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1 L’ascolto del minore nella crisi coniugale. (Seminario del 30 settembre 2013 organizzato dalla Associazione Avvocati di Rutigliano). Il tema sul quale vorrei condividere la Vostra attenzione e riflessione riguarda la implicazione processuale dell’istituto dell’audizione del minore nei procedimenti di separazione e divorzio alla luce ex art.155 sexies c.c. ( introdotto con la legge sull’affidamento condiviso 54/2006) nel suo tenore riformulato alla luce dell’art. 315 bis c.c.( introdotto dalla legge 219/2012 sulla equiparazione dello status giuridico dei figli naturali e dei figli nati nel matrimonio). In via generale è importante riconoscere il valore di grande civiltà di cui queste norme si fanno veicolo e che trovano il loro humus fondante nella legislazione internazionale. Mi riferisco, in particolare, alla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (sui diritti del fanciullo), ratificata con legge n. 176 del 27 maggio 1991, che all’art. 12 ha riconosciuto al minore il DIRITTO all’ascolto ed alla completa partecipazione nei processi che lo riguardano, a seconda della capacità di discernimento dello stesso; la portata normativa di tale Convenzione è stata dichiarata immediatamente precettiva dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 16 gennaio 2002. Questa Convenzione ha direttamente influenzato le modifiche previste dalla normativa nazionale nelle procedure di adozione nazionale e internazionale, soprattutto alla luce del suo carattere self executing, ovvero dell’immediata efficacia nel diritto interno, affermata dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 1/ 2002 ed ha integrato, in via esegetica, la disciplina dell’art. 336, comma 2, c.c., nel senso di individuare il minore come parte sostanziale del procedimento azionato contro uno dei due genitori. La Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli), ratificata con Legge 20 marzo 2003 n. 77 ,

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L’ascolto del minore nella crisi coniugale.

(Seminario del 30 settembre 2013 – organizzato dalla Associazione

Avvocati di Rutigliano).

Il tema sul quale vorrei condividere la Vostra attenzione e riflessione riguarda la

implicazione processuale dell’istituto dell’audizione del minore nei procedimenti di

separazione e divorzio alla luce ex art.155 sexies c.c. ( introdotto con la legge

sull’affidamento condiviso 54/2006) nel suo tenore riformulato alla luce dell’art.

315 bis c.c.( introdotto dalla legge 219/2012 sulla equiparazione dello status giuridico

dei figli naturali e dei figli nati nel matrimonio).

In via generale è importante riconoscere il valore di grande civiltà di cui queste

norme si fanno veicolo e che trovano il loro humus fondante nella legislazione

internazionale. Mi riferisco, in particolare, alla Convenzione di New York del 20

novembre 1989 (sui diritti del fanciullo), ratificata con legge n. 176 del 27

maggio 1991, che all’art. 12 ha riconosciuto al minore il DIRITTO all’ascolto ed alla

completa partecipazione nei processi che lo riguardano, a seconda della capacità di

discernimento dello stesso; la portata normativa di tale Convenzione è stata dichiarata

immediatamente precettiva dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 16

gennaio 2002. Questa Convenzione ha direttamente influenzato le modifiche previste

dalla normativa nazionale nelle procedure di adozione nazionale e internazionale,

soprattutto alla luce del suo carattere self – executing, ovvero dell’immediata

efficacia nel diritto interno, affermata dalla citata sentenza della Corte costituzionale

n. 1/ 2002 ed ha integrato, in via esegetica, la disciplina dell’art. 336, comma 2, c.c.,

nel senso di individuare il minore come parte sostanziale del procedimento azionato

contro uno dei due genitori.

La Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (Convenzione europea

sull’esercizio dei diritti dei fanciulli), ratificata con Legge 20 marzo 2003 n. 77,

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prevede che al minore vanno riconosciuti il diritto di ricevere tutte le informazioni, il

diritto ad essere consultato e ad esprimere la propria opinione nel corso della

procedura, di essere informato sulle possibili conseguenze delle aspirazioni dal

medesimo manifestate e delle sue decisioni; il diritto di chiedere la designazione di

un rappresentante speciale nei procedimenti che lo riguardano, ogni qualvolta sussiste

un conflitto d’interessi con i genitori; l’art. 6 della Convenzione prevede, poi, un

vero e proprio “ascolto informato” del minore, con la specificazione di dettagliati

criteri guida di esaustività dell’ascolto: più precisamente, il Giudice deve informare

preventivamente i minori delle istanze dei genitori nei loro riguardi e, dopo averli

consultati personalmente sulle eventuali statuizioni da emettere, deve indicare nella

propria decisione le fonti delle informazioni, sulla base delle quali è pervenuto alle

conclusioni che hanno giustificato il provvedimento adottato, anche in forma di

decreto, tenendo conto dell’opinione espressa dai minori, salvo che l’ascolto o

l’audizione siano dannosi per i loro interessi superiori.

L’importanza dell’audizione è stata, peraltro, ribadita nelle “Linee guida del

Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di bambino”, adottate dal

Comitato dei Ministri il 17 novembre 2010, dove, nella sezione III, lett. A, è

rimarcato il diritto del minore ad avere la possibilità di esprimere la propria opinione

nell’ambito dei procedimenti che lo riguardano. Nella sezione IV, lett. D è, poi,

sancito, al punto 3, in modo particolarmente cogente, il diritto del minore di essere

ascoltato: “i giudici dovrebbero rispettare il diritto dei minori ad essere ascoltati in

tutte le questioni che li riguardano”.

L’ascolto del minore affonda le sue radici nei principi costituzionali espressi dall’art.

2 della Costituzione (sotto il profilo dell’affermazione del primato della dignità della

persona) ed in quelli in tema di relazioni familiari e tutela della filiazione (artt. 29 e

30 della Costituzione).

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Antecedentemente alla legge 54/2006 ( legge che ha istituito l’affidamento condiviso)

l’audizione dei figli minori era prevista in termini di “possibilità” e comunque

sottoposta alla valutazione del giudice dall’art. 6, 9° comma della legge sul divorzio “

qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età”.

