Salò Terremoto capitolo 6

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179 La costruzione di una scena urbana L’attuale palazzo comunale, come noto, nasce come fusione dell’antico palazzo dei Provveditori con il ri- costruito palazzo del Comune. La scelta del 1906 – che sembra fondere due identità istituzionali di Salò – verrà affrontata da Gian Paolo Treccani; in questo e nel prossimo capitolo si cercherà di ricostruire le vicende più antiche dei due palazzi e delle altre se- di istituzionali intorno alla piazza. La concentrazione di sedi del potere ingenerò, nel- la seconda metà del Quattrocento, uno sforzo co- struttivo da parte sia del Comune sia della Comuni- tà di Riviera: dagli anni Trenta del Cinquecento, il Comune agì secondo dinamiche che, pur non carat- terizzate da una progettazione urbanistica, sono evi- dentemente indirizzate alla realizzazione di uno spa- zio unitario affine alle grandi piazze delle città venete. Capitolo 6 di Monica Ibsen LA COSTRUZIONE DI UNA SCENA URBANA Il palazzo comunale: cronaca di un cantiere secolare Le prime notizie sul palazzo comunale non risalgo- no oltre il 1532, quando ne viene avviato il rifaci- mento 18 . La ricostruzione degli assetti antichi è peral- tro opera improba a causa delle numerose case di proprietà comunale nell’invaso della piazza 19 e del complesso meccanismo di acquisti, demolizioni e ri- costruzioni indotto dalla completezza del tessuto ur- banistico che non consentiva nuove edificazioni: nel 1513 il Comune possedeva certamente una casa a sero parte, ossia sul lato occidentale della piazza, in- vestita a livello a Gerolamo Zilioli, e nel 1532, con il sostegno economico del rettore veneziano Alvise Trevisan, acquistò una casa della Comunità di Rivie- ra a mane parte, ossia sul lato orientale, già residen- za del podestà bresciano, e la casa di Giovan Maria Cattanei al prezzo rispettivamente di 1.000 e di 1.800 lire [doc. 7-8] 20 . L’avvio dei lavori non fu immediato a causa pro- babilmente dell’avversa congiuntura economica: so- no anni di carestie e il Comune fatica, ad esempio, Capitolo06 179-186 (Ibsen) 28-04-2009 22:02 Pagina 179

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179La costruzione di una scena urbana

L’attuale palazzo comunale, come noto, nasce comefusione dell’antico palazzo dei Provveditori con il ri-costruito palazzo del Comune. La scelta del 1906 –che sembra fondere due identità istituzionali di Salò– verrà affrontata da Gian Paolo Treccani; in questoe nel prossimo capitolo si cercherà di ricostruire levicende più antiche dei due palazzi e delle altre se-di istituzionali intorno alla piazza.

La concentrazione di sedi del potere ingenerò, nel-la seconda metà del Quattrocento, uno sforzo co-struttivo da parte sia del Comune sia della Comuni-tà di Riviera: dagli anni Trenta del Cinquecento, ilComune agì secondo dinamiche che, pur non carat-terizzate da una progettazione urbanistica, sono evi-dentemente indirizzate alla realizzazione di uno spa-zio unitario affine alle grandi piazze delle città venete.

Capitolo 6 di Monica Ibsen

LA COSTRUZIONEDI UNA SCENA URBANA

Il palazzo comunale: cronaca di un cantiere secolare

Le prime notizie sul palazzo comunale non risalgo-no oltre il 1532, quando ne viene avviato il rifaci-mento18. La ricostruzione degli assetti antichi è peral-tro opera improba a causa delle numerose case diproprietà comunale nell’invaso della piazza19 e delcomplesso meccanismo di acquisti, demolizioni e ri-costruzioni indotto dalla completezza del tessuto ur-banistico che non consentiva nuove edificazioni: nel1513 il Comune possedeva certamente una casa asero parte, ossia sul lato occidentale della piazza, in-

vestita a livello a Gerolamo Zilioli, e nel 1532, conil sostegno economico del rettore veneziano AlviseTrevisan, acquistò una casa della Comunità di Rivie-ra a mane parte, ossia sul lato orientale, già residen-za del podestà bresciano, e la casa di Giovan MariaCattanei al prezzo rispettivamente di 1.000 e di 1.800lire [doc. 7-8]20.

