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99 IL SENSO DISTORTO Gianfranco Buffardi Ho mal di testa e di universo F. Pessoa In ogni momento della nostra vita ci rendiamo conto di esistere: può apparire banale ricordarlo ma è particolarmente opportuno sottolinearlo in questo contesto, perché i processi che sono alla base della coscienza della nostra esistenza sono processi complessi che riconoscono come momento fondamentale la concettualizzazione del mondo esterno così come i segnali che provengono dal nostro corpo; questa concettualizzazione avviene attraverso la sensopercezione: tutto il nostro pensato ha passaggio obbligato in ciò che abbiamo percepito. Anche l’immaginazione, la capacità che abbiamo di costruire nella nostra mente una rappresentazione dell’esterno che può essere del tutto diversa da ciò che ci hanno narrato le percezioni, è una facoltà che può costruire il suo mondo interno attraverso i mattoni ricavati dal percepito e che, quindi, si amplia con le nostre esperienze. Percepito o immaginato il mondo arriva alla nostra coscienza attraverso i sensi; essi sono le porte del mondo, di un mondo che è intorno a noi, di un mondo che è dentro di noi, che ci sostiene, che ci guida; noi “sentiamo” la realtà fenomenica del mondo interno ed esterno. Russel definiva le sensazioni «le intersezioni tra mente e materia» (1921: 144), l’esperienza dell’essere immediatamente consapevole delle cose; i sistemi sensoriali che ci rendono abili a percepire sono sofisticati e, consequenzialmente, estremamente precisi. A volte, però, il nostro sentire è deviato, irreale, distorto: colpa del sistema di rilevazione, che si è inceppato in qualche suo passaggio ma, più frequentemente, colpa anche di una mente che soffre. I racconti delle Persone che vivono un disagio psichico sono ricchi di descrizioni di sensazioni egodistoniche 1 surreali, anomale, angosciose: una sensazione angosciosa può impedire una vita serena. Spesso il solo sintomo sensoriale imprigiona la Persona in un mondo autistico, avulso dalla realtà: quel sintomo è, allora, patognomonico di una condizione di sofferenza psichica. Il riconoscimento di questi sintomi aiuta ed orienta il clinico sia nella diagnosi della malattia, sia nell’indirizzo terapeutico; egli necessita di una conoscenza profonda dei processi percettivi. La descrizione di questi vissuti percettivi subiettivi è strumento fondamentale per la diagnosi differenziale tra le diverse malattie psichiatriche: la loro analisi consente di individuare sia la forma patologica da cui è affetta la Persona, sia di valutare l’entità di compromissione comportamentale. Compromessa appare la percezione, non necessariamente la sensazione: il dato che viene descritto, infatti, è sempre un dato percettivo, non sensoriale. Quale differenza corre tra sensazioni e percezioni? Proviamo a descriverla sinteticamente. 1. SENSAZIONI E PERCEZIONI I sofisticati strumenti sensoriali che ci consentono le sensazioni hanno il solo compito di rilevare il dato e di “tradurlo” in un linguaggio comprensibile ai circuiti e mappe cerebrali. Il dato trattato da questi ultimi è immediatamente confrontato – operazione che si svolge in una prima tappa del tutto non conscia – con dati già precedentemente immagazzinati (si avanza da tempo l’ipotesi che vi siano a disposizione per il confronto anche dati forniti già nel nostro corredo genetico, così come è stato supposto che vi siano dati archetipici di specie), e contemporaneamente associato agli altri dati che afferiscono dallo stesso strumento sensoriale e da tutti gli altri organi di senso: possiamo ragionevolmente considerare il risultato di questo processo iniziale come il dato percettivo.

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IL SENSO DISTORTO Gianfranco Buffardi

Ho mal di testa e di universo F. Pessoa

In ogni momento della nostra vita ci rendiamo conto di esistere: può apparire banale

ricordarlo ma è particolarmente opportuno sottolinearlo in questo contesto, perché i processi che sono alla base della coscienza della nostra esistenza sono processi complessi che riconoscono come momento fondamentale la concettualizzazione del mondo esterno così come i segnali che provengono dal nostro corpo; questa concettualizzazione avviene attraverso la sensopercezione: tutto il nostro pensato ha passaggio obbligato in ciò che abbiamo percepito.

Anche l’immaginazione, la capacità che abbiamo di costruire nella nostra mente una rappresentazione dell’esterno che può essere del tutto diversa da ciò che ci hanno narrato le percezioni, è una facoltà che può costruire il suo mondo interno attraverso i mattoni ricavati dal percepito e che, quindi, si amplia con le nostre esperienze. Percepito o immaginato il mondo arriva alla nostra coscienza attraverso i sensi; essi sono le porte del mondo, di un mondo che è intorno a noi, di un mondo che è dentro di noi, che ci sostiene, che ci guida; noi “sentiamo” la realtà fenomenica del mondo interno ed esterno. Russel definiva le sensazioni «le intersezioni tra mente e materia» (1921: 144), l’esperienza dell’essere immediatamente consapevole delle cose; i sistemi sensoriali che ci rendono abili a percepire sono sofisticati e, consequenzialmente, estremamente precisi.

