Sentenza n. 545/2018 pubbl. il 26/01/2018 RG n. 6253/2015...2018/01/26  · Sentenza n. 545/2018...

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Sentenza n. 545/2018 pubbl. il 26/01/2018 RG n. 6253/2015 R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Roma Terza Sezione Civile composta dai signori magistrati Dott. Giuseppe Lo Sinno Presidente, relatore ed est., Dr.ssa Antonella Miryam Sterlicchio Consigliere Dott. Michele Di Mauro Consigliere, ha pronunciato la seguente S E N T E N Z Anella causa civile di II° grado iscritta al N. 6253/2015 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi, posta in decisione ex art.352 c.p.c. all’udienza del 12.09.2017 (con concessione dei termini ex art.190 c.p.c. di gg. 60 + 20 scaduti il 4.12.2017) e vertente tra T P + 8 tutti rapp.ti e difesi dagli avv.ti Stefano Mancini e Simona Cicchitti del foro di Roma e dom.ti in Roma, via Alberico II n.4, presso lo studio dell’avv. Stefano Palmieri, giusta delega in atti; - appellanti - c/ S dott. G rapp.to e difeso dall’avv. Giuseppe Padula del foro di Latina ed elettivamente dom.ta in Roma, via Degli Scipioni n.110, presso lo studio dell’avv. Nicola D’Ippolito, giusta delega in atti; - appellato - e ISTITUTO con sede in Sabaudia (LT), in persona del suo legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa dall’avv. Paolo Pasquali del foro di Latina ed elettivamente dom.ta in Roma, via Scipioni n.110, presso lo studio dell’avv. Nicola D’Ippolito, giusta delega in atti; - appellata e appellante incidentale - A ASSICURAZIONI S.p.A. con sede in Milano, corso Como n. 17, in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa dall’avv. Giuseppe r.g. n. […] 1 Firmato Da: LO SINNO GIUSEPPE Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: f910ef076612ee45d02ac4d33cb6505

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26/01/2018 RG n. 6253/2015

R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Roma

Terza Sezione Civile composta dai signori magistrati

Dott. Giuseppe Lo Sinno Presidente, relatore ed est., Dr.ssa Antonella Miryam Sterlicchio Consigliere Dott. Michele Di Mauro Consigliere,

ha pronunciato la seguente

“S E N T E N Z A” nella causa civile di II° grado iscritta al N. 6253/2015 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi, posta in decisione ex art.352 c.p.c. all’udienza del 12.09.2017 (con concessione dei termini ex art.190 c.p.c. di gg. 60 + 20 scaduti il 4.12.2017) e vertente

tra

T P + 8 tutti rapp.ti e difesi dagli avv.ti Stefano Mancini e Simona Cicchitti del foro di Roma e dom.ti in Roma, via Alberico II n.4, presso lo studio dell’avv. Stefano Palmieri, giusta delega in atti;

- appellanti - c/

S dott. G rapp.to e difeso dall’avv. Giuseppe Padula del foro di Latina ed elettivamente dom.ta in Roma, via Degli Scipioni n.110, presso lo studio dell’avv. Nicola D’Ippolito, giusta delega in atti;

- appellato -

e ISTITUTO con sede in Sabaudia (LT), in persona del suo legale rapp.te p.t.,

rapp.ta e difesa dall’avv. Paolo Pasquali del foro di Latina ed elettivamente dom.ta

in Roma, via Scipioni n.110, presso lo studio dell’avv. Nicola D’Ippolito, giusta delega

in atti;

- appellata e appellante incidentale - A ASSICURAZIONI S.p.A. con sede in Milano, corso

Como n. 17, in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa dall’avv. Giuseppe

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Incannò del foro di Roma ed elettivamente dom.ta in Roma, via Vespasiano n.17/A, presso lo studio del medesimo avvocato, giusta delega in atti;

- appellata –

(risarcimento danni per responsabilità medico/sanitaria).

CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da rispettivi atti e verbale dell’udienza di p.c..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 14.12.2012 e 13.05.2013 i sigg. TP + 8, in

proprio ed anche nella qualità di eredi della madre (per le prime tre), nonchè zia,

sig.ra N L, avevano convenuto innanzi al Tribunale di Roma l'Istituto S.r.l. ed il dr.

G S chiedendo l'accertamento della responsabilità degli stessi in relazione al

decesso della congiunta con la loro condanna, in solido, al risarcimento dei danni

subiti.

A sostegno della domanda deducevano che la sig.ra N, affetta da sindrome

psico/organica con deterioramento cognitivo, cardiopatia scleroipertesa,

incontinenza urinaria, con accertamento di necessità di assistenza continua

riconosciuta in sede di accertamento di invalidità civile, era stata ricoverata il 4

aprile 2003 presso l'Istituto e riconosciuta affetta da polineuropatia agli arti

inferiori con deficit deambulatorio, tremori, ed assumeva farmaci antiaggreganti,

farmaci per la cura del Parkinson e della patologia ischemico-ipertensiva.

Nel pomeriggio dello stesso giorno la figlia R T si era recata a trovare la madre

verso le ore 17,00 trovandola in stato di agitazione e si era trattenuta fino alla ore

20,30 provvedendo ad alimentarla.

Alle ore 6,30 del mattino successivo il dr. S aveva telefonato alla sig.ra P T

avvertendola che la madre era caduta la sera precedente e che a causa

dell'aggravarsi delle condizioni era stata trasportata all'Ospedale, dove era

arrivata solo alle ore 7,27 in quanto la prima ambulanza era giunta priva di medico a

bordo.

Al loro arrivo al Pronto Soccorso dell'Ospedale avevano trovato la madre in coma

con un grosso ematoma sulla parte destra del viso e dagli esami effettuati era

stata accertata la presenza di un vasto ematoma extra durale in sede temporo-

fronto-parietale causato dalla caduta dal letto.

La madre era stata portata d'urgenza a Roma in elicottero e malgrado

l'immediato intervento chirurgico era deceduta (in data 5 aprile 2003).

In seguito si era accertato che la madre era caduta alle ore 22,40 e che alle

cinque del mattino successivo aveva accusato un improvviso peggioramento e che

malgrado ciò solo alle 6,10 era stato contattato il 118 senza però chiarire le

condizioni della paziente tanto che l'ambulanza era giunta senza medico a bordo e

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che, di conseguenza solo alle 7,27 la paziente era arrivata presso l’ospedale

contattato.

Per i fatti era stato instaurato procedimento penale che si era chiuso con

sentenza di non doversi procedere per prescrizione in data 2 febbraio/2 aprile

2012.

Poiché anche il tentativo di mediazione non era andato a buon fine, gli attori

avevano chiesto il risarcimento del danno subito per effetto della tardiva

assistenza che era stata assicurata alla congiunta dopo la caduta e che aveva inciso

sulla determinazione dell'evento morte.

Innanzi al Tribunale si era costituito s.r.l. deducendo che nel caso di specie erano

state adottate le necessarie cautele mediante l’utilizzazione delle barre laterali di

contenimento del letto che la paziente aveva scavalcato nel tentativo di scendere

dal letto. Dopo la caduta erano stati assicurati i controlli necessari per il trauma

cranico riportato nella caduta, controlli ripetuti nel corso della notte e che avevano

consentito di accertare alle ore 5,00 una improvvisa perdita di coscienza. La

chiamata dell'ambulanza del servizio 118 era stata tempestiva non potendo

rispondere l'Istituto del tempo occorso al servizio 118 per trasportare la paziente

da Sabaudia all'Ospedale di Terracina che si era rilevato non attrezzato per la

patologia insorta tanto che era stato necessario un successivo trasporto con

eliambulanza a Roma; eccepiva la prescrizione della domanda proposta dai nipoti in

quanto il primo atto notificato all'Istituto era avvenuto in data 13 maggio 2013,

contestando anche la domanda di risarcimento danni iure hereditatis dal momento

che non vi era prova che la paziente fosse stata cosciente.

Chiedeva l'autorizzazione a chiamare in causa l'Assicurazione che la garantiva

per la responsabilità.

Si era costituito anche il dr. S eccependo la prescrizione quinquennale; nel

merito deducendo che il 4 aprile 2003 verso le ore 23,00 era stato avvertito dagli

infermieri che la paziente aveva scavalcato le barre di protezione del letto

cadendo a terra e riportando un trauma contusivo non cranico né commotivo in

regione zigomatica destra con piccola ferita sopracciliare. All'esame la paziente

rispondeva alle domande ed agli stimoli; i controlli vennero ripetuti nel corso della

notte anche da parte degli infermieri cui era stata richiesta una costante

osservazione. Alle ore 5,00 della mattina venne rilevato uno stato soporoso, con

rallentamento della risposta agli stimoli fisici con ipotonia dell'emisoma sinistro ed

inversione dei riflessi plantari bilateralmente.

Aveva provveduto ad infusione di diuretici in funzione antiipertensiva e di glicerolo

in funzione di antiedemigeno cerebrale. Contemporaneamente aveva provveduto a

contattare il Servizio 118 per il trasferimento della paziente all'Ospedale civile di

riferimento indicando all'operatore la gravità del quadro clinico. Dopo alcuni

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tentativi giunse un'ambulanza da Sabaudia che però, constatate le condizioni della

paziente, richiese l'intervento di altra ambulanza con medico a bordo. Giunta tale

ambulanza la paziente venne trasportata a Terracina. Di conseguenza era stata

assicurata alla paziente una corretta assistenza pur nella gravità della patologia

insorta.

