SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI...guerra del Golfo e nella guerra del Libano del 1982 con...

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SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003) Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO (Curriculum Interprete e Traduttore) Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA “I Teatri Operativi: la comunicazione in guerra” RELATORI: CORRELATORI: prof.ssa Adriana Bisirri prof.ssa Claudia Piemonte prof. Dino Schettino prof.ssa Maria Nocito prof.ssa Tiziana Moni CANDIDATA: Valentina De Maria ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI

(Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)

Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma

TESI DI DIPLOMA DI

MEDIATORE LINGUISTICO

(Curriculum Interprete e Traduttore)

Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle

LAUREE UNIVERSITARIE IN

SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA

“I Teatri Operativi: la comunicazione in guerra” RELATORI: CORRELATORI: prof.ssa Adriana Bisirri prof.ssa Claudia Piemonte prof. Dino Schettino prof.ssa Maria Nocito prof.ssa Tiziana Moni

CANDIDATA: Valentina De Maria

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

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Indice

INTRODUZIONE 7

CAPITOLO I 10

TEATRI OPERATIVI 10

1.1 Differenza tra ONU e NATO 10 1.2 Cenni sull’ONU 10 1.3 Organi principali dell’ONU 13 1.4 Il Peace-keeping 14 1.5 I Teatri operativi dell’ONU 18 1.6 I Caschi Blu 24 1.7 Cenni sulla NATO 25 1.8 Nuove Alleanze 27 1.9 Teatri Operativi della NATO 29 1.10 La lotta al terrorismo 32

CAPITOLO II 37

GLI INTERPETRI NEI TEATRI OPERATIVI 37

2.1 Il corrispondente di guerra 37 2.2 Rapporto tra militari e civili nei teatri operativi 38 2.3 Status giuridico dell’interprete 41 2.4 Disturbo post-traumatico da stress 48 2.5 Le risposte del corpo allo stress 50 2.6 Trattamento e terapia 53

CAPITOLO III 56

L’INFLUENZA DEI MASS MEDIA IN GUERRA 56 3.1 L’influenza dei mass media in guerra 56 3.2 I mass media influenzano l’opinione pubblica 59 3.3 La 1° Guerra del Golfo in televisione 62 3.4 L’influenza dei mass media nella Guerra del Libano 1982 68 3.5 Missione UNIFIL 74 3.6 Il ruolo di Al-Manar nella guerra 75

CAPITOLO IV 78

L’ESERCITO ITALIANO NEI TEATRI OPERATIVI 78 4.1 I progetti CIMIC 78

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4.2 Esercito come mediatore di pace e linguistico 80 4.3 Interviste 84 CONCLUSIONE 89

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Index

INTRODUCTION 93

CHAPTER I 96

1.1 The UN and NATO 96 1.2 Terrorism 100

CHAPTER II 102

2.1 The war corrispondent 102 2.2 The relationship between the military and civilians

in operational sites 102 2.3 The legal status of interpreters 104 \ 2.4 Post traumatic stress disorder 107 2.5 Reactions of body stress 108 2.6 Treatment and therapy 110

CHAPTER III 111

3.1 The influence of war news in a conflict 111 3.2 Media influence on public opinion 112 3.3 The Gulf war on television 113 3.4 The influence of the mass media in the 1982 Lebanon war 116 3.5 Al-Manar’s role in the war 119

CHAPTER IV 121

4.1 CIMIC project 121 4.2 The army as a peace and language mediator 122 4.3 Interviews 124

CONCLUSION 125

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Index

INTRODUCTION 128

CHAPITRE I 131

1.1 L’ONU et L’OTAN 131 1.2 Le terrorisme 134

CHAPITRE II 135

2.1 Les acteurs civils 135 2.2 Les Relations entre les militaries et les acteurs civils 136 2.3 Le Statut juridique de l’interprete en guerre 136 2.4 Post traumatic stress disorde 139

CHAPITRE III 141

3.1 La communication en guerre 141 3.2 La guerre du Golfe 142 3.3 La guerre du Liban 1982 144 3.4 Al-Manar 146

CHAPITRE IV 148

4.1 Les project COCIM 148 4.2 Interviews 150

CONCLUSION 152

BIBLIOGRAFIA 154

SITOGRAFIA 155

RINGRAZIAMENTI 157

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SEZIONE

ITALIANA

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"La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto"

PeterDrucker

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INTRODUZIONE

Le modalità di risoluzione dei conflitti armati hanno subito notevoli

evoluzioni nel corso degli ultimi anni; spesso si sente utilizzare il termine di Peace

Support Operation (PSO), il quale comprende tutte le azioni a livello diplomatico,

umanitario e militare messe in atto da personale non solo militare, ma anche

civile, per risolvere una crisi politica internazionale. La scelta del tema di questa

tesi nasce da un’analisi della situazione odierna, degli anni più recenti, che

riguarda le caratteristiche del contesto bellico, degli operatori protagonisti nei

teatri operativi, del terreno dell’informazione e del suo rapporto con la guerra.

L’obiettivo è spiegare le problematiche scaturite nel corso del tempo nei più

importanti teatri operativi internazionali e come vengono affrontate dagli

operatori civili che operano in questi contesti bellici.

Verranno analizzate opere di storici come Bruce Cumings, atti di

convegno e saggi di studiosi della comunicazione; per quanto riguarda i giornalisti

si è dovuto fare una cernita dei saggi.

Si è proceduto, quindi, all’analisi di come il contesto bellico venga

affrontato da questi studiosi e quali siano gli aspetti trattati e sottolineati nei vari

studi.

Il primo capitolo della tesi tratta il tema sulla pace e sulla sicurezza

internazionale, verranno elencate le caratteristiche sia dell’ONU che della NATO,

le fasi di reclutamento dei contingenti nazionali che vi prendono parte, nonché i

requisiti che devono possedere per poter essere qualificati come operazioni di

missioni di mantenimento della pace (operazione di peacekeeping).

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A compromettere questa stabilità, però, nella maggior parte dei casi, è

proprio il terrorismo; per questo motivo, entrambe le organizzazioni internazionali

sopracitate partecipano attivamente alla lotta contro tale minaccia.

La seconda e la terza parte rappresentano il nodo centrale e si concentrano

sulla figura dell’interprete e sulla comunicazione televisiva.

Si analizzerà la figura dell’interprete in questi teatri operativi e ciò che

emerge dall’analisi del suo status giuridico. L’interprete, infatti, in questi contesti

bellici, non gode di una piena autonomia giuridica, come la figura del giornalista.

Si prenderanno, inoltre, in considerazione le norme relative alla disciplina

dell’interprete in caso di cattura nel corso dei conflitti armati ai sensi della IV

Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949.

Un altro elemento approfondito riguarda l’ipotesi in cui l’interprete sia

coinvolto in una situazione post-conflittuale, dove bisogna riportare la pace nel

territorio dopo un conflitto. I trattati che definiscono la condizione giuridica

dell’interprete in questi contesti sono definiti SOFA, il personale locale gode di

un’immunità dalla giurisdizione, sia di carattere penale che civile. Un esempio di

una missione regolata dai SOFA è la missione in Afghanistan.

Un ulteriore problema che potrebbe affrontare l’interprete impegnato in

zone di guerra è quella di dover testimoniare dinnanzi a tribunali penali che si

interessano a crimini internazionali commessi nell’area in cui egli opera (crimini

di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, ecc...). In questo caso, la figura

dell’interprete potrebbe essere messa a repentaglio una volta che le parti al

conflitto lo identifichino come un testimone “scomodo”.

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I civili impegnati in queste missioni subiscono diversi traumi legati ai

soggiorni in zone di guerra senza essere militari e senza poter, dunque, beneficiare

delle strutture create dall’esercito in questi casi.

Nel terzo capitolo viene analizzata l’influenza che ha l’informazione

televisiva nel contesto bellico; la televisione è diventata, infatti, l’unico strumento

che riesce ad entrare direttamente in un conflitto diventando l’unica conferma

della sua esistenza. Verrà, inoltre, analizzata l’influenza dei mass media nella

guerra del Golfo e nella guerra del Libano del 1982 con la partecipazione

dell’Esercito Italiano alla missione denominata UNIFIL. Verrà preso in esame, ad

esempio, il canale televisivo Al-Manar che incoraggia l’ideologia della resistenza

e della lotta contro l’occupazione israeliana e la distruzione dello Stato di Israele.

Nella quarta ed ultima parte si prenderà in esame l’operato dei militari

italiani impegnati nei diversi teatri operativi. Verrà posta un’accurata attenzione al

loro lavoro che, interagendo con la popolazione locale, li renderà verosimilmente

dei veri e propri mediatori di pace e linguistici. Si procederà con l’analisi della

partecipazione dell’Italia alle varie missioni (UNIFIL, ISAF), i progetti CIMIC e

le interviste ad alcuni militari implicati in questo arduo, ma affascinante

impegno.

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CAPITOLO I

I TEATRI OPERATIVI

1.1 Differenza tra ONU e NATO

Nonostante possano sembrare due organi equipollenti, vi sono molte

differenze tra l’ONU e la NATO. La prima evidente e fondamentale differenza

che si può evincere è che la NATO è un’organizzazione internazionale che si

occupa della difesa militare a favore di quei Paesi in situazione di crisi e delle

implementazioni delle risoluzioni del consiglio di sicurezza dell’ONU. L’ONU,

invece, è un’organizzazione intergovernativa che si occupa di sviluppo

economico, progresso socioculturale, diritti umani e sicurezza internazionale per i

Paesi in difficoltà. Mentre la NATO si occupa solo di risoluzioni a livello militare,

l’ONU ha un raggio di azione più ampio in termini di difesa dei diritti umani nel

mondo.

1.2 Cenni sull’ONU

Le Nazioni Unite sono state fondate il 24 Ottobre 1945 1

1 Uno degli accordi raggiunti durante la Conferenza di Jalta tenutasi dal 4 all'11 febbraio 1945, ribadì la volontà di istituire "un'organizzazione internazionale per la salvaguardia della pace e della sicurezza" e a questo scopo vennero stabilite le date della Conferenza di San Francisco (25 aprile 1945). I rappresentanti di 50 nazioni si riunirono per una conferenza dal titolo ufficiale "Conferenza delle Nazioni Unite sull'Organizzazione Internazionale" nella quale vennero elaborati i 111 articoli della Carta che fu adottata all'unanimità il 25 giugno 1945. Il giorno seguente essi la firmarono nell'auditorium della sala "Veterans' Memorial". La Polonia, che alla conferenza non era rappresentata firmò più tardi e quindi il numero dei paesi firmatari originari è 51.

da 51 nazioni

impegnate a preservare la pace e la sicurezza collettiva grazie alla cooperazione

internazionale. Oggi, praticamente, fa parte dell’ONU ogni nazione del pianeta; in

totale, 192 Paesi. Quando uno Stato diviene Membro delle Nazioni Unite, esso

stabilisce di accettare gli obblighi dello Statuto ONU, un trattato internazionale

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che fissa i principi fondamentali delle relazioni internazionali. Secondo quanto

disposto dallo Statuto, l’ONU svolge quattro funzioni: mantenere la pace e la

sicurezza internazionale, sviluppare relazioni amichevoli fra le Nazioni, cooperare

nella risoluzione dei problemi internazionali e nella promozione del rispetto per i

diritti umani, rappresentare un centro per l’armonizzazione delle diverse iniziative

nazionali. I Membri dell’ONU sono degli Stati Sovrani. Forniscono i mezzi per

aiutare a risolvere i conflitti internazionali e formulano politiche appropriate su

questioni di interesse comune. Alle Nazioni Unite tutti gli Stati Membri — grandi

e piccoli, ricchi e poveri, con differenti visioni politiche e diversi sistemi sociali

— fanno sentire la propria voce e votano per dar forma alle politiche della

comunità internazionale 2. Tutti gli Stati Membri dell’ONU sono rappresentati

nell’Assemblea Generale, una specie di parlamento delle Nazioni che si riunisce

regolarmente in sessioni speciali per esaminare i problemi mondiali più pressanti.

Ogni Stato Membro dispone di un voto. Le decisioni sugli “argomenti

importanti”, quali raccomandazioni sulle questioni relative alla pace e alla

sicurezza internazionale, l’ammissione di nuovi membri, il bilancio

dell’organizzazione, vengono prese con una maggioranza di due terzi. Altri

argomenti richiedono invece una maggioranza semplice. Negli ultimi anni è stato

fatto uno sforzo particolare per giungere alle decisioni per consenso, piuttosto che

mediante un voto formale. Il Fondo Monetario Internazionale3

2

, il Gruppo Banca

http://www.unric.org/it/informazioni-generali-sullonu 3 Il Fondo monetario internazionale (International Monetary Fund, di solito abbreviato in FMI in italiano e in IMF in inglese) è un'organizzazione composta dai governi di 188 Paesi e insieme al gruppo della Banca Mondiale fa parte delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla località in cui si tenne la conferenza che ne sancì la creazione. L'FMI è stato formalmente istituito il 27 dicembre 1945, quando i primi 29 stati firmarono l'accordo istitutivo e l'organizzazione nacque nel maggio del 1945. Attualmente gli Stati membri sono 188.

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Mondiale4 e altre tredici organizzazioni indipendenti conosciute come “agenzie

specializzate” 5 sono collegate all’ONU mediante accordi di collaborazione.

Queste agenzie, tra cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e

l’Organizzazione Internazionale per l’Aviazione Civile, sono organismi autonomi

creati da accordi intergovernativi. Essi hanno delle responsabilità internazionali a

largo raggio nel campo economico, sociale, culturale, educativo, sanitario e nei

settori collegati. Alcuni di essi sono stati istituiti prima dell’ONU stessa. Esiste

inoltre una pluralità di uffici, programmi e fondi dell’ONU — come l’Ufficio

dell’Alto Commissario per i Rifugiati (UNHCR)6, il Programma delle Nazioni

Unite per lo Sviluppo 7

4 La Banca Mondiale (acronimo BM, WB per l'inglese World Bank) comprende due istituzioni internazionali: la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) e l'Agenzia Internazionale per lo Sviluppo (AID o IDA), create per lottare contro la povertà e per organizzare aiuti e finanziamenti agli stati in difficoltà.[1] La sua sede è a Washington D.C.; il presidente è eletto per cinque anni dal consiglio di amministrazione della banca. Fa parte delle istituzioni specializzate dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. 5 Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO) Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (IBRD) Fondo Monetario Internazionale (IMF) Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile (ICAO) Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) Unione Postale Universale (UPD) Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO) Divisione Statistica (UNSD) Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (UNIDO) Organo Internazionale per il Controllo degli Stupefacenti (INCB) 6 L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati nasce all’indomani della seconda guerra mondiale col compito di assistere i cittadini europei fuggiti dalle proprie case a causa del conflitto. Sulla base di previsioni ottimistiche, il 14 dicembre 1950 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituisce l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) con un mandato di tre anni necessari per portare a termine il proprio compito e destinato poi a sciogliersi. Il 28 luglio dell’anno successivo viene adottata la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, base giuridica dell’assistenza ai rifugiati e statuto guida dell’attività dell’UNHCR. 7 Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (in inglese United Nations Development Programme, ossia UNDP, in francese, Programme des Nations unies pour le développement) è un'organizzazione internazionale sorta il 1º gennaio 1966, in seguito alla risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU) del 22 novembre 1965, dalla fusione del Programma ampliato di assistenza tecnica e del fondo speciale delle Nazioni Unite.

(UNDP) e il Fondo delle Nazioni Unite per

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l’Infanzia8

(UNICEF) — che lavorano per migliorare le condizioni economiche

sociali delle persone di tutto il mondo. Questi organismi riferiscono all’Assemblea

Generale o al Consiglio Economico e Sociale.

1.3 Organi principali dell’ONU

Gli organi principali delle Nazioni Unite sono: l’Assemblea Generale, il

Consiglio di Sicurezza, il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio di

Amministrazione Fiduciaria, la Corte Internazionale di Giustizia e il Segretario.

L’Assemblea Generale non può costringere uno Stato ad agire in un determinato

modo, ma le sue raccomandazioni costituiscono un’ importante indicazione di

quella che è l’opinione mondiale e rappresentano l’autorità morale della comunità

delle Nazioni9

8 Il Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia, anche UNICEF (già United Nations International Children's Emergency Fund, e dal 1953 United Nations Children's Fund) è un'agenzia delle Nazioni Unite fondata l'11 dicembre 1946 per aiutare i bambini vittime della seconda guerra mondiale. L'UNICEF, con sede centrale a New York, è presente in 158 paesi e si occupa di assistenza umanitaria per i bambini e le loro madri in tutto il mondo, principalmente nei paesi in via di sviluppo. I bambini ed i ragazzi sotto i 15 anni sono circa 2 milioni nel mondo. L'UNICEF è finanziato con contributi volontari di paesi, governi e privati e ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1965. 9 Sito internet : “Come funziona l’ONU”

. Durante la maggior parte della sessione 2004, l’Assemblea ha

affrontato più di 150 temi diversi, tra i quali la riforma delle Nazioni Unite, il

ripristino del rispetto per lo stato di diritto, i bisogni dei piccoli stati insulari in via

di sviluppo, il cambiamento climatico e i relativi disastri umanitari, e la

partecipazione di tutti gli Stati al sistema commerciale mondiale. Essa si è inoltre

occupata della situazione in molti Paesi e regioni diverse, inclusi l’Iraq e la

regione del Darfur in Sudan. L’Assemblea svolge le sue sessioni ordinarie annuali

da settembre a dicembre. Se necessario può riprendere la sessione o indire una

sessione speciale o di emergenza su questioni di particolare interesse.

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1.4 Il Peacekeeping

Il compito principale dell’ONU, ossia quello di preservare la pace, è svolto

mediante un organo rilevante, ossia il Consiglio di Sicurezza. Infatti, lo Statuto

delle Nazioni Unite affida al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale

del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Il Consiglio può

essere convocato in qualunque momento, ogni qual volta la pace venga

minacciata. Tutti gli Stati Membri sono tenuti a rispettare le decisioni del

Consiglio secondo lo Statuto dell’ONU. Esso è composto da 15 membri. Cinque

di essi — Cina, Francia, Federazione Russa, Gran Bretagna e Stati Uniti — sono

membri permanenti. Gli altri 10 vengono eletti dall’Assemblea con un mandato

biennale 10. Le decisioni del Consiglio richiedono una maggioranza di almeno

nove voti. Ad eccezione delle votazioni relative alle questioni procedurali,

nessuna decisione può essere presa nel caso in cui un voto negativo, o veto, venga

espresso da un membro permanente. Quando all’attenzione del Consiglio viene

sottoposta una questione che minacci la pace internazionale, in prima battuta si

cerca il modo per risolvere pacificamente la controversia. In questi casi il

Consiglio può avviare una mediazione o illustrare delle ipotesi per giungere a un

accordo. “Nel caso di combattimenti il Consiglio cerca invece di ottenere un

cessate il fuoco. Esso può inviare delle missioni per il mantenimento della pace,

peace-keeping, per far rispettare la tregua e tenere separate le opposte fazioni.

Quando si parla di peace-keeping si fa riferimento alle “Peace Support

Operations”11

10 Alessandro Polsi, “Storia dell'Onu”, Laterza, Bari, 2006

. Il termine PSO (Peace Suppport Operations), ossia “operazioni di

11 Questo termine fa parte di una categoria più ampia, che comprende le cd OOTW (Operations Other Than War) o con denominazione più corretta MOOTW (Military Operations Other Than War). Le OOTW/MOOTW comprendono tutte le attività svolte da formazioni militari terrestri, navali ed aeree che non siano operazioni belliche. Si tratta, quindi, essenzialmente di operazioni di supporto alla pace, di operazioni di assistenza umanitaria, di operazioni di cooperazione alle

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supporto della pace”, comprende le operazioni di “peace-keeping”, “peace-

enforcement”, ma anche “peace-making” e “peace-building”12. Nel loro insieme

costituiscono il cosiddetto “peace-keeping” allargato, cioè quello di seconda e di

terza generazione13

1. operazioni di “peace-making”, comportano attività prettamente

diplomatiche e di mediazioni, per convincere le parti coinvolte a raggiungere un

accordo senza l’uso di misure coercitive, ma comprende anche una dimensione

militare, come contatti fra esponenti delle forze armate, programmi di

addestramento e formazione per truppe e per elementi di polizia, dimostrazioni di

forza, quali possono essere esercitazioni, movimenti e ridislocazione di truppe,

schieramenti preventivi di contingenti armati;

.

Le PSO comprendono:

attività civili. Le OOTW/MOOTW, comunque, possono anche essere condotte, a dispetto della loro denominazione, in contesti bellici e/o parabellici (come in Kurdistan con l’operazione “Provide Comfort) o, ancora, sfruttando una cornice di sicurezza che ne consenta il regolare svolgimento (come l’operazione “Alba” in Albania) e sempre in stretta cooperazione con le autorità civili ubicate sul territorio. Bisogna precisare, tuttavia, che non esiste una dottrina comune né definizioni ufficiali in quanto, proprio per la diversità di esperienze avute, si registrano differenze anche notevoli fra stato e stato e perfino all’interno delle nazioni appartenenti alla stessa alleanza, NATO inclusa. Ogni stato sta quindi, sviluppando dottrine, applicando tecniche, predisponendo la formazione degli attori impegnati sul terreno con criteri tutto sommato abbastanza individuali e non sempre coordinati in campo internazionale. 12 Marchisio Sergio, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Il Mulino, Manuali, 2012 13 L’inizio delle operazioni di “peace-keeping” di seconda generazione si fa coincidere con il 1989, quando nelle missioni di pace la componente civile e le attività da essa svolte acquistano un peso praticamente equivalente, se non preponderante, rispetto alle attività di carattere militare. Ciò al fine di collegare l’obiettivo del mantenimento della pace con quelli della prevenzione di conflitti e del soddisfacimento di più generali finalità di carattere politico-sociale. Il “peace-keeping” della seconda generazione include così la vasta nozione del “peace-building”, cioè la realizzazione della condizione per una pace duratura, anche dopo il ritiro dei “caschi blu”. Tutto ciò significa che le operazioni possono includere il rimpatrio di rifugiati, come avvenuto in Cambogia, Namibia, ex Jugoslavia; l’assistenza umanitaria, come in Somalia, Liberia ed ex Jugoslavia; la protezione e promozione dei diritti umani, come in Ruanda; l’organizzazione e supervisione di elezioni politiche e di referendum, nonché la riabilitazione economica, l’assistenza per la bonifica delle mine, l’attività di informazione per la popolazione, l’addestramento e la consulenza per i funzionari governativi. Il “peace-keeping” della terza generazione abbraccia quegli interventi militari che, designati con il termine di OOTW (Operations Other Than War) prevedono l’eventuale uso della forza militare per realizzare l’obiettivo stabilito. Queste operazioni sono concepite come un “continuum” delle operazioni precedenti, qualora queste non siano riuscite a perseguire gli obiettivi, a causa della loro inadeguatezza originaria o per il sorgere di circostanze non esattamente prevedibili all’atto della formulazione del mandato. Esempi di “peace-keeping” della terza generazione possono essere considerati le operazioni in Katanga, la seconda missione in Somalia, quella in Bosnia-Erzegovina e in Croazia, la cosiddetta guerra del Golfo del 1991.

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2. operazioni di “peace-keeping”, comportano di solito l’invio di

personale sia militare che civile di una parte neutrale a garanzia di un accordo in

parte già raggiunto. Ciò dovrebbe costituire la premessa di un accordo per una

pace stabile e duratura. L’invio del personale deve avvenire con il consenso delle

parti in causa. Il “peace-keeping” si concretizza nel monitoraggio dei confini e

delle linee di demarcazione, nel controllo delle tregue, nell’istituzione e nel

presidio di zone cuscinetto e smilitarizzate, nella sorveglianza del ripiegamento su

linee concordate di forze militari e paramilitari, nella vigilanza sulla

smobilitazione e sul disarmo delle parti in causa.

3. operazioni di “peace-building”14, consistono in attività poste in essere

al termine di un conflitto o di una guerra civile; attività volte a rafforzare e

consolidare la pace già raggiunta, attuandosi anche nel ripristino delle condizioni

di vita ordinarie15

4. operazioni di “peace-enforcement”, comportano l’uso della forza

militare vera e propria per realizzare l’obiettivo stabilito. In ambito ONU è stato

applicato solo due volte: in Corea, direttamente ed istituendo un organismo

militare ad hoc, anche se quasi esclusivamente statunitense, e durante la

cosiddetta guerra del Golfo contro l’Iraq, attraverso una coalizione

multinazionale. In altre situazioni, le Nazioni Unite hanno tuttavia autorizzato

o in semplici aiuti economici;

14 A sua volta suddiviso in “nation-building” (per ricostruire uno Stato completamente dissolto, vedi il caso della Somalia. L’operazione “Alba” in Albania può essere considerata un caso di “nation-building” indiretto, in quanto l’allora esistente struttura governativa ed amministrativa non era nelle condizioni di esercitare le forme tipiche della sovranità statale) e in “peace-restoring” in cui trovano posto misure di fiducia e di sicurezza, le cosiddette CSBM – Confidence and Security Building Measures, buoni uffici e mediazione e si protrae nel tempo in una determinata area (un esempio di questa attività è stata l’azione svolta nell’Iraq settentrionale tra il 1991 e il 1996, ove delegati ONU, di altre organizzazioni internazionali e non governative, della forza multinazionale si incontravano con rappresentanti iracheni per definire e avviare programmi di normalizzazione come la ripresa dei servizi elettrici, idrici, postali). Ultimamente stanno crescendo d’importanza le attività volte al controllo di elezioni libere e imparziali (free and fair) e al rientro in patria dei profughi. 15 Ultimamente stanno crescendo d’importanza le attività volte al controllo di elezioni libere e imparziali (free and fair) e al rientro in patria dei profughi.

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17

l’uso della forza anche ad organizzazioni regionali, come avvenuto in Congo, in

Somalia, in Bosnia. Questa situazione, non prevista inizialmente nelle procedure

ONU, ha ormai piena dignità giuridica e tutte le nuove missioni di pace dell’ONU

fanno costante riferimento all’uso della forza per garantire l’applicazione delle

risoluzioni del Consiglio di Sicurezza16

“Nel tentativo di dare maggiore forza alle proprie decisioni, il Consiglio di

Sicurezza può imporre sanzioni economiche ed ordinare un embargo sugli

armamenti. In rare occasioni, peraltro, il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato

gli Stati Membri a impiegare tutti i mezzi necessari, comprese azioni militari

collettive, per garantire che le sue decisioni venissero rispettate”

.

17

.

16 “Inquadramento Giuridico delle Forze Impegnate in Operazioni di Peace-Keeping e Ordinamento Italiano”. 17 Sito internet: “Cenni sull’ONU”.

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18

1.5 I Teatri operativi dell’ONU

L’ONU ha operato in tutti i continenti attraverso le sue missioni umanitarie;

nel continente africano possiamo citare:

• la lunga campagna contro l’apartheid in Sud Africa18

• L’attivo sostegno in favore dell’indipendenza della Namibia

19

• Liberia

20

• Costa d’Avorio

21

• La Missione delle Nazioni Unite recentemente autorizzata in Sudan

22

18 L’ONU fu la prima organizzazione che raccogliendo l’appello dell’African National Congress nel 1962 chiese l’interruzione di tutti i rapporti commerciali con il Sudafrica e definì l’apartheid un " crimine contro l’umanità". Nel 1963 una risoluzione ONU proibiva la vendita e l’invio di armi e materiale militare in Sudafrica; mentre nel 1979 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite invitava gli Stati ad interrompere le relazioni diplomatiche, militari, economiche e nucleari e a prendere misure per impedire la collaborazione con il regime dell’Apartheid di compagnie multinazionali, banche e altre istituzioni. Nell’ambito dell’ONU fu costituito un Comitato Speciale contro l’Apartheid. 19 Terminata anche la seconda guerra mondiale, nel 1947 il Sudafrica manifestò formalmente alle Nazioni Unite l’intenzione di procedere all’annessione del territorio namibiano. L’ONU - che aveva ereditato dalla Società delle Nazioni la responsabilità sulle colonie in amministrazione fiduciaria - rifiutò, con la motivazione che gli abitanti africani dell’Africa sud-occidentale non avevano ancora raggiunto una propria autonomia politica. L’ONU continuò a ribadire questa sua posizione anno dopo anno fino al 1961, sistematicamente ignorata dai governi del regime razzista sudafricano. Nel 1968 l’ONU dichiarò finalmente illegale l’occupazione sudafricana del paese, che a partire da questo momento fu chiamato ufficialmente Namibia. Venne istituito un Consiglio delle Nazioni Unite per la Namibia con funzione di rappresentante legale della Namibia fino al momento in cui la sovranità non potesse essere liberamente esercitata dal suo popolo. Ciononostante, i tentativi della maggioranza dell’Assemblea generale dell’ONU per imporre sanzioni al Sudafrica si scontrarono ripetutamente contro il veto delle potenze occidentali. 20 La Missione delle Nazioni Unite in Liberia (UNMIL dall'inglese United Nations Mission in Liberia) stabilita dal Consiglio di Sicurezza il 19 settembre 2003 con la risoluzione 1509 .La missione si è resa necessaria per garantire al paese una normale transizione democratica dopo l'abbandono del paese da parte del dittatore Charles Taylor e gli accordi di Accra. Il mandato della missione è di verificare il rispetto del cessate il fuoco nel paese, monitorare lo smobilitamento delle truppe irregolari, aiutare il governo nel costruire nuove infrastrutture e garantire lo svolgimento delle elezioni presidenziali che si sono tenute nel 2005. 21 L' Operazione delle Nazioni Unite in Costa d'Avorio (UNOCI dall'inglese United Nations Operation in Côte d'Ivoire) è una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite. Compito della missione è quello di "facilitare la realizzazione del trattato di pace di pace firmato dai partiti della Costa d'Avorio nel gennaio del 2003" dopo la fine della Guerra civile in Costa d'Avorio. La missione fu autorizzata il 27 febbraio 2004, ed è diventata effettiva nell'aprile dello stesso anno con la durata iniziale di un anno. Il mandato però è stato più volte rinnovato, attualmente la scadenza della missione è per il giugno 2007. La composizione del battaglione era di 7.200 soldati.

