SEPARAZIONE DEI CONIUGI APPENA SPOSATI E … · promessa di andare a convivere. Dal che...

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SEPARAZIONE DEI CONIUGI APPENA SPOSATI E COMUNIONE DI INTENTI FRUSTRATA. ADDEBITO A QUELLO COMPORTATOSI IN MANIERA OPPORTUNISTA di Vittorio Santarsiere Tribunale di Milano 8 marzo 2012 - Pres. Servetti - Est. Centonze - P.M. (concl. conf.) - E. R. (Avv. Barbares) c. C. G. D. (cont.) Separazione dei coniugi - Cittadini italiano e straniera - Legge e giurisdizione italiane - Unione matrimoniale - Non costituita - Frustrazione delle aspettative di un coniuge - Responsabilità per la separazione - Presupposti - Addebito (C.c., art. 151. L. 31 maggio 1995 n. 218, art. 31. Reg. CE 27 novembre 2003 n. 2201, art. 3, comma 1, lett. a) ) E’ fondata e va accolta la domanda di separazione dei coniugi quando dagli atti processuali emerga che, dopo celebrato il matrimonio, un coniuge si allontani e rifiuti di vivere con il partner, precludendo qualsiasi rapporto (anche intimo); impedisca di creare la comunione materiale e spirituale, che caratterizza il vincolo matrimoniale, svolgendo incessanti richieste di denaro al marito con promessa di andare a convivere. Dal che scaturiscono i presupposti per l’addebito della separazione alla moglie, la quale, con la sua condotta chiaramente opportunista, ha impedito il costituirsi della comunione di intenti e la condivisione di progetti caratterizzanti l’unione coniugale, frustrando irrimediabilmente le aspettative del marito. [In senso conforme: Cass. 23 marzo 2005 n. 6276. Trib. Prato 10 novembre 2009] (Omissis) Con ricorso depositato il 21 giugno 2010, il Sig. E. R. ha adìto il Tribunale chiedendo dichiararsi la separazione dal coniuge D. C. G., sposata a Milano il 31 luglio 2009, senza figli e in comunione dei beni con addebito alla moglie. All’udienza del 26 ottobre 2010 il Presidente, verificata la regolarità della notificazione degli atti introduttivi del giudizio, dando atto della mancata ./.

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SEPARAZIONE DEI CONIUGI APPENA SPOSATI E COMUNIONE DI INTENTI

FRUSTRATA. ADDEBITO A QUELLO COMPORTATOSI IN MANIERA

OPPORTUNISTA

di Vittorio Santarsiere

Tribunale di Milano 8 marzo 2012 - Pres. Servetti - Est. Centonze - P.M. (concl.

conf.) - E. R. (Avv. Barbares) c. C. G. D. (cont.)

Separazione dei coniugi - Cittadini italiano e straniera - Legge e giurisdizione

italiane - Unione matrimoniale - Non costituita - Frustrazione delle aspettative

di un coniuge - Responsabilità per la separazione - Presupposti - Addebito

(C.c., art. 151. L. 31 maggio 1995 n. 218, art. 31. Reg. CE 27 novembre 2003 n.

2201, art. 3, comma 1, lett. a) )

E’ fondata e va accolta la domanda di separazione dei coniugi quando dagli atti

processuali emerga che, dopo celebrato il matrimonio, un coniuge si allontani e

rifiuti di vivere con il partner, precludendo qualsiasi rapporto (anche intimo);

impedisca di creare la comunione materiale e spirituale, che caratterizza il

vincolo matrimoniale, svolgendo incessanti richieste di denaro al marito con

promessa di andare a convivere.

Dal che scaturiscono i presupposti per l’addebito della separazione alla moglie,

la quale, con la sua condotta chiaramente opportunista, ha impedito il costituirsi

della comunione di intenti e la condivisione di progetti caratterizzanti l’unione

coniugale, frustrando irrimediabilmente le aspettative del marito.

[In senso conforme: Cass. 23 marzo 2005 n. 6276. Trib. Prato 10 novembre

2009]

(Omissis) Con ricorso depositato il 21 giugno 2010, il Sig. E. R. ha adìto il

Tribunale chiedendo dichiararsi la separazione dal coniuge D. C. G., sposata a

Milano il 31 luglio 2009, senza figli e in comunione dei beni con addebito alla

moglie.

All’udienza del 26 ottobre 2010 il Presidente, verificata la regolarità della

notificazione degli atti introduttivi del giudizio, dando atto della mancata

./.