L’art. 155 sexies c.c, introdotto dalla legge 54/2006 rappresenta il primo passo di

codificazione nel diritto sostanziale della partecipazione del minore nei procedimenti

che lo vedono coinvolto “ Prima dell’emanazione anche in via provvisoria, dei

provvedimenti di cui all’art.155,il giudice può assumere, ad istanza di parte o

d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice DISPONE, inoltre, L’AUDIZIONE del figlio

minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore OVE

CAPACE DI DISCERNIMENTO. Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice

sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei

provvedimenti di cui all’art.155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di

esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare

riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.

Con la legge 219/2012 è stato introdotto nel codice civile l’art.315 bis il quale al

3° comma ha stabilito che “ Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e

anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere

ASCOLTATO in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. La legge

219/12 ha introdotto nel tessuto codicistico, in materia di filiazione, l’art. 315 bis c.c.,

norma che riconosce una maggiore “centralità” al ruolo del minore sia all’interno del

processo, estendendo le possibilità di ascolto del minore a tutti i procedimenti che lo

riguardano, sia nella relazione con i genitori, introducendo e, nel contempo,

rafforzando il concetto di “responsabilità genitoriale”. La legge 219/12 all’art.3 ha

ridisegnato il quadro delle competenze tra TO e TM modificando l’art. 38 disp. Att.

C.c., il quale, specificando gli articoli del codice civile per i quali è prevista la

competenza del tribunale per i minorenni , prevede anche che sono di competenza

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del TO i procedimenti di cuiall’art. 333 c.c. qualora sia in corso tra le stesse parti

giudizio di separazione e divorzio ex art. 316 c.c. e attribuendo “per sottrazione” al

TO quanto non espressamente attribuito alla competenza del giudice specializzato.

Il nuovo art. 315 bis, comma 3, c.c. rappresenta, in qualche modo, il grimaldello

normativo teso a scardinare definitivamente l’idea, assai diffusa purtroppo tra molte

coppie di genitori italiani, di sentirsi padroni dei figli; una rivoluzione culturale

necessaria perché proprio nella fase patologica e conflittuale della loro unione,

coniugale o di fatto che sia, i figli diventano meri oggetti da contendersi e perfino da

espropriare, un bottino di guerra da conquistare, l’escamotage per ottenere

l’assegnazione della casa coniugale o l’assegno di mantenimento o, comunque, per

acquisire maggiore potere nel conflitto in atto, o da usare, perfino, come armi di

belligeranza occulta nell’ambito di una separazione consensuale o di un divorzio

congiunto. Oggi, il nuovo art. 315 bis c.c. estende l’ascolto del minore ad ogni

procedimento che riguarda la prole minorenne, a prescindere dall’oggetto.

L’art. 315 bis, comma 3, c.c. ha, dunque, una valenza generale, con l’effetto di

rendere di fatto superflue, e, dunque, tacitamente abrogate le disposizioni

preesistenti, nonchè un ambito di applicazione trasversale, operando anche nei

casi in cui l’ascolto del minore non sia espressamente previsto, ancorché si

controverta dei suoi diritti e dei suoi interessi

LA dottrina ha sottolineato il valore contenuto nell’art.315 bis c.c. in cui –

diversamente dall’art. 155 sexies c.c. in cui si parla di dovere del giudice a disporre (

presente “Dispone”) l’AUDIZIONE - si afferma IL DIRITTO sostanziale del minore

ad essere ASCOLTATO, riconosce con forza cogente un vero e proprio diritto

all’ascolto del minore, che abbia compiuto 12 anni di età o anche di età inferiore,

se capace di discernimento, in tutte le questioni e le procedure che lo

riguardano: Corre l’obbligo rilevare, peraltro, come nella formulazione letterale

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dell’art. 315 bis, comma 3, c.c., il legislatore non a caso abbia fatto riferimento

per la prima volta all’“ascolto” del minore e non alla mera “audizione” del

minore o all’atto processuale del “sentire” il minore. E’ questa una differenza

terminologica non trascurabile, poiché sottende una differenza di significato assai

importante.

Ed invero, il termine “audizione” richiama l’idea di un atto processuale ben preciso,

in cui il minore si presenta al Giudice che lo interroga liberamente, prendendo nota di

ciò che egli spontaneamente afferma e traendo, quindi, le proprie conclusioni. Il

“sentire” è, dunque, un recepire asettico, funzionale alla raccolta di informazioni utili

per il procedimento e utilizzabili in esso e sottolinea, per l’appunto, l’aspetto tecnico-

processuale.

“Ascoltare” significa prestare attenzione alle esigenze del minore, alle sue idee, ai

suoi desiderata ed all’interesse partecipativo che questi ha alla vicenda dei genitori,

disponibilità da parte di chi ascolta anche di modificare le proprie opinioni a seguito

dell’ascolto, che deve poter avvenire in un contesto adeguato. Si può anche ascoltare

il silenzio, poiché anche il silenzio consente di recepire un messaggio ben preciso che

con tale comportamento il minore vuole trasmettere ovvero un disagio interiore.

L’ascolto, non è, dunque, un mezzo istruttorio, poiché attraverso di esso si realizza il

diritto del minore a far sentire la propria voce, consentendo al Giudice di conoscere il

destinatario delle proprie decisioni e di modulare tali decisioni, tenendo conto delle

sue opinioni.

L’ascolto, pertanto, si differenzia anche dalla testimonianza, in quanto non è rivolto

all’accertamento dei fatti, bensì alla persona del minore, costituendo una

manifestazione di opinioni e di emozioni, estrinsecandosi in una attività con finalità

di comprensione partecipe.

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Osserviamo però da un punto di vista strettamente processuale se il diritto

sostanziale del minore all’ascolto trovi effettiva tutela e garanzia nell’ambito del

processo con espresso riferimento ai procedimenti di separazione e divorzio nel

contemporaneo rispetto di diverse istanze ed esigenze: l’affidamento dei figli

minori, la conflittualità dei coniugi nelle loro richieste, la assoluta necessità di tutela

di rispetto e protezione del minore sia in termini giuridici sia psicologici, insomma un

contemperamento di diverse necessità in cui prevalga l’interesse superiore dei minori.

Sotto questo profilo non si può sottacere che la legge 219/2012 ha perso una

importante occasione per disciplinare in maniera garantistica i nodi nevralgici

dell’istituto dell’audizione dei minori.