Si era, infine, costituita la A Assicurazioni s.p.a. (chiamata in causa dall’Istituto)

eccependo che la garanzia non era operativa nei confronti dei medici non

dipendenti e che il dr. S non risultava essere un medico dipendente non essendo

inserito nei libri paga e matricola dell'Istituto; nel merito ha indicato che nei

confronti della paziente erano state apprestate tutte le necessarie precauzioni di

guisa che la caduta era stata accidentale. Dopo la caduta era stata assicurata la

necessaria assistenza con la sutura della piccola ferita che si era determinata

procedendo al controllo della paziente nel corso della paziente, controlli nel corso

dei quali la paziente aveva risposto agli stimoli. Inoltre nessun rimprovero poteva

essere rivolto al sanitario per aver chiamato il Servizio 118 per il trasporto presso

l'Ospedale di Terracina Ha chiesto la determinazione della quota di responsabilità

tra i soggetti responsabili ed ha eccepito la prescrizione della domanda di

risarcimento proposta dai nipoti della paziente; contestando, infine, la misura del

danno di cui era stato richiesto il risarcimento, proponendo azione di regresso nei

confronti del dr S.

Espletata una consulenza medico/legale la causa veniva decisa dall’adito

Tribunale con sentenza in data 22/25.07.2015 che rigettava la domanda e

compensava le spese del grado.

Con citazione notificata in data 15.10.2015 i sigg. T P + 8 hanno proposto

appello deducendo e sostenendo l’erroneità della sentenza di primo grado e

chiedendone la riforma.

Si sono costituiti in questo grado le tre parti appellate e ciascuna ha chiesto il

rigetto dell’appello (l’Istituto ha ribadito la domanda di manleva e chiesto in via di

appello incidentale la condanna della Compagnia di assicurazione alle spese del

primo grado).

All’esito della verifica della costituzione delle parti, rimessa ogni decisione circa

la necessità di ulteriori mezzi istruttori (come richiesti dagli appellanti), sono

state precisate le conclusioni all’udienza collegiale del 12.09.2017 dove la causa è

stata trattenuta per la decisione ai sensi dell’art.352 c.p.c. con concessione dei

termini fissati dall’art.190 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel rispetto delle previsioni dell’art.342 c.p.c. la parte appellante ha impugnato la sentenza di primo grado chiedendo, in via preliminare, la rinnovazione della ctu (richiamando le ragioni già palesate innanzi al Tribunale e le considerazioni tecniche dei proprie c.t.p.) e la totale riforma della decisione di primo grado in relazione alla negata sussistenza della allegata responsabilità della

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Struttura sanitaria (e del suo medico) per l’assistenza prestata alla paziente ivi ricoverata e poi deceduta in conseguenza di una caduta dal proprio letto.

I due aspetti di impugnazione vanno esaminati congiuntamente perché connessi ed attinenti alla stessa questione.

Ritiene la Corte che l’appello sia fondato e che vada riformata la s entenza di

primo grado senza necessità di una rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio.

In via preliminare, appare necessario mettere in evidenza come risulti del tutto

errato l’approccio dato dal Tribunale alla verifica dell’oggetto della controversia

(“osserva il giudicante che l'oggetto del presente giudizio attiene alla valutazione

della correttezza dell'assistenza prestata dal personale dell'Istituto Fisioterapico di Riabilitazione in relazione ai controlli eseguiti dopo la caduta al fine di valutare

le lesioni riportate, verificando se la diagnosi sia stata posta tempestivamente o, in

caso contrario nell'accertare quali sarebbero state le probabili conseguenze nel caso che fossero state apprestate tempestivamente le necessarie terapie”).

In verità la domanda che le parti attrici avevano proposto innanzi al Tribunale si presentava basata con due distinti addebiti di responsabilità: - uno rivolto, in special modo, alla Struttura Sanitaria (e riguardante il carente controllo e la carenza nella cura della paziente ivi ricoverata ciò avendo determinando la caduta della medesima dal letto ove era stata collocata) – un altro riferito ad entrambi i convenuti (e riguardanti le carenze dell’assistenza prestata alla paziente dopo la caduta e sino al momento in cui era stata chiamata l’ambulanza del 118).

In merito ai rilievi sollevati dalla parte appellante giova riportare la decisione del Tribunale che aveva così motivato il rigetto della domanda attrice (per l’aspetto della caduta della paziente ricoverata) – poiché questo consentirà di meglio comprendere le ragioni della decisione di questo Collegio.

Il Tribunale aveva motivato che <<per quanto riguarda la caduta è risultato

provato che il letto avesse le sponde laterali e che il rumore della caduta venne sentito dagli infermieri del reparto che si recarono immediatamente nella stanza.

Di conseguenza non appare esservi stato un ritardo nell'intervento di primo

soccorso da parte degli infermieri del reparto e del medico che ha provveduto

anche alla sutura della ferita.

Non appare, quindi, sussistere una responsabilità del personale dell'Ospedale nella

verificazione della caduta anche perché, da quanto risultante dalla cartella clinica o dalle deposizioni dei testi, non vi era alcuno stato di agitazione ritenuto fonte di

pericolo per sé o per gli altri che potesse giustificare interventi contenitivi, interventi che presuppongono una assoluta necessità e la assenza di qualsiasi altro

intervento idoneo a risolvere l'eventuale problema insorto per la sua efficacia

limitativa dei diritti del paziente, tenuto conto anche delle scadute condizioni della paziente con difficoltà alla deambulazione per problemi muscolari e neurologici

come attestati sia al momento del ricovero sia nella certificazione di invalidità>>.

A giudizio del Collegio risulta evidente l’errore del primo giudice nel non avere considerato il dato oggettivo della <<caduta>> della paziente ricoverata nella

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struttura sanitaria e della <<condizione>> psico/fisica della stessa paziente (soggetto che era stato ricoverato presso l’Istituto Fisioterapico di Riabilitazione con diagnosi di “polineuropatia agli arti inferiori con deficit deambulatorio, tremori…..” e che assumeva farmaci antiaggreganti e farmaci per la cura del morbo

di Parkinson, e con un precedente accertamento della Commissione medica AUSL per

accertamento dell’invalidità civile del 4.11.2002 che aveva indicato come diagnosi

“sindrome psicoorganica con deterioramento cognitivo, cardiopatia scleroipertensiva; incontinenza urinaria” e come giudizio finale “soggetto … con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita” - vedi allegati

n.1 e n.2 delle produzioni di I grado degli appellanti).

Tale situazione oggettiva doveva spingere l’analisi della controversia nella direzione della verifica del come la Struttura Sanitaria avesse adempiuto alla sua obbligazione contrattuale verso una persona ricoverata che si presentava in condizioni tali da necessitare di assistenza, cura e controllo adeguati alla sua condizione; e la circostanza oggettiva rappresentata dalla caduta nella serata del 4.04.2003 – ore 22,40 (e quindi nello stesso giorno del ricovero, avvenuto alle ore 11,00 circa) dimostra l’avvenuto inadempimento (od inesatto adempimento dell’obbligazione assunta) della struttura sanitaria appellata con onere di dare prova del contrario, posto che spettava alla stessa dimostrare di avere adempiuto la propria prestazione con la diligenza idonea ad impedire il fatto (confr. Cass. civ. 3 marzo 2010, n. 5067; Cass. civ. 10 ottobre 2008, n. 24992).

E’ noto, a tal riguardo, che accettando il ricovero del paziente, la struttura sanitaria stipula con lui un contratto da cui discendono, quali effetti naturali ex art. 1374 c.c., l’obbligo di apprestargli le cure mediche e l’obbligo di proteggerlo e sorvegliarlo, adeguato alle sue menomate condizioni di salute, per prevenire danni a terzi o alla sua persona (cfr. Cass. civ., sez. III, 22-10-2014, n. 22331), anche sul presupposto della specializzazione della struttura sanitaria come tale in grado di valutare (tramite il suo personale medico) le condizioni dei pazienti che accetta presso di sé e le necessità di cura ed assistenza necessarie (cfr. Cass. civ., sez. I, 10-11-1997, n. 11038); con l’ulteriore precisazione che “la presenza della capacità di intendere e di volere nel paziente ricoverato o l’assenza di condizioni per assoggettarlo a un trattamento sanitario obbligatorio non escludono l’obbligo di sorveglianza a carico della struttura sanitaria, con estensione e contenuto variabili in funzione delle circostanze del caso concreto” (così Cass. 22331/2014, già citata).

Nel caso in esame, quindi, la condizione sanitaria in cui si trovava la signora L N (di anni 78) doveva spingere la Struttura appellata ad adeguare i suoi comportamenti finalizzati alla protezione ed alla sorveglianza della medesima paziente tanto più perché si trattava della prima notte di degenza di un soggetto che risultava non essere del tutto in grado di muoversi (polineuropatia = patologia che interessa il sistema nervoso periferico e che interessa più nervi; e quando interessa gli arti inferiori può comportare difficoltà a salire o scendere scale, a camminare ecc.; e quindi anche a scendere da un letto).