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comparizione della resistente e dell’impossibilità di esperire il tentativo di

conciliazione, ha sentito personalmente il ricorrente e quindi ha pronunciato i

provvedimenti provvisori ed urgenti seguenti:

“Autorizza i coniugi a vivere separati con l’obbligo del reciproco rispetto; non

dispone in ordine all’assegnazione della casa coniugale dal momento che da un

lato non vi sono elementi neppure per ritenere che l’immobile di via T. abbia

mai rappresentato la casa coniugale e, dall’altro non essendovi prole minore

della quale debbano essere garantite le esigenze abitative. In ogni caso

l’immobile non risulta oggi di proprietà di nessuna delle parti e, peraltro, non

risulta che il proprietario abbia inteso concedere in comodato alla famiglia

l’immobile de quo. Il diritto di usufrutto del ricorrente, peraltro pro quota, è

stato in ogni caso costituito dopo il ricorso e quindi non risulta che i coniugi

avessero neppure un diritto reale o personale di godimento nell’immobile

stesso. Non vi sono peraltro richieste di carattere economico e, considerata la

giovane età delle parti e la sostanziale inesistenza di una vita comune, deve

escludersi la sussistenza di obblighi reciproci di mantenimento scaturente dal

matrimonio”.

Contestualmente ha nominato il Giudice istruttore e fissato l’udienza di

comparizione e trattazione per il giorno 15 marzo 2011. In tale udienza,

verificata la ritualità della notifica dell’ordinanza presidenziale alla resistente,

non comparsa, ne ha dichiarato la contumacia; quindi, all’esito dell’istruttoria, la

causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 29 novembre 2011.

La domanda principale di separazione è fondata e va accolta.

Deve preliminarmente ritenersi la giurisdizione italiana a decidere della

controversia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a) del Reg. CE 2201/2003: il

ricorrente è infatti cittadino italiano, residente in Italia (cfr. doc. 2).

Quanto alla legge applicabile, rilevato che i coniugi - avendo nazionalità

differenti - non hanno una legge matrimoniale comune, dovrà farsi applicazione,

ex art. 31 legge 218/95, della legge italiana essendosi qui prevalentemente

svolta la, seppur breve, vita matrimoniale.

La natura delle doglianze mosse dall’attore, la mancata comparizione della

convenuta all’udienza presidenziale per l’espletamento del tentativo di

conciliazione e il suo totale disinteresse per le sorti del giudizio sono invero

elementi tutti idonei a rivelare la sussistenza di una situazione di intollerabilità

./.

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allo stato della prosecuzione della convivenza tra le parti; ricorrono pertanto i

presupposti di cui all’art. 151, 1° comma, c.c. per pronunciare la richiesta

separazione personale tra le parti. Sussistono inoltre i presupposti per

addebitare la separazione alla moglie.

Nel corso dell’istruttoria, infatti, i testi hanno tutti confermato che dalla data

di celebrazione del matrimonio la Signora D. C. G.:

- si è allontanata dall’appartamento in Milano, via T. n. 16 per non farvi più

rientro; - si è rifiutata di vivere con il marito e di avere con lo stesso qualsiasi

rapporto (anche intimo); - non ha mai coabitato con il ricorrente; - ha impedito

di creare la comunione spirituale e materiale che caratterizza il vincolo

matrimoniale; ha sempre svolto incessanti richieste di denaro con la promessa

che sarebbe andata a vivere con il Signor R.

Il teste M. A. B., dopo avere precisato di non avere assistito alla celebrazione

del matrimonio, in quanto la Signora D. voleva una cerimonia intima, ha

confermato di essere stato chiamato nel tardo pomeriggio del 31 luglio 2009 dal

ricorrente, il quale alternava momenti di preoccupazione e tristezza poiché la

moglie, accampando la scusa di dovere tornare a casa propria per prendere

degli effetti personali, non aveva fatto più rientro in via T. Il teste ha precisato di

essersi personalmente recato quella stessa sera dal ricorrente per confortarlo e

di essere stato raggiunto anche dal fratello di questi, L.. Egli inoltre ha

confermato di avere assistito a due telefonate dalla Signora D. a E. R. nelle quali

costei chiedeva dei soldi per andare a vivere in via T.

Il teste L. R., fratello del ricorrente, unico proprietario dell’immobile in Milano

via T. n. 16, ha dichiarato di essere venuto a conoscenza del matrimonio del

fratello il giorno stesso della celebrazione con una telefonata da parte di E., che

sino a quel momento glielo aveva tenuto nascosto; ha dichiarato di avere visto

la Signora D. una sola volta in auto con il fratello e di avere manifestato

contrarietà alla loro relazione. Come l’amico M. B., ha dichiarato di non essere

stato presente al matrimonio e di essere stato contattato dal fratello dopo il

rinfresco, poiché la moglie si era allontanata senza fare ritorno. Quindi si era

recato da E. la sera stessa ed aveva appreso che la Signora D., dalla data di

celebrazione del matrimonio, aveva svolto incessanti richieste di denaro, con la

promessa che sarebbe andata a vivere con il ricorrente. Il fratello era infatti

giunto al punto di chiedergli la divisione dei beni in comunione ereditaria per

liquidare la sua quota ed egli stesso si era personalmente impegnato a fare

./.