Sulle modalità dell’ascolto la L. 219/12 non prevede nulla: all’art.2, lettera i) si è

limitata a delegare il Governo a disciplinare, con un decreto legislativo da

emanare entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge (e

dunque, entro il 01.01.2014), le modalità di esercizio del diritto all’ascolto del

minore che abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, ove

l’ascolto sia previsto nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso

provvede il Presidente del Tribunale o il Giudice delegato.

Sotto questo profilo, a mio sommesso avviso, la L. 219/12 rappresenta un punto di

partenza. Non nascondo le mie personali perplessità legate alla scelta dello

strumento della delega legislativa per materie così importanti e delicate come quella

in questione, che dovrebbero formare oggetto, piuttosto, del dibattito e del confronto

parlamentare, anche e soprattutto in ragione del fatto che, nello specifico, la delega è

tutt’altro che dettagliata, essendosi limitata a stabilire solo che l’emanando decreto

legislativo debba prevedere espressamente che all’ascolto del minore, nell’ambito di

procedimenti giurisdizionali, deve provvedere il Presidente del Tribunale o il Giudice

delegato. Nulla dice, tuttavia, sulla pur necessaria specializzazione in materia dei

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Magistrati e degli ausiliari che devono procedere all’ascolto del minore, anche in

ragione della mancanza della componente onoraria, attualmente presente presso il

Tribunale per i Minorenni, e della devoluzione di alcune competenze, prima

appannaggio di quest’ultimo, in favore del Tribunale ordinario, per effetto della

nuova formulazione dell’art. 38 disp. Att. C.c.. L’assenza della componente onoraria

e del contributo delle scienze psico-sociali appare di per sé contraria alla tutela del

miglior interesse del minore, e ciò in quanto i magistrati onorari sono in possesso di

competenze ed esperienza specifica nelle materie concernenti le relazioni familiari e

le problematiche dell’età evolutive.

L’ascolto del minore è un momento determinante per la vita dello stesso e dei suoi

genitori sia nei procedimenti civili minorili (adozione e potestà genitoriale, salve le

attribuzioni di competenza al Tribunale ordinario previste dal nuovo art. 38 disp. Att.

C.c.) sia nei procedimenti di separazione e di divorzio che in quelli relativi

all’affidamento ed al mantenimento dei figli di genitori non coniugati, oggi di

competenza del Tribunale ordinario.

Dunque è la tutela del supremo interesse del minore a dover guidare i Giudici nel

valutare l’opportunità del suo ascolto, Una valutazione di opportunità che tiene conto

dell’età, della capacità di discernimento e della valutazione del presumibile

pregiudizio derivante dal coinvolgimento emotivo del minore nella controversia tra i

genitori ( cass. Del 15 marzo 2013 n. 6645). La legge 219/2012, che resta sempre

fondamentale ai fini della codificazione del diritto all’ascolto del minore, ha perso

l’occasione per stabilire in maniera chiara e univoca quali sono i criteri che il Giudice

deve seguire ai fini del suo giudizio in ordine alla opportunità dell’ascolto del minore,

nonché delle modalità di ascolto, determinando i Tribunali a dotarsi di protocolli

d’intesa ispirati al principio della minima “offensività”. Le singole disposizioni

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processuali lasciano alla discrezionalità del giudice di definire chi, come e quando

debba essere ascoltato il minore.

Anche sul fronte giurisprudenziale non si rinvengono posizioni univoche. Sono

questioni ancora aperte: l’assenza di criteri condivisi, la diversità delle prassi,

l’incertezza se realizzare una modalità di audizione diretta o indiretta, l’opportunità o

meno della presenza dei genitori o dei difensori, la necessità di valutare procedure

differenziate in base all’età dei bambini e/o della gravità del conflitto a cui si

aggiungono problemi concreti connessi al funzionamento dei tribunali, quali il

sovraccarico di procedimenti, la mancanza di ambienti appropriati all’ascolto nonché

la consapevole necessità di competenze specifiche da perfezionarsi e costruirsi nella

collaborazione interpersonale. Secondo le linee generali , però, l’orientamento che si

sta profilando nei tribunali ordinari è che l’ascolto del minore viene disposto in base

al livello di conflittualità e alla età del fanciullo per decidere se procedere

autonomamente all’audizione ovvero affidare l’incarico a terzi.

I protocolli d’intesa hanno però un ruolo ambiguo: spesso contengono disposizioni

generiche spesso rinviate alla collaborazione da parte di giudici e legali e inoltre i

protocolli non hanno una rilevanza giuridica, giacchè l’ordinamento prevede la

sottoposizione del giudice solo alla legge riconoscendo funzione monofilattica alla

sola giurisprudenza di Cassazione. I protocolli sono documenti informativi di fonte

meramente privata e privi di potere giurisdizionale idoneo ad adottare regole

vincolanti.

I punti controversi riguardano:

1) La figura del minore come parte in senso tecnico del procedimento;

2) L’ascolto del minore deve configurarsi come obbligo o facoltà del giudice;

3) Le modalità e il luogo dell’audizione;

4) Soggetti legittimati a partecipare all’audizione del minore;

5) Poteri e doveri del giudice nell’audizione del minore.

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In uno dei seminari organizzati dalla Commissione Famiglia avente a tema le prime

riflessioni sulla operatività della 219/12 - con riferimento ad una redistribuzione di

competenze che ha visto aumentare l’incombente dinanzi al Tribunale ordinario - il

giudice dott. Caso ha umilmente sottolineato quanto sia delicato il tema dell’ascolto

del minore che vede oggi il tribunale ordinario maggiormente coinvolto, che intanto

l’accesso del bambino all’interno del contesto giudiziario deve essere consentito

come estrema ratio perché occorre valutare il possibile turbamento e il senso di

responsabilità di cui potrebbe sentirsi gravato il minore nell’ambito della

conflittualità genitoriale. Presso i tribunali per i minori sono consueti certi

procedimenti di valutazione dell’ascolto del minore che nel tempo hanno sempre

visto l’intreccio di figure specialistiche, anche il filtro del giudice onorario costituisce

un elemento strutturale che si inserisce in un sistema in cui l’ascolto del minore è

“familiare” agli operatori processuali…..realtà che non è familiare ai magistrati

presso i Tribunali ordinari che si trovano a dover fare i conti con incombenze

procedurali “nuove” rispetto all’audizione del minore.