A volte, però, il nostro sentire è deviato, irreale, distorto: colpa del sistema di rilevazione, che si è inceppato in qualche suo passaggio ma, più frequentemente, colpa anche di una mente che soffre.

I racconti delle Persone che vivono un disagio psichico sono ricchi di descrizioni di sensazioni egodistoniche1 surreali, anomale, angosciose: una sensazione angosciosa può impedire una vita serena. Spesso il solo sintomo sensoriale imprigiona la Persona in un mondo autistico, avulso dalla realtà: quel sintomo è, allora, patognomonico di una condizione di sofferenza psichica. Il riconoscimento di questi sintomi aiuta ed orienta il clinico sia nella diagnosi della malattia, sia nell’indirizzo terapeutico; egli necessita di una conoscenza profonda dei processi percettivi.

La descrizione di questi vissuti percettivi subiettivi è strumento fondamentale per la diagnosi differenziale tra le diverse malattie psichiatriche: la loro analisi consente di individuare sia la forma patologica da cui è affetta la Persona, sia di valutare l’entità di compromissione comportamentale.

Compromessa appare la percezione, non necessariamente la sensazione: il dato che viene descritto, infatti, è sempre un dato percettivo, non sensoriale. Quale differenza corre tra sensazioni e percezioni? Proviamo a descriverla sinteticamente. 1. SENSAZIONI E PERCEZIONI

I sofisticati strumenti sensoriali che ci consentono le sensazioni hanno il solo compito di rilevare il dato e di “tradurlo” in un linguaggio comprensibile ai circuiti e mappe cerebrali. Il dato trattato da questi ultimi è immediatamente confrontato – operazione che si svolge in una prima tappa del tutto non conscia – con dati già precedentemente immagazzinati (si avanza da tempo l’ipotesi che vi siano a disposizione per il confronto anche dati forniti già nel nostro corredo genetico, così come è stato supposto che vi siano dati archetipici di specie), e contemporaneamente associato agli altri dati che afferiscono dallo stesso strumento sensoriale e da tutti gli altri organi di senso: possiamo ragionevolmente considerare il risultato di questo processo iniziale come il dato percettivo.

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La percezione è una funzione articolata e composita che necessita delle competenze di diverse aree cerebrali, i cui aspetti precipui non sempre sono a tal punto enucleabili da poter essere studiati singolarmente oltre che in toto: essa, come le sensazioni ma ancor più di loro, è globale, interessa un insieme ed interagisce con il patrimonio del singolo senza possibilità di decontestualizzazione.

James definiva la percezione come «consapevolezza di cose materiali particolari che si presentano ai sensi»; ma se la cosa percepita l’abbiamo appresa nel contesto di altre «percependola, la sentiamo molto diversa da quando la percepiamo nuda e sola» (1890: ???). Merleau-Ponty asserisce che «la percezione ci fa assistere al miracolo di una totalità che supera quelle che crediamo essere le sue condizioni o le sue parti, che le tiene da lontano in suo potere, come se esse non esistessero che sulla sua soglia e fossero destinate a perdersi in essa» (1964: 20); ma ancor di più, superando anche i limiti del percepito, «io posso fare assegnamento su ciò che vedo, e che si trova in stretta corrispondenza con ciò che vede l’altro –in verità, tutto lo testimonia: noi vediamo veramente la stessa cosa e la cosa stessa – e in pari tempo non raggiungo mai il vissuto dell’altro» (23 n.).

La tripartizione della percezione in fasi successive proposta da Kräupl2 parte dalla considerazione che «solo un insieme di sensazioni può formare il contenuto di un’esperienza esistenziale, mai una sensazione di per sé» (1966 cit. in Sims, 1988: 77). Eppure, come ricorda Galimberti, «la percezione ha un carattere selettivo perché il soggetto non reagisce a tutti gli stimoli che lo colpiscono, ma, tramite l’attenzione, ne focalizza un certo numero, ignorando quelli che lo distraggono» (1992: 674).

Capitoli specifici di questo volume sono più esaustivi sull’argomento e consentono un ulteriore approfondimento; sottolineo qui di seguito solo alcuni degli aspetti della percezione che hanno valenza pregnante in ambito clinico: – la sensazione non è quasi mai confinabile ad un solo stimolo, ma ognuno di noi è raggiunto in ogni momento della sua esistenza da un campo di sensazioni; – su tale campo di sensazioni agisce l’attenzione selettiva; – gli stimoli che ci raggiungono subiscono una valutazione cognitiva, che interessa di volta in volta diversi loci mnemonici ed associativi; – attraverso l’iterazione di luoghi della memoria e luoghi associativi, gli stimoli esterni vengono percepiti e ad essi viene dato un “valore affettivo”.