22 La Missione delle Nazioni Unite nel Sudan (UNMIS dall'inglese United Nations Mission In Sudan) creata con la risoluzione 1590 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 24 marzo, 2005 dopo la firma, il 9 gennaio 2005, dell'accordo di pace tra il governo del Sudan e il Movimento di Liberazione Popolare del Sudan. Il mandato dell' UNMIS è quello di garantire il rispetto degli accordi e di fornire assistenza umanitaria alla popolazione, di promuovere i diritti umani, e di supportare la Missione dell'Unione Africana in Sudan. Attualmente il cessate-il-fuoco

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19

Le Nazioni Unite hanno intrapreso ampi sforzi diplomatici per ripristinare la

pace nella regione dei Grandi Laghi e collaborano alla preparazione di un

referendum sul futuro del Sahara Occidentale23

• Afghanistan

. In Africa le Missioni sul campo

delle Nazioni Unite portano avanti le attività di costruzione della pace (peace-

building) nella Repubblica Centrale Africana, in Guinea-Bissau, in Somalia e

nella regione dell’Africa Occidentale.

Per quanto riguarda in Asia e nel Pacifico:

24

• Il monitoraggio della linea di cessate il fuoco tra India e Pakistan

• Il sostegno ai governi delle Papua Nuova Guinea e Bougainville a

raggiungere un accordo di vasta portata relativo alle questioni dell’autonomia, del

referendum e del disarmo.

• Libano25

Gli operatori di pace dell’ONU hanno avuto un ruolo fondamentale nel risolvere i

prolungati conflitti dell’America Centrale:

• In Nicaragua26

è rispettato da entrambe le parti, anche se va detto che non tutti i gruppi hanno firmato l'accordo. La situazione umanitaria rimane comunque grave soprattutto nei campi profughi. 23 MINURSO è la missione di pace delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale. Il nome è un acronimo dal nome francese della missione: "Mission des Nations Unies pour l'Organisation d'un Référendum au Sahara Occidental" - Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale. La missione MINURSO iniziò nel 1991, come parte del programma di soluzione del conflitto, iniziato con il cessate il fuoco nel conflitto fra il Marocco e il Fronte Polisario. 24 A partire dal 2002, la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan ha lavorato per promuovere una riconciliazione nazionale e per adempiere ai compiti affidati alle Nazioni Unite con l’Accordo di Bonn del 2001 – compresi i settori dei diritti umani, dello stato di diritto e delle pari opportunità - così come l’amministrazione di tutte le attività umanitarie, di assistenza, di ripresa e di ricostruzione delle Nazioni Unite in Afghanistan, in coordinazione con il governo afgano. 25 UNIFIL è l'acronimo di United Nations Interim Force in Lebanon, ovvero Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite. Fu creata con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 19 marzo 1978. 26 Nel 1989, in Nicaragua, lo sforzo di pace ha portato alla volontaria smobilitazione del movimento di resistenza, i cui membri hanno consegnato le proprie armi all’ONU. Nel 1990 una missione delle Nazioni Unite ha controllato lo svolgimento delle elezioni in Nicaragua — le prime elezioni svolte sotto il controllo ONU in una nazione indipendente.

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• In El Salvador27

• In Guatemala

28

In Europa possiamo citare le missioni:

• A Cipro29

• Dal 1992 al 1995, gli operatori di pace delle Nazioni Unite hanno

aiutato a portare la pace e la sicurezza in Croazia, a proteggere i civili in Bosnia-

Erzegovina e ad assicurare che l’ex Repubblica di Macedonia non venisse

coinvolta nel conflitto

• In Kosovo30

• In Medio Oriente:

• Il coinvolgimento delle Nazioni Unite nel conflitto Arabo-Israeliano

• Sono state costituite due forze per il mantenimento della pace. Una,

creata nel 1974, serve a mantenere un’area di separazione fra le truppe israeliane e

quelle siriane sulle Alture del Golan. L’altra, formata nel 1978, contribuisce alla

stabilità nel Sud del Libano; nel 2000 ha verificato il ritiro delle forze israeliane

dall’area.

27 In El Salvador, i colloqui di pace svolti con la mediazione del Segretario Generale hanno posto fine a un conflitto che durava da 12 anni e una missione ONU per il mantenimento della pace sta verificando l’attuazione di tutti gli accordi. 28 In Guatemala, trattative assistite dalle Nazioni Unite hanno posto la parola fine a una guerra civile che continuava ormai da 35 anni 29 La forza delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace a Cipro continua a controllare le linee di cessate il fuoco, a mantenere la zona cuscinetto e a svolgere attività umanitarie sull’isola divisa. La sua presenza rappresenta un elemento positivo per gli sforzi diplomatici del Segretario Generale e dei suoi Consiglieri Speciali, sforzi volti a promuovere i negoziati e a raggiungere un ampio compromesso. 30 Oggi, la Missione di amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK, ossia United Nations Interim Administation Mission in Kosovo) continua a collaborare con la popolazione del Kosovo per la creazione di una società democratica, funzionante e con una effettiva autonomia. Creata nel 1999 a seguito della fine dei bombardamenti aerei della NATO e del ritiro delle forze jugoslave, l’UNMIK riunisce forze dell’Unione Europea, dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e le Nazioni Unite sotto la protezione del sistema ONU.

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• In Iraq31

Preservare la pace.

Le Nazioni Unite assicurano il mantenimento della pace e la cessazione di

ogni forma di violenza attraverso:

• Il disarmo; fermare la proliferazione degli armamenti e ridurre ed,

eventualmente, eliminare tutte le armi di distruzione di massa costituisce uno dei

principali obiettivi delle Nazioni Unite. L’ONU ha costituito un forum

permanente per le trattative sul disarmo, avanzando raccomandazioni in proposito

e iniziando degli studi sull’argomento. È a favore, tra l’altro, delle trattative

multilaterali nella Conferenza sul Disarmo e in altri organismi internazionali.

Queste trattative hanno prodotto accordi quali il Trattato per la “Non

Proliferazione Nucleare” 32 (1968), il Trattato per il “Bando Totale dei Test

Nucleari” (1966) e i trattati che istituiscono le zone denuclearizzate. Altri trattati

ratificati grazie al supporto dell’ONU sono quelli che proibiscono lo sviluppo, la

produzione e lo stoccaggio di armi chimiche33 (1992) e batteriologiche34

31 In Iraq, a seguito della fase più attiva della guerra, il Consiglio di Sicurezza, il 14 agosto del 2003, ha creato la Missione di assistenza ONU per l’Iraq (UNAMI, ossia United Nations Assistance Mission in Iraq). Il suo obiettivo era quello di coordinare l’assistenza umanitaria e di ricostruzione e di assistere durante i processi politici volti a creare un governo di sovranità riconosciuta a livello internazionale in Iraq. Alcuni giorni più tardi, il 19 agosto, il quartiere generale delle Nazioni Unite a Bagdad è stato obiettivo di un attacco terrorista causa della morte di 22 persone, compreso il capo della Missione Sergio Vieira de Mello, e di oltre 150 feriti. 32 Il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) è un trattato internazionale sulle armi nucleari che si basa su tre principi: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare. Il trattato, composto di 11 articoli, proibisce agli stati firmatari "non-nucleari" di procurarsi tali armamenti e agli stati "nucleari" di fornir loro tecnologie nucleari belliche. Inoltre il trasferimento di tecnologie nucleari per scopi pacifici (ad esempio per la produzione elettrica) deve avvenire sotto il controllo della AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica). 33 Le armi chimiche sono armi usate in combattimento che utilizzano le proprietà tossiche di alcune sostanze chimiche per uccidere, ferire o comunque mettere fuori combattimento il nemico. Le armi chimiche sono diverse da quelle convenzionali o da quelle nucleari perché i loro effetti distruttivi non sono strettamente dovuti ad una esplosione. L'uso di microorganismi nocivi (come l'antrace) non rientra nelle armi chimiche ma in quelle biologiche, ma l'uso di sostanze nocive prodotte da organismi (per esempio la tossina botulinica, la ricina o la saxitossina) rientra sotto il controllo della Convenzione sulle armi chimiche. 34 Un'arma biologica è un agente microbiologico nocivo, o una tossina da esso prodotta, utilizzato mediante uno strumento di offesa al fine di diffondere la contaminazione e il contagio in territori e popolazioni nemiche. Rientra pertanto tra le armi di distruzione di massa.

(1972),

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bandiscono le armi nucleari dai mari, dagli oceani (1971) e dallo spazio (1967);

vietano o limitano altre tipologie di armamenti. Nel febbraio del 2005 erano 144 i

Paesi aderenti alla Convenzione di Ottawa del 1997 35

• Pacificazione; l’attività di realizzazione della pace dell’ONU conduce

parti ostili all’accordo utilizzando i mezzi della diplomazia. Il Consiglio di

Sicurezza, nei suoi sforzi per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, può

raccomandare strade per evitare il conflitto, o ristabilire o garantire la pace —

mediante trattative, per esempio, o facendo ricorso alla Corte Internazionale di

Giustizia. Il Segretario Generale riveste a propria volta un ruolo importante nello

stabilire la pace. Il Segretario Generale può sottoporre all’attenzione del Consiglio

di Sicurezza qualunque questione che sembri minacciare la pace e la sicurezza

internazionale. Il Segretario Generale intraprende inoltre azioni di “diplomazia

preventiva”, volte a risolvere le dispute prima che queste peggiorino.

che bandiva le mine

antiuomo. A tale proposito, l’ONU incoraggia tutte le nazioni ad aderire a questo

e ad altri trattati che mettono al bando gli armamenti. Le Nazioni Unite stanno

inoltre sostenendo gli sforzi per prevenire, combattere e sradicare il commercio

illecito delle armi di piccolo calibro e delle armi leggere – le armi utilizzate nella

maggior parte dei conflitti nel mondo. Inoltre all’AIA, l’Organizzazione per la

Proibizione delle Armi Chimiche raccoglie informazioni sugli impianti chimici

del mondo intero e conduce ispezioni periodiche per garantire il rispetto della

convenzione sugli armamenti chimici.

35 Il trattato di Ottawa, anche conosciuto come Convenzione internazionale per la proibizione dell'uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione è un trattato che si propone di eliminare le mine antiuomo nel mondo. Due Stati hanno firmato ma non ratificato, mentre 34 Stati delle Nazioni Unite non hanno sottoscritto, per un totale di 36 Stati delle Nazioni Unite che non aderiscono. Tra gli stati che nel 1997 hanno firmato il trattato abbiamo, l'Italia, ma non gli Stati Uniti. Nei primi anni novanta l'Italia era uno dei principali produttori di mine antiuomo.

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• Costruzione della pace; nel tentativo di riuscire a costruire la pace dopo

la guerra, l’ONU sta sempre più spesso intraprendendo attività che si concentrano

sulle cause che sono all’origine del conflitto. A tale proposito, l’assistenza allo

sviluppo rappresenta un elemento chiave. Lavorando in collaborazione con il

sistema ONU, dei Governi ospitanti e delle ONG, le Nazioni Unite cercano quindi

di favorire il buon governo, di ripristinare legge e ordine, indire elezioni e favorire

il rispetto dei diritti umani in Nazioni che si battono per superare le conseguenze

del conflitto. Al tempo stesso, così facendo, aiutano queste Nazioni nella

ricostruzione del sistema amministrativo, sanitario, educativo e degli altri servizi

collassati a causa dei conflitti.

Alcune di queste attività, come ad esempio la supervisione che nel 1989

l’ONU ha prestato alle elezioni in Namibia 36

• Mantenimento della pace; il Consiglio di Sicurezza decide le

operazioni ONU per il mantenimento della pace e definisce loro estensione e

mandato negli sforzi per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. La

maggior parte delle operazioni comportano degli obblighi militari: verificare il

, i programmi di sminamento in

Mozambico e l’addestramento delle forze di polizia ad Haiti, si svolgono nella

cornice di un’operazione ONU per il mantenimento della pace e possono

proseguire anche dopo la fine dell’operazione stessa.

36 Alla fine della guerra, nel 1920, la Società delle Nazioni stabilì che il territorio doveva costituire parte dell’Unione Sudafricana e come tale fu sottoposta ad un regime di mandato. In seguito le Nazioni Unite chiesero al governo Sudafricano di trasformare questo regime in altro ad amministrazione fiduciaria,oppure di concedere al territorio l’indipendenza. E poiché il governo sudafricano si rifiutò di aderire alla richiesta, le Nazioni Unite decisero di chiedere l’intervento della Corte Internazionale di Giustizia. Questa nel 1950 sentenziò che: 1)- il territorio sottoposto al mandato internazionale assunto dall’Unione Sudafricana doveva continuare in questo sodalizio a rispettare gli obblighi assunti con l’articolo 22 del Trattato della Società delle Nazioni; 2)- l’Unione Sudafricana non era obbligata a soddisfare le richieste delle Nazioni Unite; 3)- l’Unione Sudafricana, da sola, non aveva la competenza di applicare variazioni al mandato, ma poteva farlo in accordo con le Nazioni Unite – E poiché l’Unione Sudafricana non riconosceva le Nazioni Unite come eredi della Società delle Nazioni, rimase nei suoi fermi propositi e tutto rimase inalterato.

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rispetto di un cessate il fuoco, ad esempio, o creare una zona cuscinetto mentre i

negoziatori cercano di trovare una soluzione a lungo termine. Altre operazioni

possono invece richiedere l’impiego di forze di polizia o il coinvolgimento di

civili che aiutino a organizzare le elezioni o a controllare il rispetto dei diritti

umani. Altre ancora sono state predisposte per verificare gli accordi di pace, in

collaborazione con le forze di mantenimento della pace di organizzazioni

regionali. Gli operatori di pace dell’ONU vanno dove c’è bisogno di loro,

malgrado i rischi.

Le operazioni per il mantenimento della pace possono avere una durata che

va da pochi mesi a molti decenni. L’operazione dell’ONU sulla linea del cessate il

fuoco fra India e Pakistan nello Stato del Jammu e del Cashmire, ad esempio, ha

avuto inizio nel 1949, e gli operatori di pace sono a Cipro dal 1964.

Dal primo dispiegamento degli operatori di pace dell’ONU avvenuto nel

1948, circa 130 Paesi hanno contribuito volontariamente con più di 1 milione di

soldati, ufficiali di polizia e civili. Essi hanno prestato servizio, assieme a migliaia

di civili, in circa 60 operazioni di mantenimento della pace. Dal febbraio del 2005,

103 Paesi hanno contribuito con circa 67.000 operatori in divisa – una cifra

record.

1.6 I Caschi Blu

Le Nazioni Unite operano in questi teatri operativi tramite i cosiddetti

“Caschi Blu”; la Forza d’emergenza delle Nazioni Unite (“Caschi Blu”) è stata

creata nel 1956, in occasione della crisi di Suez ed è composta da circa 46 mila

uomini, con un costo di poco superiore ai 3000 miliardi di euro all’anno. Deciso

dal Consiglio di Sicurezza o dall’Assemblea Generale dell’Onu, il loro intervento

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non può aver luogo senza il consenso degli Stati in conflitto. “Caschi Blu” è un

termine informale adottata per la forza militare internazionale dell’Organizzazione

delle Nazioni Unite (ONU); deriva dal colore dell’elmetto in dotazione alle

truppe.

I Caschi Blu sono formati da reparti messi a disposizione del Consiglio di

sicurezza, su sua richiesta, dai paesi membri dell’ONU al fine di contribuire al

mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Si tratta di forze non

combattenti. Scopo del loro impiego è dividere i contendenti, impedire

l’allargamento dei conflitti, controllare il rispetto dei ‘cessate il fuoco’. La tecnica

di interposizione fu adottata per la prima volta nel 1956 dalle Forze di Emergenza

delle Nazioni Unite (NUEF) che, durante la crisi di Suez, fecero da cuscinetto fra

le truppe anglofrancesi e israeliane da una parte e quelle egiziane dall’altra. Tra le

molte missioni dei Caschi Blu si ricordano quelle compiute in Congo, a Cipro, nel

Golan, in Libano meridionale, in Cambogia, ad Haiti. Nella difficile missione

durante il conflitto in Bosnia l’UNPROFOR, la Forza di protezione dell’ONU,

incapace di impedire eccidi di civili e atrocità, venne ritirata e sostituita da una

Forza di interposizione della NATO. Nel 1988 ai Caschi Blu è stato conferito il

premio Nobel per la pace.

1.7 Cenni sulla NATO

La NATO, ovvero l’Organizzazione del Patto dell’Atlantico del Nord (in

inglese, North Atlantic Treaty Organization), è un organismo internazionale

creato essenzialmente per difendere le nazioni occidentali contro la minaccia

rappresentata dall’ex unione sovietica.

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La Nato nasce il 4 aprile

1949 a Washington per definire

come collaborare, tra paesi

diversi, e come intervenire in

difesa di uno dei partecipanti, in

caso di attacchi esterni.

All’inizio il patto era solo tra dieci paesi dell’Europa (Belgio, Danimarca, Francia,

Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda Portogallo) e due

paesi americani (Canada e USA). Poi si sono aggiunti altri paesi e, mentre fino a

poco tempo fa erano in totale diciannove, oggi, grazie all’ingresso della Russia,

sono diventati venti. Nell’art.137

I rappresentanti si incontrano a Bruxelles, in Belgio, località in cui ogni

Paese manda un suo rappresentante e dove si incontrano, in occasioni speciali, i

capi di Stato dei singoli Paesi. Il portavoce della NATO, cioè la persona che

si definiscono i principi fondamentali ai quali

debbono conformarsi gli Stati membri nelle loro relazioni internazionali.

Questo organismo è nato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto

perché gli Stati Uniti temevano attacchi dal grande nemico che era ancora la

Russia. Oggi i rapporti tra Stati Uniti e Russia sono molto migliorati e il ruolo

della Nato è, in generale, quello di difendere sicurezza e libertà in tutti i Paesi che

ne fanno parte. Nello specifico, i Paesi membri di questa importante coalizione

sono: Belgio, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Grecia,

Islanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna,

Turchia, Ungheria, Regno Unito, Stati Uniti e appunto Russia.

37 “Le parti si impegnano, come è stabilito nello Statuto delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale nella quale potrebbero essere implicate, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza in modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite”.

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comunica a nome di tutti, le decisioni prese dalla NATO, è il Segretario Generale,

scelto da tutti i Paesi38

.

Di recente, come detto in precedenza, è diventata membro a tutti gli effetti

dell’Alleanza Atlantica anche la Russia, cosa che rappresenta un evento storico.

La Nato è così passata dalla formula che si era andata consolidando dopo il crollo

del muro di Berlino e del regime sovietico, ossia del 19+1 (19 membri + la Russia

alla quale veniva chiesto un parere, non vincolante, sui temi trattati dall’Alleanza)

a 20 membri effettivi ciascuno dei quali ha facoltà di veto e la possibilità di

riconsiderare in sede separata gli argomenti respinti dal Consiglio (facoltà di

reintegro).

Le finalità dichiarate dal Consiglio NATO - Russia sono la pace e il

disarmo. I termini del trattato prevedono la difesa su temi scottanti come la lotta al

terrorismo e alla criminalità organizzata; la partecipazione ad operazioni di pace

(come le missioni di ricerca e di salvataggio e la pianificazione di operazioni volte

ad affrontare situazioni di emergenza) e il controllo sulla non-proliferazione delle

armi di distruzione di massa.

1.8 Nuove Alleanze

L’art. 5 del trattato dice esplicitamente che in caso di attacco armato ad uno

o più paesi dell’Alleanza Atlantica, tutti i paesi si impegnano, anche con le armi, a

difendere il paese o i paesi attaccati a salvaguardia della sicurezza dell’Alleanza

stessa.

38 Phil Williams, “North Atlantic Treaty Organization: NATO”, Transaction Pub, International Organization Series, New Jersey, 2005

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Il 29 marzo 2004 entrano a far parte della NATO Bulgaria, Estonia,

Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. È il quinto e più grande

allargamento nella storia dell’alleanza.

Nel marzo del 2009 la Francia ha annunciato, dopo 43 anni di assenza, di

voler rientrare nel Comando Militare Integrato dell’Alleanza. Nel mese di aprile

del 2009 anche Albania e Croazia hanno completato il processo di adesione: è il

sesto allargamento nei sessant’anni di storia dell’Alleanza Atlantica. Dopo la fine

della contrapposizione ideologica e militare tra Est ed Ovest, conseguente ai noti

avvenimenti della fine degli anni ’80, la NATO è stata coinvolta nella ritrovata

capacità di intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nel settore

del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Infatti nel conflitto

della ex Jugoslavia le forze armate della NATO hanno avuto modo di essere

impiegate a sostegno dell’azione dell’ONU.

Già nel 1992, invero, la NATO, superando gli stessi limiti del suo Trattato

istitutivo, ha offerto la propria struttura militare integrata per il coordinamento

dell’attività degli Stati Membri dell’Alleanza impegnati a collaborare con l’ONU

nel tentativo di sedare tale conflitto e di riportare la situazione alla normalità.

Differente e sicuramente più impegnativo è stato però il ruolo dell’Alleanza

dopo gli accordi di Dayton del 1995. “Infatti, a partire da questo momento la

NATO ha utilizzato la sua catena di Comando, Controllo, Comunicazione ed

Intelligence (C3) non solo per coordinare le operazioni dei suoi membri, bensì

per ricoprire il ruolo di leadership di tutte le nazioni partecipanti alle operazioni

nella ex Jugoslavia, NATO e non, affidatogli dall’ONU”39

39 Citato da “Il contributo italiano alle operazioni di pace deliberate dall’ONU”

.

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1.9 Teatri Operativi della NATO

L’Italia ha sempre contribuito attivamente alla vita di questa

organizzazione; sul versante delle operazioni – consapevole dell’importanza della

stabilità e pace nei Balcani occidentali – ha sostenuto con convinzione le missioni

in Bosnia degli anni 90 e continua il proprio importante impegno in KFOR. Dal

2001, inoltre, l’Italia sostiene le attività della NATO e della Comunità

Internazionale nel suo insieme in Afghanistan, nel quadro della missione ISAF.

All’Italia è stato affidato il comando della provincia di Herat e del Regional

Command West. Nel 2011, convinta che la sicurezza alleata passa anche

attraverso quella del Mediterraneo e dei suoi paesi rivieraschi, l’Italia ha fornito

un contributo essenziale, in termini logistici e operativi, allo sforzo internazionale

per la protezione della popolazione civile in Libia.

Dall’Afghanistan al Kosovo, dall’Iraq alla Libia, passando per le azioni di

contrasto alla pirateria, fino ad arrivare alla lotta al terrorismo internazionale,

l’Italia non ha mai mancato di fornire il suo apporto alle principali missioni e

operazioni della NATO.

Alcune missioni NATO alle quali ha partecipato l’Italia sono:

• In Iraq (Inizio missione: 14 agosto 2004 / fine missione: 31 dicembre

2011), Il contributo nel settore dell’addestramento/formazione è stato costituito da

un team per lo svolgimento di corsi per “Senior” e “Junior Staff Officer” presso il

“Joint Staff College” e da un team dell’Arma dei Carabinieri che provvedeva

all’addestramento dell’Iraq i National Police (INP)40

• In Bosnia (Inizio missione: 1 dicembre 1995 / fine missione: 1

dicembre 2004), il personale italiano impegnato nella missione Ifor/Sfor in

.

40 Sito internet “Esercito Italiano”

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Bosnia-Erzegovina comprendeva gli uomini inquadrati nel Comando Ifor/Sfor

dislocato a Sarajevo nella base di Ilidza .

• In Albania (Inizio missione: 1 aprile 1999 / fine missione: 31 agosto

1999), dalla fine del 1998 l’Albania è interessata da un continuo flusso di profughi

dal Kosovo, in seguito alla repressione messa in atto dai Serbi. Tale flusso ha

assunto proporzioni gigantesche da fine marzo 1999, in concomitanza con l’inizio

dei bombardamenti NATO in RFJ, interessando il Montenegro, la Bosnia, la

Macedonia e l’Albania. A metà aprile sono stati stimati in 300.000-350.000 i

profughi presenti nella sola Albania. A fronte di questa tragedia umana, la

Comunità Internazionale in generale e l’Italia in particolare si sono mosse per

fornire solidarietà ed assistenza.

• In Macedonia (Inizio missione: 9 dicembre 1998 / fine missione: 1

marzo 1999), il contributo italiano all’Operazione NATO in Macedonia

(FYROM) ha avuto inizio il 9 dicembre 1998.

La forza multinazionale, inquadrata nell’operazione NATO “Joint

Guarantor” aveva il compito di evacuare i verificatori dell’OSCE

(Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dal Kosovo,

qualora imposto dalle condizioni di sicurezza.

• In Macedonia (Inizio missione: 22 agosto 2001 / fine missione: 16

ottobre 2001), a seguito del grave peggioramento della situazione interna alla

FYROM (Former Yugoslavian Republic of Macedonia), legato al movimento di

guerriglia filo-albanese denominatosi UCK, il Presidente Macedone Trajkowski in

data 14 giugno 2001 chiedeva formalmente il sostegno della NATO e dell’Unione

Europea per la soluzione dei problemi interni del giovane paese balcanico.

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• In Pakistan (Inizio missione: 7 novembre 2005 / fine missione: 31

dicembre 2005), nel quadro degli aiuti forniti al Pakistan dall’Alleanza Atlantica

(Euro Atlantic Disaster Response Coordination Center), il 7 novembre 2005 è

partito dal porto di Civitavecchia un contingente di 250 militari dell’Esercito

Italiano per una missione di soccorso e di supporto alla ricostruzione in favore

delle popolazioni del Pakistan colpite l’8 ottobre 2005 da un violento terremoto

che ha interessato il sud-est asiatico.

Le missioni attualmente in corso alle quali l’Italia è impegnata sono:

• In Kosovo (Inizio missione: 12 giugno 1999 / stato: in atto). La

missione viene svolta sotto il cui comando NATO. In sede Nato la missione è

stata denominata Operazione Joint Guardian e alla fine del 2004 ha preso il nome

di Operazione Joint Enterprise.

La KFOR entrò in Kosovo il 12 giugno 1999 su mandato delle Nazioni

Unite, due giorni dopo l’adozione, da parte del Consiglio di Sicurezza, della

Risoluzione 1244. All’epoca il Kosovo stava affrontando una grave crisi

umanitaria, con scontri quotidiani tra le forze militari della Repubblica Federale di

Jugoslavia e le forze paramilitari dell’Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK)

(Esercito di liberazione del Kosovo). La tensione tra i gruppi etnici era molto alta,

così come era alto il numero delle vittime degli scontri[1] con quasi un milione di

profughi avevano lasciato la regione[2] e la missione aveva il compito di

proteggere la popolazione civile.

Nel 2008, la KFOR può contare su circa 16000 uomini. La sua presenza

resta necessaria per garantire la sicurezza e la stabilità in Kosovo.

• In Afghanistan (Inizio missione: 11 agosto 2003 / stato: In atto), la

forza di intervento internazionale denominata “International Security Assistance

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Force” ha il compito di garantire un ambiente sicuro a tutela dell’Autorità

provvisoria afghana che si è insediata a Kabul il 22 dicembre 2001 a seguito della

Risoluzione n. 1386 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 20

dicembre 2001.

Iniziata come Missione Multinazionale, dall’agosto 2003 il contingente è a

guida NATO. In tale quadro, pur mantenendo le responsabilità assunte nell’area

della capitale Kabul, l’Italia ha preso la responsabilità di uno dei cinque settori

regionali, il Regional Command West, in cui l’Afghanistan è stato suddiviso.

1.10 La lotta al terrorismo

Sia l’ONU che la NATO hanno come principale obiettivo quello di

assicurare e mantenere un clima di pace e di sicurezza a livello internazionale. A

compromettere questa stabilità, nella maggior parte dei casi, è proprio il

terrorismo e, per questo motivo, entrambe le organizzazioni partecipano

attivamente alla lotta contro tale minaccia.

Infatti, nell’ambito della lotta globale al terrorismo di matrice islamica, le

Nazioni Unite, la NATO e L’Unione Europea hanno elaborato specifiche politiche

e strumenti di contrasto, spesso in maniera sinergica e complementare. Tuttavia,

sebbene il terrorismo sia chiaramente riconoscibile nei suoi tratti principali, a

tutt’oggi, manca una definizione universalmente condivisa. Ciò, anche nella

considerazione che un atto violento qualificabile come terroristico può, in alcuni

contesti non democratici, non essere considerato tale.

Le tante difficoltà di formulazione del problema sono apparse subito centrali

nella scelta della tipologia di strumento di contrasto da applicare nella lotta alle

organizzazioni terroristiche. Molte volte si è identificato semplicemente il

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terrorismo con il terrorizzare. Si ritiene, però, che l’atto terroristico rappresenti

soltanto uno strumento operativo, non certamente il fine. Il terrorismo è, al

contempo, uno stadio della conflittualità non convenzionale e una tattica

operativa, e pone una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica nazionale ed

internazionale. Il terrorismo, inoltre, è profondamente diverso all’insorgenza, la

quale, sebbene sia anch’essa una forma di conflittualità non convenzionale,

riguarda gruppi che hanno, o hanno avuto, un controllo, almeno parziale e

temporaneo, del territorio nazionale. L’insorgenza tende a essere rurale, mentre il

terrorismo è essenzialmente urbano. Entrambi sono caratterizzati dalla violenza

criminale o da movimenti politici, politico-religiosi o politico-sociali e agiscono

con strutture e modalità clandestine. Ad esempio, il movimento talebano si

colloca nell’ambito dell’insorgenza. Di natura interna e politico-religiosa che mira

alla conquista del potere nel Paese. “Il terrorismo riconducibile ad Al-Qaida, di

matrice religiosa, con fine politico-confessionale e di natura transnazionale,

coinvolge i cittadini e il territorio di più Stati; il suo obiettivo è quello di

rovesciare non soltanto uno specifico ordine statuale, bensì un’intera comunità di

Stati (sia nel mondo islamico che occidentale). Per questo motivo si parla di jihad

globale”41

I fenomeni legati all’integralismo, al fondamentalismo e al radicalismo

religioso rappresentano, sotto forme diverse, una reazione a numerosi problemi

, innestatosi in un momento di risveglio storico e di rivisitazione critica

teologica dell’Islam. Nello stesso tempo, il radicalismo islamico,

indiscutibilmente espressione minoritaria dell’Islam (monoteista e portatore di

valori culturali e principi spirituali), si è contraddistinto come la maggiore fonte di

minaccia a livello di estremismo politico-confessionale.

