Salò Terremoto capitolo 8

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203 Gli indirizzi figurativi mune e del Provveditore: la prima parte riprende con profonde revisioni e aggiornamenti un testo già edi- to nel 2002 121 ; la seconda allinea alcuni episodi dal- la seconda metà del Cinquecento alla metà del Sei- cento con l’intento di suggerire piste di indagine e riflessione. quest’esame sono stati individuati il compimento del- la cornice dell’ancona per il Duomo nel 1475 e la collocazione sull’altare del Corpus Domini del Duo- mo del Compianto di Zenone Veronese, nel 1513, punto di avvio di un’altra storia 122 . Il complesso decorativo del palazzo dei Provvedi- tori richiama immediatamente un altro soffitto, que- sto conservato integralmente in situ, nella sala di rap- presentanza della canonica del Duomo, realizzato tra gli ultimi lustri del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, quando a reggere la pieve era Piccinel- lo Dossi, l’ecclesiastico umanista educato alla scuo- la di Platina, o il suo creato Baldassarre Gemi 123 . La Le tavolette dipinte della sala dei Provveditori of- frono un comodo punto di partenza per tentare una lettura in parallelo di alcune vicende artistiche della Salò contemporanea, in cui si ravvisa una estrema scarsità di pittura su tavola o su tela, legata certo in parte a dispersioni, ma in misura significativa anche ad una difficoltà della committenza: questa rarefa- zione di opere può essere semplicisticamente spie- gata come esito di un’effettiva assenza di commesse e di realizzazioni, ma la presenza di due cantieri co- me il Duomo e San Bernardino – chiese che, rispet- tivamente, avevano undici ed otto altari – impone un approfondimento del problema. Come estremi per In questa breve parte conclusiva non si intende of- frire un ordinato sviluppo delle vicende artistiche sa- lodiane, che meriterebbero un ampio studio mono- grafico, alla luce dei tanti capitoli ancora aperti e talora inesplorati; si vogliono invece raccogliere de- gli appunti e delle proposte su argomenti strettamen- te legati alla produzione artistica per i palazzi del Co- Capitolo 8 di Monica Ibsen GLI INDIRIZZI FIGURATIVI Ancora Salò 1475-1513 Capitolo08 203-220 (Ibsen) 28-04-2009 22:05 Pagina 203

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Salò Terremoto capitolo 8

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203Gli indirizzi figurativi

mune e del Provveditore: la prima parte riprende conprofonde revisioni e aggiornamenti un testo già edi-to nel 2002121; la seconda allinea alcuni episodi dal-la seconda metà del Cinquecento alla metà del Sei-cento con l’intento di suggerire piste di indagine eriflessione.

quest’esame sono stati individuati il compimento del-la cornice dell’ancona per il Duomo nel 1475 e lacollocazione sull’altare del Corpus Domini del Duo-mo del Compianto di Zenone Veronese, nel 1513,punto di avvio di un’altra storia122.

Il complesso decorativo del palazzo dei Provvedi-tori richiama immediatamente un altro soffitto, que-sto conservato integralmente in situ, nella sala di rap-presentanza della canonica del Duomo, realizzatotra gli ultimi lustri del Quattrocento e i primi anni delCinquecento, quando a reggere la pieve era Piccinel-lo Dossi, l’ecclesiastico umanista educato alla scuo-la di Platina, o il suo creato Baldassarre Gemi123. La

Le tavolette dipinte della sala dei Provveditori of-frono un comodo punto di partenza per tentare unalettura in parallelo di alcune vicende artistiche dellaSalò contemporanea, in cui si ravvisa una estremascarsità di pittura su tavola o su tela, legata certo inparte a dispersioni, ma in misura significativa anchead una difficoltà della committenza: questa rarefa-zione di opere può essere semplicisticamente spie-gata come esito di un’effettiva assenza di commessee di realizzazioni, ma la presenza di due cantieri co-me il Duomo e San Bernardino – chiese che, rispet-tivamente, avevano undici ed otto altari – impone unapprofondimento del problema. Come estremi per

In questa breve parte conclusiva non si intende of-frire un ordinato sviluppo delle vicende artistiche sa-lodiane, che meriterebbero un ampio studio mono-grafico, alla luce dei tanti capitoli ancora aperti etalora inesplorati; si vogliono invece raccogliere de-gli appunti e delle proposte su argomenti strettamen-te legati alla produzione artistica per i palazzi del Co-

Capitolo 8 di Monica Ibsen

GLI INDIRIZZI FIGURATIVI

Ancora Salò 1475-1513

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datazione che si propone qui è anticipata di almenoun decennio rispetto a quanto ritenevamo nel 2002sulla scorta di una consolidata credenza sull’araldi-ca salodiana, ossia l’inserimento del giglio nello stem-ma in occasione della breve dominazione francese(dunque, post 1509), smentita dallo studio di Foppo-li pubblicato in questo volume.

