SINODO - Diocesi di Verona · La percezione della situazione attuale 2. La storia recente della...

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1 DIOCESI DI VERONA SINODO SINODO SINODO SINODO Che cosa cercate? Verona 2002-2005

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DIOCESI DI VERONA

SINODOSINODOSINODOSINODO Che cosa cercate?

Verona 2002-2005

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Sigle utilizzate

AA = CONCILIO VATICANO II, Decreto Apostolicam actuositatem (18

novembre 1965)

CA = GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus annus (1 maggio 1991)

CCC = Catechismo della Chiesa Cattolica (11 ottobre 1992)

CDC = Codice di Diritto Canonico (25 gennaio 1983)

CEI = Conferenza Episcopale Italiana

ChL = GIOVANNI PAOLO II, Esortazione post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988)

CVMC = CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA , Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000 (29 giugno 2001)

DeA = PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO, Dialogo e annuncio (19 maggio 1991)

DH = CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Dignitatis humanae (7 dicembre 1965)

DV = CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Dei Verbum (18 novembre 1965)

FC = GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio (22 novembre 1981)

GE = CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Gravissimum educationis (28 ottobre 1965)

GS = CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et spes (7 dicembre 1965)

LG = CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium (21 novembre 1964)

NA = CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Nostra aetate (28 ottobre 1965)

NMI = GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001)

RH = GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptor hominis (4 marzo 1979)

SC = CONCILIO VATICANO II, Costituzione Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963)

SRS = GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987)

UUS = GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995)

VC = GIOVANNI PAOLO II, Esortazione post-sinodale Vita consecrata (25 marzo 1996)

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VMP = CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA , Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (30 maggio 2004)

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INDICE Decreto di promulgazione Introduzione: In cammino verso il Signore Risorto Parte Prima: LA MEMORIA DEL CAMMINO Le motivazioni del Sinodo Le tappe del cammino La peculiarità dell’esperienza sinodale Parte Seconda: ELABORATI SUGLI AMBITI SINODALI

• CORRESPONSABILITÀ E PARTECIPAZIONE NELLA CHIESA PREMESSA A. I PUNTI DI RIFERIMENTO

1. La percezione della situazione attuale 2. La storia recente della Chiesa veronese 3. Il cammino della Chiesa a partire dal Concilio Vaticano II

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

1. Riscoprire i motivi e i presupposti della corresponsabilità 2. Ritornare e ripartire da ciò che sta al centro 3. Rinnovare le strutture pastorali 4. Assumere gli atteggiamenti della corresponsabilità

C. LE SCELTE DA OPERARE

1. Mettere al centro la cura per la Parola e l’Eucaristia 2. Dare impulso alla formazione 3. Rivedere la forma concreta della ministerialità 4. Verificare le strutture di partecipazione

• LA FAMIGLIA

PREMESSA

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A. I PUNTI DI RIFERIMENTO 1. La percezione della situazione attuale 2. La storia recente della Chiesa veronese 3. In sintonia con la Chiesa universale

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

1. Tenere in risalto i riferimenti cardine del Vangelo per la famiglia 2. Leggere le situazioni partendo dal positivo 3. Vigilare circa il nostro linguaggio 4. Annunciare assumendo lo stile dell’accompagnamento

C. LE SCELTE DA OPERARE

1. La famiglia va riconosciuta come luogo ove urge una nuova sintesi tra fede e vita 2. La pastorale familiare è chiamata a diventare cura della spiritualità familiare 3. La pastorale familiare è chiamata ad esplicarsi in una articolata azione formativa 4. La pastorale familiare è chiamata a farsi accompagnamento nel cammino 5. La pastorale familiare deve dare impulso alla elaborazione di stili di vita 6. La pastorale familiare chiede di ridisegnare la struttura della pastorale

parrocchiale

• I GIOVANI

PREMESSA A. I PUNTI DI RIFERIMENTO: LE ISTANZE DEL MONDO GIOVANILE

1. Un mondo variegato e complesso 2. La cultura dell’apparire 3. Il contesto socio-culturale veronese 4. La domanda di senso: la ricerca della propria identità 5. La religiosità dei giovani: il pluralismo delle scelte religiose

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI 1. Educare educandosi 2. Uno stile di Chiesa che sull’esempio di Gesù:

- è sempre aperta e disponibile ad accogliere - cammina insieme - promuove e condivide la ricerca di senso - serve e si fa discepola della Parola - vive la relazione - si fonda sulla testimonianza, la coerenza e l’autenticità

C. LE SCELTE DA OPERARE 1. Una comunità che ascolta e accoglie

- I giovani manifestano voglia di vivere e di stare assieme - I giovani abitano luoghi diversi dalla Chiesa

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2. Una comunità che celebra e annuncia - I giovani sono disorientati e cercano un senso profondo della loro vita - I giovani hanno abbandonato la Chiesa, ma hanno ancora sete di

“interiorità-essenzialità-spiritualità”

3. Una comunità che testimonia - I giovani hanno voglia di autenticità - I giovani vogliono incontrare una comunità credibile per poter essere

credibili

• I MONDI DEL DISAGIO

PREMESSA A. I punti di riferimento

1. Il disagio ci interpella 2. L’orizzonte di riferimento: Vangelo della carità

- Motivazioni bibliche - Indicazioni ecclesiali

3. L’esperienza della Chiesa di Verona

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

C. LE SCELTE DA OPERARE

• DIALOGO E ANNUNCIO NELLA PLURALITÀ CULTURALE , SOCIALE E RELIGIOSA PREMESSA

A. I PUNTI DI RIFERIMENTO

1. Un dato che emerge e interpella la nostra Diocesi: il pluralismo 2. La storia della Chiesa che è in Verona

- Il percorso missionario - Il percorso ecumenico

3. La struttura dialogica della persona e la sua valorizzazione nella prospettiva biblica

4. Una Chiesa che dialoga e annuncia: il rinnovamento conciliare 5. Gli ambiti del dialogo e dell’annuncio

- L’ambito intraecclesiale - Dialogo e annuncio ai cristiani “della soglia”, agli indifferenti, ai

ricomincianti, ai non praticanti - L’ambito ecumenico - L’ambito interreligioso - Il dialogo con i non credenti

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- Ambito culturale e interculturale, sociale e politico per costruire la “città”

6. Le strutture di dialogo e annuncio

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI 1. Primato della Parola e conversione a Cristo 2. La Chiesa sulle orme del suo Maestro e Signore 3. Condivisione, dialogo e annuncio

C. LE SCELTE DA OPERARE 1. Lasciarsi interpellare da un contesto plurale 2. Curare la formazione in vista dell’annuncio 3. Spazi per il dialogo e l’annuncio

Parte Terza: IL VOLTO DI CHIESA CHE EMERGE DALL’ESPERIENZA SIN ODALE

1. Una Chiesa discepola 2. Una Chiesa sinodale 3. Una Chiesa compagna di viaggio 4. Una Chiesa testimone: estroversa e solidale

Parte Quarta: QUATTRO VIE PER RINNOVARE LA PASTORALE DISCERNIMENTO E SCELTE PER UNA RINNOVATA AZIONE PASTORALE

Finalità Destinatari 1. Per essere una Chiesa discepola 2. Per essere una Chiesa sinodale 3. Per essere una Chiesa compagna di viaggio 4. Per essere una Chiesa testimone: estroversa e solidale

Conclusione: Maria, discepola e madre del Signore, nostra compagna di viaggio Indice tematico

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DECRETO DI PROMULGAZIONE Lo Spirito Santo, che abbiamo invocato nella Veglia di Pentecoste dell’anno 2002 convocando il

Sinodo diocesano della Chiesa di Verona, ci ha amorevolmente guidato e condotto al suo felice compimento, che celebriamo in questa Veglia di Pentecoste nell’anno del Signore 2005.

La proposta iniziale, che ho formulato durante l’anno del Giubileo, nasceva dalla consapevolezza che l’inizio del terzo millennio doveva rappresentare per la nostra Chiesa un momento di profonda riflessione e di rinnovato impegno che, partendo dall’ascolto della Parola di Dio e del vissuto delle donne e degli uomini del nostro tempo, ci conducesse a riscoprire la nostra identità di credenti per essere in grado di annunciare il Vangelo con parole cariche di verità e di speranza.

È iniziato un cammino intenso e fecondo che, attraverso le fasi successive della consultazione e delle proposte, sostenuto costantemente dalla preghiera, ha felicemente coinvolto tutte le realtà della nostra Chiesa, reso ancora più significativo dal prezioso contributo proveniente dalle comunità ecclesiali di altra confessione cristiana.

Precisati gli ambiti della riflessione, ottenuto il parere favorevole unanime del Consiglio presbiterale, ho convocato l’Assemblea Sinodale che nelle numerose sessioni di lavoro da me tutte personalmente presiedute, sempre caratterizzate dal dialogo rispettoso e dal confronto sincero, ha offerto, valorizzando le molteplici e diverse sensibilità, una immagine esemplare di comunione fraterna e di fattiva corresponsabilità ecclesiale.

Dopo il voto ampiamente favorevole dell’Assemblea, nel contesto della celebrazione conclusiva dei lavori sinodali che ho presieduto nella Basilica del nostro patrono San Zeno il 13 febbraio del corrente anno, è stato consegnato nelle mie mani il testo approvato.

Ora, dopo aver attentamente esaminato e personalmente rivisto alla luce della Parola di Dio, del Magistero e della disciplina della Chiesa i testi elaborati dall’Assemblea Sinodale, in virtù della mia autorità di Vescovo di Verona,

promulgo

il Libro del Sinodo e dispongo che sia pubblicato perché costituisca punto di riferimento necessario e norma pastorale obbligante nella vita e nella missione della Chiesa di Verona.

Affinché sia debitamente conosciuto, intensamente meditato e diligentemente tradotto nelle scelte pastorali di ogni realtà diocesana, dispongo che le indicazioni normative del Libro Sinodale entrino in vigore dall’8 settembre del corrente anno 2005, Festa della Madonna del Popolo e Natività della Beata Vergine Maria, quale invito a rinascere, con volto nuovo, come Chiesa che è in Verona.

Affido alla Vergine Maria, madre di Dio e madre della Chiesa, che veneriamo col titolo di Madonna del Popolo, affido a San Zeno e a tutti i santi e beati che hanno reso feconda di fede e di carità la nostra terra, le attese e le speranze dei credenti e di tutti gli uomini e donne di buona volontà, affinché all’anelito che portiamo nel cuore e che affiora nella domanda rivolta da Gesù ai suoi primi discepoli: “Che cosa cercate?”, ciascuno di noi possa trovare una risposta nell’invito di Maria: “Fate quello che vi dirà”. Dalla Cattedrale di Verona, 14 maggio 2005 Vigilia della solennità di Pentecoste.

� P. Flavio Roberto Carraro

Vescovo

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L’amore del Padre ci riunisce per confessare che Gesù è il Signore. La forza del suo Spirito ci pone in ascolto della sua Parola per celebrare nell’oggi della storia tramite il servizio dei fratelli la ricchezza della sua grazia. A Lui solo la gloria, perché venga la sua pace tra gli uomini fino ai confini della terra e per sempre.

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IN CAMMINO VERSO IL SIGNORE RISORTO

[immagine]

11 Maria era rimasta presso il sepolcro, fuori, in pianto. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli biancovestiti, seduti: uno in corrispondenza del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’abbiano posto». 14 Detto ciò, si voltò indietro, e vide Gesù che stava lì, ma non sapeva che era Gesù. 15 Egli le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Quella, pensando che fosse l’ortolano, rispose: «Signore, se lo hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». 16 Le disse Gesù: «Maria!». Quella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» (che significa «maestro»). 17 Gesù le disse: «Smettila di trattenermi! Non sono ancora salito al Padre. Va’ piuttosto dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre MIO e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”». 18

Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore», e quanto le aveva detto.

(Gv 20,11-18)

Carissime Sorelle e Fratelli della Chiesa di san Zeno, Pace e bene! «Che cosa cercate?». La domanda che apre il vangelo di Giovanni, rimbalza come una eco sulla conclusione: posta all’inizio ai due discepoli (1,38), ritorna – grazie agli angeli e per voce del misterioso giardiniere – a soccorrere la ricerca smarrita di Maria di Magdala (20,13.15). Il cercare inaugura e conclude il vangelo e con ciò marca profondamente l’atteggiamento del credente – la donna nel testo – attivandone il cuore a riconoscere, nel Gesù cercato, il Risorto che per primo la trova pronunciando il suo nome. Maria, Lui – Rabbunì, lei segnalano un ordine che non si può scambiare (20,16): a trovarci per primo è sempre il Risorto, per quanto sia appassionato il nostro cercare. La Chiesa di Verona ha fatto profonda esperienza della ricerca, ponendola a criterio del Sinodo: «è risuonata come appello a fermarsi e a rimettersi in ascolto delle domande, dei vissuti, delle speranze che ci animano,… a riscoprire l’essenziale di tutto il nostro indaffarato lavoro pastorale e ciò che sta al cuore delle nostre relazioni ecclesiali»1. Prima di addentrarci nella lettura del Libro Sinodale chiediamo compagnia e aiuto ad una donna, Maria di Magdala, che Giovanni ci presenta come la prima annunciatrice della Pasqua. Vorrebbe essere figura e promessa per la Chiesa veronese che nel cammino sinodale ha riscoperto il volto luminoso del Risorto e ne ha ricevuto mandato perché sia annunciato «ai suoi fratelli» (20,17).

1 Libro Sinodale, 3.

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Dal buio della notte al grido radioso «Ho visto il Signore!» il cammino non è breve, né agevole. Giovanni lo scandisce con precisione disegnando nella parabola descritta da Maria il progressivo affinarsi della fede pasquale. Ripercorrendone i passi ci reintroduciamo nell’autenticità del nostro credere. Ne assumiamo la parabola interiore come criterio di lettura della nostra vita e del nostro servizio ecclesiale.

1. Alla ricerca di un cadavere: il passato che non può tornare Nel capitolo XX del suo vangelo Giovanni, raccontando delle apparizioni del Risorto, traccia l’itinerario con cui si accede alla fede pasquale. In tale contesto Maria Maddalena è figura di spicco perché è la prima cui appare il Signore risuscitato e che assume l’incarico dell’annuncio pasquale. Di lei i vangeli sono parchi di notizie. Una cosa però è certa: non si tratta di una donna che era stata moralmente cattiva, ma gravemente malata2. La gratitudine per la vita ritrovata diede il via al suo stare con Gesù fino a riconoscere in Lui il suo maestro, così difatti lo chiama alla tomba: «Rabbunì» (20,16). Ma tutta la stima, l’affetto e l’amore che nutriva per il Nazareno si schiantarono sotto la croce. Con la madre di Gesù anche lei era presente alla morte straziante (19,25) e nella tomba, assieme al crocifisso, fu sepolta tutta la bellezza e l’intensità di un’esperienza: non restava che il vuoto e la nostalgia di una memoria ormai cristallizzata e consegnata alla forza usurante degli anni. È con questi sentimenti che lei, la mattina di Pasqua, torna a far visita al sepolcro. A differenza dei discepoli, non torna a casa, ma resta ostinatamente alla tomba, da sola (20,10-11). L’insistente presenza segnala fin da subito il profondo attaccamento a Gesù. Il suo pianto scandisce quasi per intero l’episodio3. E – interpellata dagli angeli – descrive il Signore come «suo». Non si tratta di un riferimento generico, ma di un’attestazione di profondo coinvolgimento personale che però non le evita un doloroso equivoco. La sua ricerca si proietta tutta sul passato, su un’esperienza bella, ricca ed intensa, ma ormai del tutto inaccessibile, se non attraverso il rimpianto per l’amico scomparso. Difatti appena dopo si fa avanti, affermando «non so dove lo hanno messo… io andrò a prenderlo» (20,13.15): Gesù, ridotto all’impotenza dalla morte, slitta sempre più – nella percezione della donna – verso l’identificazione con un oggetto. Per quanto prezioso, non è più capace di relazione: tutto sembra dipendere dalla buona volontà e dal desiderio di protezione. Nell’orizzonte di quella mattina di Pasqua ancora non sorge il sospetto che Gesù sia Risorto; la prospettiva troppo angusta di Maria le vieta ancora di accorgersene. Ha bisogno di un cambiamento che Giovanni descrive con molta perizia, come vedremo tra poco. La condizione di Maria al sepolcro si avvicina sorprendentemente alla nostra situazione ecclesiale, sospesa tra un passato segnato profondamente dalla fede ed un presente in cui sono vistose le angustie a cui è costretta la parola evangelica e la pratica che da essa deriva. Come Maddalena, è l’amore che ci spinge ad interessarci di Gesù. Anche noi come lei, sia a livello personale che comunitario, abbiamo sperimentato la ricchezza della sua compagnia, la gioia consolante della sua presenza, e l’incoraggiante fermezza della sua parola. Ricordi, esperienze, attese… la nostra storia è marcata profondamente dalla coscienza della salvezza donataci e ad essa si ripensa volentieri. Tuttavia il ricordo è venato di tristezza. Non che sia venuto meno il fervore che animava le nostre parrocchie, anzi! Però le attività comunitarie, la vita liturgica e spirituale, il servizio dell’annuncio, gli impegni pastorali, l’esercizio della carità sia a livello parrocchiale che

2 Cf Lc 8,2. 3 Due volte al v. 11 e poi ai vv. 13 e 15.

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vicariale e diocesano segnano il passo. Si fanno via via più faticosi, senza concedere in cambio grandi soddisfazioni e apprezzabili ritorni. Quello che prima era orizzonte condiviso è riassorbito nell’indistinto mare delle opinioni, dove senso comune significa prospettiva di ognuno. L’accendersi di tante luci non ci allontana dalle ombre di quel primo mattino di Pasqua, perché in questo prorompente sfavillio il Vangelo e la fede rischiano di essere ridotti al rango di un ulteriore neon. Un altro ancora tra i tanti che gettano luce sulle piazze dove viviamo. Di fronte a ciò emerge lusinghiero ma non meno pericoloso il rischio di fuggire nel passato e di cristallizzare i bei ricordi. In definitiva di assumere l’atteggiamento con cui Maria Maddalena s’è recata al sepolcro: cercare una tomba su cui piangere e non il Vivente con cui camminare.

2. Dal rimpianto alla disponibilità: la ricerca ria ttivata A partire dal doloroso rimpianto, Giovanni descrive il percorso che conduce progressivamente Maddalena a cambiare atteggiamento. Un gesto segna il primo passo di disponibilità: pur piangente, «si china verso il sepolcro» (20,11) e così inizia a sottrarsi alla rigidità della prospettiva senza speranza. Il risultato è quello di vedere «due angeli vestiti di bianco» (20,12) che stanno al posto del luogo dov’era il cadavere di Gesù: sono segno del divino che irrompe nel luogo della morte e getta la sua luce, nel rivolgersi a Maria: «Donna, per cosa piangi?» (20,13a). Il tenore della domanda mette a nudo la posizione errata della ricerca: lei sta piangendo per una cosa. Finché si ostina a ritenere Gesù un fatto del passato, solo una memoria ormai non più attingibile, non potrà incontrarlo, non potrà accedere alla fede pasquale. Un secondo movimento, «si girò indietro» (20,14), segnala l’ulteriore approfondimento della comprensione. Maria sta guardando verso la tomba, ma Gesù sta dietro di lei: da dov’era il cadavere non può venire nessuna risposta alle sue attese. Occorre abbandonare il rimpianto. Ma il suo sguardo è ancora troppo legato al passato e necessita di un ulteriore aiuto per andare più in profondità; ancora non sa riconoscere il Risorto che scambia per il custode, la presenza più ovvia visto il giardino dov’era la tomba. Gesù stesso prende ora l’iniziativa, precisando la domanda precedente: «donna per cosa piangi, chi cerchi?» (20,15) . Vi è ancora una persona che si può cercare, e non un caro ricordo da custodire. Egli è vivo e presente, è effettivamente un «chi», che Maria – per quanto animata da intenzioni buone e protettive – non può ridurre ad oggetto di custodia. In tutti i vangeli ricorre il motivo del fraintendimento del Risorto. Non si tratta di un espediente per drammatizzare l’incontro, ma per descrivere il Risorto: non è la riproduzione del Gesù terreno, ma neppure la sua smentita. C’è un’assoluta novità tra il prima e il dopo, eppure resta un’ineliminabile continuità con il Maestro di Nazaret. Egli è vicino, ma resta inaccessibile all’intelligenza dei discepoli, se non viene loro incontro e si rivela. Difatti solo quando il Signore la chiama per nome – Maria – lei lo riconosce (20,16). Le parti si sono invertite: lei ha cercato Gesù, ma è stato lui a trovarla. Ancora un’indicazione circostanziale: Maria «si volta». Non si tratta solo di un volgersi fisico, né solo affettivo, ma cognitivo: va incontro a Gesù perché finalmente lo riconosce. È difficile riconoscere il Risorto! Lo si può addirittura scambiare per un agricoltore; una presenza dimessa, scontata e per nulla sorprendente nel giardino della tomba. Da notare però una cosa essenziale. Il Risorto non gioca a nascondino con Maria. La confusione in cui lei cade, scambiandolo con il giardiniere, non è dovuta ad un mascheramento malizioso da parte di Gesù. Ma alla sua condizione glorificata, la cui novità rimette in discussione ogni soluzione mondana, in quanto apre uno spazio inaspettato all’iniziativa di Dio. Il Risorto si trova dietro Maria, cioè in posizione diametralmente opposta alla custodia

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sepolcrale. Arrivata lì, Maddalena non può che andare altrove! La sua ricerca è scandita da segni – la tomba vuota, le parole degli angeli, la richiesta del giardiniere – che le permettono di disporsi nuovamente alla relazione con il Signore; ma prima deve staccarsi dal rimpianto, ultima risorsa per conservare l’esperienza passata, ma anche ostacolo per convertirsi all’azione sorprendente di Dio. Talvolta la nostra Chiesa, come Maria, arriva al sepolcro irrigidita nella sua memoria, fasciata dal suo rimpianto. A queste condizioni non può trovare e riconoscere il Risorto; non resta che accettare la sfida della ricerca, il rischio di abbandonare posizioni note, ma ormai inefficaci a penetrare la novità della Pasqua. È innegabile: lo spazio aperto dall’inatteso ci sconcerta, perché toglie sicurezza, avvicinandosi pericolosamente al vuoto. Ci fanno paura le chiese quasi desolate, il disinteresse diffuso al Vangelo e l’apparente mancanza di spiragli per poterlo annunciare… Tuttavia il racconto insiste: non cosa si rimpiange, ma chi si cerca. La vita delle nostre comunità e più in generale della gente che vive a Verona, è lo spazio in cui il Risorto manifesta i segni della sua presenza. Non è facile riconoscerlo, perché sorprende le nostre attese e le nostre sicurezze. In questo spazio aperto, che per certi versi fa paura, lo Spirito del Signore non ci vuole ripiegati sul passato, ma disposti a ricercare i segni sempre nuovi della Sua presenza. E la nostra Chiesa cercando “fuori”, nello spazio lasciato aperto dalla Risurrezione, per la forza dello Spirito è in grado di trovare ciò che è proprio della sua identità più profonda: quando incontra l’umanità, incontra il Figlio di Dio divenuto umano, che la chiama per nome4.

3. Il riconoscimento che diventa impegno: la missione ecclesiale Maria ha finalmente riconosciuto il Risorto, ma il racconto ancora non si ferma. L’obbedienza della fede richiede un’ulteriore conversione per riformulare l’immagine di Gesù ed essere in grado di annunciarlo. «Rabbunì – maestro mio», è la forma diminutiva del più usuale rabbì e in quanto tale richiama familiarità e consuetudine. Però la prospettiva che sottende è proiettata ancora sul passato, sul ministero di Gesù, che Maria ben conosceva a motivo della sua lunga frequentazione5. Lo ha sì riconosciuto, ma sembra pensare che egli sia ritornato quello di prima: resta invincibilmente legata alla sua esperienza passata. Il Risorto interviene nuovamente con un secco richiamo: «Smettila di trattenermi!»6. Il fatto che il testo non descriva un gesto di Maddalena, ma lo lasci sotteso, ci invita a ritenere le parole del Signore più rivolte ad un atteggiamento interiore che a una reazione esteriore. Maria deve prendere coscienza dell’assoluta novità della condizione di Gesù: egli viene dall’alto e all’alto, cioè al Padre, ritorna. Grazie alla Risurrezione ora è del tutto chiaro che egli è di lassù. Maria e poi i discepoli non devono equivocare circa questa condizione del Signore che torna al Padre suo. Il Risorto, in quanto gode pienamente della comunione con il Padre, è al di sopra di ogni pretesa di esclusiva: in lui l’accesso a Dio è garantito gratuitamente a tutti, e di questo i discepoli sono costituiti testimoni. La controprova di questa apertura, che si sottrae ad ogni manipolazione, sta nel «Padre vostro» che segue immediatamente e fonda la radicale uguaglianza della fraternità nella glorificazione del Figlio.

4 «Quest’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la

prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’incarnazione e della redenzione» (RH 14).

5 Cf Mc 15,40-41. 6 Gv 20,17. Nel testo greco troviamo un imperativo presente negativo, il cui significato indica non tanto che

un’azione non dev’essere intrapresa, quanto piuttosto che un’azione già iniziata (ecco il presente) deve cessare.

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Il Risorto dischiude così a Maddalena il senso del Mistero Pasquale. Finalmente lei ha compreso che essendo egli di lassù non è più riducibile a fatto del passato, ma è presenza viva ed efficace. Non lo si può trattenere, né ridurre a possesso manipolabile, ma va riconosciuto come Signore che apre alla comunione con il Padre, fonda la vita fraterna della comunità, anima di amore l’attesa del suo ritorno. Solo quando Maria smette di trattenerlo, diventa capace della missione: «ho visto il Signore» (20,18). D’ora in avanti non sarà più solamente il suo signore… Quante cose abbiamo imparato, sin da bambini, del nostro Signore. Possiamo veramente condividere l’esclamazione di Maria, Rabbunì! Con il passare degli anni si è formata nel nostro cuore l’immagine del Signore Gesù, che la fede di tanti fratelli e sorelle ci ha insegnato con la parola e l’esempio. Quest’immagine ci ha consolato nei momenti di dolore, ha infuso coraggio nella fatica, ha moltiplicato la gioia della festa. Non lo possiamo negare: al nostro Dio siamo molto affezionati, e a ragione. Tuttavia proprio perché lo riconosciamo come Signore e Dio, che immensamente ci supera e ci sorprende, non possiamo pensare di trattenerlo. Tutte le strategie pastorali e le formulazioni di fede, la vita liturgica e l’esercizio della carità hanno un unico scopo: garantire che nulla nasconda la sua paternità. E l’efficacia di tale compito sta nella fraternità cui ci spinge lo Spirito del Risorto. Il Sinodo non vuole essere altro che la disponibilità a rimetterci in ascolto della sua Parola e dei segni che il suo Spirito pone nella nostra storia. Non abbiamo altra strategia che lasciarci sorprendere, ancora una volta, dal Signore Gesù, che ci trova e pronuncia il nostro nome là dove noi viviamo, assieme alle sorelle e ai fratelli. Su questa via dell’obbedienza della fede ci accompagni Maria, la Madre del Signore7, che ha ascoltato la Parola meditandola assiduamente nel suo cuore8, affinché ci lasciamo a nostra volta condurre dal Signore, «progredendo continuamente nella fede, nella speranza e nella carità e in ogni cosa cercando e seguendo la divina volontà»9.

7 LG 58; GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris Mater, 12-19. 8 Cf Lc 2,19. 9 LG 65.

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Parte prima

LA MEMORIA DEL CAMMINO

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L E MOTIVAZIONI DEL SINODO

1 La proposta di celebrare un Sinodo diocesano è maturata durante l’anno giubilare del 2000. L’idea ha incontrato subito reazioni diverse: sorpresa, perplessità, entusiasmo… Oltre alla gioia di incamminarsi in un percorso nuovo, molti esprimevano dubbi e timori rispetto a un cammino così impegnativo e complesso. Le incertezze sono state vinte perché progressivamente si è convenuti sulla necessità di porre mano a una seria riflessione e verifica sulla vita della nostra Chiesa. 2 Le motivazioni del Sinodo sono state trovate nella consapevolezza che il tempo di cambiamento in cui viviamo ci sollecita a riscoprire le ragioni evangeliche della nostra vita. Ciò è parso ancora più urgente a motivo della distanza che, sempre più, si misura tra le forme e le strutture della vita ecclesiale e l’attuale contesto socio-culturale. Molte delle nostre abituali proposte pastorali presuppongono, infatti, un mondo di “cristianità diffusa” che non c’è più. Nello stesso tempo, anche all’interno della vita ecclesiale sperimentiamo le fatiche della comunicazione e della comunione, la stanchezza e il logoramento delle forze pastorali già impegnate in molteplici attività e pressate da nuove urgenze. 3 Di fronte a tutte queste problematiche, ci siamo rispecchiati nella condizione dei primi discepoli, ai quali Gesù ha rivolto la domanda: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Queste parole, nella loro semplicità, hanno la forza di provocare un cammino fecondo di conversione e rinnovamento. La domanda di Gesù, riproposta alla nostra Chiesa veronese, è risuonata come un appello a fermarsi e a rimettersi in ascolto delle domande, dei vissuti, delle speranze che ci animano; nello stesso tempo è diventata un appello a riscoprire l’essenziale di tutto il nostro indaffarato lavoro pastorale e ciò che sta al cuore delle nostre relazioni ecclesiali. Si tratta di mettersi in ascolto della vita cercando la sintonia con la Parola che Dio continuamente rivolge alla sua Chiesa. 4 La sincerità di questo atteggiamento ci ha messo nella disponibilità di proporre e di condividere la stessa domanda con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, con i quali abbiamo in comune gli stessi bisogni e le stesse fatiche che appartengono alla nostra società. Potremmo riformulare, per noi e per tutti, la domanda di Gesù in questi termini: «Che cosa cercate per il futuro di questa Chiesa? Che cosa cercate per rispondere alle domande di senso sulla vita e, prima ancora, per suscitarle?». Molte persone attendono un annuncio e una testimonianza che venga incontro a queste questioni esistenziali (non sempre manifestate esplicitamente); per loro e per noi siamo chiamati a offrire percorsi di primo annuncio e di formazione ad una fede matura e propositiva. 5 Si è aperto così un cammino promettente e impegnativo, possibile solo con l’aiuto dello Spirito del Risorto; un cammino percorribile da una comunità disposta a mettersi in gioco in tutte le sue espressioni e a rischiare sulla Parola del Signore. Il compito indicato dal Vescovo per il cammino sinodale comprendeva tre atteggiamenti fondamentali: l’ascolto, l’autenticità e l’annuncio. Infatti, solo una comunità disposta a porsi in ascolto della Parola di Dio e delle molteplici parole, dei vissuti delle persone, preoccupata innanzitutto di diventare lei stessa autentica, cioè di riscoprire la propria identità, sarà in grado di comunicare il Vangelo con parole significative per gli uomini e le donne del nostro tempo. Questi tre aspetti, presi insieme e non isolatamente, mostrano la credibilità della nostra fede. Solo così, infatti, è possibile offrire e indicare percorsi

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che non si confondono con delle semplici strategie operative, ma si qualificano come testimonianza e annuncio che Gesù è il Signore di tutti e che in nessun altro nome c’è salvezza10.