41 Colonna Vilasi Antonella, “Il Terrorismo”, Ugo Mursia Editore, Interventi, 2004

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contingenti, fra cui la diffusa povertà di alcuni Paesi musulmani, la loro

arretratezza sociale, culturale, sanitaria e scolastica, la corruzione dilagante negli

apparati statali, la disoccupazione giovanile e la frustrazione nei confronti di classi

politiche dirigenti dittatoriali. In tale scenario geo-politico, la primavera araba si è

abbattuta sui Paesi del Maghreb e del Medio Oriente, cambiando la geografia

politica e i destini dei diversi Stati. Il risveglio islamico moderato ne è stato la

principale fonte di ispirazione, alla ricerca del riscatto sociale, in tutte le sue

accezioni, nonché forza spirituale e intellettuale capace di combattere le brutali

repressioni dei regimi tirannici. L’obiettivo dichiarato è quello di portare al potere

governi confessionali, fortemente anti-occidentali, ispirati alla sharia42

Il concetto stesso di jihad (sostantivo maschile, il cui significato letterale è

“sforzo, impegno” sulla via di Dio), ne è un esempio paradigmatico: secondo

alcuni esso deriva dal primo pilastro della religione islamica, ovvero dalla

e coerenti

con il senso letterale al termine Islam che in arabo significa “abbandono,

sottomissione totale e incondizionata ad Allah” (“il Dio” o, meglio, il nostro

“Iddio”).

Il termine “musulmano”, dal turco-persiano muslim, è il participio del verbo

arabo salima (“sottomettersi”), il cui infinito sostantivo è appunto “islam”.

Musulmano significa “dedito a Dio”. Il contrario di muslim è kafir (“ingrato,

infedele”).

42 Shariʿah arabo: شريعة, sharīʿ a è un termine arabo dal senso generale di "legge" (letteralmente "strada battuta"), che può essere interpretata sotto due sfere, una più metafisica e un'altra pragmatica. Nel significato metafisico, la sharīʿah è la Legge di Dio e, in quanto tale, rimane sconosciuta agli uomini. In chiave pragmatica, il fiqh, la scienza giurisprudenziale islamica interpretata secondo la legge sacra, rappresenta lo sforzo concreto esercitato per identificare la Legge di Dio; in tal senso, la letteratura legale prodotta dai giuristi (faqīh, plurale: fuqahāʾ) costituisce opera di fiqh, non di sharīʿa. Va sottolineato il tentativo, praticato in alcuni paesi a maggioranza islamica (Iran e Arabia Saudita), di intendere la shari'a come codice di leggi non comportamentali o consuetudinarie, ma come norme di diritto positivo. La stessa shari'a distingue peraltro le norme riguardanti il culto e gli obblighi rituali da quelle di natura più squisitamente giuridica.

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shahada, la professione di fede, secondo il quale il musulmano, nell’affermare “Io

testimonio che non c’è altro Dio all’infuori di Allah e che Maometto è il suo

profeta”, esprime il personale impegno a combattere, con ogni mezzo, per la

diffusione dell’Islam su scala planetaria. Egli si dichiara disposto a diventare

shahid, ovvero martire e testimone del jihad, pronunciando la shahada al

momento della morte. Secondo costoro, gli infedeli diverranno schiavi

nell’inferno, mentre i credenti in Allah potranno godere dei piaceri materiali e

sensuali del paradisco islamico. Coloro che perdono la vita combattendo nel jihad

vanno direttamente in paradiso, mentre i musulmani che muoiono prima del

giudizio universale devono attenderlo, nelle loro tombe, in uno stato di

incoscienza.

Il termine jihad non può essere più semplicemente tradotto con il significato

di “guerra santa”, bensì come impegno di ogni devoto musulmano nella conquista

del mondo. Secondo la dottrina giuridica musulmana esistono quattro modalità di

attuazione del jihad: con l’anima, con la parola, con la mano e con la spada. I

primi tre modi, riuniti nel concetto di “grande jihad”, afferiscono all’impegno

spirituale, mentre il jihad con la spada rappresenta il “piccolo jihad”.

Quest’ultima ideologia è generalmente condivisa da coloro che hanno come

obiettivo la conquista territoriale e la difesa delle frontiere del mondo islamico. Il

jihad dovrebbe risparmiare donne, bambini, anziani ed infermi. I nemici

dell’islam vengono descritti come fautori di una politica tesa all’eliminazione

della civiltà islamica condotta attraverso azioni militari ed economiche così come

la diffusione dell’immoralità cristiana ed ebraica. Molti giovani islamici sono

attratti dal fascino del fondamentalismo, trovandovi innanzitutto una ragione di

vita e di riscatto alle ingiustizie e alle difficoltà della vita, oltre che ad una

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remunerazione economica. Il terrorismo di matrice islamica possiede obiettivi

politici da raggiungere attraverso l’applicazione integrale della legge divina

(sharia). “L’islam è subordinazione totale, è filosofia di vita”43. La lotta sacra in

stile jihadista, fatta con “la parola o con la spada”, per la difesa e l’affermazione

di dell’Islam, trasforma il credente in operatore terreno di Dio, il quale non deve

rendere conto ad alcuna autorità umana delle proprie azioni. Il jihadista che muore

nello svolgimento del suo mandato divino non è un eroe che compie un’azione di

particolare coraggio e audacia, bensì un martire, al quale saranno regalate le gioie

del paradiso. Ecco perché il terrorista si suicida, nella mentalità integralista

islamica, compie un atto di generosità e le sue vittime sono in realtà i suoi

oppressori. Queste correnti religiose estremiste opprimono, nella maggior parte

dei casi, la stessa popolazione civile; nel periodo talebano le scuole femminili

furono abolite e le donne non potevano circolare da sole e, comunque, dovevano

essere coperte da un burqa44. “Gli uomini dovevano portare la barba ed evitare

abiti occidentali. Il furto veniva sanzionato con il taglio della mano, mentre lo

stupro e l’omicidio con una pubblica esecuzione e gli adulteri venivano lapidati.

Qualsiasi svago come la musica, la televisione, il cinema e quasi tutti gli sport e i

giochi furono messi al bando”45

43 Mozzati Luca, “Islam”, Mondadori Electa, Dizionari delle civiltà, Milano, 2009 44 Il burqa, o burka, (urdu: بُرقع burqaʿ) è un capo d'abbigliamento delle donne in Afghanistan. Il termine burqa individua due tipi di vestiti diversi: il primo è una sorta di velo fissato al capo che copre l'intera testa, permettendo di vedere solamente attraverso una finestrella all'altezza degli occhi e che lascia gli occhi stessi scoperti, o che lascia scoperti occhi e bocca, che rimane però coperta da una sorta di mascherina come nel cosiddetto bandar burqa. L'altra forma, chiamata anche burqa completo o burqa afghano, è un abito, solitamente di colore nero o blu, che copre sia la testa sia il corpo. All'altezza degli occhi può anche essere posta una retina che permette di vedere parzialmente senza scoprire gli occhi della donna. 45 Tratto dal libro “Vicini a una terra lontana, sulle strade dell’Afghanistan con il contingente italiano” Edizione: Polistampa

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37

CAPITOLO II

.

GLI INTERPRETI NEI TEATRI OPERATIVI

2.1 Il corrispondente di guerra

I soggetti che lavorano nei teatri operativi devono essere coraggiosi e

determinati, ma soprattutto professionali. Si opera nella piena coscienza del

rischio che si deve affrontare per non trovarsi impreparati in situazioni di pericolo.

Queste sono figure molto complesse e vi sono molte componenti culturali e

psicologiche da tenere in considerazione quali: la conoscenza approfondita dei

dossier internazionali, la capacità delle analisi geopolitiche, una sensibilità che

sappia vincere l’orrore e il disgusto e sempre la disponibilità a relazionarsi

immediatamente con situazioni e personaggi la cui imprevedibilità non deve mai

stupire. L'obbligo deontologico del vero professionista è di saper dare spazio e

voce ad ogni attore del conflitto o della crisi. Un forte senso critico e di

osservazione e un sapiente controllo emotivo, trattandosi sempre di cronache in

aree ad alto rischio per la propria incolumità.

La più importante caratteristica dell'inviato deve essere una grande capacità

di adattamento alle situazioni nelle quali si trova ad operare, poiché vive in

condizioni estremamente precarie. “Chi va in certi posti non può essere motivato

soltanto dal dovere professionale: in questo mestiere bisogna essere disposti a

sacrificarsi perché può capitare che non si trovi acqua, che i trasporti siano

problematici e che le condizioni di vita sia davvero dure”.46

46 Soldati Mario, “Corrispondenti di guerra”, Sellerio Editore Palermo, La Memoria, 2009

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2.2 Rapporto tra militari e civili nei teatri operativi

Gli attori civili, presenti nelle aree di crisi, possono avere rapporti possibili,

potenziali o effettivi con i militari. Per attori civili, si intendono tutte quelle figure

impegnate nei teatri operativi, come ad esempio: giornalisti, mediatori di pace o

mediatori linguistici. A livello operativo, nei conflitti armati, vi sono una vasta

gamma di attività tra militari e civili, tra cui: la comunicazione, lo scambio

d’informazioni, il coordinamento e la facilitazione nello stipulare accordi. Spesso,

però, si riscontrano delle difficoltà di coordinamento tra le forze militari e gli

organismi politici, diplomatici e amministrativi per lo svolgimento di tali

attività47

“Nonostante queste differenze, ci sono aspetti e caratteristiche che gli attori

sia civili che militari devono avere, come ad esempio la sensibilità culturale,

obiettivi comuni, condivisione delle responsabilità, trasparenza, consenso e

comunicazione, sensibilità culturale e rispetto verso usi e costumi e tradizioni

locali. Fondamentale per il conseguimento della missione è una giusta

mediazione tra il personale militare e la popolazione civile”

. Le difficoltà si devono, nella maggior parte dei casi, alla diversa natura

degli obiettivi perseguiti dalle organizzazioni civili rispetto a quelli delle forze

militari presenti in una data area.

48

Il rapporto tra operatori civili e militari sembra essere dettato da ragioni di

opportunità, che si creano di volta in volta, a seconda del tipo di crisi e della

. Per questo motivo

la presenza di un mediatore linguistico è di estrema importanza; quest’ultimo,

oltre a svolgere compiti di mediazione e intercomunicazione con la popolazione

locale, riesce a creare, attraverso le sue conoscenze culturali, un clima esemplare

per il conseguimento degli obiettivi.

47 CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale) 48 Olivieri Viviana, Il mediatore culturale linguistico: ponte tra le culture, Cortina (Verona), 2011

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natura degli interventi, ed è tutt’altro che stabile. In generale, sia i militari che i

civili dovrebbero avere una chiara visione dei rispettivi ruoli e di come svolgerli.

Gli operatori umanitari49

1. Cooperazione tra civili-militari, che può realizzarsi in operazioni per le

quali vi sia un esplicito mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,

lamentano spesso l’incapacità, da parte dei militari, di

distinguere nel panorama dei diversi attori civili, accomunandoli sotto l’unico

cappello di ONG. Il personale militare sembra non operare differenze, per

esempio, tra le organizzazioni che si occupano di diritti umani e quelle che si

occupano, invece, di sviluppo o mediazione. Entrambe le parti, militari e civili,

devono essere equamente integrate nella missione. La via italiana al peace-

keeping dal 1980 ad oggi si può sintetizzare in due aspetti. Da un lato, la presenza

di un elemento di intelligence addestrata e qualificata ad operare nelle missioni

fuori area; dall’altra, come detto, la capacità dei militari e mediatori linguistici

italiani di stringere buoni rapporti con le popolazioni civili. I civili che operano in

questi campi devono, inoltre, conoscere a fondo gli standard operativi avendo

familiarità con le tecniche di analisi e di gestione dei conflitti. È importante anche

comprendere che ogni azione che si compie potrà avere conseguenze sulla

dinamica del conflitto.

Alla luce di quanto detto sopra possiamo definire, innanzi tutto, tre diversi

livelli possibili di rapporto militari/civili nell’ambito delle operazioni:

49 Esperti, avvocati, consulenti, logistici, manager, insegnanti, medici, mediatori linguistici e molto altro: sono le professionalità richieste per concorrere a fare degli aiuti umanitari una macchina efficiente ed efficace. Sono posizioni per cui è indispensabile un'ottima conoscenza di almeno due lingue ufficiali e spesso aver conseguito un diploma di laurea. Si tratta di personale civile in grado di far fronte a operazioni di mantenimento della pace o a interventi umanitari da affiancare alle forze militari. Le missioni sono normalmente di breve durata (non più di un anno) e contemplano differenti funzioni: dal monitoraggio elettorale agli aiuti d’emergenza, dai trasporti alla logistica, dalla gestione di risorse umane agli affari legali e politici, dall’assistenza umanitaria ai diritti umani. Gli aspiranti peacekeeper devono essere laureati, aver maturato 4-5 anni di esperienza professionale sul campo e conoscere inglese e/o francese, oltre che un’altra lingua.

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in ambiti che vanno dall’assistenza ai rifugiati, alla scorta ai convogli, allo

scambio sistematico d’informazioni.

2. Convivenza tra militari e civili, con spazi di sporadica collaborazione,

come ad esempio la mediazione, diversificata a seconda delle aree geografiche,

dei settori d’intervento e del mandato delle organizzazioni.

3. Assenza di coordinamento, che si verifica in caso di guerra. In questo

contesto i contatti tra militari e civili sono esclusivamente informali, con scambio

d’informazioni solo in caso di vita o di morte e per ragioni di sicurezza.

Gli operatori civili (come ad esempio gli interpreti) non devono mai

presentare se stessi e il loro lavoro come parte di un’operazione militare.

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2.3 Status giuridico dell’interprete

Nonostante gli interpreti che operano in situazioni di conflittualità siano

considerati una figura minore rispetto ad altre presenti nei contesti bellici,

indubbiamente, quest’ultimi svolgono un ruolo indispensabile in questi teatri. In

presenza di conflitti armati la presenza dell’interprete con la sua funzione

intermediaria è fondamentale ed è riconosciuta dalle stesse Convenzioni di

Ginevra 50. Si richiede la presenza di mediatori linguistici qualificati come ausilio

rispetto a soggetti e istituzioni operanti nel teatro conflittuale che sono chiamati a

sviluppare attività di interesse comune sia per le collettività locali, sia per la

Comunità internazionale. I mediatori rispondono alla necessità di ricorrere ad

interpreti per facilitare le attività delle organizzazioni internazionali presenti

nell’area in compiti di assistenza civile, delle organizzazioni non governative

impegnate in simili compiti e dei giornalisti operanti in aree di conflitto. Questi

compiti fondamentali dell’interprete non sono inerenti alle sole situazioni

prettamente conflittuali , ma anche in contesti post-conflittuali peace-bulding e di

peace-keeping 51

50 Le convenzioni di diritto internazionale umanitario impongono agli stati belligeranti l’obbligo di proteggere i giornalisti e i mediatori civili che si trovano sul teatro delle operazioni militari. Con la Convenzione di Ginevra del 1977, nell’articolo 79 si evince che queste figure, operanti in conflitti armati, sono considerate come civili ai sensi dell’articolo 50 Paragrafo I. 51 Il peace-building (in italiano “consolidamento della pace) è un termine coniato dalle Nazioni Unite per descrivere quei processi o attività coinvolte nella risoluzione dei conflitti armati al fine di stabilire una pace sostenibile. Il personale coinvolto in tali attività è costituito da:

. Con l’evoluzione del peace-keeping per i militari italiani si sono

aperti nuovi spazi di azione legati, in particolare, ad attività di mediazione, che

derivano dalle relazioni con i membri delle comunità nelle quali sono stati

• Personale in divisa • Personale civile internazionale • Personale locale • Volontari ONU

Oltre al peace-building troviamo anche il peacekeeping e il peace-enforcement; il primo (“mantenimento della pace) ha come obiettivo quello di aiutare i paesi tormentati da conflitti a creare condizioni di pace sostenibile. Il secondo, invece, (“imposizione della pace”) implica l’intervento di diverse operazioni militari, sotto il comando delle Nazioni Unite, qualora le parti non abbiano raggiunto un accordo consensuale per la cessazione delle ostilità.

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chiamati ad intervenire. I militari italiani si sono dimostrati tra i più adatti ad

operare nelle crisi complesse perché, fin dall'esperienza del Libano, si sono

distinti per la capacità di trattativa e di negoziato con le parti coinvolte.

Ciò che emerge dall’analisi circa lo status giuridico dell’interprete è

indubbiamente la scarsa autonomia giuridica di questa figura rispetto ad altre

categorie presenti nella disciplina. La figura dell’interprete non emerge con uno

specifico rilievo nominale nella disciplina, come, ad esempio, la figura del

giornalista. Nonostante vi siano dei documenti internazionali, come ad esempio il

I protocollo addizionale alla Convenzione di Ginevra del 1977, che sottolineino le

esigenze di tutela per i giornalisti e gli esponenti dei media impegnati in aree di

conflitto, non vi è un chiaro riferimento per la figura dell’interprete nonostante il

fatto che si registrino sempre più perdite proprio tra i giornalisti e gli individui

preposti a funzioni di intermediazione linguistica.

La scarsa considerazione per quanto riguarda lo status giuridico dei soggetti

impegnati in attività di interpretariato in zone conflittuali è altresì testimoniata dal

fatto che non è stato dedicato nessuno studio dottrinale a tale riguardo, a

differenza di come è stato fatto per corrispondenti di guerra e i giornalisti operanti

in aree conflittuali52

52 Bianco Cristiana, “Diritto Internazionale”, Edises, Mini manuali, 2011

. Proprio per questo motivo, nella maggior parte dei casi, la

figura dell’interprete viene affiancata alla figura del giornalista e degli operatori

dei media in aree di conflitto. Questa limitata attenzione rispetto alla figura

dell’interprete operante in zone di conflitto non significa, però, che quest’ultimi

siano collocabili in una sorta di vuoto giuridico, ovvero che essi siano estranei da

qualsiasi protezione giuridica internazionale.

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Bisogna, però, porre una specifica attenzione ai temi correlati; basti pensare,

ad esempio, all’eventuale obbligo di testimonianza dinanzi a tribunali penali

internazionali per le informazioni acquisite dagli interpreti in aree di conflitto. Un

esempio di questi organi giudiziari è l’International Criminal Court ossia un

tribunale per crimini internazionali che ha sede all'Aia, nei Paesi Bassi.

Nella III e nella IV Convenzione di Ginevra del 1949 troviamo un chiaro

riferimento agli interpreti sotto la voce “competent” o “qualified interpreter”. In

particolare nella III Convenzione di Ginevra l’art. 96 delinea il diritto per i

prigionieri di guerra, che sono coinvolti in procedimenti disciplinari o penali da

parte della Potenza catturante, a disporre di un interprete nell’ambito dei

precedenti giudizi. Tale norma è volta a garantire il diritto al giusto processo verso

le persone protette dalla Convenzioni di Ginevra. Questa norma è inoltre ribadita

anche nel recente studio del Comitato internazionale della Croce Rossa relativo al

Customary Intenrantional Humanitarian Law (2005) che, sottolinea, l’esigenza di

garantire un interprete alle persone protette coinvolte in procedimenti penali o

disciplinari. Infine “le norme delle Convenzioni di Ginevra prevedono l’utilizzo

dell’interprete anche per le attività di ausilio alla Potenza Protettrice, vale a dire

uno Stato terzo alle ostilità che nei conflitti armati internazionali può essere

utilizzato con funzioni di controllo secondo le norme del Diritto Internazionale

Umanitario”.53

53 “Principi generali del diritto internazionale umanitario”

È richiesta l’esigenza di affidabilità, in termini strettamente tecnici, per le

attività condotte dagli interpreti, ma anche la capacità linguistica di quest’ultimi,

specie per quanto riguarda la padronanza linguistica in campo giuridico.

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44

Per quanto riguarda la condotta delle ostilità il punto principale da chiarire è

lo status giuridico delle persone che svolgono funzioni di interpretariato, sia che

esse agiscano per conto di una parte nel conflitto, sia che esse cooperino per Enti

o individui terzi, come ad esempio le organizzazioni internazionali, esponenti dei

media o delle organizzazioni non governative.

Per quanto riguarda la prima ipotesi, si può affermare che se gli interpreti

operano per conto di una parte al conflitto, possono essere considerati dei

combattenti, e quindi legittimi all’utilizzo della violenza bellica, oppure dei civili,

ovvero individui protetti da attacchi diretti e dagli effetti negativi delle ostilità.

Nei conflitti armati la nozione di combattente equivale a quello di membro delle

Forze Armate di uno Stato parte al conflitto. L’interprete, ovviamente, è escluso

da questa categorizzazione, salvo caso in cui quest’ultimo non sia membro delle

Forze Armate di uno Stato, visto che, al loro interno, è possibile trovare apposite

figure dedicate a questa attività.

Sembra dunque possibile sostenere che gli interpreti, anche se agiscono per

conto di una parte al conflitto, devono considerarsi inclusi nell’ambito della

nozione di appartenenza alla popolazione civile e, quindi, titolari di protezione da

attacchi diretti.

Va sottolineato che la figura dell’interprete trova una specifica tutela

nell’ambito del diritto internazionale umanitario, visto che quest’ultimo, sia per i

conflitti internazionali che non internazionali, è inquadrabile nella nozione di

“civile”, ed è quindi protetto dalle minacce delle ostilità. Ovviamente, quando

l’interprete è presente nello scenario conflittuale, egli può essere indirettamente

vittima della violenza bellica. Ad esempio, può accadere quando il soggetto è

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presente in alcune strutture militari quali: caserme, istallazioni militari, beni di

natura militare o personale delle forze armate.

Occorre porre un’importante attenzione alle norme relative alla disciplina

dell’interprete in caso di cattura nel corso dei conflitti armati. Quando un

interprete viene catturato mentre svolge la sua funzione al servizio di uno Stato

parte al conflitto armato, quest’ultimo potrebbe appellarsi a una particolare

categoria prevista nella III Convenzione di Ginevra. Questa ipotesi tende ad

attribuire la qualifica di prigioniero di guerra a individui civili che possono

trovarsi ad essere catturati soprattutto in presenza di operazioni sul terreno in

prossimità delle linee. La norma presente fin dalle Convenzioni dell’Aia del

198854, è quella di garantire un più certo status giuridico al personale civile di

supporto delle Forze di uno Stato. Una volta catturato, l’interprete dovrà godere

delle garanzie previste nella IV Convenzione di Ginevra del 12 Agosto 194955

54 La Convenzione dell'Aia del 1899 fu un trattato internazionale negoziato alla conferenza di pace tenuta a L'Aia in Olanda (anche nota come Prima conferenza dell'Aia per differenziarla dalla seconda del 1907). Insieme alle Convenzioni di Ginevra, le convenzioni dell'Aia sono state tra i primi tentativi di formalizzare leggi per i tempi di guerra e definire i concetti di crimini di guerra all'interno del diritto internazionale. Una terza conferenza era stata pianificata per il 1914, successivamente spostata al 1915, ma non ebbe mai luogo per lo scoppio della Prima guerra mondiale. Lo sforzo maggiore, in entrambe le conferenze, fu quello di istituire un tribunale internazionale vincolante, per l'arbitrato obbligatorio onde risolvere le controversie internazionali, che avrebbe dovuto rendere inutile il ricorso alla guerra. La Convenzione consisteva in quattro sezioni principali e tre dichiarazioni addizionali (per qualche motivo la quarta sezione è identica alla prima dichiarazione): I: Risoluzione pacifica dei conflitti internazionali. Questa sezione include la creazione della Corte permanente di arbitrato. II: Leggi della Guerra terrestre. III: Adattamento alla guerra marittima dei principi della Convenzione di Ginevra del 1864. IV: Proibizione del Lancio di Proiettili ed Esplosivi da Palloni Aerostatici. Dichiarazione I: Sul Lancio di Proiettili ed Esplosivi da Palloni Aerostatici. Dichiarazione II: Sull'uso di proiettili il cui oggetto è la diffusione di gas asfissianti o deleteri. Dichiarazione III: Sull'uso di proiettili che si espandono od appiattiscono facilmente all'interno del corpo umano. 55 La IV Convenzione di Ginevra del 1949 riguarda la protezione dei civili. Regola il trattamento dei prigionieri di guerra, il miglioramento della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare e la protezione delle persone civili in tempo di guerra.

,

purché egli sia qualificabile come “persona protetta”. Difatti, per godere dello

status di “persona protetta” ai sensi della IV Convenzione di Ginevra, non si deve

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essere cittadini dello Stato che procede alla cattura. Questo problema sorge

quando ci si avvale di interpreti locali, ovvero cittadini dell’altro Stato con il quale

sono in corso le operazioni belliche. In tal caso questi soggetti, una volta catturati,

non rientrerebbero nell’ambito delle norme protettive della IV Convenzione. Un

altro elemento interessante, riguarda l’ipotesi in cui l’interprete sia coinvolto in

una situazione post-conflittuale, ovvero in Stati impegnati in difficili processi di

peace-building in cui troviamo apposite missioni internazionali incaricate di

svolgere funzioni di mantenimento della pace e di ricostruzione. I trattati che

definiscono la condizione giuridica dell’interprete in questi teatri operativi sono

definiti SOFA (Status Of Force Agreement). La maggior parte di queste missioni

si avvalgono di interpreti locali che rientrano nella categoria che comunemente è

regolamentata dal “locally recuited personnel”. In quanto afferenti alla missione,

il personale locale è altresì assoggettato alle possibili restrizioni in cui incorrono

gli altri membri della missione. Il personale locale gode di un’immunità dalla

giurisdizione, sia di carattere penale che civile, l’esenzione da obblighi connessi al

servizio militare e dalla tassazione sugli stipendi dalla forza internazionale. In tal

senso si può fare riferimento a molteplici trattati internazionali come il SOFA

regolante le missioni IFOR/SFOR in Bosnia Erzegovina 56 e in Croazia57

56 IFOR (Stabilisation Force in Bosnia and Herzegovina) Inizio missione: 1 dicembre 1995/fine missione: 1 dicembre 2004 /luogo: Bosnia-Erzegovina. Il personale italiano impegnato nella missione Ifor/Sfor in Bosnia-Erzegovina comprende gli uomini inquadrati nel Comando Ifor/Sfor dislocato a Sarajevo nella base di Ilidza, nel Comando della Divisione Multinazionale Sud-Est (DMNSE) alle porte della città di Mostar ed i reparti che compongono la Brigata Multinazionale Nord (BMNN). Il 9 luglio 2004 la Risoluzione 1551 delle NU autorizza la prosecuzione di SFOR per ulteriori sei mesi ed accoglie la decisione della NATO di concludere SFOR entro la fine del 2004. Toccherà all’UE avviare in Bosnia, da dicembre 2004, una missione comprensiva anche di una componente militare. 57 UNCRO (United Nations Confidence Restoration Operation). Inizio missione: marzo 1995/ fine missione: gennaio 1996/luogo: Croazia. L'Operazione di Restaurazione Fiduciaria delle Nazioni Unite ha rimpiazzato l'UNPROFOR in Croazia. L'UNCRO venne dislocato in Croazia e il suo compito era quello di controllare le frontiere croate.

e per la

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missione ISAF in Afghanistan 58

L’analisi effettuata ha permesso di confermare come lo status dell’interprete

nell’ambito del diritto internazionale umanitario e nel diritto internazionale non

. In questi casi si fa sempre riferimento al

personale locale reclutato per la missione impegnato generalmente in attività di

traduzione. Un ulteriore problema che potrebbe affrontare l’interprete impegnato

in zone di guerra concerne l’eventuale dovere di testimoniare dinnanzi a tribunali

penali che si interessano a crimini internazionali commessi nell’area in cui egli

opera (crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, ecc). La figura

dell’interprete in questi tribunali pone un evidente problema di deontologia

professionale e di difficile equilibrio fra la necessità di garantire una sicurezza per

l’interprete presente nell’area di conflitto, la cui figura potrebbe ancora di più

essere messa a repentaglio una volta che le parti al conflitto lo identifichino come

un testimone “scomodo”, e le esigenze della giustizia. È evidente, dunque, che una

parte al conflitto impegnata nella commissione di crimini internazionali potrebbe

facilmente concludere per considerare questi soggetti come possibili scomodi

testimoni rispetto alle atrocità che vanno a commettere. Si richiede, così come è

avvenuto per l’attività giornalistica, una maggiore attenzione alla figura

dell’interprete in aree di conflitto, poiché quest’ultimo, specialmente se locale,

potrebbe essere oggetto di minacce e attentati alla propria incolumità durante la

testimonianza nei tribunali penali.

58 ISAF (International Security Assistance Force). Inizio missione: 20 dicembre 2001 – oggi. Luogo: Afghanistan. La missione ISAF è una missione di supporto al governo dell'Afghanistan che opera sulla base di una risoluzione dell'ONU. È composta da una forza internazionale che impiega circa 58.300 militari provenienti da una quarantina di nazioni. È stata costituita su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2001 con il compito di sorvegliare la capitale Kabul e la vicina base aerea di Bagram da Talebani, elementi di al-Qāʿida ed eserciti mercenari, e in particolar modo proteggere il governo transitorio guidato da Hamid Karzai.