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Va disatteso, pertanto, il ragionamento del primo giudice nel punto in cui

affermava che “non appare, quindi, sussistere una responsabilità del personale

dell'Ospedale nella verificazione della caduta anche perché, da quanto risultante

dalla cartella clinica o dalle deposizioni dei testi, non vi era alcuno stato di

agitazione ritenuto fonte di pericolo per sé o per gli altri che potesse giustificare

interventi contenitivi, interventi che presuppongono una assoluta necessità e la

assenza di qualsiasi altro intervento idoneo a risolvere l'eventuale problema

insorto per la sua efficacia limitativa dei diritti del paziente, tenuto conto anche

delle scadute condizioni della paziente con difficoltà alla deambulazione per

problemi muscolari e neurologici come attestati sia al momento del ricovero sia

nella certificazione di invalidità”.

Proprio quest’ultimo passaggio dimostra l’erroneità della decisione appellata

perché “tenuto conto anche delle scadute condizioni della paziente con difficoltà

alla deambulazione per problemi muscolari e neurologici come attestati sia al

momento del ricovero sia nella certificazione di invalidità” la Struttura Sanitaria

era tenuta ad adempiere la sua obbligazione (anche di sorveglianza della paziente)

in modo diligenze e puntuale.

L’avvenuta caduta (con le tragiche conseguenze ne sono derivate sino alla morte

della paziente) determina la prova dell’inesatto adempimento, ed in difetto di prova

che la sorveglianza praticata in concreto fosse stata idonea ed adeguata ad

evitare il danno per la paziente, sussiste la responsabilità della appellata Casa di

Cura con suo obbligo di risarcire i danni subiti dalla paziente.

L’ulteriore censura proposta dagli appellanti attiene alla responsabilità anche del

sanitario che ebbe a seguire la paziente dopo la caduta e sino al suo affidamento al

mezzo di trasporto per l’Ospedale di Terracina.

Anche su tale aspetto della vicenda si ritiene di dover pervenire ad una

decisione di riforma della decisione del primo giudice, il quale aveva motivato che

“occorre, a questo punto esaminare l'assistenza prestata alla paziente dopo la

caduta.

Per effetto della caduta è pacifico, a differenza di quanto dedotto dal S, che si

era verificalo un trauma cranico come confermato dalla annotazione della presenza

di una ferita lacero-contusa alla zona sopracciliare e dal vasto ematoma allo zigomo

ed alla regione periorbitaria per effetto dell'urto che, come accertato in seguito,

aveva anche determinato una frattura dello zigomo e della parete anteriore del

seno mascellare.

Il trauma cranico può produrre un danno definito primario che si manifesta al

momento del trauma, un danno secondario che può manifestarsi a distanza di ore o

giorni dal trauma ed è causato da complicazioni sistemiche o intracraniche, un

danno terziario (quale sensi, malattie tromboemboliche e polineuropatia) che può

comparire a distanza di giorni o settimane dal trauma.

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Per quanto riguarda la classificazione del trauma viene in genere utilizzata la scala

di Glasgow nella quale vengono valutate oltre le condizioni del paziente anche i

singoli fattori dì rischio quali la incertezza sulle modalità della verificazione del

trauma, la presenza di amnesia posi-traumatica o retrograda, segni clinici di

frattura del cranio, grave cefalea, vomito, focalità neurologica, crisi convulsiva, età

superiore ai sessanta anni, coagulopatia.

Nel caso di specie sulla base degli elementi presenti in cartella clinica si ritiene

che la stessa avesse riportato un trauma cranico lieve con identificazione del punto

del cranio che aveva urtato il pavimento, evidenziato dalla presenza della ferita

lacero-contusa nella regione sopracciliare, che non aveva comportato lesioni

craniche della teca cranica, ma dello zigomo e del seno mascellare, lesione che non

venne affatto indagata neppure con una radiografia, seppure non significativa in

relazione ad eventuale insorgenza di emorragia cerebrale, che avrebbe reso

evidente la presenza di fratture e quindi fornito un ulteriore elemento in ordine

alla violenza dell'urto contro il pavimento.

Tuttavia la paziente non aveva perso coscienza, non presentava vomito, cefalea o deficit neurologici.

Per quanto riguarda i fattori di rischio ritiene il giudicante, condividendo la

valutazione espressa dal CTU, che la paziente dovesse essere ritenuta portatrice

di un rischio intermedio tenuto conto dell'altezza della caduta, dell'età, della

coagulopatia, attestata dalla assunzione di un farmaco anticoagulante, paziente,

inoltre affetta da sindrome psico-organica e deterioramento cognitivo che rendeva

difficile poter valutare le differenze rispetto alla situazione precedente, specie in

considerazione del fatto che il personale aveva appena iniziato il servizio alle ore

22 e che la paziente era stata ricoverata nel pomeriggio, di guisa che gli stessi non

l'avevano mai vista in precedenza e quindi non avevano parametri per confrontare il

comportamento.

Nel caso di specie non venne eseguilo alcun accertamento diagnostico né venne

richiesto, come sarebbe stato necessario sulla base delle linee guida in materia

limitando, sulla base di quanto emerso nel corso della istruttoria dibattimentale, i

controlli a quelli clinici mediante due accessi da parte del medico e due o tre da

parte degli infermieri che, però, nulla hanno annotato al riguardo nella cartella

clinica. Non risulta, in particolare essere stata effettuata una valutazione sulla

base della scala Glasgow, valutazione che venne operata la prima volta solo dal

personale del Servizio 118 quando il primo equipaggio arrivò alle 6,20 del 5 aprile

2003 e dette atto che la paziente si trovava in uno stato profondo di coma.

Alle cinque della mattina - ore 4,30 come indicato nella relazione redatta dal dr S

per il trasferimento della paziente all'Ospedale di Terracina — la paziente ha

subito un repentino peggioramento con la insorgenza dello stato soporoso con

ipotonia dell'emisoma sinistro con pressione 220/110 e venne attivato il

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trasferimento da Sabaudia all'Ospedale di Terracina essendo l'Istituto privo di un apparato per la TAC cerebrale.

L'ambulanza risulta essere stata chiamata alla ore 5,45 e la stessa giunse alle ore

6,20, circostanza che non contrasta con la dichiarazione rilasciata dall'Azienda

sanitaria di Latina secondo la quale l'ambulanza era partita alle ore 6,12. All'arrivo

dell'ambulanza le condizioni della paziente erano ancora peggiorate dal momento

che nella valutazione della scala Glasgow il punteggio era 3, equivalente allo stato di

coma, paziente considerato avente chance di sopravvivenza corrispondenti quasi a

zero. Quando alle 6,52 giunse la seconda ambulanza con il medico a bordo la

valutazione venne confermata, vale a dire paziente incosciente, scala Glasgow pari

a 3, midriasi bilaterale fissa.

Di conseguenza, come indica il CTU alle 6,52, come attestato dal medico, ma anche

già alle 6,20, la paziente era pervenuta ad una situazione di sostanziale morte

cerebrale.

La diagnosi posta dall'Ospedale di Terracina fu errata avendo ritenuto trattarsi di

un ematoma extra durale temporo-fronto-parietale destro, mentre si trattava di

una diversa patologia vale a dire un ematoma sotto durale acuto emisferico destro,

avente anche origine diversa rispetto a quella erroneamente ipotizzata

all'Ospedale di Terracina ed erroneamente presa in considerazione dal consulente

del PM nel procedimento penale.

Tuttavia tale errore non ha prodotto conseguenze in quanto secondo il consulente

tecnico d'ufficio l'intervento presso il CTO, che ha identificato correttamente la

patologia, non aveva alcuna possibilità di salvare la vita della paziente, come

riferito dalla attrice la quale ha confermato che i medici del CTO le avevano

evidenziato la gravità della situazione ed il fatto che l'intervento veniva operato

solo quale tentativo.

Secondo il consulente tecnico d'ufficio non vi erano chance di sopravvivenza, sulla

base del criterio del più probabile che non, già al momento dell'arrivo della prima

ambulanza presso l'istituto Franceschini, alle ore 6,20, che pacificamente non era

attrezzato per la gestione di una simile patologia, come non lo era l'Ospedale di

Terracina.