Non si può negare che l’ascolto dei figli minori nelle controversie separative può

costituire una esperienza emotivamente complessa e difficile non solo per loro stessi

ma anche per i giudici ai quali si richiede una attitudine relazionale e una capacità di

decodifica dei messaggi verbali e non verbali che percorrono una comunicazione

capace di accogliere emotivamente il minore. Si tratta quindi di un percorso rischioso

in cui sono necessarie competenze tecniche di comunicazione.

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A ciò si aggiungano le difficoltà logistiche in cui operano, con grandi sforzi, i nostri

Tribunali, il sovraffollamento delle aule destinate alle udienze, la mancanza di locali

adeguati ad accogliere un minore senza perturbarlo minimamente.

Il primo e il secondo aspetto sono strettamente collegati. Dopo l’introduzione nel

codice civile del citato art. 155 sexies, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione,

con sentenza del 21 ottobre 2009 n. 22238 (v. Cass. civ., Sez. Unite, 21 ottobre

2009 n. 22238, Pres. Carbone, rel. Forte) hanno affermato che, in relazione all’art. 6

della Convenzione di Strasburgo, ratificata dalla legge n. 77 del 2003, e all’art. 155

sexies c.c., introdotto dalla Legge 8 febbraio 2006 n. 54, si deve ritenere necessaria

l’audizione del minore del cui affidamento deve disporsi, salvo che tale ascolto

possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali e dovendosi motivare

l’eventuale assenza di discernimento dei minori che possa giustificarne l’omesso

ascolto. Nella fattispecie oggetto dell’intervento delle Sezioni Unite, la Suprema

Corte ha affermato che l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li

riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta obbligatoria con

l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del

1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003 (v. Cass. 16 aprile 2007 n. 9094 e 18

marzo 2006 n. 6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare

danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla

giurisprudenza di legittimità (v. Cass. civ. n. 16753 del 2007; conforme anche Cass.,

ord. 26 aprile 2007 n. 9094).

Immediata applicazione di tali principi è stata operata dal Tribunale di Varese, Sez.

I, con decreto del 24 gennaio 2013, il quale, in relazione alla questione

dell’affidamento del figlio minore della coppia, di 14 anni di età, ha affermato

testualmente: “l’art. 155 sexies c.c. tratteggia il dovere del giudice di ascoltare il

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minore; l’art. 315 bis c.c. delinea il diritto del minore ad essere ascoltato dal

giudice, così guardando al fanciullo non come semplice oggetto di protezione ma

come vero e proprio soggetto di diritto, a cui va data voce nel momento conflittuale

della crisi familiare”. Nel caso specifico la madre del ragazzino aveva lamentato che

il figlio minore era stato oggetto di indebiti condizionamenti, al punto da allontanarsi

dalla figura genitoriale. Al fine di avere un quadro completo ed esaustivo della

vicenda, il Tribunale ha ritenuto imprescindibile ascoltare il minore, reputando,

peraltro, opportuno delegare l’incombente ad un esperto in psicologia infantile,

“tenuto conto dell’opportunità di evitare che l’ascolto del fanciullo” – si legge nel

provvedimento – “venga effettuato senza una adeguata competenza

nell’accertamento della capacità di discernimento e ritenuto maggiormente tutelante,

evitare al fanciullo di esprimere la sua opinione nella sede del Tribunale”.

In cosa dovrà consistere l’ascolto del minore. Nel contesto giuridico, soprattutto

nel caso di dispute genitoriali più o meno accese, chi ascolta il bambino deve tenere

in considerazione la possibilità che alcune risposte fornite dallo stesso riflettano non

tanto i vissuti o le sue idee o le sue opinioni, ma, piuttosto, quelle di uno o di

entrambi i genitori. Il condizionamento genitoriale può avvenire a vari livelli ed

essere operato in modo più o meno intenzionale. E’ importante, dunque, capire per

chi ascolta il livello di autenticità di quanto raccolto, quanto del ricordo o del

racconto del bambino sia intriso di convinzioni dettate dalla fervida fantasia, quanto

del suo pensiero sia manipolato dalla tensione esistente fra i genitori, quanto sia

deviato dal suo intrinseco e vero bisogno di protezione.

Modalità dell’audizione - Quando procedere all’ascolto del minore. Nei

procedimenti che coinvolgono il minore, il genitore lo rappresenta nel giudizio,

tranne nelle situazioni in cui vi è stato un provvedimento ablativo, sospensivo o

limitativo della potestà genitoriale; tuttavia, quando ci sono decisioni che riguardano

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il rapporto genitori-figli, il genitore non rappresenta più il minore, ma è un sostituto

processuale in quanto è, contemporaneamente, titolare della funzione che viene

discussa, e parte nel processo in cui la decisione deve essere assunta.

Se, ad esempio, nel procedimento di separazione o di divorzio c’è un accordo tra i

genitori sulle modalità di affido, sui modi e sull’esercizio della potestà, sui ruoli ed i

compiti che ciascuno di essi deve svolgere, il Giudice non è chiamato a prendere

decisioni che incidano sull’esercizio della funzione genitoriale, a meno che non

ravvisi accordi che possono essere di pregiudizio per il minore.

Quando, invece, manca l’accordo, i genitori assumono una posizione potenzialmente

confliggente e non sempre in grado di garantire l’interesse del figlio, per cui la

conoscenza della volontà del minore dovrà necessariamente essere attuata attraverso

l’ascolto, in quanto il genitore non può più dirsi, ex lege, il legittimo sostituto

processuale. Infatti la rappresentazione delle esigenze del minore che ciascuno dei

genitori dà nel corso del processo, soprattutto in occasione dell’emanazione dei

provvedimenti d’urgenza in sede presidenziale, non potrà essere accolta dal Giudice,

così come da essi espressa, soprattutto se le versioni proposte dai due genitori sono

contrastanti, e se si è in presenza di una forte conflittualità, come spesso accade. Le

posizioni contrapposte presentate al Giudice possono essere, infatti, poco attendibili,

o in contrasto con l’interesse del minore e non idonee al suo corretto sviluppo

psicofisico. In tali casi l’ascolto del minore può rendersi effettivamente utile per

orientare la decisione del Giudice in funzione della realizzazione del best-interest del

minore stesso.