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può considerarsi regolato dalla pertinente disciplina. Questi soggetti, soprattutto

se locali, in molti casi devono far fronte a sentimenti di ostilità, per il loro

contributo rispetto alle presenze straniere nel territorio, e di invidia, per i vantaggi

economici relativi a tale funzione. Oltre a queste percezioni, gli interpreti devono

restare in continuo contatto alle presenze straniere nel territorio, compresa la

vicinanza a veri e propri obiettivi militari, aumentando, di conseguenza, i rischi

per la loro incolumità. Tuttavia sono attualmente numerose le riflessioni volte a

rafforzare la figura dell’interprete in campo internazionale, ipotizzando la

creazione di uno status giuridico per questi operatori tramite un apposito trattato

internazionale. Come forum di discussione, potrebbero essere coinvolte varie

organizzazioni come: l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, le Nazioni Unite e

il Comitato Internazionale della Croce Rossa che permetterebbero di raggiungere

l’obiettivo di conferire una maggiore rilevanza alle attività svolte dagli interpreti

in aree conflittuali.

2.4 Disturbo post-traumatico da stress

In condizioni di benessere l’organismo si trova in uno stato definito di

equilibrio omeostatico in cui le risposte fisiologiche si collocano il più vicino

possibile ad una condizione ideale. Un fattore stressante è dunque qualunque

evento (interno o esterno) capace di destabilizzare la condizione di equilibrio

omeostatico, mentre la risposta individuale allo stress è l’insieme di quegli

adattamenti soggettivi, fisiologici, emozionali e psicologici volti a ristabilire

l’equilibrio perduto.

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Gli studi scientifici condotti sull'argomento sono numerosi e partono dagli

inizi del Novecento quando lo studioso W. Cannon59 iniziò ad occuparsi dello

stress da un punto di vista psicosomatico introducendo il concetto di reazione

d'allarme, descrivendone alcuni aspetti emozionali e comportamentali che

aprirono la strada alla moderna psicofisiologia. Verso la seconda metà del

Novecento il fisiologo H. Selye 60 ampliò le teorie sullo stress di Cannon,

descrivendo con precisione i correlati fisiologici della malattia, concependolo

come "la risposta non specifica dell'organismo ad ogni condizione di

cambiamento"61

Questa rapida panoramica storica dell’evoluzione del concetto di stress fa

rilevare come esso sia stato inizialmente identificato con le risposte fisiologiche

provocate da un evento nell’organismo e solo secondariamente sia stato definito

in ragione dell’interazione tra lo stimolo esterno, i processi di valutazione del

soggetto e le sue reazioni. H. Selye ha in seguito individuato due tipi di stress: uno

positivo è necessario per la vita l’EUSTRESS (dal greco "eu", bene, buono), che

serve a "rendere la persona in grado di aumentare la capacità di comprensione e

concentrazione, di decidere con grande rapidità di mettere i muscoli in

condizione di muoversi subitaneamente (per attaccare, difendersi, fuggire), di

avere a disposizione l’energia adatta ad agire, e così via" (Selye, 1936), ed uno

stress nocivo, cronico, che è negativo e devastante. Quest’ultimo definito

DISTRESS si correla alla mancata soddisfazione dei bisogni vitali, all’esperienza

.

59 Walter Bradford Cannon (Prairie du Chien, 1871 – Franklin, 1945) è stato un fisiologo statunitense. Docente di fisiologia all'università di Harvard dal 1906 al 1942, è ricordato come studioso dell'attività motoria gastrointestinale, sulla quale pubblicò nel 1911 I Fattori Meccanici della digestione, ma soprattutto come padre della psicosomatica. 60 Hans Selye (Vienna, 26 gennaio 1907 – Montréal, 16 ottobre 1982) è stato un medico austriaco. Figlio di madre austriaca e padre ungherese, cresciuto a Komárno. Viene ricordato per le ricerche effettuate sullo stress e per la Sindrome Generale di Adattamento da lui identificata e descritta. 61 H. Selye, “Stress without Stress”, Penguin Group, 1975

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del dolore e della paura, al contrario quello vitalizzante è necessario per

l’esistenza ed è correlato alla soddisfazione dei bisogni vitali e alla stimolazione

delle aree del piacere del sistema limbico.

2.5 Le risposte del corpo allo stress

La risposta fisiologica dello stress permette all’organismo sano di

fronteggiare minacce immediate avvertite come destabilizzanti del proprio

equilibrio psicofisico. In sostanza questa risposta prepara a "combattere o fuggire"

di fronte ad un pericolo. L’innesco della reazione di stress avviene in seguito

all’esposizione a stimoli che possono rivestire il significato di agenti stressanti.

Tale proprietà viene tuttavia data, nella maggior parte dei casi, dal significato che

lo stimolo assume dal singolo individuo. La risposta stressante è pertanto

influenzata da almeno due ordini di fattori che sono: il tipo di evento da

fronteggiare (l’entità oggettiva dello stimolo) ed il significato che lo stimolo

assume per il singolo soggetto.

Mentre le emozioni negative, come la paura, la collera e la tristezza

svolgono soprattutto una funzione di adattamento per la sopravvivenza e per

affrontare condizioni di avversità e di ostacolo, le emozioni positive svolgono la

funzione di promuovere l’insieme delle risorse dei soggetti e di ampliare il

repertorio delle potenzialità espressive sia mentali che comportamentali, in quanto

rendono il pensiero più flessibile e creativo, più efficiente, aperto alle

informazioni e, nello stesso tempo, estendono la gamma dei comportamenti

individuali. Questo produttivo effetto di ampliamento delle potenzialità personali,

permette di costruire nelle persone una gamma estesa di risorse durature nel

tempo. Alla luce di ciò possiamo comprendere come le emozioni positive

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pongano in essere, per chi le vive, un circolo virtuoso estremamente favorevole. I

disturbi psicopatologici si manifestano, normalmente, in concomitanza al periodo

di permanenza di questi soggetti nei teatri operativi. Normalmente, quest’ultimi,

manifestano stati di depressione alla fine delle attività per le quali sono stati

impegnati. Le conseguenze della depressione sono molteplici, fra cui stanchezza,

insonnia o senso del dolore dovuto alla perdita di compagni.

Questi disturbi vengono definiti “post-traumatic stress disorder”62 e sono

molto frequenti per tutti i soggetti coinvolti nella missione (militari, interpreti,

giornalisti). Jean-Sélim Kaanan63, dopo essere tornato dalla Bosnia, racconta la

sua esperienza64

62 In psicologia e psichiatria il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) è l'insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento. La diagnosi di PTSD necessita che i sintomi siano sempre conseguenza di un evento critico. 63 Jean-Sélim Kanaan (Roma, 28 luglio 1970 – Baghdad, 19 agosto 2003) è stato un diplomatico delle Nazioni Unite di tripla nazionalità (italiana, francese, egiziana), collaboratore dell'Alto commissariato ONU per i diritti umani, nonché un volontario di organizzazioni non governative nei Paesi in guerra, fra cui la Somalia e la Bosnia ed Erzegovina. Grazie alla sua vasta conoscenza delle lingue straniere, lavorava come interprete tra la popolazione locale e i membri delle Nazioni Unite. È morto nell'attentato del 19 agosto 2003 contro la sede ONU di Bagdad, costato la vita anche al delegato ONU Sergio Vieira de Mello e ad altre venti persone. Aveva trentatré anni. Il 27 febbraio 2004 è stato insignito del titolo postumo alla Legion d'Onore, la massima onorificenza francese. 64 Jean- Sélim Kanaan, “La mia guerra all’indifferenza”, il Saggiatore, Lavis (TN), 2013

e il suo stato d’animo affermando che “una volta tornato, mi

sentivo fuori posto, estraneo a tutto ciò che mi circondava”. Nella sua

testimonianza afferma che molti impiegati delle Nazioni Unite, una volta tornati a

casa, soffrivano di stati d’ansia e di depressione; “abbiamo visto morire uomini e

donne, bambini urlare per il dolore e corpi abbandonati sul bordo della strada.

Abbiamo visto la speranza diminuire e infine spegnersi, schiacciata dal peso della

nostra indifferenza. Nessuna ragione di stato può giustificare la morte di un

bambino e ancor meno l’abbandono puro e semplice di un intero popolo. Non

posso esprimere i miei sentimenti perché quello che ho visto è troppo orribile e

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agghiacciante”65

. Racconta che molti dei suoi colleghi si svegliavano spesso, in

piena notte, madidi di sudore e con il cuore che batteva velocemente. Scene

violente, tormentate di dolore, e immagini degli ospedali ricorrevano nei loro

sogni. Molti di questi soggetti in seguito al loro rientro a casa , spiega, avevano

perfino paura di loro stessi, delle loro reazioni. Nei casi più gravi, quest’ultimi si

isolano dalle loro famiglie e dai loro amici e trovano conforto solamente tra i

compagni della missione. Perdendo ogni contatto con la realtà, i casi di suicidio

non sono isolati e per questo motivo, per molti di questi soggetti, si richiede un

intervento urgente di uno psicologo/psichiatra.

65 Testimonianza presa dal libro “La mia guerra all’indifferenza”.

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2.6 Trattamento e terapia

L’ospedale di Saint-Antoine, a Parigi, grazie a una squadra di psichiatri e

psicologi altamente specializzati, lavora da molti anni sullo stress post-traumatico.

I civili ritornati a casa in seguito alle missioni internazionali, hanno avuto alcune

sedute presso questo ospedale e si evince che “i civili impegnati in queste

missioni, subiscono diversi traumi legati ai soggiorni in zone di guerra senza

essere militari e senza poter dunque beneficiare delle strutture create

dall’esercito per questi casi. Essendo civili, non esistono neppure le associazioni

di ex combattenti”66

Le ricerche effettuate direttamente su diverse aree del cervello hanno

dimostrato che gli individui affetti da PTSD producono livelli anormali di ormoni

coinvolti nella risposta allo stress e alla paura. I malati di PTSD sono anche

soggetti a una alterazione del flusso sanguigno cerebrale e a cambiamenti

strutturali nei tessuti del cervello. Secondo il National Institute of Mental Health

(NIMH)

. Pertanto, anche in questo caso, dovrebbe essere dedicata

una maggiore attenzione alla figura dell’interprete o del giornalista, garantendo

loro gli stessi servizi a cui posso accedere i militari.

67

66 Referto del dott. Crocq in seguito alle varie sedute effettuate con i vari collaboratori delle missioni internazionali. 67 Ricerca sul sito “Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica”.

americano, caratteristica del PTSD è il fatto che la vittima rivive

ripetutamente l’esperienza traumatizzante sotto forma di flashback, ricordi, incubi

o in occasione di anniversari e commemorazioni. Le persone affette da PTSD

manifestano difficoltà al controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa o

confusione emotiva, depressione e ansia, insonnia, ma anche la determinazione a

evitare qualunque atto che li costringa a ricordare l’evento traumatico. Un altro

sintomo molto diffuso è il senso di colpa, per essere sopravvissuti o non aver

potuto salvare altri individui. Dal punto di vista più prettamente fisico, alcuni

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sintomi sono dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie,

indebolimento del sistema immunitario. La diagnosi di PTSD arriva quando,

sempre secondo il NIMH, il paziente presenta i sintomi caratteristici per un

periodo di oltre un mese dall’evento che li ha causati.

L’American Psychiatric Association (APA) dà un elenco più dettagliato e

schematico dei sintomi del PTSD. Secondo l’APA, i sintomi compaiono

solitamente entro tre mesi dal trauma, anche se in qualche caso lo stato di stress si

manifesta anche più tardi. I sintomi sono classificabili in tre categorie ben

definite:

• episodi di intrusione

: le persone affette da PTSD hanno ricordi

improvvisi che si manifestano in modo molto vivido e sono accompagnati da

emozioni dolorose e dal ‘rivivere’ il dramma. A volte, l’esperienza è talmente

forte da far sembrare all’individuo coinvolto che l’evento traumatico si stia

ripetendo;

volontà di evitare e mancata elaborazione

: l’individuo cerca di evitare

contatti con chiunque e con qualunque cosa che lo riporti al trauma. Inizialmente,

la persona sperimenta uno stato emozionale di disinteresse e di distacco,

riducendo la sua capacità di interazione emotiva e riuscendo a condurre solo

attività semplici e di routine. La mancata elaborazione emozionale causa un

accumulo di ansia e tensione che può cronicizzate portando a veri e propri stati

depressivi. Al tempo stesso si manifesta frequentemente il senso di colpa;

ipersensibilità e ipervigilanza: le persone si comportano come se

fossero costantemente minacciate dal trauma. Reagiscono in modo violento e

improvviso, non riescono a concentrarsi, hanno problemi di memoria e si sentono

costantemente in pericolo. A volte, per alleviare il proprio stato di dolore, le

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persone si rivolgono al consumo di alcol o di droghe. Una persona affetta da

PTSD può anche perdere il controllo sulla propria vita ed essere quindi a rischio

di comportamenti suicidi.

Non esiste un consenso generale sul modo di curare le persone affette da

PTSD. Non è neppure escluso che il PTSD si risolva anche senza specifici

trattamenti se l’individuo è assistito e aiutato nell’ambiente familiare e

comunitario e se le sue condizioni personali lo permettono. Tuttavia, in generale,

una forma di trattamento è auspicabile prima che i sintomi degenerino in forme

croniche. Il trattamento può aversi essenzialmente su due livelli: quello

farmacologico e quello psicoterapeutico. In questo secondo caso, il NIMH e

l’APA suggeriscono buoni risultati ottenuti con le terapie del comportamento

cognitivo, dove il paziente impara metodi di gestione dell’ansia e della

depressione e a modificare comportamenti pericolosi, come quello del negarsi a

rielaborare e a vivere le proprie emozioni.

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CAPITOLO III

L’INFLUENZA DEI MASS MEDIA IN GUERRA

3.1 L’influenza dei mass media in guerra

La circolazione di notizie ha avuto una forte influenza nei conflitti bellici;

sono stati utilizzati differenti mezzi di comunicazione e, come la propaganda

militare e l’informazione giornalistica hanno influenzato l’opinione pubblica, si

evince dal fatto che conflitti sono cambiati nel tempo e vanno di pari passo

all’evoluzione dei mezzi di comunicazione.

L’invenzione della stampa ad opera di J.Gutenberg68 intorno al 1455 ha

facilitato la stesura e la diffusione di notizie, ma i successivi mezzi di

comunicazione hanno senza dubbio rivoluzionato le tradizionali tecniche

giornalistiche nel selezionare e scegliere le notizie. “Importante da dire dunque, è

che le guerre non vengono combattute solo con armi militari ma soprattutto

attraverso la comunicazione e l’informazione” 69

Infatti gli attori principali in questi contesti, ossia corrispondenti di guerra,

fotografi e cineoperatori direttamente dai teatri di guerra, danno giudizi e

prendendo posizioni favorevoli o contrarie, diffondono immagini molto efficaci,

crude o meno crude, e notizie dettagliate, a volte in disaccordo con le politiche dei

paesi belligeranti

.

70

68 Johann Gutenberg è stato un orafo, inventore e tipografo tedesco, inventore della stampa a caratteri mobili, a cui dobbiamo l'inizio della tecnica della stampa moderna. Johann Gutenberg nacque a Magonza, nato intorno al 1350. Non si conosce la data certa della nascita di Johann, ma è citato come maggiorenne in un documento del 1420. Gli studiosi hanno pertanto collocato la nascita tra il 1393 e il 1403 (come data simbolica per la nascita di Johann Gutenberg, è stato preso il 1400). 69 Diego Lazzarich, “Guerra e comunicazione”, Guida, Napoli, 2008. 70 Studio sull’ “Informazione e mass media durante i conflitti bellici”

. L’informazione è un aspetto culturale volto alla diffusione di

notizie, di fatti documentabili, di commenti soggettivi e di opinioni rilevanti dal

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punto di vista sociale. La propaganda militare viene portata a termine nel seguente

modo; nei regimi totalitari, di solito, la propaganda militare ed anche gran parte

dell’informazione, è controllata direttamente dai massimi dirigenti dei governi.

Nei paesi democratici, invece, è più libera poiché è possibile usufruire di una

grande varietà di fonti di comunicazione, per cui i media possono svolgere anche

un ruolo di critica alla politica belligerante dei governi.

È ciò che è accaduto nella guerra del Vietnam , nella quale una campagna di

immagini molto crude, da parte di giornalisti critici verso la decisione della Casa

Bianca, influì profondamente sull’opinione pubblica condizionando le decisioni

del governo e le sorti della guerra.

Nelle prime guerre della seconda metà dell’Ottocento la libertà di stampa

era molto limitata; in più vi era solamente la figura dell’inviato, generalmente

identificato come un giornalista, che andava sul posto, raccoglieva i fatti e li

riportava sui giornali in maniera trasparente. Tutt’al più era un’operazione molto

lenta perché non c’erano ancora i mezzi di trasmissione rapida delle notizie.

La scoperta del telegrafo71 ha accelerato la trasmissione delle informazioni,

in quanto quest’ultima è stata ridotta da alcune settimane a pochi istanti. A

ragione Neil Postman 72

71 Il telegrafo affonda le sue radici nei laboratori di inizio Ottocento. Rappresenta la prima applicazione pratica degli studi dei maestri dell'elettromagnetismo e, grazie a Samuel Morse, raggiunge una diffusione rilevante, coprendo con una fitta rete il mondo intero. La Pila di Volta è stato il primo strumento della storia in grado di produrre corrente elettrica. 72 Neil Postman (New York, 8 marzo 1931 – New York, 5 ottobre 2003) è stato un sociologo statunitense, professore elementare, teorico dei mass media e critico della cultura contemporanea. Per più di quarant'anni è stato professore associato dell'università di New York.È famoso al pubblico soprattutto per il suo libro del 1985 sulla televisione intitolato “Divertirsi da morire”. Il discorso pubblico nell'era dello spettacolo.

nell’affermare: “il telegrafo è l’esatto opposto della

tipografia. I libri sono un contenuto magnifico per accumulare, esaminare e

analizzare le informazione e le idee… Il telegrafo impone di bruciare il

contenuto… È adatto solo all’invio di messaggi . Il telegrafo ha introdotto il

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linguaggio tipico dei titoli giornalistici: sensazionale, frammentario e

impersonale”. I passi ulteriori furono la radio73 ad inizio Novecento, la televisione

negli anni ’60 e per ultimo internet74

La televisione

.

75

Spesso i conflitti armati non sono altro che la continuazione o una scusa,

con le armi, di conflitti economici e politici, per usare la definizione del famoso

generale prussiano esperto in strategia militare Karl von Clausewitz

, più della radio, ha modificato il rapporto fra strategie

militari e strategie comunicative per quanto riguarda la visione degli avvenimenti.

Come dice Ennio Remondino: “la televisione non ha certo inventato la guerra,

ma ne è diventata la sublimazione, lo strumento indispensabile per confermare o

distruggere le ragioni stesse di un conflitto”.

Internet, la rete delle reti, ha rivoluzionato il mondo del computer e delle

comunicazioni, permettendo una collaborazione e un’ interazione tra individui

senza limiti di distanze geografiche e temporali.

76

73 La radio è la trasmissione di contenuti sonori fruiti in tempo reale da più utenti situati in una o più aree geografiche (predisposte da apposite reti di telecomunicazione) e dotati di specifici apparecchi elettronici ed, eventualmente, specifici impianti di telecomunicazione. Da un punto di vista sociologico la radio è uno dei mezzi di comunicazione di massa tra i più diffusi. L'invenzione della radio è frutto di una serie di esperimenti tenuti alla fine dell'Ottocento che dimostravano la possibilità di trasmettere informazioni tramite le onde elettromagnetiche. 74 Internet (contrazione della locuzione inglese interconnected networks, ovvero "reti interconnesse") è una rete mondiale di reti di computer ad accesso pubblico. Attualmente rappresenta il principale mezzo di comunicazione di massa, che offre all'utente una vasta serie di contenuti potenzialmente informativi e servizi. L'avvento e la diffusione di Internet e dei suoi servizi hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione tecnologica e sociologica dagli inizi degli anni novanta (assieme ad altre invenzioni quali i telefoni cellulari e il GPS) nonché uno dei motori dello sviluppo economico mondiale nell'ambito dell'Information and Communication Technology (ICT) e oltre. 75 La televisione (parola entrata in uso in Italia nel 1931 su modello dell'inglese television, abbreviato TV, è la diffusione corrente di contenuti visivi e sonori, fruibili in diretta o con un breve ritardo, a utenti situati in aree geografiche servite da apposite reti di telecomunicazione e dotati di specifici apparecchi elettronici detti televisori, o di altri impianti per telecomunicazioni. Da un punto di vista sociologico la televisione è uno dei mezzi di comunicazione di massa tra i più diffusi e apprezzati e naturalmente anche tra i più discussi. Dal punto di vista del pubblico, la semplicità d'uso e l'attuale basso costo l'hanno portata ad affiancare sempre più efficacemente la stampa e la radio come fonte di informazione e soprattutto di svago grazie agli innumerevoli spettacoli.

:“La guerra

76 Carl Phillip Gottlieb von Clausewitz ([kaʁl fɔn ˈkla ʊzəvɪts]; Burg bei Magdeburg, 1º giugno 1780 – Breslavia, 16 novembre 1831) è stato un generale, scrittore e teorico militare prussiano. Maggior generale nell'esercito prussiano, combattente durante le guerre napoleoniche, è famoso

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non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è dunque,

solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del

procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi”. Dunque, il

rapporto tra i mezzi di comunicazione di massa e la guerra è stato caratterizzato

fin dalla nascita dei primi strumenti d’informazione da un intenso legame di

reciproca dipendenza; difatti la guerra accelera lo sviluppo dei media con il primo

mezzo di comunicazione, il telegrafo ottico di Claude Chappe77

3.2 I mass media influenzano l’opinione pubblica

. Quest’ultimo fu

sperimentato nel 1793, nel pieno della rivoluzione francese, per collegare in

tempo reale le basi militari di Parigi e Lilla.

A partire dal telegrafo elettrico, introdotto nel 1837 da Cooke 78 e da

Morse79, le innovazioni delle tecnologie della comunicazione ebbero conseguenze

rilevanti sul condizionamento dell’opinione pubblica, garantendo una velocità di

scambio delle informazioni tra i giornalisti che annullava le distanze tra ciò che

accadeva e ciò che si poteva sapere. Nella guerra in Crimea80

per avere scritto il trattato di strategia militare Della guerra (Vom Kriege), pubblicato per la prima volta nel 1832, ma mai completato, a causa della morte precoce dell'autore. Quasi tutta la sua vita si svolse sotto il regno di Federico Guglielmo III. 77 Claude Chappe fu un inventore ecclesiastico e, assieme con i fratelli Ignace (Brulon 1762 - Parigi 1829) e Abraham, ideò un telegrafo ottico le cui segnalazioni potevano essere avvistate con l'aiuto di cannocchiali anche a notevoli distanze. La prima linea fu impiantata tra Parigi e Lilla, e comprendeva 16 stazioni distanti circa 14 km l'una dall'altra; essa fu inaugurata il 1º sett. 1794 con la trasmissione della notizia dell'occupazione della città di Condé da parte delle truppe repubblicane. Tale servizio telegrafico si sviluppò successivamente con l'istituzione di altre linee e rimase in vigore fino al 1830. 78 Sir William Fothergill Cooke (4 maggio 1806 – 25 giugno 1879) fu un inventore inglese. Nel 1837 sviluppò le sue innovazioni tecnologiche relative al telegrafo elettrico. 79 Samuel Finley Breese Morse (Charlestown, 27 aprile 1791 – New York, 2 aprile 1872) è stato un pittore, inventore e storico statunitense. È ricordato per aver inventato insieme con un altro inventore americano, Alfred Vail, il telegrafo elettrico e il relativo alfabeto (detto Codice Morse) che da lui prende il nome. Compì anche esperimenti di telegrafia sottomarina via cavo.

del 1853 l’esercito

80 Crimea, guerra di Conflitto per il controllo dei Balcani e del Mediterraneo (1853-56) che oppose alla Russia l'Impero ottomano, sostenuto da Francia e Gran Bretagna (con l'appoggio di un corpo di spedizione piemontese). Il 4 ottobre 1853 i turchi dichiararono guerra ai russi, che estesero le operazioni dal Danubio al Caucaso: Sebastopoli, massimo porto russo sul Mar Nero, fu cinta d'assedio. Il gen. Gorčakov cercò di risollevar e le sorti russe, ma fu sconfitto nella battaglia della

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franco-inglese poté avvalersi di un collegamento telegrafico diretto tra Londra e

Parigi, sfruttato anche dai giornalisti. Nacque allora la figura del corrispondente di

guerra, impegnato a seguire e a riferire le imprese dei soldati e la vera storia dei

conflitti bellici. Nessuno, o pochi di noi nel mondo occidentale, infatti, ha

un’esperienza diretta della guerra. Tutto ciò che sappiamo e vediamo è una realtà

mediata. Sono i giornalisti inviati, ossia i corrispondenti di guerra, in particolare, a

raccontare ciò che vivono: la guerra vera, vissuta in maniera più diretta rispetto al

resto del mondo. Nonostante la pericolosità delle situazioni in cui operano li porti

sempre più in primo piano, spesso si ignorano le loro storie personali, storie di

uomini e donne che hanno un ruolo non semplice: raccontare ciò che di più

drammatico avviene nel mondo nel momento stesso in cui ciò avviene 81 .

L’espansione delle grandi potenze mondiali avvenne di pari passo con

l’estensione dei cavi telegrafici e poi con la progressiva e sviluppata ramificazione

dei canali di comunicazione. Nel 1861 fu introdotta da Lincoln 82

Cernaia (16 agosto 1855), soprattutto grazie alla resistenza delle truppe piemontesi. Si giunse così al Congresso di pace di Parigi (1856), dove Cavour, forte della partecipazione alla guerra, poté sollevare la questione dell'unità e dell'indipendenza dell'Italia. 81 Studio su “corrispondenti di guerra”, 2006. 82 Abraham Lincoln (spesso citato nei testi in lingua italiana come Abramo Lincoln; Hodgenville, 12 febbraio 1809 – Washington, 15 aprile 1865) è stato un politico e avvocato statunitense. È stato il 16º Presidente degli Stati Uniti d'America e il primo ad appartenere al Partito Repubblicano.

la censura

militare, ma la grande novità di questa fase fu la manipolazione delle notizie,

realizzata spesso direttamente dai generali o dai Segretari di Stato. La capacità di

costruire e diffondere informazioni false è stata fondamentale nel condurre a

termine i piani militari e nel consolidare l’appoggio pieno e convinto

dell’opinione pubblica interna ed esterna. Con la prima guerra mondiale, tutte le

potenze coinvolte dettero vita, in forme diverse, a strutture di controllo

dell’informazione, con funzioni di censura e creazione di notizie ed eventi.

Accanto alla stampa, adesso poteva essere sfruttato un altro grande mezzo di

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comunicazione di massa: il cinema. Fondamentali nel raggiungere le masse di

analfabeti, i cinegiornali e i film di guerra rappresentarono uno strumento decisivo

per raccogliere consenso. La mobilitazione delle opinioni e notizie cominciò a

diventare rilevante nella gestione di una guerra. Con la seconda guerra mondiale

un nuovo mezzo di comunicazione divenne il punto di riferimento cruciale della

pratica comunicative bellica: la radio. Gli apparati militari e politici compresero

presto le potenzialità di uno strumento che per la prima volta poteva riunire nello

stesso momento milioni di persone, penetrare nelle file nemiche, indirizzare

l’opinione pubblica, e tentarono di usarlo durante il conflitto come strumento di

controllo sociale. In particolare i regimi totalitari europei dettero alla radio una

posizione centrale in un sistema comunicativo interamente collegato alle esigenze

propagandistiche. Nella Germania nazista il "Ministero della propaganda e della

formazione del popolo", retto da Joseph Goebbels83

83 Joseph Paul Goebbels (Rheydt, 29 ottobre 1897 – Berlino, 1º maggio 1945) è stato un politico e giornalista tedesco. Fu uno dei più importanti gerarchi nazisti, Gauleiter di Berlino dal 1926 al 1945, Ministro della Propaganda del Terzo Reich dal 1933 al 1945, ministro plenipotenziario per la mobilizzazione alla guerra totale e generale della Wehrmacht, con l'incarico della difesa di Berlino dall'aprile del 1945, e, dopo il suicidio di Hitler, il 30 aprile 1945, per quasi due giorni Cancelliere del Reich. Le sue tecniche di propaganda furono uno dei fattori che consentirono al NSDAP l'ascesa al potere in Germania, nel 1933. Avendo un dottorato in letteratura (la sua tesi dottorale ebbe come argomento la produzione letteraria romantica del XIX secolo) ed essendo inoltre una delle persone più colte tra i nazionalsocialisti di spicco, furono in molti, tra cui lo stesso Führer Adolf Hitler, a chiamare il Ministro Herr Doktor (Signor Dottore).

, e il controllo dello stato

fascista sulla radiofonia in Italia furono l’esempio culminante di una pratica di

orientamento globale dell’informazione che puntava più sulla manipolazione

ideologica che sulla pura e semplice censura. Si trattava dunque di attuare

attraverso i mass media una parallela guerra psicologica diretta a vincere non il

nemico ma le resistenze culturali interne. Fu in questi anni che in Unione

Sovietica tutti gli apparecchi radiofonici vennero sostituiti dal governo con un

sistema via cavo più facilmente controllabile. Anche sul fronte delle grandi

potenze alleate, la nascita di un’opinione pubblica servì alle gerarchie politico-

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militari per affinare le tecniche di controllo delle dinamiche comunicative. Gli

Stati Uniti, in particolare, grazie alla disponibilità di un apparato comunicativo

integrato e potente – dal cinema di Hollywood alla letteratura del Reader’s

Digest84

– misero in campo una potenza di fuoco mediatica senza precedenti. In

Europa, il controllo sull’informazione fu particolarmente rigido, ma non

mancarono esempi di uso libero dei mezzi di comunicazione, come Radio Londra,

decisiva nel mantenere i rapporti con le organizzazioni partigiane e nel

condizionare le popolazioni occupate dai tedeschi.