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fronte ai finanziamenti contratti da E. per tale ragione; peraltro, il fratello aveva

venduto un box a un prezzo vile ed un’auto per ricavare del denaro che era

stato incassato direttamente dalla Signora D.

La teste F. V. M., vicina di casa di E. R., ha riferito di avere visto la Signora D.

entrare in casa del ricorrente in sua assenza con un’altra persona: subito dopo e

accorso sul posto il Sig. L. R. aveva verificato che erano sparite le buste paga del

fratello, alcuni documenti relativi a trasferimenti immobiliari, le pellicce della

madre deceduta ed alcuni gioielli. Le porte non erano forzate (cfr. per tutti i

testi verb. ud. del 27 settembre 2011).

Alla luce di quanto emerso in sede istruttoria, deve concludersi nel senso

dell’addebito di responsabilità per la separazione alla ricorrente (resistente) D.

C. G. E’ evidente infatti che il suo comportamento, chiaramente opportunista,

ha impedito il costituirsi di quella comunione di intenti e condivisione di progetti

che caratterizza l’unione matrimoniale, così frustrando irrimediabilmente le

aspettative del ricorrente.

Nessun ulteriore provvedimento deve essere assunto, in mancanza di figli

minori e non essendo state formulate domande di natura economica. Le spese

seguono la soccombenza (Omissis).

--==00O00==--

La celebrazione del matrimonio segna l’inizio dei diritti e dei doveri tra i coniugi,

alla cui trasgressione, con il diniego di ogni forma di comunione materiale/

spirituale, può domandarsi al giudice la separazione. La formazione della società

coniugale, se difettiva - da subito dopo la celebrazione del vincolo - della

convivenza, della comune organizzazione domestica, dei normali rapporti

affettivi, comporterebbe grave offesa per la dignità del coniuge, che confidava

nel buon esito del matrimonio.

I doveri scaturenti dal significativo legame rivestono natura giuridica e morale,

sicché gli istituti del diritto di famiglia, che venissero disattesi, aggredendo i

diritti fondamentali della persona, ricevono tutela sia con le misure tipiche del

diritto di famiglia sia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente

garantiti. La frattura precorrente la separazione dei coniugi può dipendere dal

distacco e disaffezione di una sola delle parti o di entrambe.

./.

- 5 -

L’attore ha domandato un iter giurisdizionale contenuto: separazione, addebito

di essa alla moglie. Avrebbe potuto delinearsi la configurazione del danno non

patrimoniale, posto che il coniuge negletto ambiva usufruire del rapporto di

coniugio e delle conseguenziali vicende, piacevoli e tristi, caratterizzanti lo scopo

teleologico del vincolo stesso. Ha, invece, subìto perdite di progettualità e

rinunzia alla comunione sperata, in conseguenza della condotta della moglie,

che ha disatteso i doveri del proprio nuovo stato. La inosservanza dei diritti

fondamentali della persona costituisce fonte di responsabilità civile, per cui il

coniuge irrispettoso può essere condannato anche al risarcimento dei danni ex

artt. 2043 e 2059 c.c.

Sommario: 1. Nozione. - 2. Norme di legge. - 3. Fondamento giuridico. - 4. Oggetto. - 5. Tutela giurisdizionale 1. NOZIONE La sentenza in epigrafe costituisce il primo step volto a “far dimenticare” un

matrimonio singolare tra cittadino italiano (anni 48) e cittadina straniera (anni

24).

Il rapporto di coniugio si è protratto il tempo di un rinfresco, svoltosi

nell’abitazione del marito, di poi la moglie, adducendo di andare a prendere

degli effetti personali alla propria casa, si allontanava senza più tornare dal

coniuge.

Ha rifiutato di vivere col marito, di intrattenere rapporti affettivi con lui, di

creare la comunione spirituale e materiale, propria dell’unione matrimoniale.

Ha, però, svolto incessanti richieste di denaro a mezzo telefono, prospettando

che sarebbe andata a convivere.

Ora, il matrimonio ha la propria spiegazione giuridica nella sua causa, che è la

formazione della società coniugale, assetto di stabile comunione materiale e

spirituale, risultato cui ambiva l’attore. La moglie potrebbe, invece, ritenersi che

mirasse a vantaggi meno eccellenti come la dazione di denaro, il permesso di

soggiorno, la cittadinanza, lo status coniugale, la comunione dei beni.

In questo giudizio il ricorrente domanda di dichiararsi la propria separazione

dal coniuge con l’addebito alla moglie, ricorrendo la violazione dei doveri

./.

- 6 -

scaturenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della

separazione (causa petendi), dalle cui statuizioni deriveranno conseguenze

patrimoniali come la perdita del diritto al mantenimento, della qualità di erede

legittimo e riservatario (petitum).

