selazione da cinemaespanso n 8 - capitolo 6

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Antonietta Buonauro 172 sen dimostrava come la globalizzazione dei flussi di lavoratori fa- cesse parte del medesimo processo in cui si inscrivevano lo sviluppo della finanza globale e la circolazione globale di capitale, in cui centri d’affari e aree urbane impoverite si configuravano come com- ponenti antitetiche di un’unica visione. Da Londra a Bombay, da Bangkok a New York, capitali globali e flussi migratori sembravano uniti nel segno della disuguaglianza, una disuguaglianza che com- plicava il rapporto con l’alterità e che implicava per i Paesi occiden- tali un senso di colpa collettivo inscritto nella visione e nel racconto mediatico e cinematografico della povertà e del disagio dei Paesi meno sviluppati. The Impossible. Cronaca di una famiglia occidentale in un disa- stro lontano Uscito nelle sale cinematografiche alla fine del 2012, The Impos- sible (Lo Imposible), blockbuster film ambientato nella Thailandia dello tsunami, esemplifica in modo molto chiaro le dinamiche della visione di un trauma collettivo e del confronto con l’alterità e, in una certa misura, anche le relative implicazioni con il senso di colpa in- scritto nel punto di vista della spettatorialità occidentale. Ispirato all’esperienza della sopravvivenza alla catastrofe del 2004 vissuta realmente da una famiglia spagnola, gli Alvarez-Belon, che si trovavano sull’isola di Sumatra proprio in quei drammatici giorni, il film è stato distribuito in Spagna dalla Warner Bros e gi- rato da Juan Antonio Bayona – cineasta che già aveva suscitato l’interesse internazionale per il suo horror indipendente del 2007 The Orphanage – registrando incassi record sul territorio iberico. Con un cast composto da due attori di fama internazionale come Ewan McGregor e Naomi Watts, la sceneggiatura scritta da Sergio G. Sanchez rivisitava la testimonianza di Maria Belon, madre della famiglia coinvolta, proponendo al pubblico del film l’esperienza della coppia composta da Maria e Henry Bennett, professionisti di origine britannica trasferitisi in Giappone per motivi di lavoro, che trascorrevano le vacanze natalizie nel paradiso tropicale tailandese con i loro tre bambini. Vincitore di vari riconoscimenti nazionali e internazionali e frutto di un lavoro di preparazione durato circa due anni in sessanta set cinematografici tra Spagna e Thailandia, The Impossible rico- struiva in modo dettagliato l’arrivo dell’onda oceanica nel resort in cui erano ospitati i protagonisti, seguendo da vicino soprattutto la sorte

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volume edito da Bulzoni Editore

Transcript of selazione da cinemaespanso n 8 - capitolo 6

  • Antonie t ta Buonauro

    172

    sen dimostrava come la globalizzazione dei flussi di lavoratori fa-

    cesse parte del medesimo processo in cui si inscrivevano lo sviluppo

    della finanza globale e la circolazione globale di capitale, in cui

    centri daffari e aree urbane impoverite si configuravano come com-ponenti antitetiche di ununica visione. Da Londra a Bombay, da Bangkok a New York, capitali globali e flussi migratori sembravano

    uniti nel segno della disuguaglianza, una disuguaglianza che com-

    plicava il rapporto con lalterit e che implicava per i Paesi occiden-tali un senso di colpa collettivo inscritto nella visione e nel racconto

    mediatico e cinematografico della povert e del disagio dei Paesi

    meno sviluppati.

    The Impossible. Cronaca di una famiglia occidentale in un disa-

    stro lontano

    Uscito nelle sale cinematografiche alla fine del 2012, The Impos-

    sible (Lo Imposible), blockbuster film ambientato nella Thailandia

    dello tsunami, esemplifica in modo molto chiaro le dinamiche della

    visione di un trauma collettivo e del confronto con lalterit e, in una certa misura, anche le relative implicazioni con il senso di colpa in-

    scritto nel punto di vista della spettatorialit occidentale.

