Segno n.8-2015

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1 Cercare vie, sempre nuove e moderne, pur radicate nella storia associativa, per essere Ac oggi. In un tempo che impone sorprese a ritmo quotidiano, che mostra una realtà articolata e friabile, che mette in luce le tante fragilità dell’umano. Individuare sentieri coeren- ti e intelligenti – esattamente come sta facendo papa Francesco – per credere in Cristo e testimoniarlo nel presente: volendo bene a questo tempo con le sue sfide; amando i fratelli, tutti i fratelli, quelli accanto e quelli che vivono dall’altro capo del globo. Sentendosi una sola umanità, come suggerisce l’universalità della chiesa cattolica, la quale ha anticipato – e non nega affatto – la “globalizzazione” che ci avvolge. È un vivere pienamente immersi nell’attualità: avver- tendone le contraddizioni (a partire dalle povertà diffu- se, materiali e non), condividendone le angosce e le paure (dello straniero, ad esempio, o del “diverso”), riconoscendo al contempo le bellezze, le gioie, le opportunità (moltiplicatesi, se non si è miopi, rispetto al passato). Rivoluzione e moduli . Il Convegno presidenze dioce- sane dell’Azione cattolica dello scorso aprile ha posto sul tavolo queste sollecitazioni, assieme a innumerevoli altre. E il presidente Truffelli, poggian- dosi sul patrimonio di idee e di esperienze conse- gnatoci dai suoi predecessori, ha rilanciato tale pro- spettiva di ricerca, con lo stile che gli è proprio. L’Ac – ha detto – è chiamata a un nuovo cambio di passo, così come si è abituata a fare nella sua vicen- da ultrasecolare per aggiornarsi ed essere strumen- to duttile e utile alla causa del Vangelo (è sempre efficace il richiamo all’immagine della creta nelle mani del vasaio). Da qui la «rivoluzione copernicana» e la «squadra che gioca con un modulo d’attacco»: perché – ha suggerito Truffelli – è questo che chie- de, oggi come ieri, l’essere cristiani. È la «chiesa in uscita» di Bergoglio, chiamata a percorrere, come dice il papa, le «periferie esistenziali» e a «portare il sorriso di Dio»; non «cristiani con il muso lungo», i «cristiani da pasticceria», «sempre sicuri di sé» e «pronti a giudicare gli altri», ma i discepoli di Emmaus, un po’ tardi a capire, che ritrovano la via della missione nel momento in cui si mettono davve- ro sulla lunghezza d’onda di Gesù. Come tradurre, dunque, nella pratica feriale questa Azione cattolica che serve la chiesa locale, immersa, senza esaurirvisi, nelle parrocchie e nelle diocesi? Come ritrovare slancio valorizzando, ancora una volta, la vocazione laicale, presenza matura, propositiva e corresponsabile nella chiesa «popolo di Dio»? Alcuni recenti interventi in sede nazionale hanno richiamato questo abitare e stare nell’umano (con un occhio particolare alla famiglia e al prossimo Sinodo di ottobre) e l’essere nella chiesa (Convegno ecclesiale di Firenze a novembre), che offrono orizzonti origina- li e percorribili alla nostra associazione. Per ragioni di spazio si rimanda alla integralità di due testi che necessitano di una lettura approfondita: si tratta di Essere e fare Ac in una Chiesa che profuma di fami- glia, articolo apparso sul sito dell’Ac a seguito del Consiglio nazionale di fine giugno; e dell’editoriale per la rivista Dialoghi, numero 2/2015, firmato dallo stes- so Matteo Truffelli e intitolato L’Ac verso e “oltre” Firenze (entrambi i testi sono disponibili su www.azio- necattolica.it). Amare senza misura. Il primo testo dà conto del «con- fronto schietto e ricco di sollecitazioni» emerso in Consiglio nazionale, massimo organismo democratico di Ac, al termine del quale è stato ribadito l’impegno «di recuperare la riflessione sull’uomo, di riporre al centro del dibattito culturale della vita della Chiesa e della vita civile un modo nuovo di guardare alla vita umana, di pensarla, di amarla». È urgente ricollocare «al centro la questione dell’autenticità della vita umana; della drammatica bellezza della storia dell’uo- mo; della bontà e della ricchezza della differenza ses- suale; della centratura in Cristo della vita di ogni uomo e di ogni donna, in quanto creati a immagine e somi- glianza del Padre». Ciò richiede di «accogliere e vive- re la sollecitazione a farci prossimi, a esercitare nella pratica la cura, il rispetto, la promozione dell’uomo nella sua integralità, in tutte le dimensioni». Fatti parole Abitare l’umano, essere Chiesa: e l’Ac si ripensa di Gianni Borsa & continua a pagina 38

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Cercare vie, sempre nuove e moderne, pur radicatenella storia associativa, per essere Ac oggi. In untempo che impone sorprese a ritmo quotidiano, chemostra una realtà articolata e friabile, che mette in lucele tante fragilità dell’umano. Individuare sentieri coeren-ti e intelligenti – esattamente come sta facendo papaFrancesco – per credere in Cristo e testimoniarlo nelpresente: volendo bene a questo tempo con le suesfide; amando i fratelli, tutti i fratelli, quelli accanto equelli che vivono dall’altro capo del globo. Sentendosiuna sola umanità, come suggerisce l’universalità dellachiesa cattolica, la quale ha anticipato – e non negaaffatto – la “globalizzazione” che ci avvolge.È un vivere pienamente immersi nell’attualità: avver-tendone le contraddizioni (a partire dalle povertà diffu-se, materiali e non), condividendone le angosce e lepaure (dello straniero, ad esempio, o del “diverso”),riconoscendo al contempo le bellezze, le gioie, leopportunità (moltiplicatesi, se non si è miopi, rispettoal passato). Rivoluzione e moduli. Il Convegno presidenze dioce-sane dell’Azione cattolica dello scorso aprile haposto sul tavolo queste sollecitazioni, assieme ainnumerevoli altre. E il presidente Truffelli, poggian-dosi sul patrimonio di idee e di esperienze conse-gnatoci dai suoi predecessori, ha rilanciato tale pro-spettiva di ricerca, con lo stile che gli è proprio. L’Ac– ha detto – è chiamata a un nuovo cambio dipasso, così come si è abituata a fare nella sua vicen-da ultrasecolare per aggiornarsi ed essere strumen-to duttile e utile alla causa del Vangelo (è sempreefficace il richiamo all’immagine della creta nellemani del vasaio). Da qui la «rivoluzione copernicana»e la «squadra che gioca con un modulo d’attacco»:perché – ha suggerito Truffelli – è questo che chie-de, oggi come ieri, l’essere cristiani. È la «chiesa inuscita» di Bergoglio, chiamata a percorrere, comedice il papa, le «periferie esistenziali» e a «portare il

sorriso di Dio»; non «cristiani con il muso lungo», i«cristiani da pasticceria», «sempre sicuri di sé» e«pronti a giudicare gli altri», ma i discepoli diEmmaus, un po’ tardi a capire, che ritrovano la viadella missione nel momento in cui si mettono davve-ro sulla lunghezza d’onda di Gesù. Come tradurre, dunque, nella pratica feriale questaAzione cattolica che serve la chiesa locale, immersa,senza esaurirvisi, nelle parrocchie e nelle diocesi?Come ritrovare slancio valorizzando, ancora una volta,la vocazione laicale, presenza matura, propositiva ecorresponsabile nella chiesa «popolo di Dio»? Alcuni recenti interventi in sede nazionale hannorichiamato questo abitare e stare nell’umano (con unocchio particolare alla famiglia e al prossimo Sinodo diottobre) e l’essere nella chiesa (Convegno ecclesialedi Firenze a novembre), che offrono orizzonti origina-li e percorribili alla nostra associazione. Per ragioni dispazio si rimanda alla integralità di due testi chenecessitano di una lettura approfondita: si tratta diEssere e fare Ac in una Chiesa che profuma di fami-glia, articolo apparso sul sito dell’Ac a seguito delConsiglio nazionale di fine giugno; e dell’editoriale perla rivista Dialoghi, numero 2/2015, firmato dallo stes-so Matteo Truffelli e intitolato L’Ac verso e “oltre”Firenze (entrambi i testi sono disponibili su www.azio-necattolica.it). Amare senza misura. Il primo testo dà conto del «con-fronto schietto e ricco di sollecitazioni» emerso inConsiglio nazionale, massimo organismo democraticodi Ac, al termine del quale è stato ribadito l’impegno«di recuperare la riflessione sull’uomo, di riporre alcentro del dibattito culturale della vita della Chiesa edella vita civile un modo nuovo di guardare alla vitaumana, di pensarla, di amarla». È urgente ricollocare«al centro la questione dell’autenticità della vitaumana; della drammatica bellezza della storia dell’uo-mo; della bontà e della ricchezza della differenza ses-suale; della centratura in Cristo della vita di ogni uomoe di ogni donna, in quanto creati a immagine e somi-glianza del Padre». Ciò richiede di «accogliere e vive-re la sollecitazione a farci prossimi, a esercitare nellapratica la cura, il rispetto, la promozione dell’uomonella sua integralità, in tutte le dimensioni».

Fatti parole

Abitare l’umano,essere Chiesa:e l’Ac si ripensa

di Gianni Borsa&

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In questa estate 2015 c’è ancora un tempo giustoper disegnare ponti di pace e tracciare rotte di geo-umanesimo possibile. Il dossier di questo numero raccontal’abbraccio con l’Altro e questo respiro di Assoluto.Da un’ascesa sulle Alpi a una comunità monasticadi Ostuni, dall’accoglienza di Este alla cetra di Myriam.E in estate anche un libro ti cambia la vita

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1Abitare l’umano, essereChiesa: e l’Ac si ripensadi Gianni Borsa

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18Castenedolo: mammepaladine dell’ambientedi Gigliola Alfaro

20Quel pentagrammaritrovatodi Livia Ermini

fatti e parole

la copertina

sotto i riflettori

sotto i riflettori

14Un libro cheti cambia la vitadi Marco Testi

5Fino in cima,per guardare Oltredi Giovanni Grandi

8La pace,lungo la via degli ulividi Gianni Di Santo

10Benvenuto,fratello migrantedi Luca Bortoli

12La cetra di Davidee il canto di Myriamdi Gianni Di Santo

le altre notizie

16Dall’Italia e dal mondo

tempi moderni

22Corruzione?Possiamo vincerlaintervista con

Rocco D’Ambrosio

di Gianni Di Santo

cittadini e palazzo

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26Il nuovo umanesimofa tappa a Firenzedi Franco Venturella

quale Chiesa

24Famiglia,partire dalla realtà

28Un festivalper conoscere l’Africadi Michele Luppi

30Il secolo dei genocididi Paolo Acanfora

chiesa e carità

ieri e domani

44Il fascino dell’oltredi Paolo Trionfini

45In un altro mondo:i quattro vincitoridi Maria Grazia Bambino

24perché credere

som

ma

rio

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46La bellezza di staree pregare insiemedi Tony Drazza

la foto

48Può esistere l'Europasenza la Grecia?

famiglia oggi

senza confini

32Laudato si’,o mio Signoredi Giorgio Osti

faccia a faccia

36Nosate: l’antico oratoriodi Santa Maria in Bindadi Paolo Mira

sulle strade della fede

38Le lettere

spazio aperto

40Per l’Ac è tempodi “andare”di Carlotta Benedetti

42Marco Cè, il patriarcacon il vocabolario dell’“Ac”di Silvia Madricardo

orizzonti di Ac

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Incontri estivi,tra cielo e terraIn un’estate duemilaquindici diversa e,per molti versi complicata, messa a soqquadroda un Mediterraneo “in fiamme” e da una crisieconomica che è anche crisi sociale e politicadell’Europa tutta, c’è ancora un tempo giustoper disegnare ponti di pace e tracciarerotte di geo-umanesimo possibile.Segno racconta l’abbraccio con l’Altroe questo respiro di Assoluto.Per sete di Dio e di altrove, i nostri incontritrovano rifugio sulle cime dolomitiche, dove“l’andare sempre più in alto” non è solo il datopratico dell’arrampicarsi ma il senso diun’ascesi che mette insieme limite umano,dono e riconoscenza. Per poi approdare fino alle terre dell’estsognate e immaginate da una comunitàmonastica che a Ostuni celebra terra e cielo,con la frutta dell’orto e l’olio dell’uliveto checonsolano l’uomo in ricerca.Gli incontri estivi fanno tappa a Este perammirare come sia possibile costruireesperienze di cittadinanza responsabilecon dei ragazzi stranieri, migranti per doloree disperazione da terre natieche hanno ben poco da offrire loro. Ma ci dicono anche di una spiritualitàdell’anima che sa ringiovanire il corpoattraverso il suono della cetra che una suoralascia fluire nel bosco di Camaldoli.Scoprendo, poi, che anche un libro ci cambierà.Un’estate “forse” diversa.Alla ricerca del silenzio e della contemplazione.Ma con il cuore aperto all’umanitàche ci circonda – a partire dalle nostrefamiglie fino alle genti più lontane –e alle vicende del nostro tempo.E la convinzione che la pace del cuorearriva attraverso l’incontro con l’altro. Per dire, alla fine di ogni giorno,“grazie, o Signore”

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Non si finisce mai di stupirsi, a distanza di unsecolo, di quel che gli uomini sono staticapaci di costruire sui monti dell’arco dolo-mitico. Non c’è itinerario che non incroci o

non ripercorra sentieri e strade tracciati per issare sullecime ogni tipo di strumento bellico. E non c’è comples-so che non nasconda ancora i ruderi di piccole o gran-di cittadelle, lungamente abitate, in un abbraccio con lapietra e la neve che per molti è risultato mortale.Tante cime, ancora oggi, sono segnate da una crocefatta di legna sottratta alle trincee e assemblata conqualche giro di filo spinato, quasi a voler ricordarel’eco ambigua che c’è nell’espressione “conquistarela vetta”. Una di queste è la Cavallazza, ultima pro-paggine del complesso dei Lagorai, osservatorio pri-vilegiato sulle Pale di San Martino e – cento anni fa –sugli abitati della valle di Primiero, che si snoda guar-dando a sud.La cima si individua facilmente dal Passo Rolle, salen-do da Predazzo: è la più alta della piccola conforma-zione che inizia con la cima Tognazza, riconoscibile perla presenza degli impianti di risalita invernali. Arrivandoin quota con gli sci ai piedi tutto sembra vicino: la

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Finoin cima,perguardareOltredi Giovanni Grandi*

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Cavallazza è lì, a pocadistanza dalla stazionea monte. Salire d’e-state è un’altra cosa,nessuna linea direttama un lungo giro chesi inoltra verso sud-ovest, nella parte altadella foresta diPanneggio, quasi arichiamare – comeinizio – le esigenze diogni “avvicinamento”:pazienza, pacatezza,attenzione agli osta-coli, disponibilità alledeviazioni…Il sentiero conducedelicatamente aiLaghi di Colbricon,due specchi d’acquadi origine glaciale cheattirano in piena esta-

te folle di turisti, anche per la presenza di un comodorifugio. Attraversando la zona a fine giugno si incontra-no solo i gestori che stanno finendo i preparativi per lastagione: non una voce, solo i richiami del vento e diqualche animale. Impossibile non pensare che spessocerchiamo la montagna per questo suo silenzio, mapoi finiamo per portarle addosso il nostro rumore.Lasciata la conca la salita si fa impegnativa, la pen-denza aumenta, il fondo ghiaioso chiede concentra-zione. Si guadagna quota rapidamente. La prospettivasui laghi cambia di continuo, mentre l’orizzonte si apre

sempre di più e inizia a comparire la parete sud dellaMarmolada, che dal basso non si riusciva a scorgere.Salendo si guadagna in ampiezza di vedute e quel checi si è lasciati alle spalle appare via via sempre piùaderente ai tratti essenziali delle mappe, quasi a con-fermare che la visuale “dal cielo” è quella più fedelealla realtà. Viene da chiedersi se non sia quel cheaccade anche nel cammino della vita, sempre che cisi stia muovendo verso l’alto.Il sentiero ormai sale al di sopra della quota dei boschi,esposto al vento. Tira aria forte sui crinali erbosi, sicammina quasi sul ciglio, tra un precipizio e prati ripi-di: il passaggio è obbligato, chiede cautela, equilibrio.Come quando occorre decidere come rivolgersi aqualcuno in frangenti delicati, sapendo che sbagliareanche di poco la misura – con una parola di troppo ouna in meno del necessario – potrebbe compromet-tere un cammino.Procedendo ancora si inizia a scorgere la cima, manon si è arrivati. Le vette sono così, sembrano semprea portata di mano e invece chiedono ancora un po’ dipazienza, qualche ultima prova. Quasi per accertarsi diaver lasciato davvero a valle la spavalderia invernaledello sciatore. I monaci dell’antichità sapevano beneche la percezione di essere (quasi) arrivati al culmineespone alla più grave delle cadute, al pensiero di aver-cela fatta da soli e non per la misericordia di Dio. LaCavallazza, con modestia, richiama questo insegna-mento: un ultimo tratto ripido chiede vigilanza, proprioprima di raggiungere la cima.Un panorama tra i più affascinanti, su uno dei com-plessi dolomitici più articolati, cattura finalmente losguardo: chi ancora immaginava di conquistare nonpuò fare a meno di scoprirsi conquistato. Anche dire di

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«Procedendo ancora siinizia a scorgere la cima,ma non si è arrivati. Levette sono così, sembranosempre a portata di manoe invece chiedono ancoraun po’ di pazienza, qualcheultima prova. I monacidell’antichità sapevanobene che la percezionedi essere (quasi) arrivatial culmine espone alla piùgrave delle cadute,al pensiero di avercelafatta da soli e non perla misericordia di Dio».Nel racconto dell’ascesaverso la Cavallazza,nel complesso del Lagorai,in Trentino, il desideriodi Assoluto lascia spazioal dono e alla riconoscenza

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essere stati ricompensati per la fatica sembra fuoriluogo: la bellezza non si misura in proporzione all’im-pegno, per quanto possiamo avercene messo. La bel-lezza sorprendente non è mai “in cambio di qualcosa”:è sempre un dono esuberante rispetto al nostro darcida fare e rispetto alle nostre attese. Che tutto questosia una traccia di quel che i teologi chiamano “Grazia”?Anche la Cavallazza, sotto sotto solitaria come ognicima, suggerisce di fare ritorno a valle. Vengono inmente i soldati obbligati a rimanere in quota e il loro

desiderio di rientrare a casa, affidato a tante lettere. Ma,insieme, anche i discepoli pronti a fare tre tende sulmonte, sopraffatti dalla luminosità della presenza delSignore Gesù. Persino loro però sono scesi. Sulle vette,per motivi diversi, non ci si può trattenere più del neces-sario. E, forse, è proprio la brevità della sosta, insieme aldesiderio di ritornare lassù in alto, che aiuta pian pianoad abbandonare la logica della “conquista”, per far spa-zio a quella del “dono” e della “riconoscenza”. �g

* presidente diocesano Ac di Trieste, alpinista

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Nelle foto di GiovanniGrandi, uno dei più beipaesaggi dolomitici:

il complesso del Lagorai

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Lungo la costa del Levante del mare italiano,dove la terra brucia arsa dal sole e gli ulividanno forza con la loro storia millenaria. Unamasseria antica, messa lì sulla piana di Ostuni

a controllare le rotte geografiche e umane dei popoliche sbarcano per fame e miseria, con una piccolachiesa che dà silenzio e offre le braccia allo spirito.La Comunità di Bose di Ostuni, in provincia di Brindisi,è l’avamposto monacale dei destini orientali della casamadre di Magnano. Qui, nella Puglia più bella e ospi-tale, si coltiva il gusto del tempo e i ritmi della natura.

