartenenti alle catego-rie Verbo, Aggettivo, ecc.: voci la cui selezione è appuntodeterminata dalla preesistenza di voci nominali. Questosecondo inserimento avviene sia in base ai tratti di sottocate-gorizzazione stretta (condizione pertinente: b)), sia in base aitratti di selezione (condizione pertinente: c)). Chiamiamostrutture profondele stringhe (con i relativi indicatori sintag-matici) generate in questo modo dalla base. Da un lato, attra-verso un opportuno apparato di trasformazioni, tali struttureprofonde vengono applicate in strutture superficiali, le quali,grazie al componente fonologico, saranno interpretate insequenze fonetiche; dall’altro, attraverso il componentesemantico, le strutture profonde11 saranno sottoposte a una

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11A dire il vero, in testi successivi agli Aspetti, Chomsky riconoscerà che anchele strutture superficiali possono essere rilevanti per l’interpretazione semantica.

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interpretazione semantica. Queste rapidissime osservazionidi carattere intuitivo ci dicono perché, sempre sul piano intui-tivo, si sia inizialmente caratterizzata una grammatica comeun dispositivo dotato per lo meno di tre componenti (seman-tica, sintattica, fonologica) e chiamato a correlare suoni esignificati.

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Parte secondaSemantica

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Semantica interpretativa

1. Grosso modo, l’accezione di « semantica » che utiliz-zeremo è quella definita da Ch. Morris (1938: 19) quandodistingueva tra una dimensione sintattica, una dimensionesemantica e una dimensione pragmatica del processo disemiosi, la prima relativa ai rapporti dei segni tra loro, laseconda ai rapporti tra i segni (o i complessi di segni) e glioggetti da essi designati, la terza ai rapporti tra i segni e iloro utenti.

Intendiamo così escludere dalla trattazione un primo tipodi questioni: quelle che sorgono quando si tenta di tradurreil problema dei rapporti tra parole e oggetti in quello deirapporti reciproci tra i segni; secondo tale prospettiva,comune a molti linguisti europei, il problema semantico èrisolto quando si è riusciti a ridurlo a problema lessicogra-fico, cioè quando si sono studiati sistematicamente proble-mi come quelli della omonimia, della polisemia, dei campisemantici, e così via.

All’interno di questo quadro di riferimento intendiamoistituire un’ulteriore delimitazione: ciò che ci interessa èproblematizzare la nozione di significato e individuareuna serie di prerequisiti per una definizione adeguata diessa; non ci interessa, in questa sede, partire da una nozio-ne intuitiva di significato, inteso ad esempio come « unitàculturale », e studiare, per così dire, la « vita dei signifi-cati », cioè il complesso di relazioni, codici, valori, che

III

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viene ad instaurarsi, in un contesto sociale, a partire da talientità.

Come ultima delimitazione, ci proporremo il compito ditrattare il problema semantico sulla base di un approcciotrasformazionale alla sintassi. In altri termini, si tratterà didiscutere quale struttura debba assumere il componentesemantico di una grammatica trasformazionale per soddi-sfare condizioni di adeguatezza descrittiva.

2. In questo modo abbiamo anche chiarito il senso deltermine « semantica interpretativa »; con esso indicheremosemplicemente il componente semantico di una grammati-ca generativa trasformazionale il cui componente sintatticoè stato illustrato nel capitolo precedente.

3. Il fatto che si tratti il problema del significato deglienunciati solo dopo aver discusso le relazioni sintattiche tragli elementi che li compongono non è casuale, bensì sotten-de una fondamentale affermazione di Chomsky, espressaper la prima volta nelle Strutture della sintassi, secondo laquale la possibilità di costruire una grammatica non è vin-colata da considerazioni relative al significato degli enun-ciati di cui si vuole appunto esaminare la grammaticalità. Inaltre parole, per scoprire o selezionare una grammatica nonè necessaria alcuna informazione semantica.

Ci sembra opportuno tentare subito una valutazione som-maria di questa presa di posizione chomskiana. NelleStrutture della sintassi, in accordo con l’impianto generaledel discorso, l’affermazione della indipendenza della gram-matica aveva il carattere di assunto metodologicoprelimi-nare allo studio effettivo delle strutture sintattiche. A nostroparere questo assunto era a sua volta motivato da due ordi-ni di considerazioni: i) da un lato si trattava di asserire l’e-sistenza di un « livello linguistico » autonomo e trattabilecon strumenti formali le cui condizioni di applicabilità nondipendessero da considerazioni extrasintattiche; ii) dall’al-tro, in una situazione culturale in cui « significato » era untermine estremamente ambiguo, vago ed onnicomprensivo,

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si trattava di rivendicare la possibilità di uno studio forma-le del linguaggio.1

Va notato che, per quanto l’assunto dell’indipendenzadella grammatica avesse come corollario una netta demar-cazione dei confini tra sintassi e semantica, esso tuttavianon impediva a Chomsky (1957: 141) di rilevare « l’esi-stenza di corrispondenze sorprendenti tra la struttura e glielementi scoperti dall’analisi grammaticale formale e speci-fiche funzioni semantiche [...] Fra i tratti formali e i trattisemantici2 della lingua sussiste una innegabile, anche sesolo imperfetta, corrispondenza ». Che, poi, non si andasseoltre l’enunciazione di tale corrispondenza era semplice-mente una conseguenza del fatto che la sfera del significa-to non poteva ancora essere sottoposta a uno studio forma-le, anche se tale esigenza era avvertita.

4. Negli Aspettiil problema semantico si pone in mododiverso; mentre il nucleo centrale delle Strutture della sin-tassiera costituito dal tentativo di trattare la sintassi di unalingua come un oggetto formale, negli Aspetti questo tenta-tivo è stato portato a termine in modo relativamente avan-zato e il problema centrale è ora quello di riuscire a trattareformalmenteanche il problema del significato.

È a questo punto che, a nostro avviso, il discorso chom-skiano subisce un brusco cambiamento di registro per quan-to riguarda il problema dei rapporti tra sintassi e semantica:quello che nelle Strutture della sintassiera un assunto meto-dologico diventa ora un’ipotesi empirica riguardante l’effet-tiva struttura del linguaggio; se prima si sosteneva che i pro-blemi semantici non sono trattabili prima di quelli sintattici,ora si afferma che è semantica tutto ciò che rimane non spie-gato dallo studio sintattico. Siamo così approdati a una con-cezione puramente negativa della semantica, riassunta nel

Semantica interpretativa 71

1 Nelle Strutture della sintassi, infatti, « semantico » e « formale » sono agget-tivi costantemente contrapposti. Cfr., ad esempio, p. 93. Questa connotazione di« semantico » era del resto caratteristica della tradizione linguistica in cuiChomsky si inserisce pur rifiutandola, da Bloomfield a Harris.

2 Si osserverà anche qui la contrapposizione « semantico/formale ».

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titolo di un paragrafo di Fodor e Katz (1963): « Descrizionelinguistica meno grammatica uguale semantica ».3

5. Ci sembra opportuno osservare, non tanto per curiosi-tà storiografica quanto per fornire un altro strumento divalutazione della teoria semantica che ci accingiamo a illu-strare, che la struttura del componente semantico di unagrammatica trasformazionale è stata elaborata non daChomsky ma da Katz, Fodor e Postal. Negli Aspettiquestaversione del componente semantico viene semplicementeaccettata, con alcune modifiche. L’aspetto più interessantedella questione è che, a nostro avviso, l’integrazione dellasemantica katziana nella teoria linguistica chomskiana creanegli Aspetti forti sfasature concettuali, se non contraddi-zioni, a causa del fatto che le due prospettive sono forte-mente divergenti su almeno un punto fondamentale: lanozione stessa di significato. Nelle Strutture della sintassiChomsky dichiara di accettare la proposta di ridurre lanozione di significato a quella di referente. Inoltre, negliAspettiegli fa ricorso, in due passi distinti, alla nozione disinonimia cognitivacosì definita: due enunciati sono cogni-tivamente sinonimi quando « l’uno è vero se e solo se è verol’altro », cioè quando sono logicamente equivalenti. Lasinonimia cognitiva sottintende quindi una concezione delsignificato degli enunciati come loro valore di verità.

D’altra parte, come vedremo, Chomsky accetta il postu-lato katziano della analizzabilitàdei significati dei singolielementi lessicali in insiemi di tratti semantici; ciò significaaccettare, nella sua versione più forte, l’ipotesi che i signi-ficati siano entità talmente consistenti ontologicamente chese ne possono addirittura indicare le « parti ».

Vedremo in seguito le conseguenze linguistiche di questediscrepanze relative alla nozione di significato. Per ora è

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3 La teoria semantica di Fodor e Katz comparve per la prima volta in« Language », XXXIX, 1963, pp. 170-210. Noi seguiremo la ristampa di questosaggio pubblicato in Fodor e Katz (1964).

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sufficiente tenerle presenti per inquadrare teoricamente laproposta di semantica che intendiamo illustrare.

6. Innanzitutto, una semantica nel senso di Katz risultadefinita da una serie di questioni metateoriche come leseguenti: qual è il dominio di una teoria semantica? Qualisono le finalità descrittive ed esplicative di una tale teoria?Quali sono le restrizioni empiriche e metodologiche impo-ste ad essa? In effetti, è proprio la risposta a tali domandeche qualifica il tipo di teoria che si intende costruire; noituttavia accenneremo solo genericamente alle risposte diKatz, riservandoci di parlare più diffusamente dei problemimetateorici dopo l’esposizione dettagliata della teoria.

Per quanto riguarda la prima questione, le considerazio-ni da cui parte Katz sono dello stesso tipo di quelle chom-skiane, anche se accentuate diversamente; si tratta sostan-zialmente di spiegare la capacità del parlante di usare e dicomprendere un numero infinito di enunciati a partire daun’esperienza necessariamente limitata, cioè fondata su unnumero finito di enunciati. La risposta di Katz a questo pro-blema si articola in due momenti che possiamo caratteriz-zare come segue.

i) In primo luogo, il fatto che gli enunciati che il parlan-te può comprendere siano in numero infinito ci induce adattribuire alla sua abilità linguistica la forma di un insiemedi regole ricorsive che « proiettano » l’insieme finito dienunciati incontrati dal parlante nell’insieme infinito dienunciati della lingua. La formulazione di tali regole costi-tuisce il problema della proiezione.

ii) In secondo luogo, Katz osserva che ciò che caratteriz-za un enunciato nuovonon è il fatto di essere costituito dielementi nuovi, ma di essere una nuova combinazione dielementi conosciuti. In questa osservazione è contenuta ingerme la proposta più originale di Katz: « Dato che l’insie-me degli enunciati è infinito e ogni enunciato è una diversaconcatenazione di morfemi, il fatto che un parlante sia ingrado di comprendere un qualsiasi enunciato deve signifi-

Semantica interpretativa 73

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care che il modo in cui egli comprende gli enunciati che nonha mai incontrato prima è composizionale: sulla base dellasua conoscenza delle proprietà grammaticali e del significa-to dei morfemi della lingua, le regole che il parlante conoscegli permettono di determinare il significato di un enunciatonuovo in base al modo in cui le sue parti si compongono aformare l’enunciato intero » (Fodor e Katz, 1963: 482). Siosserverà che i punti i) - ii) coprono un ambito problemati-co molto più vasto di quello semantico; in realtà essi abbrac-ciano l’intero ambito della teoria linguistica; come definireallora l’oggetto specifico della semantica? L’abbiamo giàvisto: sono problemi semantici tutti quelli che non apparten-gono alla sintassi. In questo modo vengono avanzate, impli-citamente, due assunzioni metateoriche piuttosto forti: i)viene ipotizzata a priori l’esistenzadi una linea di demarca-zione tra fenomeni sintattici e fenomeni semantici; ii) il pro-blema di determinare quali fenomeni sono sintattici e qualisemantici viene considerato un problema empirico.

Riguardo al problema metateorico delle finalità descritti-ve ed esplicative di una teoria semantica, Fodor e Katz(1963: 489) osservano che una tale teoria non può distin-guere, in linea di principio, la conoscenza che un parlanteha della propria lingua dalla conoscenza che ha del mondo,dato che « parte della caratterizzazione di una capacitàlin-guistica è costituita dalla rappresentazione di potenzialmen-te tutte le conoscenze relative al mondo che i parlanti con-dividono ». D’altre parte, osserva Katz, non è possibilesistematizzare tutte le conoscenze di cui i parlanti dispon-gono, dato che ciò significherebbe disporre di una teoria delmondo coerente ed esaustiva. Una teoria semantica dovràquindi limitarsi a trattare le relazioni tra segni e denotazio-ni come relazioni tra segni.

Si noterà che tale impostazione restrittiva dei compiti diuna teoria semantica ha come matrice culturale le argomen-tazioni bloomfieldiane contro la possibilità di trattare siste-maticamente (o « formalmente ») i problemi connessi con ilsignificato dei segni. Ci sembra che, in ultima analisi, ciò

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che accomuna l’impostazione katziana al discorso diBloomfield sia la convinzione che non si può trattare lanozione di « significato » se non si possono organizzare inuna teoria sistematica tutti i significati particolari, ciò che èin linea di principio impossibile. Per questo ci si rifiuta diparlare del significato e delle relazioni intercorrenti tra isegni e le loro denotazioni.

Di tali nozioni, tuttavia, si ha un certo bisogno nellacostruzione di una teoria che voglia definirsi « semantica »;per questo vengono reintrodotte al momento opportuno,con conseguenze che discuteremo in seguito.

7. Un’ultima osservazione. L’affermazione katziana delcarattere « composizionale » della capacità linguistica delparlante equivale, come vedremo, a una concezione delsignificato degli enunciati come risultante dalla composi-zione dei significati degli elementi che li compongono. Aprima vista questa impostazione sembrerebbe intesa a sod-disfare il principio di funzionalitàdi Frege, secondo cui ilsignificato di un’espressione è funzione dei significati delleespressioni che la compongono. Ma si tratta di un’impres-sione superficiale; da un lato, infatti, non è lecito portareavanti il confronto con il principio di funzionalità dato chemanca in Katz una caratterizzazione della denotazione del-l’enunciato come valore di verità degli enunciati; dall’altro,come vedremo, la trattazione katziana del problema delsignificato degli enunciati non è in grado di render conto delvalore di verità di molti enunciati in cui compaiono opera-tori non vero-funzionali.4

8. Passando all’esposizione della teoria semantica for-mulata per la prima volta in Fodor e Katz (1963) e incorpo-rata poi negli Aspetti, va osservato che, nella sua versioneoriginale, essa sottendeva una teoria sintattica leggermentediversa da quella degli Aspetticui abbiamo fatto riferimen-

Semantica interpretativa 75

4 Chiamiamo vero-funzianaleun operatore tale che, quando un enunciato è ottenutoapplicando l’operatore a uno o più enunciati, il valore di verità dell’enunciato comples-so è completamente determinato dal valore di verità degli enunciati componenti.

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to nel capitolo precedente. Riassumiamo qui i punti in cuiessa si differenzia maggiormente dalla versione degli Aspetti.

Innanzitutto, mentre negli Aspetti, come si è visto, ladescrizione strutturale di un enunciato viene fornita dall’in-dicatore sintagmatico generalizzato,5 qui essa è fornita dadue indicatori: un Indicatore sintagmatico(IS) e unIndicatore trasformazionale (IT). Il primo consiste di unasequenza finita di parentesizzazioni etichettate, mentre ilsecondo precisa la « storia trasformazionale » dell’enuncia-to indicando le configurazioni di trasformazioni applicatenella derivazione di una stringa. Per comprendere la neces-sità dell’IT va tenuto presente che, in questa fase di svilup-po della teoria della grammatica generativa, di poco poste-riore alle Strutture della sintassi, si attribuiva ancora all’o-perazione di parecchie trasformazioni6 un effetto semantico,cosicchè la precisazione della « storia trasformazionale » diun enunciato era di importanza primaria. Si può ricordare,incidentalmente, che alcuni argomenti decisivi a sostegnodella tesi della non-rilevanza semantica delle trasformazio-ni si trovano formulati proprio in Katz e Postal (1964), chepure si mantenevano fedeli all’impianto sintattico delleStrutture della sintassi.

Chiamiamo IS sottostanteun IS che deriva dall’applica-zione delle sole regole di riscrittura, IS derivatoun IS la cuiderivazione contiene almeno una trasformazione; l’IS deri-vato che è il risultato dell’applicazione di tutte le trasfor-mazioni indicate dall’IT si dice IS derivato finale.

Facciamo un esempio:

(1) Il bambino fu investito dal treno che arrivava.Questo enunciato deriva trasformazionalmente da due

enunciati nucleari rappresentabili formalmente per mezzodi due IS:

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5 Cfr. cap. precedente, nota 7.6 Ci riferiamo in particolare alle trasformazioni facoltative(come l’interrogativa,

la negativa, la passiva), distinte da quelle obbligatorie per il fatto che queste ultimesono necessarie per ottenere un qualsiasi enunciato nucleare, mentre le prime non losono.

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IS1E

SN SV

Det N V SN AM

Il treno investì Det N da + passivo

IS2

E il bambino

SN SV

Det N

Il treno arrivava

L’IT ha la funzione di precisare come si passa da questiIS alla struttura superficiale, specificando i) le trasforma-zioni necessarie, ii) l’ordine della loro applicazione:

IT

IS1

IS2 Trelativa Tinnesto Tpassiva

Come sappiamo, negli Aspettil’IT viene eliminato; questoper due motivi principali: i) l’inutilità di imporre all’applica-zione delle trasformazioni un ordine estrinsecooltre a quellointrinseco;7 ii) la presunta irrilevanza semantica delle trasfor-mazioni, grazie alla quale l’informazione fornita dall’ITdiventa superflua ai fini dell’interpretazione semantica.

Semantica interpretativa 77

7 La nozione di « ordine intrinseco » di applicazione delle trasformazioni èdefinita da Chomsky (1965: 223) come segue: l’ordine intrinseco « è semplice-mente una conseguenza di come le regole sono formulate. Così, se la regola R1introduce il simbolo A e R2 analizza A, esiste un ordine intrinseco che correla R1e R2, ma non esiste necessariamente un ordine estrinseco ».

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9. Consideriamo ora quale strutturazione sarà possibiledare del componente semantico di una grammatica genera-tiva trasformazionale sulla base dei requisiti metateoriciesposti nei paragrafi precedenti. Come si è visto, l’ipotesi dipartenza è che sia possibile concepire il significato deglienunciati della lingua (o, in modo equivalente, il processodi interpretazione degli enunciati da parte del parlante-ascoltatore idealizzato) come il risultato dell’associazionedei significati degli elementi atomici del linguaggio. Ancorprima di aver costruito una semantica si avanza quindiun’assunzione estremamente forte riguardo alla natura dellinguaggio, secondo la quale il significato (o per lo meno ilpossibile significato) degli elementi atomici della lingua èdefinibile in modo completo e autonomo, indipenden-temente dalle loro relazioni reciproche. Dati come argo-menti una sintassi ricorsiva e il significato lessicale dei sin-goli elementi della lingua, il componente semantico di unagrammatica trasformazionale sarà concepibile come unafunzione che dà come valore il significato di ciascun enun-ciato della lingua stessa.

Il componente semantico consisterà dunque di due parti:un dizionario, che fornisce un significato ad ogni elementolessicale, e un insieme finito di regole di proiezione, cheassegnano un’interpretazione semantica ad ogni stringagenerata dal componente sintattico.

Si spiega a questo punto perché il componente semanti-co sia puramente interpretativoe non generativo: esso nonaggiunge nessuna nuova informazione a quelle già conte-nute negli indicatori sintagmatici generati dal componentesintattico, ma traduce semplicemente in complessi signifi-canti delle entità formali astratte.

10. II dizionario viene concepito (Katz, 1966: 154) comeuna lista finita di regole dette voci lessicali, ciascuna dellequali associa a un elemento lessicale la rappresentazionedel suo significato in forma normale. Una voce del diziona-rio è in forma normale quando ogni sequenza di simboli che

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Page 77: Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale · nuto opportuno considerare la teoria sintattica elaborata da Chomsky anche, e soprattutto, alla luce della cornice for-male

la compone è analizzata nelle sottosequenze seguenti:i) Indicatori sintatticiii) Indicatori semantici (tra parentesi tonde) e differen-

ziatori (opzionali, tra parentesi quadre)iii) Una restrizione selettiva(tra parentesi ad angolo).Le voci del dizionario possono venir rappresentate da

diagrammi ad albero o, in modo equivalente, da sequenze diindicatori. Consideriamo, ad esempio, l’elemento lessicale« granata ». Il significato di questo elemento non è né unsignificato « atomico », né un tutto indifferenziato; è anzipossibile analizzare la sua « complessa struttura concettua-le »:

GRANATA

Nome Aggettivo

Nome concreto (Colore)

(Oggetto fisico) [Colore rosso scuro proprio

dei semi della melagrana]

(Naturale) (Artificiale)

(Colore rosso) [Di utilità [Di impiego

domestica] bellico]

(Vegetale) (Minerale) [Scopa di [Proiettile di

saggina] artiglieria di forma

cilindrica]

(Commestibile) (Prezioso)

[Frutto del [Pietra preziosa di

melograno] colore rosso scuro]

<ω1> <ω2> <ω3> <ω4> <ω1>

Semantica interpretativa 79

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Una rappresentazione equivalente, in termini di sequen-ze di indicatori, è la seguente (dove « N1... Nk » è la sequen-za delle categorizzazioni sintattiche):

GRANATA N1......Nk; (i) (Oggetto fisico), (Naturale),(Colore rosso), (Vegetale),(Commestibile), [Frutto delmelograno)] < ω1 >;

(ii) (Oggetto fisico), (Naturale),(Colore rosso), (Minerale),(Prezioso), [Pietra preziosadi colore rosso scuro]< ω2 >;

(iii) (Oggetto fisico), (Artificia-le), (Di utilità domestica),[Scopa di saggina] < ω3 >;

(iv) (Oggetto fisico), (Artificia-le), (Di impiego bellico),[Proiettile di artiglieria diforma cilindrica] < ω4 >;

GRANATA N1......Nk; (i) (Colore), [Colore rosso scu-ro proprio dei semi dellamelagrana] < ωl >

Chiamiamo lettura (reading) ogni percorso completodalla rappresentazione fonologica (od ortografica) a ciascu-na delle restrizioni selettive. Ogni lettura rappresenta unsenso distinto dell’elemento lessicale.

Consideriamo più da vicino le nozioni che abbiamo in-trodotto.

i) Indicatori sintattici. Corrispondono parzialmente aitratti sintattici di cui si è parlato nel capitolo precedente. Siosservi: corrispondono, non sonoi tratti sintattici; riprende-remo questo problema nel punto ii).

ii) Indicatori semantici e differenziatori. La differenza tra idue tipi di tratti semantici consiste nel fatto che i primi espri-mono proprietà semantiche generali, mentre i secondi rappre-sentano ciò che è « idiosincratico nel significato di un ele-

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Page 79: Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale · nuto opportuno considerare la teoria sintattica elaborata da Chomsky anche, e soprattutto, alla luce della cornice for-male

mento lessicale »; il criterio di distinzione sembra dunque lafrequenza statistica di occorrenza nel dizionario: i differenzia-tori sarebbero indicatori semantici con diffusione nel diziona-rio limitata al massimo (una sola occorrenza). Ancora, da que-sto criterio quantitativo se ne può dedurre uno qualitativo:mentre gli indicatori semantici rappresentano ciò che è comu-ne al significato di elementi lessicali diversi, i differenziatorirappresentano ciò che distingue gli elementi lessicali apparte-nenti a una stessa classe. Per questo motivo, mentre i differen-ziatori non entrano in relazione gli uni con gli altri, gli indica-tori semantici, oltre a mettere in evidenza le relazioni di signi-ficato tra le parole della lingua, stanno anche in determinaterelazioni reciproche, espresse dalle regole di inclusione cate-goriale; per esempio, la categoria « Umano » è inclusa nellacategoria « Essere animato », mentre « Bambino » è inclusoin « Umano »; si tratta, in realtà, della traduzione « formale »del metodo aristotelico di individuazione dell’essenza.

Manca una regola che precisi quando gli indicatorisemantici devono essere seguiti da un differenziatore (opzio-nale) e quando no; valgono comunque i criteri generali del-l’economia e della semplicità. Ad ogni modo, la distinzionetra i due tipi di tratti semantici non è particolarmente rile-vante, come dimostra il fatto che in Katz (1966) i differen-ziatori sono stati eliminati.