    Ispirato allesperienza della sopravvivenza alla catastrofe del 2004 vissuta realmente da una famiglia spagnola, gli Alvarez-Belon,

    che si trovavano sullisola di Sumatra proprio in quei drammatici giorni, il film stato distribuito in Spagna dalla Warner Bros e gi-

    rato da Juan Antonio Bayona cineasta che gi aveva suscitato linteresse internazionale per il suo horror indipendente del 2007 The Orphanage registrando incassi record sul territorio iberico. Con un cast composto da due attori di fama internazionale come

    Ewan McGregor e Naomi Watts, la sceneggiatura scritta da Sergio

    G. Sanchez rivisitava la testimonianza di Maria Belon, madre della

    famiglia coinvolta, proponendo al pubblico del film lesperienza della coppia composta da Maria e Henry Bennett, professionisti di

    origine britannica trasferitisi in Giappone per motivi di lavoro, che

    trascorrevano le vacanze natalizie nel paradiso tropicale tailandese

    con i loro tre bambini.

    Vincitore di vari riconoscimenti nazionali e internazionali e

    frutto di un lavoro di preparazione durato circa due anni in sessanta

    set cinematografici tra Spagna e Thailandia, The Impossible rico-

    struiva in modo dettagliato larrivo dellonda oceanica nel resort in cui erano ospitati i protagonisti, seguendo da vicino soprattutto la sorte

    Glic12Rettangolo

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    toccata alla giovane madre e al suo primogenito, Lucas (Tom Hol-

    land). Se gi nel 2010, era stato il regista americano Clint Eastwood,

    con il suo Hereafter, a proporre per la prima volta lesperienza immer-siva della visione dello tsunami nel suo farsi attraverso una spettaco-

    lare sequenza iniziale, The Impossible, collocandosi pienamente entro

    i canoni nel genere cinematografico dei disaster movies, faceva di

    quellesperienza il principale oggetto della sua narrazione, mante-nendo perci per tutta la sua durata uno squarcio aperto sullimpos-sibile, sul trauma collettivo, grazie ai mezzi concessi dalla tecnologia.

    Riprendendo in parte il registro stilistico tipico del cinema

    horror, lincipit del film mostrava alcuni momenti della vacanza dei Bennet (dal viaggio in aereo allarrivo negli scenari esotici tailandesi) non mancando di rimarcare nelle riprese subacquee dei bagnanti, negli idilli familiari, nei momenti di relax vissuti dai protagonisti una certa atmosfera sinistra che faceva da preludio alla tragedia

    incombente. Cos, gli attimi di quiete che precedevano lirruzione dellonda oceanica nel resort in cui si trovavano i protagonisti erano gi carichi di una forte suspense, per cui ogni inquadratura sembrava

    contribuire a configurare larrivo dellonda annunciato da un forte fragore come lirruzione di qualcosa di mostruoso, di cui si avvertiva il suono spaventoso, ma che non era possibile mettere a fuoco, dato

    che lorizzonte risultava nascosto dalle costruzioni che separavano la spiaggia dalla piscina in cui i bambini giocavano con Henry. Ancora

    fuori dal campo visivo della macchina da presa, quindi, londa si avvi-cinava abbattendo gli alberi sul litorale, per poi invadere le costruzioni

    del resort e travolgere Henry con i due figli pi piccoli. Di loro tre a

    questo punto si perdeva ogni traccia. La macchina da presa si spo-

    stava infatti prima su Lucas, che saltava nella piscina un attimo prima

    che fosse invasa dal mare, e poi su Mary (rannicchiata contro una ve-

    trata), con la cui soggettiva si immergeva in apnea. Lo schermo nero

    che seguiva, ancora indicante la coincidenza con il punto di vista della

    donna, si coniugava poi con un totale annullamento anche dellaudio, suggerendo lidentificazione con lo stato semicosciente della donna. Pochi attimi pi tardi, uninquadratura la mostrava riemersa in su-perficie e aggrappata ad un albero. Qui, ampliando la prospettiva

    dello spettatore, un campo totale, alternato al piano ravvicinato di

    Mary che lanciava grida di terrore, mostrava da un punto di vista ae-

    reo il drammatico scenario intorno alla donna.

    Con uno stile estremamente dinamico, nelle sequenze dedi-

    cate allo tsunami Bayona alternava primi piani, soggettive, campi

    lunghi e movimenti di macchina in varie direzioni, per immergere

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    lo spettatore nellesperienza traumatica. Proprio lalternanza tra il punto di vista della protagonista, e successivamente anche del gio-

    vane Lucas, con una tale variet di angolazioni e modalit di ripresa

    consentiva infatti di beneficiare di una prospettiva privilegiata sugli

    eventi, producendo cos un avvicinamento, un accorciamento della

    distanza da quella che iek avrebbe definito la materializzazione del Reale lacaniano, ovvero lesperienza indicibile del trauma.

