SETTEMBRE - OTTOBRE 2015 - Club Milano · 2016. 8. 18. · 12 INSIDE All’interno dell’edizione...

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CLUB MILANO N. 28 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro Nobili professioni sulla via del tramonto: ce la faranno i concierge a non essere soppiantati dalla tecnologia? Non c’è un italiano che non riconosca la sua voce, Bruno Pizzul è la memoria storica del calcio italiano. La città si trasforma e pone l’attenzione sui più piccoli, si moltiplicano le iniziative rivolte agli under 10. Detto anche oro bianco, il sale possiede innumerevoli proprietà apprezzate tanto in cucina quanto in una Spa. SETTEMBRE - OTTOBRE 2015 Carla Fracci: “Milano è la mia città, sono cresciuta qui e qui ho mosso i primi passi a teatro”. pagina 16

Transcript of SETTEMBRE - OTTOBRE 2015 - Club Milano · 2016. 8. 18. · 12 INSIDE All’interno dell’edizione...

  • club milano N. 28

    Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro

    Nobili professioni sulla via del tramonto: ce la faranno i concierge a non essere soppiantati dalla tecnologia?Non c’è un italiano che non riconosca la sua voce, Bruno Pizzul è la memoria storica del calcio italiano.La città si trasforma e pone l’attenzione sui più piccoli, si moltiplicano le iniziative rivolte agli under 10.

    Detto anche oro bianco, il sale possiede innumerevoli proprietà apprezzate tanto in cucina quanto in una Spa.

    SETTEMBRE - OTTOBRE 2015

    Carla Fracci: “Milano è la mia città, sono cresciuta qui e qui ho mosso i primi passi a teatro”. − pagina 16

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    Ve lo siete mai chiesto perché gli stranieri amano così tanto il nostro Paese nonostan-te gli innumerevoli limiti che ne stroncano unanimemente il giudizio? Forse perché rappresentiamo tutto ciò che gli altri non potranno mai essere. Nessun altro popolo al mondo è in grado di tirare fuori il meglio di sé da abnegazione, sacrifi cio e sudore, misto a talento, gusto e creatività. Non avremo un Pallone d’Oro come i portoghesi, i volumi e l’effi cienza dell’industria automobilistica tedesca o di quella tessile cinese, gli ormoni degli americani o il numero di stellati francesi. Noi i Mondiali li vinciamo con Tardelli e Grosso, non certo con Balotelli, la Ferrari è uno status planetario, così come un abito di Armani, bruciamo il sogno di Grande Slam di Serena Williams gra-zie a una doppista formato mignon, mentre in cucina siamo tutti chef. Noi parliamo(tanto), ci scaldiamo, gesticoliamo, distruggiamo o incasiniamo più di quanto faccia-mo. È raro che da una giungla fatta di confusione, assenza di programmazione, nepo-tismi e indolenza possa venir fuori qualcosa di buono. Ma a volte succede, e quando succede si tratta di autentici capolavori. Un esempio lo trovate in copertina. La nostra cover story di questo numero è dedicata a Carla Fracci, milanese doc, fi glia di un tranviere, una delle più grandi ballerine classiche di sempre. Un’icona e un modello non solo italiano. La danza è espressione di talento cristallino, ma da solo non basta. Va costruito, affi nato e consolidato attraverso un lavoro durissimo e tanto sudore. Questa è forse la massima espressione di ciò che possiamo ancora rappresentare nel mondo. Italians do it better, dicono di noi. Forse è davvero così, ma i primi a crederci dobbiamo essere noi. Gli esempi da seguire, in ogni campo, non ci mancano.

    Talento e sudore

    Stefano Ampollini

    EDITORIAL

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    CONTENTS

    poInt oF VIeW 10Dall’Expo a Flavia, estate made in Italy

    di Roberto Perrone

    InSIDe 12Brevi dalla città

    a cura della Redazione di Club Milano

    oUtSIDe 14Brevi dal mondo

    a cura della Redazione di Club Milano

    portFoLIo 20La culla dell’umanità

    foto di Andrea Maini

    CoVer StorY 16Carla Fracci

    di Nadia Afragola

    InterVIeW 36Bruno Pizzul

    di Simone Sacco

    InterVIeW 32Ivo Bisignano

    di Simone Zeni

    FoCUS Addio monsieur Gustave?

    di Chiara Temperato

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    FoCUS 26Non chiamatelo museo

    di Carolina Saporiti

    FoCUS 38Think small: la cultura in piccolo

    di Marco Agustoni

    FooD 42I colori del sale

    di Elisa Zanetti

    C

    M

    Y

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    CMY

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    2015-06-22---CLUB MILANO - 210 x 279 - SOLE.pdf 1 22/06/2015 11:50:48

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    CONTENTS

    In copertina

    Carla Fracci.

    Foto tratta dal libro

    Passo dopo passo. La

    mia storia (Edizioni

    Mondadori).

    FooD 60Yoji Tokuyoshi

    di Enrico S. Benincasa

    Free tIMe 62Da non perdere

    a cura di Enrico S. Benincasa

    SeCret MILAno 64Il museo segreto del Novecento

    di Elisa Zanetti

    WeeKenD 46 Le vie del sale

    di Andrea Zappa

    WeLLneSS 44Haloterapia

    di Simona Lovati

    StYLe 48Azienda con la A maiuscola

    di Carolina Saporiti

    StYLe 50Iconic style

    di Luigi Bruzzone

    oVerSeAS 58Le mille luci di Baku

    di Francesca Masotti

    DeSIGn 54 Limited is more

    di Davide Rota

    WHeeLS 52 Comfort a 3 ruote

    di Ilaria Salzano

    WeeKenD 56Sicilia sensazionale

    di Carolina Saporiti

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    POINT OF VIEW

    roberto perroneGiornalista e scrittore dalle radici “zeneisi” si è occupato di sport, enogastronomia e viaggi al Corriere della Sera. Ora è freelance. Il suo sito è perrisbite.it. Ha da poco pubblicato Manuale del Viaggiatore Goloso (Mondadori): guida da leggere e consultare per mangiare e bere bene.

    Sì, è vero non è facile essere ottimisti in questo periodo e, generalmente, in Italia. Malgrado le assicurazioni, i dati, le promesse del Governo questa benedetta ripre-sa si fa fatica a vederla. Ma anche se si riuscisse a scorgerla, da qualche parte, anche se un segnale intermittente arrivasse fino a noi, resta il fatto che l’ottimismo non è più da decenni una caratteristica diffusa in questo Paese (e forse non lo è mai stato). Eppur ci muoviamo. Partiamo sempre in salita, arrancando, siamo i primi ad auto-relegarci nel ruolo di underdog, vocabolo usato dai bookmakers anglosas-soni e che non significa semplicemente sfavorito, ma proprio perdente, uno che è destinato alla sconfitta. Eppure poi arriviamo in cima, sudando e sbuffando come Fabio Aru alla Vuelta, maglia rossa. Alè. Questa breve estate calda ci ha offerto più di un esempio del talento italiano misconosciuto, poi apprezzato, infine seguito, con giubilo. Ma non solo. Ci ha offerto, per un lungo istante che non sarà invano, un senso di orgoglio e di appartenenza, che è transitato, con lo stesso percorso - prima disillusione quando non scostante distacco - dall’Expo alle imprese sportive di fine estate, alla bella Flavia Pennetta con la Coppa degli Us Open. All’Expo siamo andati circospetti, piccole vedette lombarde, per poi scoprire che ci piace-va, che funzionava, che non era il disastro che ci avevano raccontato in tanti. E abbiamo comprato il biglietto per viverla, invadendola in massa, andando su e giù, a sciami, saltando da un padiglione all’altro. Il passaparola ha funzionato più dei media. Amici che ne hanno parlato agli amici: è bella, dai, andate. Siamo bravi, alla fine. Partiamo male, magari pareggiamo o perdiamo le prime partite, facciamo lenti le prime vasche, cediamo il primo set, subiamo un parziale tremendo, poi rieccoci. E così in questa estate 2015 è accaduto una specie di miracolo, abbiamo ricominciato a stringerci un po’, abbiamo provato a scavalcare i muretti che che ci separano. Non c’è l’ha fatta la politica, non ce la fa più la religione. E non ci riesce neanche il calcio. Per cui è stato due volte affascinante che siano stati altri sport a risvegliare un po’ di sopito orgoglio nazionale. Abbiamo scoperto che sappiamo nuotare, tirare di scherma, correre sulla bici e sulla moto, andare a canestro, gioca-re a tennis. Abbiamo visto di che cosa siamo capaci e ci siamo ritrovati a guardare due ragazze pugliesi padrone di New York. E se abbiamo compreso almeno un po’ quanto valiamo, allora venga pure l’autunno.

    Dall’Expo a Flaviaestate made in Italy

    Roberto Perrone

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    INSIDE

    All’interno dell’edizione autunnale di PhotoFestival, si inau-gura il 30 settembre nello studio Gianni Rizzotti la mostra Shapes in action, un lavoro realizzato nel 2013 con giovani modelle. L’ispirazione è partita da tre forme in resina nera dagli artisti Verter Turroni ed Emanuela Ravelli. Le loro linee organiche e la texture porosa ne hanno fatto un elemento ideale con cui “sfi dare” l’espressività dei corpi. Ciascuna mo-della è stata libera di interpretare le diverse forme.www.giannirizzotti.it

    Il raddoppio di MarchesiLa Pasticceria Marchesi ha aperto un nuovo spazio in via Montenapoleone 9, il primo locale oltre lo storico caffè milanese. Marchesi Monte Napoleone, che si estende su 120 mq, rimane fedele a quello stile e alla sua impeccabile qualità, offrendo una selezione ancora più ampia dei suoi prodotti. Fondata nel 1824 in via Santa Maria alla Porta, in zona Magenta, Marchesi è una delle pasticcerie storiche di Milano. www.pasticceriamarchesi.it

    Interpretazione di forme

    La moda a sostegno del PianetaKean Etro e Carlo Petrini sono amici da molti anni. Quest’anno Etro sostiene e promuove Ter-ra Madre Giovani - We Feed the Planet (dal 3 al 6 ottobre a Milano), la nuova sfida di Slow Food. Per quattro giorni si ritroveranno insieme migliaia di contadini, allevatori, pescatori, pastori tutti sot-to i quarant’anni, provenienti da tutto il mondo: si confronteranno per cercare le soluzioni per nutrire il pianeta in modo giusto. www.terramadregiovani.it

    Trash is not chicSi chiama Our Trash l’installazione di Francesca Leone, figlia di Sergio, che rimarrà in esposizione per dieci giorni (dal 7 al 18 ottobre) presso la Triennale. Un lavoro di denuncia rispetto ai danni causati dall’uomo a discapito dell’ambiente realiz-zato con alcune grate d’alluminio e tanti oggetti recuperati per strada. Il progetto ha il sostegno e il patrocinio di Robert F. Kennedy Human Rights Europe e la Fondazione NY. www.francescaleone.it

    UbergivingIl 9 settembre Uber ha organizzato UberGIVING, iniziativa di raccolta per conto della Croce Rossa Italiana di materiali e og-getti per le migliaia di profughi arrivati nelle ultime settimane in Europa. Gli utenti e i driver che utilizzano la app hanno potuto donare ai profughi i beni richiesti dalla CRI richiedendo un’auto che venisse a prenderli all’indirizzo specificato. www.uber.com/it