La nozione di indicatore semantico è invece centrale nellateoria semantica katziana, dato che in base ad essa sono defi-niti tutti i principali concetti semantici. La prenderemo quin-di in esame in modo più specifico. In Katz e Postal (1964:14) si dà la seguente definizione: « gli indicatori semantici[...] sono intesi come dispositivi simbolici che rappresentanoi concetti atomici per mezzo dei quali viene sintetizzato ilsenso di un elemento lessicale ». L’aspetto più interessantedella definizione è senz’altro la caratterizzazione degli indi-catori come dispositivi simbolici; ciò significa che non solo« Nome », « Verbo », ecc. ma anche « Commestibile », « Diutilità domestica », ecc. vanno intesi come semplici simbo-

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li, cioè come termini di un linguaggio che serve alla rap-presentazione semantica e che funziona come metalinguag-gio rispetto al linguaggio oggetto. Su questo punto si insisteanche in Katz (1966: 156): « È importante sottolineare che,per quanto gli indicatori semantici siano dati nell’ortografiadi un linguaggio naturale, essi non possono essere identifi-cati con parole o espressioni del linguaggio usato per for-nirli di etichette allusive. Essi devono essere consideratipiuttosto come costruzioni di una teoria linguistica, cosìcome termini quali “forza” sono considerati etichette dicostruzioni della scienza naturale ».

Vedremo in seguito quali problemi pone tale concezionedegli indicatori semantici; ciò che ci interessa discutere quisono due questioni di carattere più specifico. In primoluogo, in base a quali criteri certi indicatori sono classifica-ti come sintattici ed altri come semantici? Come abbiamovisto, la precisa determinazione della linea di confine trasintassi e semantica è considerata sia da Katz che daChomsky un problema empirico, sebbene l’esistenza di unatale linea di confine sia un postulato metateorico. L’unicocriterio che può guidarci nella soluzione di questo problemaempirico è la considerazione che indicatori sintattici e indi-catori semantici svolgono una « diversa funzione teorica »:« Gli indicatori sintattici indicano le differenze formali sucui si fonda la distinzione tra stringhe di morfemi ben-for-mate e stringhe mal-formate, mentre gli indicatori semanti-ci hanno la funzione di assegnare ad ogni stringa ben-for-mata il contenuto concettuale che le permette di essere rap-presentata » (Fodor e Katz, 1963: 518).

Sono quindi considerazioni di economia e semplicitànella costruzione della teoria linguistica che possono influi-re sulle relazioni reciproche imposte ai componenti sintatti-co e semantico.

Tuttavia, come si è visto, noi presupponiamo che sintas-si e semantica siano distinte, ma non sappiamo dove cade lalinea di demarcazione; come possiamo quindi decidere, adesempio, se una stringa non accettabile è mal-formata sin-

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tatticamente o semanticamente anomala? E quindi se la suadevianza va espressa in termini di indicatori sintattici o se-mantici? La definizione citata di Fodor e Katz non fa cheporre il problema, anziché risolverlo. Il caso limite si ve-rifica quando si presentano indicatori che sono comuni siaalla sintassi che alla semantica. Si tratta di un caso interes-sante, perché mostra alcune difficoltà in cui cade la conce-zione katziana dei rapporti tra sintassi e semantica. Fodor eKatz (1963) trattano questi casi come accidentali; peresempio, il fatto che un elemento lessicale come « ragazza »sia classificato come « Femminile » sia sintatticamente chesemanticamente è puramente casuale, nel senso che si trat-ta in realtà di due indicatori diversi che accidentalmentehanno lo stesso nome di « Femminile ». In questo modorisulta completamente capovolta la prospettiva delleStrutture della sintassi: mentre là si parlava della possibili-tà di cogliere le corrispondenze sistematiche tra sintassi esemantica, qui il postulato della separazione dei due livellicostringe a considerare casuale il fatto che esistano delle o-mologie tra i livelli del linguaggio.

Fodor e Katz insistono invece sui casi in cui le corrispon-denze vengono meno; così, ad esempio, l’elemento lessica-le « nave » è sintatticamente femminile ma, secondo Fodore Katz, sarebbe scorretto assegnargli l’indicatore semantico(Femminile). La ragione non viene spiegata, ma è facile in-tuirla: le navi non sono di sesso femminile. Ma una moti-vazione del genere contraddice un altro principio fonda-mentale della semantica katziana, da noi illustrato nel par.6: il principio secondo cui le relazioni semantiche vannoconcepite come relazioni tra segni, cioè senza far ricorso aicorrelati extralinguistici dei segni stessi. Al contrario, affer-mare che le navi non sono di sesso femminile significaappunto parlare del referente della parola « nave ».

In secondo luogo, dato che la distinzione tra sintassi esemantica è comunque postulata, noi sappiamo che, nono-stante le difficoltà empiriche nel distinguerli, i due compo-nenti, sintattico e semantico, sono irriducibili l’uno all’altro

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ed hanno ciascuno una propria funzione specifica. Tuttavia,lo stesso discorso chomskiano sui gradi di grammaticalitàmostra che la decisione sulla buona formazione o meno diuna stringa può eventualmente tener conto di particolaritàdi essa che si definirebbero semantiche piuttosto che sintat-tiche. In altri termini, esistono casi limite la cui devianzapotrebbe essere ascritta altrettanto correttamente a fattorisintattici o semantici. A questo punto dovrebbe manifestar-si l’affermata « complementarità » dei due componentidella grammatica; ma non dimentichiamo che l’unico crite-rio metateorico in base a cui è possibile distinguerli è la lorodiversafunzione, e che il componente semantico è definibi-le solo « per sottrazione » di certi fenomeni dal componen-te sintattico. Come è possibile risolvere il dilemma tra l’e-sigenza di complementarità dei due componenti e la lororeciproca irriducibilità? Semplicemente sdoppiando le enti-tà formali di cui i due componenti sono costituiti, cioè prov-vedendo ciascun componente di indicatori sia sintattici chesemantici. Ciò spiega perché il dizionario, di cui stiamoparlando, non sia la stessa cosa del lessico, che fa inveceparte del componente sintattico della grammatica (cfr. Katze Postal, 1964: 161): nel lessico si trovano gli indicatorisemantici e le restrizioni selettive necessari ad evitare diottenere enunciati non-grammaticali; nel dizionario si tro-vano gli indicatori che provvedono ad evitare enunciatisemanticamente anomali.

Per quanto possa apparire strano, questo sdoppiamentodell’insieme degli indicatori in lessico e dizionario è unaconseguenza, non voluta, della netta distinzione tra livellosintattico e livello semantico. Vermazen (1967: 334) osser-va che lo stesso sdoppiamento è presente negli Aspetti, doveperò il dizionario di Katz e Postal non è nominato.8

Sulla base della nozione di indicatore semantico (e dellanozione di lettura, riconducibile però alla prima) è ora pos-

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8 Weinreich (1966: 400) dà una spiegazione diversa dello sdoppiamento: il les-sico conterrebbe la specificazione della forma fonologica dei morfemi.

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sibile definire una serie di concetti linguistici fondamentali.Vediamone alcuni; dato un costituente C,

D1) C è semanticamente anomalose e solo se l’insiemedi letture assegnato a C non contiene alcun membro.

D2) C è semanticamente non-ambiguose e solo se l’in-sieme di letture assegnato a C contiene esattamente unmembro.

D3) C è semanticamente ambiguoall’n-esimo grado se esolo se l’insieme di letture assegnato a C contiene n mem-bri (1<n).

D4) C1 e C2 sono sinonimi su una letturase e solo se l’in-sieme di letture assegnato a C1 e l’insieme di letture asse-gnato a C2 hanno un membro in comune.

D5) C1 e C2 sono completamente sinonimise e solo sel’insieme di letture assegnato a C1 e l’insieme di lettureassegnato a C2 sono identici.

D6) C1 e C2 sono semanticamente distinti se e solo se cia-scuna lettura dell’insieme assegnato a C1 differisce peralmeno un indicatore semantico da ciascuna lettura dell’in-sieme assegnato a C2.

iii) Restrizioni selettive. Si tratta di sequenze di indicato-ri sintattici e/o semantici apposte all’elemento terminale diuna lettura che « esprimono le condizioni necessarie e suf-ficienti perché le letture in cui occorrono si combinino conaltre letture per dar luogo a letture derivate. Tale condizio-ne è un requisito imposto al contenuto di queste altre lettu-re » (Katz, 1966: 159 sgg.).

Dato che l’amalgamazione delle letture avviene per operadelle regole di proiezione, le restrizioni selettive sono inter-pretabili come condizioni di applicabilità di tali regole: unaregola potrà essere applicata se e solo se la lettura dell’ele-mento che deve essere combinato con un elemento dato con-tiene gli indicatori sintattici e/o semantici contenuti nella

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restrizione selettiva dell’elemento dato. Così, ad esempio,« bruciare » avrà come restrizione selettiva <(Oggetto fisi-co)> e potrà quindi cooccorrere con un elemento che contie-ne l’indicatore semantico in questione, per esempio « scuo-la ». « Scuola », d’altra parte, ammette anche, come indica-tore semantico, qualcosa come (Istituzione sociale); ma nel-l’enunciato « La scuola bruciò » le regole di proiezione scar-teranno la lettura contenente tale indicatore, assegnando unsignificato univoco all’intero enunciato.

Riguardo alle restrizioni selettive va notato che, mentre gliAspetti sono estremamente problematici riguardo all’asse-gnazione dei fenomeni di selezione al componente sintatticoo a quello semantico, nella teoria katziana il problema non èaffatto trattato. Dalla discussione complessiva sembracomunque di poter dedurre che le restrizioni selettive defini-scono le possibilità di cooccorrenza in termini di tratti sia sin-tattici che semantici. Questa sembra essere, di fatto, una con-cezione più realistica di quella chomskiana, secondo la qualele restrizioni sembrano aver a che fare soltanto con trattiestremamente generali come « Nome umano », « Nome ani-mato », ecc. È ovvio che se si vuol render conto per mezzodelle restrizioni della devianza di enunciati come « Questoelettrone è verde », è necessario ricorrere a tratti ben più spe-cifici. È chiaro comunque che, a questo punto, il numerodelle restrizioni selettive diventa praticamente illimitato e laloro utilità praticamente nulla.

Esistono inoltre esempi di enunciati non devianti conte-nenti proposizioni devianti che sarebbe estremamente com-plicato spiegare in termini di restrizioni selettive. Parleremodi questi enunciati più avanti, in quanto si tratta di casi che,di per sé, suggeriscono la possibilità di un approccio alterna-tivo al problema della devianza. Fin d’ora, comunque, èopportuno citare un motivo che potrebbe indurre a conside-rare come semantichele proprietà definite dalle restrizioniselettive: Lakoff e Ross (1967) hanno osservato che terminiche sono l’uno parafrasi dell’altro (cioè termini con « lo stes-so significato ») hanno le stesse restrizioni selettive. Inoltre,

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mentre esistono verbi che richiedono soggetti semanticamen-te plurali (« essere numeroso »), non si dà mai il caso chequesti verbi ammettano sintagmi nominali (SN) sintattica-mente plurali e semanticamente singolari. Così, in « Le for-bici sono taglienti » il soggetto può essere sia semanticamen-te singolare (un singolo paio di forbici) che semanticamenteplurale (diverse paia). Ma in « Le forbici sono numerose »,« forbici » è semanticamente plurale. Ciò significa che il trat-to grammaticale [+ Plurale] non figura mai nella cooccorren-za, e, in generale, che nessun tratto grammaticale vi figura: lacooccorrenza è tutta semantica (Lakoff e Ross, 1967: 1).

11. Passiamo ora a considerare il funzionamento delleregole di proiezione(RP). Intuitivamente, la funzione delleRP è quella di « amalgamare » le letture dei singoli compo-nenti di un enunciato per giungere all’interpretazionesemantica di esso. Come si è visto, il componente sintatticofornisce, come ingresso del componente semantico, unaserie di enunciati a ciascuno dei quali è associata la sua de-scrizione strutturale, cioè la derivazione attraverso la qualeesso è stato generato. Ora, secondo che si adotti la versionedel componente sintattico formulata in Katz e Postal (1964)o quella formulata negli Aspetti, si possono assumere dueposizioni per quanto riguarda la rappresentazione formaledell’informazione sintattica; nel primo caso le informazionisintattiche vengono fornite da coppie costituite da unasequenza di IS e da un IT, mentre nel secondo casotutte leinformazioni sintattiche pertinenti all’interpretazionesemantica sono contenute nelle strutture profonde, chehanno la forma di IS generalizzati. Noi adotteremo qui laseconda alternativa, più semplice e più conforme allo svi-luppo che la teoria sintattica ha ricevuto.

L’ingresso del componente semantico è dunque costitui-to da diagrammi ad albero i cui simboli terminali sono ele-menti lessicali.

Il dizionario, come si è visto, associa ogni elemento les-sicale a sequenze di indicatori. Tuttavia, date le molteplici

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categorizzazioni sintattiche che un elemento lessicale puòricevere, è necessario disporre di un criterio per selezionaresoltanto quelle letture della voce lessicale relativa a un datoelemento lessicale che sono pertinenti all’interpretazionesemantica dell’enunciato in cui l’elemento in questionecompare. A questo fine, indichiamo con L un insieme finitoe non-vuoto di letture appartenenti alla voce lessicale rela-tiva all’elemento terminale σ di un IS sottostante P. Il crite-rio di cui abbiamo bisogno è ora formulabile nella regolaseguente:

(I) Assegnare l’insieme L al simbolo terminale σ solo nelcaso che esista una voce lessicale per σ che contiene L e checategorizza sintatticamente σ nello stesso modo dei nodietichettati che dominano σ nell’IS sottostante P.

Dopo l’operazione della regola (I) avremo a che fare conIS i cui nodi terminali sono occupati dalle letture appro-priate dei simboli terminali. Tali IS rappresentano l’ingres-so del sottocomponente costituito dalle RP.

« In generale, il componente costituito dalle RP funzionaprocedendo dalla base alla cima di un albero a struttura sin-tagmatica ed effettuando una serie di amalgamazioni, par-tendo dall’uscita della regola (I) e amalgamando insiemi dipercorsi dominati da un indicatore sintattico; in questomodo assegna insiemi di letture alla concatenazione di ele-menti lessicali che si trovano sotto quell’indicatore, asso-ciando il risultato dell’amalgamazione con l’indicatore, fin-ché l’indicatore più alto “Enunciato” viene raggiunto eassociato a un insieme di letture. Le RP amalgamano insie-mi di percorsi dominati da un indicatore sintattico combi-nando elementi tratti da ciascuno di essi, in modo da for-mare un nuovo insieme di percorsi, che fornisce un insiemedi letture per la sequenza di elementi lessicali che stannosotto quell’indicatore sintattico. L’amalgamazione è un’o-perazione grazie alla quale elementi tratti da diversi insiemidi percorsi vengono congiunti sotto un dato indicatore sin-tattico nel caso che tali elementi soddisfino le restrizioni

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selettive appropriate rappresentate da quanto viene racchiu-so tra angoli » (Fodor e Katz, 1963: 506).

L’uscita del componente costituito dalle RP è formata daIS semanticamente interpretati, definibili come « insiemicompleti di coppie, ciascuna delle quali è così formata: unmembro è un nodo etichettato di un IS sottostante, mentrel’altro è un insieme massimale9 di letture, ciascuna dellequali è relativa alla sequenza di parole dominate dal nodoetichettato in questione » (Katz, 1966: 170).

12. Diamo ora un esempio sommario di interpretazionesemantica dell’enunciato italiano:

(2) Il ragazzo mangia la granata.

Supponiamo che la struttura sintattica di (2) sia rappre-sentabile per mezzo dell’albero seguente:

(3)E

SN SV

Det N V SN

Il ragazzo mangia Det N

la granata

Il dizionario, sulla base della regola (I), associa a ciascunelemento lessicale insiemi di letture conformi alla sua cate-gorizzazione sintattica; in uscita avremo dunque l’alberoseguente:

Semantica interpretativa 89

9 L’insieme di letture è massimale « nel senso che contiene tutte e sole quelleletture della sequenza di parole che appartengono ad essa in virtù del dizionario,delle regole di proiezione e delle parentesizzazioni etichettate nell’IS sottostan-te ». (Katz, 1966: 171). L’insieme è completo « nel senso che ogni nodo dell’ISsottostante è associato a un insieme massimale di letture ». (ibidem).

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(4)

E

SN SV

L1 L2 L3 SN

L4 L5

Naturalmente, la categorizzazione sintattica di ogni ele-mento lessicale si trova ora, sotto forma di sotto-sequenzeiniziali di indicatori, in ogni lettura relativa a ciascun ele-mento.

Cominciando dalla base e procedendo verso l’alto ese-guiamo ora le amalgamazioni.10

A. L4: La→ SN femminile→ Articolo determinativo→→ [Definito contestualmente]

L5: (1) Granata→ Nome concreto→ (Oggetto fisico)→→ (Naturale)→ (Colore rosso)→ (Vegetale)→→ (Commestibile)→ [Frutto del melograno]

(2) Granata→ Nome concreto→ (Oggetto fisico)→→ (Naturale)→ (Colore rosso)→ (Minerale)→→ (Prezioso)→ [Pietra preziosa di colore rosso scuro]

(3) Granata→ Nome concreto→ (Oggetto fisico)→→ (Artificiale)→ (Di utilità domestica)→→ [Scopa di saggina]

(4) Granata→ Nome concreto→ (Oggetto fisico)→→ (Artificiale→ (Di impiego bellico)→→ [Proiettile di artiglieria di forma cilindrica]

90 Sintassi e semantica nella grammaica trasformazionale

10 Anziché dall’amalgamazione di L4 ed L5 si sarebbe potuti partire da quelladi L1 ed L2, dato che si tratta in ogni caso di nodi terminali e dato che qui sonopertinenti le relazioni di dominanza, non quelle di precedenza.

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L’amalgamazione di L4 ed L5 avviene attraverso una RPdella forma seguente:

(RP1) Date due letture della forma(1) Stringa lessicale1→ Indicatori sintattici dell’ar-ticolo → Indicatori semantici dell’articolo→ [1] < Insieme di stringhe di indicatori Ω >

(2) Stringa lessicale2→ Indicatori sintattici del nome→Indicatori semantici del nome→ [2]tali che esiste una sottostringa σ della stringa diindicatori nominali sintattici o semantici e σ ε Ω,esiste un amalgama della formaStringa lessicale1 + Stringa lessicale2→ Indicatoredel nodo dominante→ Indicatori semanticidell’articolo→ [1] Indicatori semantici del nome [2]

L’applicazione di RP1 a L4 e L5 produce l’insieme L6 diletture derivate, di cui fanno parte le letture seguenti:

(1) La + granata→ SN femminile→ [Definito contestual-mente]→ (Oggetto fisico)→ (Naturale) (Colore ros-so)→ (Vegetale)→ (Commestibile)→ [Frutto del me-lograno]

(2) La + granata→ SN femminile→ [Definito contestual-mente]→ (Oggetto fisico)→ (Naturale)→ (Colore ros-so)→ (Minerale)→ (Prezioso)→ [Pietra preziosa dicolore rosso scuro]

(3) La + granata→ SN femminile→ [Definito contestual-mente]→ (Oggetto fisico)→ (Artificiale)→ (Di utilitàdomestica)→ [Scopa di saggina]

(4) La + granata→ SN femminile→ [Definito contestual-mente]→ (Oggetto fisico)→ (Artificiale)→ (Di impiegobellico)→ [Proiettile di artiglieria di forma cilindrica]

B. Con procedimento del tutto analogo vengono amalga-mate L1 ed L2, che daranno l’insieme L7 di letture derivatecontenente una sola lettura:

Il + ragazzo→ SN maschile→ [Definito contestualmen-te]→ (Oggetto fisico)→ (Umano)→ (Giovane)→ (Maschio)

C. L’albero da cui siamo partiti ha ora la forma seguente:

Semantica interpretativa 91

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(5)

E

L7 SV

L3 L6

Si tratta dunque di amalgamare L3 ed L6. Il dizionariofornisce per L3 diverse letture; ne citiamo soltanto due:

L3: (1) Mangia→ Verbo→ Verbo transitivo→ (Azione)→→ [Ingerisce alimenti] < SOGGETTO: (Animale)Vs (Vegetale) Vs (Oggetto inanimato), OGGETTO:(Commestibile) Vs (Non commestibile), STRUMEN-TO: (Parte anatomica) >

(2) Mangia→ Verbo→ Verbo transitivo→ (Azione)→→ (Senso metaforico)→ [Consuma] < OGGETTO:

(Oggetto fisico), STRUMENTO: (Attività) Vs (Parteanatomica) >

All’amalgamazione di L3 ed L6 provvede la RP seguente: (RP2) Date due letture della forma:

(1) Stringa lessicale1→ Indicatori sintattici del verboprincipale→ Indicatori semantici→ [1] < Insiemidi stringhe di indicatori α, β >11

(2) Stringa lessicale2→ Indicatori sintattici dell’oggettodel verbo principale→ Rimanente della letturadell’oggettotali che esiste una sottostringaσ della stringa diindicatori sintattici dell’oggetto eσ ε β, esiste unamalgama della formaStringa lessicale1 + Stringa lessicale2→ Indicatore

92 Sintassi e semantica nella grammaica trasformazionale

11 α, β e γ sono stringhe di indicatori nei termini dei quali sono espresse le con-dizioni imposte alle letture associate rispettivamente al soggetto, all’oggetto e allostrumentale (instrumental) del verbo principale.

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del nodo dominante→ Indicatori semantici delverbo principale→ [1]→ Rimanente della letturadell’oggetto < Insieme di stringhe di indicatoriα >

L’amalgamazione di L3 ed L6 dà L8, che contiene la let-tura seguente:Mangia + la + granata→ SV→ (Azione)→ [Ingerisce ali-menti]→ [Definito contestualmente]→ (Oggetto fisico)→→ (Naturale)→ (Colore rosso)→ (Vegetale)→ (Commesti-bile)→ [Frutto del melograno] < SOGGETTO: (Animale)Vs (Vegetale) Vs (Oggetto inanimato) >

D. Ci rimane da amalgamare L7 con L8 per giungere alnodo più alto, etichettato con « Enunciato ». Ci serviremodi una regola di questo tipo:(RP3) Date due letture della forma

(1) Stringa lessicale1→ Indicatori sintattici delsoggetto→ Rimanente della lettura del soggetto(2) Stringa lessicale2→ Indicatori sintattici del SV→→ Rimanente della lettura del SVtali che esiste una sottostringa σ della stringa di indi-catori sintattici o semantici del soggetto e σ ε α, esi-ste un amalgama della formaStringa lessicale1 + Stringa lessicale2→ Indicatoresintattico del nodo dominante→ Rimanente della let-tura del soggetto→ Rimanente della lettura del SVcon cancellata la sottostringa < α >

L9 avrà dunque la forma seguente:Il + ragazzo + mangia + la + granata→ Enunciato→[Definito contestualmente]→ (Oggetto fisico)→ (Umano)→(Giovane)→ (Maschio)→ (Azione)→ [Ingerisce alimenti]→[Definito contestualmente]→ (Oggetto fisico)→ (Naturale)→(Colore rosso)→ (Vegetale)→ (Commestibile)→ [Frutto delmelograno].

13. L’esempio necessita di alcune precisazioni. Innanzitutto,si tratta di un esempio incompleto, non solo perché abbia-mo omesso la specificazione di molti indicatori non stretta-mente pertinenti, ma anche per una ragione più sostanziale:

Semantica interpretativa 93

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se ammettiamo che ogni elemento lessicale è infinitamentepolisemico, cioè ha la capacità di occorrere in infiniti con-testi, dovremo indicare, in termini di restrizioni selettive,tutte le possibilità di cooccorrenza di ciascun elemento;dovremo quindi ricorrere a una distinzione illimitata di sot-tosignificati – una conseguenza questa poco opportuna inuna teoria che, almeno a questo livello, vorrebbe soddisfa-re requisiti di « effettività ».

Così, ad esempio, nell’interpretazione semantica di (2)noi abbiamo assegnato a mangia la restrizione selettiva< OGGETTO: (Commestibile) > per evitare la possibilità diinterpretare granatanel senso di scopa o proiettile, ma inquesto modo abbiamo arbitrariamente reso impossibileinterpretare l’enunciato nel senso che il ragazzo abbiainghiottito una piccola pietra preziosa. Avremmo potutoovviare a questo inconveniente assegnando a mangia unindicatore del tipo (Azione intenzionale), istituendo l’oppo-sizione « mangiare Vs inghiottire involontariamente »; main questo modo ci sarebbe sfuggita la possibilità di renderconto del fatto che un bambino può ingerire volontariamen-te un chiodo. I problemi, come si vede, si moltiplicano conprogressione esponenziale e, per quanto si tratti di problemidefiniti « empirici », sembra che la loro soluzione sia seria-mente compromessa da motivi « di principio »: come è pos-sibile infatti porre un limite a questo moltiplicarsi di sotto-significati evitando contemporaneamente i due pericoliopposti e complementari della proliferazione infinitada unlato e della normativitàdall’altro? Si tratta di una questioneche tocca uno dei nodi problematici fondamentali della teo-ria semantica katziana e alla quale non si è data risposta senon in forma ottativa, auspicando la formulazione rigorosadi un « sistema dei concetti possibili » (Chomsky, 1965:160). Vedremo in seguito (par. 17 sotto) i problemi che taleprogetto comporta; in ogni caso, la realizzazione di essonon potrebbe certo venir affidata alla « ricerca empirica ».