Sono sufficienti queste poche considerazioni perché emerga la delicata complessità della percezione; tale complessità è l’elemento debole che ne determina la facile alterazione, anche in assenza di sofferenza psichica: il senso distorto che spesso caratterizza i vissuti di chi soffre particolari stati emotivi e psichici, non è infrequente nei vissuti di coloro che non vivono particolari momenti mentali devianti e, quindi, non è necessariamente sintomo di malattia o disagio (valga, ad esempio, il fenomeno dell’illusione).

Il senso distorto, quindi, non può essere categorizzato unicamente come affezione, né deve necessariamente essere considerato patologico. La sua distorsione può intervenire per l’alterazione di uno solo dei passaggi tra la rilevazione del dato sensoriale e la risposta cognitiva, passaggi che spesso implicano il concorso di diverse forze psichiche e che schematizzo qui di seguito con grossolana rappresentazione: – la realtà esterna ci fornisce dei dati, difficilmente unici, quasi sempre plurimi e formanti un tutt’uno globale; – questi dati vengono “sentiti” dai nostri strumenti sensoriali nella loro realtà fenomenica; – i nostri strumenti sensoriali operano una prima selezione (ad esempio, non avvertendo gli ultrasuoni, le onde luminose oltre lo spettro cromatico, la disgiunzione tra due sensazioni tattili troppo vicine in alcuni punti del nostro corpo ecc.) ed un primo processo associativo, ad esempio attraverso le stazioni mesencefaliche; – un sistema di riconoscimento inconscio completa il dato sensoriale, sempre parziale, e necessita, quindi, di un apporto mnemonico;

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– a questo punto si attiva il processo di coscientizzazione, attraverso il riconoscimento di parti o di tutto il dato sensoriale, la contiguità d’azione con altre aree associative cerebrali, attivate da quei dati (si pensi all’attivazione delle aree cerebellari per l’equilibrio, stimolate anche da sensazioni uditive); – noi “interpretiamo” questi dati confrontandoli con i dati semantici contenuti nella nostra memoria, consci ed inconsci, creiamo una nostra “rappresentazione mentale dei dati” e, contemporaneamente, – esprimiamo nei loro confronti una risposta “affettiva”: ci possono tranquillizzare, preoccupare, esaltare, angosciare ecc.; – infine, rispondiamo con un comportamento più o meno diretto.

Questi processi accadono con rapidità quasi relativistica ed in costante continuità tanto che non possiamo concepire una realtà coscienziale senza la costante presenza dei dati sensoriali vissuti o rammemorati (o immaginati). Ogni elemento fisico e funzionale che concorre al processo può risultare “inceppato” o alterato e può condurre a fenomeni di distorsione di senso, naturali come psicopatologici. La Persona può descrivere le proprie percezioni distorte: anche la descrizione è un anello del processo percettivo in quanto non può prescindere dalla trasformazione di un percepito in un linguaggio tipicamente collegato agli apparati sensori in un “narrato”, dove la narrazione è precipuamente personale, caratteristica del singolo e ricca di nuances affettive. Nei confronti di queste narrazioni il clinico dovrà avanzare un'interpretazione che le consideri alterazioni di sensazioni originariamente corrette 2. PSICOPATOLOGIA DELLE PERCEZIONI

La psicopatologia delle percezioni è uno dei grandi capitoli della clinica psichiatrica: il senso distorto è un sintomo fondamentale per la valutazione diagnostica, ma il percorso psicopatologico è costellato di perplessità epistemologiche.

Una prima perplessità, basilare anche se chiaramente al di fuori del campo della ricerca clinica, ancorata alla ricerca teorica, è da considerarsi preventivamente ed è data dal problema della demarcazione tra sensazione corretta e scorretta; se accettiamo la realtà fenomenica come assoluta, potremmo considerare corrette tutte quelle sensazioni che abbiano un riconoscimento universale: siamo tutti portati a pensare che esista una sensazione corretta tout court, ma non possiamo non considerare che la sensazione per essere corretta deve essere “completata” percettivamente: infatti i dati sensoriali percepiti sono insufficienti a proporre la sensazione nell’interezza che è propria della percezione.

In quella prima tappa non conscia, più volte citata, il senso completa il suo procedimento; la sensazione non si limita ai soli dati da input esterno ma li completa con quei dati necessari che provengono dalla memoria e che si sono consolidati nel tempo con l’esperienza.

Tale procedimento avviene sia per dati complessi che per dati semplici: se vedo il mio amico Guido seduto dietro una scrivania non l’immagino senza gambe così come mi appare, di un pallone da calcio percepisco la grossolana sfericità pur se la mia vista non supera la circolarità del contorno. Questo processo viene considerato da Edelman (1992: 194) una categorizzazione percettiva, funzione che può essere anche ingegnerizzata in un automa.

Diversamente, la successiva categorizzazione concettuale necessita di un confronto attivo con la memoria semantica, con i contenuti simbolici immagazzinati nel tempo, attraverso cui operare un riconoscimento di dati. Il senso necessita di un riconoscimento perché diventi narrazione, altrimenti il senso risulterebbe essere solo l’input di un sistema riflesso che, per quanto complesso sia, resta comunque confinato al ruolo di reazione del tutto o parzialmente non cosciente (valido esempio di sistema sensoriale riflesso è il complesso delle sensazioni che consentono l’equilibrio e i movimenti).