    SPOTTI MILANO + VALCUCINE MILANO PIAVEViale Piave, 2720129 - MilanoT +39 02 781953F +39 02 794272

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    OUTSIDE

    Energia rinnovabile sulla pelleComfort Zone, brand italiano usato nelle Spa di tutto il mondo, ha lanciato la Science-Based Conscious Formulas. I trattamenti sono realizzati con in-gredienti naturali, molecole high-tech e senza l’utilizzo di parabeni, coloranti artificiali, derivati animali e siliconi. Per i più attenti all’ambiente poi è nata la linea Sublime Skin, prodotta utilizzando energia proveniente da fonti rinno-vabili, con packaging riciclabile e astucci realizzati in carta certificata FSC. www.comfortzone.it

    Il 27 settembre le strade di oltre 250 città in 57 Paesi del mondo sono state invase da migliaia di rider appassionati di moto classiche e dello stile dandy alla Don Draper, a sup-porto della ricerca contro il cancro. Protagoniste di The Di-stinguished Gentleman’s Ride tutte le scrambler, caffè racer, special e bobber di qualsiasi marca, con l’obiettivo di racco-gliere più fondi possibili per la ricerca scientifica. Triumph Motorcycles è stata Proud Sponsor dell’evento, nato a Perth, in Australia, nel 2012.www.gentlemansride.com

    In sella contro il cancro

    Let’s celebrate C.P. CompanyC.P. Company festeggia quest’anno i 40 anni e lo fa con un’e-dizione limitata della Goggle Jacket, capo icona del marchio che fa capo a FGF Industry. L’edizione limitata della Goggle Jacket è stata presentata a giugno a Pitti in tre varianti, realiz-zate in 40 pezzi numerati ciascuno. Il brand ha anche creato l’hashtag #cp40th con cui invita tutti i follower a farsi una foto indossando la loro Goggle Jacket preferita e a postarla. Le foto saranno raccolte in un libro celebrativo. cpcompany.com

    Arrampicate da OscarIl 6 settembre si è concluso il Rock Master Festival ad Arco, in Trentino. Gli Arco Rock Legends, giunti alla X edizione, hanno visto la partecipazione di sei climber per l’assegnazione del Salewa Rock Award, andato ad Alexander Megos e La Sportiva Competition Award vinto da Adam Ondra. A John Ellison è invece stato assegna-to il Dryarn Climbing Ambassador by Aquafil. www.rockmasterfestival.com

    God bless the Queen!Il 9 settembre a Londra Heathrow piloti, hostess, steward e personale di terra di British Airways, del presente e passato, hanno voluto celebrare il conferimento alla Regina Elisabetta del titolo di Sovrana con la reggenza più lunga della storia della monarchia britannica. I festeg-giamenti hanno coinvolto 30 membri dell’equi-paggio che hanno indossato le uniformi originali del loro volo con la Regina. www.britishairways.com

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    T I A S P E T T I A M O N E L P R I M O D S S T O R E D ' I T A L I A

    A V A N G U A R D I A È A N D A R E O L T R E ,E S P L O R A R E N U O V I O R I Z Z O N T I E D E S S E R E I N N O V A T I V I .

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    COVER STORY COVER STORY

    È il ritmo che ha scandito la sua vita, oltre che il titolo della sua biografia. L’étoile italiana è sempre stata un esempio da seguire anche fuori dai teatri, prima come Ambasciatrice della FAO e oggi anche per Expo, e rappresenta da sempre il sogno di tutte quelle bambine che desiderano diventare grandi ballerine come lei.

    di Nadia Afragola

    CARLA FRACCI

    PASSO DOPO PASSO

    L’abbiamo incontrata a Collisioni, nelle Langhe, per ascoltarla e non più veder-la volteggiare nell’aria, in punta di pie-di. Nel pubblico tanta gente comune, tra cui sicuramente anche madri-balle-rine e giovani-danzatrici in cerca di una guida. L’unica esistente. Carla Fracci è la forza della dedizione che si fa mito e diventa essa stessa la più alta forma di danza da tutti riconosciuta. È lei stessa una favola a lieto fine, figlia di un umi-le tranviere e oggi regina sul tetto del mondo. Quando ha deciso di mettere nero su bianco la sua vita, da sempre vissuta in punta di piedi?Mi è stato semplicemente chiesto (dal-la Mondadori, NdR) e anche se ci sono già dei libri che parlano di me e del mio rapporto con la danza, una biogra-fia così ancora mancava. Ci sono delle parti della mia vita artistica e familiare: per far stare dentro tutto sarebbe servi-ta un’enciclopedia intera. Ha reso internazionale la danza ita-liana, ed è diventata la più grande étoile di sempre. Come riesce a convi-vere con una simile responsabilità? Non parlerei di grande o meno grande,

    ho fatto delle cose che sono servite alla danza. E non vorrei peccare di falsa modestia, però alle volte mi sorprendo ancora di essere famosa. Poi mi accorgo che invece è una realtà e sono le perso-ne che incontro a ricordarmelo. So di aver fatto tanto per la danza, la gente se lo ricorda, ed è riconoscente. La cosa più bella che ha fatto?Ho portato la danza classica nei picco-li paesi dove c’era il sospetto che non sarei mai arrivata, nonostante la parola data.Parla spesso dei suoi ricordi di quan-do era ragazzina, delle campagne lombarde dove viveva: papà tranviere e mamma operaia. Le favole a lieto fine allora esistono?Se volete chiamarla favola fate pure, in effetti ha quel retrogusto. Il mio primo ruolo, come a voler giocare con il de-stino, fu proprio quello di Cenerento-la. Parliamo pur sempre di una ragaz-za semplice, cresciuta in campagna. Anch’io delle volte mi chiedo perché tutto questo sia successo proprio a me. L’importante è non perdere mai per strada il proprio background e quella semplicità che ti permette di rimanere

    con i piedi ben piantati per terra. In altre parole, bisogna ricordare sem-pre da dove si arriva?Precisamente. Credo sia più giusto vi-vere il proprio lavoro e la propria vita come ci si sente, senza “indossare” degli atteggiamenti prestabiliti. Non è mai facile affrontare quello che il futuro ti riserva ma, come nel mio caso, è meglio stare alla larga dagli altarini dove certa gente ti vuole mettere. È bello anche vivere alla giornata e questo non vuol necessariamente dire “estraniarsi”. Ho dei figli, dei nipoti: sono una donna normale che ha fatto bene il suo lavoro.Ai tempi in cui Eugenio Montale rico-priva il ruolo di critico musicale per il Corriere della Sera e frequentava la Scala di Milano, le dedicò una lirica bellissima, “La danzatrice stanca”. Era il 1969. Di quella ballerina a di-stanza di 50 anni cosa resta?Resta la consapevolezza che non si può vivere nel passato, che bisogna guarda-re al futuro e approcciarsi alla vita e al proprio lavoro sempre con un sen-timento di entusiasmo. Eugenio mi ha dedicato una grande cosa e quella lirica la porto dentro, come si fa con i ricordi

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    COVER STORY COVER STORY

    più belli. Non esistono parole per de-scrivere certe cose. Era un grande poeta ma anche una persona semplice, che aveva bisogno di aiuto, che faceva fati-ca a camminare ma non per questo si è mai messo su un albero a cantare. Anzi, era pieno di entusiasmo e lo ricordo mentre eravamo a tavola e continuava a chiedermi il rossetto e la matita per gli occhi per fare i suoi disegnini sui tova-glioli. Su Ossi di Seppia che custodisco gelosamente a casa c’è un suo bellissi-mo disegno, le Apuane. Con il tempo siamo diventati amici, come anche con Marina Marini, abbiamo fatto tanti anni di vacanze insieme: sono incontri che ti arricchiscono e rimangono lì a farti compagnia anche quando l’altro non c’è più.È stata la pioniera del decentramento della danza. Un arte che non ha mai considerato elitaria e che doveva es-sere portata ovunque, soprattutto nei piccoli centri. Oggi cos’è la danza per Carla Fracci?Per lungo tempo mi hanno criticato, mi hanno dato della pazza per questa mia presa di posizione: perché la prima bal-lerina della Scala, una abituata a girare il mondo, sarebbe mai dovuta andare nei piccoli centri, come Budrio o Sas-suolo con la sua danza? Poi però sono arrivati tutti a ruota, sono nati Rudy & Friends e tutti sono diventati “friends”. Erano gli anni dove le piccole compa-gnie teatrali erano in grado di fare delle produzioni straordinarie.

    nel nostro lavoro ci saranno sempre dei detrattori e come in tutti i mestieri l’in-vidia fa spesso da cornice. Se si è for-ti e determinate e soprattutto donne, funziona così: lo sa quanta gente vive d’invidia? Manca un mese alla fine di Expo. Lei oltre a essere ambasciatrice della FAO dal 2004 è anche uno degli Ambassa-dor di Expo. All’atto pratico cosa pos-siamo fare per nutrire il pianeta?Dovrebbero fare, fare veramente. Si do-vrebbe andare nei paesi dove c’è biso-gno e portare degli aiuti. Quello datomi da Expo è un riconoscimento impor-tante ma avrei voluto vedere realizzati dei progetti che abbiamo presentato. Si era detto di fare degli spettacoli per i giovani, di coinvolgere delle compagnie e invece alla fine hanno portato la bel-lissima compagnia del Cirque du Soleil che però non è una novità e non si inse-risce nel quadro logico dell’Esposizione Universale. Qual è l’eredita che Expo lascerà al nostro Paese?Milano è un po’ vuota: con l’apertura prolungata di Expo sono tutti a Rho.

    Era la sua Giselle a far tanto discutere e altrettanta gola, non è vero?Volevano Giselle nonostante i budget risicati. Mi chiedevano di rinunciare alla compagnia teatrale, di scegliere 3-4 coppie di danzatori e andare in scena. Era la mentalità di allora e non dimen-ticherò mai quel signore di un teatro emiliano che non riusciva a capire il senso di quello che io facevo. Loro volevano il personaggio, io volevo pro-muovere la danza, i giovani, continuan-do a fare ciò che mi piaceva fare. Oggi c’è più approssimazione?Adesso si fanno più o meno sempre le stesse cose di repertorio, passi a due e qualche variazione. C’erano Il Lago dei cigni e il Don Chisciotte e ci sono ancora oggi. Erano spettacoli di grande forza e livello culturale: erano altri tempi. Alla Carla Fracci bella, giovane e in carriera, avevano sconsigliato di di-ventare mamma. In Italia oggi non è un diritto essere mamma per una don-na. Perché così pochi passi avanti?Credo il contrario: non si fa che parlare dei divi che in età avanzata decidono di avere dei bambini, si fanno fotografare con loro e addio all’intimità. Non biso-gna strombazzare la maternità, le pance nude: sembra una cosa voluta, all’inter-no di un contesto pubblicitario mentre avere un bambino è qualcosa di intimo. All’epoca era anche un po’ una moda non avere bambini, se eri una ballerina. Anche se poi l’esempio massimo ci ar-riva dall’Ottocento e da Maria Taglioni