Tuttavia, occorre ricordare che in tema di responsabilità professionale del medico

chirurgo, una accurata ricognizione del complesso rapporto intercorrente tra la

fattispecie del nesso causale e quella della colpa, con specifico riferimento ai

rispettivi, peculiari profili probatori, consente la enunciazione dei seguenti principi:

1) il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito, che corre - su di un

piano strettamente oggettivo e secondo una ricostruzione logica di tipo sillogistico

- tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non

ancora utilmente qualificabile in termini di ''damnum iniuria datum") e l'evento; 2)

nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde,

in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto

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"oggettivata", da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di

"previsione insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo

dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione

temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie

dell'illecito); 3) il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per

cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia

generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto

deve considerarsi "causa" dell'evento stesso: 4) il nesso di causalità giuridica è, per

converso, relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a

determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti

causali precedenti; 5) la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il

profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali. quanto sotto

l'aspetto della individuazione del "novus actus interveniens", va compiuta secondo

criteri a) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se

appare non praticabile (o insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi

scientifiche di copertura; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo,

l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare - quanto

al profilo probabilistico - rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini,

accertare d collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità

inversa, onde inferire che l'incidenza del comportamento omesso si pone in

relazione non/probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente

avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere,

ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione

dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente; 6) Il

positivo accertamento del nesso di causalità, che deve formare oggetto di prova da

parte del danneggiato, consente il passaggio, logicamente e cronologicamente

conseguente, alla valutazione dell'elemento soggettivo dell'illecito, e cioè della

sussistenza, o meno, della colpa dell'agente, che, pur in presenza di un comprovato

nesso causale, potrebbe essere autonomamente esclusa secondo criteri

(storicamente elastici) di prevedibilità ed evitabilità; 7) criteri funzionali

all'accertamento della colpa medica - la prova della cui assenza grava, nelle

fattispecie di responsabilità contrattuale, sul professionista/debitore - risultano

quelli a) della natura, facile o non facile, dell'intervento del medico; b) del

peggioramento o meno delle condizioni del paziente; e) della valutazione del grado

di colpa di volta in volta richiesto (lieve, nonché presunta, in presenza di operazione

"routinarie"; grave, se relativa ad interventi che trascendono la preparazione media

ovvero non risultino sufficientemente studiati o sperimentati, con l'ulteriore limite

della particolare diligenza e dell'elevato tasso di specializzazione richiesti in tal

caso). d) del corretto adempimento dell'onere di informazione e dell'esistenza del

conseguente consenso del paziente (Cass. sez. III, 18 aprile 2005, n, 7997).

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Occorre, quindi, valutare, secondo il giudizio controfattuale, se qualora l'attività

omessa fosse stata regolarmente posta in essere, l'evento morte avrebbe potuto

essere evitato secondo il criterio probabilistico del più probabile che non.

Sotto questo aspetto il consulente tecnico d'ufficio ha messo in evidenza che

comunque una diagnosi tempestiva e la introduzione di specifiche terapie non

avrebbero modificato l'evoluzione naturale verso il decesso della patologia

emorragica insorta dopo il trauma cranico, tenuto conto della rapida evoluzione del

danno cerebrale giunto in meno di due ore dalla emersione dei sintomi ad una

sostanziale morte cerebrale.

Deve, quindi, escludersi che l'evento mode, secondo il criterio del più probabile che

non, avrebbe potuto essere impedito attraverso una diagnosi tempestiva e l'avvio

di una terapia e possa essere posto a carico dei sanitari non essendo presente un

valido nesso di causalità”.

La decisione sopra riportata non è condivisibile perché non ha tenuto conto della

fattispecie sottoposta all’esame del giudicante (con causa petendi ben delineata in

citazione) e della causa prima del fatto dannoso subito dalla paziente (e poi dai suoi

eredi).

Gli appellanti (attori in I° grado) avevano evidenziato in citazione che “in secondo

luogo non meno importante, al momento della caduta dal letto della paziente,

avvenuta alle ore 22,40 p.m. del 4.4.03, il dott. S medico di turno la sera

dell’accaduto, non sottopose la paziente ad accertamenti e cure in un caso che non

presentava alcuna difficoltà diagnostica e nella prescrizione di accertamenti

relativi; le linee guida in tali casi raccomandano TC del cranio il prima possibile e

un’osservazione clinica per almeno 24 ore (vd. Consulenza Tecnica del P:M. della

Procura di Latina dott.ssa Setacci, testimonianza della stessa doc., 27 e doc. 40).

Alle ore 5,00 a.m. del giorno successivo (dopo circa sette ore dalla caduta)

accertata la possibile (?) gravità dello stato della sig.ra N esegue terapia del tutto

inutile al caso e perde altre due ore prima di chiamare l’ambulanza con codice

errato o, comunque, non evidenziando lo stato di coma in cui versava la stessa. <la

paziente giunge al P.S. dell’Ospedale di Terracina, a causa de comportamento

gravemente omissivo del sanitario dr. S, dopo NOVE ORE dal sinistro”.

I rilievi sollevati dagli appellanti sono fondati.

L’inadempimnento imputabile al sanitario, per vero, attiene proprio alla gestione

del caso medico insorto dopo la caduta della paziente e sino al momento in cui la

stessa venne affidata (In modo adeguato) al servizio di trasporto tramite

ambulanza, per condurla presso un ospedale attrezzato per la gestione della

patologia (trauma cranico).

Richiamando anche alcune delle considerazioni fatte in precedenza (sulla

responsabilità della Struttura sanitaria) non par dubbio che l’appellato medico

abbia eseguito la sua prestazione professionale (nei riguardi della paziente sig.ra

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N) in modo non adeguato alla condizione che si era venuta a determinare per la

caduta dal letto della paziente.

Il giudizio conclusivo fornito dal perito del Pubblico Ministero (dr.ssa Maria

Cristina Setacci) il 25.5.2004, conforta in tal senso perché giungeva ad “affermare

che il sanitario della Casa di cura, di turno al momento in cui la signora N ha riportato il trauma cranico, non ha coordinato il soccorso, non ha agito con la

sollecitudine e con la cautela necessaria. E non si è attenuto alle conoscenze tecniche ordinarie in tale tipo di traumatismo. Tale comportamento si può definire

censurabile. Si può ragionevolmente ritenere. Che un tempestivo svuotamento della raccolta ematica, prima che questa provocasse il danno cerebrale irreversibile da

compressione, avrebbe con grande probabilità evitato il decesso della paziente”.

Ciò che va attribuito a responsabilità del medico appellato, in verità, non è la non adeguata cura della patologia di cui risultava affetta la sig.ra N (come se il dr. S avesse avuto la veste del sanitario cui era stata sottoposta la paziente dopo la caduta per la cura del trauma cranico riportato), quanto piuttosto, la non diligente cura ed attenzione nel seguire la paziente dopo la caduta al fine di verificare le sue necessità di assistenza tenuto conto che la Casa di Cura non aveva alcuna possibilità di apprestare cure specifiche per la patologia insorta dopo ed il conseguenza diretta della caduta.

E per questo va integralmente condiviso quanto affermato dal già citato consulente del P.M. a pagina 11 della sua relazione tecnica, nel punto in cui scrive che “è censurabile dunque il comportamento del sanitario che non ha sottoposto la paziente ad accertamenti e cure, in un caso che non presentava difficoltà nella diagnosi e nella prescrizione di accertamenti relativi; ove fossero stati svolti questi accertamenti e quindi fosse stata fatta diagnosi di emorragia endocranica, cosa che poteva essere fatta, si sarebbe dovuto immediatamente procedere ad intervento di neurochirurgia…” .

A ben vedere anche le considerazioni medico-specialistiche fatte dal ctu nominato dal Tribunale (anche se pervenute a conclusioni che sembrano esimere da responsabilità il sanitario appellato) spingono nel senso sopra indicato risultando evidenti le inadeguatezze dell’operato del dr. S in particolare per non avere richiesto immediatamente l’ausilio di uno specialista neurologo o, tenuto conto dell’assenza presso la casa di cura di medici specialisti come pure di attrezzature per eseguire una TC al cranio della paziente, per non aver prudentemente disposto l’immediato trasferimento della paziente presso un ospedale vero e proprio; anche perché lo stesso ctu di primo grado aveva concluso affermando che <<immaginando che l’evento fosse accaduto in un Ospedale fornito di TASC Cerebrale, Neurochirurgia e Rianimazione, e fatta diagnosi di ematoma sotto durale emisferico destro, fosse stata sottoposta ad intervento chirurgico entro 2-3 ore dal trauma, è più probabile che non che, se sopravvissuta, gli esiti neurologici sarebbero stati comunque altamente invalidanti”.

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Con il che si ha la riprova che nel progressivo affiancamento delle cause che portarono al decesso della paziente si inseriva anche il comportamento omissivo del sanitario dell’a Casa di Cura, dato che ove lo stesso fosse stato più pronto, tempestivo e prudente, con l’invio immediato della anziana paziente - in

condizioni sanitarie generali non buone (la ctu di primo grado definisce la paziente con una “performance ridotta”) e sotto terapia farmacologica anticoagulante - presso un ospedale attrezzato le possibilità di sopravvivenza vi sarebbero state (anche se la paziente avrebbe comunque risentito di conseguenze ulteriormente invalidanti rispetto alle sue già deteriorate condizioni sanitarie, precedenti la caduta: “affetta da una sindrome psico-organica con deterioramento cognitivo”).ù

E proprio le condizioni deteriorate della paziente (con performance ridotta) avrebbero dovuto spingere l’appellato (quale semplice medico di guardia di una struttura di mera assistenza sanitaria) ad una prestazione medica più attenta, sollecita e prudente al massimo (nell’interesse primario della paziente); a tal riguardo, invero, quanto “ una paziente con performance ridotta, è affetta da una sindrome psico-organica con deterioramento cognitivo quindi resta difficile immediatamente dopo il trauma cranico per chi la visiti notare fini differenze rispetto a prima della caduta: scarsa se non nulla è la collaborazione al colloquio ed alla visita dei soggetti affetti da deterioramento mentale. Si mette in atto il

criterio dell’osservazione clinica” (così pagina 21/22 ctu dr. Fiore).