L’attore delinea con la propria domanda un iter giurisdizionale soft rientrante

nella normativa del diritto di famiglia, limitato com’è alla pronunzia di

separazione ed all’addebito nei confronti dell’altra parte.

Affermato in giurisprudenza che vìola i doveri coniugali ex art. 143 c.c. la

moglie (straniera) che dopo avere contratto matrimonio con un cittadino

italiano solo per ottenere il permesso di soggiorno, fin dalla data delle nozze,

nega al coniuge ogni forma di comunione materiale e spirituale, sicché sul

partner offeso non grava onere alcuno di mantenimento nei confronti della

moglie (1).

E’ noto che la sanzione derivante dal solo addebito potrebbe rivelarsi vana,

persino dannosa per il coniuge negletto. La statuizione sarebbe certamente

punitiva, ma non satisfattoria e, all’uopo, si potrebbe domandare anche la

sussunzione del caso agli artt. 2043 e 2059 c.c., bene applicabili ai rapporti

personali tra i coniugi nel caso di condotte patrimonialmente valutabili.

Per enunciato della Cassazione, la natura, la funzione ed i limiti della

separazione, nonché la cessazione del vincolo coniugale rendono evidente che

queste norme sono strutturalmente compatibili con la tutela generale dei

diritti. Non escludono, quindi, statuizioni di natura patrimoniale con la rilevanza

del comportamento quale fatto di responsabilità aquiliana (2).

Rilevato in dottrina che l’addebito della separazione non “soffriva” la

cumulabilità di risarcimenti ulteriori, salvo che vi fossero specifici danni

patrimoniali rientranti nella responsabilità di uno dei coniugi. Di poi, la

violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio, causa di intollerabilità della

convivenza, si è ritenuto possa determinare anche il danno ingiusto da risarcire

secondo lo schema della responsabilità aquiliana, facendo questa ingresso

nell’ambito più interno e “geloso” del diritto di famiglia (3).

./.

(1) Trib. Prato 10 novembre 2009, in Codice civile a cura di Caringella, Buffoni,

Della Valle, Roma, 2011, 260.

(2) Cass. 10 maggio 2005 n. 9801, in Fam. dir., 2005, 368.

(3) Dogliotti, Nota a Trib. Firenze 13 giugno 2000, in Fam. dir., 2001, 168

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2. NORME DI LEGGE

Sotto la rubrica “Diritti e doveri reciproci dei coniugi” sancisce l’art. 143 c.c. che

con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i

medesimi doveri.

Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e

materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione …

I doveri trasgrediti nel caso sub iudice per iniziativa della moglie, precludenti la

comunione materiale e spirituale dei coniugi, sono segnatamente: l’omissione

dell’assistenza morale e materiale, la collaborazione per l’interesse della

famiglia, la coabitazione.

L’assistenza morale/materiale annovera tutte le condotte di reciproco

sostegno nell’aspetto affettivo, psicologico, spirituale, come, pure,

dell’interessamento scambievole riguardo ai bisogni ed alle attese dell’altro

coniuge.

Circa la collaborazione all’interesse della famiglia, gli interpreti propendono

che vi rientri il peculiare significato del dovere di prestare la propria operosità

personalmente, non sostituibile con la messa a disposizione di mezzi economici.

Il dovere di coabitazione si estrinseca nell’abitare sotto lo stesso tetto,

serbando comunione di vita, comprensiva dello ius in corpore.

Recita l’art. 151 c.c. che la separazione può essere chiesta quando si

verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i

coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da

recare grave pregiudizio alla educazione della prole.

Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le

circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione

in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal

matrimonio.

L’articolo è dettato con riferimento alla convivenza dei coniugi la cui

prosecuzione sia divenuta intollerabile, il tribunale giudicante vi sussume la

fattispecie di due coniugi che non hanno proprio intrapreso la convivenza. Dopo

contratto il matrimonio vi è stata la totale mancanza di unione dei coniugi,

difetto non indifferente su cui si radica l’attenuazione del vincolo, mediante la

pronunzia della separazione, che autorizza le parti a vivere separati.

./.

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Il conflitto non abbisogna di muovere da entrambi i coniugi, la frattura del

rapporto può scaturire dalla disaffezione, distacco spirituale di uno solo di essi.

Nel caso di coniuge di cittadinanza diversa, dispone l’art. 3, comma 1, lett. a),

del Regolamento CE 27 novembre 2003 n. 2201 che sono competenti a decidere

sulle questioni inerenti … alla separazione personale dei coniugi … le autorità

giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio si trova: - la residenza

abituale dei coniugi o l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi

risiede ancora o la residenza abituale del convenuto … o la residenza abituale

dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima

della domanda …

Ora, nella fattispecie de qua agitur uno dei coniugi separandi non è italiano e

il Tribunale giudicante ritiene la propria competenza, perché l’attore, cittadino

italiano, qui risiede abitualmente. Secondo la giurisprudenza si deve intendere

come “residenza abituale” del ricorrente il luogo in cui questi abbia fissato con

carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e

relazioni. Rileva per il diritto comunitario, ai fini della identificazione della

residenza effettiva, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita

personale, eventualmente lavorativa, alla data di proposizione della domanda

(4).