3.3 La 1ª Guerra del Golfo in televisione

L’informazione è diventata, più che

mai nella storia, un’arma strategica. Il

punto centrale di osservazione

dell’argomento sarà il rapporto che si

instaura tra i mezzi di informazione e il

sistema politico: rapporto che può essere

di collaborazione e ricerca di consenso (i

mezzi di informazione sono istituzioni e

dipendono da altre istituzioni che

costituiscono la loro fonte primaria di

notizie; i politici hanno bisogno dei media, in primo luogo per comunicare con la

gente, per occupare la scena pubblica) oppure di contrasto e ricerca di autonomia.

La guerra in tempo reale si è arricchita della rete telematica, che ha frantumato

84 Reader's Digest è una rivista mensile statunitense fondata nel 1922, che tratta argomenti di carattere generale per le famiglie. Esce in un formato caratteristico di dimensioni ridotte, detto formato digest. Ha edizioni internazionali in diverse lingue ed esce in numerose nazioni; l'edizione italiana, pubblicata fino al 2007, si chiamava Selezione dal Reader's Digest.

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ulteriormente i tempi di diffusione delle notizie grazie alla posta elettronica dei

testimoni diretti e alla convergenza tra mezzi tradizionali come la radio e nuovi

media come Internet. La guerra in tempo reale si è arricchita della rete telematica,

che ha frantumato ulteriormente i tempi di diffusione delle notizie grazie alla

posta elettronica dei testimoni diretti e alla convergenza tra mezzi tradizionali

come la radio e nuovi media come Internet. Nonostante la genealogia di questa

nuova dimensione della guerra/comunicazione attraverso il Novecento assumendo

nuove forme e acquisendo sempre più forza lungo il suo corso, il punto in cui il

legame tra guerra e comunicazione appare combinarsi in una modalità nuova,

palesando una netta e perturbante interconnessione, è sicuramente la Guerra del

Golfo Persico.

La guerra del Golfo, 2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991, detta anche prima

guerra del Golfo in relazione alla cosiddetta seconda guerra del Golfo, è il

conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta da 37 stati formatasi sotto

l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti. Le cause della guerra furono

molteplici; l'Iraq è appena uscito da una lunghissima guerra con l'Iran ed è

fortemente indebolito a livello economico (danni alle infrastrutture, debiti con i

paesi fornitori di armi e viveri). Anche il prestigio del leader, Saddam Hussein,

deve essere rimesso in piedi ed espandersi a livello territoriale, dimostrare la

propria forza militare può essere un modo per farlo. L'Iraq non aveva mai

accettato la nascita dello stato del Kuwait, considerandolo parte del proprio

territorio. Naturalmente anche i pozzi di petrolio, numerosissimi in Kuwait, erano

considerati appartenenti all'Iraq. Il governo iracheno accusava il Kuwait di essere

responsabile per la forte discesa del prezzo del petrolio a livello mondiale

(avendone estratto più di quanto concordato in sede OPEC) e rivendicò per questo

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un risarcimento per le perdite economiche irachene, risarcimento che il Kuwait

non concesse mai. Il 7 Agosto, il presidente americano George Bush, con

l'autorizzazione dell'ONU, decide l'invio di truppe militari necessarie a fermare

l'avanzata degli iracheni in Arabia Saudita. Nel gennaio del 1991 inizia il conflitto

aereo che viene trasmesso in diretta da tutte le TV mondiali. Bombe e missili sono

lanciati su obbiettivi sensibili dell'Iraq e del Kuwait. L'unico alleato del Kuwait è

l'Autorità Nazionale Palestinese 85. Il 24 Febbraio inizia l'operazione via terra,

denominata "Desert Storm"86

• le sanzioni economiche imposte nel 1990 furono mantenute al fine di

indebolire il paese e sfavorirne il riarmo.

(tempesta nel deserto), che vedrà la liberazione del

Kuwait in soli 3 giorni. Il 28 Febbraio 1991 l'Iraq si ritira dal Kuwait, dopo aver

incendiato qualcosa come 700 pozzi petroliferi. Il conflitto vero e proprio è

durato, in tutto, 42 giorni. Dopo la fine della guerra furono stabiliti alcuni accordi:

• l'Iraq venne costretto a rinunciare alla produzione/utilizzo delle armi di

distruzione di massa;

• vennero stabilite delle basi militari USA nei territori circostanti e

furono create due no-fly zones (due "corridoi" aerei che non potevano essere

sorvolati dagli aerei iracheni);

85 L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è un’istituzione creata nel 1994 per regolare la situazione geopolitica nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania, ovvero nelle zone che attualmente costituirebbero il futuro Stato di Palestina insieme a Gerusalemme Est secondo quanto rivendicato dai Palestinesi. La capitale è Gerusalemme Est. La lingua ufficiale è l’arabo. Le valute utilizzate nei territori sono la sterlina egiziana, il nuovo siclo israeliano e il dinaro giordano. L'ANP è una filiale dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Questa in origine era l'unica entità politica a rappresentare il popolo palestinese, nei primi decenni di lotta contro Israele, a livello internazionale tra gli anni sessanta e novanta. Sotto il nome Palestina, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha uno status di osservatore presso le Nazioni Unite (ONU) dal 1974. Dopo la dichiarazione d'indipendenza palestinese del 1988, l'OLP in rappresentanza presso le Nazioni Unite è stato rinominato in Palestina. 86 Il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione, penetrarono in territorio iracheno. Le operazioni di aria e di terra furono chiamate, dalle forze armate statunitensi, Operation Desert Storm motivo per cui spesso ci si riferisce alla guerra usando la locuzione "Tempesta nel deserto".

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Il 17 gennaio 1991, alle 2 e 38 ebbe inizio l’operazione Desert Storm

(conclusasi nel marzo dello stesso anno con la vittoria della Coalizione

Internazionale) e, nello stesso istante, grazie al segnale del canale televisivo

statunitense, Cable News Network (CNN), tutto il mondo poté ascoltare il suono

dei bombardamenti commentato dai reporter Bernard Shaw, Peter Arnett e John

Holliman mentre sullo schermo del video le loro fotografie si stagliavano su una

cartina geografica del Paese attaccato. I tre reporter, dall’Hotel Al-Rashid di

Baghdad, assistettero al bombardamento e lo trasformarono in trasmissione

televisiva sancendo la prima cronaca in diretta di un evento bellico e la definitiva

spettacolarizzazione del conflitto e divenendo, così, profeti di un sodalizio che

avrebbe caratterizzato l’intera operazione militare.

La prima guerra in diretta aveva preso il via e alla prima telecronaca audio

seguirono in breve i primi video dei bombardamenti aerei. I canali televisivi di

tutto il mondo rilanciavamo le immagini provenienti dalla CNN in cui si vedeva

una spettrale Baghdad notturna, resa verde dalle telecamere a infrarossi, in cui i

traccianti della contraerea squarciavano il buio della notte innalzandosi verso il

cielo alla caccia degli aerei statunitensi e, di tanto in tanto, forti bagliori e

fragorose deflagrazioni indicavano l’esplosione dei missili che dagli aerei e dalle

portaerei d’istanza nel Golfo Persico giungevano sulla capitale irachena. “Per la

prima volta nella storia, lo sviluppo tecnologico consentiva di vedere, in tempo

reale e nella forma della mediazione, un conflitto bellico” 87

87 Diego Lazzarich, “Guerra e Comunicazione”, Guida, Napoli, 2008

. Milioni di

telespettatori si trovarono improvvisamente catapultati nel campo di battaglia,

senza per questo essere in pericolo di vita e godendo della stessa prospettiva che

in quel medesimo momento aveva un iracheno. “Così l’umanità intera si è

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accomodata davanti al piccolo schermo per assistere al più grande spettacolo di

tutti i tempi, alla guerra in diretta”88 . “La Guerra del Golfo ebbe certamente il

suo apice nella trasmissione in diretta da Baghdad della CNN, i cui

corrispondenti si trovavano in un albergo della capitale irachena la notte del 17

gennaio 1991 allorché cominciarono i primi massicci bombardamenti. La

trasmissione, resa possibile da un collegamento telefonico miracolosamente

scampato al blackout totale che piombò sulla città, durò ininterrottamente per 17

ore durante le quali le voci dei tre giornalisti descrissero al pubblico mondiale

ciò che stava accadendo a Baghdad, o almeno ciò che si poteva vedere di quanto

stava accadendo dalla finestra dell’albergo dove si trovavano. Il resoconto della

prima guerra televisiva della storia fu, perciò, affidato alla viva voce di testimoni

oculari” 89 . Scrive Mimi White nella sua accurata analisi della copertura

giornalistica della CNN: “A rendere storico questo particolare genere di conflitto

globale fu il fatto di essere condotto in diretta televisiva – teletrasmesso nel

momento stesso in cui si stava svolgendo. Reciprocamente, la copertura televisiva

acquisiva anch’essa una dimensione epocale nell’atto stesso di farsi. Si affermava

così un’ omologia tra fatti rappresentati, modo della rappresentazione e la guerra

in se stessa, al punto che la copertura informativa da parte dei mass media si

qualificò come evento storico sin dal principio”90

“Ciò che secondo M. White costituì la storica messa in onda dell’evento –

liveness – pure in assenza di immagini dirette, fu proprio la dinamica che collocò

le trasmissioni della CNN all’incrocio tra le tecnologie della telecomunicazione e

le tecnologie dispiegate nella guerra in corso”

.

91

88 C. Formenti, “La guerra senza nemici”, in P. Dalla Vigna e T. Villani, Milano, 1991 89 B. Cummings, “War and Television”, Verso, London 1992 90 M. White, “An Analysis of CNN’S War in the Gulf”, cit., p122 91 R. Savarese, “Guerre intelligenti”, Franco Angeli, Milano, 1992

. Per questo motivo, l’intero

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coverage degli accadimenti da parte degli inviati della CNN fu profondamente

caratterizzato da un’estrema autocoscienza del medium, che si manifestò sia

enfatizzando l’atto di riportare le notizie, sia esibendo una costante auto-

riflessività nel sottolineare le condizioni della produzione e della ricezione delle

notizie stesse. La notte dell’attacco udiamo la voce di Peter Arnett che afferma:

“We can’t see anything. But it looks like fireworks on the Fourth of July”92. È

una voce che parla da un’epoca di buio fitto, in cui nulla si vede e nulla si

comprende. “Nel corso dell’intera notte, i tre inviati si parlano addosso, fornendo

incessantemente dettagli, spesso minimi e allo stesso tempo insignificanti, sulla

loro situazione di spettatori. Non esitano a denunciare l’inconsistenza del loro

vedere, eppure esaltano completamente come unica e senza precedenti la loro

posizione di testimoni diretti di una guerra nell’attimo del farsi”93

“I generali venivano mandati alla conferenze stampa come gli attori ad

un’audizione. Chi non offriva una buona prestazione veniva rispedito dietro le

quinte”

.

Accanto alla rivoluzione data, appunto, dalla messa in onda in diretta, del

teatro di guerra, la svolta mediatica coinvolse in pieno anche le forze armate che

diedero vita a conferenze stampa sempre più orientate a fornire descrizioni

particolareggiate ai giornalisti. Nel corso di una delle prime conferenze stampa fu

descritto, ad esempio, in modo meticoloso il nuovissimo apparato bellico

dell’esercito statunitense. La tecnica comunicativa utilizzata puntava a suscitare

una reazione di ammirato stupore di fronte ad armi quali, ad esempio, l’F-117

Stealth, il primo aereo al mondo invisibile agli occhi del radar.

94

92 Cit. in Site Unseen, “White”, pag 131 93 Antonio Scurati, “Guerra: narrazioni e culture nella tradizione occidentale”, Donzelli Editore, Roma, 2003 94 C. Fracassi, “Sotto la notizia niente”, Editore Riuniti, Roma, 1994

.

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3.4 L’influenza dei mass media nella Guerra del Libano 1982

E’ vero che la 1ª Guerra

del Golfo è stata la prima

guerra in diretta televisiva, ma

già negli anni precedenti a

questa, e in particolare negli

anni ’80, assistiamo a quanto i

mass media hanno potuto

influenzare l’andamento dei conflitti, ed uno di questi è stato sicuramente il

conflitto del Libano del 1982. L’invasione israeliana del Libano, che cominciò

con l’invio di forze di terra il 6 giugno 1982, rappresentò il punto di arrivo di una

lunga crisi che durava da anni. I retroscena sono complessi: ai conflitti interni alle

varie fazioni libanesi (sciiti95 , sunniti96 , cristiani) si sovrappose una presenza

sempre più incisiva sul piano politico e militare da parte dell’OLP97 di Arafat che

– dopo il settembre nero e la repressione giordana – vi spostò il proprio quartier

generale, facendosi forte del vasto numero di palestinesi risiedenti nei campi

profughi libanesi 98

95 Minoranze islamiche (dall’arabo shī‛at ‛Alī, «la fazione di ‛Alī»). La loro origine risale alla morte del Profeta. Si ritiene che ‛Alī, cugino e genero di Maometto, fosse stato esplicitamente designato a succedergli. 96 Seguaci ortodossi dell'islamismo, di cui costituiscono la maggioranza. Sin dalla metà del 1° sec. dell'egira, i sunniti assunsero tale nome per affermare che essi soltanto erano i seguaci della vera tradizione di Maometto (mentre gli sciiti seguono anche quella dei suoi discendenti). 97 Organizzazione per la liberazione della Palestina fu fondata a Gerusalemme nel maggio 1964 da una riunione di 422 personalità nazionali palestinesi. Nel gennaio del 1969, Yasser Arafat, leader di Al Fatah (organizzazione politica e paramilitare palestinese, stata fondata nel 1959 da Arafat stesso ) assume la presidenza del Comitato esecutivo. 98 Arafat decise di spostarsi in Libano approfittando della critica situazione che il paese stava vivendo; gli scontri tra musulmani e cristiani erano sempre più frequenti e, per questo motivo, la sua presenza nel paese sarebbe passata in secondo piano.

. All’avvio di una vera e propria guerra civile nel 1975, seguì

nel 1976 un fallito tentativo siriano di imporre nuova stabilità affermando la

propria egemonia. In quel contesto, il Libano meridionale in cui, per effetto del

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collasso delle strutture dello Stato libanese, si fece sempre più incisiva la presenza

dell’OLP, divenne la base da cui partirono ripetuti attacchi nei confronti del nord

della Galilea, cui seguirono rappresaglie dell’esercito di Tel Aviv per mezzo di

artiglieria e aviazione. Il 1982 è l'anno in cui il Libano si trasforma in campo di

battaglia. Il 4 giugno 1982, la guerra si aggrava dopo l'attentato a Londra, per

opera del gruppo palestinese anti-OLP di Abu Nidal99 , all'ambasciatore israeliano

Shlomo Argov 100. Israele invade il Libano su larga scala e scatta l'operazione

Pace in Galilea101

Gli israeliani appoggiati dalle milizie cristiane, procedono a successive

incursioni nel territorio libanese culminate nell'invasione del Libano meridionale

del giugno 1982. Alla metà di giugno gli israeliani iniziano l'assedio di Beirut e

accerchiano i 15.000 combattenti dell'OLP e dei suoi alleati libanesi e siriani

all'interno della città. Il diplomatico americano Philippe Habib

.

102 ottiene dal

Primo Ministro israeliano l'assicurazione che i suoi soldati non sarebbero entrati a

Beirut Ovest e non avrebbero attaccato i Palestinesi dei campi profughi. Viene

firmato l'accordo. Yasser Arafat 103

99 Abu Nidal, maggio 1937 – 16 agosto 2002, è stato un attivista, politico e terrorista palestinese. 100 Shlomo Argov, 14 dicembre1929 – 23 febbraio 2003, era un prominente diplomatico israeliano. Difatti, era l’ambasciatore di Israele nel Regno. 101 La Pace in Galilea cominciò il 6 giugno 1982, allorché le Forze di Difesa Israeliane (FDI) invasero il sud del Paese dei cedri. Il governo d'Israele dette il via libera all'invasione come risposta al tentativo di assassinio messo in atto da parte del Fath contro il proprio ambasciatore nel Regno Unito, Shlomo Argov, e in risposta ad attacchi d'artiglieria dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina contro aree popolate nel nord della Galilea. 102 Philip Charles Habib (Brooklyn, 25 febbraio 1920 – Puligny-Montrachet, 25 maggio 1992) è stato un diplomatico statunitense nato da genitori cristiani maroniti di origine libanese . 103 Yāsser ʿArafāt (pronuncia: Yāsir ʿArafāt; in arabo: ياسر عرفات; Il Cairo, 24 agosto 1929 – Clamart, 11 novembre 2004) è stato un politico palestinese. Personaggio complesso e controverso, uomo d'azione ma anche prudente diplomatico, venne accusato di aver sostenuto gli atti di terrorismo contro i civili israeliani e non aver fatto nulla per contrastarli. Tuttavia, da parte del mondo arabo, è stato sempre riconosciuto e considerato come figura unica e carismatica.

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contrapposti, quello filo-siriano del mussulmano Selim el-Hoss (a Beirut Ovest) e

quello del cristiano Michel Aoun (a Beirut Est), che nel marzo 1989 proclamava

una guerra di liberazione dagli stranieri (siriani) provocando l'aumento della

pressione militare della parte avversa e dei drusi sulla capitale. La guerra del

Libano termina nell'ottobre del 1989 con gli accordi di Taef108 che prevedono lo

scioglimento e la deposizione delle armi delle milizie e la garanzia da parte del

Parlamento di un'amnistia per tutti i crimini commessi durante la guerra civile. Le

milizie verranno tutte sciolte ad eccezione di Hezbollah. Tra agosto e settembre

del 1991 si tenevano nel Paese le libere elezioni, dalle quali emergeva un

Parlamento frammentato in numerosi gruppi, e solo alla fine di ottobre il primo

ministro designato, il sunnita Rafik al-Hariri 109, presentava il nuovo governo.

Intanto nel paese cresce l'importanza del partito sciita di Hezbollah che insieme ai

palestinesi, o autonomamente, minaccia Israele sulla linea di confine tra i due

paesi. “L’evento militare ebbe da subito un’amplissima copertura giornalistica

internazionale, assumendo così un grande rilievo mediatico”110

“I mezzi di comunicazione non si limitarono alla fredda e precisa cronaca

militare, ma stimolarono analisi e riflessioni più ampie sulla cultura e l’ideologia

della destra israeliana e sulle qualità del capo del governo”

.

111

108 Gli accordi di Taef costituiscono un trattato inter-libanese destinato a mettere fine alla guerra civile libanese che si è sviluppata tra il 1975 e il 1990. Negoziati a Ṭaef in Arabia Saudita, essi sono stati il risultato degli sforzi politici di un comitato composto da re Hassan II del Marocco, di re Fahd dell'Arabia Saudita e del presidente algerino Shadhli Benjedid, col sostegno ufficioso della diplomazia degli Stati Uniti d'America. Venne stipulato il 22 ottobre 1989 e ratificato dal Parlamento libanese il 5 novembre dello stesso anno. 109 Rafik al-Hariri Sidone, 1º novembre 1944 – Beirut, 14 febbraio 2005, è stato un politico e imprenditore libanese. 110 B. Morris, “Vittime. Storia del conflitto arabo-sionista”, Rizzoli, 1881 111 «Il Manifesto», 11 giugno 1982

, e si lanciarono in

arditi giudizi sulla natura complessiva del movimento sionista e sullo spirito e le

finalità profonde che ne avrebbero animato le scelte politiche. In questo contesto

mediatico, l’opinione pubblica italiana era scarsamente informata. In parte a causa

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dell’attenzione sporadica prestata dal giornalismo italiano alla vicenda, in parte

per via dell’intrinseca complessità dello scenario. L’invasione voluta da

Menachem Begin e Ariel Sharon – allora rispettivamente primo ministro e

ministro della difesa – con lo scopo non dichiarato di sradicare definitivamente la

presenza dell’OLP e di imporre la propria egemonia, fu percepita da molti con

sorpresa e sgomento. Si trattava della prima guerra mossa da Israele non per

finalità chiaramente difensive, e ciò svolse un ruolo cruciale nel rafforzare la

percezione di quello Stato come un’entità rapace, aggressiva ed espansionistica.

Nel luglio del 2006, il Libano è di nuovo al centro dell'attenzione mondiale per il

riaccendersi del conflitto tra Israele e le milizie sciite di Hezbollah. “In seguito al

rapimento di due soldati israeliani da parte degli Hezbollah, i due eserciti si

sono fronteggiati sul confine a colpi di missili e incursioni aeree che hanno

colpito la capitale Beirut. Oltre 1000 vittime libanesi, la maggior parte civili, 159

le vittime israeliane, soprattutto soldati”112

Il 29 agosto, da Brindisi a bordo della portaerei Garibaldi, è partito il primo

contingente italiano. "Operazione Leonte"

. L'11 agosto 2006 il Consiglio di

Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità la risoluzione 1701; si

chiede la completa cessazione delle ostilità, in particolare, di tutti gli attacchi da

parte degli Hezbollah e di tutte le operazioni militari difensive di Israele. Si

chiede, inoltre, l'invio delle forze UNIFIL (United Nations Interim Force in

Lebanon) in una missione congiunta nel sud del paese Libano.

113

112 «La Repubblica», 18 luglio 1982. 113L'Operazione Leonte è una missione militare italiana in Libano, in ambito ONU iniziata nel 2006. L’operazione prende il nome dal Leonte, il più grande fiume del Libano e che delimita l’area in cui il contingente italiano opera secondo le disposizioni della risoluzione n.° 1701 delle Nazioni Unite.

: questo il nome della missione,

l'antico nome del fiume Litani, la zona che sarà pattugliata dagli italiani. Il fiume

Litani stabilisce una sorta di secondo confine a nord della Blue Line tra Libano e

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Israele. Milos Strugar, consigliere politico della missione Unifil afferma :"Nel

1978 il mandato consisteva nell'assicurare il ritiro delle truppe israeliane dal

Libano, nell'aiutare il governo libanese ad estendere la propria autorità nel sud

del paese, attraverso il dispiegamento di forze armate e nel mantenere la tregua.

Come nel 1978, nel 2006114

ci troviamo a discutere delle stesse cose. La chiave

sta nella volontà politica dei governi libanese e israeliano. Devono assicurare il

loro sostegno. La presenza internazionale sono un contributo, ma non

garantiscono il successo di una missione di pace".

3.5 Missione UNIFIL

Durante la Guerra in

Libano le forze militari di pace

statunitensi, francesi e italiane

raggiunsero un accordo

garantendo ai sopravvissuti

dell’OLP di trovare rifugio negli

Stati arabi confinanti.

Quest’ultima venne definita come

Forza Multinazionale in Libano. A causa di un attentato alla propria base, gli

statunitensi lasciarono Beirut Ovest due settimane prima del termine del loro

mandato ufficiale. Un secondo intervento si ha a seguito del conflitto israelo-

114 La guerra del Libano del 2006 o terza guerra israelo-libanese, definita in Israele seconda guerra del Libano (dopo quella del 1978), è stato un conflitto militare durato 34 giorni, avvenuto in Libano e nel nord di Israele in seguito a un'operazione militare su vasta scala attuata dall'esercito israeliano per reazione o rappresaglia al rapimento di due suoi soldati il 12 luglio 2006 da parte di militanti libanesi Hezbollah.

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libanese del 2006115 . Dal 28 gennaio 2012 guida la missione il generale italiano

Paolo Serra. L’Italia è attiva con l’Operazione Leonte . Le truppe italiane

sostengono e assistono il governo libanese ad esercitare la propria sovranità sul

Libano e la sicurezza dei propri confini, in particolare lungo le frontiere con

Israele. Sono a sostegno delle forze libanesi nelle operazioni di sicurezza e

stabilizzazione dell’area allo scopo di prevenire un ritorno delle ostilità e creare

condizioni per una pace duratura nel Paese. Come detto precedentemente, l’Italia

è inserita nella forza multinazionale denominata UNIFIL che dal 1978 opera

lungo la linea “armistiziale” Blue Line tra il Libano ed Israele. Qui le truppe

italiane, oltre a sostenere il governo, hanno dato la propria assistenza alla

popolazione civile con un’equipe composta da medici e paramedici. Alla missione

UNIFIL partecipano oltre 10.000 soldati provenienti dai seguenti Paesi: Armenia,

Bangladesh, Bielorussia, Ghana, Grecia, Guatemala, Ungheria, India, Indonesia,

Italia, Irlanda, Kenia, Malesia, Nepal, Nigeria, Qatar, Corea, Serbia, Sierra Leone,

Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Tanzania e Turchia. Attualmente i militari italiani

presenti in Libano sono 1.100, maggior parte dei quali appartenenti alla Brigata

Meccanizzata “Granatieri di Sardegna” a Roma116

3.6 Il ruolo di Al-Manar nella guerra

.

Al-Manar, che in arabo vuol dire “il faro”, meglio conosciuta come “la

televisione della Resistenza”, è un canale satellitare arabo strettamente connesso

al movimento libanese di Hezbollah. A causa delle sue posizioni politiche, il

115 La guerra del Libano del 2006 o terza guerra israelo-libanese, definita in Israele seconda guerra del Libano (dopo quella del 1978), è stato un conflitto militare durato 34 giorni, avvenuto in Libano e nel nord di Israele in seguito a un'operazione militare su vasta scala attuata dall'esercito israeliano per reazione o rappresaglia al rapimento di due suoi soldati il 12 luglio 2006 da parte di militanti libanesi Hezbollah. 116 www.ministerodelladifesa.it

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canale è stato messo al bando negli USA e in alcuni paesi europei. Il direttore

generale di Al-Manar, Abdallah Kassir, è anche il presidente dell’Unione dei

Canali Musulmani. Al-Manar incoraggia l’ideologia della resistenza e della lotta

contro l’occupazione israeliana. Il canale non trasmette un unico programma, ma

tratta di vari temi quali: programmi politici, telegiornali, programmi di carattere

sociale, telenovele e anche giochi a premi. A livello nazionale, Al-Manar è

seguito dalla maggior parte della popolazione nel paese, vale a dire dagli 800.000

a 1.200.000 utenti. Difatti, quest’ultimo oscilla tra il secondo e il terzo posto nella

gerarchia dei canali libanesi. Il programma ha avuto molto successo tra i

musulmani poiché ha sempre promosso la distruzione dello Stato d’Israele, era

dedicato agli stessi musulmani ed era promosso dai discorsi di Nasrallah117 il

quale, grazie al suo grande carisma, ha molta influenza sul mondo arabo-islamico

e ciò ha portato ad un aumento degli utenti. Nel 2003 è stata presentata in Francia,

da parte di alcune lobby ebraiche tra le quali Memory118

117 Hassan Nasrallah, più correttamente Hasan Nasr Allah (Burj Hammud, 30 agosto 1960), è un patriota libanese, segretario del partito e gruppo militare sciita Hezbollah. 118 Memory è una lobby di ex ufficiali israeliani e il loro obbiettivo è quello di controllare i media, tra i quali Al-Manar, che secondo loro appoggiano il terrorismo.

, una causa contro il

canale per impedirne la trasmissione in Europa e in America. A dispetto delle loro

iniziative, questo non ha fatto altro che aumentare la popolarità di questo canale.

Il canale non è seguito solamente dai musulmani. Per quanto riguarda il Libano,

l’audience è composta da cristiani ed altre religioni. Oggigiorno in Libano sono

presenti diversi canali, ciascuno dei quali appartiene a una religione o ad opinioni

politiche differenti. La percentuale femminile che lavora all’interno

dell’organizzazione supera il 22% e la maggior parte del personale femminile ha

un ruolo diretto; sono inviate o presentatrici di programmi e Talk Show. È un

canale che si pone come obiettivo quello di intensificare la resistenza anti-

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israeliana, in supporto a tutte le insorgenze che combattono ancora oggi contro gli

eserciti occidentali in Medio Oriente e contro i disvalori della Modernità.

Sostiene apertamente le missioni suicide contro Israele e ha sostenuto la teoria di

un coinvolgimento israeliano nell’attacco dell’11 settembre contro gli Stati Uniti.

Come detto precedentemente, il governo francese ha dato istruzioni ad uno dei

provider satellitari di Al-Manar, Eutelsat, affinché interrompesse le trasmissioni

del canale in questione, ma i telespettatori francesi possono ancora avere accesso

ad Al-Manar almeno tramite altri due provider: Arabsat, di proprietà saudita e

Nilesat di proprietà egiziana. Si presume che Al-Manar, oltre a ricevere

finanziamenti dall’Iran, dal mondo arabo, dalle comunità di musulmani residenti

nell’Unione europea e in Nord America, abbia ricevuto, da un’organizzazione non

governativa con sede in Libano, finanziamenti derivanti dai fondi stanziati

dall’Unione Europea. Inoltre, un certo numero di società europee sottoscrive

contratti per spazi pubblicitari su questo canale, tra le altre, dado Maggi,

cioccolata Milka e detergenti Henkel in Germania, formaggio e burro finlandese

Smeds, sigarette Gauloises e formaggio Picon in Francia, nonché l’austriaca Red

Bull. Dobbiamo dunque riflettere sulla forte relazione che il canale di Al-Manar

ha con il movimento degli Hezbollah: un canale attraverso il quale questo

movimento cerca di sensibilizzare la popolazione musulmana su dei temi di

estrema importanza. Gli Hezbollah, infatti, diffondono le proprie idee attraverso

uno dei mezzi di comunicazione più evoluti ai nostri giorni, la televisione. Molte

Forze Internazionali hanno criticato il canale Al-Manar di alimentare le tensioni e

dunque di rendere ancora più critica una situazione di per sé già difficile da

risolvere. È stato inoltre accusato di promuovere azioni terroristiche per coloro

che non accettano la volontà musulmana e compromettono il volere di Allah.