    Il percorso di Mary trascinata dalle acque non si concludeva

    tuttavia con la sua riemersione a galla. Avvistato Lucas in cerca di

    aiuto, ella si lasciava andare volontariamente al flusso sostenuto

    delle onde che procedeva verso linterno della regione: cominciava cos una seconda immersione nello tsunami, terrorizzante tanto

    quanto la prima. Trascinata via insieme a detriti di ogni tipo, Mary

    si feriva alladdome: una ripresa subacquea ravvicinata mostrava limpatto del corpo della donna con dei rami sommersi e la conse-guente fuoriuscita del sangue che si disperdeva in acqua, mentre lei

    gridava dal dolore cercando di aggrapparsi a sostegni di fortuna. I

    tentativi di riavvicinamento, le peripezie e le apnee vissute da madre

    e figlio facevano da filo conduttore di questa seconda e ultima im-

    mersione nello tsunami, fino allarrivo di unaltra ondata che li avrebbe travolti. La soggettiva di Lucas, qui, conduceva ancora una

    volta in apnea e dunque allidentificazione con il terrore della per-dita della madre, fino alla successiva riemersione, in cui la donna

    appariva poco lontana, ferita e probabilmente svenuta.

    interessante notare che The Impossible privilegiava il soggetto

    femminile nel racconto, facendo in modo che fosse il corpo ma-terno di Mary, ferito, emaciato, traumatizzato, a mostrare i segni della mostruosit della natura e mettendo cos in scena non solo le

    specificit della cultura traumatica descritta da Seltzer, ma anche

    dellabiezione di Kristeva (pag. 119). Lasciando da parte le sorti toccate a Henry e i due figli pi piccoli, infatti, lintreccio sembrava concentrarsi su elementi corrispondenti ad alcuni dei simboli tipici

    dellabiezione, che proprio nel rapporto madre-figlio, nel corpo femminile e nel concetto di violazione del limite trovava i suoi tratti distintivi. Se, come aveva sottolineato anche Barbara Creed in

    un noto studio sul cinema horror, le abominazioni di cui fanno parte lalterazione corporea, il decadimento, la morte, il corpo fem-minile, i rifiuti corporei sono per antonomasia i luoghi di declina-zione dellabietto in relazione al soggetto umano sia sul piano sto-rico che religioso, nel caso di The Impossible ci sembra che non solo

    levento stesso dello tsunami (interpretabile come ribellione della

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    natura alladdomesticamento delluomo, come rovesciamento di un ordine e minaccia per la vita) fosse espressione macroscopica della-biezione, per esempio attraverso i suoi scenari lunari ricolmi di de-

    triti, ma anche che, dal canto suo, il corpo di Mary rappresentasse

    quella sfera dellabiezione pertinente alle funzioni biologiche del corpo. Laddove infatti, come scriveva Kristeva, labiezione fonda-mentale era il cadavere e tutto ci che ad esso rimandava, con le sue

    ferite, il colorito cangiante della pelle e il decorso sempre pi vicino

    alla morte, il personaggio interpretato da Naomi Watts incarnava

    senza dubbio labietto nel film di Bayona.

    I rifiuti cadono perch io viva, finch di perdita in perdita, non

    mi resti nulla, e il mio corpo cada intero al di l del limite, ca-

    dere, cadavere. Se la spazzatura significa laltro aspetto del li-mite, quello dove non sono e che mi consente di essere, il ca-

    davere, il pi disgustoso dei rifiuti, un limite che ha invaso

    tutto. Non sono pi io a espellere, io espulso16.

    In questo senso allora pu essere letto anche il resto del film,

    dove la conclusione delle sequenze dedicate allarrivo dello tsunami sulla terra ferma lasciava spazio a uno scenario apocalittico, fatto di

    detriti, di corpi disseminati, di grida in lontananza. Placatasi la furia

    delle acque Mary e Lucas si incamminavano in cerca di soccorso e,

    sebbene fosse consolatoria la visione dei due riunitisi nonostante la

    tragedia, il corpo martoriato della donna, che con il figlio aveva sal-

    vato anche un altro bambino, tornava a portare al centro del rac-

    conto simboli di abiezione. La visione della sua gamba lacerata in

    queste sequenze faceva infatti il paio con quelle dellospedale stra-colmo di persone dove li avrebbero condotti i soccorsi e dove le con-