    Hanno cambiato in corsa e del lamen-to generale c’è, a partire dai taxisti per finire ai commercianti: in un certo sen-so è doloroso perché dei capitali sono stati investiti. È un po’ imbarazzante, lo ammetto. Del futuro invece non c’è certezza… A 22 anni era prima ballerina solista. Oggi il mondo è cambiato tanto e la danza si vede quasi più solo nei rea-lity. Come spiega il tanto affetto che le hanno riservato a Barolo?Mi ha commosso vedere soprattutto l’affetto dei giovani: è bello essere un punto di riferimento, con il mio per-corso di vita e il duro lavoro che c’è stato dietro. Essere dei ballerini non è così facile come fanno vedere in tv: è illusorio pensare di costruire un pro-fessionista in una stagione televisiva. Tre atti in un teatro non sono neppure paragonabili alle esibizioni soliste che vedete in tv, preparate in pochi giorni. Amici di Maria De Filippi non è male, è un modo per far parlare della danza ma dovrebbe essere aggiunta una po-stilla al tutto, per onestà e chiarezza: “Attenti ragazzi, che la professione arriva

    che si copriva con lunghi scialli, diceva di avere male alle ginocchia e invece era incinta. Le ballerine dovevano esse-re guardate e non toccate. Lei non rinunciò al suo diritto di es-sere mamma e così nacque Francesco. Come andò?Non c’erano pericoli reali nel diventa-re madre. Una ballerina, è vero, poteva sformarsi, prendere peso ma questo di-pende molto da come uno si gestisce. Io ho ballato fino al sesto mese di gra-vidanza, ero piccolissima, avevo pre-so 24 kg. Noi ballerine abbiamo degli addominali forti, difficile che vediate delle pance esplodere: Francesco nac-que dopo 8 mesi, pesava 2.4 kg e mi è dispiaciuto non avere quel mese in più solo per noi due. Mi sarei voluta godere fino alla fine quella parte di materni-tà. Non saltavo più, niente piroette ma non smisi mai di fare i miei esercizi alla sbarra. Che rapporto ha con Milano?È la mia città, sono cresciuta qui ed è qui che ho fatto carriera muovendo i primi passi a teatro. Poi è arrivata il Teatro Alla Scala e sono sorti i pri-mi problemi. Ero molto richiesta ma spesso non mi davano il permesso per andare all’estero. Subì anche dei torti come quando non mi fecero andare a Hollywood per girare un film. Me lo dissero dopo tanto tempo, dopo che la produzione si era stufata di chiamare il teatro. Mi sentii spesso dire che ave-vo avuto fortuna perché ero carina ma

    dopo anni di duro lavoro”. Al talento sei mesi non bastano, però possono servire a farlo venir fuori, come nel caso di An-beta che comunque aveva già dedicato la sua vita alla danza. È stata bruciata in modo sbagliato, lei che aveva un fisico nato per ballare ma sono felice che il boom televisivo non l’abbia cambiata, che sia rimasta in Italia e che le sia stata data la possibilità di lavorare. Oggi tan-te compagnie sono costrette a espatria-re per lavorare. È brutto pensare che un genitore debba dire al proprio figlio di andare a lavorare all’estero e questo mica vale solo per la danza. La crisi c’è ma spero che i giovani imparino a difendersi. C’era già ai miei tempi un disegno ben chiaro: si volevano sman-tellare i teatri e così è stato. Guardate cosa è rimasto. Il suo incontro con la danza fu casua-le. Funziona come in amore? Credo di sì e la mia storia d’amore con la danza è una di quelle che durano per sempre, come l’uomo che mi è affianco e che è stato in grado di sposare due donne: la ragazza Carla e la ballerina Fracci.

    “Mi sentii spesso dire che avevo avuto fortuna perché ero carina ma nel nostro lavoro ci saranno sempre dei detrattori e come in tutti i mestieri l’invidia fa spesso da cornice”

    In queste pagine

    due foto tratte dalla

    biografia Passo dopo

    passo. La mia storia

    edito da Mondadori.

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    PORTFOLIO

    Al confine con Etiopia, Eritrea e Gibuti, la Dancalia è una terra di contrasti geologici e culturali. Culla ancestrale dell’umanità, che ha dato i natali ai primi ominidi, tra cui il celebre australopitecus Lucy, il suo territorio regala scenari primordiali e sorprendenti, dove le forze della natura innescano spettacoli antichi quanto il mondo. Dai laghi di lava del vulcano Erta Ale alle cattedrali di roccia nei canyon, dalle acque dai colori psichedelici dei crateri del Dallol, il “luogo degli spiriti” alle saline di Afrera, fino alla Piana del sale, dove da secoli le carovane con il loro pesante carico di salgemma risalgono l’altopiano verso i mercati etiopi.

    testo di Antonella Armigero - foto di Andrea Maini

    LA CULLA DELL’UMANITÀ

    PORTFOLIO

    In questa pagina.

    Donne di etnia afar

    nelle tradizionali vesti

    drappeggiate.

    Nella pagina a fianco.

    Il Dallol, in lingua

    afar il “disciolto”, un

    cratere vulcanico dove

    ribollono sorgenti

    di acque acide a una

    temperatura di

    80 gradi.

  • 22 23

    PORTFOLIO PORTFOLIO

    In questa pagina.

    Le curiose formazioni

    saline del Dallol che

    creano un mosaico

    di acque dai colori

    psichedelici.

    Nella pagina a fianco.

    Foto sopra.

    Le popolazioni

    dancale sono dedite

    prevalentemente

    alla pastorizia, unico

    sostentamento in una

    terra arida e quasi priva

    di vegetazione.

    Foto sotto.

    Scene di vita quotidiana

    nei villaggi che sorgono

    nei letti dei fiumi in

    secca.

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    PORTFOLIO PORTFOLIO

    andrea mainiNato a Milano, ha sviluppato la passione per la fotografia durante i suoi viaggi. Predilige Africa Nera e Sud Est Asiatico, dove cerca di catturare i gesti e gli sguardi delle persone nella loro quotidianità. Nel 2014 ha partecipato a una spedizione fotografica a Chernobyl. Ha esposto alla Perfect Exposure Gallery di Los Angeles e al 7th annual expo of photography di Dallas.www.andreamaini.com

    In questa pagina.

    Il lago giallo nel cratere

    del Dallol, le cui

    acque devono la loro

    colorazione all’alta

    concentrazione di

    zolfo.

    Nella pagina a fianco.

    Bambini afar abituati

    a posare e a sorridere

    ai viaggiatori che

    attraversano i loro

    territori.

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    di Carolina Saporiti - foto di Davide Lovatti

    NON CHIAMATELO MUSEOHa inaugurato a maggio Armani/Silos, un tempio della moda che celebra i 40 anni

    di lavoro di re Giorgio. In uno spazio minimal, 600 abiti ripercorrono il gusto e l’estetica del maestro della moda italiana, riconosciuto per la sua eleganza in tutto il mondo.

    FOCUS FOCUS

    01. Per celebrare i 40

    anni di attività Giorgio

    Armani ha regalato

    alla città di Milano

    un nuovo spazio

    espositivo. Armani/

    Silos sorge in via

    Bergognone a fianco

    degli headquarter della

    casa di moda.

    02. In origine gli spazi

    dove oggi sorge Silos

    erano il granaio di una

    grossa multinazionale.

    Armani, che ha

    curato il progetto

    dall’inizio alla fine, ha

    scelto di mantenere

    l’architettura minimal

    degli spazi.

    bassador per il settore fashion, un nuovo spazio espositivo per raccontare i 40 anni di storia della casa di moda celebre in tutto il mondo per la sua eleganza. Ma non chiamatelo museo, a lui non piace. Quel-la parola, secondo Armani, richiama qualcosa di vecchio e sempre uguale a se stesso, mentre Silos è pensato come un tempio per esporre il lavoro di una vita e come regalo per la città di Milano.Armani/Silos sorge a fianco alla casa di moda mi-lanese (in via Bergognone 40, nella sempre più riqualificata e viva zona Tortona). Il nome, scel-to dallo stilista, è dovuto all’originaria funzione dell’edificio risalente al 1950 e ristrutturato, che un tempo apparteneva alla multinazionale Nestlé e serviva a conservare le granaglie: “E così come il cibo, anche il vestire serve per vivere”, ha spiegato lo stilista. Non solo ha scelto il nome, Giorgio Ar-mani ha disegnato completamente il suo museo, mantenendo l’architettura sobria e rigorosa ori-ginaria dell’edificio. Il risultato sono 4.500 metri quadrati suddivisi su quattro piani che raccolgo-no i 40 anni di (capo)lavori dello stilista con 600 abiti e 200 accessori custoditi in questi muri. La

    Da anni in molti lamentano la mancanza di un museo della moda italiano: com’è possibile che in uno dei paesi con i migliori stilisti al mondo, che hanno fatto la storia della moda, non ci sia uno spazio espositivo a essa dedicata? E perché lo scorso anno a Londra il Victoria & Albert Musuem ha ospitato la mostra celebrativa The Glamour of Italian Fashion 1945 – 2014 e da noi invece esibi-zioni così non se ne vedono mai?

    selezione è suddivisa seguendo alcuni temi che hanno ispirato il lavoro creativo dello stilista dal 1980 in poi. Oltre alla ristrutturazione e all’architettura, Ar-mani si è poi occupato dell’allestimento, sceglien-do i capi da esporre e il luogo: un’occasione per ripensare alla propria attività, più che un semplice lavoro curatoriale: “Mi ha aiutato a riflettere su 40 anni di lavoro, con passione ma anche con equilibrio. Perché la moda, che sembra vivere in un eterno pre-sente, ha necessità di riflettere su se stessa e sulle pro-prie radici proprio per proiettarsi nel futuro, accom-pagnando e spesso anticipando i grandi mutamenti sociali. Ricordarci come siamo stati ci aiuta a capire come potremo essere”, ha detto Armani in occasio-ne dell’inaugurazione. Il percorso espositivo è in effetti una riflessione sul rapporto tra lo stilista e Milano, oltre a una manifestazione d’orgoglio del lavoro ben fatto, della creatività e dell’impegno. Lo stretto rapporto con la propria città si manife-sta anche nell’archivio digitale messo a disposizio-ne di studenti e ricercatori che possono usarlo per i loro studi o come fonte d’ispirazione, potendo contare sulle migliaia di capi e bozzetti, video e

    Qualcuno si muove da sé: a Milano ha aperto, nel 2012, presso Palazzo Morando, il purtroppo poco famoso Costume Moda Immagine; a Firenze la Fondazione Salvatore Ferragamo, il Gucci Museo e la Galleria del Costume offrono qualche rifles-sione sulla moda e, a cercare di colmare questo vuoto, quest’anno si è aggiunto il re della moda italiana. Giorgio Armani ha infatti inaugurato, in concomitanza dell’apertura di Expo, di cui è Am-

    02

    01

  • 28

    FOCUS

    03. Dentro Armani/

    Silos sono custoditi 600

    abiti e 200 accessori

    delle collezioni Armani,

    suddivisi in percorsi

    tematici nei quattro

    piani. All’ultimo piano,

    dedicato alla Luce, si

    trovano gli abiti più

    preziosi.