Una paradigmatica sentenza della Corte di Lussemburgo dice che il sistema di

ripartizione delle competenze introdotte dal Regolamento CE n. 2201 del 2003,

in tema di scioglimento del vincolo matrimoniale, non volge ad escludere

competenze giurisdizionali. E’, invece, prevista esplicitamente la coesistenza di

più giudici competenti senza gerarchia tra di essi (5).

Per l’art. 31 l. 31 maggio 1995 n. 218, la separazione personale e lo

scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei

coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento dei

matrimonio; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita

matrimoniale risulta prevalentemente localizzata. Da questa norma viene

inferita la legge applicabile alla fattispecie, posto che i coniugi di nazionalità

./.

(4) Cass. - Sez. un. 17 febbraio 2010 n. 3680, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010,

753.

(5) Corte giust. 16 luglio 2009, C-168-08, L. H. v. C. M. M., Racc. 2009, I 06871, p.

72.

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differenti mancano di una legge nazionale comune e la fugace vita matrimoniale

si è svolta in Italia.

Il comma 1 dell’articolo in commento annovera un criterio principale quanto

alla legge applicabile alla separazione con altro sussidiario e bene si addice

questo al caso qui riportato. Il secondo criterio di collegamento alla legge dello

Stato nel quale risultò prevalentemente localizzata la vita matrimoniale ha fatto

proprio anche altro giudice di merito (6).

3. OGGETTO

Nella fattispecie sub iudice gli interessi che portarono i coniugi al matrimonio

erano celati e di segno antagonista, lui perseguiva la formazione della società

matrimoniale, assetto di stabile comunione materiale e spirituale, lei ambiva

diversi tornaconti, forse di ottenere il permesso di soggiorno, la cittadinanza,

soprattutto elargizioni di denaro. Ma il vincolo che imprudentemente

contrassero importa gli obblighi reciproci alla fedeltà, all’assistenza morale e

materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia ed alla coabitazione.

La trasgressione in toto ed immediata di questi doveri ha indotto il marito ad

adìre le vie legali per liberarsi dall’incomodo status, caratterizzato dal distacco e

disaffezione della moglie.

Una voce dottrinale, riferendosi ad antica pronunzia di legittimità, parla del

matrimonio determinato nell’aspetto materiale dalla convivenza ed

organizzazione domestica comune, dal reciproco aiuto personale e dai rapporti

sessuali (consortium vitae). Dal punto di vista spirituale rileva l’esistenza

dell’animo disposto a riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di

vita ed a rispondere dei principali doveri coniugali, anche quando la solidarietà

esiga sacrificio (affectio coniugalis). Deriva che la irrimediabile cessazione della

comunione matrimoniale implica il venire meno di entrambi gli aspetti,

materiale e spirituale. L’allontanamento fisico di un coniuge si traduce nel

dissolvimento della comunione di vita al mancare anche del minimo di una

organizzazione domestica (7).

./.

(6) Trib. Pordenone 14 settembre 2005, in Riv. dir. int. priv. proc., 2006, 185.

(7) Santosuosso, Il matrimonio - Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari,

in Diritto di famiglia diretto da Sesta, Torino, 2011, 739.

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Non v’è dubbio, si osserva in giurisprudenza, che il rifiuto di intrattenere

rapporti affettivi con il coniuge costituisca gravissima offesa per la dignità e

personalità del partner. La situazione provoca oggettivamente senso di

frustrazione e disagio, spesso causa irreversibili danni al coniuge incolpevole sul

piano del suo equilibrio psicofisico. Simile contegno integra la violazione del

dovere di assistenza morale e materiale sancito dall’art. 143 c.c., alla cui nozione

si ricomprendono tutti gli aspetti di sostegno nei quali, con riferimento anche

alla sfera affettiva, si estrinseca il concetto di comunione. Si tratta di un dovere

che non può non essere il riflesso precettivo del legame sentimentale su cui

realmente può reggersi il rapporto di coppia. E il rifiuto all’assistenza ovvero

alla prestazione sessuale non può che costituire addebito della separazione,

privando l’altro coniuge del soddisfacimento delle proprie attese affettive (8).