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Il riconoscimento avviene, però, anche in maniera anomala: se l’organo di senso è malfunzionante o malato, la Persona avverte le differenze dei dati sensoriali dovute alla malattia: deve riconoscerla nonostante l’alterazione, un processo non sempre possibile! Credo sia patrimonio di esperienze di molti i suoni ovattati ascoltati dal proprio orecchio colpito da un’otite, così come sovente le Persone non più giovani adattano cognitivamente il dato visivo deformato dei loro occhi affetti da gravi cataratte del cristallino alle percezioni memorizzate nel tempo di una vita.

Nulla può però la coscienza con chi vive la distorsione del senso dovuta all’alterazione di uno di quei passaggi cognitivi che ho sopra elencato; la Persona è avvinta a quel senso distorto, che percepisce come verosimile e reale, il dubbio assente o rapidamente fugato: poche le eccezioni, i cosiddetti “miraggi” ad esempio, l’asfalto dell’autostrada percepito bagnato in lontananza, quasi una polla d’acqua, al cui inganno ormai siamo smaliziati. I vissuti delle distorsioni percettive sono, invece, ardui da interpretare correttamente ed alcune Persone non riusciranno mai, per l’affezione a cui sono condannati, a risolverli in vissuti immaginari.

Confrontando alcune descrizioni di tali vissuti noi operiamo, spesso, diagnosi differenziali estremamente articolate: perché ciò sia possibile è necessario un sofisticato riconoscimento di alcuni elementi, senza escludere il contenuto analogico delle narrazioni (il tono e l’espressione della voce, la mimica facciale, i movimenti del corpo ecc.), spesso contraddittorio nei confronti dello stesso contenuto digitale (il significato netto delle parole).

Le rappresentazioni mentali dei percepiti richiamano i diversi apparati sensoriali, prima porta da cui esse sono state generate; così, anche le rappresentazioni mentali costruite sulla distorsione sensoriale, sull’assenza di percepito o sulle modifiche operate inconsciamente o consciamente dei dati realmente avvertiti, richiamano i diversi sensi alla base della loro costruzione psichica.

Nella pratica clinica noi distinguiamo tra queste rappresentazioni, definite dalla psicopatologia dispercezioni: le allucinazioni, le illusioni e le distorsioni sensoriali, a cui vanno aggiunte le fantasie, generate dall’attività immaginativa che ho parzialmente escluso da questa trattazione. Sintetizzo qui di seguito alcune delle più frequenti forme di dispercezione:

1) le allucinazioni sono esperienze sensopercettive senza oggetto, che agiscono prepotentemente nella coscienza del singolo con la forza convincente della realtà e che il singolo non riesce a gestire o controllare; distinguiamo diverse allucinazioni in base all’apparato sensoriale implicato ed alla natura del percepito: visive, uditive, olfattive, tattili, gustative, somatoestesiche ecc.; a queste vanno aggiunte le allucinazioni complesse, che implicano il concorso di tutti i sensi, più rare nelle patologie psicotiche, di cui le allucinazioni sono un sintomo tipico, più frequenti nelle isterie (Rossi 2000). Le distinguiamo in base al tipo di manifestazione come: – allucinazioni positive, le allucinazioni vere e proprie, in cui è avvertito qualcosa che in realtà non c’è; – allucinazioni negative, quando la Persona non vede o non avverte un dato reale, pur avendolo ben presente agli apparati sensoriali; – pseudoallucinazioni, sensazioni di confine, in assenza di oggetto, con percezioni vivide ma riconosciute come interne (ad esempio, sentire la voce di una persona cara deceduta); – alcune allucinazioni particolari, quali quelle all’addormentamento o nell’imminenza del risveglio, vissute come sensazioni reali pur se ben coscienti dello stato di sogno, le cosiddette allucinazioni ipnoagogiche (all’addormentamento) e ipnopompiche (al risveglio).

2) le illusioni sono sensazioni scorrette della realtà la cui fallacia viene immediatamente riconosciuta qualora aumentasse l’attenzione e si constatasse l’assurdità della percezione rispetto allo stimolo; tra le illusioni ricordiamo: – le illusioni di completamento, quando ricostruiamo un’immagine automaticamente da alcuni spezzoni, come quando ricostruiamo automaticamente le parole di un manifesto in parte strappato; – le illusioni emotive, comunissime, quelle che fanno vedere semplici abiti come mostri che avanzano al bambino che, timoroso del buio, si svegliasse durante la notte;

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– le paraedolie, sensazioni di vedere in una roccia, in un costone di una montagna, in una nuvola, un certo aspetto caratteristico di altri dati, come il masso che sembra un elefante o la mattonella che sembra riprodurre la faccia di un cane; – i cosiddetti miraggi, già descritti, ecc.;