E l’osservazione clinica presuppone, appunto, una attenzione della condizione della paziente che deve essere condotta in modo prudente, attento e sollecito da parte del medico (non essendo sufficiente la delega ad un infermiere od altro personale para/medico) che deve saper valutare e soppesare la condizione generale della paziente non affidandosi a dati non sicuri proprio quanto quel soggetto – per le sue condizioni precarie – non è in grado di collaborare nell’anamnesi perché “scarsa se non nulla è la collaborazione al colloquio ed alla visita dei soggetti affetti da deterioramento mentale”.

E questo che conta nel caso in esame, mentre tutte le considerazioni (tecnicamente corrette) fatte dal c.t.u. nominato dal giudice di primo grado potrebbero avere una rilevanza solo dove il dr. S avesse inteso procedere tecnicamente come indicato dal ctu, e cioè avesse posto in atto (e dato contezza di ciò in cartella clinica) tutte quelle verifiche e procedure di cui ai “protocolli” ben indicati dalla ctu a pagina 22/23.

Al contrario, nella cartella clinica dell’Istituto (come indicato dettagliatamente sia dal perito del PM che dal ctu) risulta unicamente che dopo la cauta delle ore 22,40 del 4.4.03 – annotate le condizioni della paziente (ferita lacero contusa sopraccigliare destra che viene trattata con due punti di sutura e medicazione…) – la diaria clinica del giorno 05.04.03 ore 5,00 riportava che ”dopo essere stata agitata tutta la notte la paziente accura improvviso deterioramento dello stato di coscienza. Stato soporoso. Risponde in modo rallentato a stimoli fisici. All’esame obiettivo si rileva ipotonia dell’emisoma sinistro con inversione dei riflessi plantari bilateralmente…..” .

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L’interesse della paziente e le sue condizioni generali, valutate in coincidenza con un evento comunque grave ed anomalo – quale era l’avvenuta caduta dal letto “battendo il viso” con ferita lacero contusa – avrebbero dovuto spingere l’appellato ad una attenzione specifica e mirata sulla paziente onde gestire la stessa in modo da non comprometterne ulteriormente le già precarie condizioni; e poiché era tra le evenienze mediche del caso quella dell’insorgenza di un “trauma cranico” – anche se minore o lieve – era tra le più probabili (dopo una caduta con colpo subito dalla testa), il dr. S avrebbe dovuto gestire quella situazione in modo più prudente onde evitare che si sviluppassero quelle complicanze neuorologiche del trauma cranico (ben note a tutti gli operatori medici) soprattutto “tenendo conto dell’assenza o della presenza di uno o più fattori di rischio pre-esistenti o conseguenti al trauma” (pag.23 ctu) che nel caso in esame è stato ritenuto di grado “intermedio” per la presenza di coagulopatia o terapia con anticoagulanti.

La stessa ctu dr. Fiore a pagina 24 ha evidenziato come fosse “più probabile che non che la nostra paziente rientrasse nel trauma cranico lieve con grado di rischio intermedio che richiede: osservazione clinica di almeno 6 ore dal trauma, indicata l’esecuzione di TC del cranio anche con finestra ossea durante le prime ore di osservazione (basale), l’osservazione protratta fino a 24 ore e la ripetizione della TC è indicata in presenza di coagulopatie o di trattamenti anticoagulanti, in presenza di una lesione intracranica documentata alla TC è necessaria consulenza neurochirurgica”.

Tutto questo non venne fatto né vi è prova (spettante al sanitario appellato) che si posero in atto interventi similari volti alla continua osservazione della paziente nelle prime ore dalla caduta; intendendosi per osservazione clinica di un paziente soprattutto il controllo eseguito da un medico su cui grava un dovere di controllo del paziente derivante dalla sua posizione di garanzia.

Il fondamento di questa posizione è da ricercare nei principî solidaristici che impongono (oggi anche in base alle norme contenute negli art. 2, 32 e 41, 2° comma, Cost.) una tutela rafforzata e privilegiata di determinati beni — non essendo i titolari di essi in grado di proteggerli adeguatamente — con l’attribuzione, a determinati soggetti, della qualità di «garanti» della salvaguardia dell’integrità di questi beni ritenuti di primaria importanza per la persona; a questa qualità, naturalmente, devono contestualmente accompagnarsi poteri impeditivi dell’evento; diversamente, sotto il profilo soggettivo, difetterebbe l’esigibilità della condotta (e si è fatto l’esempio della madre che risponde di non aver nutrito l’infante ma non di aver omesso di salvarlo dall’annegamento se non sapeva nuotare).

Sull’origine e sull’ambito di applicazione della posizione di garanzia v’è contrasto tra le teorie che ritengono che gli obblighi del terzo possano derivare soltanto da una fonte formale (e infatti si parla di teoria «formale» della posizione di garanzia) e le teorie che fanno riferimento piuttosto a criteri sostanzialistici (ma esistono anche teorie c.d. «miste»).

La prima teoria, che sembra accolta dal cpv. dell’art. 40 c.p. (che parla infatti di obbligo «giuridico»), individua, quali fonti dell’obbligo in questione, la legge e il

contratto (e su queste fonti sostanzialmente non esistono divergenze; l’unica

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difformità di orientamento riguarda forse il caso del contratto cui non partecipi il titolare del bene protetto) nonché la precedente condotta illecita o pericolosa, la negotiorum gestio e la consuetudine (e su queste fonti invece le opinioni sono divergenti anche perché, più in generale, la soluzione del problema della fonte è strettamente connessa al rispetto del principio di determinatezza della fattispecie).

Naturalmente, anche se venga accolta la teoria sostanzialistica, il rispetto dei principî di tassatività e determinatezza richiede che la cerchia dei titolari dell’obbligo di garanzia sia determinata soggettivamente e che gli obblighi siano oggettivamente determinati con esclusione quindi di doveri esclusivamente morali. E naturalmente i titolari della posizione di garanzia devono essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi. Il che non significa che dei poteri impeditivi debba essere direttamente fornito il garante purché gli siano riservati mezzi idonei a sollecitare (al limite anche giudizialmente) che l’evento dannoso venga cagionato.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte riaffermato che la posizione di garanzia può avere una fonte normativa non necessariamente di diritto pubblico ma anche di natura privatistica, anche non scritta e che addirittura possa trarre origine da una situazione di fatto, da un atto di volontaria determinazione, da una precedente condotta illegittima che costituisca il dovere di intervento e il corrispondente potere giuridico, o di fatto, che consente al soggetto garante, attivandosi, di impedire l’evento (cfr. Cass. penale 12 ottobre 2000, imp. Avallone; Cass. pen. 1° ottobre 1993, Cocco; Cass. pen. 21 maggio 1998, Fornari).

Passando ad esaminare più specificamente il tema della responsabilità medica va osservato che una posizione di garanzia del medico può sorgere esclusivamente con l’instaurazione della relazione terapeutica tra il paziente e il medico, e questo sia che vi sia stato un rapporto diretto ma anche nel caso di rapporto mediato dalla presenza di una struttura sanitaria ove quel professionista operi.

V’è ancora da osservare che la posizione di garanzia è riferibile, sotto il profilo funzionale, a due categorie in cui tradizionalmente si inquadrano gli obblighi in questione.

La prima categoria concerne la posizione di garanzia c.d. «di protezione» che impone di preservare il bene protetto da tutti i rischi che possano lederne l’integrità: tipici gli obblighi che gravano sui genitori, sui medici, ecc. in relazione ai beni della vita e dell’incolumità personale ma anche di altri beni (per es., per i genitori, l’integrità sessuale dei minori).

Come è evidente l’ambito elettivo di questi obblighi è quello familiare ma l’obbligo di protezione può derivare anche dall’assunzione volontaria di un obbligo di protezione sia su base contrattuale (per es. la guida alpina che si impegna ad accompagnare uno scalatore inesperto) sia unilateralmente (il medico che prende in carico il paziente in stato di incoscienza).

La seconda categoria riguarda la posizione di garanzia c.d. «di controllo» che impone di

neutralizzare le eventuali fonti di pericolo che possano minacciare il bene protetto:

questa categoria riguarda tutti i casi di esercizio di attività pericolose —

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che trova il fondamento normativo nell’art. 2050 c.c. — il dovere di prevenzione incombente sul datore di lavoro per evitare il verificarsi di infortuni sul lavoro o di malattie professionali, le regole che disciplinano la circolazione stradale, ecc.

Il più delle volte questi obblighi di controllo sono ricollegati all’esistenza di un «potere di organizzazione o di disposizione relativo a cose o situazioni potenzialmente pericolose», come nel caso indicato del datore di lavoro o come nel caso degli appartenenti ad amministrazioni pubbliche cui sono attribuiti compiti di prevenzione e soccorso in relazione ad eventi riguardanti la pubblica incolumità.

