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Matilde Meazzi SIAMO TEMPO La fenice, il dardo e il canguro nella letteratura moderna e contemporanea

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Matilde Meazzi

SIAMO TEMPOLa fenice, il dardo e il canguro

nella letteratura moderna e contemporanea

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Matilde Meazzi, Siamo tempoCopyright© 2018 Edizioni del FaroGruppo Editoriale Tangram SrlVia dei Casai, 6 – 38123 Trentowww.edizionidelfaro.it – [email protected]

Prima edizione: novembre 2018 – Printed in EU

ISBN 978‑88‑6537‑679‑9

In copertina: Rappresentazione grafica del rapporto tra tempo clas‑sico e tempo immaginario, visualizzato nel piano complesso.

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Ai miei fratelli e a tutti i cari amici con cui ho condiviso il tempo

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SIAMO TEMPOLa fenice, il dardo e il canguro

nella letteratura moderna e contemporanea

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PREFAZIONE

Alice: “Per quanto tempo è per sempre?” Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”.

(Lewis Carrol)

Con il suo secondo saggio, questa volta dedica‑to alla concezione e al senso del tempo in lette‑

ratura, Matilde Meazzi affronta una delle questioni più complesse e sfuggenti della comprensione del rea‑le, portando un originale contributo all’attuale di‑battito relativo al rapporto tra scienze e discipline umanistiche. Drammaticamente presente nella vita di ognuno, quello del tempo rimane ancora un pro‑blema in gran parte irrisolto e questo nonostante gli innumerevoli studi e ricerche che hanno coinvolto le più diverse discipline.

Come sempre è all’interno della narrativa che l’au‑trice conduce la propria indagine e lo fa nel modo che abbiamo imparato a conoscere leggendo Il paesaggio condiviso (Trento, Edizioni del Faro, 2017), ossia gui‑dandoci in un affascinante percorso di ricerca dentro alcune importanti opere di scrittori d’area europea e

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non. Scegliendo all’interno della propria rosa di prefe‑riti e riprendendo riflessioni stratificatesi nell’arco di numerosi decenni, M. Meazzi individua le opere che le sembrano più adatte per delineare un discorso let‑terario sul tempo: incontriamo così W.G. Sebald, M. Kundera, E.W. Remarque, J. Nemirovsky, M. Cvetae‑va, E. Canetti e C. Magris, Raymond Queneau, Jor‑ge Luis Borges, Sylvia Plath, il cinese Gao Xingjian e il britannico di origine giapponese Kazuo Ischiguro.

Il saggio ci porta innanzitutto a prendere atto di quanto la riflessione sul tempo permei di sé la narrati‑va, in modo implicito o esplicito, ma ci mostra anche come gli esiti di tale elaborazione trovino importanti corrispondenze con quelli prodotti dalla scienza.

Sappiamo bene che i fisici contemporanei si av‑valgono spesso di esemplificazioni tratte dall’arte e dalla letteratura con lo scopo di spiegare al lettore me‑dio, per analogia, concetti particolarmente comples‑si: molta dell’opera di divulgazione del fisico teorico Carlo Rovelli, che si distingue per parlare di scien‑za in modo letterario, ne è un interessante esempio. Ma lo sono anche gli scritti di molti altri autori, un caso emblematico è per esempio il tedesco Martin Bojawald, soprattutto nel suo famoso “Prima del Big Bang. Storia completa dell’universo”, dove l’autore usa riferimenti letterari all’inizio di ogni capitolo per inquadrare concettualmente il problema che affronta.

Ebbene, il saggio di M. Meazzi segue un processo inverso, dalla letteratura alla scienza, mostra come la

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narrativa poggi sopra un discorso organico sul tempo, e come questo, pur originando da riflessioni concreta‑mente ancorate all’esperienza e all’immaginario della vita, trovi, come si diceva sopra, importanti punti di contatto con le teorie della fisica, anche le più recen‑ti e apparentemente lontane dal senso comune, con‑fermando così che scienza e letteratura, a partire dalla fine dell’Ottocento, hanno seguito strade analoghe.

In particolare l’autrice analizza l’opera di scritto‑ri che fondano la loro narrazione su tre diverse idee di tempo: il tempo circolare (la fenice), elaborato fin dalla preistoria nelle antiche società classiche‑pagane fondate sulla ciclicità degli eventi naturali; il tempo lineare (il dardo), base del pensiero ebraico‑cristiano, che introduce l’idea di un inizio (la creazione) e di un termine (la fine del mondo), rappresentato dalla freccia del tempo proiettata inesorabilmente verso il futuro; e il tempo entropico (il canguro), introdotto dalla fisica moderna, che lega il tempo allo spazio e lo relativizza, con la conseguente negazione di un tem‑po assoluto valido in tutto l’universo e l’introduzio‑ne nella realtà di una moltitudine di tempi diversi.