Riguardo alla violazione del dovere di coabitazione, viene segnalata la

caratteristica peculiare della connessione di essa con la violazione del dovere di

assistenza morale e materiale. Va da sé che più di ogni altro dovere coniugale

quello dell’assistenza richiede, per il suo adempimento, la convivenza dei

coniugi. Caratteristica del dovere di coabitazione è che la sua violazione prevede

una sanzione diretta, prescindendo dalla necessità di esperire il giudizio di

separazione. L’art. 146 c.c. statuisce, infatti, l’automatica sospensione del diritto

all’assistenza morale e materiale per il coniuge che, senza giusta causa, lasci la

residenza familiare, rifiuti di farvi ritorno, benché in tal senso richiesto da parte

dell’altro coniuge (9).

In caso di separazione occorre di volta in volta riscontrare la sussistenza dei

fatti che la giustificano. Essi potrebbero essere di estrema gravità, sì da

integrare i presupposti del divorzio, ma, anche in questi casi di frattura

irreparabile della vita matrimoniale i coniugi potrebbero scegliere la soluzione

interlocutoria della separazione. Questa non preclude la possibilità di ricostruire

il nucleo familiare, dispensandoli dall’osservanza degli obblighi della convivenza

(10).

I doveri che derivano dal matrimonio hanno natura giuridica oltreché morale,

./.

(8) Cass. 23 marzo 2005 n. 6267, in Giust. civ., 2006, I, 2910.

(9) Contiero, I doveri coniugali e la loro violazione, Milano, 2012, 157.

(10) Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia le successioni, Milano, 2005, 192.

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così è ravvisabile un diritto soggettivo del coniuge nei confronti dell’altro a

comportamenti conformi a detti obblighi. E, nel caso di violazione vengono in

rilievo le condotte che, per la loro intrinseca gravità si pongono come fatti di

aggressione ai diritti fondamentali della persona. Ora, si deve escludere che la

violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, attraverso condotte di

aggressione ai diritti fondamentali della persona, riceva la propria sanzione in

nome della presunta specificità e completezza del diritto di famiglia

esclusivamente nelle misure tipiche previste da tale branca: separazione,

addebito di essa, divorzio, sospensione del diritto all’assistenza morale e

materiale. C’è, invece, compatibilità degli istituti di diritto di famiglia con la

tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, sicché consegue la

rilevanza di un comportamento ai fini della separazione o cessazione del vincolo

coniugale come delle statuizioni di natura patrimoniale, quale fatto generatore

di responsabilità aquiliana (11).

La pronunzia di separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in

situazioni di intolleranza della convivenza, oggettivamente apprezzabili e

giuridicamente controllabili. La frattura può dipendere dal distacco e

disaffezione di una sola delle parti, sicché il giudice deve accertare, in base ai

fatti obiettivi emersi, compreso il comportamento processuale delle parti e le

risultanze del tentativo di conciliazione, la esistenza, pure in un solo coniuge,

della disaffezione al matrimonio, tale da rendere incompatibile la convivenza

(12).

La dottrina da tempo auspica l’abrogazione dell’addebito e della stessa

separazione giudiziale, posto che, venuto meno il principio di indissolubilità del

matrimonio, il rimedio alla crisi della convivenza è unicamente lo scioglimento di

esso. La separazione sarebbe una sorta di “doppione”, che rende il recupero

dello stato libero una vera e propria “via crucis”. La giurisprudenza, in attesa

dell’auspicata abrogazione dell’addebito, interpreta restrittivamente tale

istituto (13).

./.

(11) Cass. 10 maggio 2005 n. 9801, in op. cit.

(12) Cass. 29 marzo 2011 n. 7125, in leggiditalia.it

(13) Morace Pinelli, Violazione dei doveri matrimoniali e responsabilità civile, in

Giust. civ., 2006, I, 102.

- 12 -

Viene ritenuto che l’eliminazione dell’addebito porterebbe i coniugi a più miti

consigli, inducendoli a regolare, d’accordo tra di loro, gli assetti per il tempo di

attenuazione e scioglimento del matrimonio. Ma non si tiene conto che forse il

rimedio sarebbe peggio del problema, perché volgerebbe contro il monito,

proclamato dalla Cassazione sul finire del secolo scorso, di evitare le rendite

parassitarie ed ingiustificate proiezioni di un rapporto personale sciolto (14).

Con l’abrogazione dell’addebito sarebbe quanto mai pressante accelerare i

tempi dello scioglimento del matrimonio, ma la resistenza politica finora non lo

ha permesso.

L’ordinamento italiano prevede che la separazione legale (consensuale o

giudiziale) si protragga tre anni. Vi sono stati vari progetti di riforma volti ad

abbreviare tale lungo periodo per addivenire allo scioglimento del matrimonio.

La proposta n. 2444, presentata il 28 febbraio 2002 dai Deputati Montecchi

più altri, prevedeva la riduzione dei termini per presentare la domanda di

scioglimento del matrimonio da tre ad un anno, decorrente dal giorno di

comparizione avanti al Presidente del tribunale. Il 23 ottobre 2003 l’Assemblea

bocciò a scrutinio segreto la proposta con 218 voti contrari e 202 favorevoli.