    backstage di sfi late e foto di campagne pubblici-tarie lì custoditi.Delle migliaia di capi realizzati, Armani ne ha se-lezionati “solo” 600, ma si vocifera che se li ricor-dasse tutti, uno per uno, come un padre con i fi gli o come un (buon) maestro con i suoi alunni. Così ecco che il percorso è stato suddiviso seguendo quattro fi li conduttori diversi. Il piano terra ac-coglie il tema daywear; il primo gli esotismi; il secondo i cromatismi; l’ultimo, la luce. Gli abiti della sezione daywear non sono esposti seguen-do un ordine cronologico, ma piuttosto secondo denominatori comuni in fatto di ispirazione, i ma-nichini sono diversi l’uno dagli altri perché pen-sati appositamente per l’abito che “indossano”. Non mancano alcuni capi portati da star come il completo che vestiva Richard Gere in American Gigolo (la prima pellicola con tutto il guardaro-ba fi rmato Armani) e il tailleur rosa indossato da Cate Blanchett al Festival di Cinema di Sidney del 2011. Al primo piano sono in mostra gli abiti più esotici di Giorgio Armani, quelli disegnati dopo aver subito il fascino dei canoni estetici di paesi lontani dell’Asia e dell’Africa: qui sono esposti

    infatti caftani, pigiami, tuniche e sarong. Salendo più in alto si incontra una selezione di capi il cui fi lo conduttore è il colore: il nero degli smoking o degli abiti da cerimonia e quello accostato ad altre cromie o disegni. Anche in Cromatismi sono esposti alcuni abiti indossati da star del cinema, come l’abito di Jodie Foster agli Oscar del 1995 o quello che Sharon Stone ha usato un anno dopo sullo stesso red carpet. Il terzo piano, più concet-tuale nella scelta del tema (la luce) raccoglie in-vece i capi che defi nire “d’abbigliamento” sarebbe riduttivo, essendo il frutto di un lavoro artigianale complesso e prezioso. I colori dominanti qui sono il bianco, il perla e l’argento.La struttura di Silos ricorda quella di un alveare con i muri lisci e una corona di fi nestre in cima. Un’architettura semplice e rigorosa che richia-ma in molti aspetti l’estetica Armani: le pareti e i pavimenti sono fatti di cemento grigio – colore amato dallo stilista – mentre i soffi tti sono dipinti di nero. A completare la scenografi a ci pensano le tubature di illuminazione, riscaldamento e raf-freddamento a vista e la vetrata che affaccia su via Bergognone.

    03

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    FOCUS FOCUS

    02. Il Giappone cede al

    fascino del concierge-

    robot. Un membro

    dello staff dell’Hotel

    Henn-na interagisce

    con la reception

    automatizzata tramite

    un tablet dall’interno

    di una delle stanze

    dell’albergo.

    Foto courtesy Hotel

    Henn-na.

    01. La lussuosa

    conciergerie di

    Monsieur Gustave

    H, dal film The Grand

    Budapest Hotel di Wes

    Anderson. Tempio della

    nobiltà in un’epoca

    in cui la figura del

    concierge era una vera

    autorità.

    Foto courtesy 20h

    Century Fox.

    anno entra ed esce dal suo albergo? Con il suo se-sto senso ne interpreta i tic, le manie e il folklore, e quando il cliente cambia non può che offrirgli il benvenuto che si aspetta. Se prima il viaggiatore medio varcava la soglia dell’albergo, avido di in-formazioni e ansioso di affidarsi al suo consigliere, ora sa già tutto o almeno pensa di saperlo. Diffi-cilmente si intrattiene in reception a familiarizza-re con il concierge: acciuffa le chiavi, abbandona i bagagli in camera e parte in avanscoperta con tanto di tablet, app e mappe interattive a fargli da Cicerone. E al concierge, per sopravvivere, non resta che barattare la sua cordialità con un infuso di virtualità. Succede quindi che diversi hotel di lusso sperimentino la nuova figura dell’host, un incrocio tra concierge e receptionist, che interagi-sce con il cliente grazie al suo prezioso tablet. Al Renaissance New York Hotel 57 il concetto di con-cierge va ancora oltre perché sbarca il Navigator, una sorta di iPad collegato con tutti i ristoranti e le principali attrattive della zona, in grado di fornire al cliente ogni informazione tramite un’apposita app. E al Kimberly Hotel di New York c’è un ta-blet per ogni ospite pronto a rispondere a ogni domanda.Oltre a digitalizzarsi il servizio di conciergerie si personalizza sempre di più prestandosi a tutti gli usi: c’è il fireplace concierge (addetto al camino sul modello di Mr. Carson in Downtown Abbey), il bath concierge, l’e-butler (che risponde tramite un’app) e perfino l’art concierge per i più intel-lettuali. Una professione che sembra sdoganarsi,

    Vestito di tutto punto, in elegante tight, guanti e papillon, abilmente sfoggiati con un redingote, il concierge è l’anima del suo hotel. Da dietro il ban-cone osserva le vite degli altri passare, incrociarsi tra le porte girevoli della hall e poi congedarsi. Cuore, orecchie e occhi di ogni albergo di cate-goria eccellente, è un esempio di stile e signorilità, un tuttofare che sfreccia impettito tra i lussuosi corridoi, con il passo deciso di un vero padrone di casa e uno sguardo puntiglioso che saprebbe individuare uno spillo fuori dal gregge. Lui i suoi clienti li coccola e li vizia, portandogli l’universo in una stanza in tempi che farebbero impallidire anche Amazon. Prenota yacht, aeroplani, battel-li, spettacoli di ogni sorta, scomodando con uno schiocco di dita la sua preziosa rete di contatti;

    alla mercé di una moda precaria, e chissà che il piccolo schermo non decida di farne materia da reality! E se di maggiordomi la tv e il cinema si sono saziati, la figura del concierge, invece, non è mai stata ampiamente esplorata. Gli anni Cin-quanta sono legati all’immaginario del famoso Hotel Ritz del film Arianna, negli anni Novanta c’era invece Michael J.Fox che appagava vizi e ca-pricci dei sui clienti nei panni del bravo concierge in Amore con interessi. Ma solo oggi, dopo tanti anni, è arrivato Wes Anderson a riportare in auge l’aplomb del concierge, attraverso i toni surreali e fiabeschi di Gran Budapest Hotel, con Gustave simbolo di una conciergerie raffinata e autorevole, andata perduta e rimembrata malinconicamente in un albergo ora cadente, barlume del lusso che un tempo lo abitava.Ma come Gustave, tutti i concierge in carne e ossa hanno le ore contate: tra conciergerie off line e on line, nuove derive culturali e ondate modaio-le, spuntano pure i robot. In Giappone, i clienti dell’Hotel Henn-na vengono accolti dalla voce me-tallica e dallo sguardo androide di simpatici omini di latta: sorridono, parlano mille lingue e soddisfa-no i clienti più esigenti. Dalla graziosa fanciulla in kimono all’ingresso a quello più aitante che porta le valigie in camera, i versatili e premurosi cyborg di latta, ferro e neuroni artificiali si apprestano ad essere il futuro della conciergerie. E, nel frattem-po, i romantici portieri d’albergo, depositari dei più scabrosi segreti e misfatti, diventano sempre un mesto, ma intramontabile, ricordo.

    suggerisce eventi esclusivi e luoghi suggestivi sfuggiti anche alla più completa delle Lonely Pla-net e, di fronte alle richieste più improbabili, dà il meglio di sé, non una goccia di sudore o una ruga di imbarazzo a tradire l’eventuale perplessità. Corsi altamente professionalizzanti formano gli aspiranti concierge, peccato che di recente questa professione stia imboccando la strada del tramon-to. Il rapporto umano che è la sua ragion d’essere è in pericolo e gli androidi in giacca e cravatta sono ormai dietro l’angolo. Il concierge si trova a do-ver fare i conti con l’evoluzione tecnologica e per non finire KO non può che accogliere le esigenze di una società sempre più complessa e avanguar-dista. Chi più di lui può testimoniare il restyling socioculturale di quella umanità che anno dopo

    01

    02

    di Chiara Temperato

    ADDIO MONSIEUR GUSTAVE?Rende possibile l’impossibile e il suo motto è fare tutto ciò che è

    legalmente, moralmente e umanamente fattibile. Non è il più impavido tra gli esploratori, ma il re degli alberghi di lusso, il custode dei suoi

    segreti e il mentore dei suoi clienti: il concierge.

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    INTERVIEW INTERVIEW

    Creativo dalle innumerevoli espressioni artistiche, le sue illustrazioni di moda sono tra le più richieste e pubblicate. Una personale al PlasMA

    (dal 26 settembre) ne racconta il suo ennesimo lato inedito.

    di Simone Zeni

    IVO BISIGNANO

    IL DISEGNASTORIE

    Ivo Bisignano è un architetto, un illu-stratore, un creativo e qualcos’altro che forse non ha scoperto nemmeno lui. I linguaggi che utilizza sono molteplici, dal disegno all’animazione. Tra i suoi la-vori la serie di illustrazioni Prada Mini-mal Baroque, per il noto brand di moda italiano, e Exercise in sartorial depra-vation, il cortometraggio vincitore del premio speciale per l’animazione alla quarta edizione di ASVOFF al Centre Pompidou di Parigi. Oltre a essere tra i fashion illustrator più richiesti, Ivo collabora anche con la Domus Academy di Milano. Spesso si parla di te come un illustra-tore, ancora più di frequente sei defini-to un illustratore di moda. Vista però la tua ampia produzione e la tua for-mazione, questo modo di incasellarti appare un po’ riduttivo. Tu come ti definiresti?Riduttivo è poco, soprattutto perché non mi sento solo quello e perché i miei studi da architetto vengono sem-pre fuori nell’ottica in cui vedo le cose. Mi piace la definizione che Angelo Flaccavento ha coniato riferendosi a me: io sono un “disegna storie”.Che relazione hai con il mondo della moda? Lavoro da dieci anni in questo ambien-te, quando è fatta con cura e serietà, la moda riesce ancora a emozionarmi. Mi riferisco in particolare alle aziende che affrontano il lavoro con una dedizione

    e un’attenzione certosina, la stessa che cerco di mettere nei miei tratti.C’è qualcuno che ti è d’ispirazione nell’indagine che fai sul tuo lavoro?Non ho personaggi di ispirazione, sono piuttosto un buon osservatore. Non ho mai perso la capacità di osservare il mondo con l’ottica del bambino che c’è in me; guardo in alto, in basso, tra-sformo i punti di vista, le prospettive e mi concentro per trovare un nuovo significato alle cose.Che rapporto hai invece con l’arte?Mi nutro di essa e, con piede leggero, la rispetto. Mi viene difficile digerire il concetto artista legato al contempora-neo, in quanto tendo sempre al passato, quindi al confronto.Lavori anche alla Domus Academy di Milano. Di cosa ti occupi esattamente?Sì, sono project leader nel Master in Fashion Styling and Visual Merchandi-sing alla Domus. Il corso è coordinato dal bravissimo Gianfranco Olivotto. In questo lavoro cerco di trasmettere la mia esperienza ai ragazzi per quanto riguarda la creatività in relazione alle aziende.Quali sono i progetti a cui stai lavo-rando in questo momento?Sto preparando una personale e una esposizione collettiva. Non esponevo a Milano da tanto tempo e ho avuto la possibilità di avere uno spazio come il PlasMA grazie a Sergio Tavelli. Non sono bravo a parlare dei miei progetti,

    quando incontro un buon ascoltatore racconto le mie visioni, le mie “Città Invisibili” e regalo una storia. Più che mostra la chiamerei quindi visione. Si tiene dal 26 settembre al 25 otto-bre, aperta solo nei weekend, il titolo è Étonne-moi. Devo ringraziare il mae-stro Luca Ciammarughi che da sempre dona la voce a queste mie visioni cre-ando per me delle musiche straordina-rie che le accompagnano. Com’è vivere a Milano?Vivo qui da vent’anni, ho il classico rapporto di amore e odio che un indi-viduo sviluppa quando si innamora di un luogo.C’è un posto della città che ami di più rispetto a tutti gli altri?Milano non è un luogo che si scopre facilmente, intendo dire che non è una citta aperta, sfacciata. Urbanisticamen-te scopri pian piano alcuni scorci, o quello che si svela inaspettatamente dietro a un portone, che ti porta a una sensazione unica. Proprio per questo i cortili di Milano sono la mia passione.Ci sono dei luoghi che possono rac-contare meglio degli altri la tua vita milanese?Non so cosa sia la vita milanese, inte-sa come accezione mondana. So cosa è la mia vita a Milano, esco di rado, mi concentro sulle mostre, vado a trovare il mio amico Sergio, che mi supporta in ogni mio progetto, quando lavora il sabato al Club Domani, al Plastic.