L’avvio dei lavori non fu immediato a causa pro-babilmente dell’avversa congiuntura economica: so-no anni di carestie e il Comune fatica, ad esempio,

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a saldare il conto con gli Antegnati che hanno rea-lizzato l’organo di Santa Maria: così solo nel 1545viene eletta una prima commissione per la realizza-zione di un modello per la domus comunis a seroparte, dando così seguito agli interventi degli anni’30, mentre il Comune completa l’acquisizione deipieni diritti sulle case acquistate21.

Nel febbraio 1548 il Consiglio emana una parteinerente la fabbrica della casa ed elegge una delega-zione di tre deputati22 [doc. 10] e i lavori procederan-no fino almeno al 1554, anche se la parte ediliziadovette concludersi celermente, presumibilmente en-tro il 1552, quando si saldano le spese del cantiere;una tappa significativa sembra individuabile nell’esta-te del 1551, quando viene posta in opera la campa-nella per i consigli23.

Il progetto e la direzione dei lavori sono affidati aBattista Oselli da Brescia, ingegnere, una figura nondel tutto sconosciuta agli studi: Camillo Boselli repe-rì le tracce della sua attività nei fondi notarili brescia-

ni, da cui si possono almeno riconoscere una suaascesa professionale da marengone (nel 1541) ad ar-chitetto e ingegnere (rispettivamente dal 1548 e 1550)e discrete disponibilità finanziarie24. Battista Osellirealizzò per il Comune un modello in bella et con-decente forma e dal 1550 è registrata la sua presen-za alla direzione del cantiere25. In questi anni lo ri-troviamo inoltre impegnato, con uno degli eletti delComune, a scegliere a Sant’Ambrogio Valpolicella lepietre per le colonne: il materiale semilavorato vie-ne poi affidato ad artigiani bresciani – Giovanni Gam-ba di Rezzato, Gianfrancesco Fine di Bornato26 – aiquali si aggiunge la presenza di maestranze locali,Giacomo e Gianfrancesco dal Rì di Campoverde, chelavorano come scalpellini (ai fregi del cornicione) ecome cavapietre, estraendo materiale dal monte Co-volo27.

Un cantiere dai tempi contenuti, dunque, defini-tivamente concluso nel 1554, quando è realizzato loscrigno per la tesoreria28. In questo arco cronologicosono compresi anche gli interventi di decorazionepittorica alle facciate e agli interni documentati daipagamenti ai salodiani, e modesti, Francesco Violi-no e Antonio Maria Mazzoleni, che si scalano tra il1551 e il 1552 [doc. 11]: dei due autori il più notoè il secondo, genero di Zenone Veronese, cui il Co-mune dapprima commissionò le ante dell’organo delDuomo, quindi le rifiutò, dando vita a un contenzio-so che coinvolse quale perito Romanino, contro ilquale il Mazzoleni si scagliò con particolare astio.Del tutto sconosciuta è l’attività artistica di France-sco Bertolotti, detto Violino, ben noto invece per es-sere il padre di Gasparo da Salò29.

Il palazzo sarebbe stato completamente ricostrui-to a partire dal 1612, ma la documentazione consen-te alcune considerazioni su quale dovesse essere ilsuo aspetto: ad esso infatti e non al palazzo soprav-vissuto fino al terremoto del 1901 è da riferire la de-scrizione del Grattarolo riportata sopra, che traman-da un edificio sostenuto da un porticato di sette pilastriionici (“tra sette colonne ioniche quadre”); e nel 1591,inoltre, il contratto per i pilastri del palazzo sul latoorientale della piazza imponeva ai lapicidi Gaspare,Francesco e Bernardino Gasparini di adottare comemodello quelli del portico del palazzo comunale:

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228. Progetto di finestra

per il palazzo comunale

(1548-1552).

Salò, Archivio di Antico Regime.

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quelli presentati oppure, a partire da quelli, di rea-lizzarne uno che soddisfi le esigenze del Comune ela scelta adottata sembra essere quest’ultima [docc.22-24]. A guidare la fabbrica si offrono Matteo e Do-menico da Lecco e Giorgio Cobelli, di Maderno, chesi aggiudica l’opera [doc. 25]; di Matteo da Lecco siconosce la collaborazione al cantiere del palazzoorientale almeno nel 1606, mentre la documentazio-ne sul Cobelli si ferma a questo cantiere, nel qualecompare come inzignero, architecto, fabriciero.