Corsi di ebraico antico, di greco,approfondimenti biblici, convegni spiri-tuali, meditazione e cura dell’anima.Ma anche, per fortuna, cura dell’orto,della frutta e delle olive che Dio donaogni giorno. L’entrata alla Comunità,vicinissima alla litoranea, è contrasse-gnata da ulivi secolari giganteschi, glistessi che oggi la Comunità europeavuole abbattere per via del batterioxylella che ha contagiato tutto ilSalento. Portano con sé centinaia e

centinaia di anni, e lamemoria di una tradizio-ne che qui nel Salento ècultura, storia, religione. Una vera azienda agrico-la, quella di Bose aOstuni, come se perincanto frate cielo si siaspostato più giù versosorella terra. SabinoChialà, responsabiledella comunità, espertodi lingue antiche e dimondo mediorientale, fada traghettatore tra que-sto cielo e questa terra.

L’olio di Ostuni, vero nettare degli dei, che i monaci diBose producono in abbondanza, accarezza il cercato-re di Assoluto che all’improvviso piomba sulle assola-te terre di levante. «Siamo in Puglia – ci accoglie fratel Sabino – perchéè un ponte verso quell’oriente che tanto ci ha da sem-pre attirato e che tanto ci ha insegnato nella nostraricerca monastica... pensiamo ai padri della Chiesa.Per i contatti con il mondo ortodosso e greco in parti-colare, ma anche per l’amicizia antica con questaregione: con il precedente arcivescovo di Bari,Mariano Magrassi, e poi con diversi gruppi che hannopreso a frequentare Bose già nella prima ora. E traquesti ce n’era anche uno di Ostuni, dove poi, dopovarie traversie, siamo approdati».«A Ostuni viviamo una vita semplice – continua Sabino–, fatta di lavoro, preghiera e accoglienza, come aBose. Tutto ovviamente molto più in piccolo, siamocinque fratelli. Per mantenerci coltiviamo il nostro uli-veto dal quale ricaviamo l’olio, abbiamo un orto e unfrutteto dal quale produciamo frutta che poi trasfor-miamo in marmellate. Queste sono le due attività prin-cipali. Accogliamo anche ospiti che cercano un luogodi solitudine e di approfondimento della Scrittura e deipadri. Le giornate mensili e le settimane estive sonomolto frequentate, facciamo anche dei corsi di ebrai-co antico».C’è un silenzio “assordante” in questo lembo di terralevantina. Sembra di essere in un monastero in cimaa una montagna, invece il vento poggia appena allivello del mare. Ed è proprio al mare che si aggrappa-no qui a Bose di Ostuni, sognando ogni giorno l’estoltre questo mare. Sanno che il grimaldello giusto peraprire la porta della storia prossima, capire gli sbarchidegli immigrati, le guerre, e il possibile abbraccio trareligioni sorelle, percorre la via del mare nostrum conuna fragile barca “di legno e di rosa”, direbbe IvanoFossati.Eppure, oggi, l’abbraccio possibile con l’umanità per-

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Un luogo di silenzio e di curadel Creato. A Ostuni, in Puglia,la Comunità di Bose coltivala frutta e l’olio, e nello stessotempo organizzaapprofondimenti biblicie convegni spirituali.Per il monaco Sabino Chialà,«tutto intorno a noi ci ricordache apparteniamo a questaterra che ci sostenta, checi accompagna e checi è di insegnamento.Direi che fa parte integrantedella nostra fraternità»

di Gianni Di Santo

La pace, lungola via degli ulivi

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duta e disperata, è proprio in questo tentativo dicostruire ponti tra nord e sud, est e ovest.L’ulivo è segno di pace. L’ebraico antico lo eleva acarta democratica popolare. E mentre Sabino ci faassaggiare quei suoi miracolosi fagiolini che non esi-stono in nessuna parte d’Italia, capisco che le manidell’uomo delle volte fanno dei miracoli e tracciano

rotte di geografia sacra.«Il rapporto con la terra quiè essenziale: tutto intorno anoi ci ricorda che apparte-niamo a questa terra che cisostenta, che ci accompa-gna e che ci è di insegna-mento. Direi che fa parteintegrante della nostra fra-ternità». Sabino si congeda

così. C’è tanto da fare, anche questa estate.A Bose, a Ostuni, il crocevia di fedi e le storie degliuomini si confondono. Contadini e immigrati, monaci elaici, teologia della terra. Ne abbiamo bisogno di que-sti segni profetici, nella nostra ricerca di un cielo mise-ricordioso che ascolti i lamenti della terra del dolore. La pace è dietro l’angolo, lungo la via degli ulivi. �g

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Un’antica masseriaè la porta di ingresso

della comunità.Sopra, un ulivo secolare nel

frutteto.A sinistra,

fratel Sabino Chialà

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Immaginate una sera di tardo inverno. Nei localidello sterminato patronato (una sorta di sinonimoveneto di oratorio) del Redentore, venticinquegiovani sono riuniti per la preghiera. Sono liceali,

studenti di altre scuole superiori, ma anche universita-ri e lavoratori più vicini ai trenta. Tra loro, educatori diAzione cattolica e membri di altri gruppi e aggregazio-ni che nella parrocchia di Santa Tecla, il Duomo di

Este, nella Bassa Padovana,hanno trovato terreno fertile. Balza subito agli occhi unapresenza inconsueta.Tutt’altro che disarmonica,ma certo non ordinaria in unasettimana di fraternità chequesti giovani hanno scelto divivere assieme nel patronatosenza interrompere di giornole proprie attività quotidiane.Si tratta di sei giovani, com-posti, compìti verrebbe dadire. Si vede che hanno unaspiritualità spiccata, un sensodi Dio innato, ma non prega-no come tutti gli altri. E qual-cosa, sulla loro provenienza,

lo dice una pelle più scura, per alcuni olivastra, per altrinera, senza mezzi termini.Sono sei migranti, sei profughi, forse – la commissio-ne territoriale addetta ancora non ha deciso il loro sta-tus. Due senegalesi, due gambiani e due pakistani,un’età compresa tra i 19 e i 27 anni. Ciò che li acco-muna, oramai per sempre, è la terribile esperienzadella traversata del Mediterraneo sul barcone, in fugadalla Libia messa a ferro e fuoco dal Daesh (la versio-ne magrebina dell’Isis) e da novembre scorso, dopoaver attraversato l’Italia facendo tappa in vari centri diaccoglienza, hanno trovato rifugio proprio qui, a Este,in un appartamento che la parrocchia ha messo adisposizione, di concerto con Caritas diocesana diPadova, sotto la regia della cooperativa Villaggio glo-bale e grazie all’impegno intenso dei volontari dellaSan Vincenzo parrocchiale.Qui a Este si realizza il modello di accoglienza per “pic-coli numeri” che proprio la Caritas ha coniato e ha por-tato anche molti privati a mettere a disposizioneappartamenti sfitti per l’accoglienza. Un fatto che ilprimo cittadino del capoluogo, Massimo Bitonci, hafatto capire senza mezzi termini di non gradire affatto.Eppure il limitato impatto di gruppetti di cinque, mas-simo sei persone, facilita l’integrazione di questi giova-ni migranti.

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di Luca Bortoli

Sono sei giovani d’etàcompresa tra 19 e 27 anni:quattro africani e duepakistani. Hanno attraversatoil Mediterraneo su unbarcone, in fuga dalla Libia.Dopo aver percorso l’Italiafacendo tappa in vari centridi accoglienza, hanno trovatorifugio a Este, in Veneto,nell’appartamentoche la parrocchia ha messoa disposizione, di concertocon la Caritas diocesanadi Padova. E con l’aiutodi tutti, ora si sentonofinalmente “cittadini”

Benvenuto,fratello migrante

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Il parroco di Santa Tecla, don Franco Rimano, un pas-sato da assistente diocesano dell’Acr, lo ha scritto conchiarezza anche in un editoriale di fine aprile nel setti-manale diocesano: «Perché ogni parrocchia della dio-cesi non può chiedere a qualche parrocchiano fre-quentante di mettere a disposizione un appartamentosfitto, col parroco che fa da garante e una cooperati-va che così può dare lavoro a qualche giovane opera-tore, che magari nel vicariato segue due o tre di que-ste micro accoglienze? Non serve chiedere il consen-so ai cittadini, basta avere il coraggio di organizzarsi».Già, basterebbe avere il coraggio. E ancora: «Facendoun po’ di conti, circa duemila immigrati la nostra dio-cesi potrebbe accoglierli diventando così un esempioper tutta l’Italia. Certo avremo una parte dei nostri cit-tadini contro, ma credo che serviremmo il vangelo in

maniera concreta, chiedendo alla politica sostegno aqueste micro iniziative».E la mobilitazione della parrocchia di Santa Tecla infavore di questi sei giovani in questi dieci mesi gli hadato ragione. La partecipazione dei migranti alla setti-mana di fraternità dei giovani, dal 15 al 22 marzo,infatti, era stata preceduta da una serie di corsi di ita-liano, di igiene personale e della casa, di conoscenzadelle persone e delle realtà della città di Este: il tuttofrutto della buona volontà di parrocchiani e cittadiniche si sono avvicinati proprio per sostenere l’azionedella comunità.Il patronato del Redentore adesso è, per cinque di lorosei, un luogo di servizio; uno dei due pakistani infattilavoricchia nei mercati: «Di loro mi ha impressionatoanzitutto il racconto – ci pensa un po’ su FedericoToninello, 22 anni studente di ingegneria, che si stapreparando al campo estivo con i suoi giovanissimi diterza superiore –. Non immaginavo affatto che fosse-ro stato costretti con la forza e con la violenza a saliresu quei barconi, proprio quand’era il momento per ilibici di pagarli per il loro lavoro. L’alternativa sarebbestata un colpo alla testa…». Tutti musulmani questi migranti, eppure non hannodisdegnato di pregare con i cristiani: «Anzi – riprendeFederico – ci hanno ringraziato per quei momenti e cihanno chiesto di ripeterli al più presto». Un desiderioche si è realizzato per Paul, senegalese, che più deglialtri si è integrato, ha imparato l’italiano e dal 20 al 26luglio è stato con Federico e i suoi ragazzi a Rimini perun campo di servizio con la Comunità Papa GiovanniXXIII: da bravo aiuto cuoco, testimone di servizio, hamesso in tavola le sue specialità senegalese anche perquesti 17enni padovani. «L’integrazione si sta verificando da noi grazie all’espe-rienza che stiamo condividendo – riflette don MicheleMajoni, giovane vicario parrocchiale –. La presenza diquesti giovani tra i nostri giovani li sta provocando, conla loro voglia di fare e con la facilità con cui si sonomessi davanti a Dio nella settimana di fraternità». Sono storie che si intrecciano, legami che rinsaldano ibrandelli di una società e fanno della Chiesaquell’”ospedale da campo” figurato da papaFrancesco. �g

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Nell’altra pagina:insieme con i migranti,educatori di Ac e altre

aggregazioni,nell’oratorio di

Santa Tecla a Este.Sopra, la facciata principale

del Duomo

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Poco più su del monastero di Camaldoli c’èuna casa di accoglienza gestita dalle Piediscepole del Divin Maestro. La foresta intor-no, qui in provincia di Arezzo, ascolta ogni

giorno il suono della cetra che prende vita dalle mani disuor Myriam. La musica accompagna la Parola.

Suor Myriam, chi sono le Pie discepole?Faccio parte delle Pie discepole del Divin Maestro, unacongregazione della Famiglia Paolina fondata dal

beato Giacomo Alberione. Mi piacerilevare che lui è stato un profeta delnostro tempo: infatti, prima ancorache il Concilio Vaticano II ripristinassela Bibbia per tutti, lui già da tempo l’a-veva fatta stampare in italiano (a uncosto bassissimo) e fatta diffonderenelle famiglie, perché voleva che laSacra Scrittura, come Buona notizia,entrasse in ogni casa. A noi discepoledi Gesù Maestro ha dato la missionedi annunciare Lui attraverso la liturgia,la preghiera, la cura dei sacerdoti,

ispirandosi alle prime donne che seguivano Gesù e loassistevano con i loro beni. L’icona che ci contraddi-stingue è quella di Marta e Maria a Betania.

E Camaldoli?Io mi trovo a Camaldoli da qualche anno, perchéabbiamo una casa di preghiera chiamata Oasi delDivin Maestro, una vera e propria oasi di silenzio epace e come in tutte le nostre case, le responsabili dicomunità si alternano per un certo numero di anni.Questa volta è capitato a me il ruolo di prendere inmano la gestione di questa casa e della comunità.

Camaldoli, luogo primario di preghiera...Mi ha sempre attirato la bellezza del bosco con gliabeti così lunghi che cercano il cielo. Qui cielo e terras’incontrano, si respira armonia, unità, anche perché

questo bosco l’hanno piantato i monaci Camaldolesi.E poi mi appassiona molto l’accoglienza. Personalmentegodo molto quando vedo realizzarsi in quest’Oasi unluogo d’incontri di amicizie vere che possono instau-rarsi perché hanno in comune la ricerca di Dio. Quitutto favorisce all’esperienza del silenzio, all’ascoltodella natura e della Parola, dove anche attraverso unabella liturgia si può essere aiutati a ritrovare se stessi eritemprarsi nel corpo e nello spirito.

Siete molto attente all’arte.Sì, l’arte è il veicolo attraverso il quale cerchiamo di farpassare l’annuncio della Buona notizia del Vangelo.L’arte è l’espressione di un’intuizione, di un pensiero, diuna meditazione, di un’esperienza profonda con Dio.Attraverso la creatività e le varie espressioni artistichecome la pittura, la scultura, l’architettura, la musica, laceramica, l’iconografia e ogni forma di artigianato ser-viamo la Chiesa perché crediamo che la bellezza siauno strumento che arriva direttamente ai cuori metten-doli in contatto con l’unico Bello e Bene che è Dio.

A leggere le vostre iniziative, c’è da stare occupatitutto l’anno...Effettivamente, la casa è aperta tutto l’anno perché intutte le stagioni c’è da imparare e contemplare qualco-sa di bello. Il paesaggio invernale con la neve è partico-larmente poetico, il passaggio dall’inverno alla primave-ra come dalla morte alla vita è sorprendente, da un gior-no all’altro le tenere gemme verdoline si moltiplicano esi percepisce la vita che irrompe, la foresta che rinasce.L’estate poi si sta benissimo perché la foresta donatanta energia, ma l’autunno è qualcosa di particolare,non solo per il ruggito dei cervi, ma per il ventaglio dicolori meravigliosi delle foglie che sono indescrivibili everamente incantevoli. A questa bellezza naturale noiassociamo delle iniziative spirituali, come settimane oweekend di spiritualità incentrate sulla Parola di Dio, supercorsi itineranti o altre attività strutturate come labora-tori, tra questi anche quello dell’arte floreale a servizio

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Nella foresta diCamaldoli, in Toscana,si ode il suono dellacetra. Accompagna,nel silenzio dellanatura, il salmoe la preghiera.Una suora raccontacome la musica possaessere terapeuta peril fisico e per l’anima

di Gianni Di Santo

intervista conMyriam Manca

La cetra di Davidee il canto di Myriam

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della liturgia e corsi d’iconografia edi cetra.

Una suora specializzata in unostrumento particolare. Che sensa-zioni le dà suonare la cetra?La musica è un altro canale cheaiuta a sintonizzarsi con il trascen-dente. Il musicista Lucien Deissdiceva che la musica è l’ancellama la Parola è la Regina, quindi lamusica serve la Parola, la valoriz-za, la esalta, se la musica non faquesto servizio è meglio che nonci sia. Credo che la cetra sia unostrumento molto adatto per la litur-

gia, lo constato continuamente con le persone che loascoltano. Devo dire che a me la cetra fa impazzire.Quando la suono (in realtà adesso suono molto di piùil salterio, che è un’evoluzione a più accordi della cetratradizionale), mi sembra di nuotare nel mare aperto.Anche il suono degli accordi mi richiama l’onda che

sbatte in sé stessa o sulla spiaggia. Quando suono lacetra, m’immergo in me stessa, mi sintonizzo con loSpirito, m’incontro in profondità, mi commuovo e direimi nutro del suono della Parola.