Sono visioni ben distinte, legate a particolari con‑testi naturali, storici e culturali, ma che tuttavia si intrecciano a tutti i livelli: nella realtà fisica, nell’e‑sperienza personale dei singoli, nella storia, nelle cul‑ture e anche nell’opera letteraria.

Nel primo ambito, quello del tempo circolare, l’autri‑ce ci propone due sezioni, “Il tempo è ricordo” con Gli

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Emigrati di Sebald e L’ immortalità di Kundera e “Il tempo dell’ora sconosciuta” con Il poeta e il tempo di M. Cvetaeva e Il cuore segreto dell’orologio di E. Canetti.

Nel secondo, il tempo lineare, ce ne propone altre due: “Il tempo della giovinezza”, con L’obelisco nero di E.W. Remarque e Il vino della solitudine di J. Ne‑mirovsky, e “Il tempo e il potere”, con Il gigante sepol‑to di K. Ischiguro e La campana di vetro di S. Plath.

Nel terzo ambito, quello del tempo entropico, pre‑senta la sezione “Il tempo del viaggio”, con Danubio di C. Magris e La montagna dell’anima di G. Xingjian, e “Il tempo come destino cifrato”, con Il giardino dei sentieri che si bifocano di Jorge Luis Borges e I fiori blu di Raymond Queneau.

M. Meazzi utilizza il linguaggio asciutto e sinteti‑co che caratterizza la sua scrittura soprattutto quan‑do si misura con la forma saggio. Man a mano che la lettura procede, si delinea e prende via via corpo, fino ad apparirci in tutta la sua pervasività e ineluttabilità, l’idea che attraversa tutte le opere indagate: noi uma‑ni “Siamo tempo”. Sia esso illusorio o meno, sia fuori oppure dentro di noi (come sostiene Arnaldo Beni‑ni nel bellissimo Neurobiologia del tempo), il tempo permea completamente la nostra esperienza, ne è an‑zi la condizione indispensabile, perché non potrebbe esserci parola o pensiero senza tempo, non ricordo, memoria, immaginazione, arte, non vita, e nemme‑no morte.

Lia Nesler

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INTRODUZIONE

“Il tempo è un’ illusione” (Albert Einstein)

Nel famoso romanzo di Jules Verne, il londinese Phileas Fogg, gentleman vittoriano ricco quan‑

to ossessivamente metodico, scommette ventimila sterline con i suoi amici del Reform Club: riuscirà a fare il giro del mondo in soli 80 giorni.

Dopo una serie di avventure e disavventure, Phi‑leas riesce a tornare in patria, ma giunge a Londra con cinque minuti di ritardo sul termine ultimo del‑la scommessa.

Affranto per la sconfitta e per la futura perdita di tutti i suoi beni, Fogg comunque decide di chiedere la licenza per sposare Auda, la vedova indiana da lui salvata.

Scopre così che la scommessa è ancora valida: nel suo viaggio sempre verso est ha guadagnato un inte‑ro giorno!

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Fogg corre al Club, arriva in tempo e vince la scom‑messa.

Un finale a sorpresa di un fascino irresistibile per un giovane lettore, ma che apre anche alla riflessio‑ne sul ruolo che ha il tempo sulle sorti delle persone.

C’è una cultura india della foresta amazzonica che ha nel suo linguaggio sedici diversi modi di dire ver‑de, ma ce n’è anche un’altra che non ha nessun termi‑ne per tempo, né per mese e anno.

Confrontarci con entrambe non può che far crescer in noi una sensazione di incertezza: forse potremmo imparare a decodificare le tonalità delle foglie, ma difficilmente sapremmo vivere un’esistenza priva di tempo.

Viviamo in una società in cui tutto è scandito da strumenti tecnologici che ci danno l’illusione di aver materializzato concetti astratti come lo spazio e il tempo. Il tempo ci appare come qualcosa di oggetti‑vo e preciso, in realtà è il concetto più sfuggente che la mente umana sia riuscita a concepire. Come spesso accade bisogna cercarne le radici nel nostro lontano passato, prima ancora che il brutale Kronos divoras‑se i suoi figli.

In Mesopotamia (4000 a.C.) si praticava l’arte del‑la divinazione che è strettamente legata al tentativo dell’uomo di immaginare il futuro e fare delle previ‑sioni. Immaginare il futuro ha molto a che fare con il concetto di tempo, almeno quanto il tentare del‑le previsioni ha a che fare con le finalità della scienza.