3) le distorsioni, alterazioni quantitative dei dati sensoriali, quali vedere gli oggetti intorno più vicini o più lontani, più alti o più bassi, più intensi: distorsioni sono quelle sensazioni che a tratti ci colgono di anomala visione stereoscopica, come la sensazione realistica che un piccolo oggetto vicino sia alto quanto il lontano grattacielo, ma sono anche le amplificazioni del dolore, le iperestesie in termini clinici, o le anestesie, l’assenza di sensazioni dolorifiche; 4) le fantasie sono «una parte indispensabile dello svolgimento della vita mentale di una persona» (Sims 1988: 79), ed in genere una vita ricca di fantasia è associata a soddisfazione, sicurezza, capacità progettuale ed è estremamente varia. Le fantasie sono sempre ben distinte dalle percezioni e non sono confuse con esse; quando sopravanzano i contenuti di pensiero, come nelle Persone che vivono in un “mondo di sogni”, è da considerarsi patologica la modalità psichica che le porta in primo piano, non la fantasia in sé. Una condizione particolare è la pseudologia fantastica, una menzogna, iperbolica, particolare e, spesso, sensazionalistica, che comunque risponde a dei minimi criteri di plausibilità e che la Persona espone con la disinvoltura della profonda autoconvinzione: è una bugia narrata prima a se stesso.

Su tali manifestazioni psicologiche e psicopatologiche agiscono, poi, le altre condizioni della mente umana. Esse stimolano un particolare contenuto emotivo, avviano catene di pensieri, richiamano comportamenti di risposta. Le alterazioni percettive non possono da sole significare un particolare tipo di patologia e, spesso, possono apparire molto simili tra loro pur in patologie di diversa gravità e compromissione. Ecco alcuni esempi di sensazioni somatiche in differenti affezioni morbose, descrizioni colte dal vivo del colloquio clinico.

1) «Sento il grosso verme che mi cammina sotto la pelle del collo e penetra dentro il cranio, premendomi sul cervello e obbligandomi a reagire con aggressività ai miei familiari».

2) «È come se gli occhi mi si fossero rivoltati all’interno del cranio e vedessero il mio cervello spaccato in due […] a volte ho la sensazione che la mia lingua sia così gonfia da spingere in alto il palato contro i bulbi oculari e che questi, per superare la pressione, si voltino all’interno della cavità orbitarla, vedendo la realtà esterna confusa e vaga».

3) «Sono diversi mesi che avverto un dolore puntorio alla schiena, più o meno localizzato al centro, all’altezza del cuore, che si irradia ogni tanto a tutta la colonna vertebrale sino al collo ed alla testa, quasi trapassandomela».

Valutiamole psicopatologicamente: 1) il grosso verme descritto dal primo paziente è un allucinazione somatica: non lo vede, ma lo

avverte al di sotto della pelle, che cammina e provoca una sua risposta comportamentale assolutamente inadeguata; è chiaro che il paziente non riesce a distinguere questa sua percezione dalla realtà e la sente come vera: è affetto da un delirio somatico;

2) la descrizione coloratissima dei sintomi di questo paziente e la stranezza dei suoi vissuti potrebbero far pensare anche in questo caso ad alcune allucinazioni somatiche, ma l’utilizzo del “come se” fa intuire che il paziente si “renda conto” che queste sue percezioni sono lontane dalla realtà: il suo umore è invece fortemente condizionato, egli soffre profondamente per queste sensazioni e le vive come angosciose, frutto di una grave condizione patologica che è la depressione maggiore, malattia depressiva di elevata gravità e rarità non assimilabile alla comune sindrome depressiva che, invece, colpisce moltissime Persone in alcuni particolari momenti della loro vita3;

3) la sensazione somatica di un dolore, pur nell’assenza di una patologia somatica che lo giustifichi, è comunque collegabile a realtà percettive: il paziente “sente” realmente quel dolore e, essendo quel dolore sensazione subiettiva, non può essere considerato un’allucinazione, a meno che il quadro generale della narrazione del vissuto non assuma toni deliranti; esiste una condizione di malattia psichica in cui il confine tra “dolore somatoforme”, un dolore immaginario ma non

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delirante, e allucinazione dolorosa, è molto sfumato e, spesso, di difficile valutazione: l’ipocondria, forma morbosa complessa caratterizzata dalla «preoccupazione legata al timore di avere, oppure alla convinzione di avere una grave malattia, basata sulla erronea interpretazione di sintomi o funzioni corporee» (AA. VV. 1994: 224).

L’intensità del vissuto, la consapevolezza della sua presenza trasformano questa narrazione del percepito in esistenza; condizioni simili possono essere considerate le percezioni che accompagnano una patologia a forte componente organica o in quelle particolari condizioni patologiche in cui si presenta un’aura sensoriale, come avviene per alcune forme di cefalea. I cosiddetti TVD, disturbi transitori visivi che anticipano la crisi cefalalgica, hanno stimolato molte ricerche recenti, oltre ad aver consentito ad un grande divulgatore, quale è Oliver Sacks, la possibilità di confezionare un’ipotesi verosimile sulla componente psicologica (Sacks 1997); molti studi recenti, però, evidenziano la difficoltà di una corretta diagnosi di TVD e limitano l’eziologia dei fenomeni d’aura della crisi cefalalgica ad alterazioni momentanee neurotrasmettitoriali strettamente correlate alla genesi della cefalea (Mattson, Lundberg 2000): analoga evidenza non è concessa all’ipotesi del neurologo americano4.