Fate anche dei corsi di cetra?Sì. Organizzo corsi durante l’anno ma per varie circo-stanze li faccio anche personalizzati. La cetra è unostrumento che attira molto per il suo suono melodio-so. Davide la suonava al re Saul quando era assalitodagli spiriti maligni e questi subito sparivano. In effetti,credo che la cetra sia terapeuta, ha un effetto rilassan-te e aiuta la concentrazione e la meditazione. La cetrala paragono alla vigna d’Israele, perché è umile, picco-la, non ha il suono poderoso dell’organo a canne o dialtri strumenti più potenti. Come la vigna d’Israele, cheè una pianticella piccola e fragile ma dà un frutto buo-nissimo e significativo, così la cetra è uno strumentopiccolo ma armonioso e dolce come l’uva, il frutto diquesta pianta biblica e simbolica per eccellenza. Mi auguro che da questo suono si possa essere sem-pre guariti, pacificati, rigenerati. �g

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Nella foto:suor Myriam mentre suonail salterio (evoluzione della

cetra tradizionale)

Credo che la cetra siauno strumento molto adattoper la liturgia, lo constatocontinuamente con le personeche lo ascoltano. Devo direche a me la cetra fa impazzire.Quando la suono (in realtàadesso suono molto di piùil salterio, che è un’evoluzionea più accordi della cetratradizionale), mi sembradi nuotare nel mare aperto.Anche il suono degli accordimi richiama l’onda che sbattein se stessa o sulla spiaggia

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La domanda irrequietache si affaccia nei ter-ritori scoscesi delnostro cuore è spesso

questa: c’è un rapporto tra larealtà e la lettura? Quando sipone questa questione dimenti-chiamo molte cose di cui dovremmo fare memoria, edè probabile che a “ordinarci” la rimozione siano le rac-comandazioni – ripetute per tanti anni e generazioni –che bisogna essere realisti nella vita, badare alle coseconcrete. Ma intimamente legato a questa sfera vi è ilmondo dei valori, che si estende dalla fede all’eticalaica. E questo è un passo avanti, senza il qualesaremmo animali che cercano darwinianamente solo il

proprio utile. I due elementi, quellodella realtà e quello legato ai valori,diventano tutt’uno, grazie all’azione dimolti fattori, dall’educazione all’am-biente alle interrelazioni e, i laicisti miscuseranno, all’imponderabile che nonsi può quantificare scientificamente.Non si può rimuovere il fatto cheBibbia, Corano e altri libri abbianocambiato radicalmente e realmente lavita di milioni di persone. Il fatto è che quello da noi considera-to “non reale” ha più influenza sullanostra vita della materia. Una carezza,un pensiero gentile, una frase, il con-tenuto di una lettera – oggi chiamia-mola mail – un sorriso, la scena di unfilm, la scoperta che l’autore di un

romanzo o di una poesia sta attraversando le stessenostre difficoltà, cambiano la vita più di una macchinasuper-accessoriata, di una villa al mare, dei soldi inbanca. Sapere, come nel caso dei versi qui sopra riportati,che un altro ha attraversato il labirinto di un pomerig-

gio d’estate che sembrava nonavere più senso umano, nell’assen-za totale di amici e di affetti, comecapita talvolta a chi rimane solo adagosto, può cambiarti la vita.Perché ci dice che la salvezza staanche nel riappropriarsi di momenti

positivi della nostra esistenza. Riandare alle radici perriscoprire il nostro diritto di essere felici. E c’è una ulteriore sorpresa che apre un mondonuovo, come il coniglio con l’orologio per Alice nelpaese delle meraviglie. Quei versi non sono di unapoesia, ma di una canzone. Segno ne ha parlato loscorso anno: alcune canzoni sono poesie, altrimentinon ci sarebbero stati Tenco, De Andrè, Dylan, Cohen,Battisti-Mogol, De Gregori e tanti altri, nuovi trovatorialla corte dei video e delle piazze post-moderne. Lacanzone era all’interno di un disco del gruppo di rockitaliano, gli Osanna, colonna sonora del film Milanocalibro 9, firmata dal grande Luis Enriquez Bacalov(quello della colonna sonora del film Il postino e delConcerto Grosso dei New Trolls), e dal duo Baldazzi-Bardotti. Ma quelle parole vengono da molto lontano,e qui entra in ballo la letteratura che aiuta a vivere.Perché arrivano da Eliot, dal suo Canto d’amore di J.A. Prufrock, dalla sua constatazione di aver “misuratola vita con cucchiaini di caffè”. Tutte e due le compo-sizioni hanno in comune anche una frase ricorrente:“there will be time”, “ci sarà tempo”, che non è inven-zione di Eliot, ma viene direttamente dalla Bibbia, pre-cisamente dall’Ecclesiaste, il quale ci ricorda che «c’èun tempo per nascere e un tempo per morire, untempo per amare e un tempo per odiare». Se si pensache uno degli inni delle marce dei pacifisti americaniera Turn turn turn, di Pete Seeger, che cantava come«per ogni cosa/ c’è un tempo/ un tempo di guerra, untempo di pace/ un tempo d’amore e un tempo d’odio»sarà chiaro che le verità delle Parole hanno le lorostrade per giungere al cuore degli uomini.

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Leggere, soprattuttod’estate, può essere uncammino di guarigione.Sapere che un grandeautore o unosconosciuto hannosperimentato le ombreche un attimo primapensavamo essere soloed esclusivamente innoi, significa non esserepiù soli. Ecco perchéoccorre, ogni tanto,riandare alle radici perriscoprire il nostrodiritto di essere felici

di Marco Testi

Un libro cheti cambia la vita

«Ho passatointerminabili pomeriggicontando i miei giornicon i cucchiaini di caffèalla ricerca di qualche

cosa che è già stato mio»

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Leggere un libro può essere un cammino di guarigio-ne. Sapere che un grande autore o uno sconosciutohanno conosciuto le ombre che un attimo prima pen-savamo essere solo ed esclusivamente in noi, signifi-ca non essere più soli. Sonosempre più diffusi cammini dipsicoterapia che adottanocome metodo essenziale lalettura. Alcune parole hanno una forzaspaventosa, capace di risolle-varti dagli abissi più profondidove ci si illudeva di non esse-re più trovati. Come scrisseuno che di parole se ne inten-deva, Marcel Proust, «a volte,proprio nel momento in cui tutto ci sembra perduto,giunge il messaggio che ci può salvare: abbiamo bus-sato a porte che davano sul nulla, e nella sola in cuisi può entrare e che avremmo cercato invano

cent’anni urtiamo inavvertitamente, ed essa si apre». Non c’è niente da fare: è vero che la bellezza da solanon è la verità, ma quando nelle parole si sente lanascosta, sofferta, solitaria realtà di qualcuno che è

stato salvato da una parola ecerca di comunicare quella sal-vezza anche agli altri, si avver-te il soffio della vita che schiu-de le sue porte. Il mondo reale è pieno di paro-le scritte che cambiano la vita,da Agostino di Ippona che rivo-luziona il suo cammino graziealla lettura di un passo di SanPaolo, al grande attoreCarmelo Bene che ha sempre

riconosciuto all’Ulisse di Joyce di avergli indicato unanuova strada, fino a tutti coloro che nelle prigioni, nelleprivazioni fisiche e psichiche, sui letti di dolore, hannoavuto in dono dalla lettura un segno di speranza. �g

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riNon c’è niente da fare: è veroche la bellezza da sola non è laverità, ma quando nelle parolesi sente la nascosta, sofferta,solitaria realtà di qualcunoche è stato salvato da unaparola e cerca di comunicarequella salvezza anche agli altri,si avverte il soffio della vitache schiude le sue porte

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Interrogarsi sulla questione “gender”, «sapendo diessere in un contesto ecclesiale e culturale che habisogno come l’aria di confronti profondi e seri in

grado di divenire un aiuto per donne e uomini coinvol-ti nell’avventura imprevedibile della vita». CosìValentina Soncini, coordinatrice del Centro studidell’Azione cattolica italiana, presenta la scelta compiu-ta dalla presidenza nazionale di Ac – «anche grazieall’ascolto della sua capillare rete di responsabili non-ché delle tante sollecitazioni provenienti dal contestoecclesiale e socio-culturale» – di «attivare un processo»sul tema, riecheggiando l’indicazione di papa Francesconell’Evangelii Gaudium a «dare priorità al tempo» occu-pandosi «d’iniziare processi più che di possederespazi». Per la convivialità delle differenze – un contribu-to alla riflessione sul gender è il titolo del testo, prodot-to dal Centro studi avendo come elemento fondante il«valore delle differenze la cui cancellazione, afferma ilPontefice, è il problema, non la soluzione».

In questa cornice, prosegue Soncini, si collocano«convincimenti fondamentali» come «la decisivitàdella cura dello stile con il quale procedere nel dialo-go su questi temi, nei quali vengono toccate ledimensioni più delicate del nostro essere persone,desiderose di riconoscimento, impaurite dall’esperien-za della solitudine, animate dall’anelito di vita e dipienezza», «la promozione della famiglia come unionestabile dell’uomo e della donna nel matrimonio, aper-ti alla vita», nonché «il rifiuto metodologico di posi-zioni acriticamente ideologiche».Il contributo (che si può richiedere [email protected]) si propone di attiva-re o riattivare processi capaci di accompagnare e ali-mentare una profonda e diffusa mobilitazione cultura-le nei diversi territori, negli ambiti che si ritengonopiù urgenti e bisognosi di rinnovate energie morali eintellettuali: i percorsi educativi, la formazione degliadulti, l’educazione all’affettività e tanti altri temi. �g

Un nuovo passo, da parte del Vaticano, sulla viadel riconoscimento di Israele e Palestina comeStati indipendenti e sovrani. È l’Accordo globa-

le firmato il 26 giugno scorso tra Santa Sede e Statodi Palestina. L’intesa, che regola la collaborazione trale due parti e affronta aspetti essenziali della vita edell’attività della Chiesa cattolica in Palestina (libertàdi azione della Chiesa, giurisdizione, statuto persona-le, luoghi di culto, attività sociale e caritativa, mezzidi comunicazione sociale e questioni fiscali e di pro-prietà), è frutto del lavoro di una Commissione bila-terale nata a seguito dell’av-vio, nel 1994, dei rapportiufficiali tra Santa Sede e Olp(Organizzazione per la libera-zione della Palestina), che giànel 2000 aveva portato a unAccordo di base. Ora il passo avanti, ricono-scendo come interlocutoreproprio lo Stato di Palestina,«segno del cammino compiu-

to dall’Autorità palestinese negli ultimi anni esoprattutto dell’approvazione internazionale culmi-nata nella risoluzione dell’Assemblea generaledell’Onu, del 29 novembre 2012, che ha riconosciu-to la Palestina quale Stato osservatore non membrodelle Nazioni Unite», ha evidenziato mons. PaulRichard Gallagher, segretario della Santa Sede per irapporti con gli Stati, augurandosi che l’Accordo«possa in qualche modo costituire uno stimolo perporre fine in modo definitivo all’annoso conflittoisraeliano-palestinese» e che «l’auspicata soluzione

dei due Stati divenga realtàquanto prima». Non unanovità ma piuttosto confer-ma di una linea: già altrevolte, come nel Sinodo deivescovi per il Medio Oriente(ottobre 2010), la SantaSede si era pronunciata inmaniera ufficiale a favore ditale soluzione come via perla pace e la giustizia. �g

Cammino di pace

Santa Sede e Palestina più vicini. Con un occhio a Israele...

Centro studi Azione cattolica

Convivialità delle differenze. Contributo alla riflessione sul gender

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Nella rincorsa a essere sempre più banca,gestore telefonico, rivenditore di gadget ecancelleria, Poste italiane dimentica... la

posta. Dopo aver cancellato la consegna a domiciliodella corrispondenza il sabato, dopo l’improvvisorincaro – nell’aprile 2010 – delle tariffe per la spe-dizione dei periodici (che ha pesantemente colpitoanche le testate associative), con un servizio trop-po spesso costellato da ritardi e disguidi di variogenere, ora è in campo l’ipotesi – ahinoi concreta –di recapitare la corrispondenza a giorni alterni nei“piccoli” centri, ovvero ad almeno un quarto deicittadini italiani. Con buona parte del principio diuguaglianza, chi abita nelle grandi città riceverà laposta ogni giorno, dal lunedì al venerdì; gli altrisolo “a singhiozzo”. Un disagio per tante parti d’Italia acuito dal fattoche, praticamente, sarà la pietra tombale per laconsegna in abbonamento postale di tanti giorna-li che devono arrivare a destinazione in un giornopreciso. Un quotidiano che arriva il giorno dopo(se va bene...) è da buttare, come pure un settima-

nale diocesano con tutti gli appuntamenti per ilfine settimana che, anziché il venerdì, arriva dopola domenica. Nell’ambito di un disservizio genera-le, anche Segno e le altre pubblicazioni di Azionecattolica stanno pagando ritardi nelle consegnedomiciliari (o addirittura mancate consegne), conproblemi segnalatici dai lettori.Non è servito, finora, neppure il monitodell’Unione europea, secondo la quale il serviziopostale universale, in quanto tale, va garantito atutti i cittadini almeno cinque giorni a settimana.Per non parlare del fatto che una situazione delgenere potrebbe facilmente portare a un aumentodei disservizi in zone del nostro Paese già gravateda non indifferenti disagi, per esempio per i tra-sporti o altri servizi essenziali. L’impressione è che, nella rincorsa del mercato, l’u-nico obiettivo sia l’utile di bilancio, dimenticandoche vi sono servizi che vanno garantiti ai cittadinial di là dell’immediato tornaconto economico.Perché rappresentano un diritto di tutti, non unprivilegio di pochi. �g

E dopo il rincaro delle tariffe, la posta arriva a giorni alterni

Il disservizio colpisce il cittadino che vuole informarsi

Una persona su 10, in Italia, vive in una situazio-ne di “povertà alimentare” e non può mangiarein maniera regolare. Tra costoro, 1,3 milioni

sono minorenni. Crescono, inoltre, coloro che non pos-sono permettersi un pasto con una componente pro-teica ogni due giorni: un dato più che raddoppiato dal2007, passando dal 6% delle famiglie al 14%. A lanciare l’allarme è la ricerca Food Poverty Food Bank.Aiuti alimentari e inclusione sociale, curata da GiancarloRovati e Luca Pesenti ed edita da Vita e Pensiero, pre-sentata all’Expo di Milano dalla Fondazione BancoAlimentare. Il 65% degli Enti convenzionati con ilBanco ha dichiarato un aumento «moderato» o «forte»dei propri assistiti, in particolare adulti italiani, perso-ne disoccupate, indebitate e separate o divorziate chechiedono di poter ricevere un pacco alimentare. E nel2014 la principale causa di povertà è stata la perditadel lavoro, relativa all’80% dei casi. «La povertà – rile-va Banco Alimentare – sembra una condizione in via di

cronicizzazione nel nostro Paese, dove nel 2014 il 47%degli Enti non ha segnalato persone uscite dalla condi-zione di bisogno, percentuale che sale al 57% nelle areedel Sud dove la povertà è quantitativamente più diffusae più persistente». All’Expo, in due mesi BancoAlimentare ha recuperato, con la Fondazione CascinaTriulzia, oltre 5.000 chili di alimenti, distribuiti allestrutture caritative milanesi. �g

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Povertà? Nel nostro Paese è in via di cronicizzazione

Tutti più poveri. E uno su dieci non mangia in maniera regolare

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Tra coloro che «vorrebbero abbracciare forteforte il Papa per l’enciclica Laudato si’» cisono dieci donne di Castenedolo (Brescia),meglio conosciute come le “mamme volan-

ti”, come ha dichiarato una di loro, Mara Galanti, alForum dell’informazione per la salvaguardia del crea-to, promosso di recente a L’Aquila da Greenaccord.Donne che si definiscono «cittadine reattive» perché

«da alcuni anni riflettono su qualistrade possibili intraprendere,come comunità e come cittadi-ni, verso un futuro migliore». «Lanostra storia - spiega una dellemamme volanti, Rosa Cerotti –nasce dalla preoccupazione peralcuni tagli alle ore di assistenzaper i diversamente abili nellescuole, poi l’attenzione si è spo-stata alla battaglia contro ildegrado ambientale, visto loscempio costante subito dalnostro territorio sempre piùcompromesso». Le dieci prota-goniste sono di età compresatra i 40 e i 50 anni, con diverse

esperienze professionali o anche casalinghe, tuttemamme - tranne una - di ragazzi tra i 4 e i 18 anni. Ilmotore della loro azione, infatti, è «l’amore per i proprifigli e per la propria terra».