    A impreziosire

    l’esposizione Étonne-

    moi, presente in

    Triennale dal 26

    settembre al 25

    ottobre, saranno i

    ritratti femminili di

    Bisignano, la musica

    composta da Luca

    Ciammarughi e la voce

    di Marpessa.

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    INTERVIEW INTERVIEW

    Voce riconoscibilissima da più generazioni, milanese acquisito da quasi cinquant’anni e icona pop suo malgrado: “Ho lottato duramente per non finire schiavo del mio personaggio...”, lo storico cronista è scrigno

    prezioso di aneddoti calcistici e storie di vita. Ancora ben saldo al comando della Domenica Sportiva dispensa, settimanalmente, sacrosanta dialettica sportiva. A lui la linea...

    di Simone Sacco - foto di Cecilia Gatto

    BRUNO PIZZUL

    UN ASSO AL MICROFONO

    Signor Pizzul, cominciamo proprio da Milano.Andrò sicuramente controcorrente, ma io la trovo una bella città a misura di bicicletta.Con tutto quel pavé e le pericolose ro-taie dei tram?Sono conscio del problema, ma vuoi mettere con la soddisfazione di peda-lare lungo il Naviglio o nel parco del Ticino? Per non dire della facilità di trovare parcheggio: basta un palo, una catena e il problema è risolto. Calco-lo meglio le tempistiche di “viaggio” quando inforco la bicicletta e noto con piacere che, come me, agiscono sempre più milanesi.È vero che è diventato giornalista qua-si per caso?A me stavano antipatici i giornalisti! (ride, NdR) Quando facevo il calcia-tore (Pizzul ha giocato centrale difen-sivo con le maglie di Catania, Ischia e Udinese, NdR) trovavano sempre un buon motivo per appiopparmi brutti voti in pagella. Poi, vai a capire la vita: nel 1969 mi sono iscritto al concorso per telecronisti indetto dalla Rai e nel ‘70 ero già in Messico a commentare i Mondiali...Prima però c’era stato il “fattaccio” della trasferta comasca.Sì, Juventus-Bologna del 7 aprile 1970, mia prima telecronaca in assoluto. Era uno spareggio in campo neutro, a Como, per accedere alla finale di Cop-pa Italia e io alle nove del mattino mi stavo già attrezzando per trasferire armi e bagagli sul lago. Arriva Beppe Viola – la milanesità fatta persona, un genio del giornalismo che ci man-ca tanto – e mi dice: “Bruno, sei paz-zo a partire adesso? Ci vorrà massimo

    mezz’ora: andiamocene a pranzo”. Ma non avevamo calcolato quanti juventi-ni motorizzati risiedessero in Brianza. Morale? Arrivai con un quarto d’ora di ritardo e meno male che a quei tempi la partita la trasmettevano in differita!Ai Mondiali tedeschi del 1974 lei com-mentò un evento storico. Germania Ovest-Germania Est, der-by teutonico tenutosi ad Amburgo. La partita non contava nulla visto che en-trambe le squadre erano già qualificate, ma come al solito la Guerra Fredda si mise di mezzo. E pure i tifosi dell’O-vest! La Mannschaft era piena zeppa di giocatori del Bayern Monaco e così gli amburghesi fecero un tifo assordante per i cugini dell’Est che alla fine vinse-ro 1-0 con lo storico gol di Sparwasser.Poi, ad Argentina ‘78, ecco irrompere il bello della diretta.La Rai mi mandò a Mar del Plata a fare la telecronaca di Francia-Ungheria, una gara tranquilla. Solo che i france-si si erano scordati le maglie! Panico, imbarazzo, caos; finché un massaggia-tore transalpino non risolse la situazio-ne requisendo una muta di magliet-te bianco-verdi a una squadra locale (l’Atletico Kimberley, NdR) e il match poté cominciare. Ci misero 45 minuti a risolvere il dilemma e io ero là in posta-zione a parlare di luoghi d’interesse e cucina locale come una perfetta guida turistica... Per le lacrime (sportive) ci sarebbe stato tempo.Non solo sportive purtroppo visto che il 29 maggio 1985 mi toccò andare in onda durante il pre-partita di Juventus-Liverpool all’Heysel e dare notizia dei 39 morti nel settore Z. Quello resterà per sempre il ricordo più devastan-

    te della mia vita, la ferita mai satura-ta. Trovai le parole per commentare quell’inferno più nella mia coscienza d’uomo che di giornalista. Ma forse tu volevi sapere altro...Italia-Argentina del 3 luglio 1990: l’a-mara eliminazione degli azzurri nella semifinale del nostro Mondiale. E an-che lì, lei c’era.Me la sogno ancora la notte, quel-la dannata partita. Quella, la finale di Pasadena col Brasile a USA ‘94 e la fi-nalissima di Rotterdam di Euro 2000 tra Italia e Francia (sospira, NdR). Se dovessi fare una classifica dei miei boc-coni più amari, la semifinale di Napoli resterebbe lì, cementata al primo po-sto, ma anche Rotterdam non scherza. Soprattutto perché ne pagò in prima persona un mio amico fraterno: Dino Zoff. Il caro Dinone avrebbe meritato maggior rispetto dopo quell’assurda sconfitta. Tradito da un golden gol che – tempo qualche anno – la FIFA avrebbe pen-sionato per sempre.Una regola allucinante. Se fosse stato in funzione a Messico ‘70, non avremmo mai avuto Italia-Germania 4-3. Brrr, non ci voglio neanche pensare.Chiudiamo con un classico del suo repertorio: cos’è “tutto molto bello” al giorno d’oggi per Bruno Pizzul?(Lunga pausa, NdR) Questo scambio di battute con te è stato molto bello. E poi le emozioni che il calcio ci sa an-cora regalare – un po’ a fatica, a dir la verità – in questo frenetico terzo mil-lennio. Ricordi quando Paolo Di Canio fermò il pallone in area con le mani per portare soccorso al portiere avversario infortunato? Beh, se non fu grande bel-lezza quella...

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    Negli ultimi tempi Milano può vantare un’offerta culturale invidiabile, vuoi per effetto di Expo 2015, vuoi per una congiuntura generale favorevole. Ma questo momento felice non riguarda soltanto i più grandi. Anche i luoghi e le iniziative dedicate ai bambini sono sempre più numerosi, garantendo ai genitori l’imbarazzo della scelta quando si tratta di cercare attività che uniscano divertimento e ap-prendimento: ecco alcune delle manifestazioni di “cultura bimba” più interessanti a Milano. Questa piccola grande esplorazione della città non può che partire dal MUBA, il Museo dei Bambini, una rarità nel suo genere perché (come suggerisce il nome) è dedicato esplicitamente ai piccini. Alle-stito a partire dal 2013 all’interno della Rotonda della Besana, storico edificio tardobarocco mila-nese, il MUBA ospita mostre-gioco interattive che conciliano l’approccio ludico con quello didattico e organizza laboratori dedicati sia alle scuole sia alle famiglie. È invece rivolto a tutti quanti, ma

    trova nei bambini degli interlocutori privilegiati il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di via San Vittore. Non solo perché i più piccoli sono per natura propensi alla scoperta, ma anche perché le mostre stesse sono state progetta-te per incuriosire. Soprattutto le più recenti, come quella dedicata allo spazio inaugurata a fine 2014, che può contare su giochi e contenuti interattivi volti a incentivare il coinvolgimento. Il Museo della Scienza offre inoltre la rara oppor-tunità di visitare dall’interno un vero sommer-gibile, ovvero l’Enrico Toti, varato nel 1967 per la difesa delle acque del Mediterraneo. E nella programmazione di questo polo culturale non mancano anche gli eventi, come la Kids Design Week, la settimana del design incentrata sul mon-do dell’infanzia che ha luogo durante l’annuale Salone del Mobile.È dedicato agli adulti così come ai ragazzi WOW - Spazio Fumetto, ma l’area di viale Campania ri-

    FOCUS

    01. Una giovane

    visitatrice interagisce

    con gli oggetti messi

    a disposizione dalla

    mostra Scatole allestita

    all’interno del MUBA.

    Foto di Elisa Testori.

    indirizzi Mubavia Enrico Besana 12Museo nazionale della scienza e della tecnologia via San Vittore 21Wow - Spazio fumettoviale Campania 12Libreria dei ragazzi via Tadino 53

    FOCUS

    02. Forme e colori

    da esplorare al Kids

    Design Festival che si

    è svolto nel 2014 al

    Museo della Scienza e

    della Tecnologia.

    03. Un’installazione

    luminosa alla mostra

    Energia del MUBA, il

    Museo dei Bambini

    situato all’interno della

    Rotonda della Besana.

    serva gran parte delle sue energie proprio ai secon-di. Oltre alle mostre dedicate agli eroi di comics, manga, bandes dessinnées e quant’altro, come la recente esposizione dedicata a Zio Paperone e al suo leggendario deposito, spiccano infatti corsi, laboratori e campus estivi dedicati ai disegnatori in erba. Attività ludiche e percorsi didattici han-no luogo in una cornice davvero speciale grazie a Sforzinda, l’associazione culturale a cui si ac-cede dalla Piazza d’Armi del Castello Sforzesco. Da qui, attraversando Parco Sempione si incontra TDM Kids, lo spazio bimbi all’interno della Trien-nale di Milano che propone incontri educativi ed eventi speciali, in modo da rendere la visita al mu-seo una vera e propria esperienza formativa.PaleoLab, BioLab, VerdeLab: i laboratori didat-tici del Museo Civico di Storia Naturale, situato all’interno dei Giardini Pubblici Indro Montanel-li, costituiscono un’ottima alternativa per i geni-tori dei ragazzi più curiosi, con approfondimenti su piante, animali. E naturalmente dinosauri, che non possono mancare quando ci si rivolge a un pubblico under 12. A guidare i bambini alla sco-perta delle stelle è invece un grande classico come il Planetario comunale (sempre presso i Giardini), che propone non solo esplorazioni guidate della

    volta celeste, ma anche incontri di introduzione all’astronomia per i piccoli esploratori spaziali.Chiacchierate con autori e laboratori fanno par-te della strategia della Libreria dei Ragazzi per avvicinare nuovi lettori alla narrativa, senza per questo risultare noiosi e pedanti. A cercare di far scoccare la scintilla tra i bambini e il cinema è in-vece un appuntamento tradizionale del calenda-rio culturale meneghino: si tratta del Milano Film Festival, che ha creato un evento parallelo rivolto ai piccoli – fatto non solo di proiezioni ma anche di workshop e spettacoli – chiamato non senza un pizzico di ironia Milano Film Festivalino.Ma la cultura, soprattutto quando è piccola e vi-vace, non deve per forza essere statica. Un buon modo per far scoprire (nel caso di chi non ci vive) o riscoprire (nel caso di chi ci vive senza però averla mai davvero visitata) Milano ai ragazzi è costituito da InnovActionCult, associazione che propone giri della città a misura di bambino a bordo dei classici tram meneghini. L’obiettivo consiste nel guidare i giovani attraverso un tour giocoso dei monumenti e luoghi più significativi del panorama cittadino, che vengono così vissuti in maniera attiva, invece che attraversati passiva-mente.

    di Marco Agustoni

    THINK SMALL: LA CULTURA IN PICCOLO

    Musei, laboratori didattici, tour ludici, festival di design per l’infanzia: a Milano le attività culturali dedicate ai bambini si sono moltiplicate

    negli anni, offrendo numerose alternative per conciliare apprendimento e divertimento.

