Chomsky e Bickerton Tra psicolinguistica, mito e neuroscienze · 1.1 Due paradigmi a confronto Noam...

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 Permalink: http://www.neuroscienze.net/?p=1665  Chomsky e Bickerton  Tra  psicolinguistica, mito e neuroscienze Leonardo Caffo * 23 set, 2010 in Neuroscienze Prima Pagina Abstract Il paradigma di ricerca introdotto in linguistica da Noam Chomsky ha consacrato definitivamente questa scienza come una parte della psicologia cognitiva. L'idea della “modularità della mente” e del linguaggio come innato hanno caratterizzato gli studi sul linguaggio quasi imponendosi su gli altri orientamenti come Strutturalismo e Cognitivismo. Sulla scia dell'innatismo si muove anche Derek Bickerton che, come dimostrerò in questo saggio, modifica notevolmente l'originale approccio a questo orientamento di studio. Keywords: Chomsky; Bickerton; Psicolinguistica; * Dipartimento di Filosofia, Università degli studi di Milano. www.leonardocaffo.com

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 Permalink: http://www.neuroscienze.net/?p=1665 

Chomsky e Bickerton

 Tra  psicolinguistica, mito e neuroscienze

Leonardo Caffo*

23 set, 2010 in Neuroscienze, Prima Pagina

Abstract

Il   paradigma   di   ricerca   introdotto   in   linguistica   da   Noam   Chomsky   ha 

consacrato definitivamente questa  scienza come una parte della psicologia 

cognitiva. L'idea della “modularità della mente” e del linguaggio come innato 

hanno caratterizzato gli studi sul linguaggio quasi imponendosi su gli altri 

orientamenti come Strutturalismo e Cognitivismo. Sulla scia dell'innatismo si 

muove   anche   Derek   Bickerton   che,   come   dimostrerò   in   questo   saggio, 

modifica notevolmente l'originale approccio a questo orientamento di studio. 

Keywords: Chomsky; Bickerton; Psicolinguistica; 

*Dipartimento di Filosofia, Università degli studi di Milano. www.leonardocaffo.com

1.1 Due paradigmi a confronto

Noam Chomsky ha avuto il grande merito di intuire e poi corroborare la tesi 

secondo cui: “le nostre competenze linguistiche sono determinate da una “Grammatica 

Universale” innata, ovvero da uno schematismo generale, un sistema di categorie, regole e 

principi   che  governano   il   comportamento  di  ogni   lingua,   e   consentono  di  produrla  o 

generarla” (Paganini 2001 p. 344)

Il   linguista   Derek   Bickerton   ha   ottenuto   invece   risultati   che,   se   accettati, 

hanno   conseguenze   sorprendenti.   Il   passaggio   linguistico   dal   pidgin 

(protolinguaggi di contatto) al creolo (presunti  sviluppi spontanei a lingue 

molto potenti) e l’omogeneità strutturale delle diverse lingue creole nate da 

pidgin   diversi   non   si   spiegherebbero   se   non   esistesse   nell’uomo   una 

predisposizione biologicamente determinata che fornisce ad una lingua la sua 

forma e la sua struttura. 

Bickerton   parla   di   “Language   bioprogram   hypothesis”   (ipotesi   del 

programma biologico del linguaggio). Fino a questo punto si potrebbe vedere 

nei risultati di Bickerton una sostanziale conferma delle ipotesi di Chomsky, 

secondo   cui,   la   struttura   delle   diverse   lingue   non   varia   a   piacere   ma 

corrisponde ad un meccanismo unicamente determinato su base biologica.

Come evidenziato  dal   linguista  Andrea  Moro,   tuttavia,  “sarebbe  scorretto 

pensare   che   i   risultati   delle   ricerche   di   Bickerton   si   limitino   a   rafforzare 

quest’ipotesi” (Moro 2006 p. 139)

Bickerton propone sicuramente una visione compatibile con il modello dei 

“principi   e   parametri”   teorizzato   da   Chomsky,   ma   non   totalmente 

sovrapponibile.   Proprio   su   questa   divergenza   tra   le   due   tesi,   Bickerton, 

afferma che:

“La grammatica  universale  postulata  da Chomsky  è  un sistema  informatico  realizzato 

neurologicamente   che   mette   a   disposizione   del   bambino   un   certo   numero   di   modelli 

grammaticali tra i quali egli può selezionare quelli che corrispondono alla lingua del suo 

ambiente di origine. Gli studi sulle lingue creole suggeriscono che l’acquisizione di una 

prima   lingua   avviene   attraverso   l’intermediazione   di   un   sistema   innato   alquanto 

differente:   invece   di   mettere   a   diposizione   del   bambino   tutta   una   gamma  di   modelli 

grammaticali  egualmente possibili,   il  sistema può  essere provvisto di un solo modello, 

perfettamente  specificato.  Solo  nella  comunità  di   lingua pidgin,  dove non esiste  alcun 

modello grammaticale in grado di opporsi alla grammatica innata del bambino, questo 

modello non viene eliminato e si arricchisce invece del vocabolario locale per dar luogo 

alle lingue creole attuali” (  Bickerton 1999 pp. 111­112)

I   risultati  di  Bickerton  non  contraddicono  il   “programma” di  Chomsky;   i 

linguisti parlano di una “precisazione” ottenuta dallo studio sperimentale in 

luoghi come le Hawaii o il Nicaragua. 

Rimane tuttavia una fondamentale differenza, sottile e profonda allo stesso 

tempo: Chomsky attraverso i suoi studi ha affermato che nessuna lingua sia 

più semplice di un’altra, se infatti si assume che il linguaggio ha una matrice 

biologicamente determinata che senso avrebbe chiedersi  se esistono lingue 

più semplici di altre? Sarebbe come chiedersi se esistano individui in giro per 

il mondo con le labbra o le gambe più semplici rispetto alle nostre.

Bickerton   sostiene   invece   di   poter   affermare   attraverso   i   suoi   studi   che 

esistono  lingue più   semplici  di  altre  da acquisire  per  un bambino;  queste 

lingue sono quelle che in qualche modo seguono o somigliano per struttura al 

creolo,  quel  “creolo  astratto”  che  Bickerton  crede  sia   la   lingua  di  Babele, 

ovvero la prima e originaria lingua della specie umana.

1.2 Divergenze: Universali grammaticali vs Universali della Creolizzazione

Sia Chomsky che Bickerton pongono alla base delle loro rispettive scoperte 

una   teoria   degli   universali.   In   letteratura   si   parla     rispettivamente   della 

“Grammatica   Universale”   di   Chomsky   e   degli   “Universali   della 

Creolizzazione”   di   Bickerton.   Le   differenze   tra   le   due   impostazioni   sono 

facilmente evidenziabili. La “Grammatica Universale” di Chomsky ha come 

parte   integrante   un   numero   di   principi   e   di   parametri   che   regolano   la 

variabilità delle varie lingue naturali umane. La variabilità agisce sul lessico e 

su  tutta  una serie  di  elementi   fondamentali   come  l’ordine  delle  parole.   Il 

programma chomskyano è fondamentalmente uno studio di psicolinguistica, 

di   questa   branca   della   psicologia   usa   gli   strumenti,   tra   cui   è   risultata 

fondamentale la conoscenza del cervello grazie alla quale si è potuto rilevare 

che la scissione tra la sintassi e la semantica è mappata neurologicamente e 

che   la   linguistica   sta   sviluppando   con   il   tempo   un   modello   sempre   più 

isomorfo a quello cerebrale. 

Gli studi di Bickerton sono diversi, e lo sono profondamente. Chomsky ha 

esercitato la sua professione “dietro la scrivania” sviluppando le sue acute 

intuizioni dal 1957 sino ad oggi grazie all’aiuto di altri studiosi e dei moderni 

metodi della psicologia.

Bickerton lavorava e continua a lavorare “sul campo”, insegna alle Hawaii, 

dove   ha   potuto   costantemente   monitorare   lo   sviluppo   del   creolo   avendo 

modo giornalmente di effettuare empiricamente le sue ricerche. Lo studio di 

Bickerton è  stato ancor prima di  essere uno studio  linguistico,  uno studio 

antropologico, che ha indagato le origini storiche e culturali dei fenomeni che 

sono  poi  diventati   l’oggetto  d’analisi   fondamentale  delle   sue   ricerche.  Gli 

“Universali della Creolizzazione” (si veda Banfi e Grandi, 2008) sono risultato 

di costanti osservazioni del fenomeno di evoluzione dal pidgin al creolo in 

svariate   parti   del   mondo   e   sono   concettualmente   distanti   dal   modello 

sintattico­matematico proposto da Chomsky. 