Alla luce di questa sensibile anticipazione crono-logica, si impone una revisione anche della relazio-

ne tra i due complessi dipinti. Viene meno infatti quel-la distanza pluridecennale che dava ragione – in uncontesto di affinità stringenti del modo di delinearele forme anatomiche e di tutta una serie di elementiiconografici – delle profonde differenze nella gam-ma cromatica e nella consistenza plastica. Se sonouguali occhi, profili, acconciature, delineati con glistessi rapidi tratti scuri, il timbro caldo e i volumi po-co definiti, quasi elusi, della sala dei Provveditori sidistaccano nettamente dalle tonalità grigie e dalladurezza quasi lapidea delle teste della canonica diSanta Maria. È diverso – e non sorprende – il model-lo culturale di riferimento: se nella sala del rettoreveneziano si avverte ancora un sentore cortese, nel-la sala voluta dal Dossi si avverte il rapporto strettocon il modello numismatico e con l’antico, e nellepareti con l’illustrazione libraria. I due cicli dunquerestituiscono non un’unica figura, come credevo, madue artisti, separati da un non considerevole lasso ditempo: la distanza cronologica tra i due potrebbecontenersi nell’arco di un decennio, in grado di spie-gare la dipendenza dell’autore del soffitto della ca-nonica dal maestro attivo nella sala dei Provvedito-ri124. Maestro che potrebbe identificarsi in Giovannida Ulma, che viene pagato nel 1485 per frisiis et alianella sala. Il suo stile a quelle date ci è ben noto dal-la testa del San Cosma, conservato in Duomo, unicolacerto integro fra tante infedeli ridipinture dei dipin-ti scoperti nel 1901 nell’ex cappella del cimitero pres-so il Duomo e irrimediabilmente degradati nel 1957a causa di un errato strappo e delle conseguenti ridi-

255. Salò, sala dei Provveditori:

tavoletta lignea

di Giovanni da Ulma (?), dettaglio.

Foto Augusto Rizza.

256. Salò, sala della Canonica:

tavoletta lignea

del Maestro di Solarolo, dettaglio.

Foto Augusto Rizza.

257. Salò, sala della Canonica:

il soffitto.

Foto Augusto Rizza. 255

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Da 258 a 263. Salò,

sala della Canonica:

tavolette del Maestro di Solarolo.

Foto Augusto Rizza.

258 259

261260

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264. Salò, Duomo:

Santi Cosma, Damiano e Lucia

di Giovanni da Ulma,

particolare.

Foto Augusto Rizza.

265. Salò, Duomo:

Sant’Agata,

di Giovanni da Ulma, foto

prima dello strappo.

Archivio dei Civici Musei

di Arte e Storia di Brescia.

266. Salò, sala dei Provveditori:

tavoletta lignea

di Giovanni da Ulma (?).

Foto Augusto Rizza.

264 265

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267. Salò, sala della Canonica:

tavoletta lignea del Maestro

di Solarolo, particolare.

Foto Augusto Rizza.

268. Manerba,

Santa Trinità di Solarolo:

la Trinità, del Maestro di Solarolo,

particolare.

Foto Augusto Rizza.

269. Manerba,

Santa Trinità di Solarolo:

il Giudizio finale del Maestro

di Solarolo, particolare.

Foto Emanuele Tonoli.

267 268

269

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pinture. La stesura pittorica e la modulata espressivi-tà del volto smentiscono del tutto l’aspetto mortifi-cante della figura, dal panneggio informe, campitopiù che dipinto, e consentono un confronto abba-stanza stringente con almeno alcune delle tavolette,nella delicata variazione degli incarnati, in certo ad-densarsi di ombre intorno al profilo, che si ritroveràestremamente semplificato nella gamma cromaticae nella stesura nel secondo maestro.

Giovanni da Ulma, documentato dal 1475 al 1520circa, ebbe bottega vicino al convento di San Bernar-

dino e la sua firma è riconoscibile, nelle foto antece-denti, lo strappo nella Sant’Agata, pure provenientedalla cappella annessa all’ex cimitero presso il Duo-mo, e datata 1475: le foto di inizio Novecento con-fermano l’autenticità del sorprendente fondale archi-tettonico con muro bugnato, arcone e festoni e delpavimento lastricato in ripida prospettiva che, all’al-tezza del 1475, avrebbero potuto suscitare più diqualche sospetto. Sulla base delle vecchie foto è pu-re possibile attribuirgli le tre figure dei Santi Lucia,Cosma e Damiano, cui doveva aggiungersi un’altra

270 271

272

270. Salò, via di Mezzo:

decorazione murale

esterna, particolare.

Foto S&B trade promotion.

271. Salò, via di Mezzo:

decorazione

murale esterna.

Foto S&B trade promotion.

272. Muscoline, San Quirico:

dipinto votivo

del Maestro di Solarolo, 1513.

Foto Monica Ibsen.

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figura all’estrema sinistra su cui doveva estendersi ilresto dell’iscrizione ora mutila: la data pure mancama quella della Santa Lucia, oggi leggibile come 1481,potrebbe essere attendibile.

Tanto è andato perso anche delle altre poche pro-ve superstiti dell’artista: i Santi Rocco e Sebastiano aSan Pietro in Lucone di Polpenazze, datati 1489 e at-tribuitigli da Gaetano Panazza, in cui si ritrovano ifestoni che facevano la fortuna dell’artista nelle de-corazioni pubbliche di Salò [doc. 3, 4], o la grandetabula quadrata di San Quirico a Muscoline, firma-ta, dall’aulico riferimento a modelli rinascimentalinella proposizione di una monumentale cornice mar-morea, dove tuttavia non vi è più traccia della folgo-razione mantegnesca della Sant’Agata, indizio forsedi una sua versatilità nell’adottare di volta in volta unlinguaggio aggiornato e sostenuto o formule sdate peruna committenza tradizionalista125.