Da quanto in precedenza esposto non si comprende come si possa negare che al dott. S fosse attribuita una posizione di garanzia in relazione alla tutela della salute psichica e fisica della paziente ricoverata presso l’Istituto, e questo a prescindere dalla sua veste di medico di turno in servizio nella notte tra il 4 ed il 5 aprile del 2003, incombendo su di lui l’obbligo di controllare costantemente la paziente nelle prime ore dopo il trauma subito e di attivarsi prontamente per prevenire le prevedibili complicanze neurochirurgiche.

Ed infatti, per come lo stesso ctu dr. Fiore aveva evidenziato (pag. 24): “nel caso di specie non viene riportata la valutazione in base alla Glasgow Coma Scale ma fu comunque visitata dal Medico di Guardia, l’osservazione clinica è iniziata immediatamente da parte degli Infermieri e del Medico di Guardia perché era ricoverata: non fu invece eseguita una TAC cranio basale rientrando il caso nel trauma cranico lieve con grado di rischio intermedio perché paziente in terapia con Coumadin e quindi secondo protocollo era consigliabile eseguire la TC del cranio inizialmente e successivamente al variare delle condizioni neurologiche. - Solo alle ore 05.00 del 05.04.03 a 6 ore e venti minuti dalla caduta dal letto quando sopraggiunge un improvviso deterioramento dello stato di coscienza con lo stato soporoso, l’ipotonia dell’emisoma sinistro la P.A. 220/110 viene messa in

atto la terapia d’urgenza anti-edemigena (glicerolo e lasix) e il meccanismo di

trasferimento presso l’Ospedale di Terracina in quanto l’Istituto Fisioterapico

di Riabilitazione non è in possesso di TAC cerebrale”.

Deve ritenersi che questo dimostri l’inadempimento del medico appellato e la sua diretta responsabilità nella determinazione dell’evento (già attribuito a responsabilità anche della Casa di cura).

Pertanto, le due parti qui appellate debbono rispondere in via solidale dei danni cagionati alla paziente, e per essa ai suoi eredi, ed in difetto di elementi probatori su cui poter fondare una decisione di effettiva graduazione delle loro reciproche responsabilità nella determinazione dell’evento finale, entrambi i responsabili dovranno tener conto del criterio presuntivo di cui all’art. 2055, comma 3, c.c..

Prima di passare alla quantificazione del danno, occorre affrontare la questione

relativa alla eccepita prescrizione del diritto vantato dai nipoti della defunta; questione riproposta in questo grado dal dr. S che ha evidenziato come “i

nipoti non si sono mai costituiti parte civile nel procedimento penale intrapreso né hanno mai

interrotto alcun termine di prescrizione”.

L’eccezione è infondata.

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Trattandosi di responsabilità contrattuale il termine di prescrizione è quello decennale (Cass. civ., sez. III, 19-04-2006, n. 9085); e poiché la citazione di I grado era stata notificata al dr. S il 18.12.2012 rispetto al decesso della paziente avvenuto il 5.04.2003, il decennio non era ancora decorso.

II) Passando alla determinazione del risarcimento del danno richiesto dai singoli appellanti (già attori) è necessario partire dalla posizione delle tre figlie della defunta che hanno chiesto il danno da esse subito, oltre a quello subito dalla congiunta ed a loro trasferito in via ereditaria (e a tal riguardo dovendosi tenere conto di quanto esposto nella citazione di I° grado a pagina 18 e seguenti).

IL DANNO x LE FIGLIE. Senza dubbio deve essere riconosciuto alle appellanti il danno non patrimoniale

per la perdita del rapporto parentale legato alla morte del proprio genitore che è una tipica voce di danno a più facce afferente anche le sofferenze di tipo morale subite dalla persona (cfr. tra le più recenti Cass. civ., sez. III, 08-07-2014, n. 15491: <<il danno qualificabile come «edonistico» per la perdita del rapporto parentale deve essere valutato unitamente al risarcimento del danno morale iure proprio; infatti il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. preclude un risarcimento separato e autonomo per ogni tipo di sofferenza patita dalla persona, fermo l’obbligo del giudice di tener conto nel caso concreto di tutte le peculiari modalità di manifestazione del danno non patrimoniale, così da assicurare la personalizzazione della liquidazione>>).

Questa Corte, infatti, ritiene del tutto condivisibile il principio “contenitivo/restrittivo”, affermato dalle sezioni unite della Cassazione nella sentenza dell’11 novembre 2008 n.26974, per cui dà luogo a una duplicazione del risarcimento la congiunta attribuzione, al familiare della persona defunta (o gravemente lesa al punto da determinarne lo stato vegetativo o il coma), del danno morale e del danno da perdita del rapporto parentale, in quanto la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita dai familiari e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subìta non sono ontologicamente diverse e sottendono lo stesso disagio psichico e, dunque, la lesione del medesimo bene della vita; per contro, il danno morale che degeneri in pregiudizio alla sfera psichica - traducendosi in un danno di tipo biologico - non può essere considerato un «mero doppione» del danno da perdita del rapporto parentale ma – tuttavia - necessita di una specifica domanda, oltre che della prova della sua concreta ricorrenza. Premesso ciò, al fine della concreta determinazione del danno spettante alle

sigg.re T deve farsi uso delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (edizione

2014); tali tabelle possono essere applicate in virtù del richiamo che la Suprema

Corte ha inteso fare con la nota sentenza n.12408/2011, con la precisazione che “le

tabelle elaborate dal Tribunale di Milano a partire dal 2009, che la sentenza Cass. n.

12408/11 ha dichiarato applicabili, da parte dei giudici di merito, su tutto il territorio

nazionale, non hanno mai cancellato la fattispecie del danno morale intesa come voce

integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale; tali tabelle, infatti,

propongono la liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente alla lesione

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permanente dell'integrità psicofisica suscettibile di accertamento medico legale e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore, sofferenza soggettiva in via di presunzione in riferimento a un dato tipo di lesione, vale a dire la

liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale” (così Cass. 12.9.2011 n.

18641).

Le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano prevedono i seguenti importi per il caso di perdita del genitore a favore di ciascun figlio:

una somma tra €. 163.990,00 ed €. 327.990,00;

con una forbice di risarcimento che deve essere colmata facendo ricorso a tutte le circostanze del caso concreto e tenendo conto che: a) la categoria generale del danno non patrimoniale, attinente alla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da valore di scambio, è di natura composita e si articola in una pluralità di aspetti, quali il danno morale (da intendersi nella duplice accezione di patema d’animo e di lesione alla dignità o all’integ rità morale), il danno biologico e il danno da perdita del rapporto parentale o c.d. esistenziale; b) il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere all’esatta commisurazione del pregiudizio, sicché se ne impone la valutazione equitativa, da condursi con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, dovendosi considerare in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione e facendo ricorso a criteri idonei a consentire la personalizzazione del ristoro, al fine di pervenire a una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata; c) in virtù del principio dell’integralità del ristoro, la liquidazione del danno non patrimoniale non deve essere puramente simbolica o irrisoria o comunque priva di correlazione all’effettiva natura o entità del danno, ma deve tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto, alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento e deve comprendere tutti gli aspetti della composita categoria del danno non patrimoniale, pur evitando inammissibili duplicazioni, il giudice, nel liquidare il danno non patrimoniale, deve dare conto del particolare significato che ha attribuito al danno morale, e cioè se lo abbia valutato non solo quale patema d’animo, sofferenza interiore o perturbamento psichico, di natura meramente emotiva o interiore (danno morale soggettivo), ma anche in termini di dignità o integrità morale e riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale o esistenziale in caso di sconvolgimento della vita subìto da uno dei congiunti per la morte dell’altro (cfr. Cass. civ., sez. III, 23-01-2014, n. 1361).

Nel caso in questione tenuto conto che si tratta di morte dovuta a carente assistenza di una paziente ricoverata presso una struttura sanitaria, per un soggetto dell’età di anni 78 (essendo nata il 21.06.1924) che conviveva con l’anziano marito, e che aveva anche tre figlie (all’epoca del decesso esse avevano una età di anni 54 – 51 - 49) che in difetto di prova positiva devono essere considerate tutte come non conviventi con la madre al momento dell’evento, si ritiene di poter riconoscere il danno non patrimoniale per la morte della congiunto nella somma di € 200.000,00 per la odierna parte attrice, con valutazione all’attualità .

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La somma sopra liquidata non può essere ulteriormente aumentate per

l'incidenza della svalutazione monetaria maturatasi post factum perchè in questa

sede si è proceduto ad una liquidazione con valutazione con moneta attuale, posto

che il criterio tabellare è frutto di liquidazione eminentemente equitativa che

tiene conto dei valori attuali, e che la rivalutazione non è altro che il mezzo di

attualizzazione, alla data della decisione, dell'ammontare del debito di valore fatto

valere dal creditore.