Un volo per aprire gli occhi. «Ci hanno ribattezzatomamme volanti – chiarisce Raffaella Giubellini – dopoil volo che abbiamo effettuato il 9 giugno 2014, conl’aereo di un nostro amico, per vedere la nostra terrada un’altra angolazione e anche per promuovere unasensibilizzazione verso i temi del degrado ambientale.I giovani soprattutto, che sono nati in un ambiente giàcompromesso, non ci fanno neanche caso. Noi cheabbiamo qualche anno in più e abbiamo trascorso l’in-fanzia in un ambiente meno contaminato, cogliamo ladifferenza legata alla cementificazione e particolar-mente alle cave, alle discariche, agli impianti impattan-ti, che hanno cambiato il paesaggio». Oramai «siamoassuefatti alle collinette ricoperte di teli verdi, sotto cuici sono rifiuti di tutti i tipi, inerti, ma anche tossici. Noisiamo circondati da criticità ambientali molto forti econ il video realizzato durante il volo e caricato suYouTube volevamo far vedere alle persone la devasta-zione del nostro territorio per suscitare anche unimpatto emotivo». Giubellini parla degli «immensi cra-

Castenedolo: mammepaladine dell’ambiente

Le dieci protagoniste diquesta impresa sono di etàcompresa tra i 40 e i 50 annie vivono in provinciadi Brescia. Hannodocumentato, con un videocaricato su youtube,come il loro territoriosia devastato da cave,discariche, impiantiimpattanti, che hannocambiato il paesaggio.L’obiettivo: stop a nuoveautorizzazioni.Impegno ecologista pertutelare la salute pubblica

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di Gigliola Alfaro

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teri che oramai contraddistinguono il paesaggio di unaterra che era una delle più fertili d’Europa. Inizialmentesono nate come cave di ghiaia e di materiali per l’edi-lizia e poi sono diventate discariche. In tutta la provin-cia abbiamo più di cento discariche autorizzate, a cuisi aggiungono altre illegali». Su questo «sta lavorandola magistratura. Da noi la gestione dei rifiuti è uno degliassi portanti anche a livello economico. C’è una pres-sione ambientale fortissima. Noi l’abbiamo ribattezzatala terra dei buchi». A Berzodemo «ci sono dei rifiutitossici che sono arrivati dall’Australia», ricorda Cerotti. 

Cumulo di rifiuti. «Alcuni pensano che questo è il prez-zo da pagare per avere benessere, invece noi ritenia-mo che ci sia stata anche tanta voracità da parte delleamministrazioni, che hanno beneficiato di compensa-zioni per la concentrazione di discariche che non haeguali in Lombardia – sostiene ancora Giubellini –.Basti pensare che noi abbiamo solo nel raggio di diecichilometri quadrati 14 discariche. Tra l’altro, noi vivia-mo in una zona sismica. Questo rende ancora piùesplosiva la situazione, se consideriamo che la nostraterra è piena di rifiuti». E sul fronte delle malattie?«Stiamo avviando un dialogo con i medici di base, chehanno il polso della storia sanitaria delle comunità –risponde Raffaella Giubellini –. Innanzitutto, vorremmofar comprendere che il campanello d’allarme non deveessere solo l’aumento delle patologie gravissimecome quelle tumorali. Crescono, ad esempio, le malat-tie respiratorie e croniche. Inoltre, non ci sentiamosicure neppure dei risultati degli studi epidemiologiciperché vengono usati strumenti obsoleti. Noi comecittadine abbiamo constatato un aumento dei tumori,tanto che ci sono stati nel nostro paese di 12mila abi-tanti 4 bambini ammalati l’estate scorsa; tra l’altro, idati dell’Asl di Brescia non sono nemmeno aggiorna-tissimi. Ci sono, d’altro canto, medici che si espongo-no come quelli dell’Isde, ma che sono molto soli quan-do denunciano correlazioni pericolose». 

Fare rete. «Per noi non è etico autorizzare tante disca-riche sacrificando tutto sull’altare del guadagno – pro-segue Giubellini –. È necessario ritrovare il rispettodell’ambiente, altrimenti non cambierà mai niente: lapolitica e le istituzioni non danno mai risposte e i citta-dini sono distratti, ma tutto questo lo stiamo pagandocaro». La “mamma volante” racconta il prossimoobiettivo: «Ora stiamo cercando di arrivare a un tavolodi lavoro a livello provinciale che unisca tutte le realtàambientaliste della provincia di Brescia. Per ora siamo25 associazioni che hanno iniziato a camminare insie-me. Vogliamo fare rete per produrre un manifestocomune per ottenere dalle istituzioni una moratoriacontro le nuove autorizzazioni di cave, discariche,impianti impattanti sulla salute. Attualmente ce ne sonoaltre sette in via di autorizzazione, ma noi vorremmoarrivare a uno stop definitivo perché la nostra provin-cia è arrivata al livello di saturazione». �g

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«Il Verdi avrebbe bisogno di cambiare laposizione della mano» sulla tastiera delpianoforte, la qual cosa, a 18 anni «si ren-derebbe difficile». Poche, inequivocabili

parole bastarono nel 1832 a decretare la bocciaturadel giovane Giuseppe all’esame di ammissione a quel-

lo stesso istitutoche, solo qualcheanno dopo, avrebbepreso il suonome.  Respinto: inparte per la tecnicapianistica già conso-lidata e in parte per-ché non c’era postonel dormitorio.Parole contenute in

un carteggio tra insegnati che oggi, insieme al diplo-ma di Puccini, la bacchetta di Arturo Toscanini e altridocumenti, costituisce il patrimonio storico artistico delConservatorio di Milano.Ma, insieme al Verdi, tutti i conservatori italiani sonopieni di spartiti, opere, testimonianze spesso dimentica-te e, fino a non molto tempo fa, gestite con superficia-lità e imperizia. Per evitarne la dispersione è partito ilprogetto di censimento dell’Afam, la sezione per l’Altaformazione artistica, musicale e coreutica del ministerodell’Università. Di più: entro ottobre 2015 sarà prontoun database, disponibile alla consultazione pubblica viainternet, contenente averi immobiliari, bibliografici,organologici, artistici e archivistici, inclusi reperti foto-grafici, memorabilia e materiali multimediali. Ogni istituzione sta già scegliendo e documentando ibeni da inserire nel database perché siano portati alla

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Quel pentagrammaritrovato

di Livia Ermini

Con il progetto Afam, entro ottobre2015 sarà pronto un database,disponibile alla consultazionepubblica via internet, contenenteaveri immobiliari, bibliografici,organologici, artistici e archivistici,inclusi reperti fotograficie materiali multimedialidei Conservatori italiani.Perché l’arte non vada perduta

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conoscenza degli studiosi e dei responsabili ammini-strativi. L’importanza dell’operazione, infatti, non stasolo nel fatto di rendere pubbliche le informazioni, manella possibilità di evitare che, come in passato, molto

vada perso o peggio. Che si ritrovi,buttato tra le scope in uno sgabuzzi-no, un prezioso contrabbasso diVincenzo Panormo, liutaio tra i piùquotati del ‘700. O che, come aPalermo, vengano rubati 25 pezziunici risalenti al 1600 e 1700.Violini, viole, contrabbassi di proprietàdel Conservatorio Vincenzo Bellinitrafugati, probabilmente da persona-le interno, per alimentare il commer-cio di ricchi collezionisti statunitensi.Un violino aveva addirittura spuntatoil prezzo di 300mila euro all’asta lon-dinese di Christie’ s.

In lungo e in largo nella penisola il viaggio si snoda trabellezze di genere diversissimo. Partendo da Veneziache potrà includere l’antico palazzo Pisani, affacciatosul Canal Grande, con le sue pareti affrescate, le tele e

i decori contenuti. Fermandosi a Napoli, città dellamusica per eccellenza, dove un museo ben organiz-zato è attivo da tempo. Nello storico Conservatorio diSan Pietro a Maiella sono conservati 200 dipintidell’800, un ritratto di Paisiello insieme al suo pia-noforte, strumenti antichi come l’arpetta di Stradivari, ogli splendidi archi della scuola napoletana di liuteria, ilcembalo di Caterina di Russia, i pianoforti diMercadante, Cimarosa.E come non fare riferimento a Firenze? Dove tra ilConservatorio Cherubini e la Galleria dell’Accademia siè instaurata una fruttuosa collaborazione che le altreistituzioni culturali dovrebbero prendere a modello.L’esposizione dell’antichissima collezione dei grandu-chi Medici-Lorena., infatti, inaugurata dai primi novestrumenti di Ferdinando de’ Medici, oggi raccoglieoltre 400 esemplari che si possono visitare nelle salet-te attigue a quella del David di Michelangelo. Pezziunici come il primo pianoforte esistito, inventato pro-prio per i Medici da Bartolomeo Cristofori o un rarissi-mo violino Stradivari.Per trovare una vera curiosità però dobbiamo andareal Rossini di Pesaro dove, fra l’altro, hanno studiatoartisti del calibro di Renata Tebaldi e Mario DelMonaco. Qui la storia ha giocato con l’intuizione di unmusicologo di fama come Mario Fara. Mentre erabibliotecario del Conservatorio, Fara si fece inviare daun gerarca fascista di stanza in Africa diversi strumen-ti autoctoni: tamburi, flauti, sistri da Eritrea, Somalia eTripolitania che, se all’epoca testimoniavano di unaItalia coloniale, oggi rimangono come documenti pre-ziosi per la ricerca comparativo tra culture.Insomma, un’operazione a tutto tondo che permetteràdi evitare l’errore, commesso molte volte in passato, direstauri arbitrari e pericolosi che non tengano contodella delicatezza e delle caratteristiche di alcuni pezzie di intervenire per assicurare gli strumenti più prezio-si e garantirne la fruizione fatta salva l’incolumità.Soprattutto se verranno superati alcuni limiti dati dall’e-terogeneità dei partecipanti. Dal mancato accordo suimetodi tecnici di catalogazione e sull’uniformità dellecategorie da inserire, alla disparità del patrimonio traConservatori più e meno antichi. �g

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tempi moderni

Insomma, un’operazionea tutto tondo che permetteràdi evitare l’errore, commessomolte volte in passato,di restauri arbitrari epericolosi che non tenganoconto della delicatezzae delle caratteristichedi alcuni pezzi e diintervenire per assicuraregli strumenti più preziosie garantirne la fruizionefatta salva l’incolumità

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cittadini e palazzo

di Gianni Di Santo

intervista conRocco D’Ambrosio

Corruzione?Possiamo vincerla

Corruptia è un comune italiano medio-gran-de, con un sistema economico-finanziariomolto strutturato, culturalmente vivace,con una forte attenzione al benessere dei

cittadini. Attraverso un lavoro certosino di analisi deidati e delle attività nel settore finanziario, ambientale,sicurezza urbana, pubblica amministrazione e control-li, urbanistico e cultura e sport, Rocco D’Ambrosiocerca di comprendere i percorsi di corruzione chevanno al di là del caso di studio e fotografano diversi

comuni italiani. Corruptia. Il malaffare in un Comuneitaliano, è dunque un libro, (Ed. La Meridiana –Cercasi un fine, Molfetta, 2014), che si presta a piùdi una riflessione.

Professor D’Ambrosio, il suo studio è stato pubblicatodurante l’inchiesta “Mondo di mezzo”, relativa alComune di Roma, travolto dalla corruzione... Dal 2012, da quando c’è Giuseppe Pignatone a capodella Procura di Roma, tanto è cambiato. Si è comincia-to a fare sul serio, visto le sue esperienze antimafia inSicilia e Calabria. L’ultima inchiesta, “Mondo di mezzo”,quella di cui tutti parlano, non è solo che l’ultima di unaserie di inchieste che stanno letteralmente rivoltando lacapitale. Innanzitutto c’è stato e c’è un grandissimo lavo-ro investigativo, realizzato con l’aiuto di Guardia di finan-za e delle forze dell’ordine. Poi, ed è quello che ci inte-ressa maggiormente, è una delle prime inchieste chemette in evidenza gli accordi tra mondo della corruzio-ne e mondo della criminalità organizzata, che a Romaviene equiparato alla Banda della Magliana.

I disonesti di ogni razza si muovono quandointravvedono un volume di affari rilevante.E oggi gli affari si celano anche nel welfare state,nella gestione degli immigrati, oppure fra i servizisociali: la povertà, paradossalmente, fa fare soldi.«Penso che si debba lavorare sulla formazionedelle coscienze – spiega a Segno uno studioso deifenomeni di malaffare –, su una cultura dellalegalità che dica ai cittadini che la mafia e lacorruzione politica non sono invincibili»

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Corruzione e mafia insieme?Attenzione. Secondo me è stato fatto un errore daparte di autorevoli commentatori. La corruzione perquanto ne so io non è mafia. La corruzione è solo cor-ruzione, perché hanno codici di comportamenti ecomunicazione diversi. L’inchiesta di “Mondo dimezzo” dimostra semmai che i due mondi sugli affarisono contigui. Così continuano a produrre profitti inmodo illecito.

Però i due mondi si sono saldati, spesso con l’aiutodella politica. Nei sistemi criminali italiani noi abbiamo sempre avutole trait d’union tra un mondo e l’altro. Se da una partec’è la regia della corruzione, d’altra parte c’è la regiaamministrativa. Quindi c’è sempre qualcuno che lega idue mondi. Non è un elemento nuovo. Io credo chel’evento importante che collega corruzione e crimina-lità organizzata sia il volume di affari, di denaro pubbli-co veicolato. Un invito, molto evidente, a dire: «qui c’èda mangiare». I corruttori si muovono quando vedonoun volume di affari importante. E oggi gli affari sono,ahimè, il welfare state, quindi la gestione degli immi-grati, i servizi sociali... La povertà fa fare soldi.

Ricette per vincere la corruzione?Noto come i giornali si siano appassionati solo al gos-sip, al racconto della semplice cronaca di questa onda-ta di nuova corruzione. Manca una seria riflessione ariguardo. Perché realtà sane si sono corrotte? Un’amicagiornalista che si occupa di terzo settore ed è coinvol-ta in una cooperativa, è stata minacciata proprio nelmomento in cui ha espresso in un comunicato stampa

che serviva proprio questo genere di riflessione. I delin-quenti, d’altra parte, preferiscono che passi presto labufera. Meno se ne parla, meglio è. Il problema vero èl’assuefazione all’idea che alla corruzione non ci siascampo, che non possa essere vinta. Ci siamo abituatiun po’ tutti. È triste constatarlo, ma è così.

E allora come se ne esce?Non con l’inasprimento delle pene. Non serve a nien-te. Tutti gli studi fatti dimostrano quanto sto dicendo.L’effetto della pena è breve. Invece penso che sidebba lavorare sulla formazione delle coscienze, suuna cultura della legalità che dica ai cittadini che lamafia e la corruzione politica non sono invincibili. Nonlo diceva già Giovanni Falcone? La Chiesa di Roma,ad esempio, ha un pastore come papa Francesco cheparla contro la corruzione ogni settimana. Mi auguroche anche la Chiesa di Roma, fedeli e pastori, al piùpresto possa promuovere un momento di riflessioneperché esistono anche responsabilità dei credenti.

Qualche altro suggerimento?La rotazione dei dirigenti. E la semplificazione dei pro-cessi amministrativi. Questo serve. I corruttori invecevogliono che la pubblica amministrazione sia di suocomplicata. Ricordo che un ex sindaco di Roma portòda venti a quattro gli atti amministrativi per ottenereuna concessione edilizia. Meno dirigenti a decidere,meno persone da corrompere. La lotta alla corruzionedalla criminalità organizzata passa anche da questi pic-coli cavilli burocratici che, ovviamente, non dovrebbe-ro essere così difficili da far assimilare all’amministra-zione pubblica. �g

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A lato:don Rocco D’Ambrosio

cittadini e palazzo

Rocco D’Ambrosio è sacerdote della diocesi di Bari ed è stato assistente diocesano per i giovani dell’Azione cattolica. Èordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana (Roma), doveè responsabile della Didattica. Docente di Etica della pubblica amministrazione presso la Scuola superiore

dell’Amministrazione del ministero dell’Interno, ha pubblicato diversi saggi sui temi politici. Tra gli ultimi: Il potere e chi lodetiene (2008), con R. Pinto, La malpolitica (2009), Come pensano e agiscono le istituzioni (2011), La storia siamonoi. Tracce di educazione politica (2011), Luoghi comuni. Un tour etico a Roma (2013), con P. Pellegrini, Una Chiesa al passocon i tempi. Riflessioni sul magistero sociale cattolico (2013). Si occupa di formazione all’impegno sociale, politico e nelmondo del lavoro. Dirige il periodico di cultura e politica Cercasi un fine e il suo relativo sito web (www.cercasiunfine.it).Coordina e dirige alcune scuole di formazione all’impegno sociale e politico, a partire dal 2002.