Se è possibile cautamente proporre una relazionecon Giovanni da Ulma per le tavolette della sala deiProvveditori, resta invece anonimo l’autore della de-corazione della sala della Canonica, cui è stato attri-buito il nome convenzionale di maestro di Solarolodalla più estesa delle sue opere, la decorazione diun’intera cappella con il Giudizio finale, scene del-l’infanzia di Cristo e figure di Santi nella chiesa del-la Trinità di Solarolo di Manerba, del 1514126, realiz-zata forse in più fasi e con il largo apporto dellabottega e forse di altri maestri, in cui si riscontra daun lato la piena coerenza stilistica con le opere pre-cedenti, con aggiornamenti su Ferramola e sul tardoFoppa e nuovi riferimenti agli illustratori (dalle xilo-grafie della Divina Commedia di Bonino de Boninis,1487, e di altre edizioni bresciane coeve, al fronte-spizio del De Claris Mulieribus stampato a Ferrara nel1497, dall’altro la commistione con un retaggio ditematiche e schemi arcaici. Sia qui, sia nella crono-logicamente prossima decorazione di San Zenone adEno (Crocefissione sull’altare, Apostoli ai lati e lunet-te con Storie della Passione) è peraltro rilevabile, nel-le parti di maggior qualità, una peculiare prassi ese-cutiva, caratterizzata da un disegno assai sciolto incolore rosso, con cui sono schizzate le figure, cheviene ripreso poi con tinte più marcate.

Per le fasi iniziali dell’attività del pittore, va rile-

vato come le prime opere indubbiamente attribuibi-li siano la Madonna e donatore della Rocca di Sab-bio e le Storie di Giobbe, ora nel duomo di Salò(1503), che si dovranno far precedere da una serie didipinti più prossimi alla tradizione locale e, credo,alla maniera di Giovanni da Ulma127. A lui, per le so-miglianze con la decorazione della sala della cano-nica, e in date a questa prossime mi sembra anche sipossa accostare il fregio dipinto su una casa della viadi Mezzo.

A questa produzione pittorica sono da accostarei riferimenti documentari relativi ad interventi nei pa-lazzi pubblici, nonché le descrizioni fornite da in-ventari privati128, da cui emerge l’intensa attività diun manipolo di artisti (Giovanni da Ulma, FrancescoCattanei, Giovanni da Desenzano e Giovanni Basta-ri) che dipingono arredi e ambienti desolatamenteperduti.

A fronte di tanta operosità, la situazione della pit-tura su tavola offre un contrasto stridente: dal 1475al 1513 si possono allineare una serie impressionan-te di fallimenti nel tentativo di porre tavole dipintesull'altar maggiore del Duomo e neppure una man-ciata tra tavole e tele, né si tratta solo dell’effetto disuccessive dispersioni e rinnovamenti di arredi, chèla mole di opere firmate dalla seconda metà degli an-ni Dieci da Zenone Veronese attesta inequivocabil-mente l’assenza di pale in molti degli altari delle chie-se di Salò, dove ci saranno stati piuttosto affreschi o

273. Illustrazione

di Giovanni Filippo da Bergamo,

De claris mulieribus,

Ferrara 1497.

Biblioteca Queriniana, Brescia.

273

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statue. Ad osservare, poi, i pochi elementi ricondu-cibili proprio a quei pittori impegnati nella decora-zione dei palazzi della Comunità, ci si avvede di per-sonalità dotate di qualità tecniche ed espressive certonon sfruttate nella realizzazione di metri e metri qua-dri di frisii ad verduras e di leoni marciani. La figura

meglio individuabile è indubbiamente Francesco Cat-tanei, pittore dedito alla mercatura che, traendo for-se vantaggio dalle parentele tra i maggiorenti salo-diani, nel 1478 ottiene l’incarico di dipingere l’anconaper l’altar maggiore del Duomo, senza riuscire a por-tarla a compimento: il confronto con lo Sposaliziomistico di santa Caterina della parrocchiale di No-mi129 consente ora di attribuirgli con sicurezza le ta-volette della predella e restituisce un petit maitre de-dito ad un mantegnismo in tono minore, ma conpreziosità e finezze esecutive da miniatore; qualitàche giustificano per un verso il suo perdurante suc-cesso a Salò e i significativi compensi che riceveràdalla Comunità di Riviera130, a confermare forse lapredilezione per una materia pittorica preziosa, perl’altro pongono l’interrogativo sulle ragioni del suofallimento a Salò sul terreno della pittura d’altare.