    dizioni della donna sarebbero diventate sempre pi critiche. Qui,

    distesa su un letto con le ferite in evidenza, in un momento di ap-

    parente tranquillit, Mary improvvisamente cominciava a tossire

    sembrando quasi soffocare, mentre mangiava uno spicchio di aran-

    cia datole da Lucas. Sotto gli occhi terrorizzati del ragazzo e degli

    altri pazienti la donna veniva mostrata in uno stato di evidente diffi-

    colt respiratoria, che si sarebbe rivelato pochi attimi pi tardi pro-

    vocato dai detriti inghiottiti durante lo tsunami, che ora venivano

    16

    J. Kristeva, Poteri dellorrore, cit., p. 5. Cfr. anche B. Creed, Kristeva, la femminilit, labiezione, in, Eretiche ed Erotiche, a cura di G. Fanara e F. Giovannelli, Napoli, Liguori, 2004, pp. 175183.

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    espulsi suscitando reazioni di terrore e disgusto. Di nuovo, allora,

    torna in mente la teoria kristeviana: con le sue ferite, con il suo de-

    cadimento corporale e con il rigetto dei detriti, Mary incarnava

    luniverso della madre, universo che nel contesto dellospedale en-trava in contatto con il simbolico, con lordine e la norma culturale, e dunque con sentimenti di disagio e vergogna.

    Indugiando sui corpi martoriati, sui feriti e sui sopravvissuti di

    ogni nazionalit che girovagavano senza meta in cerca dei propri

    cari, la regia di Bayona sembrava rispondere ai canoni della cultura

    del trauma di cui parlava Seltzer, nel momento in cui provvedeva il

    pi possibile ad accorciare la distanza appropriata tra soggetto guar-

    dante e oggetto guardato e al superamento del confine di separa-

    zione tra sfera pubblica e desiderio privato, tra corpo e mondo e tra

    corpo e tecnologia. Con i piani ravvicinati sulle scene di terrore o di

    disgusto da un lato, e con le riprese subacquee e i campi lunghi che

    inquadravano la desolazione sconfinata lasciata dallo tsunami

    dallaltro, The Impossible si configurava come limmersione in uno scenario terrorizzante, rimandando al sogno freudiano da cui, come

    aveva scritto iek, era preferibile svegliarsi. Un risveglio che nel film coincideva con la sequenza in cui, di nuovo in aereo, la fami-

    glia Bennett faceva ritorno a casa. Miracolosamente ritrovatisi i turi-

    sti occidentali potevano lasciarsi alle spalle lincubo vissuto, per tor-nare al mondo agiato e intatto da cui provenivano. In questo finale

    allora, lalterit incarnata dalle popolazioni locali a cui una tale eva-sione non era concessa, si coniugava con il discorso delle disugua-

    glianze tra Paesi, consentendo allo spettatore unidentificazione solo parziale con lhappy ending, disturbata da un sotteso senso di colpa (pagina 177).

    Lo tsunami del Giappone tra premediazione, occidentalismo e

    cultura del trauma

    Nel documentario intitolato The Tsunami & the Cherry Blossom

    (2011), la regista britannica Lucy Walker, gi pluripremiata autrice

    di Waste Land (2010), metteva in scena le conseguenze dello tsu-

    nami del 2011 nelle prefetture di Fukushima e di Myagi, ovvero le

    conseguenze della devastazione impressionante e il lutto per la per-

    dita degli affetti e dei luoghi di origine subiti dalla popolazione lo-

    cale, ma anche la capacit di ricominciare a vivere e ricostruire che i

    giapponesi sembrano aver inscritta nelle loro tradizioni, ed in par-

    ticolare nellantica celebrazione della fioritura dei ciliegi, che nel 2011 fu preceduta di poco dal cataclisma (pagina 181).

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    The Impossible, di A. Bayona (2012).

    The Impossible, di A. Bayona (2012).