IdentikitCercasi un fine, per la formazione all’impegno sociale e politico

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Un «nuovo passo» per un «accompagna-mento differenziato» delle famiglie, partico-larmente quelle ferite e fragili, tramite il«discernimento prudente e misericordioso»

e «la capacità di cogliere nel concreto la diversità dellesingole situazioni». È l’Instrumentum laboris per la XIVAssemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi del pros-simo ottobre, reso pubblico il 23 giugno. Il testo è frut-to della “Relatio Synodi” – di cui ampie parti vengonoconfermate – integrata dalle 99 risposte ai“Lineamenta”, oltre alle 359 osservazioni «inviate libe-ramente da diocesi e parrocchie, associazioni eccle-siali e gruppi spontanei di fedeli, movimenti e organiz-zazioni civili, numerose famiglie e singoli credenti»,come ha spiegato il cardinale Lorenzo Baldisseri,segretario generale del Sinodo dei vescovi, presentan-do il documento. Conoscere la realtà di oggi. «Per la Chiesa si tratta di

partire dalle situazioni con-crete delle famiglie di oggi,tutte bisognose di misericor-dia, cominciando da quellepiù sofferenti», si legge neltesto, che si articola in treparti: l’ascolto delle sfidesulla famiglia, il discerni-mento della sua vocazione,la riflessione sulla sua mis-sione. Tra le sfide da racco-gliere anche quelladell’«ecologia integrale»,appena proposta nellanuova enciclica del Papa,

per superare «inequità ed esclusione sociale». Ci vuoleuna «morale della grazia», per far «scoprire e fiorire labellezza delle virtù proprie della vita matrimoniale» efar passare ai giovani la paura di sposarsi per il timoredi fallire. Altra verità da riproporre, quella della “diffe-renza” tra uomo e donna; sulla contraccezione, il rife-rimento imprescindibile resta l’Humanae vitae. L’iconaè quella di Gesù che accompagna i discepoli diEmmaus: «A volte occorre rimanere accanto e ascol-tare in silenzio; altre, porsi davanti per indicare la via sucui procedere; altre ancora, stare dietro per sosteneree incoraggiare».Il ruolo delle donne. «Può contribuire al riconoscimen-to del ruolo determinante delle donne una maggiorevalorizzazione della loro responsabilità nella Chiesa: illoro intervento nei processi decisionali»; la loro parte-cipazione «al governo di alcune istituzioni»; «il lorocoinvolgimento nella formazione dei ministri ordinati».È una delle novità dell’Instrumentum, in cui è inseritoun paragrafo sul ruolo delle donne. Per le coppie in crisi. «Ampio consenso», tra i padri sino-

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famiglia oggi

L’Instrumentum laboris cheaccompagna la preparazionedel Sinodo di ottobre presentasfide, punti fermi e qualchenovità. Scoprire la “vocazione”e il vissuto familiare. L’iconadi Gesù che accompagnai discepoli di Emmaus: «A volteoccorre rimanere accantoe ascoltare in silenzio; altre,porsi davanti per indicarela via su cui procedere; altreancora, stare dietro persostenere e incoraggiare»

Famiglia,partire

dallarealtà

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dali, «sull’opportunità di ren-dere più accessibili e agili,possibilmente gratuite, le pro-cedure per il riconoscimentodei casi di nullità matrimonia-le»: una proposta innovativa,in questo senso, è quella di«istituire nelle diocesi un ser-vizio stabile di consulenza», incui devono essere «garantiti,in maniera gratuita, i servizi diinformazione, consulenza emediazione collegati allapastorale familiare, special-mente a disposizione di per-sone separate o di coppie incrisi».Accoglienza per i divorziatirisposati. Nessuna esclusio-ne dei divorziati risposati:anzi, «sempre maggiore

integrazione nella comunità cristia-na», tramite «cammini» preceduti «daun opportuno discernimento da partedei pastori circa l’irreversibilità dellasituazione e la vita di fede della cop-pia in nuova unione». «Accoglienza»e «integrazione» le due parole-chia-ve, nell’ottica di «una legge di gra-dualità rispettosa della maturazionedelle coscienze». «C’è un comuneaccordo – si legge ancoranell’Instrumentum laboris – sull’ipo-tesi di un itinerario di riconciliazione ovia penitenziale, sotto l’autorità delvescovo, per i fedeli divorziati rispo-sati civilmente che si trovano in situa-zione di convivenza irreversibile».Alcuni padri suggeriscono «un per-corso di presa di coscienza del falli-mento e delle ferite da esso prodot-te, con pentimento, verifica dell’even-tuale nullità del matrimonio, impegnoalla comunione spirituale e decisionedi vivere in continenza». Quanto alla

prassi matrimoniale delle Chiese ortodosse di benedi-re le seconde unioni, è di per sé «una celebrazionepenitenziale», e va intesa «come condiscendenzapastorale nei confronti dei matrimoni falliti, senza met-tere in discussione l’ideale della monogamia assoluta,ovvero dell’unità del matrimonio». La “questione” omosessuale. «Non esiste fondamentoalcuno per assimilare o stabilire analogie, neppureremote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sulmatrimonio e la famiglia». È la posizione della Chiesasulle unioni gay, ripresa dalla lettera in materia dellaCongregazione per la dottrina della fede, citata sianella “Relatio Synodi” che nell’Instrumentum laboris.«Ogni persona, indipendentemente dalla propria ten-denza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accol-ta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa chenella società». «Sarebbe auspicabile – è la proposta –che i progetti pastorali diocesani riservassero una spe-cifica attenzione all’accompagnamento delle famigliein cui vivono persone con tendenza omosessuale e diqueste stesse persone». [Sir] �g

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famiglia oggi

Veglia di preghiera il 3 ottobreUna “Lettera a chi crede nella fami-glia”: a inviarla per chiedere di par-tecipare alla Veglia di preghiera peril Sinodo, organizzata dalla Chiesaitaliana il 3 ottobre prossimo, allavigilia della fase conclusiva, èl’Ufficio nazionale per la pastoraledella famiglia della Cei. L’obiettivo èchiamare a raccolta il “popolo catto-lico” - l'Ac aderisce - per rispondereall’invito del papa nella letterascritta alle famiglie alla vigilia dellaprima fase del Sinodo in vista. Peraderire all’iniziativa è sufficienteconvergere in piazza San Pietro aRoma, dalle 18 alle 19.30, oppureaccendere una piccola luce sullafinestra della propria casa.

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La Chiesa italiana siavvia a celebrare aFirenze, dal 9 al 13novembre 2015, il

quinto Convegno ecclesialenazionale. Il tema scelto, InGesù Cristo il nuovo umanesi-mo, intende affrontare le sfideimposte da una società chepresenta i segni evidenti di unacrisi di natura etica e antropo-logica che investe il sensostesso della vita, le relazionicon gli altri e con il mondo.Ma, contemporaneamente,vuole fornire una mappa diorientamento al cammino dellacomunità dei credenti per i prossimi anni.Il “convenire” da tutte le realtà del paese a Firenzevuole far riscoprire, pur in anni difficili, la «voglia dicamminare insieme, di assaporare il gusto dell’essere

Chiesa, qui e oggi, in Italia». Inquesta fatica siamo aiutati anchedal dinamismo profetico di papaFrancesco. Il Convegno, dunque,ci chiama a una profonda conver-sione per comprendere comepossano le comunità cristianeincarnare gli stili di vita propri di unumanesimo integrale che trovanel Vangelo delle Beatitudini ilproprio orizzonte: come rinsaldaree ricucire i legami fragili delle rela-zioni, intessendo rapporti di pros-simità; come vivere la gratuità,l’accoglienza al di là delle ingiusti-ficate paure della diversità e deglisterili egoismi. Nuovo umanesimo. Mettere al

centro la questione antropologica significa inserirsi inuno scenario reso più complesso da nuovi saperi e dauno sviluppo straordinario delle scienze e dall’introdu-zione di nuove tecnologie. Ma gli strumenti offerti dallatecnologia non sempre sono neutri; anzi spesso lascienza si propone come ultima frontiera, pretenden-do di fornire la parola definitiva, pur in presenza dizone d’ombra e margini di ambiguità. Man mano,infatti, che la ricerca si approfondisce e va alla radicedelle cose, riemerge con sempre maggiore evidenza ilmistero dell’uomo, assieme a una profonda e radicalenostalgia di infinito. Di un uomo che si scopre persino“mistero” a se stesso, la cui fragile identità è sottopo-sta a flussi incessanti generatori di precarietà.In quest’età dell’incertezza invano si cercano rottesicure, o almeno mappe di orientamento. Per questomotivo, se non si vuole correre il rischio di una pro-gressiva compressione degli spazi di autocoscienza,occorre recuperare quelle dimensioni dell’essere chefanno parte essenziale dello statuto ontologico delsoggetto: la libertà della coscienza, il giudizio criticosulle cose, la responsabilità delle decisioni e delle scel-

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quale Chiesa

Il nuovo umanesimofa tappa a Firenze

di Franco Venturella

Manca poco a novembre,quando la Chiesa italianasi ritroverà nel capoluogotoscano per celebrare il suoquinto Convegno ecclesialenazionale. Ai laiciimpegnati è richiestodi vivere “in prima linea”la prossimità, lapartecipazione, il donogratuito verso i fratelli,perché si realizzi il benecomune e ogni personavenga rispettata epromossa nella sua dignità.Con coraggio, e osandostrategie inedite e creative

Nella foto:il IV Convegno ecclesialeche si è tenuto a Verona,

nell’area della Fiera(ottobre 2006)

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te, la relazione con se stessi e con gli altri, la creatività,il senso dell’alterità, l’adesione ai valori di solidarietà,fraternità, uguaglianza.Una libertà che sappia coniugarsi con la responsabi-lità, perché altrimenti si finisce per compromettere ilfuturo delle nuove generazioni, generando precarietà,inquinamento, distruzione delle risorse naturali edenergetiche, sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In verità, la ricerca di una “libertà che insegue una spe-ranza” si annida nel cuore dell’uomo: è l’aspirazione auna libertà che non delude, all’incontro con l’Altro, auna relazione capace di restituire significato alle sceltee ai gesti quotidiani, inserendoli in un orizzonte disenso. Anche il Vangelo va in questa direzione: «cono-

scerete la verità e la verità vi farà liberi».Proprio per questo, in Cristo il nuovo

umanesimo trova il suo fondamentoe la sua vera incarnazione.Uno sguardo nuovo. Di fronte allacomplessità del mondo e delle sue

sfide, al disorientamento eall’impossibilità di utilizzare for-mule che semplifichino e risol-vano i problemi, la comunità èchiamata a guardare, con stru-menti e sguardo nuovi, la realtà

e a vivere come tempo di grazia l’appuntamento conla storia nella quale Dio ci vuole corresponsabili. Laconversione comporta riuscire a vincere la tentazionedel ritorno al paese d’Egitto per camminare insiemeverso la Terra promessa. Per questo è necessario leg-gere i “segni dei tempi”, interpretarli con discernimen-to e agire con coerenza perché i semi di verità, di giu-stizia, pace, amore, solidarietà possano diventare pian-ta e dare frutti. Ciò richiede di vivere “in prima linea” laprossimità, la partecipazione, il dono gratuito verso ifratelli, perché si realizzi il bene comune e ogni perso-na venga rispettata e promossa nella sua dignità.Significa anche percorrere vie nuove, con coraggio eosando strategie inedite e creative. �g

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Sopra, il logo ufficiale delV Convegno ecclesiale

di Firenzequalc Chiesa

Franco Venturella, già dirigente scolastico provinciale di Vicenza, è direttoreresponsabile di Proposta Educativa, la rivista curata dal Movimento di impegno

educativo di Ac (Mieac). È rivolta a quanti, adulti e giovani, sono educatori nellaChiesa, nella società, in Azione cattolica.Proposta educativa ha dedicato al Convegno di Firenze un intero numero: Germoglidi un’altra umanità. Riflessioni educative in preparazione al Convegno ecclesiale diFirenze 2015.I lettori di Segno nel mondo che volessero ricevere gratuitamente, via mail, una copiadigitale del numero, potranno farne richiesta a [email protected] – previaregistrazione al sito del Mieac http://www.impegnoeducativo.it/2014/registrati/

Proposta educativa, la rivista del Mieac

Riflessione che prepara il Convegno ecclesiale

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Raccontare il volto di un’Africa diversa, piùvera, dove non ci sono solo guerre, fame ecarestie, con il conseguente esodo diuomini e donne, ma una ricchezza cultura-

le coniugata nelle sue varie forme, dal cinema allamusica, passando per la letteratura e la moda. Senza

dimenticare le opportunità commerciali eun patrimonio storico da riscoprire. Sonoqueste le motivazioni che tredici anni fa,nell’estate del 2002, spinsero tre migran-ti africani, provenienti da Senegal, BurkinaFaso e Ruanda, incontratesi quasi percaso a Parma, a dare vita alla prima edi-zione del Festival dell’Ottobre africano. Sono passati anni e, da quell’intuizione, ènata una rassegna che quest’anno toc-cherà con le sue iniziative non più soloParma ma anche Milano, Roma, Bologna,Reggio Emilia, Napoli e Varese. «Mi vieneda sorridere se penso a quando presen-tammo a Parma il primo progetto e nonavevamo nemmeno un nome per lanostra iniziativa. Era settembre e l’impie-gata che ci stava seguendo ci disse: per-ché non lo chiamate Ottobre africano? Ecosì è stato. Probabilmente se avessimo

presentato il progetto in primavera, oggi avremmo ilmaggio o il giugno africano», racconta con un sorriso aSegno il direttore del Festival, Cleophas Adrien Dioma,scrittore burkinabé. «Allora – continua Dioma – aveva-mo iniziato a frequentare la realtà di Parma per cerca-re di evitare di chiuderci in un ghetto di soli africani.Incontrando realtà e associazioni del territorio ci siamoaccorti dei tanti preconcetti che circondavano l’Africa edi quante volte si tendeva a omologare tutto, a consi-derare una situazione di crisi che riguardava un paeseo una regione come qualcosa che interessava il conti-nente intero. Da lì è nata l’idea di provare a mettere inmostra quella che era realmente l’Africa, la realtà chenoi come immigrati conoscevamo: la sua diversità, lasua ricchezza culturale, la sua storia. Questo era ancheun modo per farci conoscere e per far cadere gli stec-cati che spesso tendevano a dividere gli immigrati dagliitaliani. Ci siamo resi presto conto di come questo pia-cesse, di come si creassero occasioni di incontro e discambio che permettevano di eliminare i pregiudizi e diuscirne entrambi arricchiti. Avevamo trovato una stradaper fare integrazione». Da allora l’Ottobre africano ne ha fatta di strada perarrivare a questa tredicesima edizione che avrà, comegià avvenuto negli scorsi anni, la cantante FiorellaMannoia, come madrina e testimonial. Il titolo scelto

Un festival perconoscere l’Africa

È arrivato alla suatredicesima edizionee avrà la cantanteFiorella Mannoia comemadrina e testimonial.Si chiama Ottobreafricano, toccheràdiverse città italiane,Parma ma ancheMilano, Roma,Bologna, ReggioEmilia, Napoli e Varese.Il titolo di questaedizione è Saperi esapori e si ricollegaal tema di Expo.Il cibo per valorizzarel’incontro e latolleranza

di Michele Luppi

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per il 2015 Saperi e sapori si ricollega al tema di ExpoNutrire il pianeta. Energie per la vita provando a rilan-ciare il cibo come elemento culturale e di incontro. «Cipiaceva l’idea – continua il direttore – di riscoprire ilvalore della convivialità e dell’etnicità dei cibi.Organizzeremo una sorta di concorso culinario chetoccherà diverse città italiane in cui chiederemo, nonsolo agli africani, ma a tutti, italiani compresi, di cuci-nare piatti tipici della propria cultura. Un modo pervalorizzare le differenze». Accanto a questo si artico-lerà il tradizionale calendario di appuntamenti con pre-sentazione di libri, mostre, film, seminari e convegnidedicati all’Africa, alla multiculturalità e all’incontro.«Come per le passate edizioni – continua Dioma – l’i-dea è quella di puntare sui piccoli eventi, quelli in cuila gente ha maggiore possibilità di interagire e con-frontarsi». Un’edizione, quella di quest’anno, che arriva in unmomento delicato e per l’Italia che si trova a confron-

tarsi con l’aumento dei flussimigratori e con l’immancabilepolemica politica sul tema del-l’accoglienza. «Purtroppo –spiega Dioma – quando sipensa ai richiedenti asilo chearrivano nel nostro paese si fini-

sce sempre per pensare all’Africa, senza accorgersi dicome la maggior parte di loro siano siriani, mentre altriarrivano da Pakistan e Afghanistan. Certo ci sonoanche eritrei, somali, nigeriani, maliani, ma non biso-gna cadere nell’errore di cui parlavamo prima, nellageneralizzazione. Quello che noi stiamo tentando difare è un lavoro culturale di lungo periodo e, siamoconvinti, che alla lunga questo darà dei frutti. Questononostante politici che cercano di fomentare la con-trapposizione a scopi elettorali. C’è un’Italia che guar-da verso l’Africa con una prospettiva diversa rispetto aqualche anno fa: non più come terra da aiutare, macome luogo di opportunità. Credo che la recente visi-ta del primo ministro Renzi in Africa sottolinei questocambio di prospettiva». �g

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Nelle foto:le precedenti edizioni di

Ottobre africanocon la partecipazione di

Fiorella Mannoia

Per informazioni sulla XIIIedizione del FestivalOttobre africano è possibileconsultare il sito internetwww.ottobreafricano.org

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Tra le tante etichette che hanno caratterizza-to le interpretazioni del ‘900 (il secolo delleideologie, “armato”, “breve” o, per contrasto,“long century”, etc.), lo storico francese

Bernard Bruneteau ha recentemente proposto quelladi “secolo dei genocidi”. In gran parte di queste letture decisivo è l’elementodella violenza politica esercitata contro un nemico,esterno o interno, individuato di volta in volta su basietniche, nazionali, religiose, classiste, ideologiche. Inparticolare, grazie all’opera del giurista polaccoRaphael Lemkin, nel 1944 si è giunti a definire unaspecifica forma di violenza politica, quella del genoci-dio. Nella sua elaborazione, Lemkin aveva in mentesoprattutto la terribile esperienza del genocidio arme-no perpetrato dai turchi. Generalmente le violenze genocidiarie contro gli arme-

ni vengono fatte risalire alla primaveradel 1915 ma si tratta di un fenomenoradicato nel tempo che aveva trovatouna eco nell’opinione pubblica euro-pea sin dall’800, in modo particolaredal congresso di Berlino del 1878 conil quale si provò a dare soluzione aiproblemi sollevati dalla guerra tra laRussia zarista e l’Impero ottomano. La mancata soluzione della questionearmena portò a un aggravarsi dellecondizioni sino alla incontrollata esplo-sione di violenza che raggiunse i suoivertici tra il 1894 e il 1896. Nonostante i molti e gravi precedentifu solo con il 1915 che si impostaro-no le condizioni per un vero e propriopiano di sterminio degli armeni, conviolenze, deportazioni, massacri. Le

ragioni furono, in estrema sintesi, due: la rivoluzionedei giovani turchi che radicalizzò e diffuse il nazionali-smo panturco – con i suoi obiettivi di assimilazione eomogeneizzazione; lo scoppio della prima Guerramondiale, in cui gli armeni vennero identificati come il

nemico interno, poiché sospettati di simpatie per lanemica potenza russa (nei cui territori vi era un’ampiapresenza armena).L’esito fu tragico. Gli armeni sopravvissuti apparivanoormai una minoranza in quei territori in cui avevano persecoli rivendicato autonomia e indipendenza. Alcuni di questi elementi si ritrovano in altri eventigenocidiari del XX secolo. Il più noto, è senza dubbioquello degli ebrei. La Shoah ha rappresentato il puntopiù alto della violenza contro un popolo, considerato