La storia della pittura a Salò avrebbe dovuto esserdominata dall’ancona per l’altar maggiore del Duo-mo, una commissione che – alla luce delle ambizio-ni che guidavano il Comune – probabilmente avreb-be potuto segnare le vicende della pittura bresciana.Vale la pena di riassumere le tappe di questo proget-to, per verifìcare alcuni orientamenti della commit-tenza locale: la cornice lignea intagliata da Bartolo-meo da Isola Dovarese, consegnata nel 1475, èdestinata ad accogliere dieci grandi tavole e i tredi-ci scomparti minori della predella. Il fallimento diFrancesco Cattanei nel 1478 nella realizzazione de-gli scomparti maggiori anticipa il destino di altri duetentativi, nel 1489 e nel 1499 presso pittori venezia-ni (forse i Vivarini131) e veronesi (Liberale); nel 1499la situazione si sblocca con il clamoroso abbando-no del progetto della pala pittorica e l’incarico ad unintagliatore, Pietro Bussolo132. Le ragioni di queste vi-

274

275

274. Nomi (Tn), parrocchiale:

sposalizio mistico

di Santa Caterina

di Francesco Cattanei.

Da SAVA 2008.

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le, Foppa), e con la flagrante attualità bramantesca eleonardesca134.

In quest’ordine d’idee si pone anche la chiamatadi Vincenzo Foppa per la finitura pittorica delle sta-tue: l’impegno diretto di magistro Vincentio pictorede Brixia nell’ancona, testimoniato dalla provvisione

cissitudini non sono certo solo di natura economica:da una sottolineatura sul valore materico, cum colo-ribus finis et auro, di alcuni dipinti per il palazzo delProvveditore133, sembra di riconoscere nella commit-tenza ufficiale salodiana un orientamento che ricer-cava il valore dell’opera d’arte nel suo splendore ma-teriale; e realizzare una pala che avesse il suo prestigionell’essere stilisticamente e culturalmente aggiorna-ta – in chiave mantegnesca o, magari, lombarda – fi-niva così per contrastare da un lato con i condizio-namenti imposti dalle trine tardogotiche della cornice,dall’altro con quella parte della committenza che ri-cercava in un dipinto la profusione d’oro, di lacchee di oltremarino. La chiamata del Bussolo forse offrìla quadratura del cerchio: le statue lignee sono un’esi-bizione al tempo stesso di materia preziosa e di ma-gistero esecutivo, e di una cultura figurativa in cuil’ossequio alla lezione mantegnesca – e alla presen-za di Mantegna, a Salò si rischiava di fare l’abitudi-ne – si combina con la nozione dei pittori milanesiinformati su Bramante e i Ferraresi (Butinone, Zena-

276 277

275. Salò, Duomo:

scomparti della predella

dell’ancona di Francesco Cattanei.

Foto BAMS.

276. Salò, Duomo:

Madonna col Bambino

di Pietro Bussolo.

Foto Marco e Matteo Rapuzzi.

277. Salò, Duomo:

Sant’Antonio da Padova

di Pietro Bussolo, particolare.

Foto S&B trade promotion.

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del 20 settembre 1500 con cui il Comune accetta laproposta dell'arciprete Dossi di far intervenire l'arti-sta “pro anchona perficienda”, e da alcuni pagamen-ti “pro incarnationem figurarum”, trova flagrante con-ferma nell’esame delle statue, che finiscono perstaccarsi da quell’impaccio che pesa sulle fisionomiedai tratti grevi delle ancone bergamasche del Busso-lo135. Ma va pure notato come, completato il suo la-voro, Foppa non abbia avuto ulteriori incarichi a Sa-lò, a meno di ora improbabili recuperi documentari,come se, privato dello scintillio e della matericità del-le statue lignee, il pensoso e chiuso mondo figurati-vo del Bresciano non esercitasse particolari attratti-ve sui committenti gardesani.

Diversamente, Pietro Bussolo e la statuaria ligneaconobbero una bella fortuna, tanto che l’intagliato-re si trasferì nel capoluogo gardesano, e realizzò pro-babilmente anche l’ancona per l’altar maggiore diSan Bernardino, come sembrano suggerire il Sant’An-tonio in Duomo e le perdute statue (San Francesco eSant’Agata) già collocate sulla cornice della pala del-l’altar maggiore di San Bernardino136. Fu forse pro-prio la fama derivatagli dall’attività a Salò a ottener-gli altri incarichi nel Garda e nel Bresciano come lafinora ignorata Madonna di Piano di Bovegno, pocopiù tarda delle statue del Duomo. Sembra che qui siprotragga fin dentro il Cinquecento quella difficoltànei confronti della pittura su tavola, sottolineata perla Lombardia quattrocentesca, il che, per altro verso,mina la tradizionale certezza critica dell’appartenen-za di Salò e del Garda bresciano all’orbe artistico ve-neto; se, poi, si pone mente che tutti i pittori vana-mente chiamati (almeno in un caso direttamente dalrettore veneziano) sono veneti, il fatto che nella cor-nice entrino statue di un milanese, e che altri mila-nesi (Coirano e Antonio della Porta) siano chiamatiper il portale, indica, mi pare, il pieno successo a Sa-lò del verbo lombardo, che trova un’ulteriore attesta-zione, sia pur con infinite sfumature, nelle uniche ta-vole note: la pala dei Santi Antonio abate, Rocco eSebastiano, in Duomo, e il trittico della Natività coni santi Gerolamo e Antonio, in San Bernardino, en-trambe post 1505, di commissione privata e non as-similabili in un orientamento stilistico univoco. Lacontroversa vicenda attributiva della prima, emble-278

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278. Piano di Bovegno,

Santa Maria Assunta:

Madonna col Bambino

di Pietro Bussolo.