A tal fine sarebbe necessario fare un salto logico: ovvero passare dall’ascolto del

bambino minore all’ascolto del figlio, al fine di focalizzare l’attenzione sull’aspetto

relazionale, sul vissuto, sul senso di continuità della trama di relazioni intrafamiliari

in cui si inserisce ciascun figlio.

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Al momento della separazione, infatti, il diritto del figlio alla continuità del rapporto

con entrambi i genitori, contrasta con quello dei genitori che non vogliono e non

riescono ad avere più rapporti coniugali, ma devono continuare ad esercitare la

funzione genitoriale. In proposito, segnalo un’altra pronuncia del Tribunale di

Varese del 12.02.2013, che, in un caso di figlio conteso dai genitori in sede di

separazione, ha ribadito la necessità di rendere partecipe il minore delle scelte che si

assumono nel suo interesse, dopo aver valutato giuridicamente la correttezza formale

e processuale delle richieste dei genitori. La vicenda riguardava una minore che, in

sede di separazione tra i genitori, era stata collocata in una comunità protetta, poiché

era emerso dalla relazione dei Servizi Sociali, la non idoneità dell’ambiente familiare

domestico materno. La madre, agendo per la modifica del provvedimento, chiedeva il

collocamento della figlia presso di sé e la nuova famiglia, dal momento che la donna

era in procinto di dare alla luce un’altra bambina avuta col nuovo compagno. Lo

spostamento della minore avrebbe comportato il trasferimento in un altro Comune di

residenza, con conseguente cambiamento della scuola frequentata ad anno scolastico

in corso. I Servizi Sociali, dal canto loro, avevano espresso parere favorevole al

nuovo collocamento della minore proposta dalla madre. Il Tribunale, avendo

ravvisato un possibile conflitto di interessi tra la minore ed i suoi genitori, ha ritenuto

opportuno nominare un curatore speciale che la rappresentasse in giudizio, con il

compito di provvedere a raccogliere la sua opinione circa la volontà della stessa di

trasferirsi presso l’abitazione della madre e, conseguentemente, iscriversi presso una

nuova scuola. Il Tribunale di Varese, dunque, non si è limitato ad applicare la

normativa sull’ascolto ma ha ritenuto esistente una situazione di conflitto, anche solo

potenziale, di interesse con il genitore, tale da richiedere la nomina di un terzo

soggetto – un curatore speciale della minore – che la rappresentasse; tale nomina – a

parere del Tribunale – poteva essere disposta anche d’ufficio ai sensi dell’art. 78

c.p.c., che, come precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza 11 marzo 2011

n. 83, non è norma speciale, ma contiene un principio generale, che opera ogni

qualvolta sia necessario nominare un rappresentante all’incapace.

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L’esperienza di noi avvocati matrimonialisti ci pone quotidianamente a contatto con

queste tristi, quanto deprecabili, realtà. E’, dunque, pregevole l’intento del Legislatore

della riforma di aver valorizzato il ruolo del minore nell’ambito del processo,

riconoscendogli a chiare lettere il diritto di essere ascoltato, e di voler sovvertire,

almeno nelle intenzioni, l’idea che gli adulti possano arrogarsi il diritto di decidere

delle sorti dei propri figli minori, mortificando o rimanendo sordi ai loro desideri ed

alle loro esigenze, accecati da un insensato egoismo o da uno spietato rancore verso il

partner!

Ma cosa significa “CAPACITA’ DI DISCERNIMENTO”? Chi e con quali

modalità va accertata? Come procedere all’ascolto del minore ed in quale contesto?

Quando l’ascolto è opportuno e quando, invece, va evitato? Ed infine, quali sono le

conseguenze dell’omesso ascolto?

Questi gli interrogativi che inevitabilmente dobbiamo porci quali operatori preposti

alla tutela del minore ed ai quali cercherò di dare una risposta.

Cominciamo, innanzitutto, a capire cosa significa “capacità di discernimento” del

minore: in realtà, non esiste una definizione normativa, sebbene il suo utilizzo sia

stato introdotto in ambito penale dal codice Zanardelli in relazione al limite di età al

di sotto del quale va esclusa l’imputabilità minorile, termine poi sostituito dal Codice

Rocco, con il concetto di capacità di intendere e di volere, tradotto dagli interpreti

nella categoria di “maturità del minore”.

In via generale, la capacità di discernimento si considera acquisita dopo i 12 anni, ma

non è certo escluso che minori ben più piccoli, anche di 6-8 anni, possano

rappresentare validamente la propria idea rispetto al loro mondo affettivo ed al

genitore con il quale preferiscono stare più vicini.

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Certo, la configurazione di tale categoria è complessa e crea un certo disagio tra gli

esperti, perché obbliga a restringere in categorie giuridiche ciò che per sua natura non

ha confini prestabiliti.

Inoltre, mentre il concetto di maturità viene correlato alla capacità del minore di

comprendere il significato anche morale dei propri atti delittuosi ed autodeterminarsi,

il concetto di discernimento dovrà essere ancorato ai vissuti ed ai bisogni affettivi

ed emotivi del minore ed alla sua capacità di comprenderli e di rappresentarli.

Se volessimo tentare di dare una definizione della capacità di discernimento, rilevante

ai fini giuridici, potremmo identificarla con la capacità del minore di comprendere

ciò che è utile per lui medesimo, ma anche come la capacità di operare delle

scelte autonome senza subire l’influenza della volontà di altri soggetti; capacità

che va valutata in tale duplice aspetto, avendo come parametri di riferimento la

sua età e la sua maturità.

Naturalmente, la difficoltà di sussumere in una categoria giuridica la capacità di

discernimento del minore, dipende anche dal fatto che quando si assumono decisioni

che concernono i minori ci si muove in un ambito multidisciplinare, in cui si

intrecciano principi della psicologia dello sviluppo, della psicologia clinica e

relazionale e principi del diritto, secondo una trama non sempre chiara e ben definita.

Non è, peraltro, agevole come possa il Giudice, prima di procedere all’ascolto del

minore, accertare caso per caso la sua capacità di discernimento, senza aver avuto

previamente alcun contatto con il minore medesimo. Una soluzione potrebbe essere

quella di delegare i Servizi sociali affinché redigano apposita relazione sul punto,

previo accesso ai luoghi in cui il minore svolge la propria vita quotidiana.