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Shoah, armeni. Questidue drammatici eventidella prima metà delsecolo XX non hannoposto termine aifenomeni genocidiari.Con la fine della guerrafredda nuovi piani disterminio si sonoconcretizzati. Dall’Africaall’Europa sino alleattuali condizioni delMedio oriente, massacri,deportazioni, pulizieetniche hannosegnato una nuovastagione di violenza

di Paolo Acanfora

Nella foto:Memoriale dell’Olocausto,

di Kenneth Treiser(Miami, Usa)

Il secolodei genocidi

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nella visione mitica nazionalsocialista, il nemico pereccellenza, l’impuro elemento estraneo alla nazionetedesca e alla razza ariana che doveva essere definiti-vamente sradicato. Questi due drammatici eventi della prima metà delsecolo XX non hanno posto fine ai fenomeni genoci-diari. Con la fine della guerra fredda e dell’ordine ten-denzialmente bipolare che essa imponeva, nuovi pianidi sterminio si sono concretizzati. Dall’Africa all’Europasino alle attuali condizioni del medio oriente, massacri,deportazioni, pulizie etniche hanno segnato una nuovastagione di violenza. Dal Ruanda insanguinato dalla guerra etnica condottatra Hutu e Tutsi (che insieme al minoritario gruppo deiTwa costituivano le diverse etnie presenti sul territorio)sino alle esplosioni della violenza nazionalista nella exJugoslavia, con il tragico conflitto tra croati, serbi ebosniaci con le sue propaggini albanesi e kosovare,l’approssimarsi al secondo millennio appariva terribil-mente infausto. Il secolo dei genocidi, in realtà, non si concludeva. Leprecarie soluzioni trovate al caso ruandese e l’inter-vento internazionale nei Balcani placarono sul finire del‘900 i conflitti in corso. Ma la storia dei genocidi è pro-seguita ed è entrata in modo dirompente nel XXIsecondo. La radice è ancora una volta etnico-religio-sa. Il terrorismo islamico ha trovato nell’Isis la suaattuale forma più radicale e violenta ed il baluardoidentitario antioccidentale ed anticristiano . Ma èanche allo stesso tempo l’espressione di un conflittoinfraislamico. Una dinamica che riguarda non solo lazona tra la Siria, l’Iraq, la Turchia (l’area occupatadall’Isis) ma anche l’area caucasica. Le polemiche connesse al centenario del genocidioarmeno hanno dimostrato ancora una volta la profon-da incapacità di divincolarsi da letture politiche edideologiche della storia. Il negazionismo, la minimizza-zione e la banalizzazione dei conflitti, l’imposizione di“narrazioni” guidate da esigenze istituzionali rappre-sentano il miglior viatico per una drammatica ripropo-sizione dei fenomeni genocidiari. �g

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Genocidio ArmenoLuogo: Asia minore, Anatolia. Data: generalmente l’inizio del piano genocidiario si fa risalire allaprimavera del 1915. Il 24 aprile è il giorno della commemorazione. Numero di morti: il numero è assolutamente controverso. Le cifrevariano molto. Si va dal milione di morti complessivi secondo le fontiturche ai circa 5 milioni secondo le ipotesi armene. Una stimaapprossimativa ritenuta da molti affidabile calcola più di 2 milioni dimorti.

Genocidio degli ebreiLuogo: EuropaData: nel caso degli ebrei, l’evento cui si fa riferimento è la Shoah.Un piano di sterminio che inizia con l’affermazione del nazismo nel1933 in Germania e che ha la sua fase apicale con la cosiddetta“soluzione finale”, generalmente databile tra il 1941 e il 1942. Numero di morti: generalmente si ritiene siano morti tra i 5 e i 6 milioni diebrei.

Genocidio Tutsi Luogo: Africa centraleData: a partire dall’aprile del 1994 prendono avvio i piani genocidiari daparte degli Hutu contro la minoranza dei Tutsi ma le tensioni tra i gruppietnici hanno una lunga storia e le violenze risalgono ad almeno trentaanni prima. Numero di morti: il numero complessivo è incerto. Nel punto piùalto di tensione tra i gruppi etnici, tra l’aprile e il luglio del 1994, sicontano dai 500 mila al milione di morti.

Guerre Jugoslave e caso KosovoLuogo: Europa BalcanicaData: tra il 1991 e il 1995 si combattono delle guerre tra gli ex statijugoslavi, in cui i due fronti principali furono la guerra serbo-croatae quella bosniaca. Si verificano in entrambi i fronti piani di puliziaetnica. Tra il 1996 e il 1999 la guerra si sposta sul versante kosovaroa maggioranza albanese. Numero di morti: il numero è stato grosso modo definito intorno ai 250mila morti per le guerre jugoslave, tra i quali si contano dalle 25 alle 100mila vittime in Bosnia-Erzegovina. Ad essi va aggiunto un numeroimprecisato di morti, spesso calcolato tra i 15 e i 20 mila, relativi allaguerra del Kosovo.

Per saperne di più

Una infinita mappa del terrore...

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L’enciclica Laudato Si’ rappresental’ennesimo segno della capacità dipapa Francesco di parlare un lin-guaggio che può essere capito da

chiunque. Non è una pura dote comunicativa,ma una sensibilità che si è affinata nei suoianni di pastore ai confini del mondo. È unasensibilità che scorga dalla sua fede mista a

un singolare modo di interpretare l’uomocontemporaneo. Dote straordinaria, verabenedizione dal cielo e motivo di grandegioia per i cristiani che sentono di avere unportavoce che arriva al cuore della gente.Qualcuno confonde questa sensibilità coneccessiva accondiscendenza con il mondo,una volontà di piacere, dopo decenni diincomprensioni e qualche scandalo.Sbagliato. Se si legge l’enciclica, ci si imbat-te subito in un’opera che non banalizza i pro-blemi, che non nasconde le incongruenze,che non indulge a facili moralismi. È un lavo-ro lungo, 246 capoversi, a volte anche conrimandi tecnici che lasciano stupiti, tanto èriuscito il papa, evidentemente aiutato dapersone sagge, a parlare di ecologia con laprecisione dell’esperto.

di Giorgio Osti*

Un’enciclica per tutti, cristiani e non.Papa Francesco abbraccia il mondo, l’ambiente,il clima, chiedendo ai suoi residenti rispettoe benedizione. Il contributo base riguardala teologia della creazione. Con i suoi significatidi cura, dono, riposo, riconoscenza essa forniscestraordinari motivi a sostegno di un urgenteimpegno da parte di tutti gli uomini e le donnedi buona volontà. Perché sia festa in cielo e in terra

Laudato si’,o mio Signore

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Questa mia non è unaguida alla lettura. Peraltro ve ne sono giàdiverse in rete, testimo-nianza di reazioni chestanno emergendo inogni parte del mondo(l’Ave ha appena pub-blicato un’edizionecommentata da esperti,a cui rimandiamo perun approfondimento;vedi box, ndr). A buondiritto, perché il papasalta nelle citazioni daun episcopato a unaltro, dando così risaltoalle Chiese locali e nonsolo alla dottrina deisuoi predecessori. Vorrei invece metterein luce la struttura nar-rativa. L’enciclica ècome la costruzione diuna piccola torre, cheaggiunge solidi argo-menti (mattoni) fino adarrivare a una prospet-

tiva nitida, ampia e integrale sull’ecologia; una costru-zione che negli ultimissimi mattoni posati (numeri 243-246) esplode con il registro del meraviglioso e gonfiail petto di speranza. L’enciclica tratta con grande equilibrio le tante dicoto-mie tipiche dell’ecologia. In primis, la contrapposizionefra uomo e ambiente. Rifugge dalle due tentazioni tipi-che della modernità: il dominio assoluto del primo sulsecondo o la fusione totale, la completa immersione diuomini e donne nelle interdipendenze degli ecosiste-mi. Entrambe le posizioni sono irrealistiche e dannose:il dominio non può essere assoluto e inoltre producemolti side-effect indesiderati; la fusione con la naturanon rispetta le differenze e l’autonomia dei soggetti. Larisposta dell’enciclica è duplice: da un lato riconosceun lieve primato all’uomo, una sorta di antropocentri-smo dolce (la cura dell’ambiente), dall’altra, indica unmetodo, che va sotto il nome di approccio relazionale.

Un atteggiamento autentico verso la natura tiene contodelle relazioni fra gli uomini, delle relazioni uomo-natu-ra e anche delle relazioni con Dio. Armonizzandole,tenendo conto dei feed-back e della reciprocità, sicostruiscono equilibri più alti, più consoni verrebbe dadire, alla natura trinitaria della fede cristiana.Qui emerge la laicità di un’enciclica che chiaramentevuole parlare a tutti, credenti e non credenti, seguacidi altre fedi. Il papa affronta il problema ribadendo chela tecno-scienza – questo il termine che usa e cheappare più corretto attualmente – è parte integrantedell’umanità; è essa stessa una manifestazione dellabellezza del vivere. Quindi, nessun atteggiamento pre-giudizialmente contrario. Ma neppure accettazioneacritica di tutto ciò che in fin dei conti deve esserestrumento, sempre al servizio di un’armonica relazionecon l’ambiente, l’uomo e Dio creatore. Per farsi un’ideadi come il papa cerchi un difficilissimo equilibrio trini-tario si guardi a come tratta il tema degli organismigeneticamente modificati. Sicuramente, ha scontenta-to fautori e critici degli ogm, ma la strada è quella trac-ciata nell’enciclica (dialogo). Non tratta l’energianucleare; per la quale fornisce però una risposta indi-retta. Non siamo contrari alle tecnologie più sofisticatee aggiungerei io “irreversibili”, ma se c’è una via piùsemplice perché non privilegiarla? Se il sole è dispo-nibile in larga parte del globo perché non aguzzare ilnostro ingegno in quella direzione per l’approvvigiona-mento energetico invece di usare sostanze che crea-no dominio e inquinamento?Una seconda dicotomia che l’enciclica cerca appassio-natamente di superare è quella fra giustizia sociale eambientale. Qui i toni si fanno categorici ed emerge tuttala sapienza accumulata nei barrios delle città latino ame-ricane. Il mondo è spartito male prima ancora che per ilreddito per l’accesso ai beni primari, cibo, acqua edenergia. Guarda caso sono anche quei beni che stiamodepauperando in nome del profitto, assurto a fine ultimodell’agire umano. Il messaggio dell’enciclica è chiaro:non può esservi tutela dell’ambiente senza una redistri-buzione forte, decisa fra chi ha e consuma molto e chirischia ogni giorno di morire di fame e sete. Rispetto alla giustizia ambientale – fattore che animale lotte in molte parti del mondo – il papa dimostra disuperare un’altra delle tipiche dicotomie occidentali:quella fra impegno personale e cambiamento politico.

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La stagione degli stilidi vita ci ha conse-gnato un efficacemandato: i micro-cambiamenti dellavita quotidiana, lasobrietà, la temperanza, la riduzione dei consumi ser-vono alla causa ambientale. Danno senso allo sforzopersonale, spingono per un’autentica conversioneecologica. L’enciclica ha parole di fuoco contro il con-sumismo esasperato; cita la derisa decrescita, nobili-tandola. Tutte queste micro-azioni hanno senso com-piuto solo se si accompagnano a una vigorosa azionepolitica su scala regionale, nazionale e mondiale. In talsenso, un intero capitolo viene dedicato all’educazioneambientale, vista dai fautori del conflitto a tutti i costicome una inutile perdita di tempo. Lo è se nonaccompagnata da azioni micro di contenimento deipropri consumi e da azioni macro sulle scale istituzio-nali prima menzionate. Questa multiforme azione trova alimento in una fede.È questo il valore aggiunto dell’enciclica rispetto a un

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*Giorgio Osti,nella foto a pag. 32,

è sociologodell’ambiente e del

territorio dell’Universitàdi Trieste«Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che

verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo

isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale.Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ciriferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, aisuoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, noncredo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenereeffetti importanti. Ma se questa domanda viene posta con coraggio,ci conduce inesorabilmente ad altri interrogativi molto diretti: ache scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venutiin questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questaterra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamopreoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto chequello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primiinteressati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità cheverrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama incausa il significato del nostro passaggio su questa terra».

(estratto dal punto 160 dell’Enciclica Laudato si’. Sulla cura della casa comune)

L’Enciclica in pillole

Perché questa terra e questocreato hanno bisogno di noi

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onesto e preciso manuale di ecologia. Questo puòessere proposto con garbo anche ai non credenti. Ilcontributo base, certamente già patrimonio dei movi-menti cristiani più attenti all’ambiente, riguarda la teo-logia della creazione. Con i suoi meravigliosi significatidi cura, dono, riposo, riconoscenza essa forniscestraordinari motivi a sostegno di un urgente impegno

verso la tutela, rivolto, mi ripeto,a tutti gli uomini e le donne dibuona volontà. Ma è il finaledell’enciclica e se vogliamo ilnostro futuro che ci interpella eci dà speranza allo stessotempo. Capoverso 214:«Nell’attesa, ci uniamo per farcicarico di questa casa che ci èstata affidata, sapendo che ciòche di buono vi è in essa verràassunto nella festa del cielo».Ogni briciola del nostro impe-gno trinitario sarà occasione difesta qui e in cielo. �g

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L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco sta suscitando moltaattenzione nell’opinione pubblica. I temi in essa contenutifanno parte del vivere quotidiano. Se l’uomo si oppone al

ritmo della natura e del creato, il mondo va incontro a disastriambientali e a uno sviluppo economico non corretto. Per rifletteresu questi temi l’Ave pubblica Abiterai la terra, un testo promossodall’Azione cattolica italiana (a cura di Giuseppe Notarstefano,vicepresidente nazionale di Ac ed economista) che raccogliecommenti qualificati intorno ai temi sollevati dall’enciclica Laudatosi’. Una pubblicazione che vede diversi contenuti (BeatriceDraghetti, Flaminia Giovannelli, FabianoLongoni, Luigi Alici, Sandro Calvani,Pablo Canziani, Luigi Fusco Girard,Giuseppe Notarstefano, GianmariaPolidoro, Stefano Zamagni, MatteoTruffelli), per dire ancora una voltaquanto il “cantico delle creature” di papaFrancesco sia una risposta moltoconcreta ai temi dello sviluppo,dell’ambiente e della salvaguardia delcreato. Una risposta e uno stimolo chevengono offerti all’attenzione di fedeli,agnostici e non credenti, nellaconvinzione che cielo e terra nonappartengono solo a Chiese e religioni.

Una pubblicazione Ave

Abiterai la terra: commento a Laudato si’

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Già nel Duecento, lungo la direttrice delNaviglio grande che con le sue acque pro-venienti dal Ticino mette in comunicazione illago Maggiore con Milano, sono documen-

tati numerosi oratori campestri, che nella maggiorparte dei casi affondano le proprie radici in epoca lon-gobarda; anche la loro dedicazione può essere unindizio a suffragare tale ipotesi, come pure i ritrova-menti archeologici avvenuti su territorio durante tutto ilNovecento. Uno di questi è proprio la chiesetta diSanta Maria in Binda di Nosate - il più piccolo Comunedella Provincia di Milano - della quale vi è una primaattestazione scritta attorno al 1289, contenuta nelLiber Notitiae Sanctorum Mediolani dove l’autore,Goffredo da Bussero, redigendo un inventario dellechiese e degli altari della diocesi ambrosiana, cita unaecclesia sanctae Mariae nel luogo di Noxate. Poi, finoal 1566 non vi sono altri documenti. In realtà la ridi-pintura settecentesca di due ex voto del Cinquecento,colma un vuoto di informazioni: la data degli affreschiriportata nel cartiglio è, infatti, quella del 1512.Nel documento del 1566 il reverendo FrancescoCermenate, delegato per la visita pastorale, affermava

che la chiesa era immersanei boschi e “picta cum plu-rimis imaginibus beatissimeVirginis Marie”. Di pochianni più tardi è la pianta del-l’edificio, allegata agli atti diVisita di San CarloBorromeo, mentre un docu-mento del 1581 ribadisceche l’oratorio si trovava “inmagni nemoris medio”, cioènel mezzo di un grandebosco, la porta non era

chiusa e vi entravanosovente anche glianimali.Posta prima sotto lagiurisdizione diCastano e poi diTurbigo, solo nel1586 l’arcivescovoGaspare Visconti isti-tuiva ufficialmente laparrocchia di Nosate:piccola, povera, maindipendente. Ancoranel 1720 la situazio-ne era di estremanecessità tanto danon consentire di tenere accesa la lampada delSacramento. A partire dal 1726, però, si registravauna svolta, grazie al concreto interessamento dell’aba-te Gaspare Visconti, fratello del feudatario localeScaramuzza Visconti. In questi anni l’oratorio subivarilevanti modifiche: si costruiva il nuovo presbiterio,veniva realizzato l’affresco della Nascita di Maria, alza-ti mura perimetrali e tetto, aperte nuove finestre e uningresso più ampio. Dimenticata l’etimologia del termi-ne “binda”, proveniente dalla lingua longobarda asignificare “striscia di terra tra i boschi”, si iniziò a pen-sare alla “benda”, cioè fascia - quelle utilizzate appun-to per “fasciare” i neonati - e, da qui, anche il passag-gio della dedicazione da Maria addolorata a Marianascente.Per tutto l’Ottocento si assisterà, infine, alla lunga dia-triba tra il collerico parroco Eugenio Sironi e la casanobile Litta-Borromeo circa il possesso dell’oratorio,risolta solo nel 1915 dalla contessa Elisa Borromeoche, con atto notarile, lasciava alla fabbriceria parroc-

di Paolo Mira

Affreschi ed ex votoin una piccola chiesettain terra lombarda.Interessante l’interalettura iconologica degliaffreschi che conduceil credente alla capacitàdi “ben morire”, attraversouna serie di simbolie di giochi di sguarditra la Vergine, il Bambinoe l’osservatore

sulle stra

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Nosate: l’anticooratorio di SantaMaria in Binda

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chiale la proprietà dell’edificio.Entrando nell’antica chiesetta, si notano subito due exvoto settecenteschi, riproducenti altri analoghi sogget-ti di datazione cinquecentesca. Sia i cartigli parlanti, siai tondi raffiguranti la grazia ricevuta a sinistra e l’imma-gine implorata a destra, oltraggiano i sottostanti affre-schi, dei quali però ancora si apprezzano le fattezze.