Da GUERRINI 2006.

279. Salò, San Bernardino:

trittico con la Natività,

San Gerolamo e Sant’Antonio

da Padova di maestro lombardo.

Foto Augusto Rizza.

280. Salò, Duomo:

Sant’Antonio Abate,

San Sebastiano, San Rocco

e due donatori di

Giovanni Antonio de Fedeli (?).

Foto Augusto Rizza.

281. Salò, canonica:

Madonna col Bambino

di Martino Martinazzoli.

Foto Augusto Rizza.

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280 281

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matica della sua complessità culturale e stilistica, siè ora assestata sul nome del milanese Giovanni An-tonio de Fedeli, trasferitosi a Brescia (dove è docu-mentato probabilmente dal 1501), quindi ad Asola,dove si fece divulgatore della maniera zenaliana137.

Di qualche anno più antico, il trittico della Nati-vità mi pare che ben si inserisca invece nell’ambito,lombardo per collocazione geografica e per comples-se componenti culturali, dei cosiddetti veneti di Ter-raferma: su una base di mantegnismo alla veneta s'in-nesta infatti – nelle astrazioni geometriche deipanneggi, o nell’esasperata asprezza dei paesaggi dirocce, cortecce, arbusti – una serie di sperimentazio-ni assai acerbe, che qui danno esiti di una legnositàleggibile anche come arretratezza stilistica ma che sisaldano strettamente al più maturo Cristo nel sepol-cro della Rocca di Sabbio, dai forti rimandi al lin-guaggio di Altobello Melone all’altezza dell’Adora-zione Böhler138. A queste due opere si sarebbe tentatidi aggiungere, sulla scorta della data Salò 1510, macon la difficoltà di trovargli una collocazione, il po-littico di Martino Martinazzoli di cui resta il San Gio-vanni della Pinacoteca Tosio: il pittore, che si stabi-lisce a Salò nel primo decennio del Cinquecento139,dopo una formazione ferramoliana approda a unamiscela di peruginismo e curiosità verso esperienzenordiche, leggibili nei bordi dorati dei manti, nell’an-damento graffiante di certi panneggi o di certe stesu-re di terreno.

Peraltro la propensione verso il verbo lombardosembra farsi strada anche nella semplice decorazio-ne se in questi termini può leggersi una notizia pur-troppo non più verificabile intorno a Gabriele D’An-nunzio, al quale nel 1923 venne proposto l’acquistodi un soffitto costituito da trentasei tavolette, appenasequestrato dalla Guardia di Finanza a Salò: la noti-zia si trae dal carteggio tra l’architetto Maroni e ilpoeta, ma delle pratiche di sequestro non resta trac-cia negli archivi statali, forse per l’irregolarità dellavicenda. L’interesse della notizia sta nell’attribuzio-ne del soffitto stesso a Bernardino Luini, che se è evi-dentemente un’etichetta altisonante destituita di fon-damento può esser tuttavia accolta come spia di unorientamento verso l’area lombarda e milanese140.

Se da queste disiecta membra ci si sposta nell’am-bito documentario, emerge un’ulteriore conferma diquanto si è visto ed un episodio dell’attività giovani-le di Romanino: il 10 febbraio 1509 il consiglio del-la Comunità dispone un pagamento a magistro Hie-rolymo pictore de Brixia, che a quella data non si puòidentificare altrimenti che in Romanino, per aver di-pinto “figuram beatissime Virginis cum figura seu re-tractu propria magnifici domini capitanei”. Il docu-mento è preceduto da una provvisione del 17 ottobre1508, in cui veniva deliberata la pittura di un’yma-go beatissime virginis Mariae e di uno stemma di Fran-cesco Querini nella loggia del palazzo del Provvedi-tore, che potrebbe essere collegata al saldo aRomanino; è però difficile che, sia pur nell'incom-bere di Agnadello, un rettore ottenesse di porre unproprio ritratto in un dipinto murale, senza che que-sto poi venisse considerato un precedente per i man-dati successivi; tutto si farebbe più semplice invece,se pensassimo ad una tavoletta di Madonna col Bam-bino e devoto, magari con una coperta con lo stem-ma del rettore stesso141, forse destinata ad una came-ra del palazzo verso strada, da poco sistemato ad usodei rettori. Secondo le carte è la Comunità a pagareil dipinto ma il contratto fu stipulato dallo stesso Que-rini (e dunque non si tratta di un dono di fine man-dato), che fu quindi il mentore di Romanino a Salò:ancora una volta, dopo l’ancona, una tavola dipinta,se la ricostruzione vale, è legata all'iniziativa non del-la committenza locale, ma di un veneziano. Infatti,

282

282. Salò,

San Bernardo di Serniga:

San Bernardo, San Giuseppe

e San Gerolamo

di Zenone Veronese.

Foto Augusto Rizza.