L E TAPPE DEL CAMMINO

6 Le stesse ragioni che hanno portato a proporre un Sinodo hanno dato avvio ad un processo ricco e articolato. Le diverse fasi del cammino sinodale hanno consentito di coinvolgere, in modi diversi, tutte le realtà diocesane in una esperienza di ascolto, riflessione, proposta che costituisce uno dei frutti più significativi del percorso fatto. Ricordare il cammino nelle sue diverse fasi non è perciò solo rimando alla cronaca degli eventi, ma è parte integrante di ciò che il Sinodo ha maturato: lo stile con cui si è lavorato resta paradigmatico per la nostra Chiesa. 7 La fase di preparazione11 è servita a coinvolgere tutta la Diocesi anzitutto informando e sensibilizzando: era fondamentale che tutti sapessero cos’è il Sinodo e che cosa si propone. Sempre in questa fase è stato fondamentale coinvolgere tutti in modo attivo nell’individuare le urgenze, i nodi essenziali, attorno cui far convergere la riflessione sinodale. Questo ha consentito di raccogliere indicazioni sui contenuti e sul metodo di lavoro e di orientarci a individuare il tema sinodale. 8 L’esigenza di metterci in ascolto della realtà, quella interna alla comunità cristiana e quella più ampia in cui la stessa comunità vive oggi, è emersa come prevalente e ha fin da subito caratterizzato contenuto e metodo del Sinodo. Si sono individuati anche gli ambiti attorno cui andava esercitato l’ascolto: l’esperienza di corresponsabilità e partecipazione nella Chiesa tra presbiteri laici e religiosi; la famiglia; i giovani; il mondo del disagio; il dialogo e l’annuncio nella pluralità culturale sociale e religiosa. 9 Dopo questa consultazione il Vescovo ha dato avvio alla fase celebrativa del Sinodo. La celebrazione di indizione nella Veglia di Pentecoste (18 maggio 2002) è stata un momento forte del percorso. Essa ha ricordato ad ognuno che il Sinodo è vissuto sempre nel contesto di preghiera e celebrazione che contraddistingue la comunità cristiana: è un affidarsi al Signore risorto che sempre ci anticipa e nel dono del suo Spirito ci accompagna nei percorsi della storia. 10 Nella celebrazione di indizione è stato ufficialmente indicato il tema del Sinodo che raccoglieva in sintesi le indicazioni di contenuto e di metodo precedentemente emerse: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). La Chiesa di Verona si pone in ascolto, riscopre la sua identità e annuncia con gioia il Vangelo12. Si è anche individuata la struttura organizzativa del Sinodo (Consiglio di Presidenza e Segretario generale) con il compito di accompagnare tutta la fase celebrativa indicandone i tempi e i modi13.

10 Cf At 4,12. 11 Il Vescovo, sentito il Consiglio presbiterale, costituì una Commissione informativa, con il mandato di

ascoltare esperienze di altre Diocesi e così formulare l’ipotesi di un possibile percorso sinodale (settembre 2000 – giugno 2001). Successivamente costituì la Commissione Preparatoria che accompagnò tutta la fase di “consultazione previa” (Avvento 2001 – Pentecoste 2002).

12 F.R. CARRARO, «Che cosa cercate?» (Gv 1,38). Omelia di indizione, in Quaderni del Sinodo 3 (2002). 13 Cf Regolamento del Sinodo Diocesano di Verona, in Quaderni del Sinodo 7 (2003).

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11 A questo punto si è tornati a coinvolgere tutte le componenti delle comunità cristiane nella fase di consultazione sul tema, articolato nei cinque ambiti. Abbiamo vissuto un anno intenso e significativo di ascolto, confronto, riflessione (Avvento 2002 – Pentecoste 2003). Pur nella difficoltà di coinvolgere tutti, molti si sono sentiti chiamati in causa in prima persona, in un’esperienza che non doveva essere “calata dall’alto”, ma realmente vissuta nella corresponsabilità e nella partecipazione di tutti. Sono giunti molti e significativi contributi da parte di diversi soggetti: i Consigli Pastorali e le comunità parrocchiali; le comunità religiose; gruppi, associazioni, movimenti; persone che vivono con diverso coinvolgimento l’esperienza ecclesiale e anche alcuni che non appartengono a questo ambiente. Abbiamo anche chiesto e accolto il contributo di altre Chiese e comunità cristiane presenti a Verona. Il percorso è stato arricchito dalle Lettere dal Sinodo14, apprezzato strumento di dialogo e di sensibilizzazione che ha fatto risuonare la voce del Sinodo nel territorio veronese. Le sintesi prodotte nella fase di consultazione hanno offerto la base per la stesura dello Strumento di Lavoro per le Assemblee Sinodali15. 12 Si è costituita quindi l’Assemblea Sinodale composta dai rappresentanti eletti dalle diverse componenti della nostra comunità diocesana e dai membri chiamati dal Vescovo in ragione del loro ufficio o per completare la mappa della rappresentatività dell’Assemblea (350 membri). 13 Le diverse sessioni di lavoro (ottobre 2003 – giugno 2004) hanno consentito di riprendere quanto emerso dalla consultazione e di approfondire e arricchire con ulteriori apporti la riflessione sui cinque ambiti. L’esperienza vissuta, nella modalità delle relazioni e nel metodo di lavoro, resta acquisizione fondamentale del percorso fatto: abbiamo sperimentato e maturato un autentico stile di ascolto e sincero confronto. La proposta di una relazione di apertura sul tema, il confronto in piccoli gruppi, il ritorno in assemblea per l’ascolto dei diversi contributi hanno dato espressione a diverse esperienze, prospettive, sensibilità. Ci siamo abituati ad esercitare lo stile del discernimento comunitario, anche attraverso la fatica del lavorare assieme e dell’ascolto rispettoso di prospettive non sempre o non immediatamente componibili. 14 Con il contributo di commissioni istituite per ciascun ambito si è potuto raccogliere il lavoro prodotto dall’Assemblea Sinodale. Prima di passare alla votazione del testo finale, si è pensato opportuno stabilire ancora un tempo in cui i membri sinodali potessero confrontare il loro lavoro con la più larga base ecclesiale, consentendo così alle comunità di diventare partecipi del percorso fatto e della direzione verso cui lo Spirito sta muovendo la Chiesa veronese. 15 L’Assemblea si è riunita quindi per la votazione del testo, sigillando con questo atto autorevole un intenso cammino di vita ecclesiale. Il frutto di questo percorso è stato consegnato al Vescovo per il suo discernimento. Infine, come avevamo aperto il cammino sinodale nel segno dello Spirito, così lo concludiamo nella celebrazione della Pentecoste 2005, nella quale viene promulgato per la Diocesi il Libro Sinodale. 16

14 Lettera dal Sinodo alle famiglie; Lettera dal Sinodo ai fratelli e sorelle detenuti nel carcere di Verona;

Lettera dal Sinodo per la pace; Lettera dal Sinodo agli ammalati; Lettera dal Sinodo alle giovani e ai giovani; Lettera dal Sinodo: Comunità in dialogo interreligioso; Lettera dal Sinodo alle persone impegnate nel mondo del lavoro.

15 Cf Fase di consultazione. Sintesi ed elaborazione dei dati, in Quaderni del Sinodo 9 (2003); Strumento di lavoro per le assemblee sinodali, in Quaderni del Sinodo 10 (2003).

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L’esperienza e lo stile che abbiamo maturato sono espressi solo in parte nel documento scritto; restano un patrimonio ecclesiale che domanda di essere comunicato e condiviso nella testimonianza di tutti coloro che in diverso modo ne hanno preso parte.

L A PECULIARITÀ DELL ’ ESPERIENZA SINODALE

17 «Che cosa cercate?» La forza dell’interrogativo di Gesù ha sorretto l’impegno della nostra Chiesa verso una ricerca coraggiosa e responsabile. Durante il cammino del Sinodo «le nostre comunità hanno fatto spazio… all’ascolto della realtà sociale ed ecclesiale e hanno liberato la parola per esprimere le loro preoccupazioni e le loro attese su punti che erano avvertiti come nodali per il futuro della nostra Chiesa e della vita degli uomini d’oggi»16. Lo stile evangelico dell’ascolto è stato il vero punto di forza del cammino sinodale: ha consentito di lasciare spazio alla novità dello Spirito, ha permesso un’attenzione alle diverse situazioni di vita, ha reso possibile un corretto confronto assembleare libero da rigide e predeterminate letture, ci ha portati ad ascoltare e apprezzare la voce delle altre Chiese e comunità cristiane presenti in Verona. 18 Le stesse Assemblee, che hanno visto la presenza di laici, di presbiteri, di religiose e religiosi dalle funzioni e competenze diverse, sono state luogo in cui si è sperimentato e si è elaborato un modello di Chiesa qualificato da uno stile di comunione. Molteplici sono i segni che permettono di riconoscerlo: le relazioni autentiche che si sono instaurate, il confronto libero e aperto, l’apporto specifico dei diversi carismi e ministeri, la modalità del consenso, libero da facili unanimismi e dalla pretesa di ricondurre ad unità prospettive legittimamente diverse. 19 Il dialogo sinodale ha messo a fuoco alcuni nodi della vita della nostra Chiesa. Ascoltando le parole della gente (l’attuale situazione culturale) e nel confronto con la Parola del Signore (le fonti della nostra fede) è stato possibile cogliere alcune conversioni che siamo chiamati ad operare. Esse riguardano i cambiamenti di mentalità, ossia il superamento di schemi mentali che finora ci hanno guidato, e gli atteggiamenti, ossia il modo di porci come Chiesa di fronte alle situazioni che oggi ci interpellano. Infine, proprio la riflessione fatta sulle «conversioni» ha portato non tanto ad individuare delle «cose da fare» (ricette pastorali), ma a delineare i tratti del volto di Chiesa che l’esperienza sinodale ha evidenziato, e a edificare e a indicare i percorsi da compiere per rinnovare la pastorale nella nostra Diocesi. 20 Il Libro Sinodale rappresenta la sintesi di un percorso impegnativo, ricco e significativo. Possiamo dire che ad esso ha contribuito tutta la comunità diocesana sebbene in modi diversi; esso perciò nasce dall’impegno delle Assemblee Sinodali, ma è anche frutto di tutto il lavoro di preparazione e di accompagnamento che ha coinvolto nella riflessione e nella preghiera molte comunità e molti fedeli della nostra Diocesi. Ho voluto seguire personalmente questo cammino di maturazione presiedendo gli organismi del Sinodo, dal Consiglio di presidenza ai lavori assembleari. Con la guida decisa e incoraggiante del Vescovo ho inteso anche manifestare il senso ecclesiale dell’evento sinodale quale «atto di governo episcopale ed evento di comunione»17 e assicurare il legame visibile con il cammino di

16 F.R. CARRARO, «Maestro dove dimori?», in Quaderni del Sinodo 11 (2004) 28. 17 CONGREGAZIONE PER I VESCOVI - CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Istruzione sui

sinodi diocesani, 1.

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tutta la Chiesa italiana e della Chiesa universale. Le indicazioni pastorali per la nostra Diocesi sono così espresse nel solco del cammino per una nuova evangelizzazione che ha trovato slancio nel Concilio Vaticano II e che è venuto affermandosi in tutto il Magistero successivo, sia della Chiesa universale (Magistero del Papa, Sinodi dei Vescovi, Catechismo della Chiesa Cattolica) sia della Chiesa italiana (pensiamo in particolare ai piani pastorali che si sono succeduti dagli anni Settanta ad oggi). La ricchezza di dottrina che il Magistero custodisce, così come le indicazioni pastorali da esso espresse, è stata e resta riferimento costante del nostro cammino. 21 Il Libro Sinodale, nel quale idealmente sono racchiuse le speranze che hanno motivato in questi anni di lavoro tutti i membri sinodali, è ora affidato alla Chiesa di Verona. Esso non ha la presunzione di indicare soluzioni preconfezionate, ma racchiude il desiderio di far intravedere orizzonti nuovi, di proporre, alla luce del Vangelo, sentieri accessibili a una comunità che, rinnovata profondamente, sa camminare in compagnia delle donne e degli uomini del suo tempo.

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Parte seconda

ELABORATI SUGLI AMBITI SINODALI

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CORRESPONSABILITÀ E PARTECIPAZIONECORRESPONSABILITÀ E PARTECIPAZIONECORRESPONSABILITÀ E PARTECIPAZIONECORRESPONSABILITÀ E PARTECIPAZIONE

NELLA CHIESANELLA CHIESANELLA CHIESANELLA CHIESA

«Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa

tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso,

con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro,

cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16)

PREMESSA

22 L’esigenza di porre attenzione e di dare impulso a questo aspetto della vita della Chiesa è emersa con forza e chiarezza dalla consultazione. L’attitudine dell’ascolto che abbiamo esercitato su questo ambito di vita ha avuto sullo sfondo tre punti di riferimento fondamentali: la percezione della situazione attuale, la storia recente della Chiesa veronese, la vita della Chiesa oggi. A. I PUNTI DI RIFERIMENTO

1. L A PERCEZIONE DELLA SITUAZIONE ATTUALE

23 La percezione della situazione attuale è stata raccolta, sintetizzata ed elaborata sia come conclusione della fase di consultazione18, sia come base di partenza per il lavoro assembleare nello Strumento di Lavoro19. Da essa emerge il quadro di una «situazione ambivalente». Da una parte, il cammino verso una maggiore corresponsabilità è chiaramente tracciato e presente sia negli orientamenti pastorali che nelle strutture di partecipazione e nelle esperienze concrete. Si ha coscienza di essere una Chiesa ricca di potenzialità, in termini di risorse umane e di iniziative pastorali, chiamata ad affrontare nuove sfide poste dai mutamenti del contesto ecclesiale e sociale in cui vivono le nostre comunità cristiane. 24 D’altra parte, in questo percorso sperimentiamo diverse lentezze e, talora, resistenze. Si tratta spesso di fatiche che condividiamo anche con il contesto ecclesiale e sociale più ampio: - convivono modi di intendere la Chiesa che sono in tensione tra loro; - i ministri ordinati, i laici e i religiosi stanno vivendo un tempo di revisione del proprio ruolo

specifico e del modo di esercitarlo, con le opportunità e le difficoltà che ciò comporta; - non sempre vi è una formazione adeguata che supporta le nuove scelte pastorali della Chiesa;

18 Cf Quaderni del Sinodo 9 (2003). 19 Cf Quaderni del Sinodo 10 (2003).

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- va diminuendo il senso di appartenenza alla comunità cristiana, con conseguente disaffezione alla vita pastorale;

- il contesto socio-culturale di oggi rischia di favorire un certo soggettivismo e una certa dispersione, che porta a saltare facilmente la fatica della mediazione e della partecipazione corresponsabile in favore di forme populistiche di aggregazione.

25 Tutto ciò porta con sé alcune esigenze: attenzione alle persone e alle situazioni; impegno nel formare alle ragioni vere della corresponsabilità e capacità di rinnovare gli organismi e gli strumenti che consentono di metterla in pratica; impegno per una forte progettualità condivisa che consenta di armonizzare la diversità delle esperienze ecclesiali presenti; recupero della autentica ispirazione evangelica della Chiesa e coraggio nel rinnovare le forme storiche della nostra vita ecclesiale.

2. L A STORIA RECENTE DELLA CHIESA VERONESE

26 Un secondo punto di riferimento per l’ascolto sinodale è stato individuato nel ricco patrimonio di vita ecclesiale della nostra Diocesi. Pensiamo alla grande vitalità carismatica espressa dai numerosi istituti di vita consacrata della nostra Chiesa, quindi alla grande energia di carità e di testimonianza che si è sviluppata anche con le loro opere; alle strutture pastorali che l’hanno animata nel post-concilio e alle iniziative che l’hanno resa punto di riferimento anche all’esterno (l’Azione Cattolica; i Centri di pastorale; le strutture di formazione teologica: l’antica “Scuola Permanente per l’Apostolato dei Laici”, e in seguito lo “Studio Teologico S. Zeno”, la “Scuola di Teologia per Laici”, divenuta ora “Istituto Superiore di Scienze Religiose”; il Centro diocesano di cultura “G. Toniolo”; i corsi di formazione permanente per i catechisti, il CIFR, la Scuola della Parola…); alla vitalità laicale con cui si porta avanti costantemente la vita delle comunità (la ricchezza di catechisti e animatori, la presenza dei ministri straordinari della comunione…). Tutto ciò è stato reso possibile da una forte comunione e collaborazione tra le diverse componenti ecclesiali; tutto ciò sarà ancora possibile solo se si darà nuovo impulso a questo valore ecclesiale. 27 Anche gli orientamenti pastorali che la Chiesa veronese si è data negli ultimi decenni lasciano intravedere questa costante attenzione: pensiamo alle quattro mete indicate da Mons. Giuseppe Amari nel 1983, una delle quali riguardava “la ministerialità della Chiesa”; ricordiamo l’impulso dato dal Vescovo Mons. Attilio Nicora per rivitalizzare l’esperienza ecclesiale, anche nel suo tessuto di relazioni e di ministeri, mettendo al centro il Vangelo della carità da annunciare, celebrare e testimoniare (1995); da ultimo, richiamo la forte indicazione di percorso che ho dato per passare «da una pastorale a “cerchio” a una pastorale “in rete”»20 (2000) e così promuovere forme nuove di comunione e di missione e una più diffusa e integrata ministerialità al servizio dell’evangelizzazione. 28 Importante è anche tener conto dell’esercizio ordinario della corresponsabilità e della partecipazione alla vita della Chiesa che avviene tramite gli organismi di cui siamo dotati. Ne indichiamo solo alcuni, di ambito generale: Consiglio Presbiterale; Consiglio pastorale

20 Cf DIOCESI DI VERONA – CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO, Da una pastorale “a cerchio” a una

pastorale “in rete”, Verona 8 settembre 2000.

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diocesano, vicariale, parrocchiale; Consiglio per gli affari economici; Consulta delle aggregazioni laicali; Commissioni diocesane. Notevoli sono anche le forme di collaborazione pastorale che avvengono a diversi livelli (attività interparrocchiali o vicariali, unità pastorali, pastorale in rete…), come pure gli “strumenti” che rendono possibile e sostengono il cammino diocesano comune (orientamenti pastorali diocesani, uffici di Curia e centri di pastorale, commissioni…).

3. I L CAMMINO DELLA CHIESA A PARTIRE DAL CONCILIO VATICANO II

29 L’orizzonte entro cui si è mosso l’esercizio di ascolto sinodale è dato dal modo in cui oggi la Chiesa comprende la propria identità, in fedeltà al Vangelo. Piace notare che questa stessa rinnovata comprensione ecclesiale è frutto di grandi processi di ascolto e discernimento, posti in atto a diversi livelli dalla Chiesa (cf il Concilio Vaticano II e i diversi Sinodi ecclesiali). Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, invita a «fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione»21 e chiama tutti i battezzati e cresimati «a prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita ecclesiale»22. 30 Questo è un punto di arrivo e un frutto di quella ecclesiologia di comunione che è stata autorevolmente promossa dal Concilio Vaticano II, in particolare dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium. Nella stessa linea, meritano di essere ricordate le esperienze e i contributi dati dai sinodi dei Vescovi23. Anche l’Episcopato italiano si è impegnato su questo tema, nell’ambito dei progetti pastorali decennali24. 31 Rispetto al nostro ambito di ascolto sinodale, la direzione che si vede emergere con chiarezza da questo insieme di documenti può essere raccolta in queste espressioni: - «La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell’eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo,

di tutti i membri del popolo di Dio: “comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola la salvezza, una sola la speranza e indivisa la carità” [LG 32]. In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa»25;

- «Uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni, è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale. Ciò contribuisce a dare un’immagine più articolata e complessa della Chiesa stessa, oltre che a rendere più efficace la risposta alle grandi sfide del nostro tempo, grazie all’apporto corale dei diversi doni»26.

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21 NMI 43. 22 NMI 46. 23 Di particolare interesse per il nostro tema sono le Esortazioni apostoliche post-sinodali di GIOVANNI

PAOLO II, Christifideles laici (sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, 1988); Pastores dabo vobis (sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali, 1992); Vita consecrata (sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, 1996).

24 Ricordiamo in particolare CEI, Evangelizzazione e ministeri (1977); Comunione e comunità (1981) e Comunione e comunità missionaria (1986); Evangelizzazione e testimonianza della carità (1990) 29; Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (2001) 53-54.63-65.

25 ChL 15; cf CCC 872. 26 VC 54.

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La comunione ecclesiale è intesa inscindibilmente come «unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa»27. È l’unione a Cristo che genera l’unione fraterna; questa è segno ed espressione viva di quella28. Per questo, la comunione ecclesiale comprende la componente gerarchica: il ministero ordinato, frutto dello Spirito, è destinato alla Chiesa perché possa rappresentare sacramentalmente in essa quella origine permanente da Cristo che costituisce il nucleo generatore della sua fraternità. Il ministro ordinato presiede la Chiesa in persona Christi Capitis, «per servire la Chiesa e per radunarla nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti»29. Perciò il suo ministero «è essenzialmente finalizzato al sacerdozio regale di tutti i fedeli e a esso ordinato»30. 33 In sintonia con questa comprensione della Chiesa, si sperimenta oggi anche una nuova vitalità ministeriale e carismatica all’interno della sua vita. Sono in atto una riqualificazione e un rinnovamento dei diversi ministeri e degli stili di vita che compongono la comunità cristiana. Segno di questa vitalità è anche la fioritura di movimenti ecclesiali e di aggregazioni laicali. Dentro questa realtà, non sempre facilmente armonizzabile, si intravede la possibilità di esprimere in modi nuovi e più intensi forme di partecipazione alla vita della Chiesa e forme di corresponsabilità rispetto alla sua missione nel mondo31.

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

34 Il dialogo e il confronto assembleare hanno portato a individuare anzitutto alcune linee direttrici verso le quali orientare il cammino di tutta la nostra Chiesa.

1. RISCOPRIRE I MOTIVI E I PRESUPPOSTI DELLA CORRESPONS ABILITÀ

Occorre maturare insieme la visione conciliare della Chiesa come comunione. Tale comunione ha origine dal nostro legame sacramentale di appartenenza a Cristo e si esprime nella fraternità che unisce le diverse membra del suo corpo. In forza dell’iniziazione cristiana tutti i fedeli sono inseriti nella comunione con Cristo e in Cristo e sono resi partecipi dell’unica missione di Cristo. Tra loro quindi vige «una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli per l’edificazione del corpo di Cristo»32. In ragione di ciò, tutti dobbiamo riscoprire la ricchezza dell’iniziazione cristiana. Essa non costituisce il “minimo” cui va aggiunto lo specifico di ciascuno, ma è piuttosto la pienezza della “appartenenza ecclesiale” che accomuna ogni

27 ChL 19. 28 Ciò appare con evidenza anche nelle immagini bibliche che LG 6-7 ha recuperato per introdurre alla

contemplazione della realtà della Chiesa: l’ovile, il campo di Dio, l’edificio nel quale abita la sua famiglia, il tempio, la sposa, il corpo di Cristo. Cf anche ChL 19.

29 ChL 22. 30 Ibidem. 31 «“I laici possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio

della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare” [PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 73]. Nella Chiesa, “i fedeli possono cooperare a norma del diritto all’esercizio della potestà di governo” [CDC 129, 2] e questo mediante la loro presenza nei Concili particolari, [Cf ibid., 443, 4] nei Sinodi diocesani, [Cf ibid., 463, 1. 2] nei Consigli pastorali; [Cf ibid., 511; 536] nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia; [Cf ibid., 517, 2] nella collaborazione ai Consigli degli affari economici; [Cf ibid., 492, 1; 536] nella partecipazione ai tribunali ecclesiastici [Cf ibid., 1421, 2]» (CCC 910-911).

32 LG 32.

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membro della comunità cristiana nella dignità e nella corresponsabilità alla missione evangelizzatrice. 35 Lo Spirito edifica la Chiesa attraverso i diversi stati di vita, con i carismi e ministeri che a ciascuno sono riconosciuti e con la tipicità che viene dal viverli come uomo e come donna. In questo quadro, la corresponsabilità ecclesiale si radica nella responsabilità personale con cui ciascuno attua concretamente la vita cristiana secondo la propria condizione e nelle diverse situazioni della propria esistenza, anche al di là dell’ambito strettamente ecclesiale dell’esperienza. 36 In ordine alla comunione ecclesiale, anche il ministero ordinato trova la sua specificità e corretta valorizzazione33. Si tratterà semmai di non pensarla in termini di “quantità” come se il presbitero esaurisse in sé le potenzialità della comunione ecclesiale, o come se ogni altro esercizio di corresponsabilità fosse possibile solo come delega di una parte dell’autorità che il presbitero possederebbe su tutto. I ministri ordinati, attraverso il dono della Parola e dei sacramenti, sapranno rendere possibile, promuovere, armonizzare, custodire sul fondamento di Cristo quella espressione comunitaria della vita cristiana che, proprio e solo nel suo insieme, è segno pieno della comunione ecclesiale. 37 Su questi presupposti si potrà realizzare tra tutti i fedeli un tipo di relazione che valorizzi i diversi carismi e ministeri, evitando di accentrare tutto sulla figura dei presbiteri e nel contempo evitando di ridurre l’esperienza ecclesiale a semplice spartizione e organizzazione di servizi34.

2. RITORNARE E RIPARTIRE DA CIÒ CHE STA AL CENTRO

38 Abbiamo bisogno di convertirci all’essenziale, di maturare il senso autentico della povertà evangelica, riconoscendo con più limpidezza che la cura per la trasmissione della fede è la ragione fondamentale del nostro essere Chiesa. Dalla comune dignità e dalla comunione vissuta, vengono anche la comune responsabilità nella missione evangelizzatrice della Chiesa e lo stile per realizzarla. È vero, però, che si evangelizza nella misura in cui si rimane sempre e anzitutto in stato di ascolto della Parola. Questa è una condizione irrinunciabile della comunità cristiana, e andranno sostenute tutte le iniziative (in campo catechistico, liturgico, caritativo e pastorale) che tendono a rendere possibile il nutrirsi della Parola nella Chiesa. Allo stesso modo, è importante sottolineare che la comunione ecclesiale ha la sua massima espressione nella partecipazione all’Eucaristia domenicale, nella

33 «Cristo, sommo sacerdote e unico mediatore, ha fatto della Chiesa “un Regno di sacerdoti per il suo Dio e

Padre” (Ap 1,6). Tutta la comunità dei credenti è, come tale, sacerdotale. I fedeli esercitano il loro sacerdozio battesimale attraverso la partecipazione, ciascuno secondo la vocazione sua propria, alla missione di Cristo, Sacerdote, Profeta e Re. È per mezzo dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione che i fedeli “vengono consacrati a formare... un sacerdozio santo” [LG 10]. Il sacerdozio ministeriale o gerarchico dei Vescovi e dei sacerdoti e il sacerdozio comune di tutti i fedeli, anche se “l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo”, differiscono tuttavia essenzialmente, pur essendo “ordinati l’uno all’altro” [LG 10]. In che senso? Mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale – vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito – il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani. È uno dei mezzi con i quali Cristo continua a costruire e a guidare la sua Chiesa. Proprio per questo motivo viene trasmesso mediante un sacramento specifico, il sacramento dell’Ordine» (CCC 1546-1547).

34 Cf VMP 12.

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quale lo Spirito Santo fa di noi «un solo corpo e un solo spirito» unendoci al gesto di Cristo che dona se stesso. Fare spazio all’ascolto comune della Parola di Dio e sentirsi convocati insieme per la celebrazione dell’Eucaristia domenicale, centro della vita sacramentale, con la cura pastorale che dovremo sviluppare e con la varia ministerialità che ne deriva, devono sempre più diventare i punti qualificanti e i criteri guida per ogni espressione di Chiesa e ogni attività pastorale. 39 Anche l’attenzione ecumenica, da estendere sempre più nella coscienza ecclesiale di tutti, potrà aiutarci a ritrovare nel dialogo e nell’incontro una convergenza su ciò che ci accomuna nell’unica fede in Cristo. 40 Questa “conversione” all’essenziale, che è conversione a Cristo e al suo Vangelo, ci spinge nello stesso tempo ad essere più liberi e più creativi nel vivere la missione evangelizzatrice della Chiesa. Abbiamo bisogno di una Chiesa aperta alla realtà, “estroversa”, capace di riconoscere e di servire quanto lo Spirito va operando per diffondere la Signoria di Dio tra le donne e gli uomini del nostro tempo. 41 In questa direzione va l’attenzione missionaria e la sensibilità nella collaborazione tra le Chiese di cui la nostra Diocesi è sempre stata ricca, in fedeltà al mandato del Risorto. Il mutare delle forze in campo deve vederci attenti a non perdere questi valori e a maturare sempre queste sensibilità. Nello stesso tempo, ci è chiesta ormai un’apertura alla presenza di persone immigrate che fanno già parte della nostra Chiesa veronese. Più ampiamente ancora, la missione dovrà diventare sempre più un paradigma della nostra pastorale ordinaria.

3. RINNOVARE LE STRUTTURE PASTORALI

42 Questa comunità più attenta all’essenziale e più “estroversa” vive nel contesto presente con tutte le fatiche e le ricchezze che vengono dalla sua “complessità”, ed è sollecitata a pensarsi all’interno di un “mondo che cambia”. Ciò domanda di convertirsi a una nuova modalità di presenza sul territorio. 43 Dobbiamo riconoscere che oggi il rapporto delle persone con il territorio è diventato più flessibile, cosicché la stessa presenza della Chiesa nell’ambiente va ripensata. L’ambito della parrocchia non può più essere identificato con un ambito delimitato e omogeneo della comunità civile. Il radicamento territoriale vive di relazioni che non sono legate alla fissità della forma tradizionale delle singole parrocchie. Anche all’interno del mondo ecclesiale vi sono esperienze e percorsi di vita cristiana che si realizzano in un ambito non necessariamente di appartenenza parrocchiale (ad esempio, i movimenti ecclesiali e altre forme aggregative). Questa consapevolezza porta a riconoscere la necessità di investire sulla parrocchia in modo nuovo: essa appare ancora la modalità più consona per dire il Vangelo a tutti e dirlo là dove si svolge la vita della gente; ma lo sarà sempre di più se saprà superare una certa mentalità “campanilistica” per inserirsi invece nel più ampio tessuto di comunione interparrocchiale e diocesano, divenendo capace di offrirsi come comunità accogliente ai fedeli che le si rivolgono35.

35 «Più che di “parrocchia” dovremmo parlare di “parrocchie”: la parrocchia infatti non è mai una realtà a sé, ed è impossibile pensarla se non nella comunione della Chiesa particolare. Di qui un ulteriore indirizzo per il suo rinnovamento missionario: valorizzare i legami che esprimono il riferimento al Vescovo e l’appartenenza alla Diocesi. È in gioco l’inserimento di ogni parrocchia nella pastorale diocesana. Alla base di tutto sta la coscienza che

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44 Dobbiamo indirizzarci decisamente verso una “pastorale d’insieme” (pastorale “in rete”) e verso nuove forme di “unità pastorali”: qui l’esercizio della corresponsabilità può trovare ulteriori opportunità e un significativo banco di prova. Bisogna uscire dalla situazione di urgenza e accorgersi che il tema delle unità pastorali non è posto solo dalla diminuzione dei preti, ma soprattutto da altri fattori: il moltiplicarsi delle attività pastorali a raggio sovraparrocchiale, l’affacciarsi di nuove ministerialità, l’attenzione più diversificata ai momenti della società civile, l’intreccio dell’azione pastorale della comunità con altre forme di aggregazione ecclesiale (movimenti, associazioni, volontariato ecc). 45 Questi fenomeni chiedono di rendere più elastica la modalità degli interventi pastorali, senza perdere il vincolo al territorio, che costituisce non solo una figura fondamentale della nostra tradizione, ma custodisce un valore essenziale dell’annuncio evangelico, cioè la sua apertura a tutti, così che esso non sia elitario e selettivo, ma effettivamente universale. Tutto ciò sarà tanto più possibile quanto più ci saranno una progettualità diocesana e degli orientamenti pastorali chiari, costanti, lungimiranti, a cui potranno e dovranno riferirsi tutti (parrocchie e movimenti, presbiteri e fedeli, religiosi e religiose…).

4. ASSUMERE GLI ATTEGGIAMENTI DELLA CORRESPONSABILITÀ

46 Queste “conversioni” domandano atteggiamenti corrispondenti a cui educarci tutti. Il più sottolineato è la “capacità relazionale”. La qualità di vita evangelica oggi è visibile nella capacità di essere persone di relazione; la stessa affermazione del valore della corresponsabilità non può trovare sbocco se non si coltiva questa attitudine. Da qui una spiritualità e un’etica del dialogo e della comunicazione che comportano stima dell’altro e fiducia in lui, rispetto del suo percorso e del suo punto di vista, disponibilità all’ascolto, capacità di confronto, sincerità nel dire, apprezzamento e rispetto della diversità senza contrapposizione o esclusione. 47 Altro atteggiamento sottolineato è la “capacità di lavorare insieme”. Concretamente, ciò significa capacità di inserirsi in un progetto di Chiesa che sa guardare oltre i gusti personali e sa pensarli nell’insieme, di non agire da “liberi battitori”, di rispettare i diversi tempi di maturazione, di saper costruire insieme le decisioni, di rispettare il cammino fatto dai singoli e dalle comunità, di coltivare la memoria degli itinerari che sono già stati percorsi. In particolare, queste capacità dovranno avere un peso adeguato, anche attraverso nuove modalità educative, nella formazione dei seminaristi, dei presbiteri e dei diaconi, perché costituiscono un criterio rilevante nel discernere la loro attitudine ad esercitare il ministero di presidenza.

i parroci e tutti i sacerdoti devono avere di far parte dell’unico presbiterio della Diocesi e quindi il sentirsi responsabili con il Vescovo di tutta la Chiesa particolare, rifuggendo da autonomie e protagonismi. La stessa prospettiva di effettiva comunione è chiesta a religiosi e religiose, ai laici appartenenti alle varie aggregazioni» (VMP 3).