1.3   Dalla   nascita   del   linguaggio   alla   Babele   delle   lingue:   due   approcci 

diversi

Sia Chomsky che Bickerton, attraverso le loro ricerche, cercano di risolvere 

uno dei più importanti enigmi filosofici della storia: Come ha avuto origine il 

linguaggio? Qual è stata la prima lingua dell’umanità?

In un certo   senso  entrambi  hanno dato  una  risposta  esaustiva  alla  prima 

domanda. Da Chomsky apprendiamo che il linguaggio è una facoltà innata 

alla specie umana, che lo è quanto respirare o camminare. 

“L’essere umano è cioè programmato a sviluppare il linguaggio, un po’ come i ragni sono 

programmati  a   tessere   tele  o gli  uccelli  a  cantare  nei  modi  specifici  della   loro  specie” 

(Napoli e Nespor 2004 p. 224 

Questa è stata una scoperta storica che ha segnato la fine di un’epoca, quella 

comportamentista,   per   aprirne   un’altra,   quella   innatista   che   è   tuttora   nel 

pieno del suo sviluppo e trova naturale sbocco nelle più  moderne branche 

della psicologica come le scienze cognitive e le neuroscienze.  Bickerton ha 

sostanzialmente   confermato  questo  dato  attraverso   i   suoi   studi,  ne   è  una 

prova il “Language bioprogram hypothesis” di cui si è fatto promotore.

Sulla seconda domanda però inizia un percorso che divide inesorabilmente i 

due   linguisti.   Chomsky   ha   sostanzialmente   sviato   questa   questione, 

sostenendo  che   tutte   le   lingue  naturali  umane  sono egualmente  potenti   e 

complesse, nessuna di queste infatti ha il diritto o l’onere di essere collegata 

in modo preferenziale con una lingua originaria della nostra specie. Bickerton 

invece formula una risposta a questa domanda motivandola attraverso dei 

dati che evidenziano come per un bambino sia più facile acquisire una lingua 

simile per struttura al creolo, che una che si distacchi da questa. 

1.4 Tra scienza e mito

Le   mitologie   di   molti   popoli   di   tutto   il   mondo   professano   la   fede   in 

un’origine comune di tutta l’umanità.

“Nella maggior parte di tali leggende è implicito (anche se solo di rado esplicitamente) che 

in un qualche tempo remoto tutti gli uomini parlassero un’unica lingua” (Dunbar 1996 

p.190)

Nel libro  Genesi  della  Bibbia, troviamo al capitolo 11 la narrazione di questa 

breve ma significativa storia:

“Allora tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Ora avvenne che, emigrando 

dall’oriente, gli uomini trovarono una pianura nella regione di Sennaar  e vi abitarono. Si 

dissero quindi gli  uni agli  altri:  ‘venite,  facciamo dei  mattoni e cuociamoli al  fuoco’.  Il  

mattone   servì   loro   da   pietra   e   il   bitume   servì   loro   da   calce.   Dissero   ancora:   ‘Venite, 

fabbrichiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo; facciamoci così un nome per 

non disperderci sulla faccia della terra’. Ora il Signore scese per vedere la città e la torre 

che i figli dell’uomo stavano costruendo, e il Signore disse: ‘Ecco, essi sono un popolo solo 

ed hanno tutti la medesima lingua; questo è l’inizio delle loro opere. Ora dunque non sarà 

precluso ad essi quanto è  venuto loro in mente di fare. Venite, scendiamo e proprio là 

confondiamo la loro lingua, perché non capiscano l’uno la lingua dell’altro’. Così il Signore 

di là li disperse sulla faccia di tutta la terra e cessarono di fabbricare la città, alla quale 

perciò fu dato  il nome di Babele, perché ivi il signore confuse la lingua di tutta la terra e di 

là il Signore li disperse sulla faccia di tutta la terra.”

Derek Bickerton ha attribuito molta importanza ai miti sulla lingua originaria 

dell’uomo. E' noto il riferimento che il linguista fa al faraone Psammetico e 

alla   sua   ostinazione   nel   voler   svelare   la   lingua   originaria   dell’uomo. 