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215Gli indirizzi figurativi

Salò tra Cinque e Seicento

La tradizione che attribuiva a Tommaso Sandrini tan-to i dipinti delle volte del Duomo, quanto le faccia-te del palazzo comunale ha dato vita più che a unaconfusione attributiva, ad una prospettiva drastica-mente alterata delle vicende artistiche salodiane trala fine del Cinque e i primi lustri del Seicento. Da unlato infatti appiattisce sul maestro celebrato e “d’im-portazione” i più significativi interventi decorativi del-la città – ad onta del fatto che almeno per il Duomonon si possa riscontrare alcuna analogia con il lin-guaggio del quadraturista bresciano –, negando difatto un’autonomia produttiva e culturale locale, edall’altro suggerisce una capacità di richiamo di mae-stri che Salò nel Seicento in realtà confina negli spa-zi della Cattedrale. L’unica eccezione è, di fatto, quel-la dell’abilissimo Aliense che, impegnato nella

chiamato a confrontarsi con i committenti locali del-la scuola del Corpus Domini, Romanino stesso, inbreve volger di tempo, vedrà respinta una sua pala:lo scrive, trent’anni più tardi, Antonio Mazzoleni, al-lievo e genero di Zenone Veronese, nell'aspra rispo-sta alla perizia sfavorevole di Romanino per le sueante, insinuando che questa sia stata dettata da spi-rito di rivalsa (sdegno) nutrito nei suoi confronti da“mastro Hieronimo Romanino come quello dal qua-le altre volte questo comune fece far un’ancona e poila refudò, et la fece fare a mio maestro nella cappel-la del Corpus Domini”142.

È proprio l’intervento di Zenone Veronese, con ilCompianto firmato nel 1513, che chiude questo pe-riodo di crisi per le commissioni pubbliche di dipin-ti destinati agli altari: partito nel Compianto da unaparlata lombarda e da interessanti tangenze con ilpercorso degli “eccentrici” padani, evidenti anche inaltre opere salodiane, Zenone alla fine del decennioevolverà nel tizianismo spiccato della Natività perl'altare di San Giuseppe in Duomo, cui convertirà lacommittenza locale, mentre le sperimentazioni stili-stiche e psicologiche romaniniane troveranno atten-

zione presso i patroni privati degli altari di San Ber-nardino.

In conclusione, questo quarantennio apparente-mente vuoto di opere dimostra di essere per un ver-so prodotto di dispersioni e distruzioni che hannocancellato interi contesti dipinti, per un altro un mo-mento ricco di problematiche e forse di veri dibatti-ti su funzione e caratteri della pittura (come spiega-re, altrimenti, le contraddizioni tra dipinti richiesti edipinti respinti a Romanino o le decennali attese peril compimento dell'ancona?): a Salò nei decenni dipassaggio tra Quattro e Cinquecento, in parallelo conla pratica delle humanae litterae – che vede protago-nisti Pilade Boccardo, Stefano Vosonio o ecclesiasti-ci come Piccinello Dossi, Baldassarre Gemi o Gio-vanni della Scola – e con la raccolta delle memorieromane esibite dal Comune sul sagrato e all’internodel Duomo, magistrati veneziani, prelati umanisti ereggenti cittadini si impegnano in controverse e dun-que consapevoli commissioni d’arte, i cui eventualifallimenti vanno letti, al pari delle opere realizzate,come espressione di orientamenti intellettuali e dicomportamenti di ricezione.

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283. Salò, Duomo:

decorazione

delle volte di Gian Pietro

Mangiavino e bottega, particolare.

Da IBSEN 1999.

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decorazione del coro del Duomo, venne richiesto nel1602 della realizzazione degli stemmi nel palazzodel Provveditore, ma a seguito dell’inadempienza diAndrea Bertanza già chiamato a quell’incarico143.

Le figure operanti nei palazzi pubblici di Salò dal-la fine del Cinquecento si riducono a due botteghe:quella di Andrea Bertanza, coadiuvato da Giovan Bat-tista Quaglia, e quella di Giovan Pietro Mangiavinoe dei suoi figli, cui si deve ricondurre anche la figu-ra, modesta, di Alvise Giglio, sporadicamente regi-strata nelle carte. Allo stato attuale delle conoscen-ze Andrea Bertanza si profila come l’unicoresponsabile delle decorazioni del palazzo comuna-le: a lui viene affidata sia la decorazione della corte,con finte architetture rustiche, forse estese alle fac-ciate, sia soprattutto la grande figurazione allegorica

della sala del Consiglio; si tratta di una scelta che seda un lato radica l’impresa nel contesto locale, dal-l’altro ne garantisce l’adesione al linguaggio più ag-giornato, ossia quello di Palma il Giovane144.

L’altra compagine, prevalentemente impegnata nelpalazzo del Provveditore, è quella di Gian Pietro Man-giavino, che nel 1586 ottiene l’incarico per la realiz-zazione degli stemmi dei rettori, e di suo figlio Ste-fano, che nel 1595 riceve l’incarico di approntare gliapparati effimeri per l’avvento dei rettori, nonchè ilfregio destinato a contenere gli stemmi, cui lavoròdal 1598 al 1608145. Un pagamento del 1596 attestacome il Comune affidasse ai Mangiavino la decora-zione della “casa sul canton”, di cui dipingono il sof-fitto146, mentre nel 1613 Gian Pietro riceve un paga-mento per avere disegnato i numeri e le letteredell’orologio di piazza e per averne dorato le finitu-re147. A fronte di tanta documentazione, restano sologli interventi in Duomo, dal momento che apparecontroversa l’attribuzione a Gian Pietro della Depo-sizione della chiesa dei Santi Pietro e Paolo ad An-fo148.