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C. LE SCELTE DA OPERARE

1. M ETTERE AL CENTRO LA CURA PER LA PAROLA E L ’E UCARISTIA

48 Alla Chiesa veronese viene chiesto di prestare maggiore cura alla comunità che vive l’ascolto della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia domenicale. Sono momenti privilegiati della vita di comunità, con i quali si alimenta l’esercizio responsabile della vita cristiana. Attorno ad essi si può strutturare una multiforme ministerialità e si possono collegare le altre attività pastorali, i momenti celebrativi di varia natura e tutte le iniziative caritative, come al nucleo sorgivo del quale si nutre ogni azione ecclesiale e a partire dal quale si costruisce la Chiesa comunione. 49 Una speciale attenzione sarà da riservare all’omelia quale momento particolarmente significativo del ministero della Parola. Fedeltà alla Parola e attenzione all’assemblea domandano una adeguata preparazione – remota e immediata – all’esercizio di questo ministero, così che tutti possano cogliere la bellezza del messaggio evangelico. Chi presiede l’assemblea ha specifica responsabilità nella celebrazione, che va vissuta valorizzando l’apporto dei fedeli, evidenziando anche in tale contesto lo stile della corresponsabilità.

2. DARE IMPULSO ALLA FORMAZIONE

50 La Chiesa veronese dovrà investire risorse adeguate (persone e mezzi) per la formazione. Si è consapevoli che un’effettiva esperienza di comunione e di corresponsabilità nel prender parte alla missione della Chiesa domanda la coltivazione delle autentiche motivazioni evangeliche, delle corrispondenti ragioni teologiche, delle convenienti capacità ministeriali. 51 Le strutture formative già esistenti (Seminario, ambiti di formazione alla vita religiosa, luoghi e scuole di formazione teologica e pastorale…) sono da sostenere e ripensare in questa prospettiva di corresponsabilità. Si abbia cura poi che ci siano proposte formative rivolte a tutti e siano realmente accessibili a tutti (in particolare ai laici). 52 Oltre a favorire una formazione comune negli obiettivi di fondo, si propongano anche percorsi formativi comuni con compresenza di laici, religiosi, presbiteri, diaconi, dove ci si possa arricchire e integrare vicendevolmente, maturando le attitudini relazionali di comunione, e dove si possa accrescere la capacità di lavorare insieme. Si tenga conto che la formazione non viene fatta solo con la proposta di un cammino specifico, ma anche con un certo modo di lavorare insieme. A tale riguardo va ricordato come l’esperienza di gruppo parrocchiale, il cammino proposto dai movimenti, i percorsi associativi, sono luoghi di esperienza formativa. Si abbia cura, perciò, che già il nostro modo abituale di impostare e di condurre il lavoro pastorale sia formativo, così che la “mancanza di formazione” non sia più un alibi per non mettere a frutto l’esercizio effettivo della corresponsabilità. 53 La formazione di tutti deve essere anzitutto formazione alla maturità cristiana, con l’ariosità di uno sguardo che si volge non solo alle dinamiche intraecclesiali, ma anche civili, sociali,

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missionarie, caritative. Non è sempre corretto né fruttuoso pensare subito la formazione in modo “funzionale” all’assunzione di uno specifico impegno. Sulla base di questo “terreno coltivato” sarà possibile ridefinire i ruoli delle figure ministeriali e far sorgere nuovi ministeri, ancorandoli ad un corretto esercizio ecclesiale. Da qui viene anche la stretta relazione tra la formazione e la cura della dimensione vocazionale propria di ogni vita cristiana.

3. RIVEDERE LA FORMA CONCRETA DELLA MINISTERIALITÀ

54 La Chiesa veronese dovrà porre mano a un ripensamento della propria ministerialità secondo tre direttrici: - va maggiormente apprezzata e promossa la pluriforme ministerialità esercitata da ciascuno là

dove vive la propria esistenza cristiana; - vanno espresse e valorizzate con più coraggio le potenzialità ministeriali già esistenti,

curando di far corrispondere ai ministeri le effettive competenze da essi richieste; - vanno maturate nuove forme di ministerialità e di servizio, riconoscendo i nuovi bisogni e le

nuove disponibilità che si presentano. 55 Anzitutto, si tenga conto che l’esercizio autentico della vita cristiana è già una diaconia preziosa, grazie alla quale risplende nella Chiesa e per il mondo la grazia del Vangelo. Quindi sarà da sostenere la vita cristiana di tutti i fedeli, in particolare anche di coloro che vivono situazioni di disagio o di limite. Inoltre, si deve apprezzare e incoraggiare quella ministerialità tipicamente laicale che consiste nel vivere “cristianamente” il proprio inserimento nei vari contesti della famiglia, della società, del lavoro, della cultura, della politica, dell’economia. 56 Per promuovere poi all’interno della Chiesa una vera corresponsabilità attraverso l’esercizio della ministerialità, non occorre attendere che si aggravi lo stato di urgenza dovuto alla diminuzione dei preti: basta cambiare la prospettiva con cui si guarda allo strutturarsi della comunità cristiana, alla nuova modalità di presenza sul territorio, con la nuova figura di parrocchia e di relazione tra parrocchie (pastorale in rete). Il contesto odierno sta creando lo spazio e maturando la consapevolezza per una partecipazione più ampia e diversificata dei laici attraverso l’assunzione di compiti specifici, sia a tempo parziale, sia forse anche a tempo pieno (con il relativo investimento economico che come Chiesa si dovrà essere disposti a fare). 57 In particolare dovremo: valorizzare maggiormente la ricchezza e la competenza dei laici (individuare i compiti loro possibili nell’ambito ecclesiale dell’annuncio-catechesi, della liturgia, della carità, così come nei diversi ambiti della vita sociale); promuovere adeguatamente il ministero dei diaconi, secondo gli orientamenti dati dal Direttorio per il diaconato della nostra Diocesi; ripensare la presenza e l’apporto proprio della vita religiosa femminile e maschile36; pensare anche alla risorsa rappresentata dai preti anziani (verificare le possibilità di un servizio adeguato alla loro condizione e alla realtà ecclesiale); interrogarci sulle possibilità e sulle eventuali forme di valorizzazione dei preti che hanno ricevuto la dispensa dall’esercizio del ministero, nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla Santa Sede.

36 «Per questo la Chiesa ha cura che gli Istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e

delle fondatrici e le loro sane tradizioni… Da parte loro, le persone di vita consacrata non mancheranno di offrire generosamente la loro collaborazione alla Chiesa particolare secondo le proprie forze e nel rispetto del proprio carisma, operando in piena comunione col Vescovo nell’ambito della evangelizzazione, della catechesi, della vita delle parrocchie» (VC 48-49).

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4. VERIFICARE LE STRUTTURE DI PARTECIPAZIONE

58 In ragione delle conversioni sopra indicate, sarà impegno della Chiesa veronese fare una verifica delle iniziative e delle strutture esistenti: alcune dovranno essere incentivate, altre ampiamente ridefinite. La pastorale è già da tempo attenta a curare ambiti di partecipazione e strutture che favoriscono la corresponsabilità nella missione della Chiesa: Consigli Pastorali, Centri di pastorale, Vicariati, Unità pastorali, pastorale “in rete”… Mentre si chiede di insistere in questa direzione, si domanda anche di rendere questi strumenti sempre più adatti all’effettivo esercizio della corresponsabilità. 59 Valorizzare gli strumenti di partecipazione significa anche: - essenzializzare e specificare il ruolo dei diversi organismi, superando la visione “a cascata”

per cui ad ogni livello della vita pastorale (diocesano, vicariale, interparrocchiale, parrocchiale) si ripropone la stessa struttura organizzativa e gli stessi strumenti di partecipazione con le medesime funzioni;

- evitare di accumulare ulteriori iniziative che portano al rischio di una “pastorale obesa” (occorrerà dire quali cose non si fanno più e quali si devono fare);

- avere il coraggio del decentramento delle responsabilità e delle decisioni, cercando di ridisegnare una nuova “mappa” che, in modo rispettoso dell’identità ministeriale di ciascuno, distribuisca secondo il principio di sussidiarietà i compiti e le funzioni: possibilità, incarichi, scelte, gestione delle risorse, coinvolgimento nella gestione economica.

Va riconosciuto come l’esperienza sinodale, con lo stile di partecipazione e corresponsabilità che ha consentito di sperimentare, dovrà essere punto di riferimento costante per il cammino della nostra Chiesa.

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LA FAMIGLIALA FAMIGLIALA FAMIGLIALA FAMIGLIA

«Come un giovane sposa una ragazza, così ti sposerà il tuo creatore;

come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà di te»

(Is 62,5)

PREMESSA 60 Sia la consultazione previa, sia i lavori dell’Assemblea Sinodale hanno indicato nella famiglia un tema che chiede oggi alla comunità cristiana una particolare capacità di ascolto per acquisire metodi e modi di annunciare la buona novella dell’amore gratuito e fedele di Dio nel mondo di oggi, secolarizzato e in continuo cambiamento. La famiglia, infatti, luogo primario di elaborazione dell’identità e della trasmissione di valori, sta vivendo una stagione di profondi mutamenti che la mettono alla prova proprio in quanto primo laboratorio delle relazioni e della comunicazione. 61 Inoltre il tema “famiglia” risulta fin da subito centrale e non isolabile dagli altri che fanno parte dell’agenda sinodale. È strettamente legato alla tematica della corresponsabilità in quanto la famiglia risulta specifico soggetto pastorale nell’ambito della comunità cristiana. Il modo con cui esso è riconosciuto e coinvolto è dunque un test di verifica della qualità della corresponsabilità che si va attuando. È inoltre immediatamente connesso al tema dei giovani poiché la buona salute della famiglia è legata alla bontà delle proposte e dei percorsi di formazione dei giovani all’amore e alla responsabilità. La mobilità che caratterizza la nostra società fa sì che la famiglia sia anche tra noi, non raramente, luogo di incontro tra culture, confessioni cristiane e religioni differenti. Per la sua stessa natura essa è inoltre sempre direttamente toccata dalle situazioni di disagio. Senza essere totalizzante, la famiglia è crocevia di tutto ciò che segna il nostro mondo, delle «gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi»37. A. I PUNTI DI RIFERIMENTO

1. LA PERCEZIONE DELLA SITUAZIONE ATTUALE 62 Di fatto le famiglie vivono una grande varietà di situazioni e configurazioni, che sono anche oggetto di valutazioni differenti. Rimane centrale il valore dell’amore come intesa

37 GS 1.

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e servizio reciproco, ma i modi di intenderlo e attuarlo possono essere diversi. Tutto ciò provoca dialogo fecondo, e talora anche tensione e fatica tra i coniugi, con i figli e le figure parentali presenti all’interno della famiglia. In modo particolare si nota che la stabilità della famiglia è certo avvertita come valore di fondo, ma non a qualsiasi costo. La sua salvaguardia a prezzo di un logorante clima di tensione o umiliazione di una delle parti, della donna in particolare, caso non raro nel nostro passato, viene vista come poco giusta e poco giustificabile. 63 La famiglia risulta oggi coinvolta in vasti mutamenti che riguardano l’organizzazione del lavoro, dei tempi della vita, la mobilità sociale, il mercato, il costume e la cultura. Rifluendo su di essa questi modificano le figure e i ruoli del padre/uomo e della madre/donna, la relazione di coppia, la posizione e l’educazione dei figli e delle figlie, la presenza degli anziani (nonni e nonne), l’apertura verso gli altri (amici, famiglie, gruppi, comunità), il rapporto e la collaborazione con le agenzie formative, l’inserimento nel mondo sociale e politico, la partecipazione alla vita della comunità ecclesiale. La complessità di questi mutamenti, che disarticola abitudini e modelli consolidati, acuisce le attese e le esigenze nei confronti della famiglia, chiamata a incoraggiare le nuove generazioni verso il nuovo che sta loro davanti, fornendo loro capacità di orientamento e di equilibrio, divenendone essa stessa laboratorio rassicurante38.

2. LA STORIA RECENTE DELLA CHIESA VERONESE 64 La Chiesa veronese ha una tradizione di pastorale familiare che non deve essere dimenticata, ma conosciuta, valorizzata e rinnovata. Il passaggio dalla famiglia oggetto di pastorale alla famiglia soggetto di pastorale, è diventato convinzione ricorrente e motivo di ripensamento della strutturazione della pastorale. Il quadro proposto dalla CEI39 e assunto dalla nostra Diocesi può diventare l’orizzonte comune dell’azione promossa dal Centro di Pastorale Familiare e da movimenti e gruppi che si impegnano nella pastorale della famiglia, o hanno in essa il loro specifico. Il richiamo del cammino fatto permette di riattivare energie e di valutare oculatamente, in prospettiva del lavoro futuro, le difficoltà incontrate, specie quelle che si pongono nel passaggio dall’analisi alla elaborazione delle

38 Cf CCC 2208-2209. 39 Vanno ricordati almeno Matrimonio e Famiglia oggi in Italia, del 1969, Evangelizzazione e sacramento

del Matrimonio, del 1975 e Comunione e comunità. Comunione e comunità nella chiesa domestica, del 1981. Tutti i principali interventi CEI in materia sono richiamati dal Direttorio di Pastorale Familiare a p. 20. Si deve aggiungere, dopo il 1993, almeno le indicazioni emerse dal convegno ecclesiale di Palermo (1995) e quelle proposte con insistenza negli orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000. In questi ultimi i Vescovi affermano l’accompagnamento delle famiglie e il rinnovamento dell’annuncio cristiano sul matrimonio come priorità pastorale da assumere anche attivando nuove forme di ministerialità (CVMC 52). Inoltre, nella Nota pastorale del 2004 si invita a fare «della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di famiglie» e a considerarla «non solo come destinataria della sua attenzione, ma come vera e propria risorsa dei cammini e delle proposte pastorali» (VMP 9).

La centralità della famiglia nella pastorale è richiamata anche dal Direttorio di Pastorale Familiare: «la pastorale familiare, in modo organico e sistematico, deve assumere un ruolo sempre più centrale in tutta l’azione pastorale della Chiesa, dal momento che, di fatto, quasi tutti gli obiettivi dell’azione ecclesiale o sono collocati entro la comunità familiare o almeno la chiamano in causa più o meno direttamente. Sotto questo profilo, la famiglia è di sua natura il luogo unificante oggettivo di tutta l’azione pastorale e deve diventarlo sempre di più, sicché dovrà diventare abitudine acquisita considerare i riflessi e le possibili implicazioni familiari di ogni azione pastorale che viene promossa. La pastorale familiare, in altri termini, è e deve essere innestata e integrata con l’intera azione pastorale della Chiesa, la quale riconosce nella famiglia non solo un ambito o un settore particolare di intervento, ma una dimensione irrinunciabile di tutto il suo agire» (n. 97).

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prospettive, alla loro pratica attuazione nel quadro delle strutture pastorali diocesane e parrocchiali. Anche se vanno ripensati e riaggiornati alla luce delle situazioni nuove che si presentano, guadagni non piccoli rimangono i notevoli passi fatti nella cura della preparazione al matrimonio e nella predisposizione di spazi di incontro e di dialogo per famiglie. Il tentativo di costituire gruppi familiari nelle parrocchie come ambiente specifico di catechesi di adulti e di ascolto della Parola di Dio è tuttora segno della vitalità di questi percorsi.

3. IN SINTONIA CON LA CHIESA UNIVERSALE

65 Il Concilio si è occupato della famiglia particolarmente nella LG e nella GS. Ha individuato in essa uno degli snodi decisivi del dialogo tra la Chiesa e il mondo, essendo la famiglia cristiana di per sé “Chiesa nel mondo e per il mondo”. La centralità della famiglia tra le questioni che riguardano l’umanità oggi non è né ideologica né strategica, ma storica e antropologica. Dipende dal fatto che «il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare»40. Attraverso la categoria di chiesa domestica il Concilio ne ha richiamato la rilevante valenza ecclesiale, radicata nel sacramento del matrimonio41. Inoltre, ha invitato a leggere in positivo «le profonde mutazioni dell’odierna società nonostante le difficoltà che con violenza ne scaturiscono» e a vedere in esse un invito dello Spirito che ci stimola a mettere in risalto «il valore e la solidità dell’istituto matrimoniale e familiare» e a manifestare «in maniere diverse la vera natura dell’istituto stesso»42. 66 L’Esortazione apostolica Familiaris consortio ha richiamato la necessità che la Chiesa, nella sua missione di annunciare al mondo «l’immutabile e sempre nuovo Vangelo di Gesù Cristo», si metta in ascolto delle richieste e degli appelli dello Spirito che «risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia». La Chiesa, pertanto, «può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia anche dalle situazioni, domande, ansie e speranze dei giovani, degli sposi e dei genitori di oggi»43. Il Santo Padre Giovanni Paolo II, inoltre, alle famiglie italiane radunate in San Pietro per celebrare il ventesimo anniversario della Familiaris consortio ha ricordato che «un’autentica famiglia, fondata sul matrimonio, è in se stessa “buona notizia” per il mondo»44. La Famiglia di Nazaret, di Gesù, Maria e Giuseppe, rappresenta l’icona e il modello per ogni famiglia45.

40 GS 47; cf CCC 2207, 2210. 41 LG 11; cf CCC 2204. 42 GS 47. 43 FC 4. 44 GIOVANNI PAOLO II, Angelus del 21 ottobre 2001. 45 «La casa di Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del

Vangelo» (PAOLO VI, Discorso tenuto a Nazaret [5 gennaio 1964]; cf. CCC 533). «La Chiesa circonda di profonda venerazione questa Famiglia, proponendola quale modello a tutte le famiglie. Inserita direttamente nel mistero dell’Incarnazione, la Famiglia di Nazaret costituisce essa stessa uno speciale mistero… Insieme con l’assunzione dell’umanità, in Cristo è anche “assunto” tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza in terra» (GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Redemptoris custos [15 agosto 1989], 21). «La Santa Famiglia, icona e modello di ogni umana famiglia, aiuti ciascuno a camminare nello spirito di Nazaret; aiuti ogni nucleo familiare ad approfondire la propria missione civile ed ecclesiale mediante l’ascolto della Parola di

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B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

67 La Chiesa che è in Verona si riconosce chiamata ad essere segno del Dio attento alla vita, che si china sulla storia per offrire solidarietà e liberazione, per condurre ogni vita ad autenticità e piena realizzazione. Si tratta di essere, secondo l’immagine cara a Papa Giovanni XXIII, come la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per alleviare la propria sete. Il primo annuncio del Vangelo alla famiglia avviene attraverso la modalità di incontrarla, in una lettura cordiale e profetica dei suoi percorsi, fatti di valori e riuscite, di debolezze, fragilità e sconfitte. Questo appello domanda alla nostra Chiesa di lasciarsi provocare a un insieme di conversioni.

1. TENERE IN RISALTO I RIFERIMENTI CARDINE DEL VANGELO PER LA FAMIGLIA 68 L’orizzonte biblico dell’alleanza suggerisce alla relazione uomo-donna i suoi tratti di valore e qualifica la storia della famiglia come storia chiamata a salvezza e portatrice di esperienza di salvezza. L’attrattiva uomo-donna vi è decifrata come il dono-appello ad uscire dalla solitudine per la comunione, secondo i tratti della reciprocità, della fedeltà e dell’apertura alla vita. In tutto questo Dio riconosce un segno della relazione che Egli offre continuamente a tutta l’umanità, relazione che Egli stesso si incarica di rigenerare come il Dio della vita che la riscatta e la salva. Dentro le mutevoli condizioni della storia che coinvolgono anche il popolo di Dio, il riferimento all’alleanza – interpretata oggi dalla teologia del matrimonio in termini di rivelazione del “mistero nuziale” – rimane come paradigma fondamentale che trova in Gesù Cristo, Sposo della Chiesa sposa, il suo compimento. La famiglia risalta come comunione di persone: comunione dell’alterità personale sessuale, uomo-donna, e dell’alterità generazionale, genitori-figli. La ricchezza e i tratti dell’amore del Signore per la Chiesa sua sposa sono per i battezzati fonte d’ispirazione permanente anche per l’amore nuziale.

69 Nella comunità cristiana la famiglia di battezzati è luogo di attuazione della Chiesa, “chiesa domestica”, ove le relazioni marito-moglie, genitori-figli, fratelli-sorelle, sono la grammatica che consente di aprirsi alla ricchezza inesauribile della relazione di amore che Dio Padre intrattiene con gli uomini mediante Gesù Cristo nel dono del suo Spirito46. Anche nella chiesa domestica, come nella grande Chiesa, ci sono santità e peccato, grazia e bisogno di purificazione, gioia e afflizione, che si vincono con pazienza e amore attingendo alle energie della grazia rese disponibili dalla presenza del Signore risorto nel Sacrificio eucaristico, «fonte e apice di tutta la vita cristiana»47. Nella prospettiva del mistero di «comunione personale d’amore» che Dio vive in se stesso e di cui ha voluto

Dio, la preghiera e la fraterna condivisione di vita. Maria, Madre del bell’amore, e Giuseppe, Custode del Redentore, ci accompagnino tutti con la loro incessante protezione!» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie [2 febbraio 1994], 23).

46 «La famiglia cristiana è una comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. La sua attività procreatrice ed educativa è il riflesso dell’opera creatrice del Padre. La famiglia è chiamata a condividere la preghiera e il sacrificio di Cristo. La preghiera quotidiana e la lettura della Parola di Dio corroborano in essa la carità. La famiglia cristiana è evangelizzatrice e missionaria» (CCC 2205).

47 LG 11; cf anche GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, 1.

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fare partecipi l’uomo e la donna uniti nel vincolo coniugale, la famiglia si costituisce «laboratorio trinitario della pace», vale a dire delle relazioni buone e gratuite48.

2. L EGGERE LE SITUAZIONI PARTENDO DAL POSITIVO

70 A noi come comunità cristiana è chiesto di non prendere la scorciatoia del giudizio impaziente, ma piuttosto di lasciarci coinvolgere nell’urgenza di rielaborare la comprensione dei valori di fondo della famiglia e di individuare, dentro le fatiche di conservarli secondo il modello ereditato, i cammini corretti verso nuove forme che appaiono oggi da costruire sulla base di valori riconosciuti, coltivati e portati a maturazione. Si tratta di essere attenti a recepire le linee di valore emergenti, anche se ricercate e espresse in maniera problematica. Tali appaiono: 1. il desiderio e la speranza di relazioni autentiche, capaci di fare spazio all’altro, accordandogli rispetto e accoglienza nella sua specificità; 2. l’apprezzamento della famiglia come luogo di amore fatto di stima, fedeltà, aiuto reciproco; 3. la casa come ambiente di relazioni che consentono all’identità di rigenerarsi, mentre si trova messa alla prova da una società complessa che offre possibilità plurime, ma che porta con sé altrettanto in termini di erosione quando non di aggressività.

3. V IGILARE CIRCA IL NOSTRO LINGUAGGIO

71 L’impegno di annunciare il Vangelo in un mondo che cambia, perché non scada in sterile retorica – affermano i Vescovi italiani – «deve servire la vita concreta delle persone,… ricordando che il mistero di Dio raggiunge tutte le persone in ogni risvolto della loro situazione»49. Se ci limitiamo a parlare del matrimonio e della famiglia solo in modo ideale o secondo formulazioni di principio rischiamo di risultare una Chiesa lontana dalle concrete situazioni della vita, dalle preoccupazioni e dai ritmi quotidiani. In modo particolare è bene vigilare sul linguaggio morale per non indurre l’idea che l’etica sessuale, formulata in modo precettistico, sia la prima preoccupazione della Chiesa in ordine alla famiglia50. La conseguenza che deriva da un

48 «Le relazioni in seno alla famiglia comportano un’affinità di sentimenti, di affetti e di interessi, che nasce

soprattutto dal reciproco rispetto delle persone. La famiglia è una comunità privilegiata chiamata a realizzare “un’amorevole apertura di animo tra i coniugi e... una continua collaborazione tra i genitori nell’educazione dei figli” [GS 52]» (CCC 2206). «La fecondità dell’amore coniugale si estende ai frutti della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l’educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli [Cf GE 3]. In questo senso il compito fondamentale del matrimonio e della famiglia è di essere al servizio della vita [Cf FC 28]» (CCC 1653).

49 VMP 9. 50 «“Gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni, e, compiuti in modo

veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano, ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [GS 49]. La sessualità è sorgente di gioia e di piacere: “Il Creatore stesso... ha stabilito che nella reciproca donazione fisica totale gli sposi provino un piacere e una soddisfazione sia del corpo sia dello spirito. Quindi, gli sposi non commettono nessun male cercando tale piacere e godendone. Accettano ciò che il

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linguaggio di questo tipo è che la presentazione del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia risulta per molti un giudizio che emargina piuttosto che una “buona notizia” che attrae e stimola alla ricerca e all’impegno. Questo accade quando noi sbrigativamente valutiamo le situazioni e le qualifichiamo prescindendo dalla storia e dalla coscienza di chi le sta vivendo. Non si tratta di una rinuncia al discernimento, ma di elaborarlo secondo una duplice fedeltà, al disegno d’amore di Dio e all’uomo nella concretezza della sua esistenza, partendo dall’ascolto della coscienza degli interlocutori e ponendosi a servizio del loro cammino, verso il meglio loro possibile, aperto alle risorse dello Spirito del Signore che sa lavorare oltre le nostre viste la struttura e la storia di ogni persona.

4. ANNUNCIARE ASSUMENDO LO STILE DELL ’ ACCOMPAGNAMENTO

72 Siamo chiamati ad essere una Chiesa vicina alle famiglie, qualsiasi provenienza e condizione abbiano: una Chiesa che sa camminare “con” e “accanto” ad esse sulle strade dell’oggi, offrendo il Vangelo di un Dio che si china sugli uomini, che ascolta le difficoltà, si inserisce nei loro cammini di ricerca, li anima con il suo Spirito, li chiama all’alleanza e a dare, in modo peculiare, alla relazione uomo-donna nella famiglia i tratti del suo amore fedele e fecondo. Di particolare importanza sono in questo campo il dialogo e il confronto con le altre confessioni cristiane, sia per ciò che concerne i matrimoni misti, sia per il modo di porsi evangelicamente accanto alla complessità delle situazioni d’oggi. C. LE SCELTE DA OPERARE

73 Le nuove situazioni che le famiglie vivono, i mutamenti che le mettono alla prova, chiedono nuove strade e nuove modalità di annuncio del Vangelo per le famiglie, in modo che esso risulti fedeltà di Dio alla vita, verità che accoglie e mette in cammino. In quest’ottica il dialogo svoltosi nell’Assemblea Sinodale segnala alcuni obiettivi e prospetta percorsi da assumere. La Chiesa di Verona non parte da zero, ma riprogetta la sua tradizione pastorale con la consapevolezza che rinnovare la pastorale familiare implica una revisione del quadro pastorale complessivo.

1. L A FAMIGLIA VA RICONOSCIUTA COME LUOGO OVE URGE UNA NUOVA SINTESI TRA

FEDE E VITA

74 Occorre esplicitamente proporsi una nuova sintesi tra fede e vita, in modo che la fede non rimanga imprigionata in modelli culturali del passato, ma possa creativamente e fruttuosamente interagire con nuove acquisizioni economiche, tecnologiche, sociali e Creatore ha voluto per loro. Tuttavia gli sposi devono saper restare nei limiti di una giusta moderazione” [PIO XII, Discorso del 29 ottobre 1951]» (CCC 2362).

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lavorative e trovare le sue vie di attuazione nelle mutate situazioni. Una pastorale rinnovata è chiamata a favorire il dialogo tra valori culturali e valori evangelici, senza perdite di significato e senza fondamentalismi. In questo modo la famiglia cristiana può aiutare la Chiesa nella sua struttura parrocchiale ad operare due importanti mediazioni richieste dalla fedele trasmissione del Vangelo: la mediazione tra Chiesa e mondo, che non può essere efficace senza un rispettoso dialogo con il mondo, e tra meta finale e storia, una mediazione che chiede alla Chiesa di saper leggere nell’oggi i segni e i semi della pienezza definitiva.

75 Va da tutti attivata anche un’attenzione e partecipazione alle politiche familiari e al ruolo dell’associazionismo per promuovere tali politiche presso le istituzioni civili e politiche (come ad es. gli orari di lavoro nel caso di figli nella prima fase della vita, una politica della casa adeguata, il favorire i ricongiungimenti familiari, gli alloggi dignitosi anche per le famiglie degli immigrati). Sulla stessa linea va promossa l’interazione tra le famiglie e le diverse agenzie educative (anzitutto la scuola) presenti sul territorio.

2. L A PASTORALE FAMILIARE È CHIAMATA A DIVENTARE CURA D ELLA SPIRITUALITÀ

FAMILIARE

76 È indispensabile che la Parola di Dio, ascoltata e pregata, risulti nutrimento per la qualità delle relazioni che la famiglia intreccia, in modo tale che esse possano raccontare la positività dell’intera struttura della persona umana, tutta costruita per questo e tutta chiamata a salvezza. Anche il linguaggio della sessualità deve avere giusta attenzione. La promozione della capacità di leggerne i significati e di integrarli nella globalità della relazione fino alla sua ricchezza evangelica, è cammino da assumere con franchezza e con fiducia. È la buona qualità delle relazioni che consente alla famiglia il gusto per il dono della vita e per il servizio ad essa51. È ancora questa qualità delle relazioni che mette in grado di riformulare, di stagione in stagione della vita, l’equilibrio sempre delicato tra i differenti compiti, tra l’apertura alla società e alla comunità cristiana e gli spazi per la propria intimità. La cura della spiritualità familiare porta a valorizzare la casa come luogo ordinario e feriale di relazioni, di scambi, di messa a frutto delle suggestioni dello Spirito che insegna le vie dell’amarsi nelle gioie e nelle fatiche della vita.

3. L A PASTORALE FAMILIARE È CHIAMATA AD ESPLICARSI IN U NA ARTICOLATA AZIONE

FORMATIVA

77 Bisogna individuare e sviluppare ambiti formativi che riguardano la coppia nella sua

51 «… la sessualità, mediante la quale l’uomo e la donna si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed

esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte» (FC 11; cf CCC 2361). «L’amore coniugale dell’uomo e della donna è così posto sotto la duplice esigenza della fedeltà e della fecondità» (CCC 2363).

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dimensione coniugale, con un’attenzione specifica alle dinamiche relazionali, ed ambiti che riguardano la coppia nella sua dimensione genitoriale. L’esperienza ha già abbondantemente mostrato come un accompagnamento efficace verso la famiglia (a partire dalla pastorale del fidanzamento)52 e della famiglia non può essere affidato alla buona volontà. Si tratta di compiti che hanno bisogno di percorsi appropriati di formazione, a livello parrocchiale, vicariale e diocesano. In molti casi il livello vicariale appare quello più efficace. Questa ministerialità risulta più appropriata se viene assunta da una o più coppie che possono anche giovarsi della credibilità che deriva loro dal proprio vissuto.

4. L A PASTORALE FAMILIARE È CHIAMATA A FARSI ACCOMPAGNA MENTO NEL CAMMINO

78 A situazioni diverse le une dalle altre occorre saper offrire proposte e cammini differenziati. È da superare sia il giudizio formulato dall’esterno sia il paternalismo indulgente che banalizza problemi e fatiche. Questo domanda una pastorale che sappia apprezzare le diverse situazioni, secondo quegli elementi di pregio che le indicano aperte al regno, se pur segnate da limiti e fallimenti legati alla fragilità umana e ai pesi che talora gravano su fratelli e sorelle.

Ci riferiamo qui sia ai casi di convivenza, sia a condizioni difficili di matrimonio che portano alla separazione e al divorzio. Con sempre maggior frequenza incontriamo persone che vivono queste situazioni di non piena corrispondenza alla visione cristiana della coppia e della famiglia e che ugualmente chiedono di partecipare alla vita delle nostre comunità o che presentano i loro figli per la celebrazione dei sacramenti e l’educazione della fede. Ognuna di queste va incontrata nella particolarità che la contraddistingue, avendo cura di annunciare a tutti il valore del sacramento del matrimonio, così che possa essere da tutti riconosciuto e ognuno possa intravedere la via per abbracciarlo in pienezza.