Una seconda osservazione riguarda il fatto che gli IS chevengono interpretati semanticamente sono gli IS sottostan-

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ti, cioè quelli che precedono le trasformazioni; questo peruna ragione di importanza fondamentale: se vogliamodistinguere le interpretazioni semantiche dei due enunciatiseguenti:

(6) I gatti cacciano i topi.(7) I topi cacciano i gatti.

dobbiamo determinare in modo univoco la correlazione trarelazioni grammaticali e configurazioni di costituenti; dob-biamo cioè mostrare come le relazioni grammaticali(« Soggetto », « Complemento oggetto », ecc.) concorronoa far sì che uno stesso fascio di indicatori sintattici e/osemantici (quelli di « gatti », « cacciano », « topi ») dialuogo a due enunciati con significato diverso. Per fare que-sto dobbiamo però disporre di una rappresentazione forma-le delle relazionigrammaticali; tale rappresentazione è dis-ponibile solo al livello degli IS sottostanti (cioè, in terminichomskiani, delle strutture profonde). Ad ogni relazionegrammaticale corrisponde poi, come abbiamo visto, unaparticolare regola di proiezione; nel paragrafo precedenteabbiamo introdotto tre regole di proiezione, una per la rela-zione articolo-nome, una per la relazione verbo-oggetto euna per la relazione soggetto-predicato.

14. Sorge ora il problema seguente: le RP del tipodescritto (che chiameremo RP1) sono sufficienti a renderconto dell’interpretazione semantica di tutti gli enunciatigenerati dal componente sintattico? Oppure esistono enun-ciati per la cui interpretazione è necessario introdurre RP diun tipo diverso (RP2)?

In tutte le versioni della teoria semantica che stiamo illu-strando si assume che le RP1 siano sufficienti all’interpre-tazione degli enunciati nucleari; il problema è quindi se perinterpretare semanticamente enunciati generati per mezzodi trasformazioni facoltative sono necessarie le RP2. Insostanza, siamo tornati a una questione già accennata inpartenza: esistono trasformazioni che modificano il signifi-

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cato degli enunciati cui si applicano? La risposta a questointerrogativo è dubitativa in entrambe le versioni della teo-ria semantica katziana, sia in quella di Fodor e Katz (1963)che in quella di Katz e Postal (1964). Tuttavia, mentre nellaprima versione si auspica semplicemente una dimostrazio-ne dell’irrilevanza semantica di tutte le trasformazioni,nella seconda si dimostra effettivamente l’irrilevanza dialcune importanti trasformazioni. Ad ogni modo, anchenella seconda versione le conseguenze sintattiche e seman-tiche del principio dell’irrilevanza delle trasformazioni nonvengono inglobate nella teoria; ciò avverrà soltanto negliAspetti, con l’introduzione dell’IS generalizzato.

Accenniamo quindi sommariamente al modo in cui vienegiustificata l’introduzione delle RP2 e a come viene caratte-rizzato intuitivamente il loro funzionamento. Consideriamo,per esempio, il funzionamento delle trasformazioni di inca-stro (embedding transformations). Esse agiscono su unacoppia di IS sottostanti e producono un IS derivato inca-strando parte di uno di essi (IS costituente) nell’altro (ISmatrice). Ogni IS matrice deve contenere simboli fittizi,cioè morfemi che non occorrono nell’enunciato ma hannosostanzialmente la funzione di indicare la posizione in cuideve avvenire l’incastro. Il processo delineato è evidente-mente un processo sintattico; le difficoltà sorgono quandose ne vuol costruire l’analogo semantico; schematizzando, èsufficiente notare che le RP1 richiedono letture su cui ope-rare, mentre i simboli fittizi non hanno letture per defini-zione; di fronte ai simboli fittizi quindi, le RP1 si bloccano.A questo punto diventa necessario postulare l’operazione diregole di proiezione di secondo tipo aventi il compito diinserire, al posto del simbolo fittizio, il costituente corri-spondente, rimettendo così in moto il processo di interpre-tazione da parte delle RP1.

15. Siamo ora in grado di definire la nozione katziana di« interpretazione semantica dell’enunciato E » come « (1)l’insieme di interpretazioni semantiche degli IS sottostanti

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di E,12 e (2) l’insieme di descrizioni relative a E che segueda (1) e dalle definizioni (D1)-(D3) e da ogni ulteriore defi-nizione di questo genere che sia specificata nella teoria dellinguaggio [...]:

(D1) E è semanticamente anomalose e solo se il costi-tuente di enunciato13 di ciascun IS sottostante semantica-mente interpretato di E è semanticamente anomalo.

(D2) E è semanticamente non-ambiguose e solo se ognimembro dell’insieme di letture contenente tutte le lettureche sono assegnate ai costituenti di enunciato di ciascun ISsottostante semanticamente interpretato di E è sinonimocon ogni altro membro.

(D3) E è semanticamente ambiguo all’n-esimo gradosee solo se l’insieme di tutte le letture assegnate ai costituen-ti di enunciato degli IS sottostanti semanticamente interpre-tati di E contiene n letture non equivalenti (1<n) » (Katz,1966: 172).

16. Dopo questa schematica esposizione del componentesemantico di una grammatica generativa trasformazionalepassiamo ad alcune osservazioni generali che si possono farea proposito di una teoria semantica di questo tipo. Abbiamogià parlato (par. 6) della proposta katziana di trattare i rap-porti tra segni e denotazioni come rapporti tra segni. Taleproposta è fondata principalmente sulla constatazione del-l’impossibilità di soddisfare il requisito secondo cui perspiegare il significato sarebbe necessario render conto inmodo univoco e sistematico di tutti i particolari rapporti trasegni e denotazioni; tuttavia essa fa ricorso ad un’ipotesiancora più compromettente, secondo la quale sarebbe possi-bile costruire una teoria semantica senza far ricorso ad

Semantica interpretativa 97

12 È chiaro che uno stesso enunciato può ricevere più descrizioni strutturali equindi possedere più IS sottostanti, ciascuno corrispondente a un’interpretazionedell’enunciato. Tali IS vengono chiamati in Katz e Postal (1964) sentoididell’e-nunciato.

13 Per « costituente di enunciato » si intende « l’intera stringa di simboli ter-minali di un IS sottostante » (Katz, 1966: 172).

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assunzioni di ordine generale relative a che cosa è il mondodegli oggetti e/o a che cosa è la nostra conoscenza di esso.

È naturale che, una volta accantonate queste questioni, ein primo luogo il problema di che cosa sia il significato, sitenti di ridurre la costruzione di una semantica allo studiodei rapporti intercorrenti tra segni già assunti come signifi-canti. A questo punto però il discorso katziano ha già subi-to un inavvertito mutamento di oggetto: dalla costruzionedi una teoria semantica si è passati alla costruzione di unalessicografia, per lo meno nell’accezione del termine cheabbiamo adottato all’inizio di questo capitolo. Il problemacentrale, come è stato notato da Coseriu (1969: 57), non èpiù la struttura del significato, ma la struttura dell’interpre-tazione. « Il punto di partenza di questa “semantica” è quin-di un significante lessicale, ed il problema che qui si pone èquello dell’interpretazione, cioè quello dell’identificazionedel suo significato » (Coseriu, 1969: 58). Una teoria di que-sto tipo si riduce a « un arrangementdei significati e delleaccezioni corrispondenti a un significante, cioè a un aspet-to della prassi lessicologica » (Coseriu, 1969: 59).

Appunto da tale impostazione lessicografica discende, anostro parere, la convinzione che il significato degli elemen-ti lessicali della lingua sia definibile autonomamente dalleloro reciproche relazioni (cfr. par. 9 sopra), e quindi il rifiutodi considerare l’enunciato come il vero oggetto di una teoriasemantica. In altri termini, l’enunciato viene concepito noncome un vero e proprio livello di organizzazione del lin-guaggio, ma come una somma di elementi lessicali, dotaticiascuno di un proprio significato e concatenati secondo certeregole definite dalla sintassi. Il significato di un enunciato ètrattabile, insomma, come il significato di un segno. Ma qualè la concezione del significato di un segno sottesa alla teoriakatziana? L’abbiamo già visto nel par. 10: il significato di unsegno è la traduzione di esso in un metalinguaggio, cioè nellinguaggio che ha come simboli gli indicatori semantici; l’in-terpretazione semantica si riduce a un « algoritmo di tradu-zione » dal linguaggio oggetto al metalinguaggio indicatore

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(Lewis, 1971: 18). Se questa impostazione vale per l’inter-pretazione semantica dei segni dovrà valere anche per l’in-terpretazione degli enunciati, il cui significato viene spiega-to, come abbiamo visto nell’esempio illustrato in precedenza,per mezzo di cumuli di indicatori semantici.

17. Vediamo ora se una tale concezione del significato,che rimane implicita nella teoria katziana, ma ne costituiscel’ossatura, è realmente utilizzabile nella costruzione di unasemantica. Una prima, fondamentale difficoltà ci sembra laseguente: dato che tra gli elementi lessicali e gli insiemi diindicatori semantici che ne rappresentano il significato sus-sistono relazioni che per definizione sono arbitrarie, su checosa ci fondiamo per assegnare a un elemento lessicale pro-prio quegliindicatori e non altri? La formulazione di un cri-terio, e addirittura la formulazione del problema, mancacompletamente nella teoria katziana, e si tratta senza dub-bio di una delle mancanze più gravi. Infatti, per spiegare lapropria « competenza » di parlanti-ascoltatori si è costrettia introdurre la propria competenza di filosofi, il che signifi-ca, semplicemente, introdurre a fondamento della teoriasemantica che si intende costruire la propria intuizioneindividuale riguardo a ciò che èil significato di ogni paro-la, riguardo a qualerapporto esiste tra significato e referen-te e così via.

Saremo quindi indotti a far uso, nell’analisi dei significati,di categorie che, pur essendo totalmente fondate sull’intuizio-ne, hanno per lo meno un’aria di verosimiglianza in quantosembrano ispirarsi, in ultima analisi, alle categorie aristotelico-scolastiche. Oltre a quelle citate nei paragrafi precedenti pos-siamo ricordarne qualcun’altra: « Movimento », « Attività »,« Capace di intendere », ma anche « Rosso », « Con la lama »,« Provvisto di manico », ecc.

Nella misura in cui si vuole effettivamente costruire unateoria semantica si è dunque costretti a fare delle assunzioni,per quanto implicite e inadeguate, su ciò che è il mondo deglioggetti e su ciò che è il significato delle parole. Per la teoria

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katziana sembra andar bene la definizione con cui Quine rias-sume la concezione aristotelica del significato: « Il significa-to è ciò che l’essenza diventa quando si separa dall’oggettodi riferimento per sposarsi al vocabolo » (Quine, 1961: 22).

Cerchiamo comunque di prescindere da queste difficoltàgenerali relative alla costruzione di una semantica, per ten-tare di cogliere in che modo queste difficoltà « di principio »si riflettono su singoli aspetti della teoria.

Nel par. 10 abbiamo citato la definizione di indicatoresemantico formulata in Katz e Postal (1964), ma abbiamodiscusso di un solo aspetto degli indicatori, cioè del lorocarattere simbolico.

L’ altro aspetto era il loro statusdi « concetti atomici permezzo dei quali viene sintetizzato il senso di un elementolessicale ». Ciò significa semplicemente che i simboli dellinguaggio indicatore sono in realtà « etichette di concetti »;ma questo non ci dà alcun chiarimento sulla natura degliindicatori semantici. Seguendo il suggerimento di Vermazen(1967) cerchiamo quindi di dedurre che cosa gli indicatorisono dal modo in cui funzionano.

Le funzioni svolte dagli indicatori sono definite da Katznel modo seguente: i) essi « ci permettono di costruire gene-ralizzazioni empiriche riguardo al significato delle costru-zioni linguistiche » (Katz, 1966: 157); ii) le letture derivate(configurazioni di indicatori semantici) « forniscono unacaratterizzazione del significato delle sequenze di paroledominate dal nodo cui sono assegnate » (Katz, 1966: 165).

Prendiamo in considerazione la prima funzione. Come si ègià visto, data una sequenza di parole come « Scapolo »,« Uomo », « Prete », ecc., la presenza nelle letture di questi ele-menti dell’indicatore « Maschile » ci permette di costruire lageneralizzazione empirica secondo la quale i membri dellasequenza condividono il « concetto » di « mascolinità ». D’altraparte, aggiunge Katz, « il modo di esprimere le generalizzazionisemantiche è l’assegnazione di letture contenenti gli indicatorisemantici pertinenti a quelle, e solo a quelle, costruzioni lingui-stiche per cui valgono le generalizzazioni » (Katz, 1966: 158).

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Gli indicatori semantici, dunque, ci permettono dicostruire le generalizzazioni empiriche che dobbiamo giàconoscere per assegnare gli indicatori. Si tratta, evidente-mente, di una circolarità da cui è possibile uscire soltantofacendo ricorso alla pura e semplice intuizione linguistica.

Per quanto riguarda la seconda funzione svolta dagli indi-catori, una critica assai grave è stata mossa da Vermazenall’impostazione di Katz (1966); essa consiste sostanzial-mente nel mettere in rilievo l’inintelligibilità delle rappre-sentazioni semantiche proposte da Katz.

Abbiamo visto (cfr. par. 12 sopra) le difficoltà e il dispen-dio di energie che comporta l’interpretazione di un enuncia-to semplicissimo come « Il bambino mangia la granata ». Cisembra che i motivi che rendono sostanzialmente inintelligi-bili le rappresentazioni semantiche proposte da Katz sianodue: i) i tratti che costituiscono le rappresentazioni semanti-che non sono parole ma etichette di concetti, e inoltre ii) talitratti formano un cumulo essenzialmente non-ordinato.

Per quanto riguarda il primo punto, il fatto che non si dis-ponga di un algoritmo per mettere in corrispondenza biuni-voca elementi lessicali e insiemi di tratti rende assai pro-blematiche anche le possibilità di attuare effettivamente latraduzione lessicografica degli elementi lessicali in unmetalinguaggio di indicatori.

Per quanto riguarda il secondo punto, osserviamo che ilnon-ordinamento dei tratti semantici è evidente al livellodei singoli elementi lessicali. Vero è che Katz si richiamapiù volte alle regole di inclusione categoriale (cfr. par. 9)intese come principi ordinatori dei tratti semantici; ma èchiaro che tali regole non hanno alcun significato se attra-verso di esse non si riesce a definire un sistema coerente ecompleto di subordinazioni logiche tra i tratti; dato che itratti sono etichette di concetti è evidente che il sistema quiauspicato è lo stesso di quel « sistema dei concetti possibi-li » cui allude Chomsky negli Aspetticome a una precondi-zione per la costruzione di una semantica.

Ecco che, per la seconda volta, il tentativo di costruire

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una semantica « non filosofica » si rivela fondato su un’as-sunzione filosofica estremamente forte e non problematiz-zata: la convinzione che sia formulabile un’esaustiva « teo-ria delle idee ».

Ora, mentre le regole di inclusione categoriale non servo-no ad ordinare i tratti che compongono il significato di unsingolo elemento lessicale, per ordinare i tratti di una letturaamalgamata non esiste addirittura alcuna regola (Weinreich,1966: 409), per cui due enunciati come (6) e (7) vengono adavere, come rappresentazioni semantiche, due cumuli non-ordinati di indicatori composti esattamente degli stessi ele-menti e quindi uguali. Vero è che nel primo caso « gatti » èsoggetto e « topi » oggetto, mentre nel secondo caso avvie-ne il contrario; ma il problema è appunto questo: come vieneutilizzata nelle rappresentazioni semantiche l’informazionesintattica? Una possibilità consisterebbe nell’inserire nellarappresentazione semantica di « gatti » il tratto « Soggetto »inteso come indicatore sintattico; ma si tratterebbe, eviden-temente, di una soluzione completamente ad hoc. D’altraparte, se non si ricorre a una qualsiasi regola del tipo indica-to ci si trova nell’impossibilità di utilizzare ogni informazio-ne sintattica e ci si riduce a distruggere completamente lastruttura sintattica dell’enunciato, approdando, appunto,all’inintelligibilità della rappresentazione semantica.

Vorremmo infine osservare come, giunti a questo punto,anche la postulata distinzione tra metalinguaggio e lin-guaggio-oggetto sembra vacillare.

In primo luogo, l’uso del termine « metalinguaggio »sembra piuttosto metaforico. Infatti, oltre a non essernedefinito il vocabolario, non vengono neppure soddisfattidue dei requisiti imposti al metalinguaggio da Tarski: i) itermini semantici non sono introdotti nel metalinguaggiomediante definizione, per cui troviamo in esso dei terminida definire. Ammesso, per esempio, che « scapolo » signi-fichi « non sposato », che cosa significa « non sposato »? Sitratta, evidentemente, del problema dei « primitivi semanti-ci »: è chiaro che se il significato (o l’intensione) dei primi-

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tivi non viene definito ci troveremo inevitabilmente a tra-durre un segno linguistico in un altro segnolinguistico. ii)Non sembra che il metalinguaggio sia « essenzialmente piùricco del linguaggio oggetto ».

In secondo luogo, la distinzione tra simboli del linguag-gio e simboli metalinguistici non sembra teoricamente fon-data; si potrebbe dire, naturalmente, che mentre i primisono elementi lessicali, i secondi sono etichette di concettie solo occasionalmente hanno nomi che coincidono con glielementi. Ciò sarebbe vero, tuttavia, solo se disponessimoeffettivamente di un algoritmo per mettere in corrisponden-za elementi lessicali e insiemi di indicatori semantici; maabbiamo visto che l’unico « algoritmo » di cui disponiamoè la nostra intuizione o, meglio, la nostra competenza lin-guistico-filosofica. Ciò equivale a dire che riusciamo adassegnare agli elementi lessicali gli insiemi di tratti adegua-ti solo nella misura in cui usiamo questi tratti come paroledella lingua.

Quindi non solo il metalinguaggio non ci fornisce unaspiegazione di cosa sono i significati, ma la « competenzametalinguistica » che potremmo invocare per comprendereil significato degli indicatori si rivela essere esattamente lacompetenza linguistica. A questo punto gli insiemi di trattiche associano alle parole della lingua si dimostrano esserealtre paroledi quella lingua.

Appunto in questo senso sono stati interpretati gli indica-tori da Seuren (1969: 85) e Bar-Hillel (1969), i quali hannocriticato la concezione katziana del significato degli ele-menti lessicali con argomentazioni del tipo seguente: se l’e-splicazione del significato lessicale di una parola avvieneper mezzo di altre parole, si avvia un processo circolare diinterdefinizioni in cui, per definire il significato di un ter-mine, si fa ricorso a termini che è necessario definire a lorovolta. Nel migliore dei casi si giunge a una catena di defi-nizioni per sinonimia che, dopo aver attraversato tutto ildizionario, torna al punto di partenza, ancora indefinito. Tral’altro, una catena definitoria di questo tipo darebbe per

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scontata una nozione di « sinonimia » indefinibile all’inter-no della teoria e, comunque, in se stessa tutt’altro che privadi problematicità.

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Semantica generativa

1. Scopo di questo capitolo è passare in rassegna unaserie di critiche che sono state mosse a diversi aspetti dellateoria chomskiana. Nella misura in cui rispondono a un’in-tenzione sistematica e unitaria, le diverse soluzioni propo-ste mettono capo al problema di costruire un’intera teoriaalternativa a quella chomskiana. Possiamo quindi tradurregli argomenti di questo capitolo nei termini seguenti: i) cri-tiche ad alcuni assunti e ad alcune nozioni centrali della teo-ria chomskiana; ii) enucleazione dei tratti salienti della con-cezione linguistica proposta e dei nodi problematici che lacaratterizzano.

Dato che quella che si chiama solitamente « teoria seman-tica generativa » è in realtà un insieme di proposte disparateed eterogenee, saremo costretti a ordinare tale materialesecondo ipotesi interpretative nostre, che a volte si troveran-no in parziale disaccordo con le intenzioni dichiarate daglistessi autori presi in esame. In particolare, tratteremo separa-tamente le proposte di McCawley e quelle di Lakoff, non-ostante la loro proclamata equivalenza, perché ci sembranofondate su assunti teorici parzialmente divergenti.

2. La critica principale che la semantica generativamuove alla teoria chomskiana verte su una nozione fonda-mentale di quest’ultima: la nozione di struttura profondaqual è definita negli Aspettie qual è mantenuta in Chomsky(1968).

IV

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Naturalmente, essendo il concetto di struttura profondacosì centrale e così ricco di implicazioni epistemologiche,la critica in questione non può non coinvolgere altri nodiproblematici della teoria linguistica chomskiana.

La struttura profonda viene così definita in Lakoff e Ross(1968: 1):

« A. La base più semplice su cui operano tutte le trasfor-mazioni.

B. Il luogo in cui vengono definite le restrizioni selettivee di cooccorrenza.

C. Il luogo in cui vengono definite le relazioni gramma-ticali fondamentali.

D. Il luogo in cui avviene l’inserimento degli elementilessicali provenienti dal lessico ».

Se assumiamo, come pare corretto, l’insieme dei punti A-D come caratterizzazione intuitiva del livello della strutturaprofonda, ci sembra opportuno aggiungere un quinto punto,che costituisce una delle tesi centrali di Katz e Postal:

E. La struttura profonda è l’ingresso del componentesemantico.

Può darsi che E sia implicito in A-D, ma, data la proba-bile non-indipendenza delle condizioni A-D, ci sembraimportante esplicitare questo aspetto essenziale della nozio-ne che stiamo considerando.

Da un punto di vista generale, quindi, il concetto di strut-tura profonda risponde a due postulati teorici fondamentali:i) la separazione di sintassi e semantica, in virtù della qualela struttura profonda è un’entità esclusivamente sintatticaavente come controparte l’interpretazionesemantica; ii) laforte caratterizzazione della struttura profonda come entitàsintattica, per cui essa risulta essere un livello definito, e inlinea di principio sempre definibile, in cui si applicano tuttele operazioni sintattiche semanticamente rilevanti.

Passiamo ora a esporre i tre principali tipi di critiche chei sostenitori della semantica generativa hanno mosso alla

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struttura profonda. Si tratta, come si è accennato, di critiche« costruttive », che implicano sempre o mettono capo a pro-poste alternative che cercheremo di riassumere brevemente.

3. Innanzitutto, secondo questa impostazione, la separa-zione tra sintassi e semantica su cui si fonda la nozione distruttura profonda si rivela inadeguata a spiegare diversifenomeni linguistici. In particolare, le proprietà sintattichedi determinate entità linguistiche non si spiegano se nonfacendo ricorso alle loro proprietà semantiche.

Consideriamo gli esempi seguenti (McCawley, 1968b:148):

(1) Giovanni e Pietro sono eruditi. (2) Giovanni e Pietro sono simili. (3) Giovanni è erudito. (4)* Giovanni è simile.1

Secondo Chomsky la struttura profonda di (1) dovrebbeessere la seguente:

E

E E

Cong

SN SV SN SV

Giovanni è erudito e Pietro è erudito

Non si può tuttavia trattare allo stesso modo (2), data ladevianza di (4). Il problema è dunque questo: perché (4) èdeviante e (3) no? Si potrebbe rispondere formulando unarestrizione secondo la quale « simile » richiede un soggettoplurale; ma tale ipotesi non renderebbe conto del perché l’e-nunciato

Semantica interpretativa 107

1 Contrassegniamo con asterisco le espressioni intuitivamente caratterizzabilicome « devianti ».

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(6) Queste forbici sono simili.

è non-deviante solo nel caso che « queste forbici » sia para-frasabile con « queste paia di forbici », e non con « questopaio di forbici »; dato che « forbici » è sempregrammati-calmente plurale, come può « simile » ammettere soltantouna interpretazione di « forbici », cioè quella secondo laquale il nome si riferisce a un insieme? Evidentemente larestrizione che formuleremo dovrà indicare che il soggettodell’enunciato deve contenere un indice di insieme, non unindice individuale. Ciò tuttavia significa spiegare la diffe-renza tra (3) e (4), e quindi tra (1) e (2), non ricorrendo allastruttura profonda, ma alla rappresentazione semanticadi« erudito » e « simile ».

La proprietà espressa da « simile » riguarda un insieme,non un individuo; perciò la sua rappresentazione semanticaconterrà una variabile su insiemi (set variable), mentrequella di « erudito » conterrà una variabile individuale. Larappresentazione semantica di (1) sarà dunque: ∀ x (x ∈ x 1,x2) erudito (x). Dato che l’insieme su cui spazia la varia-bile è finito e definito per enumerazione dei suoi elementi,2

la formula quantificata universalmente è equivalente allacongiunzione delle formule ottenute sostituendo ogni mem-bro dell’insieme; la nostra rappresentazione semanticaequivarrà dunque alla seguente: « erudito (x1) ∧ erudito(x2) ». Vedremo in seguito le implicazioni dell’impiego diquesti strumenti formali.3

Consideriamo ora una particolare trasformazione, descrit-ta in McCawley (1968): la trasformazione-rispettivamente, laquale da una struttura profonda corrispondente all’enunciato

108 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

2 In questo modo McCawley risponde a una difficoltà sollevata da Russell,Introduzione alla filosofia della matematica, secondo la quale « Tutti gli apostoliavevano la barba » non è equivalente a « Pietro aveva la barba, e Giovanni avevala barba, ..., e Giuda Iscariota aveva la barba », in quanto il primo enunciato nonsi può dedurre dal secondo se non si aggiunge che gli apostoli elencati nel secon-do sono tutti gli apostoli.