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La divinazione è legata alla coscienza di una aspet‑tativa di qualcosa che potrà oppure non potrà accade‑re, delimita una divisione tra ciò che adesso vaticino e ciò che dopo avviene/non avviene. Così appena nasce la tripartizione del tempo in passato, presente, futu‑ro si instaura anche la contrapposizione con la memo‑ria: un ricordo si può rievocare a piacere ma non si può mai più realizzare. È l’idea del flusso tempora‑le, unidirezionale e irreversibile. La previsione, infine, cercava delle regolarità, delle ripetizioni (stagioni, ci‑cli vegetali) che aiutassero l’uomo nella gestione della terra e delle coltivazioni.

Ma perché pensiamo al tempo come a una grandez‑za?

Se vogliamo sapere se due lunghezze sono ugua‑li prendiamo un regolo e lo sovrapponiamo alle due lunghezze, se non abbiamo messo la cura dovuta o siamo incerti della misurazione possiamo ripetere l’o‑perazione, tanto le lunghezze restano lì. Se vogliamo invece misurare i tempi di un’azione dobbiamo sud‑dividere il tempo in intervalli, poi confrontare gli in‑tervalli per trovare un campione. Ma il tempo non resta lì, si annulla, svanisce nel passato. Dove posso trovare allora il mio regolo temporale? Nelle sue mol‑teplici raffigurazioni: il serpente che si morde la coda, la fenice che risorge dalle sue ceneri, l’eterno ritorno dell’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni, dei cicli delle piante, ci viene in aiuto la ciclicità, po‑sto che i cicli siano di uguale durata.

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La convenzionalità del concetto di misura permette di fare scansioni sempre più piccole della distanza che si vuole misurare, invece la ciclicità non si può suddi‑videre in scansioni più piccole.

Se si divide un giorno (24 ore) in due parti, dì e notte, queste due entità non sono tra loro equiparabili: è chia‑ro quando le suddividiamo in parti più piccole (ore), esse avranno durata diversa a seconda se dì o notte, se estate o inverno. La divisione del tempo operata dai Caldei fu utilizzata fino all’epoca romana: giorno di‑viso in 24 ore tutte uguali, 12 per il dì e altrettante per la notte con il nuovo giorno che iniziava al tramonto.

Dato che gli eventi ciclici non sono sempre identi‑ci a se stessi, l’uomo ne produrrà di artificiali: nel III secolo a.C. l’orologio ad acqua aveva già raggiunto un’alta precisione.

Resta il fatto che il tempo, misurato oggi da stru‑menti d’altissima precisione, scorre più veloce sulla vetta di una montagna e più lento in riva al mare…

Non tutto dell’universo è misurabile e comunque anche se lo è bisogna tener conto che i nostri stru‑menti e assiomi sono frutto del nostro pensiero e del linguaggio che utilizziamo. Non possiamo uscire dal nostro mondo per osservarlo, dice il fisico Carlo Ro‑velli, così le nostre deduzioni sono visioni prospet‑tiche mai esaustive. Il tempo inquieta, “ma forse l’emozione non è qualcosa che confonde e ci distoglie da un pensiero razionale, pulito, sul tempo. È il con‑trario: è dove dobbiamo andare a cercare per capire di

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più i misteri del tempo”. E ancora: “Il tempo non ap‑pare nelle equazioni fondamentali che descrivono il mondo”, per questo “si sta cercando una teoria fonda‑mentale senza il tempo”.

A detta dei fisici, ma anche di molti filosofi per non parlare del buddismo e dell’induismo, la consue‑ta divisione del tempo in passato, presente e futuro è imprecisa per il semplice fatto che il tempo è, non tra‑scorre. Rovelli sostiene che il tempo non sia una cosa sola, è strutturato e ci sono delle sue componenti che comprendiamo solo nel cervello.

Il dibattito filosofico contemporaneo, invece, ha preso spunto dall’articolo The Unreality of Time, pub‑blicato nel 1908 sulla rivista Mind, in cui John El‑lis Mc Taggart sostiene (rifacendosi a Spinoza, Kant, Schopenauer ed Hegel) che il tempo non esiste ogget‑tivamente, indipendentemente dalla mente.