In ragione di ciò va sempre mantenuta l’attenzione a presentare la norma morale cristiana nel suo significato pedagogico verso la pienezza del valore, evitando tutto ciò che può apparire punitivo e discriminante. Lo stile dell’accompagnamento non nasconde certo i problemi e le preoccupazioni, ma tende a proporre il Vangelo nella linea della sovrabbondanza dell’offerta di Dio, che invita all’apertura, a punti di vista più ricchi, piuttosto che a farlo suonare quale giudizio negativo o condanna senza appello.

79 Segnalare direzioni offrendo punti di riferimento a cui attingere può essere la modalità pastorale più fruttuosa e capace di avvicinare alla sovrabbondanza del Regno. Si può ipotizzare l’incarico a un prete e a coppie preparate per seguire le situazioni di difficoltà

52 Una particolare cura dovrà essere riservata alla preparazione al matrimonio a partire dalla educazione

all’amore dei giovani. Il Direttorio di Pastorale Familiare afferma categoricamente che di fronte alla nuova situazione culturale «la pastorale prematrimoniale, in ogni sua articolazione, costituisca uno dei capitoli più urgenti, importanti e delicati di tutta la pastorale familiare. Tale pastorale si trova di fronte a una svolta storica. Essa è chiamata a un confronto chiaro e puntuale con la realtà e a una scelta: o rinnovarsi profondamente o rendersi sempre più ininfluente e marginale. Di qui, in particolare, la necessità di una cura pastorale del fidanzamento che aiuti a riscoprirne e a viverne il senso umano e cristiano e di una preparazione immediata o particolare al matrimonio più attenta, puntuale e articolata» (n. 40).

40

nell’ambito del vicariato.

L’attenzione alle concrete situazioni è chiamata anche ad incontrare le realtà, mai facili da vivere, della malattia e della vedovanza che pesano su un numero non piccolo di famiglie, specie in una società che sta allentando il sostegno alle condizioni di debolezza. Senza pietismo e con i tratti propri della vita quotidiana la comunità cristiana può qui attivare una effettiva ministerialità di fatto, che faccia incontrare questi aspetti della vita con la luce del Vangelo tramite la fraternità.

5. L A PASTORALE FAMILIARE DEVE DARE IMPULSO ALLA ELABOR AZIONE DI STILI DI

VITA

80 Il passaggio dai valori ai modelli sembra avere nell’elaborazione dello stile di vita uno snodo vitale. Il senso e l’uso dei beni, la sete della giustizia e della pace, il modo di comporre i conflitti, la cura dell’ambiente, la capacità di assumere, con il gusto per la dignità che ne deriva, i costi che tutto questo comporta, hanno nella famiglia il loro primo laboratorio. Le famiglie possono qui insieme mettere a segno disponibilità e atteggiamenti di grande significato come l’accoglienza in affido o semiaffido di bambini e ragazzi di famiglie in gravi difficoltà. Il gusto di elaborare consapevolmente il proprio stile di vita consente anche, in modo appropriato, la critica e la denuncia di ciò che nella mentalità corrente, sovente veicolata dai mass media, risulta corrosivo della dignità della persona e dei valori fondamentali del matrimonio e della famiglia. L’elaborazione dello stile di vita è anche terreno fecondo di dialogo e d’incontro tra la famiglia e altre scelte di vita, altri carismi e ministeri espressi dalla comunità ecclesiale. In questo quadro, famiglie che vivono la missione ad gentes hanno grande significato.

6. L A PASTORALE FAMILIARE CHIEDE DI RIDISEGNARE LA STRU TTURA DELLA

PASTORALE PARROCCHIALE 81 È da mettere in conto che un’attenzione rinnovata alla famiglia, riconosciuta come “soggetto pastorale” e “risorsa”, chiede alla pastorale tradizionale mutamenti non marginali53. La pastorale che noi oggi pratichiamo sembra rivolgersi quasi sempre, di fatto, ai singoli. Questo certo sottolinea la fede come scelta personale, ma rischia di lasciare in ombra il tessuto relazionale della vita quotidiana nel quale la fede è chiamata a essere vissuta. Ciò vale in modo particolare in settori come l’iniziazione cristiana (IC), ove evidentemente la famiglia è direttamente coinvolta come tale. La sperimentazione in atto nell’ambito dell’IC e della pastorale battesimale in particolare, già oggetto di riflessione del Consiglio Pastorale Diocesano e di un apposito gruppo di lavoro, mostra le potenzialità ma anche il ridisegno che viene richiesto da un modo di preparare al battesimo che coinvolga pienamente le famiglie e metta la Chiesa in grado di presentare se stessa come segno e strumento di salvezza in quanto comunità fraterna che accoglie per offrire la grazia del Signore54.

53 Cf VMP 9. 54 Vale qui la pena richiamare il recente elaborato della Commissione per la Famiglia della Regione

Ecclesiastica Triveneta, Iniziazione cristiana e famiglia (2003).

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82 L’urgenza di ridisegnare l’organizzazione della pastorale vale anche certamente nella catechesi degli adulti, ove il gruppo sposi può essere luogo specifico per ascoltare la Parola e condividere i modi attraverso i quali concorre a plasmare stili di vita ricchi di pregio e coerenti. Si tratta di assumere uno stile familiare di fare pastorale, che faccia conto della rete di relazioni in cui ciascuno è inserito e dei tempi e ritmi che questo comporta. Occorre riprendere in considerazione l’impianto pastorale che abbiamo ereditato e rimisurarlo su questi obiettivi di fondo. Il tema della famiglia qui tocca quello della collaborazione e della corresponsabilità.

83 Tutte queste attenzioni – ricordano i nostri Vescovi – «richiedono che le parrocchie rimodellino, per quanto possibile, i loro ritmi di vita, per renderli realmente accessibili a tutti gli adulti e alle famiglie»55.

Sarebbe auspicabile che la Diocesi pensasse alla possibilità di disporre di un luogo di riferimento per le famiglie. Un luogo in cui le famiglie possano incontrarsi, fare esperienza di condivisione, di preghiera e amicizia. Un luogo in cui accostare la propria esperienza di vita familiare con la Parola di Dio per maturare una forte identità di coppia cristiana e meglio adempiere alla propria missione. Sarebbe questo un segno visivo del riconoscimento alle famiglie d’essere portatrici di una specifica proposta di spiritualità.

84 In una condizione di grandi cambiamenti, lo Spirito ci impegna a cercare le vie e i modi che permettano al messaggio del Signore di risultare lieta notizia per le famiglie e alle famiglie di essere racconto della buona notizia del Dio della vita e dell’amore giunta fino a noi. Allo stesso tempo ci invita a entrare nel loro mondo e nei loro linguaggi «con la fermezza della verità e il coraggio dell’integralità della proposta evangelica»56.

55 VMP 9. Cf anche CEI – UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA FAMIGLIA, Sulle orme di Aquila e

Priscilla. La formazione degli operatori di pastorale “con e per” la famiglia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1998.

56 VMP 9.

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I GIOVANII GIOVANII GIOVANII GIOVANI

«Scrivo a voi giovani, perché siete forti

e la parola di Dio rimane in voi

e avete vinto il maligno»

(1Gv 2,13b.14b)

PREMESSA

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Lo spirito che ci ha guidato in questi lavori sinodali sul tema riguardante “i giovani” è lo stesso spirito che ritroviamo nel Concilio Vaticano II, soprattutto nella GS, dove viene sottolineato che, per compiere la sua missione, «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul reciproco rapporto. Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, nonché le aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche»57.

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La Chiesa, quindi, si lascia provocare dalle persone e dai fatti cercando di leggere e interpretare i “segni dei tempi” alla luce della Parola. Nella convinzione che la pastorale non è una dottrina perenne e immutabile, ma l’arte di coltivare il regno di Dio dentro il mutare delle situazioni storiche, abbiamo cercato di coniugare insieme: - le indicazioni che sono emerse nello Strumento di Lavoro; - la ricchezza delle osservazioni raccolte nei lavori di gruppo delle Assemblee sinodali e dai

contributi di singole persone.

L’intento non è quello di formulare un ricettario sul “che cosa fare” ad uso delle parrocchie, dei movimenti o dei vari gruppi, ma di indicare dei percorsi e degli orizzonti di fondo rispetto alle dinamiche giovanili, in modo che siano punti di riferimento per uno stile di essere Chiesa che risponda alle esigenze e alle necessità di oggi.

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Un aspetto comune emerso riguarda certamente la complessità che si deve affrontare quando si parla dei mondi giovanili e delle tematiche ad essi relative. Appare anche riduttivo definire la fascia di età nella quale si è giovani. La nostra ottica è prettamente ecclesiale, pur avendo utilizzato le analisi e gli strumenti offerti dalle scienze umane come la sociologia, la filosofia e la psicologia.

57 GS 4.

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Data questa complessità, riteniamo punti di riferimento pertinenti le istanze del mondo giovanile. A partire da tali istanze si possono recepire gli appelli alla conversione, al fine di individuare linee per una pastorale che risponda alle esigenze dei giovani d’oggi.

A. I PUNTI DI RIFERIMENTO: LE ISTANZE DEL MONDO GIOVANILE

1. UN MONDO VARIEGATO E COMPLESSO

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Una Chiesa che vuole mettersi in ascolto, interrogarsi, accompagnare i giovani nel loro cammino di crescita e di fede, non può che partire da una attenta analisi del contesto socio-culturale. L’indagine Censis 2003, La generazione del consenso, delinea una cultura giovanile che rispecchia fedelmente e freddamente le contraddizioni, le antinomie e le patologie dell’attuale contesto sociale. Una realtà variegata e complessa che sarebbe illusorio pretendere di schematizzare o di definire con slogan. In questo senso più che di mondo giovanile appare opportuno parlare di “mondi giovanili”. Infatti, soprattutto negli ultimi decenni, il “fenomeno giovani”, presenta aspetti che fanno emergere realtà tra di loro profondamente diverse, con domande ed esigenze differenti, riguardo sia all’età che ai vissuti.

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Da una parte troviamo un mondo giovanile estremamente positivo, con la sua voglia di vivere e il suo desiderio di cambiamento, ricco di entusiasmi e di speranze. Dall’altra si notano, invece, realtà giovanili senza punti di riferimento significativi, con un atteggiamento di passività, di apatia, di immobilità, unita spesso ad una certa paura nell’assunzione di responsabilità. Una paura molto diffusa che viene spesso mascherata da atteggiamenti di arroganza, violenza, volgarità, indifferenza. Una paura che, invece, il più delle volte è il primo sintomo di situazioni di disagio che, se non affrontate, possono trasformarsi in vera e propria emarginazione ed esclusione. Inoltre non si può non sottolineare come la precarietà e la fragilità stiano diventando una dominante comune per molti giovani e una condizione stabile soprattutto per chi è più vulnerabile. Essa è dovuta soprattutto a fattori esterni. La difficoltà di avere un lavoro fisso o il problema di trovare una casa a prezzi accessibili di fatto rallentano ed ostacolano il raggiungimento di una propria autonomia.

2. LA CULTURA DELL ’APPARIRE

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Gli stili e i modelli di vita che la società di oggi propone sono basati più sull’avere che sull’essere, su parole chiave come successo, efficienza, competizione. Forse si può parlare di una vera e propria cultura dell’apparire e dell’arrivismo che può essere sintetizzata nello slogan

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“avere il massimo col minimo sforzo”. Tale situazione crea uno svuotamento etico. I valori della convivenza civile vengono rovesciati: quello che conta e prevale è la legge del più forte, del più ricco, del più furbo, del più arrogante, del più cinico, del più volgare e del più trasgressivo.

3. IL CONTESTO SOCIO-CULTURALE VERONESE

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Questa cultura, nei suoi molteplici aspetti, è presente con forza anche nella nostra società veronese, che si colloca a pieno titolo in quel particolare modello socio-economico veneto che in pochi anni ha subìto veloci e profonde trasformazioni. Anche a Verona sono rintracciabili sia punti di forza sia di debolezza, che incidono sulla formazione e la crescita dei propri giovani. Tra i primi va sottolineata la presenza di molteplici opportunità e di una pluralità di condizioni favorevoli, riscontrabile a diversi livelli (culturale, associativo, ambientale, economico ecc.). Emergono, in particolare, da una parte il ruolo formativo del mondo della scuola e, dall’altra, la ricchezza di associazioni culturali, sportive, ricreative, cooperative e di organizzazioni del terzo settore, di enti e gruppi tra i quali è significativa la presenza di quelli strettamente ecclesiali o che fanno comunque riferimento a una dimensione di Chiesa. Un posto di rilievo, rispetto anche al possibile impegno dei giovani, è occupato certamente dai numerosi gruppi di volontariato che agiscono nelle più diverse direzioni.

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Accanto a questi aspetti c’è da rilevare il progressivo indebolimento della cultura della responsabilità sociale e civile, l’abbandono pressoché generalizzato dell’impegno “politico” e la notevole carenza di dialogo tra il mondo adulto nel suo complesso e i giovani. Una carenza che si esprime anche in una storica difficoltà di collegamento e coordinamento tra tutte quelle realtà che, a qualsiasi titolo, si interessano della realtà giovanile. Non può essere sottovalutata, inoltre, l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa nella formazione complessiva dei giovani.

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Come ultimo aspetto, che si pone trasversalmente nell’attuale contesto socio-culturale veronese, ricordiamo la presenza in forte aumento di giovani immigrati. Essi, oltre a incidere in modo significativo sulle dinamiche sociali, rendono di fatto più complesso, ma al tempo stesso più arricchente, lo scenario cittadino, perché richiedono costantemente di allargare lo sguardo ad altre culture e ad altre religioni.

4. LA DOMANDA DI SENSO: LA RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITÀ

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La società di oggi, che offre una infinità di stimoli e di nozioni culturali, non riesce a fornire ai giovani strumenti per dare risposte rispetto alle domande di fondo e di “senso” per la loro vita. Tuttavia contro il pericolo quotidiano di essere sempre più massificati, molti giovani tentano di reagire mettendosi in gioco e cercando di essere protagonisti. C’è in loro un grande desiderio di

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autenticità: una continua ricerca di essere se stessi e di dare un senso ai giorni che passano. Una tensione che nasce più da convinzioni liberamente scelte e accettate che, come in passato, da una pressione sociale.

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Nella costruzione della propria identità ha un ruolo rilevante la dimensione affettiva e sessuale, dovuta non solo al naturale sviluppo psicofisico di ogni adolescente, ma all’inizio di quella ricerca di equilibrio tra le proprie dimensioni fisica, psicologica e relazionale che porta verso la maturità. Un percorso complesso che necessita, da parte degli adulti, di chiarezza, comprensione, discrezione e vicinanza, ma che trova, invece, un mondo in cui sembrano dominare solo i due estremi: da un lato un rigore moralistico chiuso e soffocante e, dall’altro, una falsa libertà, che svilisce la dimensione valoriale e banalizza qualsiasi scelta o comportamento controcorrente.

5. LA RELIGIOSITÀ DEI GIOVANI : IL PLURALISMO DELLE SCELTE RELIGIOSE

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La religiosità giovanile oggi si presenta assai variegata e per molti aspetti ambigua. Se da un lato i giovani non presentano atteggiamenti fortemente ostili o contrari alla realtà religiosa, dall’altro è sempre molto ampia la fascia di coloro che sono indifferenti e percepiscono la religione lontana dalla propria esistenza e dal proprio vissuto quotidiano.

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I giovani sono molto critici nei confronti delle istituzioni religiose perché è venuto meno il paradigma ecclesiale istituzionale. Vivono il loro rapporto con Dio in modo molto personale, dando grande importanza alla dimensione emotiva dell’esperienza religiosa. Prevale in loro l’esigenza di dare risposte di senso che siano fortemente legate alla vita quotidiana e ai bisogni concreti del momento. Questo induce una tendenza generale al relativismo etico e morale, alla fatica di accettare l’esistenza di una verità assoluta, che si manifesta anche in una massiccia “fuga” dalle chiese. Accanto a questo fenomeno assistiamo anche a un crescere generale del bisogno di “spiritualità” e di testimonianza, e ad una voglia di libertà e di autenticità che si esprime in una ricerca genuina del proprio modo di vivere la fede e che porta, sia pure per una minoranza, a sviluppare una propria identità cristiana forte e matura.

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

1. EDUCARE EDUCANDOSI

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Di fronte alle esigenti istanze e spesso anche alle pesanti critiche che provengono dal mondo giovanile alla Chiesa, per riuscire a realizzare una profonda e radicale conversione, è importante creare un contesto nel quale l’azione educativa favorisce la crescita di ciascuno nella reciprocità

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delle relazioni. Ed è proprio in questo “educare educandosi” che si sperimenta un continuo nascere e rinascere alla vita conviviale, per sentirsi sempre più una Chiesa che fa comunione. Si rende perciò urgente superare la spaccatura tra il vissuto dei giovani e ciò che la Chiesa stessa offre, a partire dal rinnovamento del linguaggio. Potremmo esprimere questa profonda esigenza attraverso l’icona evangelica del brano dei discepoli di Emmaus.

2. UNO STILE DI CHIESA CHE SULL ’ESEMPIO DI GESÙ:

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- è sempre aperta e disponibile ad accogliere perché: tiene le porte sempre spalancate facendo sperimentare luoghi e stili dove ciascuno si sente sempre a casa sua; si fa luogo di accoglienza e di relazioni che, a partire dal rispetto e dalla valorizzazione della storia e della vita di ciascun giovane, lo fa diventare risorsa e non più problema e ne promuove la crescita sia individuale sia in rapporto alla comunità, offrendo figure di riferimento che lo sappiano accompagnare e guidare nella scelta della propria strada; sa essere esigente e paziente, presentando con passione e convinzione il proprio annuncio, lasciando tuttavia tempo e spazio alla riflessione e all’elaborazione personale di ciascuno, accettandone, con la mano sempre tesa e con atteggiamento di fiducia e serenità, gli eventuali errori, cadute e ripensamenti.

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- cammina insieme perché: sa farsi compagna di “strada”, individuando ed eliminando le resistenze e le paure che la tengono lontana dai giovani; si “prende cura” dei giovani, delle loro possibilità di sviluppo e di crescita, uscendo dalle proprie mura sicure e andando per strada a cercarli ed incontrarli; è disponibile a confrontarsi sulle difficoltà e i problemi che i giovani incontrano, in particolare nei confronti della giustizia, dell’etica, della morale sessuale così come oggi viene proposta.

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- promuove e condivide la ricerca di senso perché: coltiva un atteggiamento evangelico di ascolto delle istanze, delle richieste, delle critiche delle nuove generazioni; propone e non impone, sostenendo in chi sta per aprirsi alla vita, una profonda fiducia nella possibilità di cambiare e la convinzione che un mondo diverso è possibile; è sempre disponibile a rinnovarsi, senza preoccuparsi di pensare a tanti progetti per i giovani e cercando di creare invece le condizioni perché siano i giovani stessi a progettare;

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- serve e si fa discepola della Parola perché: mette al centro di tutto la Parola per illuminare le coscienze e indicare percorsi di ricerca che aiutino i giovani stessi a reinterpretare in modo nuovo la loro vita, individuando il proprio cammino vocazionale; prega e canta i Salmi (Col 3,16), offrendo nuovi spazi di riflessione e di silenzio per meditare il mistero della vita e aprirsi alla contemplazione del Totalmente Altro; si sente missionaria, attenta al soffio dello Spirito che va oltre i propri confini, aprendo ai giovani orizzonti di incontro e di dialogo con culture e religioni diverse.

103

- vive la relazione perché: annuncia un Vangelo di maternità e paternità che sappia coniugare l’autorevolezza con la tenerezza di relazioni autentiche; usa un linguaggio comprensibile ancorando il proprio messaggio alla quotidianità, alle esperienze del contesto socio-culturale e alla storia del territorio; si fa comunione promuovendo una pastorale rinnovata che metta in atto effettive forme di sinergia e coordinamento;

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- si fonda sulla testimonianza, la coerenza e l’autenticità perché: vive la gioia di testimoniare come l’incontro con il Risorto colmi di senso e di speranza la vita di ogni giorno; sa essere povera, libera e distaccata dal denaro, dai beni di questo mondo e dalle lusinghe del potere, presentandosi come “coscienza critica” di una società del benessere che dimentica i valori della solidarietà e della condivisione; non ha paura e coltiva il coraggio della profezia, attraverso il confronto aperto con il mondo, senza mai rinunciare all’annuncio e alla radicalità della testimonianza.

C. LE SCELTE DA OPERARE

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Non esiste un problema dei giovani che non sia contemporaneamente un problema di tutti, degli adulti, della società, della Chiesa. Pertanto è necessario pensare la pastorale giovanile inserita in un contesto “unitario” più ampio. La Chiesa italiana negli ultimi anni, ha espresso nel documento Educare i giovani alla fede del 1999 e negli orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia per il primo decennio del Duemila, l’urgenza della ricerca di percorsi innovativi per vivere e comunicare la fede alle nuove generazioni. La doppia fedeltà al Vangelo e al proprio tempo fa sì che non si possa più differire un processo di rinnovamento, tramite l’avvio di un coraggioso laboratorio pastorale nel quale si ripensi, riprogetti, attui e verifichi costantemente la prassi ordinaria.

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La Chiesa veronese, rinnova oggi il suo impegno della trasmissione della fede al mondo dei giovani, recuperando le proprie radici in una storia che l’ha sempre vista profondere in questo campo le migliori risorse ed energie, sia attraverso la presenza di numerose istituzioni educative e scolastiche, sia mediante singolari esperienze di impegno nella scuola, nell’università, nel mondo del lavoro, nell’ambito del disagio e nel volontariato locale e internazionale. Il vero problema non è tanto quello di trovare nuovi metodi per attirare i giovani nella Chiesa o di pensare una pastorale per i giovani, ma piuttosto di creare spazi, non solo fisici, perché le nuove generazioni possano incontrarsi, conoscersi, aggregarsi, per diventare sempre più protagoniste e responsabili in prima persona.

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Bisogna che siano i giovani stessi a reinterpretare in modo nuovo la loro vita e a “capirsi” come cristiani, cioè ad accorgersi che la proposta evangelica permette di leggere e assumere la loro esperienza di vita in modo molto più significativo e pieno. È proprio il vissuto della realtà giovanile che provoca tutta la comunità cristiana a un profondo rinnovamento.

1. UNA COMUNITÀ CHE ASCOLTA E ACCOGLIE

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«Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna» (At 2,42). Nelle prime comunità cristiane il momento dell’ascolto della Parola e della condivisione del pane diventava il tempo per maturare la propria autocoscienza, per elaborare la propria identità, per alimentare dentro la storia la propria speranza. La strada dell’ascolto è una strada in salita, ma è dal saper ascoltare, dal saper accogliere e dal saper confrontarsi con gli altri che nasce una fede adulta.

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I giovani manifestano voglia di vivere e di stare assieme

I giovani sono gli interlocutori privilegiati del Gesù venuto «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Manifestano questo bisogno di pienezza di vita con radicalità, con l’espresso desiderio di una condivisione costante, con l’esigenza di trovare compagni di strada che li sappiano accettare così come sono: contraddittori, entusiasti, arrabbiati, sognatori, incoerenti. L’incertezza, la frammentazione e la solitudine della società globale, portano i giovani a cercare “luoghi” dove fare esperienze di vita comune e di aggregazione. I giovani chiedono il coraggio di inventare una pastorale che sappia passare dal tavolo delle riunioni alla tavola della fraternità; dalla scuola di catechismo alla scuola di vita. È necessaria una pastorale che offra occasioni e strumenti di formazione che aiutino a crescere verso una fede adulta, per poter maturare scelte di vita e risposte radicali a vocazioni specifiche. Occorre quindi creare sempre più luoghi dove si gusta il sapore della ricerca, il valore dello studio come discernimento della verità, la bellezza della dimensione affettiva che sta alla base di vere e profonde relazioni, la necessità del dialogo e del confronto culturale, la ricerca di un lavoro che risponda alle proprie aspettative; luoghi dove si cerca di coniugare il Vangelo con la

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vita attraverso l’impegno sociale e politico; luoghi dove si vive ma anche si pensa, cercando che l’esigenza di esperienze emotivamente significative si accompagni sempre alla dimensione critica del pensiero.

È dentro la società civile che i giovani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede cercando il bene comune nella giustizia e nella pace.

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I giovani abitano luoghi diversi dalla Chiesa

La vita dei giovani si svolge in luoghi molteplici, con una pluralità di frequentazioni e appartenenze formali e informali.

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Superando il complesso del vedere i giovani lontani dalla Chiesa, è sempre più necessario progettare una pastorale che elimini gli steccati del “noi e gli altri”, per una comunità missionaria che sappia farsi prossima ai luoghi del vissuto, del lavoro, del divertimento, del ritrovo quotidiano, del tempo libero dei giovani, aiutandoli a fare unità di tale pluralità di esperienze. Tale pluralità di appartenenze e di frequentazioni chiede di ricollocare l’ordinaria esperienza della vita parrocchiale in un altro contesto.

La pastorale, cioè, superando l’idea di una comunità parrocchiale come unico punto di riferimento della vita cristiana anche per i giovani, va pensata in rete: una rete di collegamento e di interdipendenza tra parrocchie vicine, tra associazioni e movimenti ecclesiali; una rete capace di far interagire i mondi che fanno parte di un territorio più ampio (associazioni, scuole, istituzioni pubbliche e private e luoghi di vita).

In questo tessuto complesso e multiforme i vari Centri di Pastorale diocesani dovrebbero trovare il loro ruolo di punto di riferimento in questa fase di rinnovamento, per un lavoro di coordinamento, di laboratorio di ricerca, di proposte, di iniziative, di corsi di preparazione e formazione di educatori, di sostegno alle realtà locali che stanno vivendo momenti di difficoltà, di produzione di materiale, di percorsi nuovi da inventare e sperimentare.

Inoltre la presenza sempre più numerosa di giovani provenienti da altri paesi con culture e religioni diverse impone con urgenza un’attenzione particolare nel creare spazi dove si viva la diversità come ricchezza, come dialogo, come incontro.

2. UNA COMUNITÀ CHE CELEBRA E ANNUNCIA

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Fin dall’inizio dell’esperienza cristiana c’è stata una reciprocità tra il rito celebrato e la vita. L’Eucarestia si faceva annuncio: «Guardate come si amano»58. Sono l’ascolto della Parola e lo

58 Cf TERTULLIANO, Apologeticum 39,7: CCL 1,151.

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spezzare il pane assieme che segnano l’orizzonte interpretativo per leggere la propria vita alla luce del Vangelo e farsi discepoli dell’unico Maestro per annunciare la Buona Novella.

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I giovani sono disorientati e cercano un senso profondo della loro vita

La vita oggi è declinata in una molteplicità di impegni e di appartenenze che la rendono particolarmente frammentata e che producono un vissuto senza punti di riferimento. Tuttavia permane nei giovani l’esigenza di risposte alle domande fondamentali di identità, di appartenenza, di senso, di scelta, alle quali una pastorale attenta non può sottrarsi. Dato che oggi la fede non è più “imposta” per socializzazione, ma viene invece “proposta”, occorre farla “sperimentare”, e il luogo massimo dell’esperienza della fede è la liturgia.

Di conseguenza è necessario ripensare una catechesi che non si preoccupi tanto di “spiegare”, quanto di “introdurre” dentro un mistero.

Nella grande tradizione della Chiesa il momento catechetico non precede la liturgia: viene dopo. È racconto di ciò che si è vissuto. I giovani rifiutano riti e segni spesso incomprensibili e lontani dalla vita quotidiana. Non sopportano celebrazioni noiose, soporifere e senza vitalità. Esprimono sempre più il desiderio di liturgie più vive, gioiose, partecipate, di omelie più vissute, e di una catechesi che metta al centro l’ascolto e l’approfondimento della Parola.

Quindi bisogna innanzitutto valorizzare gli spazi dove si celebra, si prega, si fa silenzio, si medita, si pensa, si cerca di interpretare la vita come vocazione e missione.

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I giovani hanno abbandonato la Chiesa, ma hanno ancora sete di “interiorità-essenzialità-spiritualità”

Il relativismo etico e la precaria formazione religiosa in cui molti giovani crescono, li portano ad essere lontani dalla freschezza e dalla novità del Vangelo e a vivere una fede debole e assopita.

Questo provoca a ripensare una pastorale che sia missionaria e assuma, quindi, la forma e le esigenze di una evangelizzazione di “primo annuncio”. Un “annuncio-proposta” che deve scaturire da una Chiesa “esperta in umanità”, che, libera da ogni dogmatismo pregiudiziale, sappia proporre la bellezza e la ricchezza di una Parola di “salvezza-speranza”.

È sempre più evidente il rifiuto da parte dei giovani di un annuncio “moralistico” della fede; un annuncio triste, che giudica e condanna, che non lascia spazio alla speranza.

Questa situazione rende sempre più necessari percorsi di formazione che abbiano come oggetto anzitutto la ricerca di un cammino che apre alla fede, e non una fede data per scontata. Una ricerca dove il giovane stesso sia il protagonista attivo e non l’attore passivo. Un percorso dove tutta la comunità ecclesiale abbia il coraggio di mettersi in gioco, di interrogarsi, di rischiare, di camminare assieme.

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3. UNA COMUNITÀ CHE TESTIMONIA

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«Andate». Cioè traducete in stile di vita e portate dentro la storia quanto avete ascoltato dalla Parola e vissuto nel rito dello spezzare il pane. Non smentite con le decisioni e le scelte della vita la profezia che avete celebrato nell’Eucarestia. «Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo» (cf Mt 5,13-14).

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I giovani hanno voglia di autenticità

I giovani cercano una vita autentica. Chiedono non parole ma fatti. Desiderano incontrare una comunità cristiana che vive e celebra il Vangelo della gioia, della bellezza, dell’emozione calda e partecipe, che testimonia la radicalità di una Parola profetica.

È necessario dar vita a una comunità che abbia il coraggio di passare da una pastorale della convocazione a quella dell’accompagnamento, inventando nuove forme di incontro, di servizio e di vita comune. Una comunità adulta che sappia prendere le distanze da sé come centro esclusivo della verità e trovare nell’altro, nella relazione e nell’incontro, lo spazio dove la verità si rivela.

È necessario quindi che la Chiesa si presenti esemplare e coerente e in grado di usare un linguaggio comprensibile legato alla vita, e sappia camminare insieme verso la “periferia”.

I giovani rifiutano un approccio dogmatico. Sono molto critici nei confronti di ogni autoritarismo e di ogni gerarchia che pretenda un ascolto autoreferenziale.

La figura dell’educatore oggi è quella del “testimone autentico e credibile”, non giovanilista, ma appassionato ai giovani e carico di umana e vicina autorevolezza. Un testimone che, sull’esempio di Gesù con i pellegrini di Emmaus, sappia interessarsi di quanto sta loro a cuore, parlare dei loro problemi quotidiani, lasciarsi interrogare, dialogare su tutto quello che riguarda la loro vita. Il testimone di una “Parola” che offre “ragioni di vita” e di speranza per la realizzazione di un mondo più umano.

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I giovani vogliono incontrare una comunità credibile per poter essere credibili

Per poter realizzare la propria identità è necessario che i giovani trovino nella famiglia il luogo primario per una crescita umana e spirituale. I nuovi percorsi di iniziazione cristiana tendono a coinvolgere sempre più i genitori e quindi a far diventare la vita di famiglia un luogo normale dove si parla della fede e si vive la fede. Per questo è sempre più necessario offrire ai genitori aiuti, strumenti e preparazione perché la fede sia trasmessa, parlata, pregata e vissuta nei luoghi della vita quotidiana.

Essi hanno inoltre la necessità di potersi riferire a una comunità autentica e coerente, che sappia far scaturire dall’ascolto e dalla celebrazione della Parola segni concreti che dicano la sua fede, la sua speranza e la sua carità.

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Una carità che parte da una seria educazione alla giustizia e alla partecipazione sociale e politica, cerca di individuare i meccanismi perversi che generano sofferenza ed emarginazione, trasforma il facile “assistenzialismo” in scelte di condivisione e solidarietà, educa alla pace attraverso segni profetici ispirati alla nonviolenza evangelica. Una comunità adulta, quindi, che considera i giovani come parte integrante del suo essere sacramento della fraternità e dove tutti si sentono responsabili di un cammino radicato nella fede e sempre aperto ad un rinnovamento coraggioso e maturante. Una comunità che non relega la testimonianza cristiana dei suoi figli a qualche proposta pastorale, ma vive e testimonia la Parola nello stile del prendersi cura gli uni degli altri, cercando di incoraggiare chi è in difficoltà, di cadenzare il cammino sul passo degli ultimi, di fare attenzione a chi è appena arrivato e di parlare sempre il linguaggio di tutti e di ciascuno.