3 Utilizziamo qui i seguenti simboli: ¬ per la negazione; ∨ per la disgiunzio-ne; ∧ per la congiunzione; ⊃ per l’implicazione; ≡ per l’equivalenza; ∀ per ilquantificatore universale; ∃ per il quantificatore esistenziale.

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(7) Anna è affascinata dalla musica e Lucia è annoiatadalla musica.crea una struttura superficiale come la seguente:

(8) Anna e Lucia sono rispettivamente affascinata eannoiata dalla musica.

L’effetto della trasformazione è quindi di creare un SNcongiunto, cui si dovrà assegnare un indice referenziale;infatti tale SN partecipa a trasformazioni in cui è richiestal’identità degli indici.

La nozione di indice referenziale era già presente negliAspetti, dove si discuteva la possibilità di fornire il compo-nente sintattico di un dispositivo per la rappresentazioneformale dell’identità di riferimento dei SN, al fine di per-mettere il funzionamento delle trasformazioni che, come lariflessivizzazione, richiedono appunto l’identità dei SN.Chomsky (1965: 145) proponeva di assegnare ai SN degliindici referenziali, espressi da numeri interi, da intendersicome tratti dello stesso tipo di tutti gli altri tratti sintattici.

La proposta di McCawley è di trattare gli indici comeinsiemi, dato che si riferiscono a insiemi di individui, e diconsiderare l’indice di un SN congiunto come l’unioneinsiemistica degli indici dei suoi membri.

In (8) il SV è plurale sebbene si riferisca a un soggetto singo-lare. Questo perché il soggetto congiunto creato dalla trasforma-zione-rispettivamente richiede la concordanza al plurale.

La trasformazione-rispettivamente genera anche enun-ciati che non contengono costituenti congiunti, come iseguenti:

(9) Quegli uomini amano le loro rispettive mogli.(10) Quegli uomini andarono a Cleveland.Come trattare enunciati di questo tipo? Una possibile

soluzione consisterebbe nel derivare tutti i SN plurali da SNsottostanti congiunti. Ma tale soluzione, proposta da Postal,è evidentemente inadeguata in quanto non permette di trat-tare i) SN i cui referenti sono insiemi infiniti, ii) SN i cuireferenti sono insiemi indefiniti.

Semantica interpretativa 109

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L’ altra soluzione è di generalizzare la trasformazione-rispettivamente: partendo dall’osservazione che la rappre-sentazione di tutti gli enunciati citati comporta l’uso delquantificatore universale, si può ipotizzare che l’effettodella trasformazione sia di distribuire il quantificatore uni-versale; al posto delle variabili vincolate dal quantificatorecompare un riflesso (reflex) dell’insieme su cui il quantifi-catore varia. (9) sarà quindi rappresentato semanticamentenel modo seguente:

(11) ∀ x (x ∈ M) (x ama la moglie di x).

dove M è l’insieme degli uomini in questione. Nell’enunciatoche ne deriva, al posto di « quegli uomini » avremo un’oc-correnza della variabile vincolata. « Moglie » prenderà laforma plurale perché, dopo la trasformazione-rispettivamen-te, il SN di cui è costituente principale ha come indice l’in-siemedi tutte le mogli corrispondenti agli x dell’insieme inquestione.

Ma qual è il motivo per cui si è parlato di rappresenta-zioni semantiche? Le ragioni sono almeno due; in primoluogo, come abbiamo visto, aggettivi come « simile » sonosensibili non alle proprietà sintattiche ma a quelle semanti-che dei SN: « forbici » è sempre sintatticamente plurale, ma« simile » ammette soltanto l’interpretazione semantica-mente plurale, secondo la quale il termine designa un insie-me di oggetti. In secondo luogo, le trasformazioni che fun-gono da ingresso per la trasformazione-rispettivamentecomportano l’uso di quantificatori.

Quali sono le conseguenze di tutta la discussione per quan-to riguarda il concetto di struttura profonda?Osserviamo chela trasformazione-rispettivamente svolge una funzione deltipo di quella che, negli Aspetti, viene affidata alle regole diproiezione del componente semantico: essa specifica lerelazioni intercorrenti tra una rappresentazione (semantica)che comporta l’uso di quantificatori e di variabili vincolatee una rappresentazione (la struttura superficiale) in cui figu-rano soltanto SN. Ma la stessa trasformazione ha anche un

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effetto sintattico, dato che opera allo stesso modo della tra-sformazione di riduzione per congiunzione, derivando (10)da un enunciato sottostante congiunto.4

A un’impostazione teorica che postula la separazione tracomponente sintattico e componente semantico sembrasfuggire la possibilità di trattare adeguatamente fenomenicome quelli citati.

4. Una conseguenza della caratterizzazione della struttu-ra profonda come entità esclusivamente sintattica è la nettadistinzione tra l’insieme dei rapporti sintattici intercorrentitra gli elementi lessicali (formalmente rappresentabili nellastruttura profonda) e l’insieme dei loro rapporti semantici(esprimibili in termini di indicatori semantici).

La nozione chomskiana di « restrizione selettiva » si col-loca tuttavia al punto di intersezione del componente sintat-tico con quello semantico, e rappresenta il tentativo didominare sintatticamente delle relazioni semantiche. Buonaparte delle critiche che i generativi muovono alla strutturaprofonda coinvolge appunto la concezione chomskianadelle restrizioni selettive (Punto B).

Vediamo alcuni dei motivi addotti da McCawley (1968a)a sostegno della tesi secondo cui è più opportuno conside-rare semanticitutti i fenomeni di selezione e di cooccorren-za. Si tratta, ovviamente, di motivazioni empiriche, chemostrano la maggiore adeguatezza di una determinata solu-zione, non di dimostrazioni. Osserviamo innanzitutto che,nell’impostazione chomskiana, le restrizioni selettive sonoconcepibili come restrizioni imposte alla nozione di mes-saggio possibile. Riallacciandoci al problema della buonaformazione sollevato nel cap. II, par. 4, ci sembra che, sche-matizzando, si possano individuare in una grammatica tra-sformazionale tre distinte nozioni di buona formazione: i) allivello della base, la buona formazione coincide con la pos-

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4 Si ripresenta qui il problema accennato nella nota precedente: la derivazionenon ci sembra possibile se l’insieme designato da « quegli uomini » è indefinito.

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sibilità di essere generato dal sistema di regole della basestessa; ii) al livello delle trasformazioni, queste stesse costi-tuiscono dei criteri di buona formazione in quanto vengonointese come « filtri » degli IS generalizzati sottostanti; iii) allivello semantico, sono le restrizioni selettive che fungonoda condizioni di buona formazione, escludendo enunciaticome « Quell’idea è verde a strisce arancioni ».

L’esclusione di tali enunciati avviene, nell’impostazionechomskiana, al livello della struttura profonda. È su questopunto che si concentra la critica di McCawley; infatti è inu-tile e scorretto postulare per le restrizioni selettive uno sta-tus indipendente dai significati, quando ogni diversità direstrizioni selettive è riconducibile a una differenza di signi-ficato. D’altro lato, nessuno dei tratti non-semantici asso-ciati ai nomi gioca un qualsiasi ruolo nella selezione, anchese a prima vista le cose stanno diversamente. Consideriamoper esempio gli enunciati seguenti:

(12) Luigi conta le pecore.(13)* Luigi conta la sabbia.

Si potrebbe suggerire che « contare » abbia la restrizioneselettiva < numerabile > (Vs < nome-massa >). L’ipotesi èsmentita dagli enunciati seguenti:

(14)* Luigi conta la pecora.(15) Luigi conta la folla.

dove il parametro di grammaticalità è apparentemente rove-sciato rispetto a (12)-(13). Osserviamo invece che (12)-(15)ricevono una spiegazione unitaria se assumiamo che lerestrizioni siano fondate sulla proprietà semanticaconsi-stente nel designare un insieme.

È chiaro che nelle critiche di McCawley è implicita unaproposta: abolire ogni distinzione tra aspetto « lessicale » easpetto « semantico » del significato degli elementi lessica-li e assegnare alle rappresentazioni semantiche il compito digarantire la buona formazione degli enunciati. Vedremo inseguito (par. 6) le implicazioni e i limiti di questa proposta.

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5. Un terzo tipo di critiche mosse alla nozione di struttu-ra profonda può essere riassunto in questi termini: la carat-terizzazione della struttura profonda contenuta nei punti De A è tale da rendere impossibile ogni eventuale arricchi-mento dei dispositivi sintattici che possa rivelarsi necessa-rio nel corso dell’analisi linguistica. Stando alla caratteriz-zazione della struttura profonda data nel punto D la situa-zione che ci troviamo di fronte è così schematizzabile(Lakoff, 1969: 6):

(16) I1,....................................., I2 ,......................................, In

_________________ __________________

Tutti inserimenti Tutte regole

lessicali cicliche

Struttura Strutturaprofonda superficiale

Chiariamo innanzitutto cosa si intende per regole cicli-che; esse sono le trasformazioni che, nella derivazione del-l’enunciato, vengono applicate ciclicamente. La nozione di« ciclo trasformazionale » è stata introdotta da Chomskynegli Aspetti. Negli ultimi anni, tuttavia, essa è stata preci-sata, nel senso che: i) per molte trasformazioni è stato indi-viduato l’ordine astratto secondo il quale esse si succedono;ii) oltre alle regole cicliche si sono individuate anche rego-le precicliche e regole del ciclo finale. Così, per esempio,Lakoff (1968b: 32) dimostra con argomentazioni linguisti-che, che qui tralasciamo, che le seguenti cinque trasforma-zioni cicliche devono applicarsi in questo ordine:

i) Trasformazione di rimpiazzamento dell’« it »ii) Trasformazione passivaiii) Trasformazione riflessiva iv) Extraposizione v) Trasformazione di cancellazione dell’« it »

Tuttavia, proprio lo studio delle trasformazioni e delle

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loro relazioni d’ordine induce ad ipotizzare l’opportunità dialtre regole, più potenti delle trasformazioni stesse.Consideriamo la struttura delle trasformazioni. Esse posso-no essere reinterpretate come condizioni di buona forma-zione su coppie di IS consecutivi (Pi, Pi+1); se con « (Ii/C1) »indichiamo che l’IS Ii soddisfa la condizione C1, potremoconsiderare le trasformazioni (o restrizioni derivazionalilocali) come congiunzioni della forma « Ii/C1 e Ii+1/C2 »,dove C1 e C2 sono condizioni relative agli alberi che defini-scono, rispettivamente, la classe degli alberi-ingresso e laclasse degli alberi-uscita. In una trasformazione distinguia-mo una descrizione strutturale(DS) C’1 (identica a C’2) e icorrelati strutturali (CS) C’’1 e C’’2. Assumiamo che:

C1 = C’1 e C’’1C2 = C’2 e C’’2C’1 = C’2C’’ 1 = C’’ 2

C’1 e C’2 sono entrambi non-nulliC’’ 1 e C’’2 sono entrambi non-nulli

Mentre la DS definisce la parte della condizione relativaall’albero che caratterizza sia Ii che Ii+1, il CS caratterizza ladifferenza minima tra Ii e Ii+1. Ciò che qui ci interessa è ilfatto che le trasformazioni possono applicarsi soltanto a ISconsecutivi.

Ora, si è cercato di mostrare (Lakoff, 1969 e 1970a) che idispositivi trasformazionali sono inadeguati alla trattazionedi certi fenomeni sintattici, che sembrano richiedere l’im-piego di restrizioni derivazionali globali, la cui caratteristi-ca saliente è il fatto che il loro funzionamento coinvolgespesso intere derivazioni, per cui tali restrizioni funzionanocome condizioni « imposte a configurazioni di nodi corri-spondenti in alberi non-consecutivi di una derivazione »,cioè della forma Ii, Ii+n (1<n).

È evidente che le restrizioni derivazionali costituisconouno strumento sintattico estremamente più forte di quellotrasformazionale. È anzi possibile interpretare sia le regole

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a struttura sintagmatica che le trasformazioni come casi par-ticolari di restrizioni derivazionali: le prime saranno condi-zioni di buona formazione per IS singoli, le seconde funge-ranno da restrizioni derivazionali localirelative a coppie diIS consecutivi. A proposito delle restrizioni derivazionalisorge ora un problema interessante: che ripercussioni hal’aggiunta di questo strumento sintattico sul resto dellagrammatica? In particolare, che senso ha la nozione di strut-tura profonda? È evidente che la struttura profonda risulteràimpoverita, nel senso che buona parte della informazionesintattica in essa contenuta non sarà più necessaria, dato chela buona formazione delle derivazioni proviene dalle restri-zioni derivazionali globali. Si potrebbe dire, insomma, cheaffidare la « generazione » sintattica di un enunciato allerestrizioni derivazionali globali significa far dipendere lastruttura grammaticale superficiale da condizioni che mira-no a organizzare l’intero processo derivazionale piuttostoche una sola tappa di esso (la struttura profonda, appunto).

Per quanto riguarda l’aspetto della struttura profonda cheora ci interessa, cioè il fatto che essa sia il luogo in cuiavvengono tutti gli inserimenti lessicali, secondo Lakoff(1969) è possibile costruire un controesempio (in realtà unaclasse di controesempi) che mostra l’inadeguatezza di taleassunzione. Esporremo solo i risultati della discussione.

Riprendendo lo schema (16) e considerando la trasfor-mazione ciclica passiva, supponiamo che tale trasformazio-ne debba applicarsi prima di un arbitrario stadio derivazio-nale Ia che chiameremo struttura poco profonda(shallowstructure). Ciò è così schematizzabile (Lakoff, 1969: 16):

(17) Struttura Trasformazione Strutturaprofonda passiva superficiale

I1,.................., Ii ,........................., Ia,..........................., In

Tutti inserimenti Tutte regole Strutturalessicali cicliche poco profonda

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Il problema è il seguente: esiste almeno un elemento les-sicale che debba venir inserito tra Ia e In? La risposta diLakoff è affermativa, nel senso che esistono elementi chedevono essere inseriti in un punto del processo derivazio-nale in cui una determinata restrizione derivazionale globa-le C1 ha cessato di operare. C1, d’altra parte, deve operaresull’uscita della trasformazione passiva. Si danno dunquecasi in cui certi fenomeni sintattici sono interpretabili sol-tanto se si ammette la possibilità di inserimenti lessicalipost-trasformazionali.

Per quanto riguarda il punto A, esso risulta svuotato disignificato: da un lato le restrizioni derivazionali rendonodel tutto irrilevante il fatto che esista un punto preciso cheserve da ingresso al componente trasformazionale; dall’al-tro, come vedremo in seguito, McCawley ipotizza l’esisten-za di trasformazioni prelessicali, che rendono praticamentenon definibile il livello della struttura profonda.

6. Passiamo ora al secondo argomento di questo capito-lo, cioè all’esposizione degli aspetti principali della conce-zione linguistica elaborata dagli studiosi che non accettanoil concetto chomskiano di struttura profonda, con tutte leimplicazioni che questo comporta.

Non ci pare che tutte le proposte confluiscano in un’uni-ca teoria; per questo le esporremo distintamente, eventual-mente mettendone in rilievo le affinità e le differenze.

Anticipiamo la linea complessiva del discorso diMcCawley: un unico sistema di regole converte le rappre-sentazioni semantiche in strutture sintattiche superficiali,dato che le rappresentazioni semantiche e quelle sintattichehanno sostanzialmente la stessa natura formale. Tra regolee categorie sintattiche fondamentali da una parte e regole diformazione e termini primitivi della logica dall’altra esisteinfatti una corrispondenza pressoché esatta; interpretandogli operatori e le operazioni logiche come veicoli essi stes-si dell’informazione semantica, McCawley giunge a consi-derare le rappresentazioni semantiche come alberi i cui nodi

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sono etichettati da simboli di categorie sintattiche. In altritermini, viene completamente eliminato un livello sintatticoautonomo di rappresentazione della struttura degli enuncia-ti, e la distinzione di sintassi e semantica perde senso.

Ma per poter realizzare questa identificazione del livellodi rappresentazione sintattica con quello di rappresentazio-ne semantica è necessaria una notevole modificazione dellanozione di « base di una grammatica ». A questo propositoMcCawley propone innanzitutto l’eliminazione delle deri-vazioni dalla base; il motivo è il seguente. Gli IS che rap-presentano gli stadi del processo derivazionale hanno tuttila forma di alberi a struttura sintagmatica, cioè alberi i cuinodi terminali sono etichettati da morfemi, e i cui nodi non-terminali sono etichettati da nomi di categorie sintattiche.Una difficoltà fondamentale è costituita dal fatto che a unastessa derivazione possono corrispondere due o più alberi diquesto tipo. Se infatti una derivazione ha due righe conse-cutive come le seguenti (McCawley, 1968a: 246-247):

(18) .....A B..........A C B.....

potremo rappresentare queste due righe con i seguenti albe-ri equivalenti:5

(19a) ........ A B ........ (19b) ........ A B ........

A C C B

McCawley propone di superare la difficoltà eliminandola derivazione per mezzo delle regole di riscrittura e inter-pretando la base come un insieme di condizioni di ammissi-bilità dei nodi: un nodo è ammissibile se è etichettato A edomina direttamente due nodi, etichettati rispettivamente B

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5 Sembra provato che una grammatica adeguata, ad esempio dell’inglese, nonpuò fare a meno di regole del tipo A→ Φ A o A → Α Φ. Un esempio è fornitodalla regola SN → SN E, che introduce le relative non-restrittive.

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e C; la condizione avrà questa forma: < A; BC >. È chiaroche in questo modo la difficoltà è superata: la con-dizione< A; AC > darà origine soltanto ad alberi come (19a). Vatenuto presente che le condizioni di ammissibilità dei nodisono non-ordinate, come risulta dalla loro stessa formula-zione; l’introduzione del simbolo A, infatti, non è frutto del-l’applicazione di alcuna regola precedente.

L’ovvia conseguenza dell’eliminazione delle derivazioniè che viene a cadere la definizione autonoma di un livellodi rappresentazione sintattica. La struttura sintattica dell’e-nunciato si identifica immediatamentecon la rappresenta-zione semantica di esso, che diventa quindi l’unico oggettoformale generato dalla base, la quale a sua volta viene iden-tificata con il componente semantico della grammatica.

Passiamo ora a considerare la rappresentazione semanti-ca come oggetto formale. A nostro avviso, il problema difondo da cui muove McCawley è il seguente: che rapportoesiste tra la rappresentazione semantica di un enunciato e glielementi lessicali che figurano in quell’enunciato? In altritermini: quale forma avrà una rappresentazione semanticache soddisfi il principio di funzionalità di Frege? È ancoraaccettabile una rappresentazione del significato degli ele-menti lessicali che faccia ricorso ai « tratti semantici »?

La risposta di McCawley è conforme all’impianto « oli-stico » della sua concezione del significato, secondo laquale l’unico livello al quale è legittimo parlare di signifi-cato è quello dell’enunciato, mentre i singoli elementi lessi-cali acquistano senso solo all’interno di tale contesto piùampio. Come si vede, la concezione katziana del significa-to sembra capovolta: mentre Katz parte dai significati deglielementi lessicali e dalla sintassi, McCawley parte dallastruttura « semantattica »6 dell’enunciato e solo sulla base diquesta ritiene che sia possibile decomporre il significatodegli elementi singoli in unità minime.

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6 Parliamo qui di struttura semantattica perché, come si è detto, le rappresentazio-ni semantiche hanno la forma di alberi etichettati da simboli di categorie sintattiche.

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È chiaro che tale impostazione rappresenta il superamen-to di uno dei limiti fondamentali della semantica di Katz,cioè la mancanza di un criterio di individuazione dei trattisemantici pertinenti. Il criterio di individuazione è ora for-nito dalla struttura sintattica dell’enunciato: « La “sintassi”regola le combinazioni degli elementi di significato siaall’interno dei singoli elementi lessicali che negli enunciatiinteri » (McCawley, 1969b: 1). Si può dire quindi che il ten-tativo di McCawley è volto a eliminare l’aspetto « lessica-le » del significato degli elementi lessicali stessi, cioè quel-l’aspetto che non è desumibile dalla posizione occupata dal-l’elemento lessicale nella rappresentazione semantica e che,secondo Katz, è idiosincratico a ogni singola parola.7 « Ladistinzione tra “derivato trasformazionalmente” e “lessica-le”, cui molti linguisti hanno attribuito grande importanza,appare così una falsa dicotomia » (McCawley, 1968b: 169).

Per attuare questo programma McCawley ricorre a dueinnovazioni principali: i) introduzione di indici; ii) introdu-zione di trasformazioni prelessicali.

Quanto al primo punto, gli indici sono di diversi tipi:1. indici referenziali, rappresentati da costanti individuali

o da variabili, secondo che siano indici di individui o diinsiemi. La funzione principale degli indici è quella di indi-care la coreferenzialità presupposta di due o più SN.Rispetto a quella chomskiana, cui si è accennato (par. 3sopra), la concezione degli indici di McCawley presenta duepeculiarità: i) gli indici sono identificati con i referenti stes-si, e ii) i referenti sono qualificati non come reali ma come« intenzionati » dal parlante. Tali caratteristiche ci sembranorispondere a una duplice esigenza: in primo luogo, parlandodi referenti intenzionati McCawley tenta di elaborare unostrumento capace di trattare gli enunciati che implicano cre-denza (belief); si tratta, insomma, di un approccio, ancora

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7 Ciò spiega la concezione che McCawley ha delle restrizioni selettive (cfr. par. 4):la selezione non si fonda mai sui tratti idiosincratici di ogni elemento lessicale, ma suisuoi tratti pertinenti alla rappresentazione semantica dell’enunciato in cui occorre.

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molto ingenuo, al problema di come trattare termini che nonhanno referenti nel mondo reale. In secondo luogo, identifi-cando gli indici con i referenti stessi, McCawley tenta di tra-durre una serie di problemi semantici in problemi « pragma-tici », relativi ai rapporti tra il parlante e il linguaggio di cuiè utente, e coinvolgenti quindi determinate conoscenze fat-tuali del parlante stesso. Si noti che, da una prospettiva comequella descritta, gli indici referenziali diventano entità extra-linguistiche, mentre quelli che per Katz erano tratti sintatticie semantici diventano ora predicati relativi, appunto, a enti-tà extralinguistiche. Su questa questione vedremo in seguitola posizione di Lakoff, che ci sembra più adeguata.

È chiaro che la « portata » degli indici dovrà essere enor-me, e il loro numero probabilmente infinito, dovendo essicoprire tutte le cose di cui si può parlare: individui e insie-mi reali, oggetti mitici, letterari e, in generale, « oggettiintensionali ». È abbastanza significativo che la trattazionedel significato degli elementi lessicali proposta daMcCawley incontri una difficoltà identica a quella propostada Katz: il numero infinito degli indici, così come dei trat-ti, è conseguenza dell’infinita distinzione di sottosignifi-cati presenti in un elemento lessicale, e ha, a sua volta, laconseguenza di rendere problematica la messa a punto e laperspicuità delle rappresentazioni semantiche.

2. indici di eventi, corrispondenti agli eventi cui il par-lante applica il verbo (di solito un verbo di azione). Anchequesti indici possono essere costanti o variabili. Gli indicidi evento e gli indici che figurano come « soggetto » e« oggetto indiretto » del relativo verbo di azione servirannopoi alla rappresentazione formale delle categorie di« Tempo » e « Persona »; « la personaè assegnata ai SN inrelazione all’eventualità che l’indice del SN sia presuppostocome identico o come includente l’indice del parlante(prima persona) oppure l’indice del destinatario ma nonquello del parlante (seconda persona) oppure nessuno deidue (terza persona); i tempisono assegnati sulla base dellerelazioni temporali presupposte di “anteriorità”, “contempora-

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neità” o “posteriorità” rispetto all’atto di parola » (McCawley,1969b: 11-12).

Per quanto riguarda le trasformazioni prelessicaliessesono concepite da McCawley (1969b: 19) come « meccani-smi per il raggruppamento di elementi semantici », dato cheil loro funzionamento precedel’inserimento degli elementilessicali. In tal modo quelle che nella terminologia katzianaerano le voci del dizionario vengono ora rimpiazzate da unsistema di trasformazioni; McCawley può così attuare ilprogramma di eliminazione del lessico dalla base dellagrammatica. È questa la modificazione più importante perquanto riguarda la base, trasformata ora nel componentegenerativo della grammatica che dà, in uscita, non più strut-ture profonde ma rappresentazioni semantiche.8

L’affermazione di McCawley della identità tra strutturasintattica e struttura semantica dell’enunciato sembra fon-darsi sull’altra tesi centrale della sua concezione, secondo laquale un sistema adeguato di rappresentazioni semantichedeve far ricorso al formalismo della logica simbolica; nonsi tratta, naturalmente, di un semplice artificio espressivo;l’assunzione implicita è che tra la struttura logica, quellasintattica e quella semantica intercorre un rapporto disostanziale identità, che si tratta di « livelli » diversi diun’unica struttura formale (cfr. il par. seguente). McCawleyenumera tuttavia una serie di differenze tra le sue propostenotazionali e i sistemi in uso nella logica simbolica. Nericorderemo alcune.

i) Gli operatori logici impiegati sono molto più numero-si di quelli usati in logica: non soltanto « tutti » e « alcuni »,ma anche « molti », « quasi tutti », ecc.

ii) La tradizionale distinzione tra predicati e operatori

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8 Si osservi che l’introduzione delle trasformazioni prelessicali implica un ulte-riore motivo di rifiuto della struttura profonda; infatti, l’esistenza di trasformazio-ni che precedono l’inserimento lessicale contraddice la caratterizzazione dellastruttura profonda contenuta nel punto D (cfr. par. 2), e rende sostanzialmente nondefinibile tale nozione.