    01

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  • 41

    PINCH OF SALT

    L’ORO BIANCODietro alla semplice formula NaCl (cloruro di sodio) c’è molto di più di quello che si pensi. Gli antichi lo chiamavano“oro bianco”: era fondamentale per conservare i cibi, per curare malattie, si usava come merce di scambio per stipulare patti matrimoniali ed era un metodo di purificazione dal demonio. Oggi le cose sono cambiate, ma il sale continua ad avere una notevole importanza in ambito culinario e nei trattamenti estetici.

    illustrazione di Virassamy

    4040

    che la utilizzo e i risultati sono ecce-zionali. È poco invasiva, si riduce il più possibile la chirurgia e si preserva tutto l’osso riuscendo così a sfruttarlo al me-glio. Inoltre, cosa importante, con que-sta tecnica, non si va a modificare il viso e i denti fuoriescono dalla gengiva na-turale del paziente (non da una flangia di gengiva artificiale). Il soggetto dopo l’intervento non gonfia e non ha alcun tipo di dolore. Nell’arco di circa 24 ore il paziente può avere già i denti nuovi.Qual è l’iter al quale si deve sottopor-re il paziente? Dopo una visita per valutare la situa-zione, si esegue una TAC dalla quale, at-traverso un software dedicato, ottenia-mo una ricostruzione tridimensionale del cranio e della bocca del paziente sulla quale simuliamo il posizionamen-to degli impianti sfruttando a 360° le aree di osso disponibili, cosa che con una tecnica meno avanzata sarebbe impensabile. Grazie alla ricostruzione 3D riusciamo a sfruttare totalmente, dopo le varie estrazioni, l’osso residuo indipendentemente dalla gravità della situazione.Dopo quanto tempo si può tornare a sorridere? Dopo l’intervento il paziente nell’arco di 24 ore può riavere i denti. Normal-mente, se una persona dà molta impor-tanza anche all’aspetto estetico, possia-mo fare un primo provvisorio in resina, dove già copiamo la forma dei denti del paziente, e poi realizziamo a distanza di sei-otto mesi delle riabilitazioni in zirconio-ceramica che danno un risul-tato di altissima qualità estetica. Quan-do le possibilità economiche sono limi-tate, facciamo delle strutture che sono praticamente definitive, molto resisten-ti, ovviamente non in zirconio.

    funzionale a lungo termine.Come è arrivato a sviluppare questa tecnica così rivoluzionaria?Sono partito dalla tecnica tradiziona-le sviluppata dalla scuola svedese del professor Branemark, il padre dell’im-plantologia moderna, commercializ-zata dopo molteplici studi a partire dagli anni Ottanta. Questo protocollo richiedeva tempi di attesa piuttosto lunghi, che andavano dai 3 ai 6 mesi, per poter utilizzare gli impianti dopo il loro posizionamento nella bocca dei pazienti. Una vera rivoluzione è avve-nuta poi alla fine degli anni Novanta, con l’implantologia a carico immedia-to, che ha ridotto di molto i tempi. C’era però un problema: si era convinti che l’implantologia fosse controindica-ta per i pazienti affetti da infezioni o malattie come la piorrea. Prima il sog-getto doveva guarire e poi era possibile operarlo. In questo campo sono stato un pioniere a livello mondiale, in quan-to dopo diversi studi ho dimostrato il contrario: era dunque possibile togliere i denti, mettere gli impianti e nell’arco di circa 24 ore riabilitare i pazienti con denti fissi.Quali sono i vantaggi della tecnica OnlyOne®? Sono ormai cinque anni

    “Un giorno senza un sorriso è un giorno perso”, affermava Charlie Chaplin, e sembra che a suo modo il Dott. Rober-to Villa, attraverso il proprio lavoro, sia concorde con il famoso attore inglese. Sono più di 20 anni, infatti, che si de-dica con passione a risolvere i casi più complessi di implantologia, arrivando a essere uno degli esponenti di spicco di questo settore. Nel corso del tempo ha sviluppato tecniche sempre meno invasive, in grado di restituire in tempi brevi funzionalità e sorriso anche a per-sone affette da gravi patologie del cavo orale. La sua clinica, in pieno centro a Biel- la, è dotata di sei unità operati-ve e una sala chirurgica. La struttura, che conta tra il personale ben cinque specialisti, offre servizi di implantolo-gia dentale, odontoiatria estetica, paro-dontologia, ortodonzia, sbiancamento dentale e radiologia digitale.Fiore all’occhiello della Clinica Odon-toiatrica Villa è però l’innovativa tecni-ca OnlyOne® ideata dallo stesso Dott. Villa in ambito implantologico, in par-ticolar modo nei casi post-estrattivi, con il perfezionamento di un protocol- lo chirurgico sempre meno invasivo, così da riuscire a coniugare il comfort post-operatorio con il successo estetico

    Da sempre l’Italia ha avuto un ruolo importante nel campo dell’odontoiatria e nel nord Italia, a Biella,in Piemonte, esiste una realtà che, sotto la guida del Dott. Roberto Villa, è diventata un punto di riferimento a livello nazionale e non solo per quanto riguarda l’implantologia.

    Implantologia d’eccellenza

    ADVERTORIAL

    indirizzoClinica Odontoiatrica Villa Srlvia Duomo 10 - Biella T +39 015 352481www.clinicavilla.com

  • 42 43

    01. Montagne di sale a

    Cervia. Le saline sono

    un parco naturale e

    possono essere visitate.

    Foto di Simone Manzo

    tratta dal libro Dolce

    come il sale di Letizia

    Magnani.

    Oro bianco, bene prezioso per eccellenza, rove-sciarlo è di cattivo auspicio, tanto che Leonardo da Vinci nell’Ultima cena dipinse una saliera capo-volta di fronte a Giuda Iscariota. Nell’antica Roma il suo valore era tale da essere utilizzato come mo-neta di pagamento per i soldati, da lì il termine “salario”, stipendio. “Salaria” è invece la strada ro-mana costruita appositamente per permettere alla capitale di rifornirsi del composto. Salisburgo gli rende omaggio nel nome: Salzburg, “castello del sale”, perché grazie alle miniere di salgemma delle vicine montagne poté crescere in prosperità. Se con il tempo ci siamo scordati dell’importan-za del sale e abbiamo iniziato a trattarlo come un prodotto banale, di poco valore, da infilare nel carrello della spesa senza dargli troppo peso,

    beh, è arrivato il momento di fare marcia indie-tro e di tornare ai fasti del passato. Protagonista di una nuova primavera culinaria, il sale torna in auge e conquista i più grandi chef, trasformando-si da semplice condimento a ingrediente a tutti gli effetti, da scegliere e abbinare con meticolosa attenzione in base alla ricetta. Due le tipologie: minerale o marino. Il primo, detto salgemma, è composto esclusivamente da cloruro di sodio e viene ottenuto per estrazione nelle miniere for-matesi durante le ere geologiche come residuo di bacini idrici ormai estinti.Il più pregiato è il sale rosa dell’Himalaya: raccol-to nelle miniere di Kewra, le seconde più grandi al mondo per l’estrazione, è considerato il più puro in assoluto, poiché formatosi milioni di anni fa.

    01

    02. Le saline

    diventano rosa per la

    presenza dell’artemia

    salina, un granchietto

    rosso che vive nelle

    vasche di produzione

    donando il tipico

    colore all’acqua e

    al piumaggio dei

    fenicotteri.

    Ad alta concentrazione di minerali, ha un sapo-re delicato, tendente al dolce. Si abbina bene ad ogni tipo di piatto ed è perfetto con le crudità di verdure, di pesce o le tartare. Particolarmente sug-gestivo e coreografico il sale blu di Persia: spezia-to, ma dal gusto non troppo intenso, è apprezzato soprattutto per la decorazione dei piatti. Arriva invece dall’India il sale viola Kala Namak. Noto soprattutto per le sue proprietà digestive, viene spesso usato nelle miscele di spezie locali. Il suo gusto è soave. Il secondo, ovvero quello marino, viene ottenuto grazie alle saline, grandi vasche poco profonde dove l’acqua evaporando lascia il sale ad adden-sarsi. Fra i sali marini troviamo i cosiddetti fior di sale, la loro raccolta avviene in piena estate in un lasso di tempo molto breve nel quale i salinai prelevano la candida brina di sale che si forma na-turalmente sulla superficie delle acque. I cristalli sono disomogenei e conservano ancora un po’ di umidità e di profumo di mare.Fra i sali marini più apprezzati il fiore di sale dell’Algarve, chiamato anche “crema del sole”. È amato dagli chef per la sua capacità di abbinarsi bene a ogni tipo di piatto. Spostandoci in Francia troviamo il sale della Ca-margue: i suoi pregiatissimi cristalli, ancora oggi

    raccolti esclusivamente a mano, gli sono valsi l’ap-pellativo di “caviale del sale”. Si scioglie lentamen-te e questo lo rende perfetto per le marinature di carne e pesce o per le cotture in crosta di sale.Da Cipro arriva invece il sale nero, che deve la sua tinta all’aggiunta di carbone vegetale. I suoi fiocchi hanno forma piramidale, il gusto è gentile. È ottimo su carpacci o carni poco cotte, sia per il piacevole impatto visivo che per il suo mante-nersi croccante. Nero o rosso è anche il sale delle Hawaii: il primo deve il colore all’origine vulcani-ca di queste isole, il secondo al formarsi in pozze argillose, entrambi sono perfetti con le carni alla griglia. Il buon sale è motivo d’orgoglio anche per il nostro Paese: un tempo quasi ogni città di mare aveva le sue saline, oggi sono circa venti quelle attive e quattro quelle marittime ancora sfruttate industrialmente: Sant’Antioco, Trapani, Santa Margherita di Savoia e Cervia. Se passate da Trapani provate il sale nelle speciali versioni aromatizzate all’olio essenziale di arancia, limone, menta o con foglie di origano di montagna e ro-smarino. A Cervia invece non perdete le tavolette dello chef: le pietanze cotte su queste mattonelle assorbono autonomamente la giusta quantità di sale e permettono di cucinare senza aggiungere grassi come olio e burro.

    di Elisa Zanetti

    Chi l’ha detto che il sale è solo bianco? Rosa, nero, rosso, viola… Un viaggio dalla Francia alle Hawaii, dall’India al Portogallo, senza dimenticare le eccellenze di casa nostra, per scoprire tutte le principali tipologie di sale.