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La costituzione GS, in una espressione mirabile, indica il cammino pastorale da seguire: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore»59. Il messaggio cristiano non si colloca in una sfera spirituale separata dall’esistenza. Ci invita, invece, ad appassionarci a tutto ciò che è umano, a vivere di simpatia e di compassione immersi nella vita, nelle circostanze belle o tristi di ogni giorno. È nel cuore della vita che le tracce del Signore risorto si lasciano riconoscere. È là che Egli ci precede.

59 GS 1.

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IIII MONDIMONDIMONDIMONDI DELDELDELDEL DISAGIDISAGIDISAGIDISAGIOOOO

«Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge e i profeti»

(Mt 7, 12) PREMESSA 119 Fin dalle fasi di consultazione60 questo Sinodo ha ritenuto importante il confronto con i “mondi del disagio”, ritenendo che in questa attenzione sia in gioco la nostra accoglienza e testimonianza del Vangelo. Tale attenzione non è pertanto accessoria, ma concerne l’identità e la missione della comunità ecclesiale.

Il termine “disagio” mette in evidenza la sofferenza e il bisogno che ci interpellano e che noi stessi sperimentiamo in diverse forme: lascia tuttavia inespressi sia la centralità della persona che concretamente sperimenta il disagio (non si tratta mai di “casi” o semplicemente di “tipologie”, ma di persone vive e concrete), sia il concatenarsi delle cause che provocano sofferenza, emarginazione e ingiustizia. Il termine “mondi” (al plurale) vuole sottolineare che siamo di fronte a una pluralità di situazioni, diversificate e complesse. Manteniamo anche la formulazione “mondo del disagio” perché ha accompagnato le fasi sinodali, interpretandola tuttavia alla luce di queste considerazioni.

Il mondo del disagio convoca la Chiesa veronese sulle frontiere del limite e delle periferie perché, nell’accoglienza e nella condivisione, si lasci convertire e si apra alla speranza che un mondo nuovo è possibile: quel mondo nuovo che è stato inaugurato dal Regno di Dio.

A. I PUNTI DI RIFERIMENTO 1. IL “ DISAGIO ” CI INTERPELLA 120 Il nostro mondo occidentale, inteso come orizzonte culturale e strutture sociali ed economiche, mentre evidenzia nuove sensibilità e offre possibilità inedite, crea anche un clima di disagio diffuso di cui tutti portiamo i segni. Sofferenze e ingiustizie sono sempre state presenti nella storia umana, tuttavia la situazione attuale si rivela inedita per numerosi aspetti e segnatamente per la mondializzazione dei rapporti economici, delle migrazioni, delle informazioni. Di fatto il processo di globalizzazione in atto, sebbene teoricamente ambivalente e quindi potenzialmente foriero di aspetti tanto positivi che negativi, sembra fino ad oggi risolversi in una impostazione economico-finanziaria caratterizzata 60 Cf Quaderni del Sinodo 9 e 10 (2003).

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dall’assenza di regole e dalla ricerca della massimizzazione del profitto. Questa impostazione non genera felicità neppure nei paesi del “benessere”: una cultura individualistica e consumistica crea problemi e suscita nuovi “bisogni”, la cui mancata soddisfazione aumenta il “male di vivere”, spesso legato anche alla mancanza di punti di riferimento e di valori. 121 Anche le sofferenze e i limiti inerenti alla stessa condizione umana – come la malattia, l’invecchiamento, la morte – assumono oggi, a causa della situazione generale, tratti caratteristici che li accentuano e spesso li rendono drammatici, aumentando la solitudine e provocando inquietudine e disorientamento. Pertanto, coscienti della difficoltà e della sfida rappresentata da questo nostro tempo, ma in esso profondamente coinvolti e ad esso intensamente appassionati, ci sentiamo interpellati dai “mondi del disagio” in più prospettive, connesse e inscindibili. 122 - Innanzi tutto ci sentiamo fortemente richiamati a non confondere le “persone umane”, con la

loro dignità, identità e libertà, con “casi” e numeri statistici. In questa direzione ribadiamo che ogni persona, pur chiedendo attenzioni concrete, è molto di più del proprio disagio, qualunque esso sia.

Teniamo inoltre più ampiamente presente la potenzialità di risorsa e di appello ad una qualità profondamente umana della vita che può essere presente in queste realtà. Ricordiamo, come esempio, che non è corretto identificare diversabilità e disagio: la diversabilità, infatti, può essere vissuta anche come risorsa, che ci aiuta a leggere con più profondità la nostra stessa vita come segnata dal limite. È stato scritto da una persona disabile: «beati i portatori di disabilità perché tutti si accorgeranno di portarne un po’ ed allora minore sarà il peso per ognuno di noi».

123 - Siamo coscienti che esiste una quantità di sofferenza personale e familiare che ha

manifestazioni e cause molto diversificate. Da questa diffusa realtà di sofferenza questo sinodo si è sentito interpellato; per molti aspetti ha già affrontato queste problematiche, in particolare negli ambiti precedenti, ai quali rimandiamo.

124 - Con queste attenzioni previe rivolgiamo il nostro sguardo ai diversi ambiti di disagio, che in

termini generali possono essere indicati come situazioni di emarginazione, siano esse create da cause strutturali e culturali o legate a situazioni esistenziali.

Precisiamo che, data l’ampiezza dei fenomeni considerati e il metodo seguito dal sinodo, non vengono utilizzati studi e indagini sociologiche. Prendiamo però atto che il fenomeno del disagio economico e dell’impoverimento coinvolge sul nostro territorio una fascia molto ampia di persone, che risulta purtroppo in costante aumento.

Richiamiamo qui sinteticamente quanto i risultati della consultazione hanno evidenziato: le necessità delle persone disabili, la condizione degli anziani, la presenza degli immigrati (con difficoltà di inserimento, di abitazione, di lavoro e documenti), la precarietà di vita dei disoccupati e delle vittime dell’usura, lo sfruttamento della prostituzione di donne e giovani (non solo da parte del racket ma anche da parte dei “clienti”), la situazione di detenzione dei carcerati, il disagio di tossicodipendenti e alcolisti e delle loro famiglie, la sofferenza legata a malattie di vario genere, sia fisiche che psichiche. Questo elenco, tuttavia, ha il valore di una esemplificazione e non pretende di essere esaustivo. Abbiamo inoltre la consapevolezza che

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una elencazione così generica rischia non solo di non tener conto delle singole situazioni, ma anche di disattendere tipologie ed esigenze diversificate all’interno dei singoli ambiti.

125 - Avvertiamo l’urgenza di individuare un quadro di riferimento all’interno del quale collocare

singole situazioni, attraverso l’analisi politica e strutturale delle cause e la necessità di un conseguente impegno per la giustizia e la pace alla luce del Vangelo, che ci spinge a ricercare stili di vita coerenti e sobri. Il confronto personale con la sofferenza e l’emarginazione e l’operosa solidarietà che questo suscita, spingono infatti contemporaneamente a ricercare anche la cause economiche, sociali e politiche del “disagio”, evitando di raccogliere tutto in generiche valutazioni sui “poveri”. È urgente tener presente il modello di sviluppo economico in cui siamo inseriti e le interconnessioni di tale modello a livello mondiale, che mostrano nessi inscindibili fra commercio delle armi, sfruttamento delle risorse, crisi dell’ambiente e impoverimento dei due terzi dell’umanità. È evidente che gli aiuti che non mettessero nello stesso tempo in discussione le cause che provocano l’emarginazione o l’ingiustizia, sarebbero parziali e inadeguati, pur se necessari come “risposte brevi”. Si rileva inoltre la contraddizione tra la disponibilità a dare offerte o sostenere iniziative benefiche di vario genere e il consolidarsi di una cultura discriminante ed escludente.

2. L’ ORIZZONTE DI RIFERIMENTO : VANGELO DELLA CARITÀ 126 L’ascolto di queste realtà, le motivazioni e gli atteggiamenti che devono guidare l’impegno nei confronti di esse, trovano nel messaggio evangelico il loro fondamento e la loro ispirazione. Le indicazioni evangeliche, i documenti ecclesiali che le attualizzano e la prassi delle comunità vengono raccolti nell’espressione “Vangelo della carità”. Motivazioni bibliche

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Il mistero dell’amore ha la sua origine e il suo fondamento nell’iniziativa gratuita e incondizionata di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio» (Gv 3,16).

Questo amore ha trovato la sua piena visibilità nell’umanità del Figlio Gesù Cristo che ha condiviso la condizione umana ed è divenuto Servo obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cf Fil 2,6-11). Profeta del Regno di Dio, Egli è venuto «per annunciare ai poveri la lieta novella, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e per proclamare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Solidale con i poveri nel suo stile di vita, «Egli ha preso su di sé le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Is 53,4), ponendo con la sua attività taumaturgica e con la sua prassi i segni di un mondo nuovo, liberato dalla sofferenza, dal male, dall’emarginazione e pienamente riconciliato. Icona vivente del Buon Samaritano (cf Lc 10,25-37), egli ha mostrato chi è il prossimo e come occorra farsi prossimo. Ha radicalizzato le esigenze dell’amore, ponendone le radici in un cuore trasformato, e ne ha allargato i confini fino al nemico (cf Mt 5,21-48). Nell’amore fattivo per i bisognosi, con cui Egli si fa solidale, ha indicato il criterio di giudizio su ogni vita umana (cf Mt 25,31-46). Per amore dei poveri ha condannato l’accumulo della ricchezza (cf Mt 12,13-21; 16,9) e ha denunciato l’impossibilità di servire Dio e il denaro (cf Mt 16,13), chiedendo ai suoi discepoli uno stile di vita non angosciato per i beni, ma fiducioso in Dio e dedito alla giustizia del Regno

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(cf Lc 12,22-31), ed esigendo da essi l’uso solidale dei beni (cf Lc 12,33-34). Condannato a una morte “maledetta”, Egli ha vissuto l’estrema solidarietà con i poveri, gli emarginati e i peccatori, rivelando ad essi l’amore del Dio a cui Egli restava fedele e aprendo loro la speranza della liberazione e della salvezza. In tal modo, Cristo è divenuto la “nostra pace”, abbattendo ogni muro di inimicizia, e ha raccolto nel suo Corpo, la Chiesa, coloro che erano lontani e coloro erano vicini, costituendola così sacramento dell’umanità riconciliata e pacificata (cf Ef 2,14-18). 128 L’amore di Dio, rivelato in Cristo, è stato effuso nei nostri cuori per il dono dello Spirito (cf Rm 5,5). È questo Spirito che rende possibile ai credenti manifestare i suoi frutti che sono «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza» (cf Gal 5,22) e far crescere in essi quell’uomo nuovo che conforma i propri atteggiamenti di amore a quelli di Cristo (cf Col 3,12-15). È lo Spirito che permette alla Chiesa di vivere la comunione, come qualità di relazioni nuove, di solidarietà nell’uso dei beni e di attenzione a coloro che sono nel bisogno (cf At 2,42-47; 4,32-35). È lo stesso Spirito che nei credenti e in tutta la creazione geme perché nasca il mondo nuovo e la nuova creazione pienamente liberata dal male e degna dei figli di Dio” (Rm 8, 19-24). Indicazioni ecclesiali

129 La Chiesa, mentre riceve con rinnovata gratitudine e responsabilità l’annuncio dell’amore di Dio, si fa premura di indicare, alla luce dei “segni dei tempi”, i tratti, gli atteggiamenti, le scelte che le comunità cristiane sono chiamate ad assumere in questo nostro tempo61. Richiamiamo sinteticamente queste autorevoli interpretazioni, raccogliendo le principali indicazioni provenienti dal Concilio e dal Magistero pontificio (a); da organismi ecumenici a cui è legata a diverso titolo la Chiesa Cattolica (b); dalla Chiesa Cattolica Italiana (c): 130 a. - Il Concilio, mostrando il volto di una Chiesa che si pone alla sequela di Gesù Cristo, in

cammino verso il Regno, e perciò è comunità della comunione che si offre fiduciosamente al mondo, riprende e rinnova il magistero sociale inaugurato nel secolo precedente. Gli inviti all’amore scambievole e all’operosa solidarietà, infatti, assumono tratti specifici ed inediti, che riguardano anche dimensioni sociali, politiche, internazionali.

131 - Nell’enciclica Centesimus annus il recente Magistero pontificio riprende i temi presentati in

precedenza dalla dottrina sociale della Chiesa: «la prima origine di tutto ciò che è bene è l’atto stesso di Dio che ha creato la terra e l’uomo, e all’uomo ha dato la terra perché la domini col suo lavoro e ne goda i frutti (cf Gen 1,28-29). Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la ragione dell’universale destinazione dei beni della terra»62.

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61 Cf DV 8. 62 CA 31. «La stessa dottrina (sulla destinazione universale dei beni e la proprietà privata presente in GS

69.71) ho ripreso prima nel discorso alla III conferenza dell’episcopato latino-americano a Puebla, e poi nelle encicliche Laborem exercens e Sollicitudo rei socialis» (CA 30).

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L’attenzione alla vita minacciata, in tutte le sue accezioni, si estende all’impegno per la giustizia e la pace: «Ho ripetuto il grido: “Mai più la guerra!” No, mai più la guerra che distrugge la vita degli innocenti, che insegna a uccidere e sconvolge egualmente la vita degli uccisori, che lascia dietro di sé uno strascico di rancori e di odi, rendendo più difficile la giusta soluzione degli stessi problemi che l’hanno provocata! Come all’interno dei singoli stati è giunto finalmente il tempo in cui il sistema della vendetta privata è stato sostituito dall’impero della legge, così è urgente che un simile progresso abbia luogo nella comunità internazionale. Non bisogna peraltro dimenticare che alle radici della guerra ci sono in genere reali e gravi ragioni: ingiustizie subite, frustrazioni di legittime aspirazioni, miseria e sfruttamento di moltitudini umane disperate le quali non vedono la reale possibilità di migliorare le loro condizioni con le vie della pace. Per questo l’altro nome della pace è sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo» 63. Questo comporta vigilanza e denuncia delle strutture di peccato64, attenzione all’ambiente65, cura per uno sviluppo non puramente economico ma integralmente umano66.

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- Queste indicazioni non riguardano unicamente le azioni da intraprendere, ma uno stile di vita da assumere, che dovrebbe caratterizzare la mentalità, le relazioni, le scelte personali, familiari, comunitarie. Tale stile viene indicato dal Concilio anche come necessario nel concreto “esercizio della carità”: «Affinché tale esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni sospetto e manifestarsi come tale… si abbia riguardo, con estrema delicatezza, alla libertà e alla dignità della persona che riceve l’aiuto: la purità di intenzione non sia macchiata da ricerca alcuna della propria utilità o da desiderio di dominio; siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non avvenga che si offra come dono ciò che è già dovuto a titolo di giustizia; si eliminino non soltanto gli effetti, ma anche le cause dei mali; l’aiuto sia regolato in tal modo che coloro i quali lo ricevono vengano, a poco a poco, liberati dalla dipendenza altrui e diventino sufficienti a se stessi»67.

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- Nel recente anno giubilare il testo di Lev 25,23 «la terra è mia e voi siete presso di me come stranieri e inquilini» ha guidato l’esortazione alla purificazione della memoria e alla realizzazione di segni di carità (dall’eliminazione del debito e delle sopraffazioni, alla

63 CA 52. «Una folle corsa agli armamenti assorbe le risorse necessarie per lo sviluppo delle economie

interne e per l’aiuto alle nazioni più sfavorite. Il progresso scientifico e tecnologico, che dovrebbe contribuire al benessere dell’uomo, viene trasformato in uno strumento di guerra: scienza e tecnica sono usate per produrre armi sempre più perfette e distruttive, mentre a una ideologia, che è perversione dell’autentica filosofia, si chiede di fornire giustificazioni dottrinali per la nuova guerra…» (CA 18).

«Qui s’inserisce anche, come segno del rispetto per la vita – nonostante tutte le tentazioni di distruggerla, dall’aborto all’eutanasia –, la preoccupazione concomitante per la pace; e, di nuovo, la coscienza che questa è indivisibile: o è di tutti, o non è di nessuno. Una pace che esige sempre di più il rispetto rigoroso della giustizia e, conseguentemente, l’equa distribuzione dei frutti del vero sviluppo» (SRS 26).

64 SRS 36. 65 CA 37; cf CCC 2415. 66 SRS 27-34. 67 AA 8b. «San Giovanni Crisostomo lo ricorda con forza: “Non condividere con i poveri i propri beni è

defraudarli e togliere loro la vita. Non sono nostri i beni che possediamo: sono dei poveri” [SAN GIOVANNI

CRISOSTOMO, In Lazarum, 1, 6: PG 48, 992D]» (CCC 2446).

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creazione di cultura di solidarietà)68. In questa direzione vanno anche i ripetuti messaggi e appelli del Papa Giovanni Paolo II per la pace. 135

b. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) ha più volte indicato questo orizzonte come urgente per la testimonianza del Vangelo: ricordiamo, come esempio, l’assemblea di Seul (1990), Giustizia, pace e salvaguardia del creato; il tema a cui è dedicato l’attuale Decennio per vincere la violenza (2001-2010); e la Carta Ecumenica delle Chiese d’Europa, firmata a Strasburgo nel 2001, che invita all’azione comune per la riconciliazione di popoli e culture, la difesa della giustizia e della pace, la salvaguardia del creato. Nella stessa direzione va il magistero, concreto e simbolico a un tempo, di scambi e incontri interreligiosi per la pace, a diverso livello. 136

c. La Chiesa Cattolica Italiana si è impegnata nella riflessione su queste tematiche soprattutto negli Orientamenti Pastorali degli anni ‘90, dal programma significativo Evangelizzazione e testimonianza della carità69. Nel documento si mette in evidenza la portata evangelizzatrice della carità:

«La carità evangelica è caratterizzata dalla concretezza. L’amore, se è tale, si fa gesto e storia – come nella vita di Gesù e sulla croce – raggiungendo l’uomo sia nella singolarità della sua persona che nell’interezza delle sue relazioni con gli altri uomini e con il mondo… Per tutte queste sue caratteristiche la carità cristiana ha in se stessa una grande forza evangelizzatrice. Nella misura in cui sa farsi segno e trasparenza dell’amore di Dio, apre mente e cuore all’annuncio della parola di verità. Desideroso di autenticità e di concretezza, l’uomo di oggi apprezza di più i testimoni che i maestri e, in genere, solo dopo esser stato raggiunto dal segno tangibile della carità si lascia guidare a scoprire la profondità e le esigenze dell’amore di Dio»70.

137 - Gli Orientamenti pastorali per l’attuale decennio (CVMC) sottolineano che le

indicazioni sulla vigilanza profetica, sulla coerenza e sulla fantasia della carità, offerte nel decennio precedente, «mantengono tutt’intera la loro validità»71. Lo stesso documento, mentre chiede un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia evidenziandone anche i molteplici motivi di disagio, sottolinea l’importanza del contributo delle donne, in questo come in altri ambiti: «Non si dà pienezza di umanità senza che uomo e donna si esprimano liberamente e pienamente, secondo i rispettivi doni», di ognuno e ognuna (n. 51). Ancora afferma: «La prospettiva del servizio della carità ci dà occasione di rivolgerci ai religiosi, chiamati proprio in virtù della loro scelta di vita che li rende “poveri e marginali” a essere segno di speranza, testimoniando la possibilità data ad ogni uomo e donna di abitare le frontiere della società e della vita trovandovi un senso, una ragione per cui è possibile vivere e dare la vita» (n. 62).

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68 GIOVANNI PAOLO II, Bolla di indizione del Grande Giubileo dell’anno 2000 Incarnationis mysterium, 11-

12; NMI 14 e soprattutto 49-52. 69 Il Convegno di Palermo del 1995, con quanto l’ha preceduto e seguito (cf CEI, Il Vangelo della carità per

una nuova società in Italia, 1994; CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 1995). 70 CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 23.24. 71 CVMC 62; cf 40.

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- Queste dimensioni di fondo si aprono su indicazioni di attuazione per ambiti distinti seppur correlati, come la funzione e il rilancio della Caritas quale organismo pastorale72, la riflessione critica e le prese di posizione di fronte alla diversità culturale e al razzismo73, la pastorale della salute74, l’attenzione ai diversamente abili.

Non è inutile ricordare che le indicazioni non sono descrizioni: anzi, nella gran parte dei casi, non solo lasciano intendere ma affermano esplicitamente che sono necessarie proprio perché la nostra realtà ne è molto distante. 3. L’ ESPERIENZA DELLA CHIESA DI VERONA

139 - Questo non è rimasto senza eco nella Chiesa di Verona: per limitarsi agli interventi più

recenti, si possono ricordare il progetto Pastorale diocesano La Chiesa veronese annuncia, celebra e testimonia il Vangelo della carità75 e la lettera pastorale di mons. A. Nicora per la quaresima 1996 La virtù cristiana della sobrietà. Sfida evangelica al consumismo e via alla carità. Sono da segnalare anche gli interventi sulla fisionomia e funzione della Caritas diocesana e parrocchiale: «L’ideale sarebbe che la Caritas non facesse “gestione di servizi” bensì animasse, facesse sorgere, sostenesse, coordinasse, orientasse tante forme di servizio e di impegno, e prima ancora tante forme di vita, di testimonianza personale, familiare e comunitaria»76. Ricordiamo inoltre Il Convegno missionario 2000, con i temi espressi trasversalmente nelle diverse aree di approfondimento e in particolare nella sezione «mondialità, missione e regno di Dio»77. Infine, già all’interno del cammino sinodale, richiamiamo le Lettere dal Sinodo, in particolare la Lettera ai detenuti e la Lettera dal Sinodo per la Pace78.

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72 «Attraverso l’opera delle Caritas parrocchiali, che auspico continuino a diffondersi e moltiplicarsi,

proseguite, carissimi, ad alimentare e far crescere una carità di popolo e di parrocchie, che coinvolga ciascun battezzato in attività pastorali ordinarie: una carità che si traduca in educazione all’interculturalità, alla mondialità, alla pace, sforzandosi di incidere efficacemente sul territorio. Emergerà così il volto di una Chiesa non solo preoccupata di promuove servizi per i poveri, ma anche e soprattutto di avviare con loro percorsi di autentica condivisione. Sia la famiglia il luogo primario dove si impara a vivere questa carità fatta di reciproca attenzione e dedizione, compresenza, complementarità, compartecipazione, condivisione. A tal fine, vi esorto a rilanciare, in uno stile consono ai tempi, occasioni di incontro e di condivisione tra famiglie» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso nel trentesimo anniversario Fondazione Caritas, 24 novembre 2001).

73 CEI - COMMISSIONE ECCLESIALE «GIUSTIZIA E PACE», Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà (1990); cf PONTIFICIA COMMISSIONE «IUSTITIA ET PAX», La Chiesa di fronte al razzismo (1989); CEI - COMMISSIONE ECCLESIALE PER LE MIGRAZIONI, Ero forestiero e mi avete ospitato (1993).

74 CEI - CONSULTA NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria. Cf anche il documento sulla sofferenza mentale realizzato da Caritas Italiana e Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità della CEI, dal titolo significativo: Un dolore disabitato. Comunità cristiana e sofferenza mentale (2004).

75 A. NICORA, La Chiesa veronese annuncia, celebra e testimonia il Vangelo della Carità, in Bollettino della Diocesi di Verona 52/8-9 (1995) 657-688. Il Progetto pastorale per gli anni 95-97 si allarga di fatto fino al 2000 (cf Ibid., 683: «Tempi del progetto»).

76 A. NICORA, Una comunità che annuncia, celebra e testimonia la carità, a cura della Caritas Diocesana Veronese, Verona 13 Novembre 1992, 22; cf anche ID., La caritas parrocchiale, a cura della Caritas Diocesana Veronese, Verona 11 febbraio 1993 e Il Vangelo della carità tra povertà e benessere, a cura della Caritas Diocesana Veronese, Verona 19 novembre 1993.

77 Verona in missione nel terzo millennio. Atti del Primo convegno missionario diocesano, Verona 27-29 ottobre 2000, 120-160.

78 F.R. CARRARO, Lettera dal Sinodo ai fratelli e sorelle detenuti nel carcere di Verona, in Bollettino della Diocesi di Verona 89/11 (2002) 1279-1280; Lettera del Sinodo per la Pace, in Bollettino della Diocesi di Verona 90/2-3 (2003) 121-124.

60

- È importante anche segnalare una sorta di “magistero della prassi”: il patrimonio di esperienze di solidarietà e volontariato presente a Verona. Questo significa ricordare l’impegno personale di molti e molte e l’impegno degli Istituti religiosi, eredi in gran parte di una tradizione che nell’Otto-Novecento ha dato un contributo importante di solidarietà, aprendo, tra l’altro, nuovi campi di impegno pubblico per le donne. L’importanza di questa tradizione emerge significativamente nelle figure dei Santi veronesi. Ciò significa ovviamente anche ricordare le strutture diocesane, in particolare quelle raccolte nella sezione Carità e salute e nella sezione Missione ed immigrazione. Ma questo riguarda anche più ampiamente le associazioni: la Guida ai servizi di Verona e Provincia79 nel 2004 censisce 984 fra gruppi ed associazioni. Sembra, tra l’altro, importante sottolineare, proprio nell’orizzonte ampio del tema sinodale, che molte di queste associazioni sono aconfessionali e vedono l’impegno congiunto di persone appartenenti alla nostra comunità ecclesiale e di persone che non ne fanno parte. Questo lavoro comune appare una palestra di solidarietà, di testimonianza evangelica, di dialogo che molto può dire a tutta la Chiesa.

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

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Il confronto con la molteplice realtà dei “mondi del disagio” e l’ascolto del “Vangelo della carità” ci invitano a individuare percorsi di conversione. Il richiamo del primato della persona e l’esigenza di una spiritualità della carità ne rappresentano gli assi portanti, che si aprono in una serie di attenzioni correlate fra loro: 142 1. Ci sentiamo impegnati a superare un approccio superficiale nei confronti sia delle persone che

delle situazioni. Tale impegno si può concretizzare nel: - superare la presunzione di conoscere a priori le situazioni, i bisogni e anche le possibili

soluzioni; - non confondere diversità con inferiorità, né limite con problema; - abituarsi a una ricerca delle cause strutturali (economiche, sociali, politiche) delle

situazioni di povertà ed emarginazione; - prendere coscienza dell’impostazione globale della nostra società.

143 2. Sottolineiamo la necessità di coltivare atteggiamenti che possano consentire relazioni

profonde ed autentiche. Questo comporta: - la consapevolezza della necessità di relazioni improntate a profondo rispetto di ogni

persona, di qualsiasi disagio sia portatrice, all’ascolto e alla reciprocità, nella disponibilità a imparare dagli altri, nel segno della gratuità e non nella ricerca di gratificazione;

- la disponibilità alla verifica sistematica delle proprie convinzioni, per imparare a nominare i pregiudizi, smascherando e superando atteggiamenti di superiorità, di razzismo, di paura esasperata;

- l’abbandono di una mentalità di delega e l’impegno di formazione alla responsabilità personale.

79 Guida ai servizi sociali di Verona e Provincia su progetto della Caritas Diocesana, Provincia di Verona,

Comune, ULSS 20, in collaborazione con ULSS 21.22, Servizi sociali di Verona e Azienda Ospedaliera, Grafiche P2, Verona 2004.

61

144 3. Auspichiamo che la comunità cristiana diventi il luogo di esercizio di relazioni autentiche,

improntate a uno stile di comunione, in modo che da questa qualità di relazione possiamo tutti sentirci accolti e risanati e fare perciò tutti esperienza di salvezza. - In questo stile comunitario possono essere accolte anche situazioni di cronicità che

chiedono accompagnamento più che prospettare soluzioni. È importante imparare a portare con speranza certe forme di disagio, educandoci all’accettazione del limite. Può essere proprio la condivisione di queste situazioni che ci forma, mettendoci di fronte al nostro limite. In questo senso il confronto con il “disagio” è spazio profetico per sperimentare una nuova qualità di vita, un modo più umano di gestire il proprio tempo e le proprie risorse.

- Questo stile comunitario può diventare formativo anche perché evidenzia la necessità di operare costantemente in sinergia, all’interno della comunità e più ampiamente con chiunque opera in settori comuni.

145 4. Siamo chiamati ad assumere in prima persona, come singoli e come comunità, l’impegno ai

cambiamenti di stile di vita e di uso delle risorse. Questo significa anche essere disponibili a riconoscere le nostre incoerenze e le nostre controtestimonianze, primo passo per una richiesta di perdono che diventi autentica nel superamento dei compromessi e delle “strutture di peccato”. Nonostante le ripetute dichiarazioni di principio, infatti, siamo ben lontani sia da una gestione solidale delle risorse sia da una accoglienza giusta e vera: ricordiamo, come fatti particolarmente gravi, gli affitti negati o iugulatori per gli immigrati e il rifiuto opposto a persone disabili da parte di strutture religiose.

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5. È indispensabile passare da una mentalità di emergenza e di assistenza a un’attenzione costante alle situazioni, in solidarietà e condivisione, in tensione – come singoli e come comunità – verso una scelta preferenziale dei poveri.

Sottolineiamo che l’impegno per la legalità, la giustizia, la pace, la difesa dell’ambiente deve far parte integrante delle prese di posizione in difesa della vita.

147 6. È necessario crescere in una spiritualità della carità: luogo di sintesi e di unificazione in cui

la preghiera e l’ascolto del Vangelo possano dar forma all’impegno, e la solidale operosità apra alla contemplazione. La vita cristiana possa diventare così esperienza di incontro con Cristo, misura della nostra distanza dall’ideale di “partire dagli ultimi”, richiesta di perdono e invocazione perché “venga il Regno”. La partecipazione alla celebrazione eucaristica, “fonte e culmine” della vita cristiana, ci edifichi nella carità, comunità della comunione, rigorosa nella giustizia e premurosa nell’ospitalità.

C. LE SCELTE DA OPERARE

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148 Le conversioni individuate inducono la nostra Chiesa a impostare scelte pastorali conseguenti, che in primo luogo riguardino lo stile, le relazioni e la qualità di vita della comunità cristiana (1 e 2); che conducano a operare per incidere sulle strutture (3); che portino a dar vita a percorsi di formazione, di verifica, di coordinamento (4, 5 e 6).

149 1. La dimensione ecclesiale di una comunità che si fa casa abitabile, più volte ricordata nel

sinodo, dovrebbe trovare in questo ambito concreta manifestazione. Non si tratta infatti della “comunità ecclesiale” da una parte e dei “disagiati” dall’altra, come “oggetti” di attenzione e di cura: la vita normale della Chiesa deve mostrare la sua capacità di rendere tutti destinatari e insieme protagonisti del Vangelo. La comunità ecclesiale siamo tutti noi, ed è questa comunione a farci sperimentare e annunciare la grazia del Vangelo che salva.

150 Affermare questa dimensione di fondo non deve far dimenticare le concrete situazioni che creano o aumentano disagio e diseguaglianze. È perciò necessario dar vita a scelte concrete di superamento delle discriminazioni. Individuiamo alcuni passaggi urgenti. 151 - Si sottolinea la necessità dell’abbattimento delle barriere architettoniche, in particolare

nelle chiese e negli ambienti ecclesiali. Si provveda inoltre alla predisposizione di supporti specifici di comunicazione per non udenti e per non vedenti, in particolare per la partecipazione alla liturgia. Si abbia cura di offrire dei segnali di apertura nei confronti dei diversamente abili realizzando percorsi pastorali insieme a loro e non soltanto “per” loro. Si verifichino i casi di rifiuto opposti a disabili da parte di strutture religiose, compresi i casi di amministrazione dei sacramenti, e ci si impegni risolutamente a evitare comportamenti di questo genere.

152 - Nell’impostazione della nostra società, basata su efficienza e ritmi veloci, i disagi

sperimentati dagli anziani sono notevoli: si ponga attenzione a valorizzare la loro presenza, offrendo anche tempo, pazienza e spazi di incontro, affinché gli anziani, non esclusi i preti, possano sperimentare la gioia di dare ancora un loro contributo e sentirsi così soggetti attivi e non solo “oggetti” di cura.

153 - Si abbia a cuore nella vita ordinaria delle parrocchie la vicinanza a chi soffre nella malattia.

In particolare si consideri con sollecitudine la situazione di chi soffre per disturbi e disagi mentali. Questo tipo di patologia è stato definito “un dolore disabitato”: si abbia cura che coloro che portano il peso di questa sofferenza – i malati e le loro famiglie – possano trovare abitabile e solidale la comunità cristiana.