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logici viene rifiutata, nel senso che i secondi vengono rein-terpretati come casi particolari dei primi: i quantificatoricome predicati di coppie di funzioni enunciative, le con-giunzioni come predicati di insiemi di enunciati o di fun-zioni enunciative,9 la negazione come predicato di enuncia-ti o di funzioni enunciative singole. L’importanza dellamodifica proposta da McCawley appare chiara se si tienepresente la possibilità di esprimere la relazione tra soggettoe oggetto come relazione tra predicato ed argomenti, dove iSN sono gli argomenti, mentre predicati sono i verbi, i nomie gli aggettivi.

iii) Si fa uso di quantificatori ristretti(del tipo: « per tuttii cani x... ») al posto di quelli non ristretti impiegati in logi-ca (del tipo: « per tutti gli x, se x è un cane... »). Questo per-ché « alcune parole quantificazionali contengono delle pre-supposizioni esistenziali riguardo ai loro ambiti, mentrenelle formule con quantificatori non ristretti non è implica-ta alcuna presupposizione esistenziale » (McCawley,1969b: 9-10).

iv) « La rappresentazione semantica adeguata di enunciaticontenenti commutatori (shifters) come “io”, “tu”, “qui”,“ora”, gesti e parole deittiche come “questo”, “quello”, etempi, dovrà includere il riferimento all’atto di parola »(McCawley, 1969b: 10). In particolare, McCawley accetta laproposta di Ross, secondo la quale la rappresentazione seman-tica di ogni enunciato ha una forma parafrasabile con verbiperformativi (performative verbs) del tipo: « io ti dichiaroche », « io ti chiedo se », « io ti ordino di », rispettivamenteper gli enunciati dichiarativi, interrogativi e imperativi.

7. Ci sembra che anche la teoria « olistica » di McCawleypresenti, come quella di Katz, alcuni limiti di fondo.

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9 È chiaro che, in questo senso, le congiunzioni possono venir intese come varian-ti posizionali dei quantificatori: « La differenza tra e e tutti dipende semplicementedal fatto che l’insieme cui essi si applicano venga definito per enumerazione o perdescrizione definita » (McCawley, 1970: 297). Si vedano però le note 2 e 4.

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In primo luogo, le regole della base sono esplicitamenteformulate in modo da essere analoghe alle regole di forma-zione della logica. Le regole della base dovrebbero, quindi,fornire il criterio di buona formazione delle rappresentazio-ni semantiche. Tuttavia, come abbiamo già osservato, lanozione di rappresentazione semantica di McCawley com-porta la distruzione di un livello sintattico distinto da quel-lo semantico. Di qui una differenza fondamentale tra rego-le di formazione della logica e regole della base: mentre leprime sono formulate al livello sintattico, le seconde sonoformulate a un livello che non è né sintattico né semanticoper il semplice fatto che una simile distinzione è rifiutata daMcCawley in linea di principio.

Ci sembra che qui sorga una prima difficoltà: disponen-do soltanto delle rappresentazioni semantiche si rischiaparadossalmente di conoscere il significato di ciascun enun-ciato senza disporre di un criterio di significatività (chenella teoria chomskiana veniva fornito dal componente sin-tattico), cioè senza aver prima delimitato l’insieme deglienunciati dotati di significato. La difficoltà è fondamentale,perché riguarda una delle tesi centrali di McCawley e,soprattutto, perché la conseguenza immediata è che non siriuscirà più a distinguere tra enunciati falsi e enunciati sem-plicemente devianti, cioè privi di significato. Questa osser-vazione ci sembra confermata dal modo in cui McCawleytratta enunciati come il seguente:

(20) Le rocce hanno il diabete.

(20) viene considerato semanticamente anomalo (McCawley,1968b: 128); ma cosa significa qui « anomalo » se non « falso »?Infatti l’enunciato

(21) Le rocce non possono avere il diabete.

è considerato non-anomalo semplicemente perché è vero.« Significato » e « significatività » vengono a coincide-

re; saranno quindi grammaticali solo gli enunciati intuitiva-mente definibili come « veri » e devianti quelli « falsi »,

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mentre gli enunciati devianti per motivi sintattici sfuggonoa una trattazione di questo tipo.

Un secondo problema che rimane sostanzialmente aper-to, almeno per ora, è formulabile nel modo seguente: le rap-presentazioni semantiche devono rappresentare anche ilsignificato degli elementi lessicali? E in che modo?Abbiamo visto come il formalismo implicato nelle rappre-sentazioni semantiche sia quello della logica dei predicatidel primo ordine, con alcune modificazioni; possiamoosservare ora che il vocabolario nel quale vengono formu-late le rappresentazioni semantiche comprende un numeroenorme di predicati semantici, tanti quanti sono i nomi, iverbi e gli aggettivi di una lingua naturale.

La risposta di McCawley è conseguente all’impianto« olistico » complessivo, nel senso che mette in evidenzacome gli elementi ultimi delle rappresentazioni semantichenon corrispondono necessariamente alle parole che com-paiono nella struttura superficiale. Ciò significa che i noditerminali delle rappresentazioni semantiche non contengonomateriale lessicale ma materiale semantico. Le trasforma-zioni prelessicali hanno appunto la funzione di elaborare ilmateriale semantico per poi correlarlo agli elementi lessica-li. Le trasformazioni di inserimento lessicale, che operanoappunto questa correlazione, entrano quindi in funzione solodopo che il significato è stato formalmente rappresentato.

Ma ci ritroviamo così al punto di partenza; infatti la rap-presentazione semantica di un enunciato, per essere adegua-ta, deve rappresentare tutti gli aspetti, anche i più idiosincra-tici, degli elementi lessicali individuali che compaiono nellastruttura superficiale dell’enunciato stesso. Sorgono alloradue questioni: come è possibile inserire gli elementi lessica-li sulla base della sola rappresentazione semantica, senzadisporre di una rappresentazione del loro significato specifi-co? E attraverso quale criterio si giunge agli elementisemantici ultimi grazie ai quali si costruiscono i significaticomplessivi degli elementi lessicali? Abbiamo visto infatti,nel capitolo precedente, che l’incapacità di indicare elemen-

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ti semantici ultimi o atomici sfocia inevitabilmente in defi-nizioni circolari del significato per sinonimia.

Il primo problema mette in questione la legittimità del-l’eliminazione del lessico dalla base; infatti, se manca unarappresentazione formale del significato degli elementi les-sicali isolati diventa impossibile il loro inserimento, datoche non si può sapere quale sarà la realizzazione, sul pianolessicale, del materiale semantico presente nella rappresen-tazione semantica.

Per quanto riguarda la seconda questione, in McCawleymanca una risposta; dal complesso del discorso, comunque,si può dedurre che, per un certo numero di elementi lessica-li, le trasformazioni prelessicali fungono anche da dispositi-vi che riducono il numero dei predicati semantici; è chiaroinfatti che predicati composti da più predicati atomici noncompariranno come predicati nelle rappresentazioni seman-tiche. Ma come vengono introdotti i predicati atomici? Inaltri termini, che cosa, nel significato di un elemento, è per-tinente ai fini della rappresentazione semantica? È questo ilpunto in cui la posizione di McCawley viene ad avvicinarsisensibilmente a quella di Katz, dato che non si vede comesia possibile derivare trasformazionalmente tutti gli elemen-ti lessicali. Ammetteremo dunque che il significato di uncerto numero di elementi lessicali viene specificato da insie-mi di indicatori semantici del tipo proposto da Katz.

Ci sembra che, da quanto si è detto, risulti abbastanzaevidente che le difficoltà incontrate dalla teoria diMcCawley non sono sostanzialmente diverse da quelledella semantica katziana. Ciò che accomuna le due inter-pretazioni è, a nostro avviso, il fatto che non viene affron-tato il problema di che cosa si intende per « significato diun enunciato »; affermare che il significato di un enunciatoè la sua rappresentazione semantica significa semplicemen-te, come per la teoria katziana, tradurre l’enunciato in unmetalinguaggio di indicatori e quindi tradurre, e non risol-vere, i problemi che si presentano al livello del linguaggiooggetto. Poco importa, a questo proposito, che gli indici di

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McCawley e la sua utilizzazione del formalismo logico glipermettano una più precisa traduzione metalinguistica deglienunciati. Il problema cruciale è un altro; ricorrendo allaterminologia di McCawley potremmo formularlo così: checosa si intende per « rappresentazione semantica ben for-mata »? È evidente che tale problema implica quello deirapporti tra struttura semantica e struttura logica, in modoben più profondo di quanto lo comporti la semplice utiliz-zazione del simbolismo logico.

McCawley non fornisce per tale questione una rispostaorganica; tuttavia è possibile individuare le linee generalidella sua soluzione. In McCawley (1969a: 1-3) si accenna adue tipi di restrizioni imposte alla nozione di « messaggiopossibile ». Al primo tipo appartengono quelle restrizioniche garantiscono la « buona formazione logica » del mes-saggio. « Per esempio, “o” è un predicato che può essercombinato con due o più enunciati. “O” da solo non è inve-ce un messaggio possibile, e neppure “o” più un enunciatosingolo, né “o” seguito da espressioni che non siano tuttedegli enunciati » (McCawley, 1969a: 1).

A questo tipo di buona formazione provvedono grossomodo, secondo McCawley, quelle che Chomsky chiama« regole di sottocategorizzazione stretta ». La buona forma-zione che più ci interessa è però quella di secondo tipo, chepotremmo chiamare « buona formazione semantica » deimessaggi, e che, nell’impostazione chomskiana, è affidataalle restrizioni selettive. In base a queste, per esempio, ven-gono esclusi enunciati come

(22) Quell’idea è verde a strisce arancioni.

McCawley accetta le restrizioni selettive come condizio-ni di buona formazione dei messaggi, pur considerandoledefinite non al livello della struttura profonda ma a quello,appunto, della rappresentazione semantica.

Le difficoltà incontrate da questa impostazione diMcCawley sono, di nuovo, molto simili a quelle presentinella teoria katziana; mentre in quest’ultima il postulato

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della separazione tra sintassi e semantica rendeva pratica-mente impossibile la delimitazione di un insieme di feno-meni caratterizzabili come semantici, qui il postulato dellaloro identità (con la conseguente soppressione delle regoledi interpretazione) rende problematica la definizione di unnuovo criterio di buona formazione dei messaggi, per cuiMcCawley è costretto a imporre alla nozione di « messag-gio possibile » delle restrizioni sintattiche, con l’esito dinon poter più distinguere, come si è visto, tra « significato »ed « esser dotato di significato ». La questione dell’esisten-za o meno di una struttura semanticadegli enunciati auto-nomamente definibile non viene affrontata da McCawley.

Questa ci pare la ragione per cui neppure il suo approc-cio al problema semantico sembra soddisfare il principio difunzionalità di Frege. Infatti, riteniamo che, per spiegarecome il significato di un enunciato risulta dall’« interazio-ne » dei significati degli elementi che lo compongono sianecessario soddisfare almeno due requisiti; i) disporre dellapossibilità di assegnare delle condizioni di verità agli enun-ciati, e ii) individuare gli elementi componenti in modo taleda essere in grado di stabilire il contributo di ogni singoloelemento al significato del complesso.

8. Passiamo ora all’esame della teoria di Lakoff, chel’autore stesso ha chiamato Basic Theory.

L’ assunto teorico generale è l’affermazione, « filosofica »,dell’esistenza di una precisa corrispondenza tra strutturagrammaticale e struttura logica degli enunciati. Se è vero chetale corrispondenza non è casuale, si tratterà di rappresentar-la nella teoria della struttura linguistica. Osserviamo cheLakoff parla di corrispondenza, non di identità, tra strutturagrammaticale e struttura logica: la forma logica e la strutturagrammaticale non coincidono.

Per questo ci sembra che una delle direttrici della ricercadi Lakoff (1970b) sia costituita appunto dal tentativo didimostrare l’importanza di un livello sintattico autonoma-mente definibile (anche se interdipendente) rispetto al livel-

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lo semantico. D’altra parte, ci sembra che proprio in questosenso si possa tornare a parlare di un livello sintattico « pro-fondo »; infatti, dato un enunciato logicamente ambiguo(tale cioè da ammettere valori di verità diversi), è la gram-matica della lingua che indica quali motivi sono causa del-l’ambiguità logica; ciò implica, a nostro avviso, che unaadeguata analisi in costituenti deve, secondo Lakoff, tenerpresente quale contributo tali costituenti apportano allacostituzione del significato degli enunciati; in altri termini,la grammatica di una lingua e la sua grammatica logicasono interdipendenti. Tutto ciò non viene esplicitato daLakoff, ma ci sembra che la versione che egli dà dellasemantica generativa vada nella direzione da noi accennata.

Da queste premesse generali Lakoff trae argomenti perprecisare la nozione di regola di grammaticaall’internodella teoria semantica generativa. Egli osserva che tali rego-le svolgono una duplicefunzione: i) generano gli enunciatigrammaticali escludendo (grazie al « filtraggio » delle tra-sformazioni) quelli non-grammaticali; ii) correlano laforma superficiale degli enunciati alla corrispondente formalogica, bloccando le assegnazioni scorrette di una formalogica a una struttura superficiale.

Ci sembra evidente che queste due funzioni possonoesser mantenute distinte solo se si dispone già di una nozio-ne di « significato degli enunciati », e quindi se, nellacostruzionedel componente sintattico, si tengono presenticonsiderazioni di ordine semantico; d’altra parte, il fattoche un unico tipo di regole possa svolgere la duplice fun-zione descritta dipende dal fatto che la corrispondenza tralogica e grammatica non è accidentale.

Secondo Lakoff la semantica generativa è la sola teorialinguistica che ammette un solo sistema di regole aventi duefunzioni. Le altre teorie devono necessariamente far ricorsoa uno sdoppiamento delle regole della grammatica, le uneaventi la funzione di provvedere alla buona formazionegrammaticale degli enunciati, le altre quella di correlare lestrutture superficiali alle forme logiche; tutto ciò a svantag-

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gio dell’economia e al prezzo di non riuscire a esprimerenella teoria una generalizzazione significativa.

Inoltre ci sembra che, se le regole della grammatica, cioè lerestrizioni derivazionali globali, correlano le forme logiche allestrutture superficiali, esse possono essere intese anche comevere e proprie regole di interpretazione. Vediamo perché.

Lakoff (1969: 32-37) affida alle restrizioni derivazionaliglobali la funzione di trattare i fenomeni semantici dellapresupposizione, dell’argomento e del fulcro. Ora, le inte-razioni tra le regole trasformazionali e la nozione semanti-ca, per esempio, di argomento, diventano facilmente tratta-bili se si fa uso delle restrizioni derivazionali. Consideriamogli enunciati seguenti (Lakoff, 1969: 34-35):

(23) È facile eseguire delle sonate su questo violino.(24) Su questo violino è facile eseguire delle sonate.(25) Le sonate sono facili da eseguire su questo violino.

(23)-(25) differiscono appunto riguardo all’argomento: (23)è neutrale, (24) ha per argomento « questo violino », (25) haper argomento « le sonate ».

Lakoff osserva che la nozione di argomento può essererappresentata semanticamente come una relazione a due postiavente il significato di « riguardare », i cui argomenti sonol’elemento che esprime l’argomento e la proposizione. Se orainseriamo nell’insieme delle presupposizioni di (23)-(25) ilpredicato a due posti descritto, con argomenti la proposizio-ne P1 e un SN, il fatto che il SN sia argomento di P1 farà partedelle presupposizioni, e la nozione di argomento si ridurrà aun caso speciale di presupposizione. Ciò è esprimibile ancheattraverso una restrizione derivazionale. Se indichiamo con(C1) e (C2) le regole che, in (24)-(25), inseriscono « questoviolino » e « le sonate » all’inizio degli enunciati, e con (C3)la relazione di argomento tra P1 e il SN inserito, possiamoformulare la seguente restrizione derivazionale:

(26) (Pi/C1 ∧ Pi+1/C2)→ PR/C3

Semantica interpretativa 129

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dove la freccia indica la relazione di presupposizione.Caratterizzate in questo modo, che cosa sono le restrizio-

ni derivazionali se non regole di interpretazione? Non ciriferiamo a regole dello stesso tipo di quelle di proiezione,ma del tipo di quelle che specificano l’interpretazionesemantica di un sistema formale. Nel nostro caso, date lestrutture sintattiche degli enunciati, le restrizioni derivazio-nali precisano in che modo le categorie e le relazioni sintat-tiche vengono interpretate nel dominio costituito dall’insie-me degli elementi lessicali.

Del resto, non abbiamo a che fare con una nuova funzio-ne delle restrizioni derivazionali, bensì con la stessa funzio-ne descritta sopra, applicata al livello « semantico » dellederivazioni. In altri termini, perché una struttura grammati-cale sia inglobabile in una forma logica è necessario chesoddisfi determinate condizioni espresse dalle regole globa-li. Per quanto riguarda la questione dei rapporti tra sintassie semantica ci sembra dunque che la posizione di Lakoff sipossa riassumere così: al postulato chomskiano della distin-zione tra sintassi e semantica si viene sostituendo quellodella loro interdipendenza.

Riassumendo: la grammatica viene concepita come unsistema di regole che associano le rappresentazioni foneti-che degli enunciati alle loro forme logiche e quindi alle lororappresentazioni semantiche. Le regole della grammaticasono di un unico tipo: restrizioni derivazionali, che possonoessere globali o locali (trasformazioni). La buona formazio-ne delle strutture superficiali è definita in termini di indica-tori sintagmatici o alberi, la buona formazione degli indica-tori sintagmatici e delle coppie di indicatori è definita dalletrasformazioni stesse, mentre le regole globali fungono dacondizioni di buona formazione per intere derivazioni.

9. È opportuno, a questo punto, prendere in considera-zione le soluzioni che Lakoff propone per alcuni problemiconnessi con le rappresentazioni semantiche.

Per quanto riguarda i performativi, Lakoff (1970b: 166)

130 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

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osserva che la loro introduzione permetterebbe di assegna-re alle forme logiche di tutti gli enunciatiuna stessa strut-tura generale:

E

PRED ARG ARG ARG

Ordinare x y

Chiedere

Affermare io tu E1

È chiaro però che, nel caso delle affermazioni, la verità ola falsità non sono attributi degli interi enunciati ma del lorocontenuto proposizionale; l’assegnazione di un valore diverità nel caso delle dichiarative è quindi diversa che nelcaso delle interrogative e delle imperative, dove ci si riferi-sce all’intero enunciato.

Sul problema del riferimento degli enunciati Lakoffavanza proposte che a nostro avviso mostrano una notevoledivergenza tra la sua concezione dei rapporti tra logica egrammatica e quella di McCawley. Di quest’ultimo infattiLakoff critica a fondo la teoria degli indici referenziali,secondo la quale due SN vengono contrassegnati con lostesso indice quando hanno lo stesso « referente intenzio-nato ». Già in Karttunen (1968) erano sollevati problemi lacui soluzione richiedeva una teoria assai più complessa. Laquestione che sta al centro della discussione di Karttunen èse tutti i SN hanno effettivamente un referente, come sem-bra implicare la teoria degli indici referenziali. In diversicasi sembra che la risposta debba essere negativa; d’altra

Semantica interpretativa 131

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parte, è anche chiaro che gli indici referenziali sono deltutto insufficienti a caratterizzare i molteplici aspetti secon-do cui un SN può differenziarsi dagli altri; basta citarnealcuni: definito Vs indefinito, restrittivo Vs appositivo, spe-cifico Vs non-specifico, anaforico Vs deittico, ecc.

In generale, Karttunen osserva che l’« intenzionamento »dei referenti avviene spesso non tramite singoli SN, ma invirtù di intere strutture sintattiche; di conseguenza, un refe-rente che « ha vita » all’interno di una struttura può venirea cadere al mutare di questa. Per designare il fenomeno illu-strato Karttunen introduce la nozione di referente discorsi-vo, che ci sembra corrispondere, grosso modo, a quello cheMorris (1938: 15) chiama designatum, distinto dal denota-tum come una classe (eventualmente vuota) di oggetti èdistinta dagli oggetti che ne fanno parte; è chiaro che l’esi-stenza di un designatum non comporta l’esistenza di undenotatum10.

Lakoff (1968a: 4) osserva innanzitutto che il normalecalcolo dei predicati del primo ordine non è sufficiente allatrattazione del problema del riferimento; possiamo com-prendere il motivo di tale affermazione se consideriamo l’e-nunciato seguente:

(27) Ho sognato che ero Brigitte Bardot e che mi baciavo.

Questo enunciato comporta diversi problemi: in primoluogo, l’« io » che è soggetto di « ho sognato » funge daspettatore, mentre l’« io » che sta per « Brigitte Bardot »funge da partecipante; la stessa distinzione vale per il refe-rente del soggetto di « baciavo » e il referente del suo com-plemento oggetto. È chiaro che questo sdoppiamento delreferente di uno stesso SN non potrebbe venir trattato ade-guatamente per mezzo degli indici referenziali. Ora, il rife-

132 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

10 Si può osservare che nella trattazione di Chomsky, dove manca una distin-zione di questo genere, un enunciato come « Io ho visto un unicorno » dovrebbeessere considerato non-grammaticale, dato che, in generale, il verbo vederedovrebbe contenere una restrizione selettiva secondo la quale i SN che ne sonocomplementi oggetti devono denotare oggetti reali e visibili.

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rimento viene di solito trattato in logica per mezzo di varia-bili, che hanno le stesse proprietà degli indici referenziali.L’esempio proposto ci mostra invece, secondo Lakoff, lanecessità di disporre di una logica che permetta di rappre-sentare diversi mondi possibili. Tuttavia non ogni tipo dilogica modale è adatto alla trattazione dei problemi che ciinteressano; Lakoff (1968a: 5) accetta l’approccio sviluppa-to in Lewis (1968), dove viene adottato il calcolo dei predi-cati senza operatori modali ma con i seguenti predicati pri-mitivi e certi assiomi relativi ad essi:

(28) Wx (x è un mondo possibile)Ixy (x è nel mondo possibile y)Ax (x è attuale)Cxy (x è un sostituto di y)

È ora possibile formulare il seguente principio generale:

(29) L’antecedente (di un pronome) deve avere un refe-rente in tutti i mondi in cui ha un referente il SN anaforico(o pronome).

Ciò che è più interessante è che la stessa grammaticalitàdegli enunciati viene a dipendere da un principio come (29),e quindi da un criterio che implica considerazioni di ordinesemantico.

Come si è visto, il formalismo impiegato da Lakoff nonè più la logica dei predicati del primo ordine impiegata daMcCawley; si tratta piuttosto di un sistema di logica moda-le quantificata. Lakoff (1970b: 195) designa tale sistema colnome di logica naturale, ma non ne dà una caratterizzazio-ne formale, dato che la definizione di una logica capace dirappresentare senza ambiguità la struttura profonda dellelingue naturali non può essere per ora che un progetto diremota realizzazione.

Disponendo di un formalismo probabilmente più ade-guato di quello di McCawley, Lakoff affronta due problemifondamentali nella costruzione di una semantica delle lin-gue naturali: il problema dell’individuazione dei predicati

Semantica interpretativa 133

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atomici e quello dell’assegnazione di un significato a talipredicati. Per quanto riguarda la prima questione, essa èintuitivamente caratterizzabile nel modo seguente: il nume-ro dei predicati necessari per la rappresentazione dellaforma logica degli enunciati è grandissimo, come si è visto,e induce a chiedersi se è possibile ridurli. È ovvio che nonsi tratta semplicemente di un problema di maggiore maneg-giabilità del nostro formalismo: ridurre il numero dei predi-cati richiede che si facciano ipotesi sulle loro relazioni logi-che. L’assunzione, come primitivi, di determinati predicatiatomici piuttosto che di altri dipende da assunzioni globaliche si fanno riguardo al complesso di relazioni intercorren-ti tra grammatica e logica, cioè dalle restrizioni che siimpongono alle nozioni di « forma logica » e di « regola digrammatica », dai particolari assiomi che si scelgono, e cosìvia.