Attraverso   le   odierne   tecniche   della   linguistica   e   grazie   agli   studi 

sperimentali sul fenomeno dei pidgin e dei creoli,  Bickerton sembra essere 

arrivato a grandi linee al modello astratto che costituiva la lingua di Babele 

prima della “punizione divina”

1.5 Conclusioni:

Credo,   che   l’argomento   “formazione  di   una  nuova   lingua”,   sia,  oltre   che 

argomento linguistico, argomento filosofico.  Noam Chomsky rende secondo 

me il  collegamento tra studio del   linguaggio,   filosofia,  etica e politica,  nel 

migliore dei modi:

“ Lo studio delle proprietà formali del linguaggio rivela qualcosa della natura umana in 

negativo: evidenzia cioè, con molta chiarezza, i limiti delle nostre capacità di comprendere 

quelle  qualità  della mente che,  per quanto ne sappiamo, appartengono solo agli  esseri 

umani e che devono far parte del loro patrimonio culturale in una maniera intima, pur se 

ancora non precisata” (Chomsky 1987 p. 216)

Lo studio delle facoltà innate della nostra specie, in questo caso specifico il 

linguaggio, si caratterizza come una profonda volontà di identificare la reale 

natura   dell’uomo.   Schelling,   Kant,   Rousseau,   Descartes   cercarono 

incessantemente   con   la   loro   filosofia   l’essenza   della   natura   umana   e   la 

coscienza   di   una   libertà   che   rende   l’uomo   profondamente   diverso   dalla 

“macchina”.   Rousseau   discusse   ampiamente   dell’origine   del   linguaggio, 

benché   si   dichiarò   poi   incapace   di   affrontare   il   problema   in   modo 

soddisfacente:

“Se   gli   uomini   hanno   avuto   bisogno   della   parola   per   imparare   a   pensare,   ben 

maggiormente hanno avuto bisogno di saper pensare per trovare l’arte della parola […] di  

guisa che è appena dato fare congetture sostenibili sull’origine dell’arte di   comunicare i 

propri pensieri e di stabilire rapporti fra le menti, arte sublime che è già tanto lontana dal 

suo principio”  (Rousseau 1984 p. 180)

Chomsky   è   la   naturale   evoluzione   di   questa   filosofia,   aiutata   nella 

contemporaneità,   dalle   moderne   tecniche   della   scienza.   Le   intuizioni   di 

Chomsky   sulle   origini  del   linguaggio,   sul   suo   funzionamento   e   sulle   sue 

principali caratteristiche sono state corroborate dalla scienza e da numerosi 

esperimenti, impensabili ai tempi di Rousseau. I progressi ottenuti nel campo 

della linguistica e della psicolinguistica grazie alla teoria della grammatica 

formale   non   sono   stati   di   facile   accettazione.   Abbandonare   anni   di   studi 

comportamentisti   rivoluzionando completamente  il  modo di   fare  ricerca  è 

stato per la comunità scientifica un duro lavoro. W. V. O. Quine, che in una 

prima   fase   della   sua   ricerca   tentò   di   lavorare   nel   quadro   degli   schemi 

skinneriani,   arrivò   a   definire   nell’ultima   fase   dei   suoi   studi   il 

comportamentismo semplicemente come l’insistenza sulla necessità che ogni 

congettura e conclusione sia alla fine verificata con l’osservazione, rifiutando 

il   “behaviorismo”   come   dottrina   autosufficiente,   che   ha   svolto   in   passato 

un’importante   funzione,   ma   che   ormai   impone   soltanto   delle   limitazioni 

arbitrarie.

Bickerton,   a   mio   modo   di   vedere,   rappresenta   quella   volontà   filosofica   a 

spingersi oltre i propri limiti; questo perché  il motivo dominante delle sue 

ricerche   nasce   dall’esigenza   di   rispondere   ad   un   quesito   che   sembra 

trascendere gli elementi empirici che sono a sua disposizione. La domanda 

che guida Bickerton durante tutto il suo percorso è, infatti, quella che cerca di 

capire quale possa essere la lingua originaria dell’umanità. 

Domandarselo   non   è   meno   arduo   che   cercare   di   capire   come   sia   nato 

l’universo. Oggi “la babele delle lingue” è ai suoi massimi storici. I linguisti 

hanno individuato circa 6700 lingue sparse in varie parti del mondo, capire 

quale sia quella originaria, sembrerebbe impossibile. Le circostanze storiche 

riguardanti pidgin e creoli hanno però  reso più  semplice questo compito e 

Bickerton sembra essersi avvicinato alla soluzione. I dati raccolti dal linguista 

durante i suoi anni di ricerca sembrano essere compatibili con l’idea che la 

lingua originaria dell’uomo sia il “creolo astratto”. 

Se   Chomsky   ha   veramente   ragione   la   facoltà   del   linguaggio   è   una   dote 

innata, dunque, perché non potrebbe esserlo anche una lingua “astratta”?

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