Altre proposte di modifica con analogo contenuto ma più articolate sono state

presentate e rimaste senza discussione.

Le prevalenti resistenze ideologiche non permettono modifiche migliorative

della materia, quando una opportuna rivisitazione ci porterebbe nell’alveo della

cultura europea.

4. FONDAMENTO GIURIDICO

Il diritto di contrarre matrimonio è un momento essenziale di espressione della

dignità umana, esso deve garantirsi a tutti senza discriminazione, fatta

eccezione per quei cittadini che si trovassero negli status indicati dalla legge

(artt. 84 - 89 c.c.).

Il matrimonio, come notato in dottrina, è un negozio afferente all’amore tra

due persone di sesso diverso, amore che non è mero vagheggiamento

sentimentale, ma che si esprime attraverso una lunga serie di comportamenti

esterni e suscettibili di valutazione giuridica. Esso è garantito dal diritto, in

./.

(14) Cass. - Sez. un. 29 novembre 1990 n. 11490, in Foro it., 1991, I, 87.

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quanto persegue, attraverso la creazione del consorzio di vita coniugale, una

funzione sociale, qual è l’organizzazione della famiglia. La materia tange i

sentimenti più riposti e l’importanza sociale del vincolo sta nella “comunione

materiale e spirituale” di vita dei coniugi (15).

L’istituto stesso non può essere impiegato per scopi estranei a quello che ne

costituisce il fondamento, vale a dire la creazione di quella particolare unione

tra uomo e donna, che è l’essenza e la sola ragione di esso (16).

Si è rilevato che la separazione giudiziale dei coniugi assolve una pluralità di

funzioni: conservare il vincolo coniugale nell’intento di una futura

riconciliazione; anticipare alcuni effetti dello scioglimento del vincolo;

privilegiare una situazione alternativa e durevole allo scioglimento del

matrimonio. La separazione stessa consta, inoltre, della finalità di tutelare la

persona in relazione ai disagi derivanti dal conflitto coniugale (17).

Quanto all’addebito della separazione, la dottrina indica come esso avrebbe la

funzione di evitare al coniuge - che ha patito una convivenza non solo fallita, ma

travagliata da una condotta dell’altro contraria agli impegni assunti con il

matrimonio - di restare legato a questo ultimo dagli obblighi di assistenza e dai

vincoli di carattere creditorio (18).

Base dell’addebito della separazione non sarebbe tanto il proposito di

colpevolizzare il coniuge autore della condotta illecita, quanto quello di tutelare

il coniuge danneggiato. Questi, a seguito dell’addebito, si potrà svincolare dai

doveri che rimarrebbero a suo carico (mantenimento, contribuzione), sebbene

separato. La legge indica chiaramente che l’addebito deve essere ricondotto alla

violazione dei doveri coniugali (19).

./.

(15) Finocchiaro (F.), Matrimonio civile - Formazione, validità, divorzio, Milano,

1997, 16.

(16) Trib. Modena 23 gennaio 1987, in Foro it., 1988, I, 966.

(17) Cubeddu, La separazione, in Diritto della famiglia di Patti, Cubeddu, Milano,

2011, 445.

(18) Calogero, La separazione giudiziale, in Trattato di diritto di famiglia diretto

da Zatti, I, Famiglia e matrimonio a cura di Ferrando, Fortino, Ruscello, t. 2,

Milano, 2011, 1406.

(19) Suppa, La separazione giudiziale, in Gli aspetti di separazione e divorzio

nella famiglia a cura di Oberto, Padova, 2012, 420.

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5. TUTELA GIURISDIZIONALE

La fattispecie in commento viene polarizzata entro un iter giurisdizionale

contenuto, ma un’audacia più incalzante avrebbe potuto mirare al risarcimento

del danno non patrimoniale per responsabilità aquiliana.

Il danno non patrimoniale si identifica con la lesione di un interesse protetto

dall’ordinamento e concerne utilità per le quali non v’è un mercato,

specificamente si tratta di aspettative inerenti la persona, difettive di rilevanza

economica. E, alla ricorrenza di norme o princìpi desumibili dall’ordinamento

positivo, intese a tutelare un interesse non patrimoniale, il danno in parola può

configurare sia un diritto soggettivo, sia un interesse legittimo.

Nel caso de quo agitur il coniuge abbandonato non è rimasto insensibile al

disappunto sopravvenuto, egli desiderava usufruire del rapporto di coniugio con

le vicende piacevoli e tristi. Ha subìto perdite di progettualità e rinuncia ad una

comunione voluta, in conseguenza della condotta trasgressiva tenuta dalla

moglie con aperta, grave violazione dei doveri matrimoniali.