Ancora una volta le tappe del cantiere si seguonoagevolmente, a partire dalla distruzione delle strut-ture esistenti [doc. 21] e dalla palificazione del nuo-vo edificio, nel 161334, avviate a ridosso del comple-tamento del palazzo sul lato orientale della piazza;se tuttavia in quel caso, come si vedrà, i lavori si pro-trassero per almeno un ventennio, qui il cantiere pro-cede rapido e spedito, così che già dal 1614 si co-mincia a lavorare alla decorazione.

A settembre, infatti, viene proposto di dar “liber-tà alli signori eletti alla fabrica di piazza che possi-no far dipinger a chiaro e scuro la faciata che si co-mincia a intonicare sotto la gronda, di mano in manoin laudabil forma”, con un tetto di spesa fissato in 70scudi, e nella primavera successiva viene deliberata

dalle immagini di inizio Novecento del palazzo ver-so mattina si può dunque delineare una struttura supilastri con lesene ioniche (le “colonne quadre” delGrattarolo); le numerose finestre (almeno dieci) regi-strate sul contratto con Francesco Fine dovevano al-leggerire la massa dei piani superiori. A dispetto del-la severità del modello per le finestre – l’unicoelemento sopravvissuto dei progetti del cantiere –,altri elementi a rilievo (“scartozzi o sia cartelle depreda negra” e un’arma, probabilmente il leone diSan Marco) dovevano ornare i prospetti30. La decora-zione pittorica si articolava nel fregio del cornicionee dell’architrave e con motivi non precisati sui pro-spetti [doc. 11].

Una serie doviziosa di documenti dal 1552 al 1612attesta continue necessità di restauro del complessodegli edifici, a causa dell’instabilità dell’area, cheBongianni Grattarolo interpretava come erosione del-le fondamenta a opera del lago, registrando come lecase sulle sponde del lago “siano o distrutte et ingiot-tite affatto dalla rapacità sua o restano sbattute e con-quassate, sì fattamente che minacciano quasi sem-pre rovina come si può veder in Salò”31.

A pochi decenni dalla conclusione del cantiere,nel 1578 il palazzo già minaccia maximam ruinam,e che le condizioni fossero veramente allarmanti loconferma la rapidità degli interventi [doc. 15]: nel1578 si contatta l’architetto cremonese Bernardo Tor-riani, non meglio noto nei repertori, che tuttavia po-trebbe essere collegato al cantiere – attivo negli stes-si anni – del palazzo di Sforza Pallavicino aBarbarano32. È il Torriani a proporre la sostituzionedei pilastri e opere di rafforzamento delle strutture[doc. 16-17], quelle che ancora una volta puntual-mente ricorda il Grattarolo.

Il rimedio si rivelò insufficiente: entro il 1610 sidovette provvedere al trasferimento dell’assembleacomunale e del monte di pietà nella casa sul latoorientale della piazza [doc. 20] e a pianificare la ri-costruzione del palazzo, dopo che dal 1597 venivaregistrato lo stato pericoloso della “domus ad lacum”confermato da una serie di cedimenti33. Nel 1612,prende avvio il nuovo cantiere: a gennaio il Consi-glio incarica cinque eletti di consultarsi con dei pe-riti al fine di scegliere il modello architettonico tra

229. Salò, la facciata orientale

del palazzo comunale

in una fotografia

di fine Ottocento.

Collezione

Pierangelo Del Mancino.

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la decorazione della corte, per la quale viene stipu-lato il contratto con Andrea Bertanza e Gian BattistaQuaglia che prevede un intervento a chiaroscuro confinte architetture35 [doc. 28].