Lakoff parte da un problema preliminare: in base a qualiconsiderazioni si scelgono come atomici determinati predi-cati e non altri? Si tratta, come si vede, del problema delladecomposizione lessicale, che Lakoff tenta di affrontare conun procedimento teoricamente più motivato di quello kat-ziano, consistente nella scomposizione arbitraria di un ele-mento in una sequenza di indicatori. Nei loro tratti essen-ziali, tanto il procedimento proposto da Lakoff quanto ilprincipio metodologico che ne sta alla base sono affini aquelli di McCawley: il significato di un elemento lessicalecoincide con una porzione della forma logica dell’enuncia-to in cui compare. Ma Lakoff osserva che questo punto divista non è sufficiente a caratterizzare adeguatamente lanozione di significato. Così, ad esempio, i due enunciatiseguenti hanno la stessa forma logica:

(30) x richiede a y di fare E1.(31) x permette a y di fare E1.

Eppure (30) e (31) hanno significati diversi. La radicedella diversità sta nel diverso significato di « permettere » e« richiedere ». Allo scopo di esprimere formalmente il con-

134 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

Page 133: Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale · nuto opportuno considerare la teoria sintattica elaborata da Chomsky anche, e soprattutto, alla luce della cornice for-male

tributo degli elementi singoli al significato degli enunciati dicui fanno parte, Lakoff introduce degli assiomi, che chiamacarnapianamente postulati di significato; tali postulati hannola funzione di definire le relazioni tra predicati atomici;esempi di postulati di significato sono i seguenti:

(32) a. RICHIEDERE (x, y, E) ⊃ PERMETTERE (x, y,E)

b. CERTO (E) ⊃ POSSIBILE (E)

Abbiamo dunque a nostra disposizione due principi pertrattare il problema del significato: la decomposizione les-sicale e i postulati di significato. Riguardo a questi ultimi,Lakoff osserva che essi, assieme alle forme logiche, carat-terizzano una classe di modelli nei termini dei quali si pos-sono dare le condizioni di verità degli enunciati, e quindi larappresentazione dei loro significati. La formulazione di talicondizioni di verità deve far ricorso, secondo Lakoff, a unmodello contenente mondi possibili. Definiamo innanzitut-to una relazione R tra mondi possibili: se assumiamo comepredicati primitivi quelli introdotti in (28) e indichiamo conF una proprietà, allora vale la relazione seguente (Lakoff,1968a: 7):

(33) R(x, y) ≡ (Wx. Wy. ((a) (Iax ⊃ ((∃ b) (Iby. Cba..(¬ (∃ d) (Idy. (d ≠ b). Cda))))))..((a) (c) ((Iax. Icx. (c ≠ a) ⊃ ((b) (d) ((Iby. Idy. Cba.Cdc) ⊃ (b ≠ d))))))..((a) (b) ((Iax. Iby. Cba. Fa) ⊃ Fb))).

In altri termini, se il mondo x sta nella relazione R con ilmondo y, allora: i) ogni entità in x ha un unico sostituto iny, ii) se due entità sono non-identiche in x, i loro sostituti iny sono non-identici, iii) se un’entità ha una proprietà nelmondo x, il suo sostituto ha quella proprietà nel mondo y.

Ora, se indichiamo con R1 la relazione di alternativitàcorrispondente a CERTO e POSSIBILE, con w un mondopossibile e con wo il mondo attuale, possiamo definire le

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condizioni di verità per questi predicati atomici nel modoseguente:

(34) a. CERTO (E) è vero in wo ≡ (∀ w) (woR1w ⊃ E è vero in w)

b. POSSIBILE (E) è vero in wo ≡ (∃ w) (woR1w ⊃ Eè vero in w)

Lakoff nota che attraverso i postulati di significato ci siavvicina sensibilmente a una trattazione del significatodegli enunciati capace di soddisfare il principio di funzio-nalità; egli osserva inoltre che la natura delle relazioni dialternatività dipenderà dalla scelta dei postulati di significa-to, e quindi che saranno i postulati di significato a determi-nare quali mondi saranno correlati a quali altri.

Regole di grammatica e postulati di significato sembranoporsi come ipotesi alternative nella trattazione della nozio-ne di significato; in realtà si tratta di soluzioni complemen-tari sotto vari aspetti. Così, per esempio, i postulati di signi-ficato sono definiti in termini di strutture contenenti esclu-sivamente predicati atomici e variabili, ma non elementilessicali con la loro forma fonologica. Ciò significa chePERSUADERE1, con significato di « convincere a fare »,sarà un predicato atomico completamente diverso da PER-SUADERE2, con significato di « convincere a ritenere ».

Da ciò consegue, in primo luogo, che certe regolarità lin-guistiche che possono essere espresse in termini di formafonologica degli elementi lessicali non possono essere rap-presentate per mezzo dei postulati di significato. In secon-do luogo, e di conseguenza, in base al principio dei postu-lati di significato sarà necessario introdurre un assioma perogni predicato che si incontra, indipendentemente dal fattoche esso sia o meno ulteriormente decomponibile. A questopunto risulta di per sé evidente l’opportunità di integrare ipostulati di significato con il principio della decomposizio-ne lessicale.

136 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

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10. Se ora confrontiamo la teoria di Lakoff con quella diMcCawley, vediamo emergere alcune notevoli differenze:

i) mentre le restrizioni imposte da McCawley alla nozio-ne di « messaggio possibile » sono di natura esclusivamen-te sintattica, e approdano a una confusione (più che a unaidentificazione) dei livelli sintattico e semantico, Lakoffgiunge a formulare, con i postulati di significato, delle con-dizioni semantiche di buona formazione per le forme logi-che degli enunciati. Siccome poi è la base che genera leforme logiche degli enunciati, è evidente che le condizionicitate valgono anche come restrizioni imposte alle regoledella grammatica. È appunto per questo, ci pare, che Lakoffdistingue due funzioni delle regole della grammatica, comesi è visto nel par. 8.

Ci sembra quindi che in Lakoff sia presente per lo menol’esigenza di costruire una semantica in cui, come premes-sa per l’esplicazione della nozione di significato, sia possi-bile render conto delle condizioni di verità degli enunciati.

ii) Il fatto stesso che Lakoff imponga agli enunciati con-dizioni di buona formazione di tipo semantico indica che lasua concezione dei rapporti tra sintassi e semantica divergeda quella di McCawley: Lakoff riconosce l’esistenza di unastruttura sintattica dell’enunciato, la cui identificazione noncoincide immediatamente con la rappresentazione dellastruttura semantica dell’enunciato stesso, anche se (e qui stala differenza rispetto alla semantica di Katz) la struttura sin-tattica stessa è partedella rappresentazione semantica del-l’enunciato. Una cosa è, quindi, stabilire se un enunciato èdotato o no di significato, altra cosa è individuare qual èilsuo significato.

Semantica interpretativa 137

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Grammaticalitàe condizioni di verità

1. È noto che Tarski (1936a) ha stabilito come condizio-ne di adeguatezza materiale per la definizione del termine« vero » relativamente agli enunciati di un dato linguaggiola possibilità di ottenere come conseguenzadella definizio-ne stessa tutte le equivalenze di questa forma:

(T) x è vero se e soltanto se p

dove « x » sta per il nome, costruito nel metalinguaggio1, diun qualsiasi enunciato del linguaggio-oggetto2, e « p » staper un’espressione che traduce nel metalinguaggio l’enun-ciato in questione, ossia un’espressione che ha il medesimosignificato di quest’ultimo. Si può anche dire che le equiva-lenze metalinguistiche di forma (T) (che sono in numeroinfinito, nel caso siano in numero infinito gli enunciati dellinguaggio-oggetto) costituiscono delle « definizioni par-ziali » di verità per singoli enunciati: all’interno di una teo-

V

1 Per linguaggio-oggetto intendiamo qui il linguaggio di cui si parla e per meta-linguaggio quello in cui si parla, cioè quello, nel nostro caso, con cui è espressa lateoria della verità. – Per non contravvenire a una consuetudine ormai ben stabili-ta, in questo contesto ci serviamo del termine « linguaggio » (e, conseguentemen-te, « metalinguaggio ») anziché di « lingua », come facciamo sempre altrove.

2 In realtà, Tarski (1936a) richiede che « x » stia non semplicemente per unnome, ma per un nome strutturale-descrittivo: tale, cioè, che « descriva le paroleche compongono l’espressione denotata dal nome, come pure i segni di cui è com-posta ogni singola parola e l’ordine nel quale questi segni e queste parole si sus-seguono » (pp. 156-157).

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ria adeguata della verità si dovrebbe cioè poter « spiegare »(dedurre) ogni equivalenza ottenuta da (T) sostituendo a «x »il nome di un qualsiasi enunciato e a « p » la sua traduzione.Così, richiamandoci all’esempio di Tarski, assumiamo:

(i) che il linguaggio-oggetto sia il calcolo delle classi;(ii) che a questo linguaggio appartenga l’enunciato

« (xI)(xII)[(xI ⊆ xII) ∨ (xII ⊆ xI)] »;(iii) che il nome metalinguistico dell’enunciato citato in

(ii) sia « ∩1 ∩2 (ι 1,2 + ι 2,1) »;(iv) che l’espressione che traduce nel metalinguaggio l’e-

nunciato citato in (ii) sia« per tutte le classi a e b, a è inclu-sa in b o b è inclusa in a »

Allora, nel caso sia materialmente adeguata, una defini-zione generale di verità per gli enunciati del calcolo delleclassi avrà come conseguenza:

(1) ∩1 ∩2 (ι 1,2 + ι 2,1) è vero se e soltanto se per tutte leclassi a e b, a è inclusa in b o b è inclusa ina.

2. È altresì noto che Tarski ha escluso che il metodo dalui approntato per costruire una definizione adeguata delconcetto di verità nel caso delle lingue formalizzate siaapplicabile anche alle lingue naturali. Più in generale, egliha anzi negato che si possa costruire in modo rigoroso lasemantica di una lingua naturale (cfr., per esempio, Tarski,1936b: 403). Cercheremo ora di vedere come vada inter-pretata questa posizione.

Per semplificare l’esposizione, utilizzeremo qui laseguente convenzione: nel costruire una equivalenza diforma (T) per un dato enunciato, il nome metalinguistico diquest’ultimo sarà costituito dall’enunciato stesso precedutoe seguito dalle virgolette (com’è consuetudine fare nel casodelle citazioni), mentre la sua traduzione metalinguisticanon sarà altro che l’enunciato stesso così com’è nel lin-guaggio-oggetto (questo secondo punto è collegato al fattoche il metalinguaggio di cui ci serviamo per costruire la

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semantica deve necessariamente essere più ricco, dal puntodi vista espressivo, del linguaggio-oggetto: fra l’altro, ogniespressione di quest’ultimo deve essere traducibile nelmetalinguaggio; ma, a maggior ragione, questo requisito èsoddisfatto se il metalinguaggio contiene il linguaggio-oggetto come sua sottoparte, cosicché ogni espressione delsecondo appartiene anche al primo).

Dato l’enunciato della lingua italiana:

(2) Nixon non è andato in Cina per vincere le elezioni

in forza di (T) e della precedente convenzione, avremo:

(3) « Nixon non è andato in Cina per vincere le elezioni »è vero se e soltanto se Nixon non è andato in Cina per vin-cere le elezioni.

Una breve riflessione è sufficiente per mostrarci che, adifferenza di (1), (3) è completamente inutile (e, al limite,fuorviante) in vista di una definizione della verità dell’e-nunciato in questione3. Infatti, mentre in (1) ciò che seguel’espressione « se e soltanto se » costituisce effettivamenteuna condizione necessaria e sufficienteper la verità dell’e-nunciato in questione, in (3) non si ha affatto questa situa-zione. Per convincersene, basta fare questa semplice osser-vazione: perché l’enunciato (1) sia vero, in termini intuiti-vi, è sufficiente unadelle due seguenti condizioni, che pernon complicare l’esposizione formuleremo in modo discor-sivo e impreciso:

140 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

3 Il fatto che (3) sia stato costruito in modo diverso rispetto a (1) per avere adot-tato la convenzione sopra esposta è del tutto irrilevante, dal momento che si trat-ta di una semplificazione espositiva, mentre il principio rimane immutato. – Se poisi obiettasse che la diversa situazione di (3) rispetto a (1) è dovuta al fatto che l’e-nunciato del calcolo delle classi da noi prescelto nonè ambiguo, mentre (2) lo è,si toccherebbe proprio il punto che vogliamo mostrare qui: e cioè che nel calcolodelle classi – e, in generale, in ogni lingua « logicamente perfetta » (v. per. 4 sotto)– c’è una corrispondenza tra « forma » e « senso » che impedisce tra l’altro l’am-biguità, mentre ciò non accade nelle lingue naturali. In breve, ci siamo qui servitidell’ambiguità per esemplificare un fenomeno più generale concernente le linguenaturali: la non-omologia tra forme grammaticali e forme logiche.

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(4)a. Nixon non è andato in Cina, e questo per vincere le

elezionib. Nixon è andato in Cina, e questo non per vincere le

elezioni.

È dunque chiaro che ci troviamo nell’impossibilità dicostruire una equivalenza sensata di forma (T) sia che collo-chiamo dopo « se e soltanto se » lo stesso (2) (come stipula-to dalla convenzione adottata e come abbiamo fatto per otte-nere (3)), sia che vi collochiamo una sua traduzione, che,avendo il suo medesimo significato (significati, in questocaso), lascerebbe intatto il problema. Abbiamo cioè due con-dizioni sufficienti (anziché una necessaria e sufficiente, comenel caso di (1)) per la verità dell’enunciato, cosicché in luogodell’equivalenza di forma (T) avremo due condizionali:

(5)a. « Nixon non è andato in Cina per vincere le elezioni »

è vero se Nixon non è andato in Cina, e questo per vincerele elezioni

b. « Nixon non è andato in Cina per vincere le elezioni »è vero se Nixon è andato in Cina, e questo non per vincerele elezioni.

3. Ci sembra questo uno dei motivi (anche se non l’uni-co, come si accennerà) che hanno determinato la posizionepiuttosto scettica di Tarski in merito al nostro problema.Crediamo però che il significato dell’atteggiamento tarskia-no sia stato talvolta forzato, in funzione, anche, di uno scet-ticismo già abbastanza diffuso fra logici, filosofi e linguisti,circa la possibilità di costruire una semantica rigorosa per lelingue naturali, e che d’altra parte le considerazioni stessedi Tarski su tale questione necessitino di un riassestamento.Cominciamo dal secondo punto, che in un certo senso chia-rirà il primo.

Quanto s’è detto sopra a proposito della difficoltà dicostruire una equivalenza di forma (T) per l’enunciato ita-

Grammaticalità e condizioni di verità 141

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liano (2) è in definitiva riconducibile a uno dei requisitiessenziali che Tarski stabilisce perché sia possibile costrui-re la semantica di una data lingua: e cioè che la lingua que-stione abbia una struttura sufficientemente precisa per far sì« che il senso di ogni espressione sia determinato in modonon ambiguo dalla sua forma » (Tarski, 1936a: 166). E,nella misura in cui si considera una lingua naturale nella suastruttura superficiale, ossia come insieme di sequenze ter-minali generate dal dispositivo trasformazionale (trala-sciando qui la questione fonologica come non pertinente) o,per esprimerci meno tecnicamente, come insieme di enun-ciati osservabili, non si può non convenire4 che le linguenaturali non possiedono una struttura del genere, cometestimonia l’esempio dell’enunciato (2).

Tuttavia, prima di addentrarsi in questo aspetto del dis-corso, è opportuno un altro chiarimento. Non è difficilevedere che per Tarski l’indeterminatezza del rapportosenso-forma cui s’è accennato non si fonda solo su unaeventuale vaghezza semantica che sarebbe intrinseca aglielementi di una lingua naturale (cioè ai costituenti d’enun-ciato – nomi, verbi, ecc. –, di cui sarebbe difficile determi-nare con precisione il significato, in modo da comporrequello dell’enunciato), ma anche su una vaghezza sintatticache, considerazioni semantiche a parte, impedirebbe didefinire il concetto stesso di enunciato, cioè di separare leespressioni ben-formate (grammaticali) da quelle che nonlo sono: « [Una lingua naturale] non è qualcosa di finito,chiuso o delimitato da confini netti. Non è stabilito qualiparole possano essere aggiunte a questa lingua e quindi, inun certo senso, le appartengano già potenzialmente. Non

142 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

4 È interessante rilevare che questo fatto costituisce un’ulteriore conferma (semai ce ne fosse bisogno), questa volta sul piano semantico, della inadeguatezza diuna grammatica che si limiti a manipolare gli enunciati osservabili per individua-re e classificare elementi. Una grammatica genere creerebbe dunque difficoltàinsormontabili alla costruzione di una semantica: e se, come vedremo, uno dei cri-teri per valutare una sintassi si fonda sulla « disponibilità » di questa sintassi perun trattamento semantico, avremo allora un motivo di più per giudicare inadegua-ta una grammatica a struttura sintagmatica.

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siamo in grado di specificare strutturalmente quelle espres-sioni della lingua che chiamiamo enunciati [...] » (Tarski,1936a: 164). Ora, se si tengono presenti le considerazionisviluppate nel cap. II circa la possibilità di ricondurre glienunciati di una lingua naturale a processi generativi e, con-seguentemente, di individuare dei criteri di buona-forma-zione, è opportuno collocare il discorso complessivo tar-skiano in una prospettiva modificata rispetto a quella esem-plificata dalla citazione precedente. Infatti, ciò che le gram-matiche generative (e, più in generale, le tecniche di forma-lizzazione adottate nella linguistica in questi ultimi decen-ni) hanno contribuito a mettere in questione è appunto lavecchia opinione secondo la quale la lingua naturale èun’entità non dominabile in modo rigoroso e in cui si pos-sono tutt’al più riscontrare delle regolarità empiriche. È veroche Tarski aveva i suoi buoni motivi per condividere questaopinione: la linguistica del tempo non poteva certo indicar-gli risultati di rilievo sotto l’aspetto della formalizzazione.Proprio per questo, però, nella misura in cui si attenua loscetticismo circa la dominabilità delle lingue naturali, perdeconsistenza uno degli ostacoli principali che secondo Tarski(e giustamente, dal suo punto di vista) impediscono lacostruzione di semantiche per queste lingue. E, in genere, èla delimitazione stessa fra lingue naturali e lingue formaliz-zate che sembra assumere contorni sempre più sfumati5.

Del resto, nonostante le premesse negative cui abbiamoaccennato, è significativo che lo stesso Tarski non escluda

Grammaticalità e condizioni di verità 143

5 Del resto, questa delimitazione non è mai stata così radicale come si è talvoltapropensi a credere. Si veda per esempio Church (1951). È un fatto, però, chesoprattutto in questi ultimi tempi, e soprattutto per opera dei logici (in particolarequelli che lavorano nell’ambito della logica modale), l’affermata eterogeneità fralingue formalizzate e lingue naturali è stata messa in discussione, per lo meno neisuoi aspetti più radicali: si veda per esempio Davidson (1967; 1970) che, moven-dosi appunto in una prspettiva tarskiana, ha sviluppato in questo senso il discorsosulla semantica delle lingue naturali, e, in un modo in un certo senso complemen-tare, Scott (1970b), che ha trattato il problema sull’altro versante, cioè quello dellasemantica delle lingue formalizzate. Infine, particolarmente significativi sottoquesto aspetto sono i lavori di Montague (1968; 1970), in cui il metodo tarskianoè applicato a porzioni dell’inglese.

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di principio la possibilità di costruire la semantica di unalingua naturale: « Chiunque voglia, nonostante tutte le dif-ficoltà, cercare di costruire la semantica di una lingua natu-rale con l’aiuto di metodi esatti sarà anzitutto indotto aintraprendere l’ingrato compito di una riforma di questa lin-gua. Egli constaterà la necessità di definirne la struttura, disuperare l’ambiguità dei termini che vi occorrono e infinedi suddividere la lingua in una serie di lingue sempre piùestese, ognuna delle quali ha con la successiva la stessarelazione che una lingua formalizzata intrattiene con il pro-prio metalinguaggio » (Tarski, 1936a: 267). Il senso di que-sto discorso è chiaro, e si articola su tre punti essenziali: (i)è impensabile costruire tout court la semantica di una lin-gua naturale, dove quest’ultima è l’insieme degli enunciaticosì come sono; (ii) per superare questo ostacolo, un com-pito essenziale consiste nel ricondurre la lingua a una strut-tura sufficientemente determinata (v. pag. 142 sopra); (iii)tale compito non può essere realizzato che in modo gra-duale, ossia trovando il trattamento adeguato per porzionisempre più rappresentative della lingua. Del primo puntoabbiamo già parlato a proposito dell’enunciato (2), mentreil secondo lo riprenderemo per mostrare come una gram-matica trasformazionale si muova appunto nella direzioneda esso indicata. Per quanto concerne il terzo punto, nonbasta sottolineare la cautela metodologica che esso esprimecirca l’avvio e le fasi successive della costruzione (necessi-tà di elaborare modelli teorici che si collocano a livelli sem-pre più alti di astrazione, dando conto di un numero cre-scente di fenomeni): alla luce del discorso complessivo diTarski, occorre aggiungere che ciò che si esclude è anche lapossibilità di un punto d’arrivo concepito come un metalin-guaggio univesale, cioè un linguaggio nel quale siano tra-ducibili tutti gli altri e che sia dunque anche metalinguaggiodi se stesso. Una tale lingua sarebbe infatti contraddittoria.6

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6 Come risulta dal cap. III sopra, è questo un problema alla luce del quale vadiscussa la teoria semantica di Katz.

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4. Per riprendere il discorso sul problema del rapporto frala struttura « osservabile » dell’enunciato di una linguanaturale e le sue condizioni di verità, torniamo ora al viag-gio di Nixon in Cina.

Un modo per costruire una equivalenza per l’enunciato(2) potrebbe essere questo: (i) All’origine delle due « storietrasformazionali » dell’enunciato ci sono due distinte strut-ture profonde, a partire dalle quali esso è stato appunto otte-nuto. (ii) Assumiamo che la base della sintassi sia stata con-cepita in modo da soddisfare quel requisito di « perfezionelogica »7 cui s’è accennato all’inizio del par. 3 (a propositodel passo di Tarski): per ognuna delle due strutture profon-de generate dalla base è dunque possibile costruire unaequivalenza di forma (T) in cui « x » è sostituito dal nomemetalinguistico della struttura profonda e « p » dalla sua tra-duzione metalinguistica, che chiameremo traduzione par-ziale non-ambiguadi (2) e che faremo qui coincidere rispet-tivamente con (4)a. e (4)b. (iii) Se adesso vogliamo costrui-re una equivalenza per lo stesso (2), anziché per le sue strut-ture profonde, sembra naturale ricorrere alla soluzione dicostruirla in modo che « se e soltanto se » sia seguito dalladisgiunzione di tutte le traduzioni parziali non-ambigue di(2). Avremo così:

(6) « Nixon non è andato in Cina per vincere le elezioni »è vero se e soltanto se Nixon non è andato in Cina, e questoper vincere le elezioni o Nixon è andato in Cina, e questonon per vincere le elezioni.

In generale, il paradigma di definizione parziale di veritàper enunciati di una lingua naturale potrebbe allora esserequalcosa come:

(N) x è vero se e soltanto se p1 o p2 o ... o pn

dove « x » sta per il nome metalinguistico di un qualsiasi

Grammaticalità e condizioni di verità 145

7 Per un ulteriore chiarimento su questo punto, si veda, nel paragrafo successi-vo, la discussione circa il concetto di « lingua logicamente perfetta ».

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enunciato e « p1 o p2 o ... o pn » (n ≥ 1) è la sequenza dis-giuntiva finita di tutte e solo le possibili traduzioni parzialinon-ambigue dell’enunciato8.

A questo punto possiamo allora constatare che, dal puntodi vista semantico, l’inclusione nella nostra grammatica diun apparato trasformazionale ha appunto la conseguenza dimetterci in condizione, in linea di principio, di costruire leinfinite equivalenze di forma (N), che costituiscono altret-tante definzioni parziali di verità per enunciati. Se cosìfosse, ciò equivarrebbe a dire che, oltre a rendere la gram-matica più adeguata empiricamente, più esaustiva e piùsemplice dal punto di vista sintattico, l’adozione del dispo-sitivo trasformazionale avrebbe l’effetto, sul piano semanti-co, di approntare per ogni enunciato una struttura sufficien-temente precisa perché sia possibile assegnargli condizionidi verità in modo soddisfacente. Ma è allora chiaro che,attraverso una procedura di tipo linguistico, otterremmocosì proprio ciò che, nell’ambito della logica, si cerca diottenere in vista della determinazione della cosiddettaforma logicadell’enunciato. Del resto, non è un caso che,in questo ambito, il problema della forma logica sia natodalla necessità di distinguere fra la « forma grammaticale »dell’enunciato (che qui chiameremmo struttura superficia-le) e la sua struttura sottostante, caratterizzata logicamente.Sfruttando un’indicazione di Kaplan (1969: 279), secondo

146 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

8 Come s’è accennato, l’insieme delle traduzioni parziali non-ambigue di unenunciato è l’insieme delle espressioni ognuna delle quali traduce nel metalin-guaggio semantico una struttura profonda dell’enunciato. Il requisito ovvio è chesi disponga di tuttele strutture profonde dell’enunciato stesso. – Naturalmente, nelcaso di enunciati non-ambigui si ha n = 1. (Solo dopo la stesura definitiva del pre-sente testo abbiamo preso visione di Davidson (1970), dove una equivalenza ana-loga a (N) – soprattutto per l’uso della disgiunzione – è costruita in riferimento alproblema dell’ambiguità lessicale (mentre nel nostro caso siamo partiti da un pro-blema di ambiguità strutturale). Nella costruzione dell’equivalenza in questione,Davidson introduce inoltre un rinvio ai « punti di riferimento » – o circostanze per-tinenti per la determinazione delle condizioni di verità – che qui è invece ignoratoper esigenze di semplicità. Infine, nelle pagine cui alludiamo (181-182), Davidsonnon sembra prendere in considerazione la possibilità di servirsi delle strutture pro-fonde (o, più precisamente, delle loro traduzioni metalinguistiche) come terminidella sequenza disgiuntiva, anche se ci sembra che questa soluzione sia del tuttocompatibile con le idee da lui sviluppate).