Per frequente giurisprudenza, la violazione dei doveri giuridici nascenti dal

vincolo coniugale si abbina con la responsabilità risarcitoria extracontrattuale

quando siano lesi diritti fondamentali ed inviolabili della persona anche

costituzionalmente rilevanti (l’onore, la dignità). Le sanzioni collegate

all’addebitabilità della separazione hanno funzione punitiva non soddisfattoria,

così il coniuge trasgredente deve risarcire l’altro ex artt. 2043 e 2059 c.c. I danni

arrecati a questo ultimo dalla condotta illecita vanno ripagati con l’esborso di

denaro quantificabile anche in via presuntiva (20).

Rilevato ancora che il risarcimento del danno per l’art. 2043 c.c. è possibile

nell’ambito dei rapporti fra coniugi anche indipendentemente dall’addebito in

sede di separazione. Ciò se la condotta di un coniuge fosse contraria ai doveri

del matrimonio, produca un danno ingiusto con la sussistenza del nesso di

causalità giuridicamente apprezzabile tra la condotta ed il danno (21).

La condotta del partner contraria ai doveri scaturenti dal matrimonio è idonea

a fondare non solo la pronuncia di addebito della separazione, ma pure quella di

responsabilità per i danni alla integrità psico-fisica e più in generale alla salute

./.

(20) Trib. Prato 18 febbraio 2010, in Dir. fam. pers., 2010, 1269.

(21) Trib. Venezia 3 luglio 2006, in questa Rivista, 2006, 2698 (s.m.).

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dell’altro coniuge con condanna al risarcimento del danno biologico (22).

Quando accertata la violazione dei doveri coniugali ex art. 143 c.c. si può

addivenire alla dichiarazione di addebito della separazione ad uno o ad

entrambi i coniugi. Di più, quale fonte di responsabilità aquiliana, per l’art. 2043

c.c., può riconoscersi al coniuge vittima della violazione del dovere coniugale il

risarcimento per il danno ingiusto subìto. A ciò si è giunti per magistero del

giudice delle leggi, che ha trattato della tematica della risarcibilità del danno alla

persona qualificato come danno biologico, vale a dire la lesione della integrità

psico-fisica del soggetto, bene costituzionalmente protetto. La Corte affermò

che la tutela di detto bene, mediante risarcimento del danno arrecato, si

consegue dall’applicazione dell’art. 2043 c.c., “norma in bianco” integrabile con

altri precetti a tutela di specifici beni giuridici. Sono così risarcibili le lesioni al

diritto alla salute a prescindere dai risvolti e conseguenze patrimoniali (23).

Gli interpreti affermano con chiarezza il principio per cui la violazione dei

doveri matrimoniali, quando si traduca nell’aggressione a diritti fondamentali

della persona, costituisce fonte di responsabilità civile. Deriva che il coniuge cui

sia imputabile una siffatta condotta può essere condannato al risarcimento dei

danni a norma degli artt. 2043 e 2059 c. c. in considerazione che anche il danno

non patrimoniale è risarcibile nei casi previsti dalla legge, nonché quando

l’illecito determini la lesione di valori costituzionalmente protetti (24).

Un contributo dottrinale risalente “dà il destro” per riportare, a mo’ di

esempio scolastico, la fattispecie in commento all’abuso del diritto, non

esplicitamente previsto nell’ordinamento positivo italiano. E’, infatti, possibile la

strumentalizzazione dell’istituto matrimoniale in considerazione del diritto di

contrarre tale unione. La libertà di sposarsi è data per il raggiungimento di un

fine specifico, la formazione di una famiglia legittima ex art. 29 Cost. Il singolo

può addivenire al matrimonio nei limiti teleologici di esso, non per ragioni

egoistiche immeritevoli di tutela giuridica. Si avrebbero diversamente

matrimoni strumentali non per costituire una società familiare, bensì per

ottenere vantaggi pratici quali un permesso di soggiorno, una cittadinanza, uno

status coniugale, la comunione legale dei beni. E i matrimoni strumentali sono

./.

(22) Trib. Firenze 13 giugno 2000, in Fam. dir., 2001, 161.

(23) Corte Cost. 14 luglio 1986 n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053.

(24) Morace Pinelli, in op. cit. 99.

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“abusivi”, contratti per motivi diversi dalla costituzione del nucleo familiare, in

concreto possono essere colpiti con la nullità del rapporto, stipulato come

“mezzo a fine” (25).

E molto rileva il rispetto del fondamento giuridico delle norme che

disciplinano il diritto di matrimonio, poiché si può contrarre allo scopo per cui è

approntato, ma quando da questo si deviasse l’abuso indebito andrebbe

sanzionato.

(25) Costanza, Sulla simulazione matrimoniale, in Riv. dir. civ., 1976, II, 682 ss.