Nel novembre dello stesso anno avanzano i lavo-ri anche per la sala del Consiglio: gli eletti approva-no un modello per la carpenteria del soffitto presen-tato dal marengone Bartolomeo Zane e, evidente-mente per il notevole pregio, stabiliscono di pagarlo25 scudi oltre il pattuito36; ancora alla sala del Con-siglio è probabilmente da collegare la notizia, di po-co successiva, dell’accordo con il Cobelli, “che sialevato il forbice (così nel testo) di mezzo per far piùgrande il sfondro della soffitta”37, segno di un cam-biamento di progetto che, al posto del soffitto a esa-goni proposto dal Cobelli38, consenta di realizzare ungrande sfondato prospettico, adatto a una comples-sa figurazione simbolica quale sarà quella definitanel modello approvato dagli eletti alla fabbrica allafine del 1616 e di cui si può ancora apprezzare laricchezza. Nell’estate del 1617 i lavori si avviano aconclusione, come testimoniano le bollette per l’ac-

quisto dell’oro per la decorazione dei modiglioni li-gnei del soffitto e la proposta di riconoscere al Ber-tanza un onorario aggiuntivo per le “fatiche sue etspese de colori” effettuate oltre quanto previsto dalcontratto, avanzata a fine dicembre39 [doc. 29].

Il palazzo – che si articola intorno a un solennescalone centrale – ospita il monte di pietà, precedu-to da una loggetta, al piano superiore sul lato versoil lago la sala del Consiglio con la cancelleria picco-la e l’archivio, e più in alto la cancelleria40; la picco-la corte interna, lastricata in cotto posto di taglio, vie-ne coperta con un soffitto ligneo e ospita l’antennaper il gonfalone del Comune41. Non è chiara invecela funzione dell’altana, con colonne lignee e soffittodipinto42, che ripetutamente compare nelle provvi-sioni e che è visibile nelle foto di fine Ottocento. Ri-spetto alle sistemazioni precedenti, il palazzo assu-me una vocazione istituzionale ancor più accentuatae dalla struttura scompaiono le beccherie, anche sevengono affittati a privati un fondaco, due botteghe,che tuttavia in corso d’opera vengono ulteriormenteristrette a vantaggio degli uffici pubblici, e alcuni spa-

230. Salò, palazzo del Comune,

planimetria

prima del terremoto.

Collezione

Franco Ligasacchi.

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que il tramite per il permanere di suggestioni sanso-viniane riconosciute da tutti gli studi nel palazzo delComune fino ad attribuirne il progetto al Sansovinostesso45, laddove è invece forse più agevole ricono-scere un rapporto con alcune fabbriche bresciane diLudovico Beretta, architetto comunale della città, chea metà secolo, ad esempio nelle case pubbliche dipiazza del Mercato, aveva realizzato analoghi volu-mi squadrati, riducendo al minimo membrature edelementi decorativi (si pensi alla scomparsa dei tim-pani e di qualsiasi cornice dalle finestre); analoga èanche la tipologia a portico sovrastato da un corpopieno superiore rispondente all’uso pubblico dell’edi-ficio destinato al piano terreno in parte a botteghe,in parte all’esercizio di funzioni pubbliche sia neglispazi aperti sia negli ambienti interni46.

L’edificio coniuga attentamente le esigenze di pre-stigio della sede pubblica, quelle statiche di non ca-ricare eccessivamente la riva e quelle del conteni-

zi di risulta43. Il catasto austriaco sembra confermarela ricostruzione dell’assetto antico, con la porzionea lago interamente ad uso del Comune, quella a mon-te destinata a botteghe d’affitto e a uso civico al pia-no superiore44.

Se nel 1591 ai lapicidi attivi sulla fabbrica orien-tale è esplicitamente richiesto di copiare i sostegni ele membrature architettoniche della “casa del comuna sera parte” [doc. 18], ossia pilastri al pianterrenocon il capitello ionico, la loro presenza nell’edificiosopravvissuto fino al 1901, implica che il rifacimen-to del 1612-1619, in ragione della ricerca di unifor-mità dei prospetti, abbia mantenuto le forme dei pa-lazzi edificati alla metà del Cinquecento, con unportico sul lato orientale scandito da pilastri cui siaddossano lesene ioniche e un ordine gigante di le-sene corinzie ad unificare la superficie muraria deipiani superiori; immutata resta anche la cornice del-le finestre almeno del piano nobile. Questo fu dun-

231. Salò, il palazzo del Comune

e la casa sul lato orientale

della piazza nell’Ottocento.

Collezione

Pierangelo Del Mancino.