Inoltre la suddetta somma che viene calcolata come già valutata all’attualità ed adeguata anche con il calcolo di interessi legali dal fatto ad oggi ritenendo questa Corte di poter condividere il principio circa la possibilità da parte del giudice di effettuare una liquidazione equitativa globale in una unica somma, comprendente sia la prestazione principale che quella relativa agli accessori, ove sussistano le condizioni di cui all'art. 1226 c.c., senza la necessità di specificazione dei singoli elementi della liquidazione (cfr. Cass. n. 14678 del 2 ottobre 2003; Cass. n. 10089 del 12 ottobre 1998; Cass. n. 2910 del 13 marzo 1995, Cass. civ., sez. lav., 04-02-2011, n. 2771).

La somma determinata, pertanto, andrà aumentata dei soli interessi al tasso

legale dalla data della sentenza al saldo.

Le appellanti hanno chiesto, inoltre, il risarcimento del danno subito dalla madre

prima e collegato al c.d. danno biologico subito per effetto della caduta e sino al

decesso.

La pretesa va accolta perché si ritiene di dover considerare rilevante ed

apprezzabile il lasso temporale di ipotizzabile sofferenza patita dalla vittima per il

fatto colposo attribuito alle parti appellate; ed in questo seguendo i criteri

delineati dal Supremo Collegio (v. per tutte Cass. civ., sez. III, 19-10-2016, n.

21060: <<il diritto al risarcimento del c.d. danno biologico terminale è configurabile,

e conseguentemente trasmissibile iure hereditatis, ove intercorra un apprezzabile

lasso di tempo (nella specie, dieci giorni) tra le lesioni colpose e la morte causata

dalle stesse, essendo irrilevante, al riguardo, la circostanza che, durante tale

periodo di permanenza in vita, la vittima abbia mantenuto uno stato di lucidità, il

quale costituisce, invece, il presupposto del diverso danno morale terminale>>).

Le caratteristiche del fatto oggetto del presente giudizio e la effettiva durata

temporale intercorsa tra la caduta della sig.ra N (intorno alle ore 22,40 del

4.4.2003) e l’accertamento del decesso (avvenuto alle ore 19,15 del 6.4.2003 dopo

l’esecuzione dell’intervento neuro-chirurgico) spingono ad affermare che la

paziente subì una compromissione, temporanea, della sua integrità psico/fisica.

In questa prospettiva nelle pronunce intervenute più di recente vale segnalare

la precisazione per cui il danno biologico terminale, ovvero il danno subito dal de cuius nell'intervallo di tempo tra la lesione del bene salute e il sopraggiungere

della morte conseguente a tale lesione rientra nel danno da inabilità temporanea, la

cui quantificazione equitativa va operata tenendo conto delle caratteristiche

peculiari di questo pregiudizio, consistenti nel fatto che si tratta di un danno alla

salute che, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità e intensità (cfr.

Cassazione civile sezione 3^ n. 7632 del 16 maggio 2003), in quanto danno da

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inabilità permanente il danno biologico terminale si verifica sempre quando uno

spazio temporale intercorra fra lesione e morte a causa di essa. In questa

prospettiva l'apprezzabilità dello spazio intertemporale richiesta dalla

giurisprudenza (Cass. sezione 3^, n. 9959 del 28 aprile 2006, Cass. n. 6946 del 22

marzo 2007) consiste nel requisito di una netta separazione temporale fra i due

eventi che valga a distinguere la loro verificazione nel tempo. Verificatosi questo

requisito il danno biologico terminale è sempre esistente per effetto della

percezione anche non cosciente della gravissima lesione dell'integrità personale

della vittima nella fase terminale della sua vita (in termini vedi Cass. civ., sez. III,

28-08-2007, n. 18163).

In via equitativa il danno liquidabile a tale titolo, ed jure hereditatis alle

appellanti T, appare congruamente conteggiato in €. 10.000,00; somma considerata

tenendo conto della tabella milanese 2016 per il danno non patrimoniale terminale

ridotto del 50% (considerato che quella tabella ha calcolato nelle somme un

importo “comprensivo della componente biologica temporanea”).

Somma che viene calcolata come già valutata all’attualità ed adeguata anche

con il calcolo di interessi legali dal fatto ad oggi ritenendo questa Corte di poter

condividere il principio circa la possibilità da parte del giudice di effettuare una

liquidazione equitativa globale in una unica somma, comprendente sia la prestazione

principale che quella relativa agli accessori, ove sussistano le condizioni di cui

all'art. 1226 c.c., senza la necessità di specificazione dei singoli elementi della

liquidazione (cfr. Cass. n. 14678 del 2 ottobre 2003; Cass. n. 10089 del 12 ottobre

1998; Cass. n. 2910 del 13 marzo 1995, Cass. civ., sez. lav., 04-02-2011, n. 2771).

IL DANNO x IL CONIUGE (poi deceduto il 25.12.2003)

Osserva la Corte che le appellanti, eredi anche del defunto padre sig. A T, hanno

evidenziato che il loro congiunto era deceduto pochi mesi dopo la morte della

moglie, allegando che tale decesso fosse collegato alle ripercussioni di ordine

morale e psicologico patite post/evento; il che, all’evidenza, impone di fare

applicazione del principio giurisprudenziale che segue: “in tema di risarcimento del danno biologico, ove la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del danno spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato, e non a quella probabile, in quanto la durata della vita futura, in tal caso, non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica, ma è un dato noto (Cass. civ., sez. III, 18-01-2016, n. 679).

E poiché risulta che il sig. A T era deceduto dopo 8 mesi e 19 giorni (6.4.2003 ->

25.12.2003) senza prova alcuna di danni ulteriori oltre a quelli già sopra delineati

con riferimento alle tre figlie (in merito cfr. Cass. civ., sez. III, 19-10-2016, n.

21060: <<nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale

diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (c.d. danno da rottura del

rapporto parentale) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il

superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la

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dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è

onere dell’attore allegare e provare; tale onere di allegazione, peraltro, va

adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni

generiche, astratte od ipotetiche>>), il danno va liquidato come segue.

Come già evidenziato la Corte di Cassazione, con la pronuncia a Sezioni Unite n.

26972/2008, ha inteso - superando definitivamente la nozione di danno morale

soggettivo transeunte automaticamente legato al pregiudizio alla salute -

ricondurre ad una unitaria voce di danno tutti i pregiudizi non patrimoniali connessi

alla lesione della integrità psicofisica del soggetto vittima di un illecito, sulla

scorta dell’apprezzamento delle sofferenze concrete - anche sotto l’aspetto

relazionale ed esistenziale - patite dal danneggiato e del pregiudizio estetico ad

esso residuato.

Al tempo stesso, proprio per evitare duplicazioni risarcitorie, si deve verificare se

la liquidazione tabellare base sia realmente satisfattiva del pregiudizio, ovvero se

sussistano fattori ulteriori ricollegati alla fattispecie concreta che importino la

necessità di un incremento della liquidazione (non più automatica nell’an e nel

quantum, come avveniva nella prassi con la dicotomia danno biologico/danno

morale).

Nella fattispecie si deve tuttavia tenere conto della durata effettiva della vita e

non della vita presunta.

Alla valutazione probabilistica connessa con l'ipotetica durata della vita del

soggetto danneggiato va sostituita quella del concreto pregiudizio effettivamente

prodottosi, cosicché l'ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto

richiedono "iure successionis" va calcolato non con riferimento alla durata

probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, pur tenendo conto

del fatto che nei primi tempi il patema d'animo è più intenso rispetto ai periodi

successivi (nello stesso senso da ultimo Cass.13331/2015).

In ossequio a tale principio, va liquidato in via equitativa il cosiddetto danno

intermittente per il periodo di poco superiore agli 8 mesi di sopravvivenza (gg.259)

del sig. T A, ed in applicazione, non totale ma meramente indicativa, dei criteri

elaborati nel 2016 dal Tribunale di Milano, il danno può essere liquidato nell’importo

complessivo di €. 74.000,00 [€ 10.000,00 per i primi tre giorni e € 250,00 per

ciascun giorno successivo = 256 x 250 = 64.000,00].

Somma che viene calcolata come già valutata all’attualità ed adeguata anche con

il calcolo di interessi legali dal fatto ad oggi ritenendo questa Corte di poter

condividere il principio circa la possibilità da parte del giudice di effettuare una

liquidazione equitativa globale in una unica somma, comprendente sia la prestazione

principale che quella relativa agli accessori, ove sussistano le condizioni di cui

all'art. 1226 c.c., senza la necessità di specificazione dei singoli elementi della

liquidazione (cfr. Cass. n. 14678 del 2 ottobre 2003; Cass. n. 10089 del 12 ottobre

1998; Cass. n. 2910 del 13 marzo 1995, Cass. civ., sez. lav., 04-02-2011, n. 2771).

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Sentenza n. 545/2018 pubbl. il

26/01/2018 RG n. 6253/2015

IL DANNO x I NIPOTI

La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto presuppone, oltre al rapporto di parentela, anche la perdita, in concreto, di un effettivo e valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza, ove si tratti di soggetto che, per il tipo di parentela, non abbia diritto di essere assistito anche moralmente dalla vittima; in particolare, devono senz’altro considerarsi come aventi diritto al risarcimento il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle (in breve, tutti i componenti della c.d. famiglia nucleare, per i quali appare irrilevante anche la cessazione della convivenza); quanto agli altri parenti ed affini (nipoti, zii, cugini, cognati ecc.), la legittimazione attiva può esser loro riconosciuta soltanto se, oltre all’esistenza del rapporto di parentela o di affinità, concorrano ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale.