    I COLORI DEL SALE

    FOOD FOOD

    02

  • 44 45

    Si chiama haloterapia (da alo, che in greco significa sale) ed è un trattamen-to utile per apportare beneficio alle vie respiratorie, che affonda le sue radici nel lontano Medioevo. Sembra che sia stato un gruppo di monaci a scoprire per primo le virtù del sodio grazie alla speleoterapia, che consisteva nel grat-tare le pareti di grotte saline e di ina-larne l’aria. In epoca moderna, invece, si è iniziato a studiare il fenomeno a partire dall’Ottocento, quando è stato osservato che alcuni minatori polacchi avevano meno problemi ai bronchi ri-spetto agli abitanti delle città. “Le grotte di sale disponibili oggi in centri benesse-re e Spa - spiega il professor Giuseppe Sito, specialista in chirurgia, chirurgia estetica, endocrinologia e urologia - sono costituite da pareti di sale minera-lizzato e possiedono una concentrazione salina circa 10-15 volte superiore rispetto a quella che si respira in riva al mare, tanto che una sessione di 30 minuti può essere paragonata a un soggiorno di tre giorni in una località marittima. In que-

    sta stanze viene poi immesso un flusso di aria ad alta saturazione di sale puro che avrebbe un duplice effetto”. Il primo è la purificazione della respirazione, in quanto nelle stanze si ricrea l’ambien-tazione delle miniere di salgemma, che possiedono un’elevata percentuale di sale. Il secondo vantaggio è quello di migliorare la grana cutanea per effetto dell’esfoliazione generata dal cloruro di sodio. “Inoltre - prosegue lo specialista - sembra che le sedute in grotta possano aiutare a contrastare i processi acneici e a depurare la pelle. Senza considerare il fatto che il microclima creato in questi ambienti è altamente igienico”. Per pro-lungare gli effetti dell’haloterapia, in commercio si trovano lampade di sale, che consistono in un blocco di salgem-ma scavato, al cui interno è posiziona-ta una candela o una lampadina per ionizzare i locali di casa. “Esistono poi soluzioni saline dal tre al sette percento”, conclude il professor Sito, “che servono a decongestionare le vie nasali e a ridurre l’accumulo di muco”.

    WELLNESS

    di Simona Lovati

    Aiuta a liberare le vie respiratorie ed è un alleato per la bellezza della nostra pelle. Trenta minuti in una grotta salina possono rivelarsi un rituale ad hoc per la salute e il benessere generale.

    HALOTERAPIA

    Sale & Balocchi

    Milano. L’Halomassage è una tecnica

    personalizzata in grotta, ideata per

    sciogliere le tensioni, libera da dolori

    e stati d’animo negativi. L’obiettivo

    è riattivare le energie e migliora la

    percezione di sé.

    www.saleebalocchi.it

    Aria di Mare

    Milano. Un luogo di benessere,

    perfetto per l’autunno, quando si

    deve scendere a patti con i primi

    raffreddori. Sedie a sdraio no gravity,

    cromoterapia e musica stimolano il

    rilassamento.

    www.ariadimare.milano.it

    Biohima

    Milano. La sua particolarità è quella di

    essere costituita da sale rosa cristalli-

    no dell’Himalaya. Qui si possono ese-

    guire numerose attività, dal massaggio

    relax al trattamento osteopatico, allo

    storytelling.

    www.biohima.it

    Una degli ambienti del Relais San Maurizio Luxury Spa Resort a San Maurizio in provincia di Cuneo.

    Moroso SpaUdine Milano LondonAmsterdam Köln New York Beijingwww.moroso.it

    Misfits sofa systemby Ron Arad, 2007Moon armchairby Tokujin Yoshioka, 2011Fishbone low tableby Patricia Urquiola, 2012

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  • 46 47

    Vista dall’alto di una

    delle anse del fiume

    Trebbia. Nell’omonima

    valle passa una delle

    principali vie del sale

    che collega Genova a

    Pavia.

    Con più del 60% del territorio circondato dal mare e un clima temperato, l’Italia ha sempre avuto un ruolo importante nella raccolta del sale; per necessità, dunque, fin dal tempo dei romani nacquero innumerevoli percorsi che collegavano la costa alle zone più interne. Tra le vie del sale più conosciute raggiungibili facilmente per una gita fuori porta ci sono quelle lombarde, emiliane e piemontesi.Il sale, elemento base dell’alimentazione umana e animale, è stato nei secoli più prezioso dell’o-ro, tanto che le sue piste erano considerate tra le grandi strade commerciali dell’antichità. Le per-sone le percorrevano per trasportare merci, come lana, prodotti agricoli e armi verso il mare, per poi scambiarli con il sale, che veniva utilizzato oltre che per cucinare, anche per la produzione di for-maggio e insaccati, la conservazione degli alimen-ti, per la concia delle pelli e la tintura. Collegata alle vie principali, c’è una fitta rete di sentieri che un tempo servivano a raggiungere i vari paesi lun-go i tracciati. Se un tempo gole e crocevia era-no il luogo ideale per gli agguati dei briganti che assaltavano i carichi dei mulattieri, oggi risultano essere scenari incantevoli per tutti gli appassionati di trekking e montain bike.

    Alcune di queste vie sono state abbandonate a se stesse, mentre altre sono ancora ben conservate. La principale via del sale lombarda è quella che attraversa la Valle Staffora in provincia di Pavia, si inerpica per la costa che separa la Val Borbera (provincia di Alessandria) e la Val Boreca (pro-vincia di Piacenza), superando il monte Antola e scende poi fino a Torriglia in Val Trebbia, allun-gandosi infine a raggiungere la città di Genova. D’obbligo, durante le giornate soleggiate, andare alla scoperta dei migliori anfratti del fiume Treb-bia dove le pozze di acqua cristallina invogliano i meno freddolosi a farsi cullare dalla corrente. Uno dei principali tracciati piemontesi è quello che collega il territorio saluzzese (interessante prima di mettersi in marcia una visita al borgo medioe-vale di Saluzzo) con i territori francesi dell’Isère, della Drôme, delle Hautes-Alpes, e la Provenza. Suggestivo anche il passaggio del tunnel del Buco di Viso, una galleria scavata nella roccia lunga circa 75 metri che collega l’Italia con la Francia mettendo in comunicazione i territori comunali di Crissolo e Ristolas. Di uguale bellezza anche le vie del sale emiliane che attraversano una parte della Val Trebbia allungandosi fino alla Val di Taro in provincia di Parma.

    di Andrea Zappa

    Nell’antichità venivano percorse quotidianamente per trasportare il prezioso minerale, oggi i loro tracciati rimangono pieni di fascino per chi è dotato di buone gambe e ama immergersi nel silenzio della natura.

    LE VIE DEL SALE

    FOOD

    alla scoperta dell’appenninoIl libro fotografico di Fabrizio Capecchi edito da Croma illustra e propone nove itinerari attraver-so l’Appennino che collegano i territori montuosi delle province di Alessandria, Pavia e Piacenza con i centri costieri della provincia di Genova. Permette di scoprire vecchie mulattiere medioevali, antiche locande, stazioni della posta, borghi fortificati e saliere. Un’occasione per riscoprire un territorio di grande valenza storica e paesaggistica.

    AUTORIGOLDI_skoda_CLUBMILANO210x279.indd 1 31/08/15 17:27

  • 48 49

    STYLE

    L’ad di Blackfin ci spiega il successo dell’impresa di occhialeria bellunese. La chiama una startup di 40 anni perché vanta una storia con solide basi affiancata da una mentalità innovativa. Tanto che per definire il processo produttivo si sono inventati una nuova parola: Neomadeinitaly.

    di Carolina Saporiti

    NICOLA DEL DIN

    AZIENDA CON LA A MAIUSCOLA

    STYLE

    Quando e come Pramaor ha deciso di produrre occhiali con il proprio mar-chio Blackfin in uno dei principali di-stretti dell’occhialeria in Italia, dopo anni di esperienza come terzisti? L’azienda esiste da oltre 40 anni ed è leader nella produzione di occhiali in titanio in Europa. Il 99% dei competi-tor li acquista fuori EU. Fino al 2007-2008 siamo stati terzisti per le princi-pali aziende del settore, poi abbiamo cambiato strategia perché ci siamo resi conto che le aziende con cui collabo-ravamo non avevano obiettivi a lungo periodo, eravamo spesso solo un part-ner da “sfruttare”. Da un punto di vista di know how era un peccato regalare le nostre capacità ed esperienza. Come ci si distingue oggi in un merca-to che almeno all’apparenza è saturo? Siamo a un km da Luxottica, ci sono cinquemila persone nel nostro comu-ne (Agordo) e tremila lavorano lì. A livello locale, ma anche da fuori, mol-te persone si chiedono come facciamo a competere con aziende così grosse. Io dico che queste rappresentano una presenza positiva: più loro massificano il mercato con prodotti mass market, più noi acquistiamo interesse da parte di clienti che vogliono distinguersi con un prodotto di nicchia. Blackfin invece di puntare sul made in Italy ha inventato il neologismo Neo-madeinitaly. Cosa significa? Serve per far capire che produciamo i nostri occhiali con un metodo autenti-co e nostro, in Italia. Nel 90% dei casi la marcatura made in Italy non garanti-

    sce la produzione italiana: buona parte delle aziende importano il semi lavora-to dall’estero e in modo assolutamen-te legale realizzano occhiali “made in Italy”. Noi invece acquistiamo le ma-terie prime in Giappone perché in Ita-lia non si trovano, ma la produzione è fatta tutta in Italia. Questo è il minimo richiesto dal Neomadeinitaly che signi-fica soprattutto rispetto per i collabo-ratori. Perché è l’azienda che dipende da queste persone e non viceversa, è uno stravolgimento dei concetti di 20-30 anni fa. Come si fa? È un approccio mentale ed etico che si traduce anche in gesti quotidiani e condivisi. A partire da quest’anno abbiamo iniziato una serie di visite a realtà imprenditoriali italiane di eccel-lenza per creare dei momenti formativi e di team building insieme con tutti i miei collaboratori interni ed esterni. A luglio per esempio abbiamo visita-to un’importante azienda bandiera del made in Italy nella zona di Modena. Al contempo stiamo internalizzando alcune fasi artigianali di lavorazione dell’occhiale con l’obiettivo di non di-sperdere un patrimonio di conoscenze professionali di grande valore.Come si evolve la collezione di stagio-ne in stagione e chi la disegna? La collezione di Blackfin è coordinata da Corrado Rosson che è mio amico prima che designer del brand. È una persona interna all’azienda, lavora per noi, e questo è fondamentale per avere un’identità chiara. Il nostro design non

    è tipicamente italiano, l’impostazione è nordica. Cerchiamo di unire mate-riale, tecnologia e qualità giapponesi, gusto e produzione italiani e design e organizzazione nord europea.Gli stranieri sono follemente innamo-rati del nostro Paese, anche più di noi, ma ci temono, quindi se trovano italiani ben organizzati, è come fare bingo. Noi siamo una startup di 44 anni: abbiamo un’enorme esperienza dal punto di vi-sta produttivo, ma siamo giovani per-ché da poco abbiamo iniziato con una mentalità completamente innovativa. Quali novità presenterete a Parigi a settembre al Silmo? Si tratta sempre di un’integrazione di modelli in linea con le tendenze attua-li. Nuove tonalità e lavorazioni avan-zate enfatizzano gli spessori e le linee degli occhiali sempre e solo titanio. Ci saranno ovviamente anche novità nelle forme, che saranno morbide e alcune di gusto vintage. Come mai, secondo lei, gli occhiali come accessorio stanno avendo da qualche anno molto successo? Fino a qualche anno fa vendere occhia-li era abbastanza facile sia per le azien-de piccole, tanto più per quelle grandi, poiché l’occhiale era una necessità. La crisi degli ultimi anni e l’evoluzione culturale hanno spinto le persone a cambiare l’approccio all’acquisto favo-rendo la nascita di aziende che si sono dedicate alla ricerca tecnica e stilistica per produrre occhiali che perdono la sola funzione medicale a favore di un aspetto anche di moda.

    perfezione al titanioBlackfin è un’azienda di occhialeria, specializzata nelle montature in titanio. Nata 44 anni fa ad Agordo, ogni occhiale è concepito e prodotto integralmente in Italia. Le aste, che devono essere flessibili, sono realizzate in Beta Titanio mentre i frontali sono ricavati da una robusta lastra di puro titanio.