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la quale l’articolo di Russell sulla denotazione (Russell,1905) ha per oggetto non tanto la teoria del riferimento,quanto il problema della forma logica, ci richiameremo bre-vemente a questo articolo per illustrare9 il nostro discorso.

Russell chiama descrizioni definite10 locuzioni del tipo« Il così e così »: locuzioni in cui un articolo definito (il, lo,la) è seguito da un sintagma esprimente una proprietà. Peresempio, sono descrizioni definite: (i) « L’attuale re diSvezia »; (ii) « L’attuale re di Francia ». Ora, la difficoltàdalla quale prende le mosse Russell è costituita dagli enun-ciati contenenti descrizioni, ossia dagli enunciati rappresen-tati per esempio dal paradigma « Il φ è ψ », dove « φ » e« ψ » variano su proprietà. Per esempio:

(7) L’attuale re di Svezia è calvo(8) L’attuale re di Francia è calvo

Più precisamente, la difficoltà è resa manifesta dal fattoche in questi enunciati occorrono non soltanto le descrizio-ni proprie, ma anche quelle improprie. (« Il φ » è unadescrizione propria nel caso esista uno ed un solo oggettocon la proprietà φ: per esempio, « L’attuale re di Svezia »;impropria negli altri casi: per esempio, « L’attuale re diFrancia » o « L’autore dell’Ideologia tedesca».) Possiamotradurre in questo modo il problema che si pone Russell:quali sono le condizioni di verità degli enunciati contenen-ti descrizioni? Il fatto è che secondo Russell non possiamotrattare tali enunciati come quelli contenenti nomi propri alposto delle descrizioni (per esempio « Yul Brinner ècalvo »), e questo perché egli ritiene che le descrizioni svol-gano una funzione semantica diversa da quella dei nomi

Grammaticalità e condizioni di verità 147

9 II riferimento alla teoria russelliana è cioè puramente esemplificativo e noncomporta il fatto che la soluzione proposta da Russell per il trattamento delledescrizioni definite debba essere accettata, in contrapposizione p.e. a quelle diFrege-Strawson o di Frege-Carnap (v. n. 11, pag. 150).

10 Qui e in seguito non seguiamo la terminologia di Russell (1905) ma quellaadottata nei Principia Mathematicae in Introduction to Mathematical Philosophy.Poiché qui ci occupiamo solo delle descrizioni definite, d’ora in poi parleremosemplicemente di « descrizioni ».

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propri. La soluzione proposta da Russell si fonda infatti essen-zialmente su due punti: (i) considerare le descrizioni come sin-tagmi che di per sénon hanno significato, mentre concorronoalla formazione del significato complessivodell’enunciato; (ii)conseguentemente, ridurre gli enunciati contenenti descrizioniad altri che ne sono privi. In questo modo, la proprietà espres-sa dalla descrizione diventa parte del contenuto dell’enunciatoglobale, e quest’ultimo risulterà dunque falso nel caso si abbiaa che fare con descrizioni improprie. Se si tien presente che ciòche sta a cuore a Russell è il problema delle condizioni di veri-tà, riuscirà facile capire perché egli stabilisca il seguente para-digma d’equivalenza (qui in forma semplificata), che permet-te appunto la riduzione indicata in (ii):

(9) « Il ϕ è ψ » è equivalente a « Esiste un unico oggettoche è ϕ, e qualunque oggetto sia ϕ è ψ ».

Così, (8) sarà equivalente a:

(10) Esiste un unico oggetto che è l’attuale re di Francia,e qualunque oggetto sia l’attuale re di Francia è calvo.

Dal punto di vista che ci interessa qui, questo passo è dinotevole importanza, giacché, stabilendo equivalenze diparadigma (9), si stabiliscono contemporaneamente (com’èl’intento di Russell) condizioni di verità. Così, se riduciamo(8) a (10) applicando (9), vediamo che (8) risulta vero se esoltanto se sono soddisfatte tutte queste tre condizioni: (i),esiste almeno un oggetto che è l’attuale re di Francia; (ii) esi-ste al massimo un oggetto che è l’attuale re di Francia; (iii)qualunque oggetto sia l’attuale re di Francia, esso è calvo. Aben vedere, dunque, ciò che la teoria delle descrizioni propo-ne grazie alle equivalenze di paradigma (9) (che Russell chia-ma definizioni contestuali) è un metodo ditraduzioneperpassare dalla forma « grammaticale » (o superficiale, nellanostra terminologia) di un enunciato alla sua forma logica.

Come osserva Kaplan (ibid.: 279) il problema dellaforma logica è stato spesso collegato a quello di costruireuna lingua logicamente perfetta. Cosa si intende con tale

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espressione? In termini molto semplificati, questo: comeal solito, alla lingua sarà associata una grammatica, cioèun insieme di regole di formazione (di modo che la formagrammaticale di ogni espressione è determinata da questeregole); in secondo luogo, le sarà associato un insieme diregole di valutazione, le quali specificano come costruireil valore semantico di un’espressione in base ai suoi com-ponenti (e per « forma logica » si intende la strutturadeterminata da queste regole, cioè una struttura interpreta-ta). Ora, il requisito che una lingua deve soddisfare peressere logicamente perfetta è che « la forma logica diun’espressione deve sempre rispecchiare la forma gram-maticale. Pertanto, per la perfezione logica si richiede chele espressioni logicamente semplici coincidano con leespressioni grammaticalmente semplici (ma ben-formate),e che a ogni regola di formazione corrisponda un’unicaregola di valutazione, tale che ogni composto formatoapplicando la regola di formazione a dati componenti siavalutato applicando la regola di valutazione corrisponden-te ai valori dei componenti. Ne consegue, come richiesto,che la valutazione semantica di un’espressione ricapitolaesattamente la sua costruzione grammaticale » (Kaplan,ibid.: 283-284).

Questo punto ci riconduce alle considerazioni svolteall’inizio del par. 3 sulla difficoltà di costruire equivalenzedi forma (T) per enunciati di lingue naturali. Da quelle con-siderazioni segue infatti che, strettamente parlando, una lin-gua naturale non è logicamente perfetta, perché la determi-nazione delle condizioni di verità non « rispecchia » laforma dell’enunciato, in quanto struttura superficiale. Altri-menti detto, dal momento che le trasformazioni risultanoindispensabili per la costruzione delle equivalenze di forma(N), nel caso della lingua naturale avremo eventualmenteuna lingua logicamente perfetta più un apparato trasforma-zionale.

Ora, il discorso di Russell esemplifica, relativamente aun problema diverso, una situazione in un certo senso ana-

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loga: poiché la forma superficiale di enunciati contenentidescrizioni non è soddisfacente dal punto di vista dellecondizioni di verità, è necessario approntare un metodo ditraduzione che ci permetta di ricondurre questi enunciatiad altri che siano invece soddisfacenti sotto quel punto divista, e le definizioni contestuali assolvono appunto a que-sto scopo. Ne consegue che anche qui non avremo più unalingua logicamente perfetta, ma una lingua logicamenteperfetta più certe regole di traduzione11.

L’idea implicita nelle nostre osservazioni sul rapporto frastruttura superficiale e condizioni di verità è appunto che letrasformazioni svolgano un ruolo in un certo senso analogoa quello delle definizioni contestuali di Russell: un ruolo

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11 Diremo per inciso che questo è il motivo che induce Kaplan a giudicareinsoddisfacente il trattamento russelliano delle descrizioni definite. Infatti, la solu-zione Frege-Carnap (secondo la quale il denotato di una descrizione propria è unoggetto arbitrario preliminarmente scelto e l’enunciato complessivo risulta vero)o la soluzione Frege-Strawson (secondo la quale le descrizioni improprie hannosignificato ma non denotano alcunché, e l’enunciato complessivo non è né vero néfalso benché significante) permettono un trattamento semantico uniforme dellevariabili, delle costanti individuali e delle descrizioni e, conseguentemente, lacostruzione di una lingua logicamente perfetta. Questo problema non ci tocca davicino, poiché, come s’è detto, il discorso di Russell ha qui un valore puramenteesemplificativo. Quello che ci interessa è invece un altro punto. Come s’è detto, ilmetodo di Russell consiste essenzialmente nel ridurre gli enunciati contenentidescrizioni ad altri che ne sono privi e che sembrano trattabili in modo naturaledal punto di vista delle condizioni di verità: in un certo senso, si ricorre così a unamanipolazione sintattica(utilizzando per esempio delle regole di trasformazione)per operare poi più agevolmente sul piano semantico; il metodo di Frege (inentrambe le versioni) consiste invece nell’accettare la struttura grammaticale (o« superficiale ») e, per così dire, nel costruire una semantica più complessa (o, sesi vuole, meno « naturale ») assegnando per esempio valori arbitrari alle descri-zioni improprie. Dal momento che il ricorso alle trasformazioni ha l’effetto di ren-dere la lingua non logicamente perfetta (per la mancata corrispondenza tra formagrammaticale e forma logica), Kaplan, come s’è detto, mostra di preferire la solu-zione di Frege. In questo modo, nel caso delle descrizioni, potremmo mantenerecome grammatica della lingua una grammatica sintagmatica, mentre il metodo diRussell sembra implicare appunto una grammatica trasformazionale (Kaplan,ibid.; 285, n. 2). Sta di fatto, però, che mentre nel caso delle descrizioni la solu-zione preferita da Kaplan è per lo meno concepibile, in molti altri casi (nelle lin-gue naturali in genere) la riducibilità di una grammatica trasformazionale a unasintagmatica sembra fuori luogo. In ogni modo, l’esistenza nella lingua naturale dienunciati ambigui porta a ritenere improbabile l’eventualità di convertire una lin-gua trasformazionale in una struttura sintagmatica, visto che le trasformazionisono gli strumenti più idonei a render conto di quelle ambiguità. Si veda, in pro-posito, la discussione sull’enunciato (2).

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che, esprimendoci in termini piuttosto vaghi, consisterebbenel ricondurre la lingua « superficiale » a una lingua logi-camente perfetta sottostante. Così, mentre la situazione diuna lingua logicamente perfetta può essere rappresentata daquesto schema:

forme logiche ↔ forme grammaticali

la situazione di una lingua trasformazionale come quella danoi presa in considerazione (nel caso rsponda ai requisitistabiliti per una lingua logicamente perfetta) sarà rappre-sentata da questo schema:

forme logiche ↔ strutture profonde → strutture superfi-ciali

(dove « ↔ » indica una corrispondenza biunivoca,12 e« → » indica la relazione determinata dall’insieme delleregole trasformazionali). Tutto ciò può riassumersi nell’os-servazione che, mentre una lingua logicamente perfettamette capo a equivalenze di forma (T), una lingua trasfor-mazionale può metter capo a equivalenze di forma (N): leregole di trasformazione essendo appunto accostabili, dalpunto di vista semantico, alle regole di traduzione necessa-rie per ottenere le traduzioni parziali non-ambigue dellasequenza disgiuntiva in (N).

5. Passiamo ora a un aspetto più generale del problema.Le discussioni oggi in atto fra i linguisti circa i rapporti frasintassi e semantica ricordano in più d’un punto quelle chein logica hanno opposto convenzionalisti e anticonvenzio-nalisti. Il centro del problema è questo: si può costruire« liberamente » la sintassi di una lingua interpretata, cioè

Grammaticalità e condizioni di verità 151

12 In realtà, questa schematizzazione è impropria perché, come s’è visto sopra,il requisito per la perfezione logica è che ci sia una corrispondenza biunivoca fraregoledi formazione e regoledi valutazione e che la costruzione di ogni formalogica « rispecchi » la costruzione della forma grammaticale corrispondente, nelsenso che il ricorso a una data regola di formazione sul piano grammaticale deveimplicare il ricorso alla corrispondente regola di valutazione sul piano semantico(e viceversa).

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senza tener conto di considerazioni semantiche? o vicever-sa la costruzione della sintassi è in qualche modo « vinco-lata » dalla semantica? Ci sembra che, per quanto riguardala grammatica trasformazionale, si siano creati su questoargomento non pochi equivoci e che perciò valga la pena difornire alcuni chiarimenti.

Diremo intanto che la posizione di Chomsky in proposi-to non ci sembra così chiara e determinata come la si pre-senta spesso.13 E vero che uno dei motivi dominanti delleconsiderazioni generali svolte nelle Strutture della sintassiè la netta delimitazione metodologicafra sintassi e seman-tica, ma, sotto questo punto di vista, è bene guardarsi dalconfondere criteri euristici (metodologici) e criteri teorici.Quello che vogliamo dire, in altri termini, è che l’asseritapossibilità e necessità di costruire la sintassi su basi pura-mente autonome non implica necessariamente il fatto diescludere che l’efficacia di una sintassi possa essere valuta-ta anche in base a considerazioni di tipo semantico. Ci sem-bra invece che il limite del discorso chomskiano, quale èsviluppato nelle Strutture della sintassi, risieda nel fatto chementre la sintassi è considerata come l’aspetto formaledella lingua, la dimensione semantica è caratterizzata anostro avviso riduttivamente, come la dimensione dell’usodella lingua. Questa opposizione forma/uso (che ricorre fre-quentemente nel testo) rende per lo meno problematica l’i-dea di costruire una semantica su basi formali,14 idea che

152 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

13 Come s’è già rilevato nel cap. III, par. 5, un punto su cui la posizione diChomsky assume valenze diverse è per esempio la concezione stessa del « signi-ficato », che nelle Struttureè di tipo puramente estensionale (significato = riferi-mento), mentre negli Aspettiprevede un vero e proprio sistema univesale di « con-cetti ».

14 Questo perché, a giudicare dall’orientamento del discorso svolto nelleStrutture, sembrerebbe che, una volta costruito preliminarmente quel dispositivoastratto e formale che è la sintassi, il problema semantico è ricondotto al modoconcreto, empirico, in cui tale dispositivo viene utilizzato per comprendere il con-tenuto del messaggio linguistico. Come abbiamo detto, si tratta di una priorità dinatura epistemologica (e non solo metodologica) accordata alla sintassi, la qualesembrerebbe collocarsi a un livello per così dire « più alto » rispetto alla semanti-ca (e cioè al livello della struttura, contrapposto a quello della funzione): « [neiparagrafi precedenti] abbiamo studiato la lingua come uno strumento o un arnese,

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avrebbe forse portato a una diversa caratterizzazione delrapporto fra sintassi e semantica. In realtà, Chomsky haovviamente ben presente che la rilevanza semantica dellasintassi può costituire un criterio di adeguatezza per la sin-tassi stessa,15 ma tratta questo problema come un problemadi adeguatezza puramente esterna(empirica, in riferimentoall’intuizione del parlante) e non interna (teorica).Evidentemente, per seguire quest’ultima via, Chomskyavrebbe dovuto partire dal presupposto teorico (che vatenuto distinto, lo ripetiamo, da quello euristico) di unacerta connessione fra sintassi e semantica: una connessioneche non riguarda solo « forma » e « uso » ma due aspetticomplementaridella formalizzazionedella lingua. Sottoquesto profilo, è significativo il modo in cui Chomsky giu-stifica l’introduzione nella grammatica di un livello trasfor-mazionale: oltre alle note motivazioni di tipo epistemologi-co, tendenti a dimostrare come l’acquisizione di questolivello comporti una maggiore semplicità ed esaustivitàdella grammatica, egli fa giustamente riferimento al fattoche grazie al livello trasformazionale si riesce a dar contodel modo in cui il parlante comprende gli enunciati: peresempio l’ambiguità (Nixon soggetto/oggetto della critica)con la quale il parlante recepisce l’enunciato

Grammaticalità e condizioni di verità 153

tentando di descrivere la sua struttura senza riferimenti espliciti al modo in cuiquesto strumento viene utilizzato [...] Ci si può aspettare che questo studio formaledella struttura della lingua come strumento fornisca indicazioni circa l’uso realedella lingua, ossia circa il processo di comprensione degli enunciati » (Chomsky,1957: 103). Ci troviamo dunque di fronte a una priorità epistemologica che si tra-duce poi in un’altra, come si è visto, di tipo metodologico: se è vero che la sintassipuò (e deve) essere costruita a prescindere dalla semantica, lo stesso non può dirsidella semantica rispetto alla sintassi. – Dovrebbe essere chiaro che ciò che abbia-mo messo qui in discussione non è il principio generale della priorità epistemolo-gica del momento strutturale (formale) su quello funzionale, ma il fatto che la rela-zione fra sintassi e semantica possa essere posta in questi termini (come sembrarisultare dalle Strutture).

15 « Possiamo giudicare le teorie formali in base alla loro capacità di spiegaree chiarire una molteplicità di fatti concernenti il modo in cui gli enunciati sonousati e capiti. In altre parole, vorremmo che lo schema sintattico della lingua cheè isolato ed esibito dalla grammatica sia in grado di sostenere una descrizionesemantica [...] » (Chomsky, 1957: 102).

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(11) La critica di Nixon ha sorpreso tutti

è ricondotta alle due distinte origini trasformazionali dell’e-nunciato. Ciò che però manca, nelle Strutture, è l’indica-zione della connessione intercorrente fra la costruzione diun sistemasintattico e la costruzione di un sistemaseman-tico, mostrando per esempio come l’adozione del livellotrasformazionale renda possibile, per lo meno in linea diprincipio, l’elaborazione di una semantica adeguata nonsolo intuitivamente (come emerge dalle osservazioni sul-l’ambiguità), ma anche formalmente.16 Far questo avrebbeperò significato rinunciare a due aspetti rilevanti del discor-so che Chomsky sviluppa nelle Strutture: (i) la preminenzadella sintassi sulla semantica (da intendersi non solo nel-l’accezione vera ma banale secondo cui, essendo di fatto –storicamente, si potrebbe dire – la semantica in una situa-zione al massimo embrionale, tanto vale cominciare dallasintassi; ma nell’accezione più forte, secondo la quale seper costruire la semantica si deve poter disporre della sin-tassi, la conversa non è invece vera); (ii) la caratterizzazio-ne della semantica sul piano dell’uso (infatti, questa sfasa-tura di piano rispetto alla sintassi permette appunto aChomsky di istituire, per così dire, un condizionamento a

154 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

16 Se si tiene presente ciò, risulterà forse meno strano il fatto che proprio il teo-rico della linguisticà trasformazionale non abbia messo a fuoco il significato chele trasformazioni rivestono ai fini di una teoria semantica che abbia nel concettodi verità uno dei suoi concetti fondamentali. In realtà, Chomsky coglie ovvia-mente molto bene il fatto che le « stringhe nucleari » delle Strutture (cioè lesequenze pre-trasformazionali generate dalle regole di riscrittura: un’anticipazio-ne delle « strutture profonde » della teoria successiva) presentano una notevolemaneggevolezza semantica proprio in virtù della loro semplicità (che in qualchemodo le avvicina agli enunciati « atomici » della logica). Si veda per esempioChomsky (1966: 17): « L’incapacità della struttura superficiale di indicare le rela-zioni grammaticali significative dal punto di vista semantico (cioè di servire comestruttura profonda) è un fatto fondamentale che ha motivato lo sviluppo dellagrammatica generativa trasformazionale. ». Ma ciò che è mancato per sfruttare inpieno questa indicazione è un adeguato sviluppo della concezione semantica:prima (con le Strutture) per avere collocato il problema nel contesto dell’opposi-zione forma/uso, poi (con gli Aspetti) per avere adottato la teoria di Katz, la quale,come si è cercato di mostrare nel cap. III, è irrilevante ai fini di una chiarificazio-ne del concetto di verità (benché interessante per altri aspetti).

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senso unico, come afferma il punto (i)). In altri termini, ciòche si vuole affermare è che la collocazione sullo stessopiano teoico di sintassi e semantica avrebbe indotto a rico-noscere proprio ciò che è negato nelle Strutture: vale a direche c’è interdipendenza fra sintassi e semantica, e in partico-lare che la seconda pone alla prima particolari restrizioni.17

6. Nell’esaminare le implicazioni della discussione fraconvenzionalisti e anticonvenzionalisti, Carnap (1939) os-serva come sia ovviamente fuori luogo qualificare « giusta »o « sbagliata » una sintassi, e stabilisce invece tre requisiti inbase ai quali essa può essere valutata: (i) proprietà formali;(ii) interpretabilità in termini semantici; (iii) applicabilitàempirica.

Se si adotta questo schema di discorso, si tratta di vede-re qual è la portata di (ii) in merito al nostro problema. Ora,dal punto di vista intuitivo, sembra del tutto ragionevoleaccettare un’altra proposta di Carnap (1947: cfr. 5; 119;202-203), e cioè quella, di origine fregeana, secondo cuicapire un enunciato significa cogliere le sue condizioni diverità.18

Grammaticalità e condizioni di verità 155

17 In un certo senso, si può dire che questo riconoscimento avviene, di fatto, conl’adozione della teoria semantica di Katz, visto il rapporto che quest’ultimo ponefra regole di riscrittura e regole di proiezione. Ma su questo punto si vedano leconsiderazioni alla fine del cap. III.

18 Essendo imprecisa, questa enunciazione merita un chiarimento. SecondoCarnap, il ruolo precipuo del « significato » (in senso generico) di un enunciatoè di determinare condizioni di verità. Più precisamente, tale ruolo è svolto dallacomponente essenziale del significato: quell’entità astratta che Carnap chiamaproposizione. Nella terminologia adottata da Carnap, quest’ultima rappresental’intensione dell’enunciato, mentre l’estensione è costituita dal valore di verità(« vero», « falso »). Ora, l’idea generale sviluppata nel par. 40 di Carnap (1947)è di considerare l’estensione come qualcosa che varia a seconda del variare dellecircostanze pertinenti e l’intensione come ciò che rende conto di questa dipen-denza: di qui la proposta di fare dell’intensione una funzione avente come argo-mento una sequenza di fattori rilevanti per la determinazione dell’estensione ecome valore una estensione. Ora, nel caso specifico degli enunciati, ciò cheCarnap propone è di considerare la proposizione come una funzione da descri-zioni di stato (o mondi possibili, nella terminologia leibniziana) a valori di veri-tà. È questa l’accezione in cui diciamo che il significato (o meglio: l’intensione)determina le condizioni di verità dell’enunciato, e che capire un enunciato equi-vale a coglierne le condizioni di verità. Si noti però che Carnap non identifica

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Nei termini della nostra discussione, ciò equivale a direche una semantica adeguata deve essere in grado di fornirele condizioni di verità per ogni enunciato della lingua, ossiadi « spiegare » quelle che nel par. 1 abbiamo chiamato defi-nizioni parziali di verità. Si era però visto che, affinché que-ste definizioni siano possibili – e affinché sia possibile unadefinizione generale di verità d’enunciato per una data lin-gua – è necessario stabilire particolari restrizioni sulla strut-tura sintattica (in modo da renderla sufficientemente« determinata »). Questo fatto suggerisce allora di stabilireil seguente requisito per la sintassi:

(12) la (base della) sintassi deve generare tutte e solo lesequenze cui si possono assegnare condizioni di verità.19

In un certo senso, (12) precisa il discorso sull’opportuni-tà di disporre di regole di « traduzione », dicorso che abbia-mo sviluppato a proposito delle trasformazioni e delle defi-nizioni contestuali di Russell. Vorremmo ora aggiungereche, alla luce del requisito (12), lo schema20 di grammaticaabbozzato nelle Strutture della sintassiè, in un punto, più

156 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

significato e intensione, dal momento che si possono avere differenze di signi-ficato senza differenze di intensione. Ma qui preferiamo non addentrarci in que-sta tematica, che ci porterebbe a discutere i problemi della sinonimia, dell’iso-morfismo intenzionale, ecc. e ci limitiamo a tenere per fermo che nell’intensio-ne è appunto localizzato il ruolo precipuo svolto dal significato: e cioè la deter-minazione delle condizioni di verità. – Per gli sviluppi che la proposta di Carnap(che è connessa con le idee di Frege e di Tarski) ha avuto in riferimento a quel-la che viene chiamata semantica referenziale, v. Lewis (1970) e Mondadori(1970).