154 - Le comunità cristiane possano essere abitabili anche per altre situazioni di “diversità”,

come per quella degli stranieri: così che sia possibile dire con autenticità «non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini… e familiari…» (Ef 2,19). A questo scopo si verifichi tra l’altro l’integrazione degli immigrati cattolici nelle comunità e la reale possibilità di partecipazione alla liturgia e alle attività pastorali. Si metta inoltre ogni cura per superare diffidenza ed esclusione nei confronti di Sinti e Rom. Si vigili affinché dalle comunità cristiane sia eliminato lo scandalo degli affitti negati agli immigrati o “gonfiati” con prezzi ingiusti.

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155 2. Si richiede l’attenzione a stili di vita sobri e coerenti: questa attenzione non può essere

limitata alle scelte dei singoli, ma deve coinvolgere l’intera comunità ecclesiale, le sue componenti (parrocchie, associazioni, istituti religiosi) e le sue strutture anche nella gestione degli spazi e delle risorse economiche. Non si sottolineerà mai abbastanza quanto l’evangelizzazione, che ci sta così a cuore, trovi un enorme ostacolo nella nostra incoerenza di vita. A questo proposito si sottolinea anche l’importanza di una verifica delle modalità di uso del denaro (bilanci di giustizia, banca etica, commercio equo e solidale, consumo critico, ecc.) da parte dei singoli e delle comunità. Si privilegi la maturazione di stili solidali a partire dalle condizioni di prossimità: nelle famiglie e nelle parrocchie la carità si allarghi progressivamente, senza trascurare le relazioni più vicine.

156 3. Si configura così lo spazio per l’impegno politico come “forma alta della carità”:

- la comunità cristiana possa “abitare il territorio”, sostenendo concretamente lo sviluppo di una città solidale, di comunità locali accoglienti centrate sulle politiche di integrazione delle differenze, orientate ai temi della salute, della casa, del lavoro, con particolare attenzione alle persone vulnerabili e con la programmazione di scelte educative-formative di prevenzione del disagio.

157 - Questo significhi anche prendere posizione, con franchezza e libertà di parola,

sganciandosi da compromessi e connivenze. Ci si faccia carico in particolare di prendere la parola in difesa di coloro che, anche prossimi a noi, sono sempre più esclusi dall’attuale modello di società, denunciando ogni atteggiamento discriminatorio e preconcetto. In questo orizzonte si dovrebbe poter giungere, pur nel rispetto della pluralità di scelta all’interno della comunità, a posizioni comuni sui problemi fondamentali.

158 - Si abbia cura di essere disponibili a proporre e a predisporre risposte immediate (“brevi”)

ai bisogni più urgenti e a impostare le risposte a lungo termine (“lunghe”), finalizzate cioè al cambiamento delle strutture. Per questo è necessario formare cristiani preparati all’impegno nelle istituzioni politiche e sociali.

159 - A questo proposito appare urgente richiamare l’attenzione sulla situazione della scuola e

della sanità: i meriti delle iniziative di volontariato o più ampiamente ecclesiali non devono distogliere dall’impegno nel pubblico. Questi settori stanno infatti vivendo una difficoltà che penalizza in maniera crescente le fasce più deboli: l’azione di aiuto immediato si accompagni pertanto all’azione pubblica in difesa dei valori della giustizia, dei diritti e della solidarietà. Il confronto con l’immigrazione rappresenta poi una sfida epocale: in coerenza con il messaggio evangelico che non “fa differenza di persone” la comunità ecclesiale si mostri coraggiosa e disponibile. Appare necessario pertanto operare “nel piccolo” ma pensare “in grande”: le politiche in difesa dell’ambiente e le azioni per la pace rispondano ad ambedue queste esigenze.

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- Sempre a titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività, segnaliamo anche il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione di uomini e donne, che interessa fortemente la nostra città. Le povertà economiche e umane che lo alimentano, gli interessi e il degrado morale di coloro che ne approfittano, le degenerazioni sociali, i danni familiari, nonché i pericoli per la salute che ne conseguono, impegnano le istituzioni e la comunità cristiana a cercare seriamente le vie concrete per riaffermare la dignità e i diritti della persona, educare al significato e al valore del corpo, contrastare le organizzazioni criminali, offrire alle vittime alternative di vita percorribili e assistenza giuridica, disincentivare i “clienti”.

161 - Senza proseguire nell’elencazione dei possibili settori di intervento, sottolineiamo che

convinzioni ed azioni di questo respiro non si improvvisano: il superamento della genericità e della superficialità che abbiamo auspicato, richiede l’attivazione di luoghi di dibattito e di percorsi di studio: a. impostando tempi e spazi precisi e rivitalizzando quelli già esistenti a livello

ecclesiale, per essere insieme “una Chiesa che pensa”; b. ricostituendo la commissione diocesana Giustizia e Pace; c. operando per una maggior collaborazione tra mondo della cultura, intesa in senso

largo e non confessionale, e mondo ecclesiale; d. dando vita a spazi aperti di confronto e discussione fra uomini e donne di diversa

visione culturale e religiosa, sui problemi nodali dell’esistenza; e. suscitando persone e gruppi disponibili a una “diaconia della pace”.

162 4. Quanto esposto nelle “conversioni” e nelle scelte pastorali fin qui individuate, richiede perciò

un’attenzione ampia ai percorsi e ai luoghi della formazione: - formazione alla fede e formazione della coscienza cristiana in ordine al compito della

carità che ogni cristiano è chiamato a vivere in forza del comandamento dell’amore; - formazione alla maturità umana, che contribuisca alla capacità di integrazione del limite,

di gestione dei conflitti, di rispetto delle posizioni diverse, di presa di coscienza delle precomprensioni e di superamento della superficialità di approccio;

- formazione ai temi della giustizia, della pace, dell’impegno sociale e politico; - formazione specifica per chi opera nei singoli ambiti (scuola, sanità, mediazione

culturale, ecc). Questo comporta anche l’attenzione ai luoghi formativi: alle strutture ecclesiali specifiche (pastorale diocesana della cultura, pastorale diocesana della salute e centri connessi, pastorale diocesana della carità, parrocchie, movimenti, associazioni) e più ampiamente alla famiglia, alla scuola, alle proposte sportive, culturali.

163 5. Per quanto riguarda la verifica delle attività già intraprese, è necessario:

- realizzare la programmazione sistematica di momenti di verifica delle iniziative già intraprese e degli atteggiamenti con cui vengono realizzate: la ricchezza di volontariato e più in generale di azione deve essere interrogata continuamente, per verificare le motivazioni di chi opera, il linguaggio utilizzato, l’efficacia e la correttezza delle azioni;

- tenere presente la professionalità di chi opera: che non significa “professionalizzazione” della carità, ma acquisizione di competenze e individuazione di nuove ministerialità.

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6. Per quanto riguarda la progettazione e il coordinamento, si rivela centrale il ruolo della pastorale della carità:

- nel senso di precisare sempre meglio la funzione della Caritas come organismo pastorale, volto ad «animare, far sorgere, sostenere, coordinare, orientare le forme di servizio e di impegno e, prima ancora tante forme di vita, di testimonianza personale, familiare e comunitaria»80;

- nel senso di realizzare proposte e percorsi integrati81 fra gli ambiti della liturgia, della catechesi e della carità, per poter vivere una pastorale non frammentata e per evitare che la “carità” sia percepita come “appendice” pastorale.

165 In conclusione sentiamo l’urgenza di porre dei gesti, di realizzare cioè denunce, prese di posizione, spazi di impegni e realizzazioni che, anche se non possono risolvere alla radice le problematiche, siano segno dell’identità stessa della comunità ecclesiale e della sua disponibilità a convertirsi e a dare attuazione al Vangelo della carità. Si auspica che la Chiesa di Verona possa esprimere con un segno eloquente e profetico la qualità del proprio cammino sinodale.

80 Cf sopra, p. Errore. Il segnalibro non è definito. nota Errore. Il segnalibro non è definito.. 81 Cf VMP 11.

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DIALOGODIALOGODIALOGODIALOGO EEEE ANNUNCIOANNUNCIOANNUNCIOANNUNCIO NELLANELLANELLANELLA PLURALITÀPLURALITÀPLURALITÀPLURALITÀ

CULTURALE,CULTURALE,CULTURALE,CULTURALE, SOCIALESOCIALESOCIALESOCIALE EEEE RELIGIOSARELIGIOSARELIGIOSARELIGIOSA

«Cristo è la nostra pace:

ha abbattuto il muro di separazione, distruggendo in se stesso l’inimicizia»

(Ef 2,14-16)

PREMESSA

166 La scelta della Chiesa di Verona nel suo cammino sinodale di porsi in ascolto della Parola di Dio e del vissuto in cui essa è incarnata, in vista di riscoprire la propria identità, esige per sua natura l’attenzione al dialogo e all’annuncio. La consapevolezza che la dimensione del dialogo e dell’annuncio implica e attraversa tutti gli ambiti, è la premessa fondamentale per favorire il confronto e lo scambio. Inoltre la fatica del dialogo e dell’annuncio, sperimentata continuamente all’interno della nostra realtà ecclesiale, non esonera la Chiesa Cattolica dall’impegno di promuovere il dialogo come stile dell’annuncio e dell’incontro con il pluralismo della realtà culturale, sociale e religiosa nella quale si trova a vivere. 167 L’importanza della scelta del linguaggio per una efficace comunicazione esige una chiarificazione terminologica per esplicitare l’orizzonte di significato comune, non tanto perché condiviso da tutti ma perché è quello nel quale la Chiesa Cattolica si è collocata, a partire dal Concilio Vaticano II82.

82 Nel documento DeA si legge: «Il termine dialogo può essere compreso in differenti modi. In primo luogo,

a livello puramente umano, esso significa “comunicazione reciproca”, per raggiungere un fine comune o, a un livello più profondo, una comunione interpersonale. In secondo luogo, il dialogo può essere considerato come un atteggiamento di rispetto e amicizia, che penetra o dovrebbe penetrare in tutte le attività che costituiscono la missione evangelizzatrice della Chiesa. Ciò può essere chiamato – a ragione – “lo spirito del dialogo”. In terzo luogo, in un contesto di pluralismo religioso, il dialogo significa “l’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità appartenenti ad altre fedi, per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento”, nell’obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà. Ciò include sia la testimonianza che la scoperta delle convinzioni religiose» (DeA 9). E più avanti lo stesso documento dice: «L’annuncio è la comunicazione del messaggio evangelico, il mistero di salvezza realizzato da Dio per tutti in Gesù Cristo, con la potenza dello Spirito Santo. È un invito a un impegno di fede in Gesù Cristo, un invito a entrare mediante il battesimo nella comunità dei credenti che è la Chiesa. Questo annuncio può farsi in forma solenne e pubblica come avvenne il giorno di pentecoste (cf At 2,5-41) o sotto forma di semplice conversazione privata (cf At 8,30-38). Conduce naturalmente alla catechesi che tende ad approfondire questa fede. L’annuncio è il fondamento, il centro e il vertice dell’evangelizzazione» (DeA 10).

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A. I PUNTI DI RIFERIMENTO

1. UN DATO CHE EMERGE E INTERPELLA LA NOSTRA DIOCESI : IL PLURALISMO

168 Il territorio della nostra Diocesi, rispetto alla omogeneità del passato, è oggi caratterizzato da un crescente pluralismo etnico, culturale e religioso. Tutto questo ha portato la Chiesa che è in Verona a un “vedere, giudicare, agire” nuovo, finalizzato a creare un’autentica convivenza, in cui l’annuncio e la testimonianza siano sempre più conformi alle esigenze del Vangelo e il dialogo più attento e rispettoso dei valori e delle situazioni delle persone. 169

La situazione emersa dalla consultazione e dalla sintesi elaborata in vista delle assemblee evidenzia due tendenze: per l’una il dialogo è preliminare all’annuncio, mentre per l’altra essi sono simultanei. Se da un lato il dialogo viene concepito quale metodo coerente con il contenuto dell’annuncio, dall’altro è ancora forte la paura che il dialogo comprometta l’identità. A fronte di reazioni, spesso emotive e preconcette – frutto di stereotipi talvolta ingiusti o non sufficientemente rielaborati e interpretati – sono nati, però, anche gesti e iniziative di incontro e di dialogo che hanno promosso stima e collaborazione autentiche. Le diverse esperienze portano ricchezza umana, culturale e religiosa83. 170

La dimensione del dialogo è emersa ed è assunta sia come esigenza per ritrovare identità e maturità, sia come metodo di incontro intraecclesiale ed extraecclesiale. Il dialogo, invocato e temuto ad un tempo, chiede attenzione e cura nel fissare obiettivi a breve e a lungo termine che promuovano una spiritualità che nasce dall’ascolto della Parola di Dio e diventa stile pastorale. 171

L’incontro e il dialogo presuppongono una identità adulta e matura, umanamente autentica e spiritualmente sana, capace di testimoniare (non di imporre!) la verità, senza ricorso a forme riduttive o manipolatorie di comunicazione. Nel dialogo e nell’annuncio due sono gli atteggiamenti da evitare: l’irenismo e il dogmatismo84. Solo fra testimoni, infatti, è possibile lo scambio e la vera intesa; solo l’atteggiamento di autentica reciprocità permette la condivisione e l’arricchimento reciproco. Tutto questo domanda al credente una consuetudine con la Parola di Dio, un senso vero dell’appartenenza alla propria comunità cristiana, la disponibilità e il gusto a condividere ciò che unisce: atteggiamenti che permettono di esaminare con serenità e con serietà di impegno anche ciò che divide.

2. LA STORIA DELLA CHIESA CHE È IN VERONA Il percorso missionario 172 La Chiesa veronese gode di una lunga esperienza nell’ambito della missione ad gentes, non solo attraverso gli Istituti missionari nati nei secoli scorsi nel nostro territorio, che hanno segnato e

83 Cf Quaderni del Sinodo 9 e 10 (2003). 84 L’atteggiamento irenico è di chi assume tutto senza discernimento e passione per la verità.

L’atteggiamento dogmatico è di chi rimane arroccato nelle proprie posizioni, convinto di avere già tutto e di non dovere imparare niente da nessuno: il proprio “vivere” è pensato come l’unico modo di vivere.

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segnano profondamente la nostra storia ecclesiale, ma anche attraverso l’impegno diretto della Chiesa diocesana. Fin dall’inizio degli anni ’60, per la spinta e l’apertura di Mons. Giuseppe Carraro, Vescovo di Verona, sono partiti i primi preti diocesani fidei donum verso l’America Latina, poi verso l’Africa, l’Asia e, a servizio degli emigranti italiani, anche verso paesi dell’Europa. Quasi contemporaneamente sono iniziate anche le esperienze missionarie di laici non solo impegnati in servizi di solidarietà o in progetti di sviluppo sociale, ma anche coinvolti nell’evangelizzazione diretta e sorretta dalla testimonianza della carità85. Il percorso ecumenico

173 «Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all’ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i “segni dei tempi”»86. Inoltre per lo stesso Concilio la vita dei cristiani dovrebbe essere contrassegnata dalla preoccupazione ecumenica e plasmata da essa87. Queste sono le diverse tradizioni cristiane più significative presenti sul territorio: - la presenza della Comunità Valdese a Verona risale alle origini della comunità stessa.

Successivamente considerata come eretica e oggetto di persecuzione, essa riemerse con la sua identità nei primi anni dell’Unità d’Italia. Le relazioni con la comunità valdese sono nate negli anni 1975/79, formalizzandosi intorno agli anni ’8088. Ho avuto la gioia di essere il primo Vescovo cattolico a entrare nel tempio valdese di via Duomo, nel gennaio 2003;

- la presenza della Comunità Ortodossa Russa a Verona è molto recente, ma la relazione con il Patriarcato ortodosso di Mosca risale al gennaio del 1992, quando sono iniziati i rapporti con il Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca il cui Presidente è Sua Eminenza Cirillo, Metropolita di Smolensk e Kaliningrad;

- da qualche anno è presente in Diocesi la Comunità Ortodossa Romena, i cui responsabili hanno sempre dimostrato disponibilità al dialogo e alla collaborazione con la nostra realtà diocesana;

- con la Comunità Luterana, presente a Verona dal 2001, è iniziato un rapporto di conoscenza per un cammino ecumenico di condivisione e di scambio.

174 La collaborazione con queste presenze cristiane è caratterizzata da un crescente dialogo fatto di conoscenza, di stima e di fiducia, anche se questo stile di Chiesa sembra ancora non essere entrato nel nostro modo di pensarci come Chiesa e nella pastorale ordinaria. Sembra ancora una meta la realizzazione di quanto ha auspicato il Vaticano II, ricordato da Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ut unum sint, circa l’atteggiamento corretto nei confronti delle confessioni cristiane diverse dalla nostra89.

85 DIOCESI DI VERONA, Atti del primo convegno missionario diocesano. Verona in missione nel terzo

millennio, Verona 27-29 ottobre 2000. 86 UUS 3. 87 Cf UUS 15. 88 Mons. Giuseppe Amari (Vescovo di Verona dal 1978 al 1992), avvertì il bisogno di attivare un’azione

ecumenica, dapprima attraverso il Consiglio presbiterale e poi nel 1982 nominando la 1ª Commissione Diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo (1982-1983), e collaborando con l’Istituto Ecumenico S. Bernardino, allora sito in Verona.

89 L’enciclica UUS afferma: «Il Decreto conciliare sull’ecumenismo pone in primo piano “tutti gli sforzi per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con equità e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficile le mutue relazioni con essi”. Questo Documento affronta la questione dal punto di vista della Chiesa cattolica e si riferisce al criterio che essa deve applicare nei confronti degli altri cristiani. Vi è però in tutto

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175 Un momento importante del cammino sinodale è stato vissuto nell’imminenza dell’indizione del Sinodo (26 aprile 2002), quando il Vescovo ha invitato in Vescovado i rappresentanti delle chiese e comunità cristiane presenti nel territorio della Diocesi ad un incontro, che venne definito “storico”: «per la prima volta, con delle modalità precise si siedono allo stesso tavolo, per avviare una conversazione, per dare voce al racconto dell’esperienza e gustare insieme la ricchezza che lo stesso Spirito va distribuendo nel mondo cristiano»90. 176 La serena consapevolezza della nostra inesperienza sinodale è diventata occasione di scambio e di incontro; l’esperienza della parzialità storica è stata vissuta come occasione di apertura verso la ricchezza dello Spirito. Infatti come Chiesa Cattolica Romana in Verona siamo coscienti che la modalità ecclesiale del Sinodo non ci è abituale (il nostro ultimo appuntamento sinodale risaliva al 1782, a parte il sinodo del 1974-1978, rimasto sospeso), eppure «non dubitiamo che il Sinodo sia un’offerta dello Spirito, che non può lasciarci come siamo, perché l’unica Parola ascoltata e condivisa ci interpella in prima persona nell’oggi della storia»91.

3. LA STRUTTURA DIALOGICA DELLA PERSONA E LA SUA VALORIZZAZIONE NELLA

PROSPETTIVA BIBLICA

177 L’ampio sviluppo assunto dalle teorie relazionali ha mostrato come alla radice dell’umano vi sia anzitutto la struttura dialogica, il cui dinamismo evolutivo è contrassegnato da complessi processi socioculturali. 178 Nella prospettiva ebraico-cristiana della rivelazione, l’orizzonte della salvezza emerge come un progetto di comunione e di dialogo fra uomo e Dio, fra uomo e donna, fra uomo e creato; mentre il peccato dell’uomo è rottura di questo tessuto dialogico-relazionale92. In Gesù Cristo, per l’azione dello Spirito, il dialogo tra Dio e l’umanità è entrato nella storia in modo irreversibile. L’annuncio di salvezza di Gesù Cristo è stato vissuto in un costante dialogo fatto di ascolto, di attesa e di proposta93. 179 Il dialogo, quindi, è l’orizzonte nel quale siamo chiamati a pensare Dio, noi stessi e gli altri, è lo stile relazionale che dovrebbe distinguere la comunità dei credenti ed è la modalità nella quale annunciare l’amore di Dio per ogni uomo e donna. Ciò che la parola di Gesù annuncia è la regalità di Dio in azione, che produce una qualità nuova di relazioni. Centro dell’annuncio è il Regno di Dio, l’azione che Gesù ha realizzato in modo compiuto nella storia degli uomini. Il

questo una esigenza di reciprocità. Attenersi a tale criterio è impegno di ciascuna delle parti che vogliono fare dialogo ed è condizione previa per avviarlo. Occorre passare da una posizione di antagonismo e di conflitto ad un livello nel quale l’uno e l’altro si riconoscono reciprocamente partner. Quando si inizia a dialogare, ciascuna delle parti deve presupporre una volontà di riconciliazione nel suo interlocutore, di unità nella verità. Per realizzare tutto questo, le manifestazioni del reciproco contrapporsi debbono sparire. Soltanto così il dialogo aiuterà a superare la divisione e potrà avvicinare all’unità» (UUS 29).

90 Cf Quaderni del Sinodo 12 (2004). 91 Ibidem. 92 Gen 1-11; Es 19-24. 93 Mt 15,21-28; Gv 3,1-21; Gv 4,1-39.

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ritmo dell’annuncio è un ritmo pasquale, inteso come passione per la vita fino al dono totale di sé, reso possibile dall’azione costante dello Spirito94. 180 L’incessante ricerca della verità che caratterizza l’essere umano è un altro degli elementi fondamentali che provoca al dialogo, al confronto, alla coscienza della parzialità storica che segna la comprensione della verità, «nella consapevolezza che ogni verità raggiunta è sempre solo una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione ultima di Dio»95. La comprensione della verità, insomma, è un cammino di incontro che non ha la durata di un momento, ma della vita intera. 181

È importante ricordare lo statuto specifico e originale della verità cristiana: la verità è Gesù Signore, il Vivente. In quanto cristologica essa non autorizza nessun senso di superiorità, ma sollecita la testimonianza e la ministerialità. Gesù stesso si è presentato come il servo-testimone. Poiché la verità è accessibile solo grazie all’azione dello Spirito donato a tutti, secondo la varietà di carismi e ministeri, essa chiede l’ascolto come condizione radicale, ascolto che configura l’accesso alla sua pienezza escatologica come cammino dialogico e come annuncio.

4. UNA CHIESA CHE DIALOGA E ANNUNCIA : IL RINNOVAMENTO CONCILIARE

182 Il Concilio Vaticano II ha segnato una svolta nel modo di pensare e vivere il dialogo e ci invita a superare gli atteggiamenti di intransigenza e di intolleranza per assumere uno stile nuovo di dialogare. La Chiesa Cattolica: a) ha iniziato a riformulare in modo nuovo la propria autocoscienza. Ciò non significa che essa

abbia rinunciato alla propria identità e alla propria missione, di essere cioè «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»96, ma che essa si è percepita in modo nuovo trovando di conseguenza modi nuovi di porsi in rapporto sia alle altre chiese e comunità cristiane sia alle altre tradizioni religiose;

b) ha fatto propria una visione più positiva dei suoi diversi interlocutori, specie per quanto concerne le grandi religioni. Il Concilio, infatti, non solo ha messo in risalto le religioni monoteistiche: ebraismo e islam, ma ha fatto oggetto di attenzione le altre religioni, citando in modo esplicito l’induismo e il buddismo. In maniera forte, la Chiesa nel Concilio ha rimesso al centro Cristo, nell’orizzonte del Regno di Dio, e ha capito ancora meglio come nel panorama del piano salvifico di Dio sono inclusi gli universi religiosi di tutti i popoli97;

c) ha guardato in modo più adeguato all’uomo e ne ha evidenziato in modo più pertinente la dignità, la libertà, la responsabilità, specie con la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae (1965).

183 La Chiesa è chiamata a individuare nuovi modi e forme di annuncio, di azione missionaria e di incontro nello stile dialogico98. Questo non significa rinunciare alla missione ad gentes ma

94 Cf DIOCESI DI VERONA, Atti del primo convegno missionario diocesano. Verona in missione nel terzo

millennio, Verona 27-29 ottobre 2000. 95 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et ratio, 2. 96 LG 1. 97 NA 2-4. 98 Cf CCC 855-856.

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riqualificarne gli obiettivi, i contenuti e le forme. Infatti «senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare»99. «La missione ad gentes non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale, ma il suo costante orizzonte e il suo paradigma per eccellenza»100.

5. GLI AMBITI DEL DIALOGO E DELL ’ANNUNCIO

L’ambito intraecclesiale

184 Il dialogo e l’annuncio appartengono all’identità della Chiesa e caratterizzano il suo stile coerente di vita. C’è una profonda connessione tra il dialogo e l’annuncio intraecclesiale ed extraecclesiale. Il modello di Chiesa comunionale richiede una vera etica del dialogo, con l’esigenza di formare tutti a questo stile che abilita la Chiesa a rispondere alla sua missione evangelizzatrice e alle grandi sfide del nostro tempo101, nella consapevolezza delle fatiche e dei ritardi che si vivono all’interno della comunità ecclesiale a livello diocesano e parrocchiale. Questo stimola a porre attenzione alla grande ricchezza che i cattolici, appartenenti ad altre culture, portano nelle nostre comunità attraverso una fede gioiosa e carica di segni.

Dialogo e annuncio ai cristiani ‘della soglia’, agli indifferenti, ai ricomincianti, ai non praticanti…

185 La situazione della Chiesa veronese e di quella italiana provoca a un cambio di prospettiva pastorale: da una catechesi che mira a coltivare la fede già sociologicamente in atto, a un annuncio che propone la fede in termini di primo annuncio. Dalla cura della fede, quindi, alla proposta di fede. Emerge così l’urgenza che la fede oggi, prima ancora di essere sostenuta e coltivata, domanda un annuncio previo che la susciti. Questo cambio di prospettiva sta attraversando tutti gli ambiti della catechesi e della pastorale. Riguarda i catecumeni in aumento, i cosiddetti ricomincianti (adulti battezzati che desiderano riprendere in mano in modo adulto la loro fede), i ragazzi che ricevono i sacramenti e non hanno più alle spalle famiglie praticanti che trasmettano loro la grammatica della fede.

L’ambito ecumenico

186 Nella prospettiva del Concilio Vaticano II la Chiesa Cattolica, riconoscendo il primato alla Parola, prima ancora di esserne ministra si comprende e rimane creatura della Parola102, cioè discepola che mentre annuncia si lascia formare dall’unica Parola di Cristo, evitando di fissare se

99 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris missio, 34. 100 CVMC 32. 101 ChL 32. 102 «Nei documenti conciliari la Chiesa viene descritta come “creatura Verbi”, in quanto “nella parola di Dio

è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa e per i fedeli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale” (Dei Verbum, 21; cfr Lumen gentium, 2). Questa consapevolezza ha risvegliato nel Popolo di Dio un vivo interesse per la Sacra Scrittura con indubbi vantaggi per il cammino di fede di ciascuno» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Vescovi dell’Austria in visita “Ad limina Apostolorum”, 20 novembre 1998, 11).

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stessa come criterio di misura103. In quanto preceduta dalla Parola la Chiesa si autocomprende come seconda rispetto alla Parola e, obbediente ad essa, per la forza dello Spirito è resa capace di riconoscere le meraviglie che la Parola va operando anche nelle diverse tradizioni cristiane. Per questo la Chiesa Cattolica, per la forza dello Spirito, si dispone in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, quale stile non episodico ma costitutivo della vita dei cristiani.

L’ambito interreligioso

187 Se il dialogo ecumenico riguarda la relazione tra cristiani appartenenti a diverse confessioni, il dialogo interreligioso coinvolge i cristiani nella relazione con donne e uomini appartenenti ad altre religioni. Le presenze che impegnano la Chiesa che è in Verona nel dialogo interreligioso sono soprattutto le Comunità Ebraica, Musulmana e Buddista. Va sottolineata, in particolare, l’importanza per i cristiani di conoscere l’ebraismo come tradizione vivente, per riscoprire le radici della propria fede e della propria identità104. Non sono da dimenticare le religioni tradizionali (in particolare africane ed asiatiche) in quanto, una valutazione teologica corretta di queste può aiutare a comprendere la cultura di un popolo. «Una giusta valutazione delle altre tradizioni religiose suppone normalmente uno stretto contatto con esse. Ciò implica, oltre a conoscenze teoriche, un’esperienza pratica del dialogo interreligioso con i seguaci di queste tradizioni. Ma è anche vero che una valutazione teologica corretta di queste tradizioni, per lo meno in termini generali, rimane sempre un presupposto necessario per il dialogo interreligioso»105.

Il dialogo con i non credenti

188 Il dialogo con i non credenti, inteso come incontro tra vissuti, è un cercare insieme, con onestà, le ragioni del vivere; è condividere radicalmente l’umanità e la domanda di senso che essa porta con sé. In questa prospettiva la Chiesa si fa compagna di viaggio di questi uomini e donne in ricerca e da questi si lascia interrogare.

Ambito culturale e interculturale, sociale e politico per costruire la ‘città’

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103 «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il sacro Concilio aderisce alle

parole di s. Giovanni, il quale dice: “Annunciamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò in noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi abbiate comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1Gv 1,2-3)» (DV 1). «La Chiesa nasce dall’azione evangelizzatrice di Gesù e dei dodici… Nata, di conseguenza dalla missione, la Chiesa è, a sua volta, inviata da Gesù… Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore… Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (PAOLO

VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 15). 104 Un momento estremamente significativo di incontro è stato vissuto il 16 gennaio 2005, quando, per la

prima volta, il Vescovo, insieme con i rappresentanti delle altre Chiese e comunità cristiane, si sono recati in visita alla comunità ebraica presso la Sinagoga di Verona.

105 DeA 14.

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Il tessuto sociale veronese, caratterizzato da presenze plurime, ha bisogno di una mentalità interculturale che rispetti e valorizzi i diversi orizzonti umani e religiosi. Il dialogo è condizione per passare da una situazione di multiculturalità a quella dell’interculturalità, dove le diverse culture tendono ad interagire tra di loro attraverso l’ascolto, la conoscenza e la comprensione. L’impegno di promuovere una convivenza di pace, la giustizia e il rispetto del creato, trova nel dialogo un’autentica possibilità di realizzazione.

In questo orizzonte non possiamo dimenticare l’ambiente istituzionale dell’Università, inteso come luogo della ricerca comune e della formazione, a servizio dell’uomo, opportunità di dialogo per le diverse visioni della vita, quale possibile spazio per avviare una sorta di dialogo e annuncio del cristianesimo nell’orizzonte dell’odierno pluralismo culturale.

Il terreno comune per avviare il confronto è costituito da quei nodi dell’esistenza che fanno problema per tutti gli esseri pensanti come la morte, la giustizia, la pace, l’eticità dell’agire, anche nella prospettiva dell’etica professionale in campo economico, medico, scolastico.

6. LE STRUTTURE DI DIALOGO E ANNUNCIO

190 Il ricco pluralismo che caratterizza la Chiesa veronese, se da un lato può essere vissuto come difficoltà e con timore, dall’altro può diventare una risorsa per una profonda conversione alla Parola di Dio. Sono infatti molte le strutture di dialogo e annuncio attive in Diocesi per una pastorale sinfonica e aperta al pluralismo, per un dialogo con la cultura e la realtà socio-politica: il Centro Missionario Diocesano; la Commissione Diocesana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; il Centro Ecumenico Abbazia di Maguzzano - Lonato (BS), gestito dai Poveri Servi della Divina Provvidenza; il Centro Unitario Missionario (CUM), organismo della Conferenza Episcopale Italiana per la formazione dei missionari italiani (preti fidei donum, religiosi e religiose e laici)106; il Gruppo di ricerca e di informazione sulle Sette (GRIS); il Centro Pastorale Immigrati, Pastorale tra i Rom e i Sinti; l’Ufficio di Pastorale Sociale, del Lavoro, Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato; la Fondazione “G. Toniolo”; lo Studio Teologico “S. Zeno”; l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “S. Pietro martire”. Inoltre è attivo da anni il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), movimento interconfessionale di laici impegnati per l’ecumenismo e il dialogo a partire dal dialogo ebraico-cristiano, che da anni collabora con la Commissione Diocesana.

B. LE CONVERSIONI ALLE QUALI SIAMO CHIAMATI

191 Le conversioni alle quali sono chiamati i cristiani e la Chiesa che è in Verona nascono dal valore riconosciuto al dialogo e all’annuncio cristiano. 1. PRIMATO DELLA PAROLA E CONVERSIONE A CRISTO

192 L’atteggiamento richiesto è l’assiduo ascolto della Parola di Dio nella sua forma canonica, nella Tradizione viva della Chiesa e nelle vicende concrete della storia. L’annuncio che il Signore è

106 La Fondazione CUM nasce ufficialmente il 18 dicembre 1997, ma in realtà è solo l’ultimo vestito di un

soggetto ecclesiale che ha più di 40 anni di vita. La struttura di Verona, in via Bacilieri a San Massimo, alle porte della città, nasce negli anni ‘60 come Seminario per l’America Latina. Oggi la Fondazione CUM è costituita da tre sezioni: America Latina e Caraibi, Africa e Madagascar, Asia e Oceania.