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CAPITOLO IV

L’ESERCITO ITAIANO NEI TEATRI OPERATIVI

4.1 I progetti CIMIC

“Il termine CIMIC (Civil-Military Cooperation) indica il coordinamento e

la cooperazione tra la componente militare e le organizzazioni civili presenti nel

territorio interessato ad un'operazione militare, con particolare attenzione alla

popolazione locale, alle Autorità, alle organizzazioni nazionali (OG), alle

organizzazioni internazionali (OI) e non governative (ONG). Lo scopo delle

attività CIMIC è di implementare e mantenere la piena cooperazione tra i militari

e la componente civile al fine di creare le condizioni necessarie a favorire il

raggiungimento della missione. I compiti principali delle attività CIMIC sono:

1. fornire supporto alle Forze militari;

2. realizzare il collegamento tra componente civile e militare;

3. fornire supporto all'ambiente civile”. 119

119 Definizione presa da Wikipedia

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Questi progetti sono attivi in molti teatri operativi;

• In Libano continuano i progetti in favore della popolazione nel Paese

da parte dei caschi blu italiani della Joint Task Force Lebanon su base Brigata

Granatieri di Sardegna. È stato istituito il “Center for children with special

needs”, ossia un centro di educazione per bambini e ragazzi dai 3 fino ai 20 anni

che necessitano di assistenza speciale per problemi fisici, comportamentali ed

emotivi. Le attività hanno visto la partecipazione dei bambini e dei ragazzi

dell’istituto, di età compresa fra gli 8 e i 14 anni, in corsi di arti marziali, di

apprendimento della lingua italiana e di avviamento al gioco del calcio. “In tale

contesto è stato donato alla scuola, dal contingente italiano, un fotocopiatore che

agevolerà lo svolgimento delle attività didattiche dell’Istituto”;120

• “In Kosovo nel 2013 il contingente italiano ha portato a termine 21

progetti CIMIC a favore della popolazione di ogni etnia. Tali progetti vanno dalla

donazione di strumentazione alle emittenti locali di Radio Peja e Radio

Gorazdevac alla costruzione di un parco giochi per una scuola elementare, dalla

donazione di computer e costituzione di aule d’informatica in diverse scuole nella

regione alla donazione di un ambulatorio otorino–oftalmico in un’enclave

serba”;

121

• In Afghanistan sono stati inaugurati dei progetti di assistenza in favore

della provincia afgana occidentale di Herat a vantaggio della popolazione locale,

area di responsabilità italiana nell’ambito della missione ISAF, dove opera il

Regional Command-West. NeI settore dell’agricoltura, il centro rurale di Cha-

Bulbul, abitato da oltre 400 famiglie dedite alla pastorizia, con oltre 7.000 capi di

ovini presenti nella zona, ha beneficiato della realizzazione di undici pozzi per

120 http://www.esercito.difesa.it/Notizie/Pagine/LIBANO_140415_70.aspx 121 http://www.esercito.difesa.it/Notizie/Pagine/KOSOVO_140201_68.aspx

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l’acqua potabile. Sono state costruite molte strade e molte sono state rimesse a

punto, come la Ring Road - principale arteria viaria dell’Afghanistan che unisce

Herat a Kabul passando per Kandahar e Mazar-e-Sharif, al distretto di Injil.

4.2 Esercito come mediatore di pace e linguistico

“L'Esercito Italiano e' impegnato con contingenti di Osservatori e di Truppe

in molti teatri operativi, dall'Europa all'Africa al Medio Oriente. La media di

personale costantemente schierato all'estero si aggira sulle settemila unità, con

punte che hanno superato i diecimila uomini impegnati oltremare. Le missioni

(ONU, NATO, Forze Multinazionali) sono state suddivise in categorie riguardanti

la presenza di reparti organici, Missioni con i Reparti, le Missioni di

Osservazione, svolte da piccoli nuclei di Ufficiali e Sottufficiali per conto di

Organizzazioni Internazionali (ONU, OSCE, CE) e le Delegazioni di Esperti”.122

122

http://www.esercito.difesa.it/Attivita/MissioniOltremare/Pagine/default.aspx

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In Italia l’operato dei nostri soldati all’estero non viene raccontato con la

giusta importanza che meriterebbe. Ci sono molte opinioni, contrarie e non, sulle

missioni di pace in cui l’Esercito Italiano è ogni giorno impiegato. Tanti

commenti - positivi o meno - punti di vista differenti, ma i mezzi di

comunicazione esaltano la vera natura di questi soldati che si recano in questi

teatri operativi? Mostrano le dure difficoltà a cui sono soggetti ogni giorno come

la mancanza dei loro cari, le difficoltà culturali, il sostegno che danno alla

popolazione locale? I mass media ci riportano solamente le scene più crude e

negative della missione, nella maggior parte dei casi raccontandoci la perdita dei

nostri militari o le azioni negligenti da parte di quest’ultimi.

“Sono circa 8.500 i militari italiani impegnati in 30 missioni internazionali

in 20 Paesi. L'Afghanistan è la nazione che vede il maggiore contributo del

contingente nazionale (cica 2.700 Unita'); segue il Libano (2.100) ed i Paesi dei

Balcani (Kosovo, Bosnia e Albania), con circa 2.300 Unita'”123

• Afghanistan: 2.700

.

Ecco il quadro delle missioni a cui partecipano i militari italiani:

• Libano: 2.100

• Balcani (Bosnia, Kosovo, Albania, Fyrom): 2.300

• Acque Somalia (operazioni antipirateria): 420

• Iraq: 110

• Acque Mediterraneo: 330

• Egitto: 78

• Malta: 36

• Georgia: 14

123 http://www.rainews.it/it/foto-gallery.php?galleryid=134768

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• Hebron: 12

• Gaza: 9

• Israele: 8

• India-Pakistan: 7

• Congo: 5

• Marocco: 5

• Cipro: 4

• Sudan: 3

L’Afghanistan ha visto il proprio Paese rinascere grazie all’intervento delle

varie Forze Internazionali che hanno ristabilito la pace e la stabilità nel territorio.

Gli afghani dovevano sottostare alle leggi dei talebani 124

124 Il termine talebani (in Pashto e in persiano: طالبان, ṭālebān, plurale di ṭāleb, ossia "studenti/studente"), indica gli studenti delle scuole coraniche in area iranica, incaricati della prima alfabetizzazione, basata su testi sacri islamici. Sono diventati famosi sugli organi di comunicazione di massa, che usa a torto questo termine per indicare la popolazione fondamentalista presente in Afghanistan e nel confinante Pakistan.

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teatri operativi: il Libano e l’Afghanistan, due missioni diverse con storie diverse,

raccontate da un Tenente Colonnello medico e da due Caporali;

4.3 Interviste

• Intervista al 1° Caporal Maggiore Antonio Di Russo:

Buonasera, è un piacere testimoniare l’impegno dell’Esercito Italiano in

questi teatri operativi. Sono il 1° Caporal Maggiore Antonio Di Russo, ho 26 anni

e sono di Taranto. Mi sono arruolato all’età di 19 anni e attualmente lavoro

all’8° Reggimento Bersaglieri di Caserta.

1. In che teatro operativo è stato impegnato? Per quanto tempo?

Sono stato impegnato in Libano per sei mesi.

2. Quali opere sono state fatte nel Paese dall’Esercito Italiano?

La presenza dell’ E.I. in Libano è stata fondamentale per il Paese. Ogni

giorno uscivamo dalla base per portare i primi soccorsi – con medici e

paramedici – nelle aree più devastate e isolate del territorio. Inoltre abbiamo

ricostruito molte infrastrutture essenziali al Paese come ospedali, scuole e uffici

pubblici.

3. Ha notato scetticismo da parte della popolazione ?

Personalmente non ho notato nessun tipo di scetticismo. Probabilmente sono

abituati a vederci da anni sul loro territorio. Inoltre le nostre opere nel territorio

sono molto importanti per loro.

4. Come comunicavate con la popolazione?

Con la popolazione locale comunicavamo grazie all’aiuto di un interprete.

Era un ragazzo italiano che si è arruolato come “mediatore linguistico”

nell’esercito. Ricordo che aveva un’ottima padronanza del francese e dell’arabo

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(dialetto libanese) e per questo motivo non abbiamo avuto nessun problema

relativo alla comunicazione.

5. Quali sono state le maggiori differenze o difficoltà culturali che ha

riscontrato?

Potrei parlare di differenze ma non di difficoltà. Come ho detto

precedentemente siamo stati accolti molto bene dalla popolazione. È stato bello

condividere con loro dei momenti importanti per la loro cultura. Ricordo di

quando ci ha invitato a casa un signore libanese e ci ha fatto mangiare i piatti

tipici e ci ha fatto degustare un’ottima tazza di tè alla menta.

6. C’è stato qualche episodio in particolare che l’ha colpita?

L’episodio che mi ha colpito maggiormente è stato quando abbiamo fatto

visitare la base ad alcune persone locali. C’erano intere famiglie e abbiamo

giocato a calcio con i bambini. È stata un’esperienza indimenticabile.

7. Che cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Mi ha lasciato tanta voglia di aiutare il prossimo, non c’è soddisfazione più

grande! Sono fiero di essere Italiano e, nonostante ci siano molti problemi nel

nostro Paese, non bisogna mai smettere di amare la nostra Terra.

• Seconda intervista al Tenente Colonnello Medico Fabrizio Di Filippo

1. Buonasera, vorrei innanzitutto ringraziarla per la sua disponibilità.

Vorrei iniziare con la Sua presentazione.

Buonasera, sono il Ten. Col. Fabrizio Di Filippo Ufficiale Medico

dell’Esercito Italiano, in Servizio Permanente.

2. Quando si è recato in Afghanistan?

La prima volta nel periodo maggio-agosto 2009 a Kabul e nel periodo

agosto-novembre del 2011 a Bakwa.

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3. Ha mai avuto dei problemi di comunicazione con i pazienti?

No. Eravamo supportati da interpreti afgani alcuni dei quali parlavano

anche l'italiano.

4. Quali sono stati i problemi sanitari più rilevanti che ha riscontrato?

Scabbia, Leishmaniosi, segni di denutrizione.

5. Ha avuto dei problemi relativi alla cultura femminile?

Raramente le donne venivano per curarsi. Per lo più si presentavano

bambini, bambine e uomini.

6. Come è stato accolto dalla popolazione locale?

Quando ci fermavamo nei villaggi gradivano ricevere cure, medicine e

acqua.

7. Quali sono state le maggiori difficoltà o differenze culturali?

Era chiaro che non gradivano particolarmente la nostra presenza.

8. C'è stato qualche episodio che l'ha colpita particolarmente?

A Kabul le strade caotiche sono piene di cartelloni pubblicitari di compagnie

Telefoniche o dalla Nestlè e sotto puoi trovare bambini che giocano nelle fogne a

cielo aperto o che vivono accampati nelle discariche.

9. Che cosa vi ha lasciato questa esperienza?

Da un lato i tanti sorrisi di ringraziamento e dall'altro la consapevolezza che

non si può cambiare la loro vita.

• L’ultima intervista è stata fatta al sottotenente Andrea (mi è stato chiesto di

mantenere l’anonimato, per cui verrà citato solo il nome). Attualmente si trova in

Afghanistan e, nonostante i problemi relativi alla connessione, è riuscito a

rispondere in maniera esaustiva alle seguenti domande.

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1. Si presenti

Sono il sottotenente Andrea della Brigata Folgore. Ho 24 anni e attualmente

mi trovo in Afghanistan, a Herat.

2. Quando si è recato in Afghanistan?

Sono arrivato qui a Marzo. Resterò sul territorio Afghano fino a metà

settembre.

3. Avete mai fornito il vostro contributo alla popolazione?

Tutti i giorni forniamo il nostro aiuto e contributo alla popolazione locale.

Soprattutto per quanto riguardano le opere di salvaguardia e sicurezza di

quest’ultimi.

4. Avete mai avuto dei problemi relativi alla comunicazione?

Abbiamo riscontrato molti problemi relativi alla comunicazione. La

connessione internet funziona a mala pena e questo ha costituito un grande

problema.

5. Siete accompagnati da interpreti locali ?

Si, abbiamo degli interpreti locali che ci accompagnano tutti i giorni.

Costituiscono un elemento essenziale nella comunicazione con la popolazione

locale.

6. Quali sono state le maggiori differenze culturali che ha riscontrato?

Ne ho riscontrate molte, soprattutto per motivi religiosi.

7. Potrebbe farmi un esempio?

Non c'è nessuno che non crede nella religione. Questo influenza molti aspetti

quotidiani con i quali dobbiamo far fronte ogni giorno.

8. C'é stato un episodio che l'ha colpita particolarmente?

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Sinceramente no, niente che mi sia rimasto dentro, sopratutto di quello che

posso raccontare.

9. Rifarebbe mai questa esperienza?

Sicuramente, non ne ho dubbi.

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CONCLUSIONE

Nonostante non vi sia una chiara definizione e una legge che definisca gli

interpreti impegnati nei teatri operativi, quest’ultimi sono fondamentali in tale

contesto; l’interprete, non solo ha il compito di essere una voce veicolare tra due

lingue, ma è un vero e proprio filo conduttore tra due culture, storie e opinioni

divergenti. Dall’analisi sullo studio del contesto bellico si è evidenziato come vi

sia una scarsa autonomia giuridica per gli interpreti operanti in questi teatri

operativi. Bisognerebbe porre una maggiore attenzione per il loro status giuridico

in modo tale da tutelarli prima, durante e nel periodo successivo alla permanenza

in tali contesti. Difatti, occorre fornire agli interpreti e ai mediatori culturali e di

pace le conoscenze e le competenze di base per operare in un contesto bellico.

Sarebbero necessari maggiori corsi di formazione che preparino queste persone

alla missione sia dal punto di vista psicologico che fisico, così come l’istituzione

di organi di supporto una volta che quest’ultimi rientrano in patria. Come detto

precedentemente, molti soggetti risentono di alcuni disturbi psicologici una volta

tornati nel proprio Paese e, non essendo considerati militari, non possono

beneficiare di apposite strutture di sostegno dedite alla cura di tali patologie.

Sono stati presi in esame molti compiti fondamentali per la pace e la

sicurezza internazionale in cui l’interprete è coinvolto come la testimonianza di

crimini contro l’umanità durante i conflitti bellici o il riportare la pace dopo la fine

di un conflitto.

Per quanto riguarda l’obbligo di testimonianza da parte dell’interprete, è

evidente che rispetto a questa ipotesi emergono evidenti elementi di contrasto fra

doveri deontologici, esigenze di giustizia e la necessità di non esporre gli

interpreti, specie quelli locali, agli evidenti rischi per la loro incolumità personale

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rispetto a tale dovere di testimonianza. Sarebbe dunque opportuna la creazione di

una maggiore tutela per questa figura tramite un apposito trattato internazionale.

Varie sono le organizzazioni internazionali che potrebbero essere coinvolte, quale

forum di discussione, in questo processo, dalle Nazioni Unite, al Consiglio

d’Europa, all’Unione Europea, al Comitato Internazionale della Croce Rossa.

Si è visto, inoltre, come l’informazione televisiva influenzi l’opinione

pubblica su tematiche quali politiche, economiche o religiose. Molte volte, infatti,

la televisione riporta al grande pubblico ciò che è più conveniente per il Paese

stesso. La manipolazione di notizie per scopi politici ed economici la riscontriamo

in ciò che è successo nell’area mediorientale. Al-Manar incita, attraverso le sue

trasmissioni, nella guerra del Libano 1982, l’audience su tematiche specifiche e

mostra immagini o illustra i fatti di cronaca che vanno a favore della sua ideologia

sapendo cosa far sapere o cosa omettere.

Nell’ ultimo capitolo si è evidenziato l’operato dell’Esercito Italiano nei

diversi teatri operativi. Nella maggior parte dei casi il loro difficile compito non

viene riportato con la dovuta importanza e, per questo motivo, l’opinione pubblica

a volte non è d’accordo con l’invio dei vari contingenti militari all’estero.

Considerano queste missioni uno spreco di soldi e una forma di dittatura da parte

dei militari nel Paese in cui regna un clima di conflitto. Bisogna affermare che,

soprattutto per le missioni ONU, l’obiettivo dei contingenti italiani è quello di

preservare e mantenere un clima di pace e stabilità nel Paese. Nei vari teatri

operativi (quali Kosovo, Afghanistan o Libano) sono stati ricostruiti molti villaggi

e molte strutture essenziali come ospedali. scuole o pozzi di acqua potabile.

Medici o ingegneri militari si recano ogni anno in queste terre disagiate per dare il

loro contributo e per questo motivo sono definiti dei veri e propri mediatori di

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pace. Si definiscono anche mediatori linguistici in quanto si trovano ad aver a che

fare direttamente con la popolazione locale. Nonostante siano affiancati dalla

figura dell’interprete, i vari contingenti militari necessiterebbero di alcuni corsi di

formazione per quanto riguarda l’aspetto linguistico e culturale.

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SEZIONE

INGLESE

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93

INTRODUCTION

Resolving armed conflicts has changed considerably over the last few

years; the term Peace Support Operations (PSO) includes all the diplomatic,

humanitarian, military actions carried out by the military and civil staff.

The aim of this thesis is to analyse the current situation, considering the

most recent years, that concerns the characteristics of the war, the actors engaged

in the theatres of operations, information and its relationship with war. The goal is

to explain the problems originated in the course of time in the most important

theatres of operations and how they are dealt with when civilian actors are

operating in these conflict areas.

This thesis will analyse the works of historians such as Bruce Cummings

and essays written by some scholars of communication.

The first chapter of the thesis deals with the issue on peace and

international security. The characteristics of the UN and NATO will be listed as

well as the phases of recruitment of national contingents that are involved in order

to take part in peacekeeping missions (peacekeeping operations).

In most cases, terrorism compromises this stability. For this reason, both

organizations are actively involved in the fight against this menace.

The second and the third chapter are the central point of the study. They

analyse the figure of the interpreter and television communication.

The figure of the interpreter in these theatres of operations will be analysed

as well as what emerges from the analysis of his/her legal status. In fact, the

interpreter does not enjoy full legal independence like the figure of a journalist.

We will focus on the rules relating to the discipline of the interpreter in case of

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capture in armed conflicts in accordance with the law of the Fourth Geneva

Convention of 12 August 1949.

An interesting aspect that will be examined concerns the situation in which

the interpreter is involved in a post-conflict situation, where it is necessary to

restore peace in the territory after a conflict. The treaties that define the legal

status of interpreters in these contexts are defined SOFA (Status of Force

Agreement). Thanks to these treaties the local staff enjoys immunity from

jurisdiction regarding both criminal and civil matters. An example of a SOFA

mission is the theatres of operation in Afghanistan.

Another problem that the interpreter engaged in war zones may deal with

is the possibility of testifying in criminal courts which regulate the international

crimes committed, such as war crimes, crimes against humanity, genocide and so

forth, in the area in which he/she operates. In this case, the figure of the interpreter

may be jeopardized once the parties involved in the conflict identify him/her as an

"uncomfortable witness.”

Another problem arises when the interpreter finishes the mission and

returns to his/her country. This individual is likely to suffer from some

psychological disorders related to the trauma experienced in the mission; therefore

the intervention of some experts is necessary.

In the third chapter, we will be focusing on the influence of television

information in the context of war. We will also highlight the influence of the mass

media in the Gulf War (August 2, 1990 – February 28, 1991) and the Lebanon

War of 1982, with the involvement of the Italian army in the so-called UNIFIL

(United Nations Interim Force in Lebanon) mission. We will take into

consideration the television channel Al-Manar that encourages the ideology of

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resistance, the fight against the Israeli occupation and the destruction of the

Palestinian state.

In the fourth and final chapter we will take a close look at the work of the

Italian soldiers in the various theatres of operation. Due to the soldiers repeated

interaction with the local population it makes them out-and-out peace and

language mediators. We will proceed with the analysis of the involvement of Italy

in various missions UNIFIL, ISAF (International Security Assistance Force) and

CIMIC projects (Civil-Military Cooperation) and we will conclude with the

interview of a soldier engaged in Afghanistan.

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CHAPTER I

1.1 The UN and NATO

Although the UN and NATO appear to be the same there are many

differences between these organizations.

NATO is an international organization that is responsible for the military

defence in favour of those countries in crisis situations and it applies the

resolutions of the UN Security Council.

The UN is an intergovernmental organization that deals with economic,

social and cultural progress, human rights and international security for countries

in difficulty. While NATO is only engaged in resolutions at the military level, the

UN is more interested in the respect for human rights all over the world.

The United Nations was established on October 24, 1945 127

• to maintain peace and international security

by 51

countries committed to preserving peace and collective security through

international cooperation. Nowadays, the member countries, which accept the

obligations under the UN Charter, are192. The main goals are:

• to develop friendly relations among states

• to achieve an international cooperation in solving international problems

and promoting the respect for human rights

• to be the centre for the achievement of these goals. 127 One of the agreements reached at the Yalta Conference held from February 4-11, 1945 reaffirmed the necessity to establish an international organization for the maintenance of international peace and security. In order to reach this goal, a conference was held in San Francisco on 25 April 1945. The representatives of 50 nations gathered at the conference called "United Nations Conference on International Organization," in which the 111 articles of the charter were established. The charter was adopted unanimously on 25 June,1945. The next day, they signed it in the Auditorium Hall of the "Veterans' Memorial." Poland, which was not represented at the conference, signed the charter later, and, for this reason, the number of the original signatory countries was 51.

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All states are sovereign states and they are represented in the General

Assembly, a sort of Parliament of Nations which regularly meets in special

session in order to analyse the most important global issues. Each Member State

has one vote. The main organs of the United Nations are the General Assembly,

the Security Council, the Economic and Social Council, the Trusteeship Council,

the International Court of Justice and the Secretariat.

"The Security Council may be held at any time, whenever peace is

threatened. All Member States are obliged to respect the decisions of the Council

in accordance with the UN Charter. It is set up by fifteen members and five of

them - China, France, Russia, Great Britain and the United States - are

permanent members. The other ten countries are elected by the Assembly for a

two-year term".128

"The Council seeks to solve disputes peacefully in order to reach an

agreement. In the case of fighting, the Council tries to reach a ceasefire. When

one speaks of peace-keeping it refers to the "Peace Support Operations." “The

term PSO (peace support operations) includes the operations of peace-keeping,

peace-enforcement, but also peace-making and peace-building".

129

• Peace-making operations only concern diplomatic and mediation

activities, to exhort the parties involved to reach an agreement without using

coercive-measures.

• Peace-keeping operations, usually concern sending both military and

civilian personnel of a neutral party in order to secure an agreement for the most

There are different types of Peace Support Operations:

128 Alexander Wrists,”UN History”, Yale University Press, New Haven, Connecticut, 2006. 129 Sergio Marchisio, “The UN. The right of the United Nations”, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2012.

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part already reached. This should be the premise of an agreement for stable and

lasting peace.

• Peace-building operations130

The United Nations operates in these theatres through the so-called "Blue

Helmets." The United Nations Emergency Force (known as "Blue Helmets") was

created in 1956. "Blue Helmets" is an informal term adopted for the international

military force of the United Nations and it comes from the colour of the helmet

supplied to the troops. The purpose of their use is to divide the opposing parties,

concern all the activities carried out at the

end of a conflict or civil war; these activities aim at strengthening and

consolidating the peace that has been already achieved;

• Peace-enforcement operations concern the use of military force in order

to achieve the real goal.

The UN has worked on every continent through its humanitarian missions.

It was on the ground in Africa due to the long campaign against apartheid in

South Africa as well as in Asia and the Pacific. It was also involved in the war in

Afghanistan and the ceasefire line adopted between India and Pakistan. There are

other theatres of operations, such as in Europe - Cyprus or in Kosovo - and in the

Middle East there was the involvement of the UN in the Arab-Israeli conflict and

in Iraq. The United Nations ensure the maintenance of peace and the cessation of

all forms of violence through disarmament, peace-making, peace-building and

peace-keeping.

130 It is divided into "nation-building" (which includes rebuilding a completely dissolved state, like Somalia, or operations like "Operation Alba" in Albania that can be considered a case of indirect "nation-building" since at that time the existing governmental and administration structure was not in a position to exercise the typical forms of state sovereignty) and "peace-restoring" where one can find security and confidence-building measures, the so-called CSBMs.

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to prevent the enlargement of conflicts, and to monitor the compliance with the

"ceasefire". In 1988, the Blue Helmets were awarded the Nobel Peace Prize.

The main goal of NATO, or the North Atlantic Treaty Organization, was

to defend western nations against the threat posed by the former Soviet Union.

NATO was established on April 4, 1949 in Washington in order to define the

cooperation of different countries, and how to intervene in defence of one of the

countries if attacked. Originally, the agreement was only between ten European

countries (Belgium, Denmark, France, Great Britain, Iceland, Italy, Luxembourg,

the Netherlands, Norway, Portugal) and two North American countries (Canada

and the United States). Later another seven countries joined the alliance bringing

the total up to nineteen. Today NATO is composed of twenty-eight countries.

"In article I131 are the fundamental principles in which all the member

states must comply with the United States in their international relations.

Specifically, Belgium, Canada, the Czech Republic, Denmark, France, Germany,

Greece, Iceland, Italy, Luxembourg, the Netherlands, Norway, Poland, Portugal,

Spain, Turkey, Hungary, the United Kingdom, the United States are the member

countries of this important coalition and their representatives meet in Brussels

(Belgium)”.132

Russia is a partner country of the Atlantic Alliance meaning that it is

committed to working with the alliance to build a stable and secure world. On

March 29, 2004 Bulgaria, Estonia, Latvia, Lithuania, Romania, Slovakia and

Slovenia became part of NATO and this was the fifth and largest enlargement in

131 The Parties committed themselves, as set out in the Charter of the United Nations, to settle any international dispute by peaceful means in which they could be involved (so that peace and security and justice are not endangered), and to refrain their international relations from the threat or use of force in any manner inconsistent with the Purposes of the United Nations. 132 Lawrence S. Kaplan, “The United States and NATO: The Formative Years”, The University Press of Kentucky, Lexington, 1984.

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the history of the alliance. As early as 1992, NATO has offered its integrated

military structure for the coordination of the activities of the member states of the

Alliance and has been working with the UN to break up conflicts and restore

peace.

Italy has always contributed actively to the tasks of this organization. Italy

supports the activities of NATO and the international community in Afghanistan,

in the ISAF mission. Italy was entrusted with the command of the province of

Herat. Italy participated in NATO missions in Iraq (August 14, 2004 - December

31, 2011), in Bosnia (December 1,1995 - December 1, 2004), in Albania (April 1,

1999 - August 31, 1999), in Pakistan (November 7, 2005 - December 31, 2005),

in Macedonia (August 22, 2001 - October 16, 2001). Currently it is operating in

Kosovo (since June 12, 1999) and in Afghanistan (since August 11, 2003).

1.2 Terrorism

The main goal of the UN and NATO is to ensure and maintain a climate of

peace and international security. Terrorism compromises, in most cases, this

stability and, for this reason, both organizations are actively involved in fighting

this threat. Terrorism poses a threat to public order and public

national/international security.

"Terrorism due to Al-Qaida, which is religiously motivated, with a

political and transnational nature, involves citizens and the territory of several

states; its goal is to overthrow not only a specific state, but an entire community

of states (both in the Islamic and western world). For this reason we speak of

global jihad”.133

133 Column Vilasi Antonella, “Terrorism”, Ugo Murcia Publisher, Milan, 2004.

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The goal is to bring to power anti-Western governments inspired by

“Sharia law” 134

"Islam is total subordination, it is a philosophy of life”.

and coherent with the literal sense of the word Islam. The

opposite of Muslim is “Kafir” ("ungrateful, unfaithful"). It is important to say that

jihad cannot be simply literally translated to mean "Holy War", but as a

commitment of every devout Muslim in the conquest of the world. Islamic

terrorism has political goals to be achieved through the full implementation of the

divine law (sharia).

135

That is why the suicide

terrorist, who has a fundamentalist Islamic mentality, performs an act of

generosity and his/her victims are in reality their oppressors.

134 Shari ʿ ah Arabic: شريعة, Shariʿ a is an Arabic term by the general sense of "law" (literally "dirt road"), which can be interpreted in two spheres, one metaphysical and the other more pragmatic. In the metaphysical significance, Shari ʿa is the Law of God and, as such, remains unknown to men. It is very important to highlight that in some Muslim-majority countries like Iran and Saudi Arabia Shari'a is not considered a code of customary laws, but rules of positive law. 135 Mozzati Luke, “Islam”, Mondadori Electa, Dictionaries of Civilizations, London, 2009.

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CHAPTER II

2.1 The war corrispondent

Those who work in operational sites must be courageous and determined.

They must be prepared to face any risk and any danger. The most important

feature of a correspondent should be the great ability to adapt to situations in

which he/she operates, like living in extremely precarious conditions.

"Anyone who goes to such places cannot be only motivated by professional

duty; in this profession you have to be willing to sacrifice yourself because it can

happen that you do not find water, that transport is problematic and that the

conditions of life are really hard”.136

2.2 The Relationship between the military and civilians in operational sites

Civilians, present in the areas of crisis, may have potential or actual

relationships, with the military. Civilians are all those figures involved in theatres

of operations, such as journalists, peacekeepers or linguistic mediators. At the

operational level, in armed conflicts, there are a wide range of activities between

the military and civilians, including communication, information exchanges,

coordination and facilitation in agreements. Often, however, you can find

coordination difficulties between the military and the political, diplomatic and

administrative organizations when conducting such activities. The difficulty is

due, in most cases, to the different nature of the goals of civil organizations

compared to those of the military forces present in a certain area.