Non è detto che l’assenza di Sandrini e di altre fi-gure meglio note del panorama artistico sia indice diun livello modesto.

Nelle pagine di Bongianni Grattarolo merita sot-tolineare i dati sulla realizzazione della loggia delpalazzo del Provveditore, desolatamente perduta:“una longa, larga, et aprica loggia da passeggiare di-nanzi, coperta d’un soffitato colorito e tempestatod’oro, et armata con un parapetto di bastoni fornitidi poma d’oricalco, la quale dà e toglie la prospetti-va del lago e della collina opposta, fornita di depen-ture significanti con motti brevissimi come si leggein un dialogo detto tra l’eccellente medico messerVincenzo Nerito e il diligente astrologo messer Gio-vanni Paolo Galucci”; poche pagine prima lo scritto-re salodiano ne rivendica la realizzazione sotto lamagistratura di Gabriele Emo, nel 1562149. Se nullasi può dire delle propensioni stilistiche e delle capa-cità tecniche del Grattarolo, della cui opera graficae pittorica non resta traccia, emerge però la forte con-notazione intellettuale delle iniziative artistiche in-torno al palazzo, come indica la sua annotazione se-condo cui l’intervento pittorico sarebbe stato basato

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284. Salò, sala del Consiglio:

decorazione del soffitto

di Giovanni Andrea Bertanza.

Foto S&B trade promotion.

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217Gli indirizzi figurativi

un programma iconografico registrato in un testo le-gato alle figure di Giovan Battista Gallucci e Vincen-zo Neriti.

Se è vero che il dialogo, peraltro non individuato,non implica necessariamente un coinvolgimento di-retto dei due intellettuali nell’ideazione, tuttavia il lo-ro nome associato fosse pure solo a un commento alciclo conferisce a questo un notevole interesse.

Tra i fondatori dell’Ateneo di Salò, Giovanni Pao-lo Galluci o Gallucci (1538-1621) sarebbe divenutofigura chiave degli studi di astronomia, cosmografia,ottica degli ultimi decenni del Cinquecento150: ebbefortissimi interessi verso i temi artistici, manifesti nel-la straordinaria qualità delle illustrazioni dei suoi te-sti ma soprattutto nella traduzione del trattato in quat-tro libri Della simmetria dei corpi umani di AlbrechtDürer, cui aggiunse un quinto libro “nel quale s’in-segna in qual modo possano i pittori con lineamen-ti et colori spiegare li affetti del corpo et dell’animo,sì naturali, come accidentali nelle immagini deglihuomini et delle donne secondo l’opinione de’ filo-sofi e poeti”.

La presenza come protagonisti del dialogo del Gal-lucci e del Nerito – che il Grattarolo ci dice medicoe che pure fu tra i diciotto fondatori dell’Accademiadegli Unanimi151 – consente di ipotizzare che il pro-gramma decorativo dovesse fondarsi su temi astrolo-gici e fisiognomico-fisiologici. L’impresa pittorica sicolloca peraltro nel fervido clima culturale da cuitrasse origine l’Accademia degli Unanimi e in cui imagistrati veneziani e bresciani (e si ricordi che il po-destà nel 1560 era Giovan Antonio Rodengo, filoso-fo morale ed astrologo) e i nobili visitatori che dalconcilio di Trento si portavano a Salò venivano ac-colti da rappresentazioni drammatiche e letture diversi composte dalla stessa compagnia di giovani let-terati, di cui il più anziano era proprio il quaranten-ne Grattarolo.

Alla luce di tutto questo sembra evidente che lamancata chiamata di maestri dalle città vicine sullascena artistica dei palazzi salodiani non corrispondead un basso profilo della produzione artistica ma, alcontrario, alla disponibilità in Salò di intellettuali edi artisti in grado di elaborare e realizzare per am-

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285. Salò, ex convento

di San Bernardino:

nascita di San Francesco

di maestro bresciano.

Collezione privata.

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bienti profani programmi complessi, sul crinale di di-scipline scientifiche e filosofiche.

Diversamente, è nelle chiese che si concentranole commissioni ad artisti del panorama bresciano eveneto, a rimarcare le differenti premesse culturali eartistiche delle imprese figurative destinate al culto.Due tra i maggiori protagonisti del manierismo bre-

sciano (Pietro Marone e Tommaso Bona) sono pre-senti in Duomo, probabilmente come effetto di unacommissione coordinata tra i patroni dei due altari –quello di San Cristoforo, di patronato dell’omonimaconfraternita e quello dei santi Filippo e Giacomo,beneficiato dal rettore Filippo Bon, ma di patronatodella confraternita del Rosario.

Di altra e recente provenienza è invece la pala delMarone ora nel convento dei Cappuccini, non docu-mentata negli inventari delle soppressioni152. Propriol’inventario della soppressione di San Giovanni diBarbarano offre qualche indicazione su altre presen-ze artistiche a Salò: Romualdo Turrini, responsabiledella perizia, accanto ai già noti dipinti di Palma, diun anonimo romano chiamato dai Pallavicini e di Ste-fano Montalto – questo di pieno Seicento e dunqueestraneo al contesto che si vorrebbe tracciare –, re-gistra infatti la presenza di una tela di Andrea Vicen-tino e un’altra tela di scuola veneta ai lati dell’altarmaggiore153.