Soccorre a tale generale valutazione anche la composizione parentale considerata nelle tabelle di risarcimento in uso presso il Tribunale di Milano, che arriva fino al caso del danno per il nonno per la morte di un nipote.

Nel caso in esame gli appellanti si sono limitati ad affermare che tutti i nipoti (di età compresa tra i 15 e 31 anni al momento del decesso della nonna) avevano un rapporto ultradecennale con la congiunta e che la morte aveva avuto su di loro una grave ripercussione morale e relazionale; senza provare od allegare come in concreto si svolgessero i rapporti tra i singoli nipoti e la nonna Lucia, essendo fatto notorio che con l’aumentare dell’età e il superamento dell’adolescenza i giovani si allontanano sempre più dalla famiglia e diradano i rapporti di affetto e frequentazione soprattutto con le persone più anziane (sulla necessità di questo specifico controllo e approfondimento si veda Cass. civ., sez. III, 06-09-2012, n. 14931 che aveva cassato la sentenza del giudice di appello che era pervenuto alla liquidazione del danno parentale in maniera indiscriminata in favore di ciascun nipote, con il mero ricorso al metodo tabellare; in tal modo dimostrando di non avere svolto alcuna individuale indagine, neppure in via presuntiva, circa l'intensità del rapporto sussistente tra i nonni i ciascuno dei nipoti; tanto più che non è neppure possibile ipotizzare (anche presuntivamente) che così numerosi nipoti fossero tutti nel medesimo rapporto con i nonni).

III) LA MANLEVA ASSICURATIVA.

L’appellato Istituto ha ribadito in questo grado la domanda di manleva nei confronti della propria Compagnia A Ass.ni S.p.A., e la stessa è ammissibile e fondata.

L’ammissibilità deriva dalla circostanza stessa della natura della domanda di

manleva azionata dal convenuto che, in esito al giudizio di I grado, abbia visto respinta la domanda del danneggiato che si era rivolto nei suoi diretti confronti; in tale situazione l’assicurato, a fronte dell’appello del danneggiato soccombente, deve solo riproporre la domanda di manleva innanzi al giudice di secondo grado non essendo necessario l’appello incidentale proprio perché la sentenza di I grado non lo aveva visto affatto soccombente.

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La riproposizione della domanda di manleva legittimava l’Istituto a chiedere la garanzia assicurativa in caso di eventuale riforma della decisione di I grado (garanzia che si stende, come appare del tutto palese, anche al fatto commesso tramite dipendenti o collaboratori della struttura sanitaria, quale era il medico di guardia dr. S).

Nel merito la domanda di manleva è fondata essendo basata sulla polizza sottoscritta a suo tempo con la A Ass.ni S.p.A. con il limite del massimale ivi indicato.

IV) IL REGRESSO DELLA COMPAGNIA A ASS.NI.

Già in primo grado la chiamata in causa A ass.ni aveva esercitato il diritto di regresso nei confronti del dr. S per le responsabilità a quest’ultimo attribuite in via solidale o sussidiaria con la propria assicurata.

Orbene, evidenziato che in tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso

in cui l’assicurato sia responsabile in solido con altro soggetto, l’obbligo indennitario

dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, nei limiti del massimale, non è riferibile

alla sola quota di responsabilità dell’assicurato operante ai fini della ripartizione della

responsabilità tra i condebitori solidali, ma concerne l’intera obbligazione

dell’assicurato nei confronti del terzo danneggiato, ivi compresa quella relativa alle

spese processuali cui l’assicurato, in solido con il coobbligato, venga condannato in

favore del danneggiato vittorioso, solo in tal modo risultando attuata

- attraverso la conformazione della garanzia sulla obbligazione - la funzione del contratto di assicurazione della responsabilità civile di liberare il patrimonio dell’assicurato dall’obbligazione di risarcimento, ferma restando la surroga dell’assicuratore, ex art. 1203, n. 3, c.c., nel diritto di regresso dell’assicurato nei confronti del corresponsabile, obbligato solidale (Cass. civ., sez. III, 20-11-2012,

n. 20322), nel caso concreto il diritto qui azionato non ha necessità di accertamento e dichiarazione espressa essendo già previsto per legge e per il suo concreto operare è necessario che l’assicuratore verifichi il come ed il quando i danneggiati avanzino richiesta di pagamento in base alla presente pronuncia.

Sull’onere delle spese processuali. In conseguenza dell’esito finale del giudizio le parti qui appellate – parti

soccombenti - vanno condannate in solido al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio, a favore degli appellanti (intesi e considerati come unica parte); spese liquidate tenuto conto del valore della controversia (il decisum pari alla somma attribuita: valore tra 260.000 e 520.000 euro) e delle attività compiute dal loro procuratore nel corso del giudizio secondo i parametri ministeriali attualmente in vigore - d.m. 10.3.2014 n.55 (che trovano applicazione per tutti i gradi di giudizio già svolti dovendo darsi rilievo al momento in cui il giudice procede alla loro concreta determinazione; cfr. Cass. civ., sez. un., 12-10-2012, n. 17405).

Per il I° grado (con 4 fasi processuali) applicandosi i valori “medi” si ottiene la

somma di €. 21.387,00 di compenso + spese vive (€ 507,00 per contributo

unificato).

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Per la causa avanti alla Corte di Appello i parametri ministeriali per le fasi processuali n.1 – 2 – 4 di tabella, prevedono un compenso di €. 13.560,00 + spese vive (777,00 contributo unificato).

Negli stessi importi di compenso vanno liquidate le spese che la A Ass,ni S.p.A.

deve rifondere alla assicurato Istituto. Infine, sussistono evidenti e giusti motivi per compensare le spese dei due

gradi del giudizio con riferimento alla posizione processuale dell’Istituto e del consorte in lite dr. S.

P. Q. M.

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

- Terza Sezione Civile -

definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione

respinta, così decide sull’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma

emessa in data 22.07.2015 (depositata in data 29.07.2015 con il N. 16627/15)

proposto da T P + 8 nei confronti di Istituto S.r.l. (appellante incidentale), dr. S G

ed A Assicurazioni S.p.A.:

a) in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto, ed in riforma della

sentenza appellata, Dichiara che il decesso di N L, avvenuto in data 6.04.2003, va

ascritto a fatto e responsabilità dell’Istituto. e del dr. S G; b) per l’effetto, Condanna l’Istituto., in persona del suo legale rappresentate

pro tempore, ed il dr. S G, in solido tra loro, al pagamento, in favore di T P della somma di €. 200.000,00#, con l’aggiunta degli interessi al tasso di legge

a decorrere dalla data della presente sentenza sino al saldo effettivo, in favore di T R della somma di €. 200.000,00#, con l’aggiunta degli interessi al

tasso di legge a decorrere dalla data della presente sentenza sino al saldo

effettivo, e in favore di T P, della somma di €. 200.000,00#, con l’aggiunta degli interessi al

tasso di legge a decorrere dalla data della presente sentenza sino al saldo

effettivo; c) Condanna ancora l’Istituto

S.r.l., in persona del suo legale rappresentate pro tempore, ed il dr. S G, in solido

tra loro, al pagamento, in favore di T P, T R e T P della ulteriore somma di €.

84.000,00#, con l’aggiunta degli interessi al tasso di legge a decorrere dalla data

della presente sentenza sino al saldo effettivo; d) Rigetta l’appello proposto, e di conseguenza anche la domanda di A R A A, R

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A, con compensazione delle spese dei due gradi del giudizio con riferimento alla

loro specifica posizione processuale;

e) Condanna le medesime parti indicate sub b) in solido tra loro, alla rifusione

delle spese processuali sostenute dalle appellanti sigg.re T P, R e P nei due gradi di

giudizio, liquidandole:

per il I° grado in €. 507,00 per spese e €. 21.387,00 per compenso (oltre

rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge),

e per questo giudizio di appello in €. 777,00 per spese ed €. 13.560,00 per

compenso (oltre forfettario, IVA e CAP come per legge);

f) condanna la A Assicurazioni S.p.A. a manlevare l’Istituto S.r.l. da quanto lo

stesso Istituto sarà chiamato a pagare in esecuzione della presente sentenza nei

limiti del massimale fissato nella polizza sottoscritta; con suo diritto e facoltà di

agire in regresso nei confronti del dichiarato corresponsabile dr. G S; g) Condanna, infine, la A Assicurazioni S.p.A. alla rifusione delle spese

processuali sostenute dall’Istituto S..r.l. nei due gradi di giudizio, liquidandole:

per il I° grado in €. 21.387,00 per compenso (oltre rimborso forfettario, IVA e

CAP come per legge),

e per questo giudizio di appello in €. 13.560,00 per compenso (oltre forfettario,

IVA e CAP come per legge);

h) Compensa le spese dei due gradi nei rapporti tra S G e l’Istituto S.r.l..

Così decisa in Roma nella camera di consiglio del 12.12.2017. Il Presidente est.

(dr. Giuseppe Lo Sinno)

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