19 Parliamo di base(v. cap. II, par. 11) della sintassi poiché, come s’è visto,sono le strutture profonde a essere chiamate in causa per la determinazione dellecondizioni di verità. Ricordiamo inoltre che qui e in seguito si dà per sottintesoche le trasformazioni non hanno rilevanza semantica o che per lo meno non inci-dono sulla determinazione delle condizioni di verità (cfr. su questo punto Partee,1969). Tuttvia, l’assunzione contraria non richiederebbe un mutamento dei prin-cipi generali del discorso sviluppato qui, bensì il riaggiustamento di alcunipunti.

20 Diciamo « schema » perché non sono qui in gioco tutti i problemi della teo-ria grammaticale trattati nel testo, in merito ai quali il modello degli Aspettiècerto più preciso di quello delle Strutture. Ciò che qui abbiamo di mira è solo unlato del discorso, anche se qualificante.

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soddisfacente di quello delineato negli Aspetti della teoriadella sintassi. Ciò che intendiamo dire è che le sequenzeche nelle StruttureChomsky chiama stringhe nucleari (cfr.n. 16 p. 154) – cioè le sequenze semplici che sono generatedalle regole di riscrittura e alle quali si applicano le trasfor-mazioni – sembrano avvicinarsi, proprio per la loro sempli-cità, maneggevolezza e perspicuità, a quell’ideale di strut-tura sintattica da associare alla « forma logica ».21

Viceversa, negli Aspetti, l’introduzione di tutta la tematicarelativa alle regole di selezione (v. sopra, cap. II, par. 11)complica enormemente il modello di sintassi esposto, ren-dendolo, sotto questo aspetto, poco maneggevole dal puntodi vista del trattamento semantico. È, questo, un problemaconnesso con il problema della grammaticalità, che meritaun breve discorso a parte.

7. Relativamente alla base della sintassi, (12) stabilisceun criterio che è correntemente messo in pratica nellacostruzione di molte lingue formalizzate e che consiste nelfar coincidere l’insieme delle formule ben-formate di unsistema con quello delle formule interpretabili (data, ovvia-mente, una interpretazione del sistema): in altri termini, sitratta di costruire un « calcolo » tenendo presente una suaeventuale interpretazione. Così, l’adozione di (12) ci sem-bra equivalga all’adozione di un’ipotesi tutt’altro che as-surda se si tiene presente la funzione di una lingua natura-le: l’ipotesi, cioè, di correlare il concetto di buona-forma-zione (di grammaticalità) con quello di interpretabilità; nelnostro caso, un enunciato sarebbe dunque grammaticale(relativamente alla base della sintassi) se e soltanto se pos-siamo assegnargli condizioni di verità. In questo modo, sidisporrebbe allora di un criterio sufficientemente perspicuo

Grammaticalità e condizioni di verità 157

21 Ripetiamo che ci interessa qui l’aspetto generaledel discorso, trascurando ilfatto che l’apparato trasformazionale delle Strutture è del tutto inadeguato e,soprattutto, trascurando il fatto, qui importantissimo, che nelle Strutture la pro-prietà ricorsiva della sintassi è localizzata nelle trasformazioni e che a queste ulti-me è assegnata una funzione semantica.

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per controllare la grammaticalità di un enunciato e, con-temporaneamente, per stabilire uno dei compiti della basedella sintassi. Si ricorderà, infatti (cfr. cap. I, parr. 5-6 e 11-12), che Chomsky fissava come uno degli scopi della sin-tassi (relativamente al problema dell’adeguatezza esterna)quello di generare tutti e solo gli enunciati grammaticali peril parlante. Ma, come s’era visto, una delle difficoltà di que-sto assunto consiste nell’evitare una certa circolarità. Inquesto senso: per disporre di un corpusche contenga esclu-sivamente espressioni grammaticali, è necessario poterseparare queste espressioni da quelle non-grammaticali, ciòche presuppone a sua volta un’altra distinzione preliminare:quella fra espressioni propriamentenon-grammaticali e fraespressioni genericamente devianti (cioè quelle espressioniin qualche modo controintuitive ma che una grammaticadeve generare, dal momento che la loro devianza nondipende presumibilmente da fattori sintattici). In altri termi-ni, per operare opportunamente questa selezione prelimina-re occorre partire dalle espressioni devianti in genere, quin-di procedere attraverso una serie di esclusioni tendenti viavia a ricondurre nell’insieme delle espressioni grammatica-li quelle espressioni la cui devianza non è imputabile allasintassi: alla fine dovremmo appunto rimanere con l’insie-me delle espressioni propriamentenon-grammaticali. Ma ilpunto è questo: per sapere quali espressioni sono deviantima non lo sono per motivi sintattici, e cioè, in definitiva,per sapere cosa nonè sintassi, bisogna evidentemente sape-re cosa è sintassi, cioè possedere una sintassi; e d’altra parteil concetto intuitivo di buona-formazione o grammaticalitàè quello che deve servire nella determinazione del corpusutilizzato per costruire una sintassi. Ciò che si vuol dire èche è estremamente prolematico caratterizzare una nozioneintuitiva di grammaticalità, e che d’altra parte il ricorso alla« competenza » del parlante costituisce un ulteriore motivodi complicazione, benché la distinzione fra competenza edesecuzione sia per altri versi ben fondata. Il fatto è che, rela-tivamente al problema della grammaticalità, bisogna assu-

158 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

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mere come data la competenza del parlante per avere uncorpus(e, in definitiva, per avere un criterio di adeguatez-za esterna, empirica), ma questa competenza è determinabi-le con un minimo di attendibilità solo dopouna elaborazio-ne formale, cosicché essa costituisce nello stesso tempo unapremessa e un esito di tale elaborazione.

È vero che il ricorso all’interconnessione fra espressionigrammaticali ed espressioni interpretabili complicherebbeper vari aspetti il problema, in particolare per quanto concer-ne la violazione di regole trasformazionali, ma d’altra partefornirebbe un criterio meno aleatorio per la determinazionedella buona-formazione al livello della base, se non altro abo-lendo la necessità di distinguere fra le espressioni sintattica-mente devianti e quelle semanticamente devianti: questione,che, come vedremo subito, porta a una innaturale complica-zione del modello di grammatica presentato negli Aspetti.

Le difficoltà implicate dall’atteggiamento chomskiano suquesto punto sono per l’appunto evidenti in quella partedegli Aspettidove è posto il problema di render conto dellapresunta devianza di certe espressioni attraverso la stipula-zione di opportune regole e la localizzazione di queste rego-le in un componente della grammatica (sintassi o semanti-ca). Così, un’espressione come:

(13) L’idea verde è stata concepita da Paolo

sarebbe considerata mal-formata da Chomsky, che darebbeconto di questa devianza chiamando in causa una regolaselettiva (v. sopra, cap. II, par. 11) destinata a impedire chel’aggettivo « verde » entri in composizione sintagmaticacon nomi astratti. Ci sembra che, data questa premessa, siapoi del tutto superfluo chiedersi se regole di questo tipoappartengono al componente sintattico o a quello semanti-co della grammatica. Il problema è invece diverso, e ha uncarattere preliminare: è lecito attendersi che una grammati-ca sia chiamata a svolgere la funzione che Chomsky le asse-gna nel caso in questione? A ben vedere, il caso di (13) pre-

Grammaticalità e condizioni di verità 159

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senta molte analogie con quello discusso a proposito delledescrizioni improprie. Ma è significativo che, dei tratta-menti proposti per le descrizioni qui citati (quello di Russelle i due ispirati da Frege), nessuno preveda di consideraremalformati gli enunciati contenenti descrizioni improprie.22

Se, a titolo esemplificativo, si adottasse la soluzione diRussell, poiché non si dà il caso che esista uno ed un solooggetto che sia l’idea verde, si arriverebbe alla conclusioneche (13) è non già mal-formato ma semplicemente falso.23

Questo punto è importante perché ci induce a non chie-dere troppo a una grammatica: dopo tutto, è dall’ontologia– o, più semplicemente, dal mondo – cui facciamo riferi-mento, e non dagli strumenti linguistici, che dipende il fattoche non esistano idee verdi o che nessuno possa spaventarela sincerità (cfr. Chomsky, 1965: 149). È difficile vederecome sia possibile introdurre nella grammatica regole comequelle selettive senza complicarla tremendamente24 e senzarenderla inidonea a quella « disponibilità » semantica cui s’èaccennato. In effetti, ciò che si richiede alla sintassi, al livel-lo della base, è qualcosa di più semplice e, al tempo stesso,di molto difficile da ottenere: le si richiede di disporre distrumenti ricorsivi che siano in grado di generare tutte e soloquelle espressioni cui sono assegnabili condizioni i verità.25

160 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

22 Una soluzione del genere è invece adottata da Hilbert e Bernays per un siste-ma con numeri naturali come individui. Ma sulle difficoltà che essa solleva (soprat-tutto fuori del contesto in cui è stata adottata) si veda Carnap (1947: 33-34).

23 Su trattamenti alternativi, v. Lewis (1969: 164), che sembra propendere per lasoluzione di assegnare a enunciati di questo tipo condizioni di verità vuote, e Scott(1970a: 152), che propone di considerare le descrizioni definite come funzioniparziali: le descrizioni improprie avrebbero allora valori « indefiniti ». Ripetiamo,però, che in nessun caso si propone di considerare enunciati del genere come non-grammaticali.

24 Infatti, se si imboccasse la strada indicata da Chomsky con le regole selettive,ci si troverebbe a dover fronteggiare tutta una serie potenzialmente illimitata diproprietà idiosincratiche, legate alla duttilità della lingua naturale. Bisognerebbeinfatti disporre di regole che impediscano (eventualmente) la costruzione sintag-matica « idee verdi », ma che permettano per esempio « rivoluzione rossa » o« pericolo giallo », ecc. Ma è difficile pensare che regole di questo genere dispon-gano di una generalità tale da renderle interessanti dal punto di vista euristico.

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Grammaticalità e condizioni di verità 161

25 L’estrema generalità delle considerazioni svolte in questo capitolo conclusivoha permesso di evitare tutta una serie di precisazioni. Tra i problemi che andreb-bero affrontati, ci limiteremo a indicare questi:

(i) Sostenendo la praticabilità della via tarskiana per la costruzione della seman-tica di una lingua naturale, e cercando di mostrare come l’ostacolo – indicato dallostesso Tarski – costituito dalla presunta indeterminatezza sintattica di queste lin-gue sia in linea di principio superabile, non intendevamo certo sottovalutare le dif-ficoltà inerenti a una prospettiva del genere. In particolare, la richiesta che la teo-ria della verità sia concepita in termini ricorsivi implica fra l’altro che essa dis-ponga di un insieme finito di tratti semantici componibili con i quali poter lavora-re. Occorrerebbe cioè partire da regole analoghe alle « regole di designazione »che Carnap (1947: 4) stabilisce per costanti individuali e predicati. E questo è,ovviamente, un problema molto arduo da risolvere.

(ii) Tutto il discorso sviluppato sopra sul rapporto fra grammaticalità e condi-zioni di verità è fondato sull’esclusivo riferimento agli enunciati dichiarativi. Ilprendere in considerazione altri tipi d’enunciato (interrogativi, imperativi, ecc.)condurrebbe a varie alternative: trattare tali enunciati nello stesso modo di quellidichiarativi attraverso opportuni accorgimenti – come fa p.e. Lewis (1970: 54-61),il quale propone di considerarli come parafrasi di enunciati « performativi »(caratterizzati dalla presenza dei verbi « chiedere », « comandare », ecc.) – il chelascerebbe immutato il nostro assunto; ricorrere a criteri vicini a quello delle con-dizioni di verità – parlando p.e., nel caso di questi enunciati, di condizioni di sod-disfazione anziché di verità – il che richiederebbe modifiche solo marginali del-l’assunto in questione; o infine adottare soluzioni diverse – come p.e. quella diStenius (1967), che scompone tutti gli enunciati in un « radicale » (costituente l’a-spetto proposizionale vero e proprio) e in un « modo» (dichiarativo, interrogativo,ecc.) e che sostiene la pertinenza delle condizioni di verità per il solo radicale –,soluzioni che condurrebbero invece a modifiche forse sostanziali della tesi quiesposta.

(iii) Infine, la generalità del discorso alla quale abbiamo fatto riferimento all’i-nizio della presente nota ha fatto sì che si eludesse il problema della collocazionedella tematica qui sviluppata rispetto alle diverse soluzioni presentate dalla« semantica interpretativa » e dalla «semantica generativa » (tralasciando qui ilproblema di sapere se la seconda è semplicemente una variante notazionale dellaprima, come sostengono Chomsky (1970) e Katz (1971)). Per quanto concerne lasemantica interpretativa, possiamo dire che in un certo senso essa preserva il con-cetto di interpretazione, che ci sembra di importanza decisiva ai fini della costru-zione di una teoria semanticadella verità. Quello che invece va messo in discus-sione è il tipo di interpretazione descritto da Katz, o, per essere più precisi, il mate-riale con il quale dovrebbero essere costruite le interpretazioni. Ci riferiamo quiagli indicatori semantici che, come s’è visto nel cap. III, oltre a essere entità di persé abbastanza sfuggenti, sono del tutto fuorvianti ai fini di una teoria della verità,che pure dovrebbe costituire una parte essenziale della semantica. – Per quantoconcerne invece la semantica generativa (in particolare le tesi di McCawley), ildiscorso è ancora più complesso, dal momento che essa non sembra essersi espres-sa nettamente su alcuni dei punti trattati qui, in particolare sul problema di unadefinizione del concetto di verità (problema mai affrontato estesamente, per quan-to ci risulta, dai sostenitori di questa teoria). Un chiarimento in tal senso è tantopiù necessario, da parte della semantica generativa, in quanto ci sembra che,data l’identificazione che McCawley stabilisce fra rappresentazione sintattica erappresentazione semantica, diventa superfluo il concetto stesso di interpreta-zione: per lo meno nell’accezione in cui esso è abitualmente usato in logica,un’accezione che postula necessariamente la distinzione (anche quando se nestabilisca l’interdipendenza) fra livello sintattico e livello semantico e, per l’ap-punto, fra regole di formazione e regole di interpretazione. In secondo luogo, seal momento è difficile vedere in che modo il concetto di verità potrebbe essere

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162 Sintassi e semantica nella grammatica trasformazionale

definito all’interno della semantica generativa, ciò non è dovuto solo a questoapparente esautoramento del concetto di interpretazione, ma anche al fatto che lerappresentazioni semantiche, dalle quali prende l’avvio il processo trasformazio-nale, devono contenere una quantità tale di informazione (compresa quella relati-va a tutte le peculiarità lessicali) che risulta problematico concepire un apparatoabbastanza semplice di strumenti ricorsivi in grado di generarle, com’è invecenaturale richiedere per la costruzione di una semantica contenente una teoria dellaverità. Un ultimo punto sul quale la posizione della semantica generativa non cisembra ancora molto chiara riguarda la natura di queste rappresentazioni seman-tiche, poiché, data la carenza di indicazioni in proposito, può sorgere il dubbio checi si trovi anche qui di fronte a un metalinguaggio che, come quello degli indica-tori di Katz, necessiti a sua volta di una interpretazione: ciò che ci riporterebbeovviamente ai problemi sollevati dalla teoria di Katz. Si tratta comunque di pro-blemi aperti, e se ci sembrano scarsamente definiti all’interno della semanticagenerativa, ciò è forse imputabile (almeno in parte) al carattere ancora embriona-le della teoria.

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Nota terminologica

Nel testo ci siamo serviti del termine « espressione » per indicare una

qualsiasi sequenza arbitraria di simboli. Per « enunciato » abbiamo inve-

ce inteso una espressione ben-formata, ossia una sequenza di simboli ter-

minali generata da una data grammatica.

Per « intorno » di una sequenza x di simboli abbiamo indicato le

sequenze A e B (eventualmente nulle) che rispettivamente precedono e

seguono x; in simboli: «A B ».

Abbiamo inoltre utilizzato alcune nozioni di teoria degli insiemi:

Appartenenza. Dato un insieme X e un oggetto x, o x è un elemento

di X o non lo è. Nel primo caso diciamo che x appartiene a X (in sim-

boli: x ∈ X), nel secondo che x non appartiene a X (in simboli: x ∈ X).

Inclusione. Dati due insiemi X e Y, X è un sottoinsieme di Y (in sim-

boli: X ⊆ Y) se e soltanto se ogni elemento di X appartiene anche a Y. X

è eguale a Y (in simboli: X = Y) se e soltanto se X ⊆ Y e Y ⊆ X (per

negare che X è eguale a Y ci si serve della notazione: X ≠ Y). X è un sot-

toinsieme proprio di Y se e soltanto se X ⊆ Y e X ≠ Y.

Insieme vuoto. È l’insieme (denotato dal simbolo ∅ ) al quale non

appartiene nessun elemento. Diciamo invece che un insieme è non-vuoto

se e soltanto se X≠ ∅ .

Unione. L’unione di due insiemi X e Y è l’insieme di tutti gli elementi

che appartengono a X o a Y (in simboli: X ∪ Y).

Intersezione. L’intersezione di due insiemi X e Y è l’insieme di tutti

gli elementi che appartengono sia a X sia a Y (in simboli: X ∩ Y).

Complemento. II complemento di un insieme X in un insieme Y è l’in-

sieme di tutti gli elementi di Y che non appartengono a X (in simboli: X\Y).

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Funzione. Dati due insiemi X e Y, una funzione da X a Y è una rego-

la che assegna a ogni elemento di X (o argomento della funzione) un

unico elemento di Y (o valore della funzione per quell’argomento).

164 Nota terminologica

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168 Bibliografia

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Adeguatezza di una grammatica,18, 26, 54 esterna, 19, 21, 22, 24, 25, 31, 153interna, 19, 22-24, 153 Albero, 46 Alfabeto, 38 ausiliario, 41 terminale, 41 Algoritmo, 35 Ambiguità, 85, 97, 128, 140, 146,153 Analizzabilità, condizioni di, 55,62 Anomalia semantica, 85, 97Appartenenza, 163 Assioma, 38, 39 Autoinclusività, 48Automa, 37, 39, 41

Bar-Hillel Y., 103Base, 56, 64, 117, 118, 156, 157Bernays P., 160Bloomfield L., 71, 74, 75Buona-formazione, 37, 38, 42, 111,112, 126, 137, 142, 143, 157, 159

Carnap R., 147, 150, 155, 156,160, 161

Categoria grammaticale, 28, 43,45, 64, 116Categoriale, componente, 61Chomsky N., 9-11, 19-23, 25, 26,31, 32, 38, 45, 49-51, 54, 6065,70-72, 77, 82, 86, 94, 101, 105,109, 126, 132, 152-154, 157-161Church A., 143 tesi di, 36Commutatori, 122Competenza, 17, 18, 22, 27, 29,31, 99Complemento, 163Componente semantico, 55, 65,72, 78, 87Componente sintattico, 15, 55, 87Concatenazione, 38, 42Conseguenza diretta, 39Corpus, 16-21, 24, 158Coseriu E., 98

Davidson D., 143, 146Decidibile, insieme, 35-37, 53Decidibilità, 35-37Decomposizione lessicale, 134-136 Definizioni contestuali, 148-150 per induzione, 34, 35

Indice analitico

I numeri in neretto indicano le pagine in cui le nozioni elencate sonodefinite o particolarmente sviluppate.

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Derivazione, 32-40, 44, 46, 62, 117Descrizione strutturale, 19, 24, 45,46, 76, 114Descrizioni improprie, 147, 160 proprie, 147 teoria delle, 147, 150, 160Devianza, 26-31, 83, 84, 86Differenziatori, 79-81Dizionario, 78, 84, 87Dominanza, 47 immediata, 47

Enunciato, 21, 24-26, 38, 42, 98,142, 163nucleare, 76Esecuzione, 29, 32Espressione, 17, 20, 21, 25, 163

Fodor J. A., 72, 74, 75, 82, 83, 89, 96Forma logica, 130, 134, 140, 146,148, 150, 151Forma grammaticale, 140, 148,150, 151Formativa, 56, 64Frege G., 75, 118, 128, 147, 150,156, 160Funzione, 36, 164 caratteristica, 36 ricorsiva, 36

Generare, 21, 25, 26, 30, 32, 41, 42Generatore, 41Ginsburg S., 9Grammatica, 15, 16, 18, 19, 25,28, 37, 40, 41, 50, 128. a costituenti immediati, 45 generativa, 21, 32, 42 sintagmatica, 45, 142, 150 trasformazionale, 54

Grammaticalità, 16, 17, 21, 25-27,133, 157-159, 161Gross M., 9

Harris Z. S., 17, 20, 71Hilbert D., 160Hockett Ch. F., 20

Inclusione, 163Indicatori semantici, 79-82, 100, 101 sintattici, 79, 80Indicatore sintagmatico, 46, 76 costituente, 96 derivato, 76 derivato finale, 76 generalizzato, 56 matrice, 96 semanticamente interpretato, 89 sottostante, 76 terminale, 63Indicatore trasformazionale, 76, 77Indici referenziali, 109, 119, 120, 131Insieme vuoto, 163Interpretazione semantica, 65, 89,93, 96-98Intersezione, 163

Kaplan D., 146, 148-150Karttunen L., 131-132Katz J. J., 11, 72-78, 81-89, 96, 97,100, 101, 106, 118-120, 122, 125,137, 144, 154, 161, 162

Lakoff G., 86, 87, 105, 106, 113-115, 127-137Lentin A., 9Lessico, 57, 65, 84Letture, 80

170 Indice analitico

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amalgamazione delle, 88, 89 derivate, 85, 100Lewis D., 99, 133, 156, 160, 161Lingua, 16, 18-20, 34, 42 logicamente perfetta, 140, 145,148-151Linguaggio-oggetto, 138McCawley, J. D., 105, 107-109,111, 112, 116-127, 131, 133, 134,136, 137, 161, 162Metalinguaggio, 98, 99, 102, 103,138, 144Metateoria, 18Modello, 21, 26, 30Mondadori F., 156Mondi possibili, 133, 135Monoide, 50Montague R., 143Morris Ch., 69, 132

Nelson R. J., 9Nodo, 46, 118

Partee, B., 9Performativi, 122, 130, 131, 161Polisemia, 94Postal P., 72, 76, 81, 84, 87, 96, 97,100, 106Potere generativo, 53, 54Predicati semantici, 122, 125, 133 -136Presupposizione, 129Prova, 39, 40

Quine, W. V. O., 99, 100

Rappresentazione semantica, 79,80, 101, 102, 108, 112, 116, 118,122, 124, 126, 130 Regole della grammatica, 44, 45,

51, 57, 116, 128, 136 cicliche, 44 di autoinclusione, 29 di inclusione categoriale, 81, 101 di proiezione, 78, 87-89, 95, 96 di riscrittura, 39, 40, 51, 52, 61, 64 selettive, 157, 160 semantiche, 31 sintattiche, 31Regole di formazione, 116, 123Regole di inferenza, 38, 39Regole di interpretazione, 129,130Restrizioni derivazionali, 114,126, 129, 130Restrizioni selettive, 79, 85-87,111, 112Ricorsivamente enumerabile, insie-me, 37Ricorsività, 47, 48, 49Ross J. R., 86, 87, 106, 122Russell B., 108, 146-151, 156, 160Ruwet N., 9

Scott D., 143, 160Semantica, 69, 71-73, 139-144 generativa, 128 interpretativa, 70Seuren P., 103Simbolo atomico, 39 ausiliario, 40, 64 di confine, 56 fittizio, 56, 58, 96 iniziale, 42 non ricorsivo, 47 ricorsivo, 48 terminale, 41, 64Sintassi e semantica, 74, 82, 83,106, 107, 111, 116, 117, 123, 127,130, 152-155

Indice analitico 171

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Sistema formale, 28, 30, 37, 38Sistema semi-thuiano, 39Stenius E., 161Strawson P. F., 147, 150Stringa, 40, 42 ausiliaria, 41 mista, 41 pura, 41 terminata, 41, 65Struttura profonda, 22, 63-65, 106,113, 115, 145, 151, 156Struttura superficiale, 64, 65, 142,149, 150, 151Strutturalismo, 19, 21, 22Tarski A., 102, 138, 139, 141-145,156, 161Teorema, 39 terminale, 41Traduzione parziale non-ambigua,145, 146, 151Trasformazionale, componente, 56Trasformazionale, ciclo, 113Trasformazioni, 54, 55, 62, 114,115, 149-151, 153, 156, 157 di incastro, 96 di sostituzione, 61, 62 lessicali, 63prelessicali, 116, 121, 124, 125

rispettivamente, 108-110Trasformazioni, effetti semanticidelle, 95, 96Trasformazioni, ordine delle, 77Tratti sintattici, 57. Cfr. Indicatorisintatticicategoriali, 58 contestuali, 57, 58 di sottocategorizzazione stretta,58, 59 intrinseci, 57 selettivi, 58, 60

Unione, 163Universali del linguaggio, 21, 22

Valutazione delle grammatiche,18, 23, 24Verità, condizioni di, 135, 137, 140,141, 148, 150, 155-157, 160, 161Verità, definizione di, 138-140,146, 156, 161Vermazen B., 84, 100, 101Vero-funzionale, operatore, 75Vocabolario, 25, 56, 64Voci lessicali, 78, 79

Weinreich U., 84, 102

172 Indice analitico