    Alternando materiale reperito in rete e materiale girato in loco

    con il contributo del direttore della fotografia Aaron Phillips, il film

    di Walker si addentrava nei paesaggi lunari lasciati dal maremoto

    raccogliendo i racconti dei sopravvissuti incontrati durante lesplo-razione, un percorso intimistico per molti versi che finiva per solle-

    vare inevitabilmente una riflessione sul tema del rapporto tra bel-

    lezza e terrore tipico del mondo naturale, impostosi cos tragica-

    mente a quei testimoni, ma che non lasciava estraneo il resto del

    mondo. Nominato al premio Oscar come miglior documentario nel

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    2012 e vincitore di tre riconoscimenti nello stesso anno al Sundance

    Film Festival e in diverse altre rassegne cinematografiche internazio-

    nali, il lavoro di Walker si articolava, per una durata complessiva di

    quaranta minuti, alternando alle interviste ai testimoni le immagini

    del dramma nel suo farsi tratte da user generated contents immessi

    nella rete, per poi concludersi con gli scenari incantati dei ciliegi in

    fiore comparsi con larrivo della primavera, metafora della rinascita tipica dei cicli naturali, ma anche simbolo dello spirito dei morti nella

    cultura giapponese. Dosando sapientemente il pathos di cui si carica-

    vano le sequenze girate dai testimoni con i loro telefoni cellulari, qui

    riportate con il loro sonoro originale, e gli scenari poetici dominati dai

    colori rosati degli alberi in fiore, Walker sottolineava e rifletteva con il

    suo film sul tema della transitoriet della vita e della bellezza, sul po-

    tere distruttivo della natura che le proprio quanto quello creativo ed infine sulla convivenza dualistica di terrore e bellezza in natura,

    che le testimonianze riportate nel film dimostravano di aver compreso

    e di voler insegnare a chi non era stato colpito come loro da quei tra-

    gici eventi. Per questo allora, i fiori di ciliegio acquisivano un valore

    fondamentale come nella cultura giapponese, esemplificando

    limportanza di celebrare la transitoriet delle cose, la loro caducit, senza che questa inficiasse il rapporto damore con esse. Anche quando i fiori cadono noi li amiamo, questo lo spirito dei giappo-

    nesi, diceva uno dei testimoni, ricordando che la rinascita della na-

    tura dopo il cataclisma lesempio pi grande per gli esseri umani, che ad essa devono adeguarsi e partecipare.

    Il film di Walker non fu tuttavia lunico a trattare lo tsunami del 2011. Esso si colloc infatti allinterno di una rosa ampia di do-cumentari e materiali audiovisivi realizzati su Fukushima. Se i fatti

    della Thailandia del 2004 avevano colto impreparato il pubblico

    mondiale, dando luogo ad una veicolazione meno strutturata di te-

    stimonianze e user generated contents, quello del 2011 fu invece og-

    getto di molta pi attenzione da parte di diverse iniziative culturali.

    Nel corso del 2012 pertanto, una serie di importanti manifestazioni

    internazionali dedicarono uno spazio precipuo allo tsunami giappo-

    nese, un tentativo di un elaborazione del trauma collettivo attraver-

    so strategie rappresentative che costituivano testimonianze dellac-caduto. Cos, nel corso della Berlinale del 2012, i documentari sele-

    zionati per un focus su Fukushima, No Mans Zone (2012) di Fu-jiwara Toshi, Nuclear Nation (2012), di Atsushi Funahashi, e Friends

    After 3.11 (2011), di Iwai Shunji, raccontavano da un punto di vista

    autoctono i postumi dello tsunami.

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    The Tsunami and the Cherry Blossom, di L. Walker (2011).

    The Tsunami and the Cherry Blossom, di L. Walker (2011).

    Realizzato nei giorni immediatamente successivi all11 marzo, No Mans Zone dava voce ai sopravvissuti, mostrando i luoghi desolati delle terre evacuate e la sensazione di impotenza e di svilimento di

    persone che non sapevano quando e come trovare un nuovo luogo in

    cui vivere, dato che gli agglomerati urbani da cui provenivano, o quel

    che restava di essi, sarebbero rimasti inagibili per periodi di tempo che

    le autorit non erano in grado di definire. Con il titolo No Mens Land perci, Fujiwara Toshi non intendeva indicare soltanto un luogo, ma

    anche uno stato mentale, per riflettere poi sul rapporto tra paura e

    immagini, tra uomo e natura. Sulla stessa scia poi, Nuclear Nation

    approfondiva le conseguenze dellincidente nucleare di Fukushima

  • Antonie t ta Buonauro

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    sulle cittadine limitrofe, per indagare sulle contraddizioni della ge-

    stione politica e scientifica dellemergenza e pi in particolare sulloperato della TEPCO, societ detentrice della centrale danneg-giata dallo tsunami, le cui fuoriuscite provocarono ordini di evacua-