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compare alcun documento, salvo la delibera di im-pegnare una cifra cospicua, settanta scudi. Il silen-zio non consente alcuna considerazione e la crono-logia plausibile dell’intervento – il 1614 – ben siadatterebbe tanto a un intervento di Bertanza tantoa quello del bresciano Tommaso Sandrini, cui Giu-lio Antonio Averoldo ascrisse l’opera49. Nè di più sicava dalla spesa prevista, dal momento che in real-tà per la sala del Consiglio vennero inizialmente stan-ziati cinquanta scudi, ma al termine dei lavori Ber-tanza per la sua opera ne ottenne complessivamentesettantacinque50. L’unica traccia documentaria è nelcontratto con Bertanza per la decorazione della cor-te, in cui è compreso l’impegno dei pittori a dipinge-re li pilastri alla rustica e parimenti le muraglie alla ru-stica di fori via [doc. 28], che potrebbe adombrare –ma sembra troppo poco esplicito – anche la decora-zione dei fronti esterni dell’edificio.

L’elogio dei decori sulle tre facciate “con varj or-namenti d’architettura”, e l’attribuzione al più cele-bre quadraturista bresciano non può del resto essereaccolta senza il dubbio che si tratti di un’etichetta dicomodo di fronte a una tipologia decorativa e a unlivello eccellente e le poche tracce riconoscibili sul-le vecchie fotografie non consentono alcuna consi-derazione.

L’eventuale realizzazione da parte di maestranzelocali non significa necessariamente un ridimensio-namento del profilo qualitativo del cantiere, ma piut-tosto andrà letto come prova dell’esistenza di un tes-suto locale in grado di raggiungere ottimi livelli, alpunto da suggerire ad un eccellente conoscitore co-me l’Averoldo il nome di Sandrini.

Le vicissitudini statiche del palazzo non si conclu-sero con la ricostruzione del Cobelli: nel 1662 si sus-seguono provvisioni sullo stato dell’edificio, con lanomina di una commissione apposita delegata a con-sultarsi con periti e la gravità della situazione emer-ge dall’urgenza con cui si svolgono i lavori che nel1663 sono compiuti51.

Vennero immediatamente poste in opera nuovechiavi in ferro e in legno (dopo che quelle già pre-senti si erano spezzate) e si procedette a una palifi-cazione davanti al palazzo52. Non sembra invece at-tendibile la notizia dell’incendio: a bruciare nel 1660

232. Brescia, Ludovico Beretta,

case di piazza Erbe.

Foto Monica Ibsen.

mento dei costi a fronte di un impegno così massic-cio imposto dai dissesti. In questo delicato equilibriosi colloca la scelta di scale con balaustre in pietra fi-no al primo piano – quindi alla sala del Consiglio –e in legno tornito per i livelli superiori, l’utilizzo divetrate commissionate a maestri veronesi per tutte lefinestre, ma al contempo l’attento recupero di ante emateriali dall’edificio precedente47. Lo stesso equili-brio caratterizza anche la decorazione – a chiaroscu-ro all’esterno – con il colore riservato alla sala delConsiglio per la quale si adoperano le soluzioni piùappropriate, sia per la valorizzazione degli interven-ti pittorici (con l’ampio utilizzo di finiture dorate), siaper la loro tutela, attraverso la realizzazione di unsoffitto ligneo in grado di scongiurare infiltrazioni econseguenti danni ai teleri [doc. 28].

Dell’arredo del palazzo nulla rimane oltre il rima-neggiato soffitto con gli intagli dorati e la tela centra-le di Andrea Bertanza del 1617, che alla luce dei do-cumenti appare davvero un frammento di uncomplesso assai più ricco: basti ricordare la “portie-ra” della sala del Consiglio in seta ricamata, per lacui realizzazione ci si affidò a un ricamatore di Va-prio, fuori dunque dallo Stato della Serenissima48.

La facciata doveva essere dipinta a chiaroscurocon finte architetture al pari dell’atrio [doc. 27]: sedi questo è ben nota la paternità – come si è visto diBertanza e del suo collaboratore Gian Battista Qua-glia – per la facciata nei registri della fabbrica non

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fu un’altra casa (o meglio casetta come nelle carte)del Comune, data ad affitto: del resto ancora nel 1700

Averoldo poteva elogiare la decorazione sulle tre fac-ciate senza registrare significativi danni53.