136 Mario Soldati, “War Correspondent”, Sellerio Publisher, Palermo, 2009

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"In spite of these differences, there are aspects and features that both

civilians and the military must have, such as cultural sensitivity, common goals,

shared responsibility, transparency, consensus and communication, cultural

sensitivity and respect for customs and local traditions. Fundamental to the

achievement of the mission is a proper agreement between military personnel and

the civilian population”.137

In general, both military and civilians should have a clear vision of the

respective roles and how to carry them out. Aid workers

138

1. cooperation between civilians and soldiers, which can be carried out in

transactions for which there is an explicit mandate from the Security

Council of the United Nations

often complain about

the inability of the military to distinguish people belonging to civil society.

Soldiers do not seem to recognize the differences, for example, between

organizations dealing with human rights and those who deal with development or

mediation. Both sides, military and civilian, must be equally integrated into the

mission. We can distinguish three different levels of a possible military/civilian

relationship in the area of the operations:

2. cohabitation of soldiers and civilians, with sporadic areas of cooperation,

such as mediation

137 Olivieri Viviana, “The linguistic cultural mediator: bridge between cultures”, Cortina Publisher, Verona, 2011. 138 Aid workers are consultants, logistics managers, teachers, doctors, linguistic mediators and so forth; their skills are required to allow efficient and effective humanitarian aid. There are positions for which it is essential to have knowledge of at least two official languages and also to have a degree. It is the civilian staff that is able to deal with peacekeeping operations or humanitarian interventions to work alongside military forces. The missions are usually of short-term duration (no more than one year) and they contemplate different functions, going from election monitoring to emergency aid, transport logistics, management of human resources and legal political affairs, humanitarian assistance and human rights. Aspiring peacekeepers must be college graduates, have completed 4-5 years of professional experience in the field and speak English and/or French, as well as other languages.

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3. absence of coordination, which occurs in the event of a war. In this

context, the contacts between the military and civilians are solely informal,

with the exchange of information only in cases of life or death, and for

safety reasons.

Civilian workers, such as interpreters, must never present themselves and their

work as part of a military operation.

2.3 The legal status of interpreters

Although interpreters who work in areas of conflict are considered minor

figures compared to others working in different war scenarios they undoubtedly

play an indispensable role in these war zones. In areas of armed conflicts the

presence of the interpreter with its intermediary function is essential and is

recognized by the Geneva Conventions139

The figure of the interpreter is not considered as relevant as the figure of

the journalist. Although there are international documents, such as the Additional

Protocol I to the Geneva Convention of 1977, which emphasize the need to

protect journalists and media professionals working in areas of conflict, there is

themselves.

The presence of skilled linguistic mediators is crucial in theatres of

operations for both local communities and the international community. The tasks

of the interpreter in these areas are not inherent only to areas of conflict, but also

to post-conflict peacekeeping and peace-building. What emerges from the

analysis on the legal status of the interpreter is undoubtedly the lack of legal

independence of this figure compared to other covered categories.

139 The conventions of international humanitarian law require belligerent states to protect journalists and civil mediators who are in the military operation zones. With the Geneva Convention of 1977, Article 79 shows that these figures, operating in armed conflict, shall be considered civilians within the meaning of Article 50 Paragraph I.

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no clear reference to the figure of the interpreter. Moreover, it is important to

underline that more and more deaths occur, particularly among journalists and

individuals providing linguistic mediation.

"The lack of consideration regarding the legal status of persons engaged

in interpreting in conflict zones is also demonstrated by the fact that there has

been no dedicated study of doctrine in this regard, unlike how it was made for war

correspondents and journalists operating in conflict areas”.140

The interpreters that work during a conflict are either considered

combatants and therefore legitimated to the use of violence, or civilians, that is to

For this reason, in most cases, the figure of the interpreter is put in the

same category as the figure of the journalist. These subjects are also called to

provide evidence before international criminal tribunals for the information

acquired in areas of conflict. An example of these courts is the International

Criminal Court, which is a court of law for crimes based in The Hague in the

Netherlands. In the Third and Fourth Geneva Convention of 1949 there is a clear

reference to interpreters, which are referred to as "competent" or "qualified

interpreters”. In particular, in the Third Geneva Convention art. 96 outlines the

right of prisoners of war, who are involved in disciplinary or criminal proceedings

by the detaining power to dispose of an interpreter under previous judgments.

This rule is intended to guarantee the right to a fair trial to the persons protected

by the Geneva Conventions. This rule has also been reaffirmed in a recent study

by the International Committee of the Red Cross based on the International

Customary Humanitarian Law (2005), which emphasizes the need to ensure an

interpreter to persons involved in criminal or disciplinary proceedings.

140 Bianco Cristiana, “International Law”, Edises Publisher, Mini Manuali, Verona 2011.

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say protected from direct attack. The interpreter in most cases is obviously a

civilian unless he/she is a member of the armed forces of a state. The interpreter

can also be an indirect victim of war. For example, this may happen when the

subject is present in some military facilities such as barracks and bases or when

dealing with military supplies.

We must put a major emphasis on rules relating to the discipline of the

interpreter in case of capture in the course of armed conflict. When an interpreter

is captured while fulfilling his/her role in the service of a state party to the armed

conflict, the latter might appeal to a particular category in the Third Geneva

Convention. For this reason, it is important to refer to the law of The Hague

Conventions of 1988 where the need to ensure a more certain legal status to

civilian personnel supporting forces of a state is highlighted. Once captured, the

interpreter should have all the guarantees provided for in the Fourth Geneva

Convention of 12 August 1949.141

“In order to benefit from this law, it is necessary to be considered

protected persons, or you should not be citizens of the state that shall make the

catch”.

142

Another interesting element concerns the situation in which the interpreter

is involved in a post-war conflict, where peace must be restored to the land after a

conflict. The treaties that define the legal status of interpreters in these areas of

conflict are defined SOFA (status of forces agreement). Most of these missions

engage local interpreters who fall into the category that is commonly regulated by

the "locally recruited personnel". The local staff benefits from jurisdiction

141 The Fourth Geneva Convention of 1949 on the protection of civilians settles the treatment of prisoners of war, the improvement of the conditions of the wounded, the sick and the shipwrecked members of armed forces and the protection of civilian persons in time of war. 142 This regulation is under the Fourth Geneva Convention.

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immunity, both in criminal and civil matters. The mission in Afghanistan is an

example of a mission governed by SOFA.

Another problem that the interpreter could face in war zones regards the

possible duty to testify before criminal courts that look into international crimes

(war crimes, crimes against humanity, genocide, and so on) committed in the area

in which the interpreters operate. In this case, the figure of the interpreter may be

jeopardized when the parties of the conflict identify him/her as an

"uncomfortable" witness. Therefore, greater attention to the figure of interpreter in

conflict areas is required since the latter may be subject to threats and attacks,

especially if he/she is a local, when testifying in criminal courts.

However, there are currently many reflections to reinforce the figure of the

interpreter in an international field; in fact, the creation of a legal status for these

operators by means of a special international treaty is under development.

2.4 Post traumatic stress disorder

We refer to the state of "equilibrium" when the body is in a state of well-

being. A stressful element is, therefore, any event (internal or external) that

destabilizes the condition of a person.

Many scientific studies have been carried out on stress by the scholar W.

Cannon143

143 Walter Bradford Cannon (Prairie du Chien, 1871 - Franklin, 1945) was an American physiologist. He was a professor of physiology at Harvard University from 1906 to 1942. He is remembered as an academic of gastrointestinal motor activity, and, in this regard, in 1911 he published The Mechanical Factors of Digestion. He is also known as the father of psychosomatics.

starting from the beginning of the twentieth century. He began to study

stress from a psychosomatic point of view by introducing the concept of "alarm

reaction.”

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During the second half of the twentieth century, the physiologist H.

Selye144 extended theories on Cannon’s study on stress. He accurately described

the physiological correlation of the disease, conceiving it as "the non-specific

response of the body to any conditions of change".145

2.5 Reactions of body stress

People suffering from PTSD (Post Traumatic Stress Disorder), have

difficulty in controlling their emotions such as irritability and sudden anger or

manifest emotional confusion, like depression, anxiety, and insomnia. They also

manifest determination to avoid any act that forces them to remember the

traumatic event.

We can identify two types of stress. On the one hand we have positive

stress, that is to say “eustress” (from the Greek "eu" good), which increases a

person’s comprehension and concentration (to attack, defend, escape); on the

other hand, we have harmful and chronic stress, which is negative and devastating

for the body, known as “distress.”

The physiological response to stress allows the healthy body to deal with

immediate threats. When taking into consideration the parties engaged in areas of

conflict we can state that psychopathological disorders normally occur in

conjunction with the period during which there is a conflict. Generally, civilians

manifest symptoms of depression once the war is over and they no longer have to

carry out their tasks to help those in need.

144 Hans Selye (Vienna, January 26, 1907 - Montreal, October 16, 1982) was an Austrian physician. The son of a Hungarian father and an Austrian mother, he grew up in Komárno, Slovakia. He is remembered for the research carried out on stress and the General Adaptation Syndrome, which he identified and described. 145 H. Selye, "Stress without Distress", Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia, 1975.

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109

Another very common symptom is a sense of guilt for having survived or

for not having been able to save other individuals.

Jean-Selim Kanaan 146 , after returning from Bosnia, talks about his

experience and his state of mind stating that "once back, I felt out of place, alien

to everything around me".147

"We have witnessed the death of men and women, children screaming in

pain and the bodies given up on the roadside. We saw hope decreasing until it

disappeared, crushed by the weight of our indifference. No reason can justify the

death of a child and even less the pure and simple abandonment of an entire

people. I cannot express my feelings because what I've seen is too horrible and

chilling".

In his testimony he said that many employees of the United Nations, once

back home, suffered from anxiety and depression.

148

He added that many of these individuals after their return home were even

afraid of themselves and of their reactions. In the most serious cases, they are

isolated from their families and their friends and find solace only among

comrades-in-arms, losing all touch with reality. The suicide cases are not isolated

and for this reason many of these individuals must urgently see a

psychologist/psychiatrist.

146 Jean-Selim Kanaan (Rome, July 28, 1970 - Baghdad, August 19, 2003) was a United Nations diplomat with triple nationality (Italian, French, Egyptian), a collaborator of the UN High Commissioner for Human Rights, as well as a volunteer for non-governmental organizations in countries at war, including Somalia and Bosnia Herzegovina. Thanks to his extensive knowledge of foreign languages, he worked as an interpreter for the local population and the members of the United Nations. On August 19, 2003 he died in an attack against the UN based in Baghdad, which even killed the UN delegate Sergio Vieira de Mello and twenty other people. When he died, he was thirty years old. On February 27, 2004 he was awarded the posthumous title to the Legion of Honor, the highest honor in France. 147 Jean-Selim Kanaan, "My War Against Indifference", Il Saggiatore, Lavis (TN), 2013. 148 Testimony taken from the book "My War Against Indifference.”

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2.6 Treatment and therapy

Saint-Antoine Hospital in Paris has been working for many years on post-

traumatic stress with the help from a team of well-qualified psychiatrists and

psychologists.

The civilians who returned home following international missions have

had a few sessions at this hospital. It is clear that the civilians engaged in these

missions undergo various trauma related to being in a war zone. They do not

benefit from the facilities created by the army because they are not soldiers

fighting in an actual war. As civilians they have no access to ex-combatant

associations.

According to the National Institute of Mental Health (NIMH), the

characteristic of PTSD is that the victim repeatedly relives the traumatic

experience in the form of flashbacks, memories, and nightmares or on

anniversaries and on commemoration occasions. There is no general consensus on

how to treat people suffering from PTSD.

It is not excluded that PTSD can be treated without specific treatment, if

the individual is assisted and helped in the family and community context, and if

his/her conditions and circumstances are favourable. However, in general, a form

of treatment is recommended before symptoms degenerate into chronic forms.

Treatment can occur essentially on two levels, the pharmacological and

psychotherapeutic level. In the latter case, specific programs show good results

with cognitive behavioural therapies; the patient learns how to manage anxiety

and depression and change dangerous behaviour.

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111

CHAPTER III

3.1 The influence of war news in a conflict

The circulation of news has had a strong influence in warfare. The

invention of printing by J.Gutenberg149

"It is important to say that wars are not only fought with military weapons,

but mainly through communication and information".

, in 1455, has facilitated the drafting and

the spread of information, but subsequently the media have undoubtedly

revolutionized the traditional journalistic techniques to select and choose the

news.

150

In the early wars of the second half of the nineteenth century, the press

had very limited freedom; in addition, there was only the figure of a

correspondent, generally identified as a journalist, who was on the spot, gathering

War correspondents, photographers and cameramen give feedback and

decide whether or not to show pictures that may or might not be crude. Sometimes

they do not agree with the policies of the belligerent countries to disseminate

information.

Top government leaders usually directly control military propaganda and

even most of the information that can be disseminated in totalitarian regimes. In

democratic countries, however, there is more freedom because a wide variety of

communication sources can be used so that the media can play a crucial role in the

belligerent policy of governments.

149 Johann Gutenberg was a goldsmith, a German printer and an inventor. We owe the beginning of the modern printing technique to his invention of printing with movable type. Johann Gutenberg was born in Mainz, around 1350. We do not know the exact date of his birth, but he was cited to be over age 18 in a document of 1420. Scholars have therefore placed his birth between 1393 and 1403. 150 Diego Lazzarich, "War and communication", Guida, Naples, 2008.

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the facts reported in the newspapers in a transparent way. It was a very slow task

because there was no equipment to transmit the news.

The discovery of the telegraph accelerated the transmission of information

from several weeks to a few seconds. Television has changed the relationship

between military and communication strategies with regard to the vision of

events. Often armed conflicts are nothing more than a continuation of or an

excuse for economic and political conflicts. This is highlighted by the definition

of the famous Prussian general, Karl von Clausewitz, who was an expert in

military strategies:

"War is the continuation of politics with other means. War is, therefore, a

political act, a real political instrument, a consequence of the political process, its

continuation with other means”. 151

Therefore, the relationship between the mass media and war was marked

from the birth of the first tools of information by an intense link of mutual

dependence.

3.2 Media influence on public opinion

In the Crimean War152

151 Karl Philipp Gottlieb von Clausewitz (Burg bei Magdeburg, June 1st ,1780 - Wroclaw, November 16th, 1831), was a general, a Prussian military theorist and a writer. He was a major general in the Prussian army, a soldier during the Napoleonic Wars, who is famous for having written the treatise on military strategy “Of The War” (Vom Kriege), published for the first time in 1832, but never completed, due to the early death of the author. He lived through most of the reign of Frederick William III.

of 1853 the Franco-British army was able to take

advantage of a direct telegraph link between London and Paris. It was also

152 The Crimean War is the conflict for the control of the Balkans and the Mediterranean (1853-56). Russia opposed the Ottoman Empire, supported by France and Great Britain (with the support of a Piedmont expeditionary). On October 4, 1853 the Turks declared war on Russia, which expanded operations from the Danube to the Caucasus; Sevastopol, the most important Russian port on the Black Sea, was under siege. Gen. Gorčakov tried to lead Russia to victory, but he was defeated in the Battle of Chernaya on August 16, 1855, mainly due to the resistance of

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exploited by journalists; this gave rise to the figure of the war correspondent,

committed to following and reporting the exploits of the soldiers and the true

story of the war.

In fact, few of us in the Western world have a direct experience of war.

Everything we know and see comes from media. In particular, journalists or rather

war correspondents are sent to tell how people lived the war. The spread of the

cinema was also important since it reached the masses of illiterate people.

Moreover, newsreels and war films represented a decisive tool to gather

consensus.

During the Second World War, the radio became a tool that, for the first

time, brought together millions of people at the same time, passing through the

enemy ranks and addressing public opinion. Moreover, people tried to use it

during the war as an instrument of social control.

3.3 The Gulf war on television

Information has become, more than ever, a strategic aspect of war. We will

now focus on the relationship between the media and the political system. The

war in real time has been enriched by the spread of networks, which have reduced

the time of news circulation due to e-mails of bystanders and the convergence

among traditional media, such as the radio and that of new sources of media like

the Internet.

A clear example in this regard is definitely the Persian Gulf War. "The

Gulf War, which took place from August 2, 1990 - Feb. 28, 1991 also known as

the first Gulf War, in relation to the so-called second Gulf War, is the conflict that

the Piedmontese troops. This led to the Paris Peace Conference (1856), where Cavour was able to raise the issue of Italy’s unity and independence.

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opposed Iraq to a coalition of 37 states formed under the aegis of the UN and led

by the United States. The causes of the war were numerous; Iraq had just emerged

from a long war with Iran and was greatly weakened from an economic point of

view (infrastructure damage, debts with countries supplying weapons and

supplies). Even the Iraq leader, Saddam Hussein, wants to be back on his feet and

expand at the local level; demonstrating his military strength can be the way to

achieve his goals. Iraq had never accepted the establishment of the state of

Kuwait, as it was considered part of Iraqi territory. The presence of many oil wells

in Kuwait was obviously of great interest to Iraq.

On August 7, the President of the United States at that time, George H.W.

Bush, with the authorization of the UN decides to send troops to stop the

advancement of the Iraqis in Saudi Arabia. In January 1991, he gave way to the

air conflict that was broadcasted live on TV all around the world. Operation

Desert Storm started on January 17, 1991 at 2:38 a.m. and ended in March of the

same year with the victory of the International Coalition. Thanks to the live

broadcast of the U.S. television channel, Cable News Network (CNN), the whole

world could hear the sound of bombing commented by reporters Bernard Shaw,

John Holliman and Peter Arnett.

The three reporters, who witnessed the bombing from the Al-Rashid Hotel

in Baghdad, turned the war into the first television broadcast. They televised a war

for the first time and recounted the dramatization of the conflict. After the first

audio commentary, short videos of the first aerial bombardment followed. The TV

channels from around the world reproduced images from CNN, which showed a

ghostly night in Baghdad. The footage shown on TV was green due to the infrared

cameras.

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“For the first time in history, technological development allowed us to see,

in real time and in the form of mediation, an armed conflict”. 153 "So all of

humanity was sitting in front of the television to watch the greatest show of all

time, the war live".154

"The Gulf War had its peak with CNN’s live broadcast from Baghdad,

whose correspondents were in a hotel in the Iraqi capital. The report of the first

television war in history was therefore entrusted to the hands of eyewitnesses”.

155

"What makes this a special global conflict was that it was being broadcast

live on television - televised at the same time it was happening. It was defined as a

homology between the facts represented and the war itself to the point that the

news coverage by the media was qualified as an historical event from the

beginning".

Mimi White writes the following in her careful analysis of the news

coverage by CNN:

156

On February 28, 1991, Iraq withdrew from Kuwait, after having set fire to

700 oil wells. After the war a number of agreements were established. Iraq was

forced to give up the production / use of weapons of mass destruction. U.S.

military bases were established in the surrounding areas and two no-fly zones

were created (the two "corridors" on which aircraft could not be flown over by

Iraqi aircraft). The economic sanctions imposed in 1990 were maintained in order

to weaken the country and make rearmament difficult.

The night of the attack we heard Peter Arnett say: "We cannot see

anything. But it looks like fireworks on the Fourth of July”.

153 Lazzarich Diego, “War and Communication”, Guida, Naples, 2008. 154 C. Formenti, “War Without Enemies”, Villani Publisher, Milan, 1991. 155 B. Cummings, “War and Television”, Verso Publisher, London 1992 156 M. White, “An Analysis of CNN's War in the Gulf”, p.122.

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3.4 The influence of the mass media in the 1982 Lebanon war

The Israeli invasion of Lebanon, which began with the dispatch of ground

forces June 6, 1982, represented the culmination of a long crisis that lasted for

years. The backgrounds are complex, internal conflicts with the various Lebanese

factions (Sunni 157 , Shiite 158 , Christian) were superimposed on an ever more

incisive presence on the political and military scheme by the PLO.159

In 1982 Lebanon became a battlefield. On June 4, 1982 the war becomes

more intense after the attack in London caused by the anti-PLO Palestinian group

Abu Nidal

160 against the Israeli ambassador Shlomo Argov.161

Israel invaded Lebanon on a large scale with the operation Peace for

Galilee.

162

In mid-June the Israelis began the siege of Beirut and attacked 15,000

fighters of the PLO, its Lebanese allies and Syrians in the city. The American

diplomat Philippe Habib obtained the assurance from the Israeli Prime Minister

The Israelis backed by the Christian militias conducted subsequent

incursions in Lebanese territory culminating in the invasion of southern Lebanon

in June 1982.

157 Sunnis (from shī'at 'Alī, "the faction of' Alī") are Muslim minorities. Their origin dates back to the death of the Prophet Muhammad. It is believed that 'Alī, Muhammad's cousin, had been explicitly designated to succeed him. 158 Shiites are orthodox followers of Islam who constitute the majority of Arab countries. Since the middle of the 1st century of the Hegira, the Sunnis took that name to declare that they were the only true followers of the tradition of Muhammad (while the Shiites also follow those of his descendants). 159 The Organization for the Liberation of Palestine was founded in Jerusalem in May 1964 by a meeting of 422 Palestinian national personalities. In January 1969, Yasser Arafat, the leader of Al Fatah (Palestinian political organization and paramilitary, that was founded in 1959 by Arafat himself) took the chair of the Executive Committee. 160 Abu Nidal (May 1937 - August 16, 2002) was an activist, politician and Palestinian terrorist. 161 Shlomo Argov (14 December 1929 - February 23, 2003) was a prominent Israeli diplomat. In fact, he was the ambassador of Israel in the United Kingdom. 162 Peace for Galilee began on June 6 1982, when the Israel Defense Forces (IDF) invaded the cedars southern part of the country. The Israeli government gave the go-ahead to invade the territory in response to the assassination attempt put in place by Al Fatah against its ambassador to the United Kingdom, Shlomo Argov, in response to attacks of the artillery of the Organization for The Liberation of Palestine against populated areas in northern Galilee.

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117

that his soldiers would not enter West Beirut and would not have attacked the

Palestinian refugee camps.

Once the agreement is signed Yasser Arafat163

On September 14 the assassination of the new President-elect Bashir

Gemayel

is still worried about the

fate of the Palestinian civilian population and insists on sending a multinational

force to ensure compliance with the agreement. The Foreign Minister of Lebanon,

Fouad Boutros requested the intervention of a multinational force of interposition

and on August 19, 1982 the ambassadors of the United States, Italy and France

agreed to the request.

On August 21 the first international contingent arrived in Beirut. It was

made up of the French, and within the next two days Italian and American

soldiers took position in the town. At this point, Arafat agreed to abandon Beirut

along with his 15,000 fighters. At the end of the same year the movement of

Hezbollah, which in Arabic means Party of God, was created. Hezbollah is a

militia supported and financed by Iran and Syria.

164

On September 16 Elias Hobeika,

made the situation even worse. Israeli troops invade West Beirut by

breaking the agreement with the U.S. not to enter West Beirut. Consequently the

peace agreements with Muslim forces and with Syria are also broken.

165

163 Yasser Arafat, (Cairo August 24, 1929 - Clamart November 11, 2004) was a Palestinian politician. He had a complex and controversial character and was a man of action but also a prudent diplomat, who was accused of having supported acts of terrorism against Israeli civilians and not doing anything to counter them. However, as part of the Arab world, he was always recognized and regarded as a unique and charismatic figure. 164 Beshir Gemayel, (November 10, 1947 - September 14, 1982) was a Lebanese politician. He was president of the republic in his country. 165 Elie Hobeika (September 22, 1956 - January 24,2002) was a Lebanese politician and a militia commander of the so-called Lebanese Forces during the Lebanese Civil War.

the head of the Christian militias,

entered the refugee camps of Sabra and Shatila in West Beirut. At 6 pm, the

massacre began. More than 2,000 Palestinian civilians are brutally murdered.

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Following the tragic event consultations ensued between the Lebanese

government and the Secretary General of the United Nations, pursuant to

Resolution 521 of the Security Council, the Lebanese government called on some

countries, including Italy, to set up a multinational force to put a stop to the

attacks in the agreed locations.

It was important to ensure the restoration of the sovereignty and authority

of the Lebanese government in Beirut and, at the same time, to ensure protection

to the population. The Lebanon War ended in October 1989 with the Taef166

agreements, that provide for the dissolution and deposition of arms of the militia

and the assurance by the Parliament of an amnesty for all crimes committed

during the civil war. All militias have been dissolved with the exception of

Hezbollah. Between August and September 1991 free elections in the country

were held, from which a parliament divided into numerous groups emerged, and

only at the end of October, did the prime minister-designate, the Sunni Rafik al-

Hariri167

"The military event had a relevant international media coverage,

assuming, consequently, a remarkable media importance”.

, present the new government. Meanwhile, in the country the importance

of the Shiite party of Hezbollah was on the increase and, together with the

Palestinians, it threatened Israel on the border between the two countries.

168

166 Taef agreements are an inter-Lebanese treaty and their goal was to put an end to the Lebanese civil war that developed between 1975 and 1990. The Taef negotiations in Saudi Arabia were the result of political efforts between King Hassan II of Morocco, King Fahd of Saudi Arabia and Algerian President Shadhli Benjedid, with the support of unofficial diplomacy of the United States of America. It was signed on October 22, 1989 and ratified by the Lebanese parliament on November 5 of the same year. 167 Rafik al-Hariri Sidon (November 1, 1944 - February 14, 2005) was a Lebanese politician and a businessman. 168 B. Morris, “Righteous Victims: A History of the Zionist-Arab Conflict, 1881-2001”, Rizzoli Publisher, Milan, 2003.

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The Italian public was poorly informed on these events due to the

sporadic attention paid by Italian journalism and because of the inherent

complexity of the scenario. In July 2006, Lebanon is once again at the centre of

the world’s attention for the renewed conflict between Israel and the Shiite militia

Hezbollah.

"Following the kidnapping of two Israeli soldiers by Hezbollah, the two

armies fought on the border with air strikes that hit the capital Beirut. There were

more than 1,000 Lebanese victims, mostly civilians and 159 Israeli victims, mostly

soldiers.”169

3.5 Al -Manar’s role in the war

Moreover, UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) had to

intervene in a joint mission in the southern part of the country. Italy has actively

participated in this multinational force since 1978 operating in "Armistice Blue

Line” between Lebanon and Israel. Here the Italian troops support the government

as well as give their support to the civilian population with a team of doctors and

paramedics.

Al-Manar, which in Arabic means "lighthouse", better known as “the

television of the Resistance", is an Arabic satellite channel closely associated with

the Lebanese movement of Hezbollah. Because of its political ideologies the

channel has been banned in the United States and Europe. Mainly, Al-Manar

encourages the ideology of resistance and struggles against the Israeli occupation

and the destruction of the Palestinian State.

169 The Italian newspaper “La Repubblica", July 18, 1982.

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The channel has a wide range of programs and at the national level, Al-

Manar is followed by the majority of the population in the country, namely from

800,000 to 1,200,000 viewers. In fact, the channel is between second and third

place in the hierarchy of Lebanese channels. The channel is not only followed by

Muslims but also by Christians and other religious groups.

The proportion of women working within the organization exceeds 22%

and the majority of the female staff has a direct role; they are correspondents or

hosts of programs and talk shows. The fight of Al-Manar against anti-Western

ideology promotes Islam as a universal religion. It supports suicide missions

against Israel, and has supported the theory of an Israeli involvement in the

attacks of September 11 against the United States. In spite of being banned, a

number of European companies have advertisement contracts with this channel.

Moreover, we must reflect on the strong relationship that the channel Al-

Manar has with the movement of Hezbollah. This is a channel through which this

movement seeks to raise awareness among the Muslim population concerning

topics of utmost importance. Hezbollah has spread its ideas through one of the

most advanced means of communication, the television. As previously mentioned,

the mass media have a powerful influence in warfare through the dissemination of

information aimed at influencing public opinion.

Many international forces have criticized the channel of Al-Manar for

fuelling tensions and this has made things more critical in a situation which is

already difficult to solve. It has also been accused of promoting terrorist activities

against those who do not accept the will of Muslims and undermine the will of

Allah.

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CHAPTER IV

4.1 CIMIC projects

"The term CIMIC (Civil-Military Cooperation) indicates the coordination

and cooperation between the military and the civilian organizations in the area

involved in a military operation, with particular attention to the local population,

authorities, national organizations (NOs), international organizations (IOs) and

non-governmental organizations (NGOs). The objective of the CIMIC activities is

to maintain full cooperation between the military and the civilian component in

order to create the necessary conditions to facilitate the achievement of the

mission. The main goals of the CIMIC activities are:

1. to provide support to military forces

2. to establish the connection between civilians and the military

3. to provide support to the civil environment”.170

• “In Lebanon, there are still a lot of projects in favour of the

population and they are carried out by the Italian peacekeepers (Blue Helmets) of

the Joint Task Force of Lebanon with the collaboration of Granatieri Brigade of

Sardinia. The "Centre for children with special needs" has been established. It is

an educational centre for children aged between 3 to 20 who need special

assistance due to physical, behavioural and emotional problems”;

These projects are carried out in many operation sites.

171

• "In Kosovo in 2013, the Italian contingent completed 21 CIMIC

projects for the people of every ethnicity. These projects range from the donation

170 Definition from Wikipedia. 171 Quote retrieved from http://www.esercito.difesa.it/Notizie/Pagine/LIBANO_140415_70.aspx

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of equipment in order to build a playground for an elementary school and the

donation of computers in different schools in the region to a donation of an

otolaryngologic and ophthalmic clinic in the Serbian enclave”;172

4.2 The army as a peace and language mediator

• In Afghanistan, some assistance projects were inaugurated for the

western Afghan province of Herat for the local population. In the agricultural

sector, in the rural town of Cha-Bulbul eleven wells for drinking water have been

built. Many roads have been built and many others have been replaced, such as

the Ring Road - the main road in Afghanistan that links Herat to Kabul.