Nel cartiglio a sinistra si legge la volontà di Carlo diNosate (Corvolo de Nossa) di far dipingere le figure alMagistro Gio Maria de Lione della Castelanza il 26 giu-gno dell’anno 1512.Il ciclo pittorico comprende nel registro superiore dellaparete sinistra una teoria di Vergini in trono, tra cui tre(o forse quattro) Madonne del Latte, sovrastanti unarara e interessante “danza macabra”; sulla parete didestra il racconto evangelico presenta l’adorazione deipastori e dei magi, il compianto su Cristo morto, ungaleone in acque tumultuose, simbolo della Chiesa,seguito da Santo Stefano protomartire; nel registroinferiore le opere di misericordia, tra cui ben leggibileun pellegrino romeo.L’intera lettura iconologica degli affreschi conduce ilcredente alla capacità di “ben morire”, attraverso unaserie di simboli e di giochi di sguardi tra la Vergine, ilBambino e l’osservatore. Senza mai venire rappresen-tata, la figura temibile di Satana viene sottintesa daelementi di forte valenza simbolica per la protezionedel cristiano dalla nefasta influenza del Male, qual adesempio il corallo, la cicogna, le acque tumultuose.La “danza macabra” ricorda, invece, all’osservatore lacaducità di tutte le cose terrene e l’impossibilità di unpentimento dopo la morte. Ecco allora che gli esempida seguire vengono suggeriti dalle opere di misericor-dia e dal primo martire Stefano, santo invocato ancheper una “buona morte”, quasi a confermare che la pic-cola chiesa campestre fu pensata proprio per proteg-gere i fedeli da una morte improvvisa, che non lasciatempo al pentimento. �g

Santa Maria in Binda

Come arrivare a NosateL’antico oratorio di Santa Maria in Binda, situato nella parteinferiore di Nosate, è facilmente raggiungibile in auto utiliz-zando l’autostrada A4 Torino-Milano, uscendo al caselloMarcallo-Mesero, quindi imboccare la Strada Statale 336Boffalora-Malpensa fino all’uscita Castano sud e proseguirelungo la Provinciale direzione Novara; dopo circa svoltare adestra seguendo l’indicazione Nosate. Alla Statale 336 è colle-gata anche l’autostrada A8 Varese-Milano. L’oratorio di SantaMaria in Binda è visitabile tutti i giorni della settimana. Perulteriori informazioni, approfondimenti sulla storia e sul ciclopittorico cinquecentesco che orna l’edificio o per richiedere(nei fine settimana) una visita guidata alla chiesa si rimandaal sito internet: http://gruppostoricodonbossi.altervista.org. �g

Nelle foto:la chiesetta di SantaMaria in Binda con

alcuni dei suoiaffreschi

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� Giovani di Ac, sempreCaro Segno, domenica 31 mag-gio scorso ha avuto luogo aMondovì, presso la parrocchia delSacro Cuore, un riuscitissimo con-vegno di ex soci delle associazionigiovanili di Azione cattolica“Sant’Agnese” e “ContardoPerrini”. Oltre un centinaio diragazzi e di ragazze che negli anni‘40, ‘50 e ‘60 del “secolo breve”hanno vissuto intensamente gliideali dell’Ac si sono ritrovati pertrascorrere insieme una giornata dipreghiera, di incontri e di festa.Dopo la santa messa ha interpre-tato per tutti il clima spirituale dellagiornata il professor FrancescoMarocco, con un intervento che fatesto nella gloriosa storia del laica-to cattolico monregalese. �g

Rocco Leuzzi, Torino

� Italiani e democraziaGentile redazione, ho letto delleriforme della scuola italiana. E poidella questione greca, degli immi-grati, della fame e povertà nelmondo (Expo aiuta a suo modo ariflettere). Mi domando solo sequalche volta noi italiani – pur nelchiaroscuro della politica nostrana– sappiamo apprezzare ciò che

abbiamo. Soprattutto se ricono-sciamo il valore essenziale ecostante della democrazia, quellavera, che ti consente di tenerti unaclasse politica se ti va, o di cam-biarla se agisce male o in manieranon confacente alle sfide attuali.Grecia, migrazioni, Europa, ...dovrebbero farci riflettere. [...] �g

Rosa Bistri, Teramo

In questa chiave di lettura, il Consiglio nazionale ha conferma-to, «con convinzione, l’impegno dell’Azione cattolica a pro-muovere e ad accompagnare lungo tutte le stagioni della vita,attraverso i cammini ordinari nelle comunità, i bambini e iragazzi, i giovani e gli adulti ad andare dentro di sé e a sco-prire che la misura dell’amore, come diceva San Bernardo, èamare senza misura, e tutti». Si tratta, di fatto, di «continuarea investire sul tema educativo, costruendo ogni giorno relazio-ni significative e formando le coscienze». Sono solo alcuniassaggi: il rimando al testo integrale è semplicemente l’invitoa gustare una riflessione ben più ampia ed esigente.Convegno di Firenze - Educare ancora. Ugualmente denso iltesto apparso su Dialoghi. «Se un’associazione come l’Azionecattolica ha un compito in relazione al Convegno – vi affermail presidente – esso consiste in primis nel lavorare per fare inmodo che non si risolva tutto nell’adozione di un ennesimoslogan: “il nuovo umanesimo” e “le cinque vie”, per intender-ci, in luogo della “pastorale integrata” e degli “ambiti”», paro-le d’ordine dello scorso Convegno ecclesiale di Verona. «Sitratta invece di fare il possibile per contribuire a mettere inmoto un processo che, in continuità con il cammino indicatodal Concilio e scandito in Italia dal succedersi dei convegniecclesiali, aiuti la Chiesa a ripensare se stessa nella logica del

Vangelo. Per divenire sempre più Chiesa estroversa, amantedell’uomo come il suo Signore, preoccupata unicamente dellapossibilità che ogni uomo trovi la pienezza alla quale è chia-mato e che non smette di cercare». Per l’associazione si tratta di «una grande sollecitazione aritrovare il cuore del proprio impegno formativo». Il che vuoldire accompagnare le persone a «trovare nella relazione alSignore la radice della propria umanità, perché maturino unatteggiamento di responsabilità che è nel riceversi come donoe nella capacità di farsi dono». Per questa via l’Ac, fedele allasua “vocazione” e creativa nell’interpretarla nel tempo nuovo,torna a rimboccarsi le maniche per «alimentare e far cresce-re quella testimonianza di fedeltà alla pienezza dell’umano chedeve impregnare di sé la vita di tutta la comunità ecclesiale».Testimonianza «da lasciar trasparire nella vita delle comunitàe, al tempo stesso, nell’ordinarietà dei gesti dell’esistenza quo-tidiana di ciascun credente». Appunto: abitare nell’umano ed essere nella chiesa con unafedeltà che dev’essere quanto meno pari alla capacità di inno-vare, di cambiare, di procedere in avanti. C’è il dovere e ilgusto di tornare nei box per un pit-stop, una revisione e uncambio gomme. Per poi riprendere la corsa.

Gianni Borsa

segue da pagina 1 - editoriale

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Questa è la storia di due uomini chevogliono costruire la propria casa.Il primo uomo la costruisce sulla sabbiapensando che sia più facile scavare: èorgoglioso d’averla finita così in fretta!Ma comincia a scendere la pioggia, asoffiare il vento e la casa crolla.L’altro uomo la costruisce sulla roccia;è un posto sicuro.Scava con fatica nella roccia e alza lacasa. Quando comincia a cadere lapioggia e a soffiare il vento la casaresta salda.

Luca 6,46-49

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Testi: il pensatoio - Illustrazioni: Francesca Assirelli

Qual è la casa sicura? le

conParabole

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Per l’Ac ètempo di“andare”

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di Carlotta Benedetti*

Si alzò e andò in fretta: lo slogan del prossi-mo anno associativo racchiude in sé tuttele coordinate su cui l’Azione cattolica èchiamata a muoversi nei prossimi mesi. Il

secondo anno del triennio è, infatti, l’anno dell’anda-re: andare incontro all’uomo nella concretezza dellavita quotidiana, animati da una passione per la città,come sottolineato anche negli Orientamenti per iltriennio. Maria, si alza e sceglie di “andare” verso lacittà. Lei porta dentro di sé la “buona notizia” e incar-na il motivo della gioia con il Magnificat. Maria diven-ta icona del cammino che Dio compie, attraverso dilei, verso la città.A partire da questa attenzione alla città e al territorio, sisnoda il cammino associativo, con lo sguardo fisso adalcuni importanti appuntamenti della Chiesa che sisvolgeranno in autunno: il Sinodo ordinario sulla fami-glia nel mese di ottobre e il Convegno nazionale eccle-siale di Firenze nel mese di novembre.All’interno di questo quadro, la Presidenza nazionaleha scelto, nel secondo anno del triennio, di incontraretutti i presidenti parrocchiali, per continuare quel per-corso iniziato con l’incontro con papa Francesco del 3

maggio 2014, con parti-colare attenzione alle con-segne del papa, alle indi-cazioni dell’Evangelii gau-dium e alla riflessione inatto sulla nostra identitàassociativa per tradurresempre meglio la sceltamissionaria. Gli incontri saranno parti-colarmente legati ai terri-tori: questo il senso dei 16momenti regionali chevedranno impegnata la

Presidenza da ottobre 2015 a giugno 2016, per met-tersi in ascolto e dialogare con tutti i presidenti parroc-chiali d’Italia, per farci raccontare il bello che la nostraassociazione oggi può fare, per condividere le fatichee le speranze di chi vive con passione l’impegno a ser-vizio della Chiesa.Sarà l’occasione per conoscere e raccogliere in un“Libro bianco” le esperienze più significative delle dio-cesi: un modo per valorizzare le buone prassi delleassociazioni diocesane e per raccontare quanto dibene l’Azione cattolica è oggi capace di fare. Sarà ilmodo per rendere i presidenti parrocchiali protagonistidella storia dell’Ac, riscoprendo l’importanza e il valoredi quei luoghi associativi dove cresce e si sviluppa lanostra scelta democratica. Sarà il momento per le pre-sidenze diocesane per interrogarsi sul modo in cuiabitano il territorio, su come promuovono l’Ac nei varicontesti della vita quotidiana e su come vivono il rap-porto con il collegamento regionale. Sarà infine l’occa-sione per le delegazioni regionali per verificare il cam-mino fatto e ripartire con più slancio, a partire già dal-l’incontro di fine settembre dedicato proprio al livelloregionale. Si apre quindi davanti a noi un anno di lavoro intenso,che offre sin dall’inizio alcune coordinate precise: l’at-tenzione e il sostegno alla promozione dell’Ac, a parti-

Un anno di lavoro intenso,con alcune coordinate precise:l’attenzione e il sostegno allapromozione dell’Ac, allaformazione e alla cura deiresponsabili educativi eassociativi. E l’attenzione allasocietà civile e al benecomune, e al modo in cuiabitiamo le nostre città e inostri paesi. Voler bene alproprio paese per serviremeglio la Chiesa universale

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re dalle nostre parrocchie, riscoprendo il senso dell’i-dentità associativa, anche in vista dei 150 anni dell’as-sociazione; l’attenzione alla formazione e alla cura deiresponsabili educativi ed associativi; l’attenzione allasocietà civile e al bene comune, a cui più volte harichiamato anche il papa, e al modo in cui abitiamo lenostre città e i nostri paesi; l’attenzione alla Chiesa uni-versale. Siamo quindi chiamati ad andare, ad uscire per risco-prire sempre più il nostro essere Chiesa missionaria: ciaiuterà in questo anche l’esempio del testimone scel-to per il secondo anno del triennio, Alberto Marvelli,giovane riminese che ha concepito tutta la sua vita«come dono d’amore a Gesù per il bene dei fratelli»(Giovanni Paolo II, omelia in occasione della beatifica-zione). C’è una missione, dunque, che attraversa lospazio e il tempo: parte dalla “casa” luogo intimo equotidiano dove “accade la salvezza”, come ci testi-monia Maria, e attraversa le strade andando incontroall’altro e facendo memoria delle grandi opere delSignore nella nostra vita e nella storia. In questo annol’Ac è chiamata a percorrere quelle strade, che porte-ranno in tante parti d’Italia, per essere un’associazionedavvero missionaria, che racconta la buona novellaspinta dalla gioia del Vangelo.

* segretario generale di Ac

Si è spento l’11 luglio a Bologna ilcard. Giacomo Biffi. Teologo, cate-cheta – suoi i “corsi inusuali di

catechesi” al Veritatis splendor, centroculturale della Chiesa di Bologna da luivoluto come “frutto permanente” delCongresso eucaristico nazionale del 1997– e uomo dal giudizio chiaro e deciso.Nato a Milano il 13 giugno 1928, era stato parroco e docente neiseminari milanesi prima di diventare, nel 1976, vescovo ausiliaredella diocesi ambrosiana, allora guidata dal card. Giovanni Colombo.Poi, nel 1984, la nomina ad arcivescovo di Bologna (e, nel 1985, laporpora cardinalizia), diocesi nella quale restò fino al dicembre2003, quando si ritirò dopo il compimento dei 75 anni. «In ogni istante della sua vita il nostro arcivescovo ha testimoniatola sua fede nella forza del messaggio evangelico»: così lo ricordal’Azione cattolica bolognese, memore dell’«acutezza intellettuale»,come pure della «severità con cui a volte ha esortato l’Ac a esserepiù attiva e meno contemplativa». «Sempre, nelle sue parole – pro-segue Donatella Broccoli Conti, presidente diocesana di Ac –, si per-cepiva l’amore infinito per la sua Chiesa bolognese, radicata in unterritorio difficile, spesso lontano dall’annuncio del Vangelo ma pro-prio per questo ancora più bisognoso di essere raggiunto da unaparola diversa da tutte le altre, o meglio da un “fatto”, come il card.Biffi ha sempre ricordato: l’incontro con il Signore Gesù, che cambiala vita di chi è capace di aprirgli la porta del suo cuore».

Bologna

L’Ac ricorda il card. Giacomo BIffi«Amore infinito per la Chiesa diocesana»

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Marco Cè arriva patriarca a Venezia aiprimi di gennaio del 1979 da Roma,lasciato l’incarico di assistente genera-le dell’Azione cattolica; di quell’Ac che,

attraversato il Concilio, muoveva i suoi passi sulle trac-ce del rinnovamento concretizzatosi nella riforma delloStatuto nel 1969 durante la presidenza di VittorioBachelet; dell’Azione cattolica della scelta religiosa.Una sola richiesta aveva avanzato preparandosi a veni-re a Venezia: che fosse individuato un sacerdote che,per un primo limitato periodo, potesse accompagnar-

lo e introdurlo alla conoscenzadella diocesi per il tempo necessa-rio a individuare il suo segretario.La scelta cadde su don ValerioComin, allora assistente dei giovanidell’Azione cattolica diocesana:non per requisiti “ideologici” quantoperché – e ancor più in quei tempi– vivere l’associazione significa

conoscere e percorrere la diocesi in lungo e in largo.La scelta fu così indovinata che don Valerio è rimastocon il patriarca da quel momento in poi.Ma al di là di questi elementi biografici, l’azione pasto-rale del patriarca Cè ha la caratteristica di tenere altoun profilo diocesano “ordinario”.L’azione in diocesi. Ciò significa in primo luogo unamaggior strutturazione della curia funzionale a unamigliore articolazione della pastorale; risalgono al suoarrivo a Venezia l’organizzazione di uffici pastorali, lasistematica stesura e pubblicazione di un piano pasto-rale condiviso con il presbiterio e con il laicato e lacostituzione di un Centro pastorale diocesanoSecondo elemento: l’avvio di iniziative per la formazio-ne del laicato che potessero dare sostanza vera ad unradicamento spirituale teso alla vita, in prosecuzionecon le intuizioni e le indicazioni conciliari; sono figlie diquesta visione di Chiesa l’avvio della scuola di preghie-ra per i giovani; la realizzazione dei gruppi di ascoltoche ancor oggi costituiscono un tessuto diocesano diascolto ordinario della Parola e di radicamento nelSignore; la ristrutturazione della Casa di spiritualità dio-cesana al Cavallino.Terzo: l’attenzione ai poveri e agli ultimi che si è resaconcreta nella realizzazione di alcuni centri di ospita-lità per poveri, tossicodipendenti, malati terminali,ragazze madri e altre situazioni di sofferenza e fragi-lità personale.Quarto punto: l’affetto e la cura spirituale e culturaleper i sacerdoti a lui affidati: «Ho amato molto i mieisacerdoti: essi hanno portato anche il peso dei mieilimiti», scrive nel suo breve testamento spirituale, «Horingraziato il Signore per il loro amore».Pluralità è ricchezza. Nessuna particolare “corsia pre-ferenziale” a priori né per l’Azione cattolica né peralcun movimento, nella convinzione che la pluralità èricchezza per la Chiesa; ma al contempo un forte radi-camento in questo orizzonte di Chiesa che camminanella storia e dalla storia e dal Signore è interrogata echiamata a rispondere.In questo contesto, e per la sua specifica vocazione a