L’audizione del minore può essere esclusa ove costui non goda di capacità di

discernimento ovvero laddove l’audizione stessa possa recargli nocumento, tenuto

conto del caso concreto e di ogni altro elemento ricavabile dal procedimento. Ove la

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capacità di discernimento non sia desumibile dall’allegazione delle parti ovvero sia

controversa la sussistenza del rischio di danni al minore in conseguenza dell’ascolto,

il giudice dovrà, in via anticipata, delegare i servizi sociali territorialmente

competenti in persona del servizio sociale, affinchè redigano apposita relazione sul

punto, previo accesso ai luoghi in cui il minore stesso svolge la propria vita

quotidiana.

In sintesi, il diritto di essere ascoltato deve filtrare attraverso un giudizio di

opportunità e di discrezionalità del giudice il quale, laddove dovesse adeguatamente

motivare di non disporre l’ascolto, il diritto del minore a non essere pregiudicato

dalla conflittualità processuale dei genitori diventa superiore al diritto all’ascolto tout

court.

Come può avvenire l’ascolto. Il minore può essere ascoltato secondo due modalità:

ascolto diretto o ascolto indiretto. Per ascolto diretto si intende l’audizione da parte

del Giudice in udienza, eventualmente, anche con l’assistenza di un ausiliario esperto.

Per ascolto indiretto, si intende l’ascolto delegato totalmente ad un ausiliario, anche

nell’ambito di una Consulenza tecnica d’ufficio. In tal caso, l’ascolto del minore sarà

inserito in un processo di valutazione più ampio e complesso, teso a valutare anche le

competenze genitoriali; la consulenza si articolerà, infatti, in colloqui, sia individuali

che congiunti, con entrambi i genitori, al fine di comprendere l’entità e le modalità

attraverso cui si esprime il conflitto; in una indagine ambientale, e dunque, relativa

al contesto fisico e relazionale in cui il minore è inserito, che comprende l’abitazione,

la scuola che frequenta ed altri ambienti con cui egli è eventualmente a contatto, in

particolare quello dei nonni; nel colloquio con gli insegnanti, al fine di comprendere

il rapporto del minore con i propri compagni ed appurare se i comportamenti dello

stesso sono cambiati o meno dopo la separazione dei genitori e se le problematiche

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familiari hanno inciso o stanno incidendo sul rendimento scolastico. Un’indagine,

dunque, che consente una “lettura multiforme” della vita del minore nella famiglia,

nel contesto scolastico e nel tempo libero, che culmina nell’ascolto del minore, teso

ad esplorare i suoi desideri, i suoi bisogni ed i suoi vissuti rispetto alla separazione

dei genitori, cogliendo non solo “cosa” dice e “come” lo dice, ma anche i messaggi

impliciti, che possono derivare anche da un comportamento silente.

In assenza di norme processuali che regolamentino in modo unitario ed uniforme le

modalità dell’ascolto, da realizzarsi senza ledere in alcun modo il benessere del

minore, si è assistito al proliferare di Protocolli elaborati dai rappresentanti delle

Magistrature con la collaborazione di professionisti ed esperti nel settore. Essi, pur

senza assumere alcuna valenza precettiva, codificano prassi virtuose, per far sì che

l’audizione nel processo costituisca per il minore un’effettiva opportunità di

esprimere propri bisogni e desideri.

I vari Protocolli che ho esaminato individuano come obbligatoria l’audizione del

minore che abbia compiuto i dodici anni – salvo che ne derivi un pregiudizio-, nei

soli procedimenti contenziosi, con riferimento esclusivo alle questioni relative

all’affidamento e al diritto di visita del minore. Ai fini della valutazione della

capacità di discernimento, si prevede di regola la delega ad un esperto, che possa

orientare il Giudice sulla opportunità dell’ascolto. In alcuni casi, ed in particolare

per i minori infradodicenni, sono dettate regole ben precise sulle modalità

dell’ascolto: è svolto, generalmente, in un locale idoneo a porte chiuse, anche diverso

dall’aula d’udienza, e fuori dell’orario scolastico, garantendo massima riservatezza e

tranquillità, ad ora prestabilita, evitando al minore inutili tempi di attesa; alcuni

Protocolli prevedono che all’ascolto assistano i difensori dei genitori ed eventuali

consulenti di parte; altri, come il Protocollo di Milano, prevedono invece l’assenza

dei difensori e l’eventuale presenza dei genitori ove richiesta dal minore o la presenza

di un curatore speciale, se nominato dal Giudice. E’ contemplata, altresì, la

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preventiva informazione al minore sui motivi del coinvolgimento e sui possibili esiti

possibili del procedimento, con la precisazione che è un suo diritto essere ascoltato.

Di regola viene garantito sia il contraddittorio anticipato che posticipato. Ed infatti, in

una apposita udienza, o comunque in un momento anteriore all’ascolto, il Giudice

invita le parti a focalizzare le tematiche sulle quali il minore dovrà essere ascoltato,

definendo le modalità di ascolto, in modo che possa essere individuata una procedura

il più possibile condivisa e adattata alla peculiarità del caso specifico. Viene stabilita

anche la forma in cui deve essere documentato l’ascolto, secondo alcuni Protocolli

(come quello di Milano o di Vicenza) mediante una verbalizzazione sommaria,

secondo altri (come quello di Roma, di Venezia, di Varese), mediante la

verbalizzazione integrale e fedele dell’audizione, possibilmente video o audio-

registrata, riportando anche le manifestazioni non verbali del minore.

Successivamente all’audizione, viene garantito un contraddittorio posticipato delle

parti, mettendo tempestivamente a disposizione dei relativi difensori la

documentazione del contenuto dell’audizione e a ciascuna parte va riconosciuto il

diritto di formulare deduzioni, osservazioni e richieste istruttorie al riguardo.

Personalmente credo che il consolidamento nei vari Tribunali di prassi differenti, più

o meno codificate, in tema di ascolto del minore e, più in generale, nella

regolamentazione concreta di una materia così delicata come quella della tutela della

famiglia e dei minori, debba far riflettere sull’esigenza – a dire il vero avvertita da

tempo ma oramai non più procrastinabile – di un intervento di razionalizzazione della

giurisdizione, mediante la tanto auspicata istituzione del Tribunale unico per la

Famiglia, altamente specializzato e strutturato sulle peculiarità, complessità ed

importanza degli interessi coinvolti.