Ma sulle percezioni e sulla loro memorizzazione agisce anche la deformazione del tempo: amnesie, falsi ricordi, contrazioni tra ricordi diversi, disorientamenti spazio-temporali che riconoscono luoghi e tempi di un ricordo diversi da quelli reali, tutti concorrono a quei processi mentali che hanno costituito, attraverso discussioni e ripensamenti, il sostrato narrativo delle tecniche di psicoterapia psicodinamica, psicoanalisi in testa.

Il contenuto rimosso, le fantasie, le negazioni agiscono, a distanza di anni, sui contenuti percepiti ed immagazzinati ad un qualche livello. La scelta epistemologica che è alla base della terapia psicoanalitica riconosce alla rappresentazione mentale costruita sui ricordi percettivi una valenza simbolica, spesso narrata in luogo di altro, connessa ma nascosta dal simbolo.

Quanto siano anche queste “distorsioni patologiche” è arduo rispondere. 3. IL MODELLO ESISTENZIALE

Per una narrazione costruita sui sensi è indispensabile il contenuto affettivo. Quanto la coscienza debba al senso e quanto un senso distorto alteri la coscienza è altra domanda che necessita di un’analisi profonda. Per lo psicopatologo il senso ed il suo vissuto è fondamentale oggetto di indagine ma nulla può oggi indicargli con certezza quanto il percepito sia debitore alla componente affettiva e quanto l’umore, per contro, subisca la tirannia dei sensi.

Il limite dell’approccio psicopatologico è inscritto nella sua collocazione “positivistica», tipica della scienza medica; essa necessita di una fede cieca nel determinismo, ma qualsiasi approccio rigidamente deterministico alla psicopatologia ha contribuito solo ad incrementare i dubbi. Il determinismo pervade molte delle possibili interpretazioni psicopatologiche; anche l’approccio psicoanalitico al sintomo, ad esempio, è un approccio tipicamente determinista. Esso differirebbe dall’approccio “biologico” per la scelta delle cause prime, non per l’ineluttabilità della catena determinante.

Il modello classico clinico, che potremmo definire biologico strictu sensu, interpreta i sensi distorti con una chiara indicazione della funzione alterata: se ripensiamo al primo dei vissuti riportati sopra, vissuto tipico di una Persona che produce una percezione sine materia, in assenza di stimolo quale è un’allucinazione, perché la sua patologia è caratterizzata da un eccesso di dopamina che stimola le strutture cerebrali deputate al riconoscimento delle sensazioni; un difetto di serotonina colpisce, invece, la Persona che narra il secondo vissuto, costruito in luogo di una grossa riduzione del tono dell’umore; così come vi è una ridotta azione serotoninergica, il cui deficit attiva particolari meccanismi propri del locus coeruleus, zona particolare dell’encefalo, che stabilizzano il dolore della Persona che narra il terzo vissuto sopra descritto. Con analogo procedere conoscitivo,

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l’indagine psicodinamica evidenzia l’impossibilità di superare un certo stadio dello sviluppo psicologico che conduce il primo paziente ad introiettare paure e vissuti infantili, vivendoli come percezioni, laddove le modificazioni corporee supposte dal secondo paziente possono essere il risultato di aggressività orientata contro se stesso, o il dolore somatoforme del terzo un sintomo di spostamento da un’angoscia psichica ad un dolore somatico, proprio di chi non riesce ad esprimere le sue sensazioni interne (alessitimia).

Se consideriamo le procedure che conducono al sintomo, psichiatria biologica e psicoanalisi coincidono con buona approssimazione; la difficoltà metodologica dei modelli deterministici è dovuta alla loro impossibilità ad integrarsi l’un l’altro, costringendo il clinico a scelte a volte dettate da motivi più personali che concreti.

Nell’ottica determinista la distorsione è una traccia utile all’investigatore, aspecifica per la psichiatria biologica, che ne rileva solo i parametri neurotrasmettitoriali: perché mai un’alterazione del delicato equilibrio biochimico provochi la distorsione uditiva piuttosto che quella visiva è quesito aneddotico; specifica, ancorché simbolica per lo psicoanalista, un dato semiotico che, attraverso una traduzione complessa, al confine della lingua esoterica, disvela l’evento che il soggetto ha celato anche a se stesso: e se, invece, «il simbolo [sia] da considerarsi un simbolo proponente, laddove il legame del significato con l’oggetto in esame avviene nell’hic et nunc dello spazio terapeutico»? (Buffardi 1989: 673).

Un filone recente di indagine cognitiva del problema mente-cervello sta rivalutando il ruolo della Persona: «Non più […] una mente come luogo di eventi oggettivi, che rischiano di diventare strutture vuote, ma come descrizione linguistica di esperienze che acquisiscono il loro significato attraverso chi le sperimenta» (Angelozzi 1997: 2).