    zione per circa 10.000 persone, tra cui i 1.400 sfollati di Futaba, centro

    abitato situato a soli tre chilometri dai reattori, totalmente spazzato

    via dal mare e investito successivamente da piogge radioattive. Fu-

    nahashi, vincitore di menzioni e premi in festival di tutto il mondo,

    gir il suo documentario tra gli sfollati concentrati in una scuola a

    circa duecentocinquanta chilometri dalla loro citt, il primo campo

    per rifugiati nucleari dopo Cernobyl. Oltre a documentare la quoti-

    dianit straniante dei sopravvissuti in attesa di ascolto dalle autorit e

    risarcimenti dalla TEPCO, una quotidianit fatta di code per il bagno

    e per la somministrazione di cibo scadente, il film introduceva poi gli

    spettatori nellesperienza del trauma collettivo partecipando al primo rientro consentito a quei sopravvissuti tra le macerie delle loro case,

    un permesso di due ore, durante le quali, senza commenti n colonne

    sonore, la presa diretta mostrava un paesaggio spianato, pieno di de-

    triti, popolato da animali randagi e carcasse divorate dalle radiazioni e

    dal mare.

    Ancora ponendo laccento sul nucleare, ma essendo proteso soprattutto ad una riflessione, dellautore e degli spettatori, sul pre-sente e sul futuro del Giappone, Friends After 3.11 allindomani dello tsunami vedeva il suo autore, Shunji, attraversare i paesaggi

    abbandonati dalle acque dopo il loro ritiro, dialogando con altri te-

    stimoni o interrogandosi sullimpatto di quella catastrofe sul Paese, sullimmaginario collettivo, sulle aspettative di progresso e di pro-sperit riposte nellenergia nucleare e poi tragicamente disattese ed infine sulla possibilit di ripensare lidentit e il futuro del Giappone alla luce di quanto era accaduto.

    Sulla furia della natura e sulle responsabilit umane si con-

    centravano poi anche le foto del World Press Photo, prestigioso con-

    corso annuale che nel 2012 dedicava una specifica sezione agli sce-

    nari post-traumatici di Fukushima. Le foto premiate in quella circo-

    stanza e scattate da fotoreporter di diverse nazionalit, come Paolo

    Pellegrin, Lars Lindqvist, David Guttenfelder, Koichiro Tezuka e

    Toshiyuki Tsuneari17

    , diventavano ancora una volta la testimo-

    17

    Cfr. http://www.worldpressphoto.org/photo/2012-lars-lindqvist-gn-2?

    gallery=2634.

  • Trauma, cinema e media

    181

    nianza di una riflessione sulla forza distruttrice della natura e sulla

    conseguente crisi dei miti occidentali del controllo su questultima attraverso il progresso delle tecnologie e delle scienze. In questi

    scatti che ritraevano navi arenate sulle aride spianate che furono ingolfate dalle acque dello tsunami, costruzioni demolite, telai di

    automobili i beni simbolo delle societ contemporanee apparivano ridotti a carcasse prive di funzionalit, facendo da sfondo a sagome

    umane piccolissime al confronto, come ad enunciare la spropor-

    zione dimenticata dalle citt globali tra la potenza della natura in

    cui esse sono inscritte e la possibilit di addomesticarla.

    Pi dello tsunami del 2004, o quanto meno in modo diverso, il

    tentativo compiuto in molti contesti di rappresentare il cataclisma

    giapponese sembr allora puntare laccento sullesposizione gene-rale alla violenza dei disastri ambientali, intesa come fattore di ri-

    schio non circoscrivibile a luoghi altri e da cui non dovevano rite-nersi al riparo i territori dei Paesi cosiddetti avanzati. Cos conno-

    tata, questa rappresentazione sembrava rivolgersi alluditorio occi-dentale quasi pi che a quello direttamente colpito, ovvero a quelle

    societ che si identificavano con un certo modello di avanzamento e

    nelle quali la cultura del trauma, intesa come attrazione per imma-

    gini scioccanti, acquistava anche il ruolo di fenomeno di premedia-

    zione, come aveva intuito Richard Grusin18

    . Nella prospettiva della

    premediazione allora si potrebbero rileggere anche, da un lato,

    lenorme produzione di user generated contents sullargomento e, dallaltro, il fenomeno dellelevata attenzione concessa dai mezzi di comunicazione agli eventi giapponesi (mai scemata del tutto al