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risorto, che risuona contemporaneamente all’interno e all’esterno della Chiesa, richiama l’identità dialogante del cristiano. L’annuncio cristiano chiede: - di mettere al centro la persona, non le sue idee e le sue credenze, - di rispettare i tempi di maturazione dell’altro, - di prevedere e vivere le fatiche anche interne al cammino di fede della Chiesa, - di non minimizzare le differenze ma di considerarle come ricchezza. La Chiesa è consapevole che la comunione piena è ancora dono e non prerogativa della storia di questo mondo.

2. L A CHIESA SULLE ORME DEL SUO M AESTRO E SIGNORE

193 Alla Chiesa è richiesto di comprendersi di nuovo davanti al suo Signore come popolo di Dio, corpo di Cristo e sacramento in Cristo, comunità messianica nata dalla Pasqua. Essa scopre di essere testimone di una realtà che la abita e la supera; segno e strumento di salvezza di Dio tra gli uomini; inviata in una missione di gratuità; segno e speranza di pace e di riconciliazione anche di fronte alle chiusure. Il Vangelo domanda alla Chiesa: - di accettare nell’annuncio anche il rischio del fallimento della croce nei limiti della storia, - di proporre e non imporre la Verità, della quale essa è serva e non proprietaria, - di diventare testimone del Vangelo che annuncia, - di offrire l’annuncio cristiano come bella notizia, - di considerare tutti gli uomini e le donne come figli dello stesso Padre, - di evitare ogni forma di proselitismo in quanto la fede e la salvezza sono dono di Dio e non

possesso dell’uomo. 3. CONDIVISIONE , DIALOGO E ANNUNCIO 194 I cristiani che costituiscono la Chiesa che è in Verona sono chiamati a diventare consapevoli di vivere in un tempo, in uno spazio e in una cultura determinati, che costituiscono contemporaneamente il loro limite e la loro possibilità concreta di annuncio di Cristo. Essi sono invitati a condividere dall’interno le ansie, le difficoltà, le paure, le gioie e le speranze di tutti gli uomini e di tutte le donne che vivono sul territorio. Il processo del dialogo e annuncio va modulato secondo chiavi diverse, locali. Il cristiano che è in Verona è chiamato a:

- riconoscere l’altro, la persona della porta accanto, talvolta differente per cultura, lingua, tradizione cristiana e fede. È chiamato a prendere coscienza delle proprie paure, senza cedere alla tentazione di chiudersi nella falsa sicurezza della propria torre d’avorio. Nel volto dell’altro, quindi, Cristo interpella, stimola, arricchisce e permette la presa di coscienza delle diverse identità;

- condividere con queste persone la ferialità del quotidiano secondo i bisogni, le fatiche e le gioie che la caratterizzano (dialogo della vita);

- partecipare ai progetti sociali, politici e di quartiere, che contribuiscono all’edificazione di una città umana più giusta (dialogo delle opere);

- essere disponibile a condividere le diverse esperienze spirituali, anche quando fanno riferimento a Dio chiamandolo con un nome diverso, perché ogni ricerca sincera di Dio è

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sempre frutto dello Spirito Santo, che soffia dove vuole e muove i cuori di tutti (dialogo delle esperienze spirituali);

- promuovere e sostenere il dialogo teologico, che entra in rapporto con la cultura di oggi, quale componente importante ed interlocutore qualificato. In questo scambio concreto, franco e costruttivo è possibile pensare l’annuncio specificamente cristiano.

C. LE SCELTE DA OPERARE

195 Le priorità che vengono indicate come scelte operative sono le seguenti. 1. LASCIARSI INTERPELLARE DA UN CONTESTO PLURALE

Abituati pressoché da sempre ad autocomprenderci alla luce di una consolidata e indiscussa identità cattolica, il contesto plurale odierno ci dà appuntamento e ci chiama, oggi più che mai, ad assumere la via del dialogo come modalità stabile attraverso cui l’annuncio viene offerto e testimoniato.

196

La presenza minoritaria di comunità cristiane di diversa tradizione, il contatto sempre più frequente con dottrine e culti cristianeggianti o di derivazione orientale, le esperienze religiose non cristiane, sono presenze di fatto che non possiamo ignorare. Il crescente numero, poi, di coloro che pur essendo già battezzati vivono il loro percorso in una posizione di ricerca o ai margini della comunità cristiana segnala un nuovo scenario ecclesiale e ci interpella a condividere nuovi alfabeti.

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A questo proposito diventa importante potenziare la nostra attenzione alla persona con i suoi bisogni primari e i suoi problemi quotidiani, affinché il dialogo vissuto diventi segno di una testimonianza evangelica. Il contesto plurale domanda l’accoglienza non sospetta e pregiudiziale, cioè una disponibilità matura che eviti sia il facile entusiasmo che la semplice ingenuità.

198

Diventa perciò importante favorire nelle comunità cristiane una cultura dell’accoglienza, della convivialità delle differenze, ponendo segni concreti di disponibilità, creando spazi e opportunità di ascolto che diano voce ai battezzati lontani, ai vicini che non si riconoscono lontani, ai cristiani di tradizione diversa, agli stranieri, ai credenti in ricerca, a quelli che si trovano sulla soglia e a quelli che si dichiarano non credenti.

2. CURARE LA FORMAZIONE IN VISTA DELL ’ANNUNCIO

199

Nel momento in cui la Chiesa si lascia interpellare da un contesto plurale, viene provocata nella sua identità, si espone al confronto quale sano esercizio di purificazione e di crescita e viene impegnata a riformulare l’annuncio di Gesù Cristo perché diventi significativo per tutti coloro ai quali è rivolto.

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L’esercizio costante dell’ascolto della Parola, mentre apre all’accoglienza e all’annuncio della novità di Dio, diventa la cattedra privilegiata dalla quale Egli ci educa a godere della differenza quale parabola della Trinità.

200

La formazione cristiana, quindi, non può che rimanere attenta all’odierna realtà plurale, non come scelta strategica o episodica, ma come modalità evangelica e costante. Si tratta di attivare una sorta di formazione cristiana permanente, che non fornisca soltanto le informazioni circa il contesto plurale, ma abiliti a rimanere nel cambiamento e nel pluralismo. Infatti, l’ascolto, il rispetto e l’accoglienza, quali modalità concrete che nascono da una formazione in dialogo con il contesto plurale ed assunte nell’esercizio del dialogo, di per se stesse già annunciano il volto del Dio che crediamo.

201

La Chiesa che è in Verona:

- per quanto riguarda il dialogo della vita promuove occasioni di incontro e di conoscenza, accogliendo anche i percorsi educativi già esistenti, i luoghi di vita e di incontro tra le persone diverse presenti nello stesso territorio, valorizzando le agenzie educative sia in ambito ecclesiale sia civile;

- circa il dialogo delle opere si impegna a favorire iniziative sui grandi temi della pace, della giustizia, del disarmo e del rapporto col creato;

- per quanto riguarda il dialogo delle esperienze spirituali promuove incontri di preghiera ecumenica ed interculturale;

- dal punto di vista del dialogo teologico valorizza le strutture formative esistenti promuovendo dialoghi e confronti teologici;

- dal punto di vista dell’annuncio missionario coltiva una missionarietà nella forma della reciprocità, valorizzando le esperienze altre di chi si è confrontato con persone e am-bienti non esattamente ecclesiali o veronesi (fidei donum, religiosi e religiose, laici).

3. SPAZI PER IL DIALOGO E L ’ANNUNCIO

202 Riconoscendo agli strumenti di comunicazione presenti nella realtà diocesana (tra i principali: il settimanale Verona Fedele, la Fondazione Toniolo, la Fondazione Radiotelepace) un potere di giudizio e di orientamento della vita non indifferente, la Chiesa che è in Verona si avvale del loro prezioso e qualificato servizio e provvede affinché favoriscano un’educazione al dialogo culturale e religioso nel rispetto delle diversità, testimoniando uno stile dialogico. In vista di promuovere ponti di dialogo, come Chiesa che è in Verona scegliamo di sostenere l’eventuale “Consiglio locale delle chiese cristiane” e il “Tavolo locale delle appartenenze religiose”, quale segno stabile di disponibilità e di collaborazione. Lo scopo non è di avviare un luogo teologico di dibattito sulle questioni che dividono, ma di pronunciarsi con una sola voce su problemi comuni, che toccano la vita della gente. 203 In risposta al contesto plurale che ci interpella come comunità ecclesiale, vogliamo impegnarci a valorizzare gli spazi di incontro già presenti sul territorio attraverso le strutture esistenti, che

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vanno dal quartiere all’Università, dalla parrocchia ai centri di pastorale, dalle associazioni ai movimenti, dall’arte alla riflessione teologica. Inoltre, si studierà la promozione di un Centro aperto al confronto, quasi una casa della sapienza, un tavolo di dialogo, una cattedra della diversità, dove le voci diverse siano di casa anche nella Chiesa.

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Parte terza

IL VOLTO DI CHIESA

CHE EMERGE DALL’ESPERIENZA SINODALE

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IL VOLTO DI CHIESA

CHE EMERGE DALL’ESPERIENZA SINODALE

204

Raccogliamo in questa parte le grandi convinzioni maturate nel Sinodo che, nel loro insieme, delineano i tratti del volto di Chiesa che il Signore per grazia ci concede di essere. È un volto che il Sinodo ci ha già permesso di sperimentare, ma sappiamo che sta ancora davanti a noi come impegno da vivere. Lo assumiamo dunque come “sogno” e progetto per la nostra Chiesa veronese, affinché possa vivere «l’ora di una nuova “fantasia della carità”»107.

1. UNA CHIESA DISCEPOLA

205 Il Sinodo è nato fondamentalmente da una preoccupazione pastorale: la difficoltà sperimentata dalla nostra Chiesa, dentro la più vasta Chiesa universale (NMI) e italiana (CVMC), ad annunciare efficacemente il Vangelo nelle parrocchie, nelle famiglie, negli ambienti di vita e di lavoro. 206 Così la preoccupazione pastorale si è trasformata nell’esigenza di un rinnovato ascolto. Riconosciamo il bisogno di alimentarlo nella preghiera, in quella dimensione contemplativa della vita che pone di fronte al primato della grazia; sentiamo di essere chiamati a viverlo come sequela del Signore Risorto, che si fa presente nella sua Parola, nei gesti celebrativi e in particolare dell’Eucaristia domenicale, nei volti degli uomini e delle donne di oggi, con le loro aspirazioni, le loro contraddizioni, le loro sofferenze. Dalla sua fatica ad annunciare il Vangelo in un mondo che cambia la Chiesa veronese è stata rinviata all’ascolto del Vangelo e invitata a permanere una Chiesa discepola del Signore. 207 Così essa ha compreso che la condizione di ogni rinnovamento pastorale è il suo permanere in stato di formazione, cioè nell’atteggiamento e nella condizione di lasciare continuamente che il suo Signore “dia forma” al suo volto. Una Chiesa, quindi, più attenta alle persone che alle strutture e alle organizzazioni, capace di mettere l’uomo al centro delle sue cure in quanto «egli è la primaria e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione della Redenzione»108. Questa è la nostra prima grande convinzione e il primo tratto del nostro volto di Chiesa.

2. UNA CHIESA SINODALE

107 NMI 50. 108 RH 14.

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208 Nel Sinodo sono emerse luci e ombre della nostra Chiesa Veronese. Da una parte, abbiamo scoperto la ricchezza dei carismi e dei ministeri di cui dispone, la generosità di iniziative e di proposte che la caratterizzano, il denso intreccio di relazioni che la animano e la fanno vivere.

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Dall’altra, abbiamo anche sperimentato la diversità che ci connota, le visioni diverse e talvolta contrapposte, la fatica di valorizzare e articolare in modo progettuale le differenti presenze (parrocchie, gruppi, congregazioni religiose, associazioni e movimenti), lo spreco di energie per l’incapacità di progettare, attuare e verificare insieme, le difficoltà nei rapporti per una scarsa formazione alla comunicazione e alla partecipazione. A questo si aggiunge la difficoltà di vivere con coerenza quanto il Vangelo ci chiede nei rapporti interpersonali, specialmente nella carità fraterna e nella reciproca stima. 210 A partire da questa nostra realtà il Sinodo è stato una scuola di ascolto reciproco, paziente e attento. Abbiamo cercato di creare comunione e comunicazione, evitando le tentazioni di imposizione e di omologazione degli altri al modo di vedere proprio o del proprio gruppo di appartenenza. Abbiamo fatto spazio tra noi alla diversità, senza però mai abbandonare il riferimento a quell’immagine di “Chiesa comunione” che il Concilio Vaticano II ci ha consegnato come una delle sue acquisizioni principali. 211 Questa visione di Chiesa è stato il nostro fondamentale criterio di discernimento. In questo tentativo abbiamo provato anche la fatica di capire il punto di vista degli altri e sperimentato la distanza tra le intenzioni e la realtà. Non sempre ci siamo ascoltati e capiti come avremmo voluto e dovuto. 212 Per questo sentiamo che lo Spirito ci invita a divenire una Chiesa dallo stile sinodale, nei rapporti interpersonali, nell’articolazione corresponsabile dei diversi carismi e ministeri, nelle strutture e negli organismi di partecipazione, nella capacità di progettare la pastorale. Questa è la nostra seconda grande convinzione e il secondo tratto del nostro volto di Chiesa.

3. UNA CHIESA COMPAGNA DI VIAGGIO

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L’esperienza sinodale ci ha posti in ascolto attento e non prevenuto della cultura dentro la quale viviamo, di cui respiriamo aspirazioni, progetti, speranze e condividiamo gli esiti. Il nostro è un tempo adatto al Vangelo non meno di quelli passati, e non meno di essi bisognoso di salvezza. Lo abbiamo sperimentato nell’ascolto delle famiglie, dei giovani, di chi vive in situazioni di disagio, delle persone di confessioni, fedi e etnie diverse.

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Il riferimento costante al Vangelo permette alla nostra Chiesa di stare volentieri in questo mondo, coltivando per tutti una simpatia sapiente, che sappia coniugare fraterna condivisione e attento discernimento rispetto a quanto nella nostra cultura umanizza o disumanizza. 214 Rispetto a questa cultura sappiamo di avere un messaggio vitale da dare, ma anche molto da ricevere in termini di umanità, nella logica di reciprocità e scambio di doni che il Concilio e il recente Sinodo europeo ci hanno autorevolmente ricordato. 215 Per questo riteniamo che il modo evangelico di stare in questa cultura, così diversa nelle idee, nelle fedi e nelle appartenenze, sia quello del dialogo e della testimonianza, sapendo che lo Spirito è presente oltre i confini della Chiesa e che il Signore Risorto ci precede sempre nel nostro cammino. 216 Sentiamo che siamo chiamati a stare profeticamente dentro il nostro tempo come Chiesa compagna di viaggio delle donne e degli uomini di oggi. Questa è la nostra terza grande convinzione e il terzo tratto del nostro volto di Chiesa.

4. UNA CHIESA TESTIMONE : ESTROVERSA E SOLIDALE

217 Nel Sinodo abbiamo preso atto che la nostra Chiesa di Verona ha una grande tradizione di annuncio del Vangelo, connotata dalle molteplici iniziative pastorali e catechistiche, da un significativo impegno nella missione “ad gentes” e nella cooperazione tra le chiese, dalle generose iniziative di presenza nelle povertà che connotano il nostro territorio. Abbiamo anche riconosciuto i limiti di una pastorale senza progettualità e priorità (obesa o ripetitiva), di un processo di iniziazione cristiana inadeguato, di una catechesi ancora fondamentalmente scolastica e riservata ai piccoli, di un impegno caritativo non sufficientemente coordinato e critico. Rispetto a questa nostra realtà il Sinodo ci ha sollecitati a tornare ad annunciare il Vangelo con gioia, facendolo risuonare nelle parole e nei gesti.

218 Abbiamo maturato l’esigenza profonda di offrire il Vangelo con coraggio e libertà a tutti, cominciando dagli adulti. Siamo chiamati a proporlo nella logica del primo annuncio, senza fare più conto su una diffusa socializzazione religiosa.

219 Siamo convinti che la fedeltà al contenuto del Vangelo richieda che esso sia annunciato nella modalità della testimonianza, evitando sia atteggiamenti remissivi che mentalità e metodi impositivi o di proselitismo.

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Sappiamo che il Vangelo detto a parole manifesta la sua verità e fecondità quando è accompagnato da una presenza fraterna dentro tutte le situazioni di povertà individuali e collettive, con uno stile di vita sobrio ed essenziale e una solidarietà operativa rispetto alle molteplici sofferenze e fragilità che connotano le singole persone, le coppie, le famiglie e le comunità civili. In questo Vangelo dei gesti come cristiani saremo attenti a tenere insieme i necessari interventi puntuali e concreti con un’azione civile e politica che rimuova le cause e non si limiti a curare gli effetti. 221 Sentiamo che per annunciare il Vangelo del Signore Gesù Cristo siamo chiamati a diventare una Chiesa estroversa109 e solidale, capace di coniugare il Vangelo della parola con quello della carità. Questa è la nostra quarta grande convinzione e il quarto tratto del nostro volto di Chiesa.

109 «Una Chiesa estroversa e missionaria» (CEI, Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni

sociali nella missione della Chiesa, nn. 51-55; cf 123).

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Parte quarta

QUATTRO VIE PER RINNOVARE LA PASTORALE

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QUATTRO VIE PER RINNOVARE LA PASTORALE

222 La centralità del tema del Sinodo è tale da delineare una seria e duratura progettazione pastorale. Impegna sia sotto il profilo ideale sia sotto quello operativo. Sotto il profilo ideale la nostra comunità cristiana ha indicato nell’ascolto lo stile evangelico della propria vita e del proprio servizio: è venuta così al centro la convinzione del primato dell’ascolto della Parola e del vissuto in cui essa si incarna. Sotto il profilo operativo l’ascolto diventa il punto fermo a cui ancorare una rilettura delle scelte pastorali attuate e l’impegno per dare nuovo slancio e nuove mete al futuro. Comunque esso è centrale perché ogni programma pastorale ha bisogno di una prospettiva sintetica, capace di sviluppare la sua fecondità nel vitale contatto con la realtà propria di una comunità viva. Sentiamo attuale quanto i Vescovi hanno richiamato: «Preferiamo fare molte cose o cercare distrazioni. Eppure sono l’ascolto, la memoria e il pensare a dischiudere il futuro»110. La pertinenza di tale compito è stata in molti modi e tempi ribadita nel cammino sinodale della Chiesa di Verona. 223 È sempre vivo l’appello di Gesù a Marta distratta dall’essenziale per i troppi servizi, anche se fatti con amore111. Le troppe cose distraggono da ciò che maggiormente importa. È questa una situazione che molti operatori pastorali riconoscono, ma che sembra difficile da cambiare. Ricollocarci nello stile dell’ascolto comporta un duplice movimento: riunificare fortemente la comunità cristiana attorno al Vangelo e, così evangelizzata, indicarle nella società il campo del suo lavoro. È infatti lo sguardo rivolto a Gesù Cristo, centro della fede, che muove la missionarietà della Chiesa. «Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e riconoscibile Cristo Signore»112.

Finalità

224 Lo scopo per cui vengono indicate quattro vie per rinnovare la pastorale, non è dato dalla necessità di sintetizzare o semplificare la ricchezza di quanto emerso nei singoli ambiti accostati. Non è neppure l’immediata finalità operativa, che sarà invece dei singoli progetti pastorali che la Diocesi e le varie comunità esprimeranno nel tempo con la creatività e operosità che le caratterizza. Con tali indicazioni si intende, invece, far affiorare alcune “direzioni pastorali” che aiutino a fare il punto sulla nostra realtà pastorale e su ciò che le sta dinanzi, superando la dispersione che condanna le singole iniziative alla marginalità. Sono spostamenti d’accento che permettono di manifestare il paradigma di Chiesa che desideriamo vivere. E come gli accenti modificano il senso delle parole e delle frasi, così siamo convinti che queste direzioni modificheranno il modo di impostare e fare la pastorale. Ciò non significa contrapporsi a quanto già si faceva o negarne il valore. In alcuni casi c’è una buona coesistenza di elementi vecchi e nuovi: sono le priorità che chiedono di essere cambiate.

Destinatari

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110 CVMC 2. 111 Cf Lc 10,38-42. 112 VMP 1.

85

L’attuazione delle consegne sinodali è affidata all’intera Chiesa di Verona, che si impegna per i prossimi anni a tradurle in un coerente progetto, secondo le sue articolazioni e i suoi cammini. In questo modo gli orientamenti sinodali assumono un respiro sufficientemente ampio per camminare seriamente verso gli obiettivi fissati. La preoccupazione che ci muove, infatti, non è dettata da criteri di efficienza o di successo, ma da un servizio di annuncio che, secondo la logica dell’incarnazione, ha bisogno di costanza nel tempo, di personalizzazione e di radicamento comunitario, così come necessita di coltivare una profonda spiritualità ecclesiale che lo sostenga e lo radichi nel rapporto con Cristo. L’attuazione dunque è affidata ai singoli credenti, secondo la loro condizione, carisma e ministero; alle comunità parrocchiali e con esse ai parroci e ai presbiteri loro collaboratori, ai diaconi, alle famiglie, ai vicariati, agli istituti religiosi, ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti; alle istituzioni diocesane: Consiglio Presbiterale e Pastorale, Curia, Centri, Uffici e commissioni; ai luoghi di formazione teologica, culturale, pastorale. Tutti sono chiamati ad esprimere il proprio dono secondo la logica dello scambio vicendevole, a ripensarsi e a porsi nella linea del cammino promosso dal Sinodo, facendo costante riferimento alla Chiesa locale e alla logica della corresponsabilità condivisa e indicata. È dalla capacità di vivere ogni iniziativa all’interno del ricco orizzonte qui tracciato e dalla decisione di esprimerla in proposte semplici e a portata di tutti che si dà vita a quanto vissuto, sperimentato e indicato nel cammino sinodale.

1. PER ESSERE UNA CHIESA DISCEPOLA

226 La Chiesa è chiamata a restare permanentemente discepola del Signore Gesù. Per questo deve lasciare che quotidianamente la propria vita sia ispirata e prenda forma dal Vangelo di Cristo. Perciò è necessaria nella nostra Chiesa una formazione permanente che non sia solamente un tempo funzionale all’azione, ma un modo normale di coltivare la propria identità dentro i cambiamenti della storia, tramite una costante disponibilità a lasciare che lo Spirito plasmi in noi gli stessi sentimenti del Figlio Gesù. Ci sarà chiesto nel prossimo futuro, sempre di più, un poderoso investimento sulla formazione, che mobiliti diverse risorse e che tocchi gli ambiti fondamentali della vita cristiana, mirando a consolidare in tutti una profonda fisionomia spirituale; un impegno formativo che non comporti tanto la sospensione delle attività già in corso, ma piuttosto una loro essenzializzazione e un modo di lavorare insieme che non si limiti a “produrre” nell’immediato, ma sia attento alla qualità di vita che si promuove. 227 Dai lavori sinodali emergono alcune direzioni verso le quali dovrà muoversi l’impegno formativo:

- riscoprire la centralità di Cristo e della sua Parola: vogliamo imparare a leggere con uno sguardo “illuminato” il tempo in cui ci troviamo, senza nostalgie per il passato e senza la pretesa di conoscere subito le nuove vie, ma con la certezza di essere accompagnati da Cristo;

228

- imparare ed esercitare l’atteggiamento dell’ascolto: è un atteggiamento di apertura, di accoglienza, di discernimento rispetto alla Parola di Dio, accolta nel solco della tradizione ecclesiale con la guida autorevole del Magistero, e rispetto alla realtà culturale e sociale nella quale viviamo. Ascoltare significa diventare cassa di risonanza, e quindi “ri-suonare” noi

86

stessi in armonia con il Vangelo di Gesù. Perciò è importante coltivare la preghiera e il rapporto personale con Dio;

229

- curare una formazione globale, di tutta la persona, cuore, mente e forze, con particolare attenzione alle capacità relazionali: la comunione, frutto dello Spirito, passa attraverso una comunicazione sana, una corresponsabilità matura, una collaborazione rispettosa;

230

- proporre momenti formativi comuni, tra presbiteri, religiose e religiosi e laici: il mettersi in gioco insieme e sugli stessi valori favorirà certamente una capacità di collaborazione e una convergenza di apporti fra tutti;

231

- riservare un’attenzione particolare ai presbiteri, in quanto presiedono alla comunione delle comunità ecclesiali. Già dai percorsi formativi in Seminario, dovranno essere aiutati a maturare l’attitudine a servire e a favorire la corresponsabilità e la partecipazione di tutti, secondo i diversi carismi e ministeri, in comunione con la realtà diocesana. Affinché esercitino con efficacia il loro ministero, è condizione essenziale valorizzare e incrementare momenti di incontro e di condivisione, modalità di vita comune e percorsi unitari di spiritualità, occasioni di collaborazione e di confronto.

232 Non mancano luoghi e itinerari formativi già attivi nella vita della Diocesi: alcuni vanno potenziati, altri rinnovati, altri ancora riconsiderati. In particolare:

- la catechesi forma le persone mettendole in grado di accostare fruttuosamente la Parola di Dio con le domande che la vita di oggi pone, imparando a leggere le situazioni e a valorizzare tutto il bene che è presente. Occorre dare impulso a una catechesi capace di proporre il Vangelo e di suscitare la fede, a partire dagli adulti;

233

- la liturgia è «culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù»113. L’Eucaristia domenicale ci edifica come Chiesa del Signore attraverso l’ascolto della Parola e la partecipazione alla mensa del corpo di Cristo. La grazia celebrata nei sacramenti sostiene il nostro cammino di fede e di conversione (in questa prospettiva, va riscoperto e valorizzato il sacramento della riconciliazione). Si dovrà avere particolare cura delle celebrazioni, della loro preparazione e animazione, dell’omelia, della qualità della partecipazione;

234

- la testimonianza della carità sta al centro dell’esperienza cristiana ed è via privilegiata per la nuova evangelizzazione, perché mentre conduce ad amare l’uomo, in particolare colui che soffre, apre all’incontro con Dio, principio e ragione ultima di ogni amore. Si dovrà verificare lo stile di vita delle nostre comunità affinché nelle loro scelte e con le loro strutture siano effettivamente capaci di formare al «Vangelo della carità»;

235

113 SC 10.

87

- la vita comunitaria è il luogo abituale in cui viene alla luce e si forma la nostra identità cristiana. Tale vita comune si esprime nelle comunità parrocchiali, così come nella varietà delle aggregazioni (gruppi, movimenti, associazioni…) e nelle comunità di vita religiosa. Il primato dato alle persone e non alle organizzazioni, la correttezza del modo di rapportarsi e di collaborare, la disponibilità a verificare il senso evangelico delle proposte e attività, la gratuità con cui ci si dedica alle situazioni di bisogno favoriranno uno stile più evangelico della comunità cristiana, mostrandone tutta la carica profetica;

236

- la famiglia è un luogo fondamentale dove la fede viene vissuta e portata dentro le diverse situazioni della vita, con tutte le difficoltà e le opportunità che questo comporta; in forza del sacramento del matrimonio, essa ha un suo compito privilegiato e delicato nel formare alla fede. Questo suo compito va riconosciuto (ad esempio nel modo di impostare la catechesi dell’iniziazione cristiana, nella preparazione dei fidanzati al matrimonio, nel fare spazio a gruppi familiari…); nello stesso tempo, sono da sostenere e accompagnare adeguatamente quelle famiglie che vivono situazioni di difficoltà o di povertà di vario genere. A tale scopo si dovrà valorizzare adeguatamente nella pastorale lo specifico ministero delle coppie cristiane.

237 In queste direzioni e in questi ambiti, ciascun soggetto ecclesiale dovrà cominciare a rafforzare e a promuovere nuove iniziative e, se necessario, a ripensare e modificare le strutture formative esistenti.

2. PER ESSERE UNA CHIESA SINODALE

238 Il Sinodo ha consentito di fare esperienza di uno stile di corresponsabilità che domanda disponibilità all’ascolto e pazienza nel maturare assieme, così che sia possibile una autentica integrazione e valorizzazione delle diversità di carismi, ministeri, sensibilità, esperienze, presenti nella nostra Chiesa. Ha fatto sperimentare la fecondità dello scambio, della reciproca integrazione, così come la fatica della collaborazione e dell’armonizzazione delle diversità. Quanto è stato maturato va ora interiorizzato, custodito e diffuso perché diventi stile condiviso nei diversi luoghi e ambiti pastorali in cui vive la Chiesa veronese. 239 Per attuare ciò, va rafforzato l’impegno verso una pastorale d’insieme (pastorale “integrata” o “in rete”), in sintonia con quanto la Chiesa italiana va promuovendo114. Questa forma della pastorale è già in via di elaborazione nella nostra Diocesi e va ulteriormente diffusa. La sua validità sta nel valorizzare il radicamento territoriale, in continuità con una feconda tradizione pastorale, pensandolo tuttavia in modo nuovo, fedele al contesto attuale di maggiore mobilità delle persone, nella consapevolezza di una mutata relazione tra comunità cristiana e comunità civile. Si favorisce così una sinergia di proposte e di interventi pastorali, si promuove una maggiore valorizzazione della ministerialità di tutti i fedeli, in particolare le diverse forme di ministerialità laicale, segno di una crescente maturità di presenza e assunzione di responsabilità nella vita delle comunità cristiane.

114 Cf VMP 11.

88

240 L’esperienza cristiana matura sempre dentro comunità concrete, radicate nell’appartenenza a un territorio o elettive come movimenti e associazioni. La parrocchia è impegnata a valorizzarle tutte mantenendole in comunicazione tra di loro e serve la loro comune appartenenza alla Chiesa locale e al suo cammino pastorale. La diocesanità, garantita dal ministero di presidenza del Vescovo, sarà l’orizzonte dentro il quale va pensata e articolata la pastorale d’insieme. 241 All’interno di questo orientamento di fondo, emergono alcune conseguenze operative:

- incentivare la costituzione di unità pastorali come esperienza privilegiata di collaborazione tra parrocchie corrispondente a questa idea di pastorale. Per andare in tale direzione si dovrà curare una adeguata sensibilizzazione delle comunità e una corrispettiva preparazione di presbiteri, diaconi, laici, religiose e religiosi;

242

- ripensare gli organismi diocesani di servizio (Uffici di curia e Centri di pastorale) e di partecipazione (Consigli e Commissioni), perché siano strutturati in modo corrispondente alla forma propria della pastorale d’insieme e sappiano offrire proposte pastorali sempre più in linea con questa;

243

- operare secondo un progetto condiviso, che sia base dell’azione pastorale e frutto di una matura attitudine a “pensare la pastorale”. Ciò non è dettato da esigenze di efficienza, ma è richiesto dall’obbedienza a quanto lo Spirito suggerisce oggi alla nostra Chiesa: lo stile di comunione. Questo guida l’azione pastorale e va custodito operando dentro una progettualità comune, che sa far spazio alla diversità proprio perché offre a tutti un quadro di riferimento unitario e ampio;

244

- promuovere appuntamenti pastorali di riflessione, programmazione, verifica secondo lo stile e il metodo sperimentati durante la celebrazione del Sinodo. Appuntamenti periodici nei quali insieme (laici, presbiteri, religiosi) si viva l’esperienza della corresponsabilità e si cooperi alla progettazione pastorale sono momenti privilegiati nei quali si esprime una Chiesa dallo stile sinodale.

245 I diversi soggetti, ciascuno secondo la propria competenza e implicazione, sono impegnati a dare corpo a queste indicazioni di direzione. Gli orientamenti qui indicati coinvolgono in primo luogo gli organismi di servizio e partecipazione a livello diocesano.

3. PER ESSERE UNA CHIESA COMPAGNA DI VIAGGIO

246 Ascolto e dialogo sono stati temi e atteggiamenti centrali nel Sinodo: se ne è riconosciuta la preziosità, la fatica, la fecondità; perciò vanno tenuti in pieno risalto nella vita ecclesiale e nella sua azione evangelizzatrice.