Da tempo, insieme a Ferdinando Brancaleone ed a molti altri nostri collaboratori abbiamo iniziato un’opera di riappropriazione epistemologica e terapeutica del modello esistenziale che crediamo sia un valido modello interpretativo della psicopatologia per la sua immediatezza spazio temporale e la centralità del concetto di Persona a cui questa immediatezza è riferita. «L’Esistenzialismo, o meglio, gli Esistenzialismi, non rappresentano un corpo dottrinario unico, piuttosto essi si collegano attraverso alcuni concetti centrali quale quello della Persona, l’uomo come singolo, unico ed irripetibile, che realizza la sua esistenza nel rapporto con il mondo; non è un dualismo uomo-mondo, piuttosto la totale integrazione dell’uomo nella sua esistenza, nel suo “esserci”» (Buffardi 2000b).

La Persona si narra attraverso la propria esperienza; la distorsione dei propri sensi assume un significato imprenscindibile dalla storia di una Persona, unica ed irripetibile, che di quel senso e della sua alterazione condivide il lessico di un linguaggio anch’esso unico ed irripetibile, suo proprio e mai pienamente condivisibile da altri; ogni sintomo, ogni sensazione è parte della storia del singolo.

Ogni singolo è immerso in un mondo di possibilità ed impossibilità; l’oblio, indispensabile strumento per la costruzione delle mappe interne orientative, grande capacità umana che impedisce l’affastellarsi dannoso di sensazioni, percezioni, pensieri, affastellarsi che provocherebbe l’impossibilità di una vita mentale, opera tagli e riduzioni a volte approssimativi, a volte sensati ma basati sull’improbabilità di evenienze concrete.

Le rappresentazioni mentali delle sensopercezioni sono componenti fondamentali di queste mappe interne cui le scelte di ciascuno di noi si riferiscono; ma queste mappe possono apparire esigue, limitate o, pur se ampie e complesse, possono sottacere capacità o intuizioni che pur hanno luogo nella nostra mente incoscientemente.

Le premesse metodologiche ci impediscono di ipotizzare uno strumento terapeutico in grado di valutare ciò che non sia narrato dalla Persona e di indirizzarlo verso la consapevolizzazione delle possibilità misconosciute ma che lo aiuterebbero a superare la difficoltà del momento; la nostra scelta terapeutica si orienta allora, su un lavoro conoscitivo compiuto dalla Persona attraverso l’analisi del linguaggio delle sue narrazioni, la logoanalisi coscienziale che con gli stimoli metodologici di tecniche di intervento comunicativo, come ad esempio la Programmazione Neuro

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Linguistica, aiutano la Persona a riconoscere le strutture profonde che sottendono alla struttura superficiale del parlato: questa opera di approfondimento è, metaforicamente come realisticamente, un sistema per ampliare le mappe interne.

Nei nostri esempi anche i sensi, pur nella loro distorsione, costituiscono una sorta di struttura superficiale della narrazione di un proprio disagio: la ricerca della struttura profonda cui essi sottendono è compito terapeutico indispensabile nel modello esistenziale.

Tutto ciò avviene grazie alle capacità tecniche del terapeuta ma, diversamente che in altri ambiti di cura, senza che sia indispensabile per lui apprendere quanto attraverso la terapia sta scoprendo di sé la Persona: il terapeuta esistenziale si pone in una condizione di sospensione di giudizio, non interviene, lasciando che la Persona autonomamente ampli le sue mappe interne e cerchi le sue soluzioni, attraverso gli stimoli e l’ausilio “distaccato” del terapeuta in un intervento di logodinamica subliminale.

Ogni distorsione sensoriale è pregna di “senso”, anche la dispercezione allucinata del verme mangia cervello si costruisce sulla storia del singolo, assume un significato individuale ed il terapeuta non può ignorare questa personalizzazione di senso. 4. CONSIDERAZIONI FINALI

La scelta di un modello come quello esistenziale conduce necessariamente all’attualizzazione di un linguaggio che non escluda alcun altra possibilità interpretativa, anzi, che tutte le integri nella loro complessità, smussando gli angoli degli inconciliabili determinismi; credo sia intuitivo che attualizzare il linguaggio della psicopatologia, purgandolo da riduzionismi deterministici e da pindarici olismi sia operazione difficile ed avversata perché per metodo contraria a “fedi” terapeutiche vissute con l’intensità da tifo calcistico: sono convinto, però, che sia un’operazione indispensabile proprio in considerazione dell’ampliamento delle mappe mentali che il progresso delle neuroscienze sta imponendo alle discipline psichiche; solo attraverso questa attualizzazione anche il senso distorto potrebbe superare il gap di sintomo e recuperare quello di narrazione di esistenziali della Persona. 5. GLOSSARIO DEI TERMINI CLINICI Affettivo Proprio dell’umore, che può essere esaltato, depresso, euforico, maniacale o composito

(normale). Autismo Condizione clinica di chi è chiuso in un mondo suo, incapace di qualsiasi

comunicazione con l'esterno, intrappolato in una rete di sensazioni anomale e/o dispercezioni. Il termine è stato introdotto da Eugène Bleuler ed è stato considerato uno dei sintomi primari delle gravi psicosi, significativamente della schizofrenia.