Andrea Vicentino è documentato sul lago di Gar-da a Maderno, chiamato dal Comune, e nella chie-sa dei Disciplini di Fasano sopra, e la sua presenza aSalò è un’ulteriore conferma dell’orientamento ver-so le botteghe veneziane154.

Che questo si dovesse per tanta parte ai magistra-ti della Serenissima pare fatto indubbio, almeno agiudicare dalle vicende del coro del Duomo: qui l’ar-rivo di Palma evidentemente favorito dal provvedito-re Angelo Gradenigo, era stato preceduto da un ini-ziale orientamento verso il cremonese Malosso, incui piacerebbe riconoscere la volontà del Comune edel suo benefattore-finanziatore, Sebastiano Paridedi Lodrone, a seguito della felice riuscita della pre-cedente commissione patrocinata dal Comune e dalLodrone, ossia la spettacolare cappella delle Reliquiedi cui l’artista fu responsabile tanto sul piano dellaprogettazione architettonica, quanto su quello pitto-rico.

Deve tuttavia far riflettere sulla possibile corre-sponsabilità di Sebastiano Paride nella chiamata diPalma per il cantiere del coro proprio la presenza del-le due tele del Veneziano sull’altar maggiore (unaCrocifissione) e sulla controfacciata (un’Annunciazio-ne) della chiesa dei Cappuccini di Barbarano, altra

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286. Salò, ex convento

di San Bernardino:

storie di San Francesco

di maestro bresciano, particolare.

Collezione privata.

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219Gli indirizzi figurativi

te di maestri chiamati da fuori nelle chiese, e ricezio-ne ed elaborazione negli edifici civili da parte di ar-tisti e maestranze locali con il concorso dei letteratie intellettuali locali, chiamati a fornire programmi ead elaborare un tessuto in cui poesia, immagine, fe-sta qualificano la città come capitale. Il livello qua-litativo doveva evidentemente apparire adeguato adesigenze complesse, dettate da un lato dalla pressio-ne dei patrizi veneziani sulle autorità della Rivieraper la pulchritas di ambienti e arredi, dall’altro dallostesso orgoglio locale di non mostrarsi inferiori alleattese dei nobili della Serenissima.

Per converso, proprio l’esistenza di un cantiere pe-renne con le caratteristiche che abbiamo visto con-notare i palazzi della Comunità funzionò da stimolosulle botteghe locali, non solo per l’estrema diversi-ficazione delle prestazioni richieste, ma soprattuttoimponendo un continuo aggiornamento stilistico eun affinamento tecnico e qualitativo, che hanno ga-rantito a Salò una posizione autonoma e non margi-nale nelle vicende artistiche tra Quattro e Settecen-to.

fondazione beneficata dal nobile trentino, poi eglistesso frate cappuccino; va anche ricordato che nel-la stessa direzione di un coinvolgimento del Lodro-ne va la commissione a Palma di un dipinto per SanRocco di Concesio da parte di un altro membro del-la casata, Gerolamo155.

Accanto a queste opere vorrei ricordare la presen-za di una serie di dipinti murali posti a decorazionedi lunette e accompagnati da lunghe didascalie instrutture già pertinenti al convento di San Bernardi-no: i dipinti, frammentari e in alcuni punti pesante-mente ripresi, rappressentano Storie di san Francescoe un Compianto sul Cristo morto e sicuramente rin-viano al coevo panorama bresciano, fortemente in-fluenzato da Palma il Giovane anche se probabilmen-te non sono di fattura unitaria.

Sarebbe forse pensabile un rapporto con le analo-ghe e contemporanee iniziative nei chiostri dei rifor-mati di San Giuseppe a Brescia, dove la decorazio-ne delle lunette con Storie di san Bernardino vieneaffidata alla bottega di Antonio Gandino, impegnatapoco prima in un’impresa analoga nel chiostro delconvento di San Francesco di Paola. La commissio-ne conferma il ruolo degli enti ecclesiastici nella pro-mozione della cultura figurativa locale sia attraversoscelte non allineate sugli orientamenti del Comune,sia in ragione dell’alto livello culturale che frequen-temente li contraddistingue.

Un’ulteriore conferma viene alcuni decenni piùtardi – nel 1635, in un momento in cui la peste haprivato la committenza pubblica di ogni capacità diiniziativa – dalla decorazione della facciata dellachiesa del Carmine realizzata, grazie alle elargizio-ni di Francesco Roveglio e alle cure del priore Gio-vanni Battista Tonnolini, dal pittore Bernardino Gan-dino e celebrata da un’epigrafe tuttora conservata. Ilreligioso, che si assicurò un notevole risalto, era asua volta figura di primo piano, dal momento che vaidentificato con l’omonimo carmelitano composito-re e organista, di cui sono noti i Salmi a otto voci(1616) dedicati a Giacomo Roveglio, patrono dellachiesa carmelitana di Salò156

Il rapporto tra committenza artistica civile e reli-giosa in conclusione sembra istituire una sorta di cir-cuito virtuoso che vede stimoli e innovazione da par-

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287. Salò, chiesa del Carmine:

epigrafe celebrativa.

Foto Monica Ibsen.

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288. Salò,

il palazzo municipale.

Foto Marino Colato.

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