  • 50 51

    Herno

    Peacoat in lana stampata dall’aspetto infeltrito.

    www.herno.it

    Sealup

    Peacoat in panno di lana idrorepellente.

    www.sealup.it

    North Sails

    Peacoat effetto salted con tasche a filetto.

    www.northsails.com

    Hevò

    Peacoat in misto lana effetto asfalto.

    www.hevo.it

    Roy Roger’s

    Peacoat in casentino windproof.

    www.royrogers.it

    AT.P.CO.

    Peacoat in misto lana a quadri.

    www.atpco.it

    STYLE

    ICONIC STYLE

    di Luigi Bruzzone

    La prima collezione di Milan Vukmirovic per Ports 1961 è un omaggio all’abbigliamento maschile. Il designer ha infatti proposto un “best of the best” dei pezzi iconici del guardaroba di ogni uomo in colori inaspettati e tessuti innovativi.

    Un capospalla invernale da scegliere anche in colori e tessuti inusuali.

    The peacoat

    Pepe Jeans London

    Peacoat dalla vestibilità regolare.

    www.pepejeans.com/it

    Timberland

    Peacoat d’ispirazione marina in lana.

    www.timberland.it

    STYLE

    Seventy

    Peacoat in mohair blue navy.

    www.seventy.it

    blauer shoesSneaker in pelle con insertoin suede.

    jil sanderZaino in pelle con zip sul davantie spallacci regolabili.

    blackfinOcchiale da sole in puro titanio con aste in beta titanio super flessibile.

    fred melloMaglia a collo alto con chiusuraa bottoni e patch sulla manica.

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    01. Yamaha Tricity

    attacca la concorrenza

    anche nel prezzo: è

    sul mercato a meno di

    4000 euro.

    02. Piaggio Mp3, il

    primo e unico 3 ruote

    che non costringe mai

    il guidatore a mettere i

    piedi per terra.

    03. Gilera rispetto alla

    concorrenza ha un look

    più aggressivo e offre il

    pedale per la frenata.

    Se è vero che l’effetto sorpresa è finito da un po’ – soprattutto dopo l’invasione dello scooter sha-ring di Enjoy – quando questi mezzi si incontrano al semaforo, la curiosità persiste ancora: saranno poi così coinvolgenti alla guida? A caratterizzarli, infatti, quella ruota in più davanti che, diciamolo subito, giova poco all’estetica, ma qualunque sia il marchio di fabbrica, è a tutti gli effetti garanzia di maggiore stabilità su strada, soprattutto se si con-tinua a utilizzare lo scooter d’inverno, su ghiaccio o asfalto bagnato: una soluzione per chi in fondo vuole vivere la città a 360 gradi senza subirne gli svantaggi (il traffico in primis), e senza rischi: dopo l’esordio di Piaggio con l’Mp3, la cugina Gilera ma anche case come Peugeot, Yamaha e la svizzera Quadro hanno sposato l’idea di una mobilità a 3 ruote, coinvolgendo pure chi è in possesso della sola patente di guida. Ne è venuto fuori in poco tempo un vero e proprio segmento, una nuova gamma di veicoli facili da guidare come salire in sella, sofisticati nello stile, dalle linee sportive, qua-si a fare il verso alle moto. Si dribbla la fila, grazie

    alla maneggevolezza tipica di un cinquantino, ma con gli occhi addosso dei puristi delle due ruote: la partenza al verde, nonostante tutto, continua a essere un gioco da ragazzi. Si parte dal primogenito targato Piaggio. Siamo nel 2006. Il peso dell’Mp3 è contenuto (206 Kg), si caratterizza per la scelta delle sospensio-ni indipendenti dalle due ruote anteriori per una maggiore agilità, offrendosi, per la clientela più disparata, sia con 300 di cc che 500. Oggi è an-cora l’unico a non obbligare mai il conducente a mettere i piedi per terra, né in fase di parcheggio né di arresto. Dal Gruppo, anche Gilera arriva nei concessionari con un scooter a tre ruote, e il nome dice tutto. Fuoco 500 i.e. LT (acronimo di Large Tread) abbina le prestazioni di un motore mono-cilindrico da 40 CV a forme fortemente sporti-ve e a una frenata integrale, azionabile tramite il pedale sulla pedana, così da essere guidato con patente B. Inoltre, con una carreggiata anteriore allargata a 465mm, in fase di arresto, permette di non scomodarsi e rimanere con le gambe a bor-

    01

    di Ilaria Salzano

    Conquista il cuore degli appassionati dell’en plein air, non a tutti i costi centauri: con il tre ruote nasce un nuovo concetto di mobilità, tutto comfort e sicurezza. Con cui è sempre possibile anche “piegare” in curva.

    COMFORT A TRE RUOTE

    do, proprio come il mezzo di Piaggio dal quale ha ripreso anche la sospensione anteriore a quadri-latero articolato brevettata a Pontedera. Per chi cerca emozioni alla guida, Quadro S può essere un’ottima soluzione: 346 cc, 27 CV, 200 Kg di peso è la formula del veicolo svizzero studiato per una guida istintiva e precisa anche nelle peggiori condizioni dell’asfalto. Il merito va soprattutto al sistema HTS (Hydraulic Tilting System), che per-mette l’oscillazione e assorbe le malformazioni del fondo con la possibilità di inclinarsi, oltre poi alla sospensione anteriore con ruote di diametro mag-giore rispetto alla gran parte dei concorrenti, che consente il massimo controllo e un comfort eccel-lente. Certo, la nota dolente rimane la qualità delle finiture: il look semplice, quasi spartano, è più por-tato verso la funzionalità. Peugeot Metropolis 400 può essere invece la risposta agli amanti dello stile e del comfort. A fare la differenza sono i dettagli, utili soprattutto se si è alle prime armi: rifiniture di pregio, facili regolazioni del parabrezza (anche in altezza), apertura elettrica dello scudo anteriore

    o del sotto sella (per cui basta un pulsante) rendo-no la vita dello scooterista molto più facile. Anche se il carico del motorino è tra i più pesanti – rag-giunge i 256 kg – con 37 CV è comunque facile da dominare anche nel traffico cittadino. L’ultimo arrivato che attacca la concorrenza in maniera spietata è il Tricity, prodotto da Yamaha: con ap-pena 152 kg, 125 cc, i giapponesi puntano tutto su stabilità e piacere alla guida. Col sistema UBS infatti lo scooter assicura frenate pronte e progres-sive sia se si aziona solo la leva di sinistra, con cui la forza viene ripartita su tutte e tre le ruote per una rallentamento bilanciato ed efficace, sia se si frena solo con la leva di destra, tramite la quale si azionano i freni anteriori. Fondamentale inoltre la distribuzione dei pesi 50 avantreno e 50 retrotre-no: con lo stesso metodo impiegato nella MotoGP, Yamaha offre al guidatore un approccio istintivo e una manovrabilità inaspettata, con il risultato che il grip in curva è ottimo, si prende subito confiden-za, e ci si diverte, eccome. Tanto che, quasi quasi, quella ruota in più sparisce…

    02

    03

    il primo scooter sharing Sono la semplicità di utilizzo, la libertà di dribblare il traffico, l’e-senzione del pagamento dell’area C e del parcheggio sulle strisce ad averne permesso lo sviluppo immediato. Lo scooter sharing, partito da giugno a opera di Enjoy, oggi fa circolare 150 Mp3 rossi: motorini a 3 ruote, 300 cc a 4 tempi, con tariffa al minuto di 35 cent, accessibili a chiunque abbia effettuato l’iscrizione e scaricato l’app (la medesima del carsharing).

    WHEELS WHEELS

  • 54 55

    La Land Rover

    Defender nelle versioni

    Adventure e Heritage.

    Due limited edition che

    usciranno a breve per

    celebrare il fuoristrada

    per eccellenza.

    Che siano oggetti di uso comune o articoli esclu-sivi non adatti a tutte le tasche, ci sono persone alla costante ricerca di qualcosa di unico, che solo loro – e pochi altri eletti – potranno sfoggiare. Quasi tutti gli oggetti che si possano ritenere “di design” sono destinati, nel corso della loro storia a divenire veri e propri pezzi da collezione, ricer-catissimi dagli appassionati di tutto il mondo, o più semplicemente protagonisti di riedizioni che ne celebrino il design, il progettista o l’azienda. È il caso di alcuni tra i più celebri mobili di design, come la famosa poltrona LC2 progettata sul finire degli anni Venti da Le Corbusier che, nel corso degli anni, ha subito una celebrazione continua ed è stata riproposta in diverse versioni: per l’outdo-or, in nuove nuance di colore e addirittura (in una versione estrema e non ufficiale Cassina) in una versione in cemento armato e tondini da cantiere dall’architetto svizzero Stefan Zwicky. Oppure, in un altro celebre caso, come gli arredi da ufficio progettati da Jean Prouvé nel 1939 per Vitra, ri-proposti dallo stesso brand elvetico nella versione Prouvé Raw Office Edition creata in collaborazione con il marchio G-Star RAW e in vendita fino alla fine del 2016. Scrivanie, sedie e poltrone rivisitate nei materiali e nei colori che, pur mantenendo un

    gusto retrò, hanno acquistato un gusto più con-temporaneo ed esclusivo.Ma esiste ancora qualcuno disposto a spendere di più per comprare qualcosa di così esclusivo, che possa distinguerlo dagli altri? A logica, visti i tem-pi che corrono, le persone dovrebbero guardare di sottecchi questi prodotti, preferendo prodot-ti meno costosi ma dal grande appeal; tuttavia il mondo del design celebra ogni giorno le creazioni che hanno contribuito a scriverne la storia. È que-sto il caso della mostra itinerante Spaghetti Limi-ted Edition (dal 22 settembre a Milano) fortemen-te voluta da Alias e che celebra la famosa Spaghetti Chair, seduta icona disegnata da Giandomenico Belotti nel 1979. Sette sedute ma anche sette pezzi unici attraverso i quali il designer Alfredo Häberli ha reinterpretato la prima sedia di Alias. Ma se – citando Keith Haring “l’arte è per tutti…” – lo stesso non si può dire per la Limited Edition pensata da Land Rover per celebrare i 67 anni di onorato servizio del Defender, che presto andrà in pensione e sarà proposto in tre diverse versioni: Adventure, Heritage e Paul Smith. Un’operazione che in pochi potranno permettersi ma che rispec-chia certamente la voglia di esclusività che ancora oggi “affligge” i design lover di tutto il mondo.

    di Davide Rota

    Le collezioni limited edi