Le case acquistate sul lato est nel 1533 – destinatea ospitare un’ostaria e ad essere affittate e solo in oc-casione dei lavori di ricostruzione del palazzo comu-nale utilizzate come sede istituzionale – dagli anniSettanta del Cinquecento rivelano l’urgenza di inter-venti, avviati con la ricostruzione del portico54; lo te-stimonia inequivocabilmente la presenza di un col-legio di eletti pro domibus communis in plateaecclesiam versus nel 1574; i lavori saranno avviatidue anni più tardi, nel febbraio 1576, quando com-pare il primo stanziamento significativo (1.200 lire[doc. 14]), ma i contemporanei lavori sul fronte oc-cidentale della piazza dovettero significativamenterallentare il cantiere e solo nel 1587 si registra il pa-gamento a Gerolamo Cisoncelli per il modello della“domus construenda a mane parte ubi nunc fit ho-spitium”, probabilmente il rimborso per una sommada lui anticipata all’architetto55; da allora sono regi-strati continui, cospicui finanziamenti, e si susseguo-no contratti per le fondamenta (1593) e per gli appa-rati in pietra (cornici di porte e finestre e scale, 1599)[doc. 18], da cui è possibile trarre indicazioni utilisull’edificio, in particolare per la presenza anche inquesto caso di quattro botteghe56. Nel 1600 il prov-veditore Gradenigo – lo stesso che aveva condotto aSalò Palma il Giovane – suggerì la costruzione di unportico verso il lago, destinato a ovviare all’angustiadella piazza, ma l’alto costo dell’impresa (non me-no di quattrocento scudi) impose la rinuncia al pro-getto. All’impegno del Gradenigo a favore della piaz-za di Salò il Comune riservò un riconoscimentoinconsueto nell’attenta strategia di contenimento del-le manifestazioni di orgoglio gentilizio, stabilendo diapporne lo stemma sul volto che scavalcava la viaverso la chiesa.

Del resto i costi del cantiere si rivelavano semprepiù ingenti, tanto che dal 1602 il Comune non fu più

in grado di farvi fronte con le risorse ordinarie e do-vette far ripetutamente ricorso alle “borse delle don-zelle”, ossia al fondo per le doti delle nubende po-vere, e al monte di pietà57: le concomitanti spese peril cantiere del palazzo comunale dovettero imporreuna chiusura dei lavori anticipata così che non ven-nero mai realizzati ad esempio i capitelli corinzi del-l’ordine gigante.

La migliore descrizione del complesso, che repli-cando il modello del palazzo comunale di BattistaOselli di metà Cinquecento risulta perfettamente omo-geneo rispetto al lato occidentale della piazza, emer-ge dall’atto di locazione della “casa grande di piaz-za sotto il reloio” o “casa grande verso mattina” aGiovanni Percaccini di Portese che la rileva “per far... hostaria”: la casa è “sita nella piazza di questa ter-ra verso il lago et il signor podestà di sotto dalla stra-da, con una bottega che va verso la chiesa, la qualbottega è appresso la porta di detta casa verso mon-te”58. Ben presto tuttavia le destinazioni dell’edificiomutarono e l’osteria, con due botteghe, trovò postonella parte settentrionale, compresa tra la via allachiesa e la via di Mezzo. La restante parte della ca-sa grande di piazza, o palazzo vecchio, per la qua-lità delle strutture e il prestigio della posizione, do-veva costituire uno degli edifici più importanti dellacittà, e dunque nei contratti stipulati dal Comune sisuccedono il podestà, esponenti dell’aristocrazia bre-sciana come il conte Francesco Martinengo o fami-glie notabili di Salò, come i Cattanei (che la casa inpiazza l’avevano sempre avuta, come si è visto59). Di-venta dunque emblema della straordinaria fortuna diZenone Veronese, vero e proprio genius loci, il fattoche nel 1681 il Comune di Salò concedesse in affit-to il palazzo per quattro anni a un discendente delpittore, in cambio – al posto del canone – di un di-pinto del maestro60.

Il fronte orientale della piazza

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233. Veduta aerea

di Campoverde di Salò.

Foto Marino Colato.

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