Aura Corredo di sintomi che si presentano con costante sistematicità nell’imminenza di un episodio critico di altra patologia, come ad esempio una crisi cefalalgica o un episodio comiziale (epilettico).

Cefalea Condizione patologica caratterizzata da dolore intenso riferito al capo. Esistono diversi tipi di cefalea, alcune secondarie ad altre patologie (ad esempio secondarie ad un rapido incremento della pressione arteriosa o ad una neoformazione che si espande nella scatola cranica, quali tumori maligni e benigni), ma più comunemente la cefalea è una patologia idiopatica in cui sono interessati diversi sistemi senza compromissioni particolarmente significative, come la classica emicrania.

Delirio Falsa convinzione basata su erronee deduzioni riguardanti la realtà esterna, che viene fermamente sostenuta contrariamente a quanto tutti gli altri credono e a quanto costituisce prova ovvia e incontrovertibile della verità del contrario. La convinzione

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non è di quelle ordinariamente accettate dagli altri membri della cultura o sub-cultura della persona (per esempio, non è un articolo di fede religiosa). Quando una falsa convinzione riguarda un giudizio di valore, viene considerata delirio solo allorché tale giudizio risulta così estremo da sfidare la credibilità. Le convinzioni deliranti si manifestano sulla base di un continuum, e possono talora essere dedotte dal comportamento di un individuo. Spesso risulta difficile distinguere tra un delirio e una idea prevalente (nel qual caso il soggetto ha una idea o una convinzione irragionevole, ma non la sostiene così fermamente come nel caso di un delirio). I deliri vengono suddivisi a seconda del loro contenuto (da AA. VV. 1993: appendice C, glossario dei termini tecnici, delirio).

Egodistonia Idee, pensieri, pulsioni contrarie agli Ideali dell’Io, alla personalità del soggetto o alla sua cultura, tanto da avvertirle come fastidiose; sostantivo contrario è egosintonia.

Eziologia Causa prima o complesso di cause che determina una malattia; le malattie possono essere, ad esempio, ad eziologia infettiva, metabolica, traumatica ecc.

Inconscio In questo testo l’accezione in cui viene adoperato il termine è più vicina all’idea di “non cosciente” che di inconscio come luogo dei contenuti rimossi freudiani. Le due accezioni sono, però, in parte coincidenti.

Memoria semantica La memoria che immagazzina definitivamente i dati, sempre disponibili ad essere recuperati; si distingue dalla memoria a breve termine, dalla memoria di lavoro e da quella procedurale.

Mesencefalo Zona cerebrale, posizionata mediamente ed inferiormente ai lobi cerebrali, composta da diverse stazioni con il compito, tra gli altri, di favorire i nessi associativi tra diverse funzioni cerebrali.

Patognomonico Che è talmente caratteristico di una particolare patologia da essere condizione sufficiente per diagnosticarla.

Psicopatologia Originariamente branca della psichiatria, tesa allo studio dei sintomi e dello sviluppo psicologico di essi, si è andata affrancando nel tempo, grazie ai contributi di Karl Jaspers, Eugen Minkowski, Ludwig Binswanger, autonomizzandosi come scienza che studia i fenomeni psichici non nella loro accezione di normali/devianti ma in un’ottica esperienziale, nella loro descrittività ed evoluzione psicologica.

Semantico Cfr. “Memoria semantica”. Sintomo Sensazione riferita come fastidiosa e che è indizio ascrivibile ad una patologia,

somatica o psichica che sia; si distingue dal segno perché quest’ultimo è obiettivo, cioè rilevato dal clinico a prescindere dalla descrizione del paziente (ad esempio, segno è un sibilo respiratorio auscultato dal medico grazie allo stetofonendoscopio), mentre il sintomo è prettamente soggettivo, ad esempio un mal di testa.

NOTE 1 Per il preciso significato dei termini clinici, cfr. il Glossario posto alla fine del saggio. 2 Le tre fasi successive della percezione proposte da Kräupl (1966) si possono così sintetizzare: 1) tutti i dati della realtà che mi circonda contribuiscono a creare un campo di sensazioni; 2) sperimento una percezione sensoriale come una configurazione sensoriale senza riconoscimento; 3) il percetto è significativo quando, ad un qualche livello, viene riconosciuto come qualcosa di familiare. 3 Per i diversi significati di “depressione”, cfr. la voce corrispondente in Sed contra. 4 La casualità dell’insorgenza di sintomi visivi sembrerebbe collegata più alla stimolazione per prossimità delle contigue zone cerebrali che ad una logica fuzzy; diverso appare, invece, il sintomo sensoriale quando è costruito da un disagio psichico: l’aspetto affettivo del sintomo, la sua pregnanza di significato, sono riconducibili comunque ad una causalità biologico-psichica, pur nella sua indeterminabilità, in quanto propria della Persona, non decontestualizzabile dalla storia del singolo.

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