Marco Cè, il patriarcacon il vocabolario dell’“Ac”

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di Silvia Madricardo

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A un anno dalla mortedel cardinale, che fuAssistente generaledell’Azione cattolicadal 1976 al 1978,la diocesi di Veneziane ricorda il tratto umanoe l’azione pastorale

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collaborare all’azione pastorale e, in uno, per la forteaffinità nella visione ecclesiale e complessiva, l’Azionecattolica diocesana ha costituito una parte significativadello “zoccolo duro” di queste iniziative: non solo “pre-stando persone” al servizio della carità e della forma-zione; non solo dialogando con il presbiterio per undiscernimento corale rispetto alla Chiesa e alla città;ma ancor più facendo naturalmente propria questaprospettiva e riconoscendosi in essa.Espressioni come “apostolato dei laici” e “scelta reli-giosa” hanno assunto per molti uno spessore vitaleproprio in questo contesto.Nessuna corsia preferenziale; ma la presenza di unpastore-testimone e guida, come amava ripetere; non

mancava di passare perun incontro ai campiscuola diocesani; nonmancava alla celebra-zione dell’Eucarestia inmomenti importanti perla vita dell’associazione;non ha mancato di effet-tuare scelte forti ancheper l’Azione cattolica:nella sinergia con lapastorale ordinaria cheorientava la nomina deisacerdoti assistenti; nelladecisione nel 1982 di

sostenere la ripartenza della Fuci che consideravastrumento pastorale prezioso al servizio della forma-zione dei giovani nella prospettiva conciliare di dialogoanche culturale con il mondo.Definiva l’Azione cattolica «una proposta semplice insé ma impegnativa»; ed esortava a essere «un laicatocristiano consapevole e responsabile, pienamente par-tecipe della vita di tutti gli uomini».È del 2003 la sua ultima “visita ufficiale” all’Azione cat-tolica italiana, in occasione della Assemblea straordi-naria (12 settembre); nel corso della veglia di preghie-ra così si esprimeva: «L’Azione cattolica ha la peculia-re chiamata alla missionarietà e anche la vocazionealla santità; tessendo la propria storia quotidiana nellafamiglia, nella professione e nei più svariati ambiti divita e del territorio essa deve aprire con la sua presen-za ed il suo impegno tali ambiti alla speranza dellaresurrezione di cui ogni credente emana le energie…Tutto questo l’Azione cattolica è chiamata a fare con ilgenio del pensare e dell’agire in modo associativo, cheè un modo particolarmente ecclesiale di pensare e diagire. Esso porta con sé la grazia di una singolare effi-cacia propria della comunione tra fratelli di fede.Comunione vissuta attorno al proprio vescovo parteci-pando alla sua sollecitudine per l’annunzio del vange-lo, arricchendo l’intera comunità con il contributo pro-prio dell’esperienza di chi vive ed opera nel cuore delmondo». �g

orizzonti di A

c

A lato: il card. MarcoCè. Sopra, con l’Ac

diocesana allaX Assemblea, e, sotto,

in un campo famiglia diAc nel 1982

Pastore,testimone eguida, definival’Azione cattolica«una propostasemplicein sé maimpegnativa»;ed esortavaa essere «unlaicato cristianoconsapevolee responsabile,pienamentepartecipe dellavita di tuttigli uomini»

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Il fascino dell’oltre

Si è spento a 102 anni Arturo Paoli. In molti, acaldo, hanno provato a catturarne il profilosempre in movimento attraverso un’istanta-nea fulminante che provasse a racchiudere il

senso della sua esistenza. Lo sforzo, tradotto nelle piùdisparate qualifiche, si è rivelato vano. Fratel Arturo, in vitacome in morte, non si è lasciato mai incasellare dentro legenealogie rassicuranti solo per chi sta, appunto, fermo.Nella Premessa a un dialogo con Francesco Comina,pubblicato nel 2005 con il titolo non casuale Qui la metaè partire, il piccolo fratello del Vangelo, rievocando lemura della “sua” Lucca come se stesse sulla soglia dellamorte, aveva scritto: «Il partire raccontato a queste murapare in certi momenti il rifiuto di un bene che non troveraialtrove. In altri il tradimento di una responsabilità che tra-smette la prossimità troppo prossima verso gli abitanti diquesta grande casa. Queste sensazioni si sono rinnovatein me quando mi sono ritrovato ad attraversare spazipaurosamente immensi come Buenos Aires, Santiago,San Paolo, New York. Nonostante tutto, è troppo forte lostimolo a partire: il fascino dell’oltre, che queste murasembrano vietarti quasi severamente, diviene irresistibi-le». In questa folgorante chiusa, è condensato l’itinerariobiografico di Paoli, che ha attraversato, nel senso etimo-logico del termine, esperienze anche contradditorie, riu-scendo ad andare sempre «oltre». Nato a Lucca nel1912, dopo la laurea in Lettere, nel 1937 entrò nel

seminario della diocesi tosca-na, ricevendo l’ordinazionesacerdotale tre anni dopo. Ilripudio della guerra che segnòl’inizio del suo ministero accan-to ai giovani come assistentedella Giac, lo spinse, durantel’occupazione nazista, a prodi-garsi per la salvezza degli ebrei.Per questa sua attività nel1999 ricevette da Israele il tito-lo di «giusto tra le nazioni». Nel2006 gli fu conferita anche lamedaglia d’oro al valor civiledal presidente della Repubblicaitaliana Carlo Azeglio Ciampi.Notato per le sue qualità, Paolifu chiamato nel 1949 a Romacome viceassistente centrale

della Giac. Il ramo giovanile dell’Azione cattolica, primasotto la presidenza di Carlo Carretto, poi sotto quella diMario Rossi, grazie anche al suo contributo intraprese uncoraggioso processo di rinnovamento per recuperare untimbro più spirituale nelle sfide che interpellavano partico-larmente le giovani generazioni. Le aperture, che sollecita-vano al distacco dall’esposizione politica dell’associazio-ne, provocarono un dissenso con il presidente nazionaleLuigi Gedda. La crisi toccò l’apice nel 1954, provocandole «dimissioni» dell’intero gruppo dirigente della Giac.Durante un viaggio oltreoceano come cappellano degliemigranti italiani in Argentina, incarico a cui era stato nelfrattempo destinato, Paoli maturò la vocazione che lospinse ad entrare nei piccoli fratelli di Charles de Fou-cauld. Durante il noviziato a El Abiodh, in Algeria, incon-trò di nuovo Carretto, che aveva compiuto la stessascelta. Nel 1957 aprì una fraternità a Bindua, condivi-dendo la vita dei minatori dell’Iglesiente. Nella stessalogica, si iscrive l’esperienza successiva in Argentina,dove fu inviato nel 1960. L’opzione preferenziale per ipoveri, affinata nell’effervescente clima del post-concilioattraverso la teologia della liberazione, lo rese inviso alladittatura, che lo inserì nella lista dei «ricercati». FratelArturo si spostò allora in Venezuela, continuando la sualotta accanto agli «ultimi». Come responsabile dellacomunità fondata da René Voillaume per tutto il conti-nente, ebbe modo di conoscere a fondo il potente«fascino», per riprendere la sua espressione, dell’Ameri-ca Latina, immedesimandosi nelle sue aporie. Nel 1987si trasferì in Brasile, animando progetti sociali di riscattodalla «condizione di marginalità» della popolazione delbarrio di Boa Esperança.Dopo diversi soggiorni prolungati in Italia, risiedendo aSpello, che lo portarono ad animare incontri sulle tema-tiche più brucianti che «intristivano» progressivamente ilpaese, il piccolo fratello del Vangelo tornò definitiva-mente a Lucca una decina di anni fa. Sollecitato a piùriprese a riannodare i fili della sua movimentata esisten-za, fratel Arturo non cessò di elevare, come la definì,una «lezione di amore»: «Su queste parole io spero, contutto me stesso, che si alzi, come un segnale luminosodi pace, un pensiero che sappia collocarsi nelle spiaggeassolate di un’etica del volto concreto, finalmente liberadall’assillo di un mondo delle idee lontano dal nostro,slegato dal corpo e dalla vita feriale che si muove nelleperiferie della terra». �g

ieri e domani

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di Maria Grazia Bambino

di Paolo Trionfini

Si è spento a 102 anni fratelArturo Paoli. Una vita spesaad annunciare il Vangelonelle terre più lontane esempre a fianco dei piùpoveri. I suoi libri e i suoiinsegnamenti sono oggiun lascito importante percredenti e non credenti

Paolo Trionfiniè direttore dell’Isacem-

Istituto per la storiadell’Azione cattolica

e del movimentocattolico in Italia

Paolo VI

Nella foto in basso:fratel Arturo Paoli

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La Conferenza episcopale italiana in collabora-zione con Caritas Italiana ad aprile aveva lan-ciato la seconda edizione del progetto In UnAltro Mondo, per contribuire ad avvicinare i

giovani al mondo del Vangelo vissuto attraverso l’aiutoal prossimo. Il premio messo in palio consisteva in unmese di volontariato, equivalente a un corso “universi-tario” di solidarietà da dedicare agli ultimi, ai dimenti-cati, ai più fragili della terra residenti negli slum di paesipoveri e lontani. Anche qui sono arrivati i fondi

dell’8xmille, a sostegno delle opere che ospiteranno ifinalisti di questo “concorso” dove si vince lavoro esudore. Ricompense immediate e molto gratificantiverranno distribuite direttamente nei luoghi di missio-ne. Consistono in carezze, sorrisi, abbracci e lacrime digioia. Lo assicurano i primi 4 volontari partiti lo scorsoanno e che hanno dichiarato, al rientro in Italia, diavere arricchito il proprio curriculum.Pochi giorni fa sono stati scelti dal Servizio promozio-ne della Cei – insieme a Caritas Italiana – i 4 ragazziche partono tra agosto e settembre. «Dopo il succes-

so del 2014, siamo ancora più motivati ad offrireesperienze controcorrente. Questo progetto di comu-nicazione mira a controbilanciare gli “effetti speciali” diuna cronaca superficiale che oggigiorno cattura lepersone a una esteriorità dietro la quale non c’è nulla»,ha dichiarato Matteo Calabresi, responsabile delServizio promozione sostegno economico. «Quindichiederemo ancora una volta ai 4 giovani che partiran-no la capacità di scrutare gli avvenimenti oltre le appa-renze, per coglierne l’essenziale e colmare il vuoto di

valori e contenuti spesso presente nel nostroquotidiano vivere».Tra i vincitori 2015 anche un’educatrice diAzione cattolica: Marta Moscardi di Lumezzane(Brescia), terapista di neuro e psicomotricitàinfantile, ha vissuto un anno come volontariacon il servizio civile in Tanzania. «Ho partecipa-to al concorso Cei – spiega – per la nostalgiadell’esperienza africana. Con il diario, in video epost, che invieremo sul sito www.inunaltromon-do.it, vorrei mostrare i troppi pregiudizi sullapovertà: nel Terzo mondo essa non impediscedi vivere felici, tutti sono grati anche per le pic-cole cose, in un modo che noi, nei paesi svilup-pati, non riusciamo più ad assaporare». Adagosto lo farà dalla Little Home of Nazareth perl’infanzia di Manila, nelle Filippine (nella foto).Gli altri finalisti sono: Giovanni Ceccarelli diMombaroccio (Pesaro-Urbino). Laureato iningegneria energetica, vive a Bologna e lo

aspetta la casa Cvm - Comunità volontari per ilmondo, tra bambini orfani o in difficoltà, a DebreMarcos, una cittadina della Regione Amhara in Etiopia;Miranda Ventrella di Foggia, aspirante etologa, in par-tenza per la Casa della Provvidenza di Calcutta inIndia, che accoglie bambine di strada; Remark Temali,nato a Bra (Cuneo) di origini albanesi, andrà invece inKenya presso il centro Kivuli dell’associazione Amaniper i minori di Nairobi.In questi mesi, dunque, seguiamo i loro racconti all’in-terno dei progetti 8xmille su www.inunaltromondo.it. �g

In un altro mondo: i 4 vincitori

di Maria Grazia Bambino

8Xmille

chiesa e carità

Dopo un mese di volontariato e lezioni sul campo, la vita di alcuni giovani nonsarà più la stessa. Tra i premiati 2015 anche un’educatrice di Azione cattolica

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perché credere

Agosto di qualche anno fa. È un lunedì, ore16.00, in una parrocchia molto assolata delSalento. E il caldo “salentino” non permettemolte attività e tiene in casa le persone...

Dopo aver aperto la chiesa, e mentre comincio asistemare alcune cose per la messa, mi accorgo chenel frattempo è entrata una donna che vedo “rapita”dalla sua preghiera. Ha gli occhi fissi sul bel crocifis-so dietro l’altare. Io continuo a sbrigare le mie faccen-de; provo a mettere ordine dopo il passaggio deiragazzini del Grest del mattino. Mentre vado su e giùper la chiesa, allineo le sedie e ogni tanto volgo losguardo verso la donna. La vedo pregare prima inginocchio e poi seduta, vedo i suoi occhi inumidirsi eil volto che esprime la sua profonda fede. È assortanella preghiera.A un tratto la donna mi chiede di parlare. Mi siedoaccanto a lei e, anticipandola, ledomando come mai sia lì. E mi bru-cia con una risposta che avevo sen-tito altre volte: «Vengo a pregare inChiesa quando non c’è nessuno,perchè la preghiera fatta con gli altrimi distrae». Colpito e affondato. Cosa significa «gli altri mi distraggo-no»? E allora tutta la vita di Gesùche punta sulla comunione dei cuorie la bellezza dello stare insieme? Equel «se due o tre sono riuniti nelmio nome là sono io» dei Vangeli,che fine fa?Non mi do tregua. Gli altri non mipossono distrarre dalla mia preghie-ra – penso –, anzi dovrebbero

essere i fratelli nella fede a completare le mie parolequando io ne sono a corto.Poi, mentre penso e ripenso alla frase di quella donna(che ringrazio perché mi ha riaperto un mondo in cuiridare senso alle cose che ritenevo scontate), mi sischiude dinanzi una realtà che spesso, forse per abi-tudine, avevo lasciato correre. Preso dai miei pensieri, leggo questo passo di padreRupnik: «La liturgia dei cristiani non è un luogo dovesi va a chiedere, dove si va a strappare qualcosa aDio come controparte, non è il luogo dove ci acca-parriamo qualcosa che garantisca il domani; la litur-gia è soprattutto il luogo in cui si rende grazie, illuogo dove, insieme, consapevoli di essere statiamati da Dio, esprimiamo la gioia di questa esperien-za, la gratitudine, la consapevolezza di avere un Diovicino. E lo diciamo ringraziando nella gioia e nel

canto; lo diciamo soprattuttonell’Eucarestia, che significaprecisamente rendere grazie,dire grazie, come espressionedella accoglienza del dono cheabbiamo ricevuto».Questo «luogo dove insieme»mi entra nel sangue e non miabbandona più. Ognuno di noiha bisogno di un luogo e diparole per vivere. Luoghi diver-si e parole del cuore che per-mettono di entrare in relazione.E allora anche il “rimanere”diventa un modo nuovo per“rivedere” il mio luogo e le mieparole che, nella preghiera,riservo a Dio.

insiemebellezza

6/Rimanere nella preghiera liturgica

di Tony Drazza

L’assistente nazionaleper il settore Giovanipresenta la sesta tappadel cammino spiritualedell’anno che ruotaattorno al verbo rimanere(indicato da papaFrancesco all’Ac assiemead andare e gioire).«Ogni momento dellapreghiera liturgicadovrebbe dare lapossibilità a ciascuno diintrecciare la Parola conla propria vita, il silenziocon le parole, il propriocuore con il cuore di Dio»

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stare pregare

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Rimanere e trovare Dio nella preghie-ra liturgica significa riscoprire la bellez-za di pregare insieme; riscoprire l’eb-brezza di avere vicino un’altra persona,perché con le sue parole e la sua pre-senza la mia preghiera si completa.Rimanere per incontrare Dio nella pre-ghiera liturgica significa fare l’esperien-za della gratuità. Sperimentare che Diosi avvicina a ciascun uomo e a ciascu-na donna nella sua situazione di vita eper tutti conserva una parola di bene-

dizione. Nessuno può ritenersi fuori da questo donogratuito e continuo da parte di Dio.Ma per permettere questo scambio di doni è neces-

sario che la nostra vita diventi terra accogliente. Chesia pronta e disponibile ad accogliere la vita dell’altro,permettendo inoltre che Dio mi parli attraverso il cuoredella persona che mi è vicina.D’altro canto la preghiera liturgica deve essere “prepa-rata”. Chi per servizio è chiamato alla guida dellacomunità dovrebbe avere a cuore la preghiera nellacomunità. Ogni momento della preghiera liturgicadovrebbe dare la possibilità a ciascuno di intrecciare laParola con la propria vita, il silenzio con le parole, ilproprio cuore con il cuore di Dio. Perché davvero con il cuore pieno di gioia possiamocomprendere appieno che «dove due o tre sono unitinel mio nome...». Lui, il Dio della vita, è presente. Equesta è la nostra gioia. �g

perché credere

Ma per permetterequesto scambio di doniè necessario che lanostra vita diventi terraaccogliente. Che siapronta e disponibilead accogliere la vitadell’altro, permettendoinoltre che Dio mi parliattraverso il cuore dellapersona che mi è vicina

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LA “CASA COMUNE” È, ALLO STESSO TEMPO, RESPONSABILITÀ E SOLIDARIETÀ

PUÒ ESISTERE L’EUROPA SENZA LA GRECIA?

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