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SOGGETTI LEGITTIMATI A PARTECIPARE ALL’AUDIZIONE DEL

MINORE.

Anche con riferimento ai soggetti partecipanti all’audizione la norma è silente. Certo

è che nei procedimenti di separazione e divorzio il minore dovrà essere ascoltato

direttamente dal Giudice, ci si chiede se debba essere una audizione a due ovvero

alla presenza degli avvocati e dei genitori stessi.

Le prassi dei Tribunali sono assolutamente diverse: c’è chi ritiene che la presenza

degli avvocati e soprattutto quella dei genitori potrebbe interferire negativamente con

le finalità di ascolto, ingenerando nel minore pressioni psicologiche e sensazioni che

pregiudicherebbero o condizionerebbero la spontaneità delle risposte del minore,

oltre a ingenerare nel minore un conflitto di lealtà con i genitori soprattutto se

conflittuali. D’altro canto essendo l’audizione incombente processuale ove la

presenza dei difensori è prevista per legge, l’esclusione delle parti e degli avvocati da

tale incombente potrebbe dare luogo a eccezioni sulla violazione del diritto di difesa,

ipotesi che può essere eliminata ed evitata attraverso la formalizzazione di due

richieste: A) che il Giudici provveda alla riproduzione fedele e letterale a verbale

delle dichiarazioni del minore, rispettandone testualmente ogni parola e con la

successiva possibilità da parte dei difensori – previa visione del verbale – di redigere

osservazioni in merito. B) che la esclusione della presenza dei genitori sia

strettamente necessaria – motivata! – in applicazione della linea guida della

Convenzione di Strasburgo all’art.6. In via generali tuttavia le parti non potranno

assistere all’audizione salvo che il Giudice non lo ritenga opportuno.

POTERE e DOVERE DEL GIUDICE nell’audizione del minore.

E’ indubbio che il Giudice nell’ascolto del minore sia chiamato ad un compito molto

delicato che richiede capacità comunicative psicologiche e garantistiche. Il primo

compito spettante al giudice è dare informazioni al minore sulla vicenda che lo

riguarda, delle possibili conseguenze della sua opinione e della natura e del contenuto

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delle decisioni che verranno adottate; dovrebbe poi riportare fedelmente a verbale

ogni parola pronunciata dal minore ivi compreso il gergo, le espressioni incorrette,

colorite, dialettali o figurate senza alterarne il contenuto o la letteralità; inoltre ( in

virtù dell’art. 68 cpc ) deve farsi assistere da esperti in una determinata

professione o arte e in generale da persona idonea al compimento di atti che egli

non è in grado di compiere da solo. E’ estremamente necessario che il minore sia

messo nella condizione di interagire con spontaneità nel l’ascolto da parte del

giudice: dal punto di vista processuale l’ascolto del minore non può essere assimilato

a mezzo di prova, non essendo finalizzato ad acquisire mezzi istruttori, bensì a

garantire il diritto del minore a esprimere i propri bisogni e desideri e nel contempo

ad essere informato correttamente dal Giudice sui termini della controversia che lo

riguarda, lontano da eventuali conclusioni ingenerate da parziali e soggettive

informazioni somministrate dai genitori.

Ci sono anche impedimenti di carattere strutturale e possibili strumenti di attuazione

del diritto del minore di essere ascoltato: la legislazione italiana in materia di ascolto

del minore nei procedimenti di separazione personale dei coniugi non tiene in debita

considerazione condizioni ordinamentali e strutturali, per nulla trascurabili, che ne

rendono difficoltosa l’applicazione. Onde garantire al minore il riconoscimento

effettivo e la piena tutela del suo diritto di essere ascoltato, è opportuno individuare

alcune linee essenziali di intervento capaci di adeguare la realtà normativa alla realtà

umana vissuta nelle aule giudiziarie.

Stanza d’ascolto del minore presso il Tribunale.

Ci sono anche impedimenti di carattere strutturale e possibili strumenti di attuazione

del diritto del minore di essere ascoltato: la legislazione italiana in materia di ascolto

del minore nei procedimenti di separazione personale dei coniugi non tiene in debita

considerazione condizioni ordinamentali e strutturali, per nulla trascurabili, che ne

rendono difficoltosa l’applicazione. Onde garantire al minore il riconoscimento

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effettivo e la piena tutela del suo diritto di essere ascoltato, è opportuno individuare

alcune linee essenziali di intervento capaci di adeguare la realtà normativa alla realtà

umana vissuta nelle aule giudiziarie.

L’ascolto del minore nella fase Presidenziale.

L’art. 155 sexies c.c. pur avendo introdotto l’obbligo per il giudice di procedere

all’scolto ( DISPONE) del minore dodicenne nonché di quello infradodicenne se

capace di discernimento, non ha quindi provveduto ad indicarne le regole di

funzionamento sul versante processuale. Secondo un orientamento largamente

condiviso la norma si qualificherebbe come prescrizione di carattere generale

pertanto l’obbligo in essa contenuto dovrà considerarsi incombente sia sul Presidente

del Tribunale nella prima fase, sia sul giudice istruttore nella fase di cognizione

piena. Altra posizione pone dubbi circa l’obbligatorietà dell’ascolto poiché deve

sempre essere il risultato di una valutazione discrezionale e prudenziale del

giudicante. Infatti anche la cassaz. A Sez. Unite 22238/2009 ha ribadito il ruolo del

minore come parte sostanziale del giudizio a meno che ciò non contrasti con il suo

interesse. Secondo il primo orientamento l’audizione sarebbe necessaria in quanto i

minori anche laddove non siano parti del procedimento devono considerarsi portatori

di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori e perciò sono parti in senso

sostanziale. Sicchè secondo questo orientamento l’omesso ascolto del minore che

abbia compiuto i 12 ani o anche di età inferiore ove dotato di capacità di

discernimento, integrerebbe una violazione del principio del contraddittorio e dei

principi che regolano il giusto processo sanzionabile sul piano processuale con la

nullità del provvedimento., quasi fosse una condizione di procedibilità.

Ma proprio quella sentenza della cassaz. A sezione unite introduce un elemento

frenante nell’iter procedurale sostenendo che l’udizione va disposta purchè non

arrechi danno al minore medesimo e ove non disposta, necessita una adeguata

motivazione.