In sintesi, egli afferma che quando noi parliamo del tempo ci riferiamo a due ordini temporali diversi: la serie “passato, presente, futuro” e la serie delle rela‑zioni “prima… di / dopo… di / simultaneamente a…”

Nel primo caso, attribuendo a ogni evento un sin‑golo momento temporale, tutto è dinamico: il pre‑sente diventa passato, il passato sempre più passato, il futuro si avvicina fino a diventare presente, per cui l’affermazione: “La dichiarazione di guerra alla Ser‑bia da parte dell’Impero Austro‑Ungarico del 28 lu‑glio 1914 è un evento passato” è vera oggi, ma non lo era per esempio il 10 luglio 1914.

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Nel secondo caso invece le relazioni definiscono la posizione dell’evento in modo permanente, per esem‑pio l’affermazione: “La dichiarazione di guerra alla Serbia da parte dell’Impero Austro‑Ungarico del 28 luglio 1914 è successiva all’attentato di Sarajevo con‑tro l’erede al trono Francesco Ferdinando” è sempre vera indipendentemente dal momento in cui viene pronunciata: ciò che è accaduto nel passato resta nel passato e ciò che è simultaneo resta tale.

Secondo l’ordine dinamico, un evento passato non può essere presente o futuro.

Ma sappiamo che se un evento è passato, è stato pre‑sente e futuro, tutti i tre termini sono predicabili per ciascun evento, cosa ovviamente incoerente con il lo‑ro essere incompatibili. Noi diciamo che se un evento è presente, è stato futuro e sarà passato ovvero ricor‑riamo all’ordine dinamico del tempo per provare lo stesso ordine: questo è un circolo vizioso.

Per l’idealista Mc Taggart ciò che è contraddittorio non può essere reale e quindi il tempo non lo è.

All’opposto i sostenitori della teoria statica del tem‑po, pur accettando il paradosso per l’ordine tempo‑rale dinamico (passato, presente e futuro), ritengono che il tempo reale sarebbe organizzato esclusivamen‑te dalle relazioni e la successione dinamica sarebbe totalmente illusoria, come sembrerebbe confermare anche molta fisica novecentesca.

Non ci stupisce quindi la tentazione di smembra‑re il tempo dell’uomo da quello della natura, separan‑

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do quello scandito dai giorni e dalle notti, dai minuti della nostra vita/storia, da quello che fluisce infinito e incontrollato.

Ma questa è un’illusione, come ci fa capire Musil: “Aspettare a ogni momento già il successivo è soltan‑to un’abitudine; chiudi la diga e il tempo straripa co‑me un lago. Le ore scorrono, ma sono più larghe che lunghe. Si fa sera, ma il tempo non è passato”.

Per Calvino, invece, è saggio cercare di avvicinarci il più possibile all’incommensurabilità del tempo, in una dimensione di mutamenti che si dispiegano len‑tissimi: tutto ciò che avviene troppo rapidamente è un’illusione.

Non bisogna infine omettere l’assioma che il tempo è plurimo. Borges sostiene che in ogni istante si apro‑no due tracce temporali diverse che si biforcano, e che esso non si basa su una realtà oggettiva ma sull’espe‑rienza che noi ne facciamo. Non possiamo ignorare che, al di là della realtà oggettiva o illusoria del tem‑po, comunque tutti noi lo percepiamo, siamo capa‑ci di misurarlo nella nostra mente e di viverlo come un flusso.

Questo breve saggio non ha la presunzione di prova‑re né confermare nessuna teoria e neppure di cercare nuove interpretazioni, vuole solo mettere a confronto il pensiero e il sentimento sul tempo di alcuni grandi scrittori nella consapevolezza di quanto la letteratura sia capace di donarci su quel mutevole, incompleto e sfuggente momento d’eternità che è la vita.

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IL TEMPO È IL RICORDO

in Gli emigrati (1992) di Winfried Georg Sebald e in L’ immortalità (1990) di Milan Kundera

“Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d’animo, gran parte della storia

è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così

all’ improvviso, in un caffè d’ inverno”(Banana Yoshimoto)

Tutti noi siamo consapevoli di aver dimenticato molto di più di quanto ricordiamo.

Sappiamo anche che le impronte che conserviamo di vicende, esperienze, immagini, sensazioni ed emo‑zioni non sono sempre quelle che, potendo scegliere, avremmo conservato. Questo perché “richiamare al cuore” può renderci felici, ma può anche costare così tanta fatica e sofferenza da indurci a cancellare tutto, indiscriminatamente.

Se la funzione della memoria è razionale e selettiva, il ricordo invece è soggettivo, individualistico, rifug‑

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9 Prefazione

13 Introduzione

21 Il tempo è il ricordo

31 Il tempo dell’ora sconosciuta

39 Il tempo e il potere

47 Il tempo della giovinezza

57 Il tempo del viaggio

63 Il tempo come destino cifrato

73 Sinossi

89 Bibliografia