    contrario di quanto avvenuto per la Thailandia), in cui sembrano

    rientrare a nostro avviso anche iniziative in un certo senso singolari,

    come la mappatura di Fukushima post-tsunami compiuta, a grande

    richiesta, da una gigante della rete come Google nel 2012. Le im-

    magini fotografiche a cui si accede dal proprio laptop o smartphone

    attraverso il sito dellazienda americana consentono in buona so-stanza un viaggio virtuale e autonomo a chi ne fruisce, unespe-rienza che si concilia con gli interessi della sfera pubblica patologica

    di Seltzer, ma che daltro canto sembra anche rimandare ad un pre-cedente significativo proprio della storia del Giappone, che vale la

    pena di menzionare a questo punto. Si tratta della raffigurazione

    per mezzo di cartoline illustrate di uno dei pi devastanti terremoti

    18

    Cfr. capitolo precedente.

  • Antonie t ta Buonauro

    182

    che abbiano colpito la zona limitrofa a Tokyo nel secolo scorso, un

    terremoto verificatosi nel 1923 nella prefettura del Kant. Zona

    simbolo del progresso industriale nipponico nei primi decenni del

    Novecento, il Kant divenne oggetto di raffigurazioni in cartolina inviate in lungo e in largo nel territorio nazionale come souvenir da

    un luogo che prometteva orizzonti futuri di grande prosperit anche

    al resto del Paese. Illustrazioni raffiguranti ferrovie, ampie strade

    moderne, ponti attraversati da tram, mastodontici edifici dalle ar-

    chitetture innovative, luoghi urbani popolati ma non caotici, costi-

    tuivano il simbolo della produttivit coniugata ad una buona qualit

    della vita, ovvero del benessere raggiunto attraverso il progresso, e in

    questo modo registravano grandi successi di vendita.

    Nel 1923 poi, il grande terremoto, e le varie altre scosse che lo

    seguirono causando migliaia di morti, rasero al suolo i luoghi che

    fino ad allora avevano rappresentato il fiore allocchiello di quella-rea del Paese. Proprio in quei giorni, sorprendentemente, di quella

    devastazione vennero create immagini in cartolina raffiguranti i

    luoghi-simbolo del Kant ormai ridotti ad un cumulo di macerie e

    spesso riconoscibili solo con laiuto delle didascalie, o attraverso la comparazione con le precedenti raffigurazioni. Tali cartoline si ri-

    velarono ben presto oggetto di unattenzione ancor pi massiccia di quella di cui avevano goduto le precedenti. Proponendo non solo gli

    edifici crollati, ma anche scene di maggiore crudezza, come quelle

    riguardanti il dramma nel suo farsi (per esempio gli incendi) o i

    cumuli di cadaveri riversi nelle strade, esse si configurano tra i primi

    esempi della fruizione di immagini tipica di una sfera pubblica pa-

    tologica, costituendo un caso dai forti punti di tangenza con gli

    eventi del 2011.

    Come illustrano alcuni studi19

    , infatti, esse consentono di ri-

    flettere anche sul ruolo che oggi i nuovi media ricoprono rispetto

    allesperienza dei traumi collettivi, e cio non solo di strumenti di interazione tra sopravvissuti (come tuttora avviene per esempio at-traverso luso dei social network durante le emergenze finalizzato a reperire informazioni dirette sulle sorti dei propri cari), ma anche di

    strumenti sostitutivi dei medium figurativi ormai considerati obso-

    leti, come le cartoline. Sollecitando il piacere voyeuristico da sempre

    inscritto nella visione attraverso la veicolazione reiterata di imma-

    19

    Cfr. in particolare L. Hjorth e K.Y. Kim, The Mourning After: A Case

    Study of Social Media in the 3.11 Earthquake Disaster in Japan, in, Television &

    New Media, vol. 12, n. 6, pp. 552-559.

  • Trauma, cinema e media

    183

    gini recrudescenti, i social network e i database di video online fun-

    gono infatti da strumenti sociali di elaborazione dei traumi attra-

    verso la rappresentazione e il racconto per immagini, configuran-

    dosi come i pi attuali luoghi di declinazione del fenomeno della

    premediazione.

    QRcode. dal sito The Great Kant Earthquake of 1923, prodotto della ri-

    cerca di J. Charles Schencking.

    QRcode. Da The Great Kant Earthquake of 1923, cartoline dopo il terremoto.