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Sul piano processuale, sono condivisibili le critiche espresse dalla dottrina

maggioritaria secondo cui la formulazione dell’art. 155 sexies c.c. con il suo

chiaro riferimento all’emissione dei provvedimenti anche in via provvisoria,

ammetterebbe una vera e propria istruttoria sin dalla fase presidenziale dove, al

contrario, dovrebbero trovare spazio obiettivi conciliativi, lasciando invece alla

fase successiva la cognizione propriamente tale.

L’art. 155 sexies comma 1 c.c. disciplina tanto l’assunzione di mezzi di prova da

parte del giudice della separazione, quanto l’audizione del fanciullo. La

locuzione in esso contenuta ( prima dell’emanazione anche in via provvisoria dei

provvedimenti ex art. 155 ) appare infatti non esaurirsi nella mera attività

istruttoria ritenendo che il minore debba essere sentito anche nella fase cd,

presidenziale, destinata, peraltro. A conferire all’ascolto forme necessariamente

più celeri e snelle, atteso il carattere meramente interinale dei provvedimenti

assunti all’esito della stessa. Ad ogni modo e, considerato che il procedimento di

separazione o di divorzio è unico si svolge davanti un’unica autorità giudiziaria

( il Tribunale) corretta appare la tesi secondo cui il figlio minore dovrà essere

ascoltato anche innanzi al giudice istruttore solamente allorquando sia richiesta

la modifica dei provvedimenti provvisori emessi dal presidente, nonché quando

il giudicante ritenga che nel corso del giudizio siano emersi elementi che

consiglino una nuova ed ulteriore audizione. Analoghi principi trovano

applicazione nell’ipotesi di impugnazione – innanzi la Corte d’Appello – delle

statuizioni ex art. 708 cpc . Nel caso in cui il magistrato ritenga di non dover

rinnovare l’ascolto dovrà fornire adeguata motivazione.

Ci si è interrogati sulle conseguenze processuali relative all’omesso ascolto del

minore: in realtà, non esiste alcuna norma che sanzioni l’omesso ascolto del minore;

a colmare tale lacuna soccorre ancora una volta la giurisprudenza. In proposito,

segnalo una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7773 del 17 maggio 2012,

secondo cui costituisce violazione del principio del contraddittorio e dei principi del

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giusto processo il mancato ascolto del minore del cui affidamento deve disporsi,

salvo che tale ascolto possa essere in contrasto con i suoi interessi fondamentali. Si

tratta, in buona sostanza, dello stesso principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte

di Cassazione, con la sentenza del 21 ottobre 2009 n. 22238, in base al combinato

disposto dell’art. 155 sexies c.c. e dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo

sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996. Altra recente sentenza della

Cassazione, la n. 5847 dell’8 marzo 2013, ha affermato che l’ascolto dei figli

minori, che abbiano compiuto i 12 anni e anche di età inferiore ove capaci di

discernimento, costituisce un adempimento necessario nelle procedure relative al loro

affidamento, con la conseguenza che la violazione di tale obbligo nel primo grado del

giudizio è causa di nullità della sentenza, che può essere fatta valere nei limiti e

secondo le regole fissate dall’art. 161 c.p.c. e, dunque, è deducibile con l’appello.

Pertanto, ove il minore non sia stato ascoltato dal Giudice istruttore nel corso del

procedimento di primo grado, la relativa nullità può essere fatta valere o dal Collegio,

dopo la rimessione della causa in decisione, ovvero in sede di impugnazione della

sentenza, in base ai principi generali. Nella prima ipotesi, pertanto, la causa sarà

rimessa sul ruolo avanti al Giudice istruttore per l’espletamento dell’incombente;

nella seconda ipotesi, non ricorrendo alcuna delle ipotesi tassative di rimessione dalla

causa in primo grado, la Corte di Appello dovrà annullare il provvedimento

impugnato e procedere essa stessa all’ascolto della prole minorenne. Con successiva

sentenza, la n. 6645 del 15.03.2013, la Cassazione ha ribadito che, in una causa di

separazione dei coniugi, quando si debba decidere in ordine all’affidamento del figlio

minore, quest’ultimo non possa e non debba essere ascoltato quando, tenuto conto

dell’età, delle condizioni e dei disagi già manifestati dallo stesso, sussiste il rischio di

coinvolgimento emotivo nella controversia dei genitori, con inevitabili e conseguenti

ripercussioni emotive ulteriormente perturbanti per il minore.

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Dopo aver trattato delle molteplici criticità che riguardano il sistema processuale

legato alla tutela dei diritti all’ascolto del minore, vorrei gettare un ultimo sassolino

nello spazio della Vostra riflessione considerando anche le responsabilità

deontologiche dell’avvocato rispetto al tema dell’audizione del minore. Alla

domanda se un avvocato possa avere colloqui con il figlio minore del proprio assistito

senza l’autorizzazione dell’altro genitore già potrebbe oggi rispondersi indicando la

regola contenuta nell’art. 316 c.c che consentirebbe di dare risposta negativa a questa

domanda. Nella prassi, però, l’audizione del minore da parte dell’avvocato di uno dei

genitori nelle cause di separazione è un comportamento molto diffuso. E’ piuttosto

evidente il rischio di strumentalizzazione insito in questo comportamento. Per questo

è giusto che sia stata più volte indicata in passato la regola comportamentale secondo

cui l’ascolto del minore da parte dell’avvocato di uno dei genitori è possibile solo se

avviene con l’autorizzazione di entrambi i titolari della potestà genitoriale sul minore,

altrimenti va esclusa. Il sistema disciplinare comincia a recepire questa indicazione:

nella sentenza cassa sez unite 2637/ 2009, che ha confermato una decisione del

CNF in materia, si stabilisce che costituisce illecito disciplinare per un avvocato

intrattenere colloqui con il figlio minore del proprio assistito all’insaputa

dell’altro genitore. E’ necessario che nelle cause di diritto di famiglia gli avvocati

tengano in massima considerazione i legami familiari, perché la famiglia è un sistema

di scambi, legami e relazioni da cui dipende l’equilibrio delle persone coinvolte e per

la tutela dei quali l’avvocato deve assumere un paradigma professionale interattivo

anziché contrappositivo, interagendo col minore e con tutti i professionisti esperti

interessati nel procedimento nel pieno rispetto dei valori etici trasfusi nella

deontologia professionale.

Avv. Lucia Legati