89

Una Chiesa che voglia essere segno della presenza del Signore tra gli uomini, secondo le caratteristiche che Egli le ha indicato, è chiamata a formulare la sua proposta come pastorale di accompagnamento. 247 Riteniamo che questo stile pastorale possa trovare espressione in alcune direzioni operative:

- assumere uno stile di accompagnamento, che comporta: stare con simpatia dentro il proprio tempo e nel proprio territorio, riconoscendosi parte di esso e condividendo ciò che gli uomini lì vivono, le loro gioie, i loro problemi, la loro ricerca; custodire e offrire la novità evangelica che, mentre apre noi alla conversione, si propone a tutti come risorsa e forza critica; farsi ospitali, così che l’esperienza cristiana sia realmente accessibile a tutti; assumere un atteggiamento di ricerca che superi le strettoie di una pastorale solo di “convocazione”; saper promuovere rispettosamente la maturazione delle persone;

248

- pensare e proporre itinerari differenziati di formazione che sappiano integrare le varie dimensioni della vita cristiana e accompagnarne le tappe significative: la celebrazione dei sacramenti, gli eventi gioiosi o dolorosi che caratterizzano l’esistenza delle persone, il percorso ordinario del vivere nei suoi differenti ambiti e ambienti;

249

- incentivare l’attenzione all’iniziazione cristiana ripensando la prassi da cui proveniamo, ancora troppo sbilanciata sul versante della semplice risposta alle domande di sacramenti e di una offerta catechistica legata ai tempi e modi della scolarizzazione. Oggi la catechesi va proposta anzitutto come itinerario di evangelizzazione, nella forma di un percorso che sa introdurre alla fede o conduce a riprenderla in occasione della domanda dei sacramenti;

250

- curare e valorizzare la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede, attraverso un organico coinvolgimento dei genitori nella iniziazione dei figli, attraverso itinerari che pensino la formazione alla vita di coppia e di famiglia nella stessa forma di “iniziazione”, attraverso la promozione di una autentica spiritualità coniugale. Tutto ciò sarà sostenuto con adeguate proposte di formazione degli adulti;

251

- promuovere una pastorale giovanile attenta a far crescere nei giovani la capacità di maturare la propria identità e di essere protagonisti nella comunità cristiana così come nei diversi ambiti di vita; una pastorale che sappia affidare loro autentici spazi di responsabilità;

252

- coltivare l’attenzione preferenziale a chi è svantaggiato, per ragioni economiche, culturali, sociali…, consapevoli che l’unica preferenza consentita alla Chiesa è quella per gli “ultimi”. Accompagnare è anche farsi presenti sul territorio con la disponibilità a offrire il proprio contributo di pensiero e di risorse, ma anche con la consapevolezza di avere molto da imparare e ricevere. Tutto ciò domanda gratuità di presenza, cioè capacità di implicarsi senza fare di ciò la strategia per aggregare altri alla comunità cristiana, senza la pretesa di arrivare dappertutto, senza pensarsi risolutivi, accettando che molti intraprendano strade diverse, riconoscendo al proprio interlocutore dignità, stando di fronte a lui in un rapporto di reciprocità.

90

253 Questa direzione di percorso chiede a tutti i soggetti ecclesiali di pensare le modalità concrete per tradurre in percorsi operativi quanto qui richiamato come stile di presenza.

4. PER ESSERE UNA CHIESA TESTIMONE : ESTROVERSA E SOLIDALE

254 Una Chiesa che si coltiva intensamente come discepola di Cristo non può ripiegarsi su di sé; al contrario, si sente spinta a guardare il mondo con lo sguardo stesso di Gesù. Questo orientamento fondamentale, che è un tratto decisivo della fede pasquale, è vissuto da una Chiesa che assume uno stile sinodale e che si fa compagna di viaggio delle donne e degli uomini. Lo stile missionario di una Chiesa estroversa e solidale, quindi, domanda di sviluppare alcuni atteggiamenti e di assumere alcune scelte di vita che portano a “stare” nella realtà in modo evangelico. L’orizzonte in cui siamo chiamati a collocarci è quello di una capacità di testimoniare il Vangelo come felice sorpresa e forza critica. Il servizio della testimonianza ha delle caratteristiche particolari: si tratta non solo di annunciare il Vangelo, ma anche di agire evangelicamente; non solo di rendere disponibile il tesoro della fede, ma anche di scoprire e di ricevere i segni dello Spirito presenti nella storia delle persone e dei popoli; non solo di custodire e trasmettere la ricchezza della tradizione ecclesiale, ma anche di promuovere e allargare lo spazio di inculturazione del Vangelo. 255 Orientandosi operativamente in questa direzione, ciascun soggetto ecclesiale, dentro il proprio ambito di vita e attività, dovrà convergere attorno a questi obiettivi:

- essere fedeli a Dio e all’uomo: si tratta di evidenziare il carattere di buona notizia del Vangelo, in modo che risulti significativo nelle diverse situazioni, età e scelte della vita e sia percepito nella sua capacità di liberare e di promuovere una vita saggia e buona per l’uomo. Nel rivolgersi alle persone, occorre anche saper partire da dove uno è, facendo attenzione al bene che già è vissuto, mostrando come il Vangelo lo valorizza e lo apre a maturazioni ulteriori che realizzano la persona umana. Questa duplice fedeltà dovrà essere coniugata con una particolare cura all’interno del mondo giovanile e della famiglia, accettando la sfida e le risorse che da essi provengono;

256

- essere solidali con le donne e gli uomini in situazioni di disagio: l’amore gratuito di Dio, proprio perché apre vie inimmaginabili per realizzare felicemente la propria umanità, impegna non solo ad essere vicini a chi soffre, ma anche a denunciare profeticamente tutto ciò che disumanizza la vita. Senza assumere l’atteggiamento del “benefattore”, la Chiesa saprà sperimentare la forza liberante del Vangelo quando si metterà dalla parte di chi è svantaggiato e farà proprie le sue necessità. Ciò chiede a tutti, secondo le possibilità di ciascuno, in ambito sia privato che pubblico, di assumere uno stile di vita sobrio ed essenziale, di verificare costantemente l’impiego solidale delle risorse umane ed economiche proprie e del proprio paese, di liberarsi da connivenze che impediscano o limitino la nostra capacità di annuncio e di denuncia, di contribuire fattivamente alla costruzione della città solidale, testimoniando la speranza della pace nella gestione dei conflitti che segnano drammaticamente il nostro tempo;

257

91

- promuovere luoghi e modalità di annuncio e dialogo nell’attuale contesto socio-culturale: siamo coscienti che il modo di comunicare appartiene già al contenuto dell’annuncio. La grazia di essere testimoni del Vangelo “in un mondo che cambia” invita ad accettare la sfida di una nuova inculturazione della fede. Questo impegna su tutti i fronti del dialogo: dal primo annuncio fino al confronto culturale sui grandi temi della vita, dall’ascolto reciproco tra le diverse tradizioni cristiane fino all’incontro conviviale multireligioso e multietnico;

258

- coltivare l’apertura alla missione e alla cooperazione tra le Chiese: è una caratteristica marcata della nostra Chiesa veronese. Questa caratteristica dovrà essere valorizzata e promossa a tutti i livelli e inserita in un progetto diocesano che renda possibile uno scambio di doni tra le Chiese e faccia crescere nelle nostre comunità, in tutte le loro componenti, un atteggiamento di apertura al mondo;

259

- promuovere nuovi stili di vita cristiana: occorre sviluppare l’aspetto gioioso e vitale del Vangelo, evitando di chiuderlo nell’alveo devozionistico della semplice pratica religiosa. L’annuncio del Vangelo si fa particolarmente concreto con il proporre alle famiglie, agli anziani, ai giovani ecc. nuovi stili di vita cristiana, percorsi di santità con i quali le persone possano identificarsi e camminare, superando la tentazione di limitarsi a giudicare negativamente il presente. Ciò chiede di fare spazio, con sano discernimento, alle esigenze e alle sensibilità che si affacciano nel contesto attuale; pensiamo in particolare alle esperienze che fioriscono all’interno dei movimenti e delle associazioni ecclesiali.

260 Entro questo orizzonte e alla luce di questi obiettivi, ciascun soggetto dovrà muoversi per dare attuazione a un rinnovato impegno di evangelizzazione.

92

MARIA , DISCEPOLA E MADRE DEL SIGNORE , NOSTRA COMPAGNA DI VIAGGIO

Maria Maddalena ci ha introdotti nella lettura del Libro Sinodale. Ma lei non era sola: «Vicino alla croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria Maddalena» (Gv 19,25). Maria di Nazaret è divenuta madre di Gesù, perché ha accolto in tutta disponibilità la volontà di Dio. Da vera discepola, ha saputo dare corpo alla Parola, implicandosi totalmente nella sorte del Figlio trafitto per amore115. Ormai chiuso il libro del Sinodo, ci aspetta ora la vita. Sta alle nostre spalle un lungo e fruttuoso cammino di ricerca, nel quale abbiamo vissuto un’autentica esperienza di Chiesa, condividendo la responsabilità del Vangelo. Si profila ora davanti a noi l’impegno di tradurre in decisioni sagge e coraggiose e in atti concreti quanto lo Spirito ci ha dato di comprendere per andare incontro, da discepoli del Signore, alle esigenze e alle attese della nostra gente e annunciare oggi quel Gesù che è stato crocifisso e che Dio ha costituito Signore116. Come Giovanni sotto la croce, vogliamo accogliere nella nostra casa, che è la Chiesa veronese, Maria la madre di Gesù117, perché ci accompagni nel cammino che intraprendiamo con coraggio e con fede. «Questo rapporto filiale, questo affidarsi di un figlio alla madre non solo ha il suo inizio in Cristo, ma si può dire che in definitiva sia orientato verso di lui. Si può dire che Maria continui a ripetere a tutti le stesse parole, che disse a Cana di Galilea: “Fate quello che vi dirà”»118.

115 Cf Lc 2,35. 116 Cf At 2,36. 117 Cf Gv 19,27. 118 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris Mater, 46.

93

Al Padre onnipotente nell’amore, al Figlio Gesù donato per noi, allo Spirito che opera in tutti l’identica dignità filiale, nella comunione con tutti i santi, sia gloria e lode ora e per sempre. Amen.

� P. Flavio Roberto Carraro Vescovo

Verona, 14 maggio 2005 Vigilia della solennità di Pentecoste

94

Indice tematico

(i numeri rimandano alle pagine del Libro Sinodale)

A

accoglienza 8, 70, 88, 101, 117, 145, 146, 162 aggregazioni laicali 46, 49, 54, 165

- Consulta delle a.l. 46 Amari Giuseppe 46, 131 annuncio 4, 9, 10, 11, 13, 19, 21, 22, 25, 32, 33, 34, 35, 46,

55, 60, 63, 65, 67, 68, 71, 72, 76, 89, 90, 95, 96, 106, 108, 111, 113, 114, 118, 127, 128, 129, 133, 134, 135, 136, 137, 140, 141, 142, 143, 144, 145, 146, 147, 151, 152, 155, 156, 161, 171, 173, 176 - primo annuncio 32, 68, 96, 137, 156, 173

anziani 60, 65, 104, 119, 173 ascolto 9, 13, 17, 20, 27, 28, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 43,

45, 47, 48, 52, 55, 56, 63, 66, 67, 68, 71, 72, 74, 78, 82, 89, 92, 95, 96, 97, 98, 105, 115, 116, 117, 127, 129, 130, 133, 134, 138, 139, 141, 145, 146, 151, 152, 153, 154, 159, 162, 164, 166, 168, 173

associazioni 35, 54, 85, 94, 114, 120, 124, 147, 153, 161, 165, 167, 174

autenticità 8, 9, 20, 33, 38, 57, 59, 68, 70, 86, 87, 90, 97, 98, 111, 116, 120, 129, 176 - desiderio di a. 9, 86, 87, 97, 111

Azione Cattolica 45

B

battesimo, battesimale 48, 50, 78, 128 Bibbia, biblico (vd. Parola di Dio) 9, 10, 48, 68, 106, 133

C

cambiamento 4, 5, 47, 53, 63, 71, 91, 152, 173 - tempo di c. 31

carismi 38, 45, 49, 50, 51, 60, 77, 134, 152, 153, 161, 163, 166

carità 9, 15, 22, 27, 28, 43, 45, 46, 47, 48, 50, 52, 56, 58, 60, 69, 98, 105, 106, 110, 111, 112, 113, 114, 115, 117, 121, 124, 125, 130, 151, 153, 155, 156, 160, 164 - Caritas 112, 113, 114, 125

Carraro Flavio Roberto 15, 35, 37, 114, 177 Carraro Giuseppe 130 catechesi, catechiste/i, catechistico 45, 52, 60, 66, 78, 95,

96, 125, 128, 137, 155, 160, 164, 165, 169 Catechismo della Chiesa Cattolica 4, 39, 48, 49, 50, 65, 67,

68, 69, 70, 71, 74, 109, 110, 136 celebrazione 14, 17, 31, 34, 35, 37, 46, 52, 56, 57, 67, 76,

98, 118, 168, 169 Chiesa 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 19, 20, 25, 31, 32,

33, 34, 35, 37, 38, 39, 40, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 65, 66, 67, 68, 69, 71, 72, 73, 78, 81, 82, 85, 88, 91, 93, 94, 95, 96, 97, 101, 107, 108, 111, 112, 113, 115, 118, 123, 125, 127,

128, 130, 132, 133, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 145, 146, 147, 148, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 159, 160, 161, 162, 164, 166, 167, 168, 170, 171, 172, 173, 176 - C. italiana 39, 91, 108, 111, 113, 166 - C. locale/particolare 54, 60, 130, 161, 167 - C. universale 7, 39, 66, 151 - C. veronese 6, 7, 9, 10, 13, 14, 20, 32, 35, 37, 40, 43,

45, 46, 53, 56, 57, 58, 60, 65, 68, 72, 91, 101, 113, 125, 127, 128, 130, 137, 138, 140, 141, 143, 146, 147, 151, 152, 155, 159, 161, 166, 173, 176

chiese, comunità ecclesiali 35, 38, 64, 72, 111, 131, 132, 135, 138, 144, 145, 147, 154, 173

Codice di Diritto Canonico 4, 49 Commissione per la Famiglia della Regione Ecclesiastica

Triveneta - Iniziazione cristiana e famiglia 78

complessità 53, 65, 72, 82 comunicazione 31, 55, 63, 85, 119, 127, 128, 129, 147,

153, 163, 167 - mezzi di c. 85, 147, 156

comunione 14, 26, 27, 31, 38, 39, 45, 46, 47, 48, 50, 51, 52, 54, 56, 57, 60, 69, 70, 88, 90, 107, 108, 116, 118, 128, 133, 138, 142, 153, 163, 167, 177

Concilio Vaticano II 4, 5, 6, 39, 47, 66, 67, 81, 108, 110, 128, 130, 135, 137, 153, 154 - Apostolicam actuositatem 4, 110 - Dei Verbum 4, 108, 137, 138 - Dignitatis humanae 4, 135 - Gaudium et spes 5, 64, 66, 67, 70, 71, 81, 99, 108 - Gravissimum educationis 4, 70 - Lumen gentium 5, 28, 47, 48, 50, 66, 67, 70, 135, 137 - Nostra aetate 5, 135 - Sacrosanctum Concilium 5, 164

Conferenza Episcopale Italiana 4, 5, 47, 65, 79, 111, 112, 113, 140, 156 - Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia 4, 47,

65, 91, 112, 136, 151, 159 - Comunicazione e missione. Direttorio sulle

comunicazioni sociali nella missione della Chiesa 156

- Comunione e comunità 47, 65 - Comunione e comunità missionaria 47 - Comunione e comunità nella chiesa domestica 65 - Con il dono della carità dentro la storia 111 - Evangelizzazione e ministeri 47 - Evangelizzazione e sacramento del Matrimonio 65 - Evangelizzazione e testimonianza della carità 47, 111,

112 - Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia

111 - Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che

cambia 5, 51, 54, 66, 71, 78, 79, 125, 160, 166 - Matrimonio e Famiglia oggi in Italia 65

Conferenza Episcopale Italiana - Commissione ecclesiale Giustizia e pace

95

- Uomini di culture diverse. Dal conflitto alla solidarietà 113

Conferenza Episcopale Italiana - Commissione ecclesiale per le migrazioni - Ero forestiero e mi avete ospitato 113

Conferenza Episcopale Italiana - Consulta nazionale per la pastorale della sanità - La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di

pastorale sanitaria 113 Conferenza Episcopale Italiana - Ufficio Nazionale per la

pastorale della famiglia - Direttorio di Pastorale Familiare per la Chiesa in Italia.

Annunciare, celebrare, servire il ‘Vangelo della famiglia’ 65, 66, 75

- Sulle orme di Aquila e Priscilla. La formazione degli operatori di pastorale ‘con e per’ la famiglia 79

Conferenza Episcopale Italiana - Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità - Un dolore disabitato. Comunità cristiana e sofferenza

mentale 113 confronto 14, 35, 36, 38, 49, 55, 72, 75, 90, 93, 101, 105,

115, 116, 122, 123, 127, 134, 140, 145, 148, 163, 173 Congregazione per i Vescovi - Congregazione per

l’evangelizzazione dei popoli - Istruzione sui sinodi diocesani 39

consacrati (vd. religiosa, religiose/i) 45, 47, 60 Consiglio pastorale 35, 46, 60 Consiglio presbiterale 46, 161 consultazione 13, 34, 35, 36, 43, 63, 101, 104, 128 contemplazione 48, 90, 118, 151 contesto

- c. attuale 6, 7, 31, 43, 53, 64, 83, 85, 102, 173 - c. culturale 8, 31, 38, 44, 83, 84, 85, 90, 173 - c. ecclesiale 37, 44 - c. sociale 8, 31, 37, 44, 83, 84, 85, 90, 173

conversione 6, 7, 8, 9, 10, 26, 32, 38, 49, 51, 52, 55, 60, 68, 82, 88, 115, 118, 124, 140, 141, 164, 169

corresponsabilità 6, 14, 34, 35, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 54, 55, 57, 58, 59, 60, 61, 63, 79, 153, 161, 163, 166, 168

cultura, culturale 8, 10, 31, 34, 38, 44, 45, 59, 64, 65, 73, 75, 83, 84, 85, 86, 90, 93, 94, 102, 104, 105, 110, 111, 113, 123, 124, 127, 128, 129, 136, 139, 140, 143, 144, 145, 147, 154, 161, 163, 170, 173 - Centro diocesano di cultura 45

D

diacono, diaconato 56, 57, 60, 161, 167 dialogo 4, 10, 11, 14, 34, 35, 38, 49, 52, 55, 64, 66, 72, 73,

77, 85, 90, 93, 94, 97, 98, 115, 127, 128, 129, 131, 132, 133, 134, 135, 136, 138, 139, 140, 141, 143, 144, 145, 146, 147, 148, 155, 168, 173 - d. con i non credenti 10, 139 - d. ecumenico 10, 35, 38, 64, 72, 130, 131, 132, 135,

137, 138, 143, 144, 145, 173 - d. interculturale 10, 64, 85, 90, 94, 112, 123, 124, 136,

139, 143, 146, 173 - d. interreligioso 4, 10, 35, 64, 85, 90, 94, 111, 128,

135, 138, 139, 140, 173 differenza (vd. diversità, rispetto della) 121, 142, 145 Diocesi (vd. Chiesa locale/particolare) 1, 10, 34, 36, 37, 39,

45, 46, 53, 54, 60, 66, 79, 113, 114, 128, 130, 131, 132, 134, 140, 160, 164, 166

disagio 103, 116, 121

- mondo del d. 9, 34, 59, 64, 83, 91, 101, 103, 104, 115, 120, 154, 172

discernimento 36, 37, 47, 56, 71, 93, 129, 153, 154, 162, 174

diversamente abili 103, 104, 113, 117, 119 diversità, rispetto della d. (vd. differenza) 38, 45, 55, 94,

113, 121, 124, 142, 143, 145, 147, 148, 153, 166, 168, 170

donna 13, 15, 20, 21, 22, 24, 32, 33, 40, 50, 53, 64, 65, 68, 69, 70, 72, 74, 104, 112, 114, 122, 123, 133, 134, 138, 139, 142, 143, 152, 155, 171, 172

E

economia 46, 49, 59, 61, 73, 84, 102, 104, 105, 110, 115, 120, 122, 140, 170, 172 - Consiglio per gli affari economici 46 - gestione economica 61

ecumenismo (vd. dialogo ecumenico) 132, 140, 141 educazione (vd. formazione) 56, 65, 70, 73, 75, 76, 88, 91,

94, 97, 98, 112, 121, 123, 145, 146, 147 Eucaristia 7, 52, 56, 151, 164 evangelizzazione 39, 46, 50, 52, 60, 69, 96, 111, 120, 128,

130, 136, 138, 164, 168, 169, 174 - nuova e. 39, 164

F

famiglia (vd. matrimonio) 7, 34, 35, 48, 59, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 98, 104, 112, 113, 120, 121, 124, 137, 151, 154, 156, 161, 165, 170, 172, 173 - f. soggetto di pastorale 65

fede 7, 15, 20, 21, 22, 23, 26, 27, 28, 32, 33, 38, 50, 51, 52, 73, 76, 78, 82, 87, 91, 92, 93, 95, 96, 98, 99, 124, 128, 136, 137, 138, 142, 143, 160, 164, 165, 169, 170, 171, 173, 176 - comunicazione della f. 33, 91 - credibilità della f. 33 - f. adulta 32, 92, 93, 137 - formazione alla f. 32, 95, 96, 124, 137, 164, 169 - inculturazione della f. 173 - trasmissione della f. 51, 91, 98, 170 - unità della f. 52

formazione 7, 11, 32, 44, 45, 47, 56, 57, 58, 64, 75, 79, 84, 85, 88, 93, 94, 96, 116, 118, 124, 140, 145, 146, 152, 153, 161, 162, 163, 169, 170 - f. permanente 45, 162 - f. teologica 45, 57, 161

futuro 32, 37, 40, 66, 159, 162

G

Gesù Cristo 8, 10, 15, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 31, 32, 33, 37, 43, 48, 49, 50, 51, 52, 67, 68, 69, 88, 92, 98, 99, 106, 107, 108, 111, 118, 127, 128, 133, 134, 135, 137, 138, 141, 142, 143, 145, 152, 156, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 171, 176, 177

giovani 8, 9, 34, 35, 63, 64, 67, 75, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 104, 112, 154, 170, 173

Giovanni Paolo II 4, 5, 28, 47, 67, 68, 70, 110, 113, 132, 134, 136, 137, 176

96

- Centesimus annus 4, 108, 109 - Christifideles laici 4, 47, 48, 49, 136 - Ecclesia de Eucharistia 70 - Familiaris consortio 4, 67, 70, 74 - Fides et ratio 134 - Incarnationis mysterium 110 - Laborem exercens 108 - Novo millennio ineunte 5, 47, 110, 151 - Pastores dabo vobis 47 - Redemptor hominis 5, 25, 152 - Redemptoris custos 68 - Redemptoris Mater 28, 176 - Redemptoris missio 136 - Sollicitudo rei socialis 5, 108, 109, 110 - Ut unum sint 5, 130, 131, 132 - Vita consecrata 5, 47, 48, 60

giustizia 77, 89, 93, 98, 105, 107, 109, 110, 111, 113, 117, 118, 121, 122, 123, 124, 140, 141, 146

globalizzazione 102

I

identità 8, 13, 25, 33, 35, 47, 61, 63, 70, 79, 86, 87, 92, 95, 98, 101, 103, 125, 127, 129, 131, 135, 136, 138, 141, 143, 144, 145, 162, 165, 170

ingiustizia 101, 102, 105, 109, 120, 129 iniziazione cristiana 50, 78, 98, 155, 165, 169

L

laici 4, 34, 38, 44, 47, 49, 54, 57, 59, 60, 130, 141, 147, 163, 167, 168

lavoro 35, 59, 65, 73, 84, 91, 93, 94, 104, 108, 121, 141, 151

liturgia 52, 60, 95, 96, 119, 120, 125, 160, 164

M

Magistero 14, 39, 108, 111, 114, 163 malato, malattia (vd. sofferenza) 35, 76, 102, 104, 106, 119 Maria 11, 21, 28, 68, 176 matrimonio (vd. famiglia) 65, 66, 67, 69, 70, 71, 75, 76, 77,

165 - preparazione al m. 66, 75

metodo - m. di lavoro 34, 36

migranti, migrazioni 53, 73, 85, 102, 104, 113, 114, 117, 120, 122, 130, 141

ministeri, ministerialità 7, 38, 46, 47, 49, 50, 51, 52, 54, 56, 57, 58, 59, 61, 65, 75, 77, 125, 134, 152, 153, 163, 166

ministero - m. della Parola (vd. omelia) 56, 57 - m. ordinato 48, 50

ministri 44, 45, 48, 51 - m. ordinati 44, 48, 49, 51 - straordinari 45

missione 14, 25, 26, 27, 46, 47, 48, 49, 50, 52, 53, 57, 60, 67, 68, 69, 77, 79, 81, 90, 94, 96, 101, 114, 128, 130, 134, 135, 136, 138, 142, 155, 156, 173

mobilità 64, 65, 166 movimenti 35, 49, 54, 55, 58, 66, 82, 94, 124, 147, 153,

161, 165, 167, 174

N

Nicora Attilio 46, 113, 114 nuova evangelizzazione (vd. evangelizzazione) 39, 164

O

omelia (vd. ministero della Parola) 56, 164 organizzazione 61, 78, 167

- organismi del sinodo 35, 39, 61

P

pace 17, 35, 70, 77, 93, 98, 105, 107, 109, 110, 111, 112, 113, 117, 122, 123, 124, 127, 140, 142, 146, 156, 173

Paolo VI 49, 68, 138 - Evangelii nuntiandi 49, 138

parola 33, 37, 81, 111, 121, 134, 156 Parola 7, 8, 10, 13, 14, 17, 27, 28, 32, 33, 38, 45, 51, 52,

56, 66, 68, 69, 74, 78, 79, 81, 89, 92, 95, 96, 97, 98, 99, 127, 129, 133, 137, 138, 140, 141, 145, 151, 159, 162, 163, 164, 176 - ascolto della P. 13, 33, 52, 56, 66, 68, 78, 92, 95, 127,

129, 141, 145, 159, 164 - celebrazione della P. 98 - P. di Dio 32, 33, 38, 81, 137, 138 - Scuola della P. 45

parrocchia 5, 8, 22, 35, 46, 49, 53, 54, 55, 58, 59, 60, 61, 66, 73, 75, 78, 79, 82, 94, 112, 113, 114, 119, 120, 121, 124, 136, 147, 151, 153, 161, 165, 167 - appartenenza alla p. 54 - interparrocchialità 46, 54, 61

partecipazione 6, 7, 34, 35, 43, 44, 46, 49, 50, 52, 59, 60, 61, 65, 73, 98, 118, 119, 120, 153, 154, 163, 164, 167, 168

pastorale 46, 75, 82, 90, 91, 93, 94, 95, 96, 97, 125, 140, 155, 166, 169, 170 - centri di p. 45, 47, 60, 147, 167 - p. in rete 46, 54, 59, 60, 94 - unità pastorali 46, 54, 60, 167

Pio XII 71 pluralismo 8, 10, 87, 127, 128, 140, 146 pluralità 10, 34, 84, 93, 94, 101, 121 politica 10, 59, 65, 73, 85, 93, 98, 105, 108, 115, 121, 122,

124, 139, 140, 143, 156 Pontificia commissione Iustitia et Pax

- La Chiesa di fronte al razzismo 113 Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso -

Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli - Dialogo e annuncio 4, 10, 128, 137, 139, 143

popolo di Dio 48, 69, 142 povertà 51, 114, 115, 122, 155, 156, 165 preghiera 13, 34, 39, 68, 69, 74, 79, 90, 96, 98, 117, 146,

151, 163 presbiteri 34, 38, 44, 48, 51, 55, 56, 57, 161, 163, 167, 168

- diminuzione dei p. 54, 59 proselitismo 142, 156 prostituzione 104, 122

R

relazione 8, 22, 25, 36, 51, 55, 58, 59, 65, 68, 69, 72, 74, 90, 97, 116, 131, 138, 166

97

- capacità di r. 55 religioni (vd. dialogo interreligioso) 64, 85, 90, 94, 135,

138, 139 religiosa, religiose/i 8, 34, 35, 38, 44, 48, 54, 55, 57, 87,

112, 114, 117, 119, 120, 128, 135, 139, 141, 144, 147, 153, 161, 163, 167, 168 - comunità r. 35, 165 - istituti r. 45, 60, 114, 120, 130, 161 - vita r. 57, 60, 165

ricerca 1, 15, 19, 31, 32, 35, 37, 71, 72, 87, 90, 93, 96, 97, 134, 139, 140, 143, 144, 145, 169 - r. di senso 8, 86, 89, 139

rinnovamento 40, 45, 91, 92

S

sacramenti, sacramento 49, 50, 51, 65, 67, 76, 99, 107, 119, 137, 142, 164, 165, 169

salvezza 22, 33, 48, 69, 74, 78, 96, 107, 116, 128, 133, 142, 154

sanità 113, 122, 124, 140 santi, santità 15, 69, 114, 173, 177 scuola 73, 85, 91, 93, 122, 124, 140 seminario 57, 141, 163 società 32, 54, 59, 64, 65, 67, 70, 74, 76, 84, 86, 90, 91, 93,

111, 112, 115, 119, 121, 139, 140, 143, 160, 163 sofferenza 98, 101, 102, 103, 104, 105, 106, 113, 120 soggetti pastorali 35, 63, 78, 168 soggettivismo 44 solidarietà 11, 68, 90, 98, 105, 106, 107, 108, 110, 113,

114, 117, 118, 120, 121, 122, 130, 155, 156, 171, 172 speranza 13, 23, 28, 48, 50, 70, 90, 92, 96, 98, 101, 107,

112, 116, 138, 142, 173 Spirito Santo 13, 17, 25, 27, 32, 34, 37, 38, 48, 49, 50, 52,

53, 67, 69, 71, 72, 74, 79, 90, 107, 128, 130, 132, 133, 134, 138, 143, 153, 155, 162, 163, 167, 171, 176, 177

spiritualità 7, 9, 55, 74, 79, 87, 96, 115, 117, 129, 161, 163, 170

Strumento di Lavoro 36, 44, 81 sussidiarietà 61

T

teologia, teologico 45, 57, 69, 139, 141, 144, 146, 147, 161

territorio 35, 53, 54, 59, 73, 90, 94, 104, 112, 121, 128, 130, 131, 132, 143, 146, 147, 155, 167, 169, 170 - presenza sul t. 53, 54, 59 - radicamento nel t. 53, 166

testimone 11, 26, 97, 98, 111, 129, 134, 142, 155, 171, 173 testimonianza 8, 32, 33, 37, 45, 46, 47, 87, 90, 93, 99, 101,

111, 112, 114, 115, 125, 128, 129, 130, 134, 145, 155, 156, 160, 164, 171

U

unità pastorali (vd. pastorale) 46, 54, 60, 167 università 91, 140, 147 uomo 13, 15, 17, 25, 32, 33, 37, 40, 50, 53, 64, 65, 68, 69,

70, 71, 72, 74, 81, 99, 101, 107, 108, 109, 111, 112, 122, 123, 133, 134, 135, 138, 139, 140, 142, 143, 152, 155, 164, 168, 169, 171, 172 - u. nuovo 107

V

Vangelo 4, 7, 9, 13, 22, 25, 33, 35, 40, 46, 47, 49, 52, 54, 59, 67, 68, 71, 72, 73, 76, 77, 81, 90, 91, 93, 95, 96, 97, 101, 105, 106, 111, 113, 114, 115, 118, 125, 128, 138, 142, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 160, 162, 163, 164, 171, 172, 173, 176

Vescovo 14, 15, 33, 34, 36, 37, 39, 46, 54, 60, 130, 131, 132, 138, 167, 177

vita 32, 37, 38, 71, 77, 78, 87, 90, 95, 98, 165 - apertura alla v. 69 - Dio della v. 68, 69, 72, 79 - dono della v. 74 - senso della v. 9, 32, 81, 86, 87, 95 - stile di v. 8, 49, 77, 78, 84, 97, 105, 106, 107, 110,

117, 120, 156, 164, 172, 173 - v. cristiana 50, 51, 54, 56, 58, 59, 70, 94, 118, 162,

169, 173 - v. ecclesiale 31, 37, 38, 43, 45, 46, 47, 49, 56, 65,

118, 166, 168 vocazione 47, 48, 50, 58, 90, 93, 96 volontariato 54, 85, 91, 114, 122, 124