In Italy the work of our soldiers abroad is not recounted with the proper

importance that it deserves. There are many favourable and non-favourable

opinions on peace-keeping missions in which the Italian Army is engaged in every

day.

There are many comments, both positive and negative and different points

of view, but do the media enhance the true nature of these soldiers who work in

these operation sites? Do they show the harsh difficulties faced each day like the

absence of their loved ones and the cultural difficulties? The media show only the

crudest scenes and the negative aspects of the mission, in most cases they report

the loss of our soldiers or their negligent actions.

"There are about 8,500 Italian troops engaged in 30 international

missions in 20 countries. Afghanistan is the nation that receives the greatest

contribution from the national contingent with about 2,700 units, Lebanon follows

172 Quote retrieved from http://www.esercito.difesa.it/Notizie/Pagine/KOSOVO_140201_68.aspx

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with 2,100 units and in the Balkans (Kosovo, Bosnia and Albania) there are about

2,300 units".173

There is a great interaction with the local population and this also makes

many of the soldiers linguistic and cultural mediators; in fact, a lance corporal

stated: "We went to the house of the chief village. We sat, according to the local

custom, on multi-coloured carpets and we began to speak in front of the usual cup

of green tea".

Afghanistan has seen its rebirth thanks to the intervention of various

international forces that have restored peace and stability in the region. The

Afghans had to comply with the laws of the Taliban who imposed a climate of

dictatorship in the various villages.

The Italian contingent was able to train and form a well-prepared Afghan

army to cope with the various problems in the nation. Furthermore, the contingent

has acted as a true peace mediator and has rebuilt the destroyed city, bringing

many essential infrastructures - such as hospitals, schools, running water – to the

poorest villages. The soldiers of the 6th Bersaglieri Regiment of Trapani, the 8th

Bersaglieri Regiment of Caserta and the Alpine Brigade Taurinense (specialising

in mountain combat) in Turin have distinguished themselves in this mission.

174

173 Quote retrieved from

I had the opportunity to interview Lieutenant Junior Grade Andrea who

asked to remain anonymous therefore only his name will be mentioned. He is

currently stationed in Afghanistan and despite having problems with the Internet

connection he was able to comprehensively answer the following questions.

http://www.rainews.it/it/foto-gallery.php?galleryid=134768 174 Ring Road, “Six months with the alpine troops in Afganistan” by Mario Renna Publisher, Milan, 2011.

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124

4.3 Interviews

1. Introduce yourself

I am Lieutenant Junior Grade Andrea of the Folgore Parachute Brigade.

I am 24 and at the moment I am in Afghanistan, precisely in Herat.

2. When did you arrive in Afghanistan?

I arrived here in March. I'll be staying in Afghanistan until mid-

September.

3. Have you ever provided assistance to the population?

My fellow soldiers and I provide assistance to the local population every

day, especially to protect and to make the local population feel safe.

4. Are you accompanied by local interpreters?

Yes, we have local interpreters who accompany us every day. They are

essential to communicate with the local population.

5. What were the major cultural differences you have found?

I have found many cultural differences, particularly those related to

religious beliefs.

6. Could you give me an example?

Everyone believes in religion. This influences many daily circumstances

that we face every day.

7. Did any particular event make a deep impression on you?

Honestly, no, nothing that I can remember and nothing that I’m authorized

to tell.

8. Would you repeat an experience like this?

Certainly, there is no doubt in my mind.

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125

CONCLUSION

Although there is no clear definition and a law that defines these civil

actors, they are certainly crucial in this context. From the analysis on the study of

the context of war, it was pointed out that there is a lack of legal autonomy for

interpreters working in these operational theatres. The interpreter, not only has the

duty to be a vehicular voice of two languages, but it is a real issue between two

cultures, two histories and differing opinions.

We should put more emphasis on their legal status in order to protect them

before, during and in the aftermath of the permanence in these contexts. In fact, it

is necessary to provide the interpreters and cultural and peace mediators with the

right knowledge and basic skills in order to operate in a context of war. More

training courses that prepare these individuals for their missions, both from the

psychological and physical point of view, would be required, as well as the

establishment of some support infrastructures once they return home.

As mentioned above many people suffer from some psychological

disorders once back in their country and not being considered military staff means

they cannot benefit from the support structures for the care of these diseases.

With reference to the obligation of testimony on the part of the interpreter,

it is clear that with respect to this possibility there are many contrasting aspects

such as professional ethics, the demands of justice and the need to preserve

interpreters, especially local ones, from the obvious risks to their personal safety

concerning this obligation to testify.

Therefore, it would be useful to create greater protection for this figure

through a special international treaty. In this process, there are several

international organizations that could be involved in a discussion forum such as

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the United Nations, the Council of Europe, the European Union, the International

Committee of the Red Cross.

We also analysed how television influences public opinion on political,

economic or religious issues. We have found the manipulation of information for

political and economic purposes in the Middle East. Through its broadcasts, Al-

Manar incites the public on specific issues and shows pictures or illustrates the

current events that are in favour of its ideology, knowing what to say or what to

omit.

In the fourth chapter the duties of the Italian Army in various theatres of

operation has been highlighted. In most cases, their difficult task is not

highlighted with due importance and, for this reason, the public sometimes does

not agree with sending various military contingents abroad. People consider these

missions a waste of money and a form of dictatorship by the military in the

country where there is a climate of conflict. We must duly note that, especially for

UN missions, the goal of the Italian contingent is to preserve and maintain peace

and stability in the country. In the various theatres of operation (such as Kosovo,

Afghanistan and Lebanon) many villages and many essential facilities, such as

hospitals, schools or wells for drinking water have been reconstructed.

Every year medical and military engineers are sent to these poor lands to

give their input and, for this reason, they are called “real peace mediators”. They

are also defined as linguistic mediators because they are directly engaged with the

local population. Despite being flanked by the figure of the interpreter, the various

military contingents would require some training courses with regard to the

linguistic and cultural aspect of the country in question as this would surely

facilitate their interaction with the locals.

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SEZIONE

FRANCESE

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INTRODUCTION

Les procédures de règlement des conflits armés ont subi beaucoup

d’évolutions au cours des dernières années; souvent on utilise le terme « Peace

Support Operation » (PSO), qui comprend toutes les actions diplomatiques,

militaires, humanitaires mises en place non seulement par les militaires mais aussi

par les civils.

Le choix du thème de ce mémoire naît d’une analyse de la situation

actuelle, des années les plus récentes, qui concerne les caractéristiques du

contexte de la guerre, des opérateurs protagonistes des théâtres d'opérations, de

l’information et son rapport avec la guerre. L'objectif est d'expliquer les

problèmes qui se sont posés dans le cours du temps dans les plus importants

théâtres d'opérations et la façon dont ils sont affrontés par les opérateurs civils

internationaux opérant dans ces zones de conflit.

On a procédé, par conséquent, à l'analyse de la façon dont le contexte de la

guerre est traité par ces studieux, et quels sont les aspects couverts et mis en

évidence dans différentes études. Le premier chapitre de ce mémoire aborde la

question de la paix et de la sécurité internationales, nous allons dresser la liste des

caractéristiques de l'ONU et de l'OTAN, les phases de recrutement des

contingents nationaux participants, ainsi que les exigences qu'ils doivent satisfaire

pour être qualifiés comme des opérations de mission de maintien de la paix.

A compromettre cette stabilité, dans la plupart des cas, c’est le terrorisme; pour

cette raison, les organisations sont activement impliquées dans la lutte contre cette

menace.

Les deuxième et troisième parties représentent le noyau central et elles se

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concentrent sur la figure de la communication de l'interprète et de la télévision.

On analysera la figure de l'interprète dans ces théâtres d'opérations et ce qui

émerge de l'analyse de son statut juridique.

L'interprète, en fait, dans ces contextes de guerre, ne jouit pas d'une

autonomie juridique complète, comme la figure du journaliste. Un élément à

approfondir concerne la situation dans laquelle l'interprète est impliqué dans une

situation post-conflictuelle, où on doit restaurer la paix dans le pays après un

conflit. Les traités qui définissent le statut juridique des interprètes dans ces

contextes sont définis SOFA, où le personnel local jouit de l'immunité de

juridiction, civile et pénale. Un exemple d'une mission régulée par SOFA est la

mission en Afghanistan. Un autre problème auquel l'interprète, engagé dans une

zone de guerre, pourrait faire face est celui de témoigner devant des tribunaux

pénaux qui sont intéressés aux crimes internationaux commis dans le territoire où

il/elle opère (de crimes de guerre, crimes contre l'humanité, génocide, etc ). Dans

ce cas, la figure de l'interprète peut être compromise lorsque les parties au conflit

l'identifient comme un témoin «gênant».

Les civils engagés dans ces missions souffrent de divers traumatismes liés

aux séjours dans des zones de guerre et, puisque ils/elles ne sont pas des

militaires, ils ne peuvent pas bénéficier des structures créées par l'armée dans ces

cas.

Dans le troisième chapitre on analyse l'influence que l'information de la

télévision a dans le contexte de la guerre; la télévision est devenue, en fait, le seul

outil qui est capable d'entrer directement dans un conflit, devenant la seule

confirmation de son existence.

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On analysera également, l'influence des médias dans la guerre du Golfe et

la guerre du Liban de 1982, avec la participation de l'armée italienne à la mission

appelée FINUL. On prendra en considération, par exemple, la chaîne de télévision

Al-Manar qui encourage l'idéologie de la résistance et de la lutte contre

l'occupation israélienne et la destruction de l’ Etat palestinien. Dans la quatrième

et dernière partie, on va examiner le travail des soldats italiens dans les différents

théâtres d'opération.

Une attention particulière sera portée à leur travail qui, interagissant avec

la population locale, les rendra de véritables médiateurs de paix et linguistiques.

On va procéder à l'analyse de la participation de l'Italie aux différentes missions

(FINUL FIAS), les projets de COCIM et des interviews avec des militaires

engagés dans cette difficile mais fascinante tâche.

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CHAPITRE I

1.1 L’ONU et L’ OTAN

Même si l’ONU et L’OTAN semblent être deux organismes équivalents,

on peut remarquer beaucoup de différences entre les deux. L’OTAN est une

organisation internationale qui est responsable de la défense militaire en faveur

des pays qui vivent une situation de crise, et elle applique les résolutions du

Conseil de sécurité de l'ONU.

Tandis que l’ONU est une organisation intergouvernementale qui s’occupe

du développent économique, social et culturel, des droits humains et de la sécurité

internationales pour les pays en difficulté. Bien que l'OTAN ne s’occupe que des

résolutions au niveau militaire, l'ONU s’intéresse plus au respect des droits de

l'homme dans le monde. L'Organisation des Nations Unies a été fondée le 24

Octobre 1945175

175 L'un des accords conclus lors de la Conférence de Yalta, qui a eu lieu du 4 au 11 Février 1945, a réaffirmé la volonté de créer «une organisation internationale pour le maintien de la paix et de la sécurité internationale». C’est pour cette raison qu’on a établi les dates de la Conférence de San Francisco (25 Avril 1945). Les représentants de 50 pays se sont réunis pour une conférence sous le titre officiel «Conférence des Nations Unies sur l'organisation internationale", dans laquelle 111 articles de la Charte ont été développés (la Charte a été adoptée le 25 Juin 1945). Le lendemain, ils l’ont signé dans la salle de l'auditorium de la « Veterans Memorial ». La Pologne, qui n'était pas représentée à la Conférence, la signa plus tard et, donc, actuellement, les pays signataires sont 51.

par 51 pays engagés à préserver la paix et la sécurité collective

par la coopération internationale. Aujourd'hui, les pays membres, qui acceptent les

obligations de la Charte des Nations Unies, sont 192. Les objectifs principaux sont

de maintenir la paix et la sécurité internationale, de développer des relations de

coopération entre les nations, de coopérer pour résoudre les problèmes

internationaux et d’ être le support pour la réalisation de ces objectifs.

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Les organes principaux des Nations Unies sont l'Assemblée générale, le

Conseil de sécurité, le Conseil économique et social, le Conseil de tutelle, la Cour

internationale de Justice et le Secrétariat.

« Le Conseil essaie de résoudre pacifiquement les différends pour parvenir

à un accord. En cas de combats, le Conseil cherche à obtenir un cessez-le feu. Le

terme - peace-keeping 176- fait référence aux - peace Support Operations. Les

PSO (support opérations de paix), ou -opérations de maintien de la paix - ,

comprennent les opérations de - peace-keeping - , de - peace-enforcement177 - , et

aussi de - peace-making178 - et de - peace-building179- ». 180

L'OTAN est née le 4 Avril 1949 à Washington pour définir comment

collaborer et comment intervenir dans la défense de l'un des participants en cas

L'ONU a opéré dans tous les continents à travers ses missions

humanitaires comme, par exemple, la longue campagne contre l'apartheid en

Afrique du Sud; en Afghanistan et en Irak. L'Organisation des Nations Unies opère

dans ces théâtres d'opération à travers les «Casques Bleus» (la Force d'urgence

des Nations Unies) qui ont été créés en 1956 et dont le nom dérive de la couleur

des casques fournis aux troupes. L’OTAN, cet-à-dire l'Organisation du Traité de

l'Atlantique Nord (en anglais, North Atlantic Treaty Organization) est une

organisation internationale créée principalement pour défendre les pays

occidentaux contre la menace posée par l'ex-Union soviétique.

176 Les opérations de «peace-keeping», impliquent généralement l'envoi du personnel militaire et civil d'une partie neutre au conflit pour garantir un accord déjà conclu. 177 Les opérations de «peace-enforcement» impliquent l'utilisation de la force militaire pour atteindre l'objectif établi. 178 Les opérations de «peace-making» impliquent des activités purement diplomatiques et de médiation. 179 Les opérations de «peace-building» sont des activités destinées à consolider la paix déjà atteinte. 180 Marchisio Sergio, «L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite», Il Mulino, Manuali, 2012. Citation traduite par Valentina De Maria.

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d'attaque. D’abord, l'affaire concernait seulement dix pays européens (Belgique,

Danemark, France, Grande-Bretagne, Islande, Italie, Luxembourg, Pays-Bas, la

Norvège Portugal) et deux pays américains (Canada et Etats-Unis).

Successivement, d'autres pays ont signé le traité, et jusqu'à récemment, les pays

membres étaient dix mais , aujourd'hui, grâce à l'entrée de la Russie, ils sont

devenus vingt.

« Dans l'article 1181, on définit les principes fondamentaux qui doivent

être respectés par les États-Membres dans leurs relations internationales. Plus

précisément, les Pays Membres de cette coalition sont: la Belgique, le Canada, la

République tchèque, le Danemark, la France, l’Allemagne, la Grèce, l’Islande,

l’Italie, le Luxembourg, les Pays-Bas, la Norvège, la Pologne, le Portugal,

l’Espagne, la Turquie, la Hongrie, le Royaume-Uni , les Etats-Unis et la Russie.

Les représentants se réunissent à Bruxelles et en Belgique».182

En ce qui concerne les missions de l'OTAN, l’Italie a opéré en Irak, en

Bosnie, en Albanie, au Pakistan, en Macédoine, et actuellement au Kosovo.

L’objectif principal des Nations unies et de l'OTAN est celui d'assurer et de

maintenir un climat de paix et de sécurité internationale. Dans la plupart des

cas, le terrorisme compromet cette sécurité et constitue une menace pour l'ordre

public, ainsi que pour la sécurité publique nationale et internationale.

L'Italie a toujours contribué activement à la vie de cette organisation. Elle

soutient les activités de l'OTAN et de la communauté internationale dans son

ensemble en Afghanistan, dans le cadre de la mission de la FIAS. Pour cette

raison, le commandement de la province de Herat a été confié à l’Italie.

181 Les Parties s'engagent, come énoncé dans la Charte des Nations Unies, à résoudre, par des moyens pacifiques, tous les différends internationaux dans le but d'assurer la paix et la sécurité internationales. 182 Lawrence S. Kaplan, «The United States and NATO: The Formative Years», The Formative Years, 2013. Citation traduite par Valentina De Maria.

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1.2 Le Terrorisme

A ce propos, les deux organisations participent activement à la lutte contre

cette menace. Le terrorisme lié à Al-Qaida, religieusement motivé, implique les

citoyens et le territoire de plusieurs Etats. Le terrorisme islamique a des objectifs

politiques à atteindre, à travers la mise en œuvre intégrale de la loi divine (la

sharia). «L'islam est la subordination totale, une philosophie de vie». 183

183 Mozzati Luca, «Islam», Mondadori Electa, Dizionari delle civiltà, Milano, 2009. Citation traduite par Valentina De Maria.

C'est

pourquoi le terroriste se suicide ; en effet, selon la mentalité fondamentaliste

islamique, il accomplit un acte de générosité et ses victimes sont en réalité ses

oppresseurs.

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CHAPITRE II

2.1 Les acteurs civils

Les personnes qui travaillent dans les théâtres d'opération doivent être

courageuses et déterminées parce qu’elles doivent être prêtes à faire face à tout

risque et danger. « Les personnes qui vont dans certains endroits ne peuvent pas

être uniquement motivées par le devoir professionnel: dans ce métier, on doit être

prêt au sacrifice, car il peut arriver qu’on ne trouve pas l'eau, que les moyens de

transport soient problématiques et que les conditions de vie soient très

difficiles».184

«Les acteurs civils, présents dans les zones de crise, peuvent avoir des

relations possibles, potentielles ou réelles avec les militaires. Quand on parle des

acteurs civils, on fait référence à toutes les personnes engagées dans les théâtres

d'opérations comme par exemple, les journalistes, les médiateurs de paix ou

linguistiques. Au niveau opérationnel, dans les conflits armés, il y a une vaste

gamme d'activités entre les militaires et les civils, y compris la communication,

l'échange d'informations, la coordination et la facilitation de conclure les

accords. Toutefois, on peut souvent rencontrer des difficultés de coordination

entre les forces militaires et les organismes politiques, diplomatiques et

administratifs concernant la conduite de ces activités.

185

.

184 Soldati Mario, «Corrispondenti di guerra », Sellerio Editore, La Memoria, Palermo, 2009. Citation traduite par Valentina De Maria. 185 Citation tirée du document « CESPI » ( Centre des Etudes de Politique Internationale), traduite par Valentina De Maria.

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2.2 Les Relations entre les militaires et les acteurs civils

Les difficultés sont dues, dans la plupart des cas, à la nature différente des

objectifs des organisations civiles par rapport à ceux des forces militaires

présentes dans une zone spécifique.

«Malgré ces différences, il y a des aspects et des caractéristiques que les

acteurs civils et militaires doivent avoir, comme par exemple, la sensibilité

culturelle, des objectifs communs, le partage des responsabilités, la transparence,

la communication et le respect des coutumes et de traditions locales. Pour la

réalisation de la mission une juste médiation entre les militaires et la population

civile est fondamentale».186

Suite à une étude sur le statut juridique de l'interprète, on peut noter sans

aucun doute, la faible autonomie juridique de cette figure par rapport aux autres

En général, les civils et les militaires doivent avoir une vision claire de

leurs rôles et de la réalisation de ces derniers. Les militaires et les civils, doivent

être intégrés de façon égale dans la mission. Les civils, comme les interprètes, ne

doivent jamais représenter eux-mêmes et leur travail dans le cadre d'une opération

militaire. Malgré le fait que les interprètes travaillant dans des situations de conflit

soient considérés comme des personnages mineurs par rapport à d'autres

personnages présents dans des contextes de guerre, sans aucun doute, ils jouent un

rôle indispensable dans ces théâtres.

Leurs tâches ne sont pas liées uniquement à des situations de conflit, mais

aussi à des contextes «post-conflictuel» «peace-bulding» et «peace-keeping».

2.3 Le Statut juridique de l’interprete en guerre

186 Olivieri Viviana, «Il mediatore culturale e linguistico: pont tra le culture», Cortina (Verona), 2011 ; citation traduite par Valentina De Maria

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catégories. La figure de l’interprète n’est pas reconnue de la même façon que celle

du journaliste.

Bien qu'il y ait des documents internationaux, comme le Premier Protocole

additionnel à la Convention de Genève de 1977, qui mettent en évidence la

nécessité de protection des journalistes et des médias qui travaillent dans les zones

de conflit, il n’ y a pas d’allusion évidente concernant la figure de l'interprète. Il

est également important de rappeler qu’on enregistre de plus en plus de pertes

parmi les journalistes et les individus engagés dans la médiation linguistique. Ces

derniers sont également appelés à témoigner devant des tribunaux pénaux

internationaux pour des informations acquises dans les zones de conflit.

Les interprètes peuvent être considérés comme des civils ou des militaires.

Dans le premier cas, ils sont considérés comme des personnes protégées contre les

attaques directes, et dans le deuxième cas, ils peuvent être des combattants et, par

conséquent, autorisés à l'utilisation de la violence en guerre. En outre, ils peuvent

être indirectement victimes de violence, par exemple, quand les sujets restent dans

certaines structures militaires, présentes dans les théâtres d'opérations de guerre.

On doit mettre un accent particulier sur les normes relatives à la discipline de

l'interprète en cas de capture pendant un conflit armé.

Quand un interprète est capturé, alors qu’il est au service d'un État faisant

partie du conflit, ce dernier pourrait faire appel à la quatrième Convention de

Genève du 12 Août 1949187

187 Il s’agit de la Quatrième Convention de Genève de 1949 sur la protection des civils. Elle règle le traitement des prisonniers de guerre, l'amélioration du sort des blessés, des malades et des naufragés qui font partie des forces armées sur mer et la protection des personnes civiles en temps de guerre.

. Pour jouir de cette loi, il faut être considérés comme

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des «personnes protégées», c’est-à-dire «qu’il ne faut pas être citoyens de l'État

qui procède à la capture».188

188 Au sens de la Quatrième Convention de Genève de 1949

Un autre élément intéressant concerne la position de l'interprète dans une

situation post-conflictuelle, où il faut rétablir la paix dans le pays après un conflit.

Les traités qui définissent le statut juridique des interprètes dans ces contextes,

sont nommés SOFA (Statut de l'Accord des Forces, en anglais Status of Force

Agreement).

La plupart de ces missions font recours à des interprètes locaux qui font

partie de la catégorie qui est généralement réglementée par le «locally recruited

personnel» (personnel recrutés localement). Le personnel local jouit de

l'immunité de juridiction pénale et civile, et un exemple de mission menée par la

SOFA est la mission en Afghanistan.

Un autre problème auquel l’interprète, engagé dans les zones de guerre,

pourrait faire face, concerne l'obligation de témoigner devant les tribunaux

pénaux, qui s’intéressent aux crimes internationaux commis dans la zone où

l’interprète a opéré (crimes de guerre, crimes contre l'humanité, génocide, etc.).

Dans ce cas, la figure de l'interprète pourrait être compromise quand les parties

en conflit l'identifient comme une «menace».

Toutefois, de nos jours, il y a de nombreuses réflexions ayant le but de

renforcer la figure de l'interprète dans le domaine international, en supposant la

création d'un statut juridique pour ces opérateurs à travers un traité international

spécifique.

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2.4 Post traumatic stress disorder

Une fois de retour de la mission, les personnes peuvent souffrir de la «Post

Traumatic Stress Disorder» (PTSD); ou des difficultés en matière de contrôle des

émotions, d’irritabilité, de colère soudaine ou de confusion émotionnelle, de

dépression et d’anxiété, d'insomnie, mais aussi la détermination à éviter chaque

acte qui les oblige à se rappeler de l'événement traumatique. Généralement, ces

personnes manifestent les symptômes de dépression à la fin des activités pour

lesquelles elles ont été engagées. Un autre symptôme très commun est un

sentiment de culpabilité pour avoir survécu ou de ne pas avoir été en mesure de

sauver d'autres personnes.

Jean-Selim Kaanan 189 , après son retour de Bosnie, parle de son

expérience190 et de son état d'esprit en disant : «Quand je suis retourné, je me

sentais mal à l’aise, étranger à tout ce qui m'entourait». Dans son témoignage, il

indique que de nombreux employés des Nations Unies, une fois de retour à la

maison, souffraient d'anxiété et de dépression; «Nous avons assisté à la mort d’

hommes et de femmes, d’ enfants qui hurlaient de douleur et aux corps jetés sur le

bord de la route».191

« Nous avons vu l'espoir diminuer pour enfin s’ éteindre, écrasé par le

poids de notre indifférence. Aucune raison peut justifier la mort d'un enfant et

189 Jean-Selim Kanaan (Rome, le 28 Juillet, 1970 - Bagdad, le 19 Août, 2003) était un diplomate des Nations Unies de triple nationalité (italien, français, égyptien), collaborateur de l’Haut Commissariat des Nations Unies pour les droits de l'homme, ainsi qu’ un bénévole des organisations non gouvernementales dans les pays en guerre, y compris la Somalie et la Bosnie-et-Herzégovine. Grace à la connaissance approfondie des langues étrangères, il a travaillé comme interprète entre la population locale et les membres de l'Organisation des Nations Unies. Il est mort dans l'attaque terroriste le 19 Août 2003 contre le siège de l'ONU à Bagdad. Cet attaque a tué aussi le délégué de l'ONU Sergio Vieira de Mello et vingt autres personnes. 190 Dans le livre de Jean-Sélim Kanaan, “Ma guerre contre l’indifférence”, Il Saggiatore, 2013. 191 Témoignage tiré du livre de Jean-Sélim Kanaan, « Ma guerre contre l’indifférence », Il saggiatore, Lavis (TN), 1013, traduite par Valentina De Maria.

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encore moins l'abandon pur et simple d’ un peuple entier. Je ne peux pas

exprimer mes sentiments, car ce que j'ai vu est trop horrible et effrayant».192

Dans les cas les plus graves, de nombreuses personnes s’isolent de leur

famille et de leurs amis et trouvent du réconfort parmi les compagnons de la

mission, en perdant tout contact avec la réalité. Les cas de suicide ne sont pas

isolés et pour cette raison, beaucoup de ces personnes nécessitent de l’intervention

urgente d’un psychologue ou d’un psychiatre. L'hôpital de Saint-Antoine à Paris,

grâce à une équipe de psychiatres et de psychologues hautement qualifiés,

travaille depuis de nombreuses années sur le stress post-traumatique. Les civils,

de retour chez eux après les missions internationales, ont eu quelques séances

auprès de cet hôpital et on peut affirmer que «Les civils engagés dans ces missions

subissent différents traumatismes liés aux séjours dans des zones de guerre sans

être militaires et, donc, ils ne peuvent pas bénéficier des structures construites

par l'armée pour ces situations. En étant civils, il n’y a pas d’associations d’ex-

combattants».

193

Selon l'Institut américain de Santé Mentale, une caractéristique du PTSD

est le fait que la victime revit à plusieurs reprises l'expérience traumatique sous

forme de flash-back, de souvenirs, de cauchemars ou pendant des anniversaires et

des commémorations. Le traitement peut avoir lieu essentiellement sur deux

niveaux: celui pharmacologiques et celui psychothérapeutiques.

192 Témoignage tiré du livre «Ma guerre contre l’indifférence», traduite par Valentina De Maria. 193 Rapport du dr. Crocq après les différentes sessions menées avec les divers collaborateurs des missions internationales.

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CHAPITRE III

3.1 La communication en guerre

La circulation des nouvelles a eu une forte influence pendant la guerre.

L'invention de l'imprimerie par J.Gutenberg en 1455 a facilité l'élaboration et la

diffusion de l'information, mais les moyens de communications suivants, ont sans

aucun doute, révolutionné les techniques journalistiques traditionnelles pour

sélectionner et choisir les nouvelles. Pour cette raison, il faut dire que les guerres

ne sont pas combattues seulement avec des armes militaires, mais surtout à travers

la communication et l'information.

La découverte du télégraphe a accéléré la transmission de l'information,

puisque cette dernière a été réduite de plusieurs semaines à quelques instants. La

télévision a changé la relation entre les stratégies militaires et les stratégies de

communication en ce qui concerne la vision des événements.

Souvent les conflits armés ne sont que la continuation, avec la présence d’

armes, des conflits économiques et politiques. Dans ce cas, on peut utiliser la

définition du célèbre et expert général prussien dans la stratégie militaire, Karl

Von Clausewitz194

194 Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz; Burg bei Magdeburg le 1 Juin 1780 - Wroclaw, le 16 Novembre 1831, était un général, un théoricien militaire prussien et un écrivain.

, qui a déclaré : «La guerre n'est que la continuation de la

politique par d'autres moyens». Donc, la guerre n'est pas seulement un acte

politique, mais un véritable instrument politique, un résultat du processus

politique, sa continuation par d'autres moyens. Par conséquent, la relation entre les

médias et la guerre a été marquée, dès la naissance des premiers outils

d'information, par une liaison intense de dépendance mutuelle.

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Personne, ou très peu d'entre nous dans le monde occidental, n’a une

expérience directe de la guerre. Tout ce que nous savons et voyons, c'est une

réalité médiatique et l'information est devenue, plus que jamais dans l'histoire, une

arme stratégique. La guerre en temps réel a été enrichie par le réseau de

communication, qui a consolidé encore plus la diffusion des nouvelles grâce aux

courriers électroniques, les témoins directs et à la convergence entre les médias

traditionnels tels que la radio et les nouveaux médias comme Internet.

3.2 La guerre du Golfe

Un exemple évident à cet égard est certainement la guerre du Golfe. La

guerre du Golfe, (2 Août 1990 – 28 février 1991), également connue comme la

première guerre du Golfe, en relation à celle qu’on appelle la guerre du Golfe II,

est le conflit qui a opposé l'Irak à une coalition de 37 États formée sous l'égide de

l'ONU et dirigée par les États-Unis. Les causes de la guerre étaient multiples;

l’Irak vient de sortir d'une longue guerre avec l'Iran et il est fortement affaibli au

niveau économique (dégradation des infrastructures, les dettes avec les pays

fournisseurs d’armes et fournitures).

L’Irak n'avait jamais accepté la création de l'Etat du Koweït, le considérant

partie de son territoire. Evidemment, même les puits de pétrole, qui sont très

nombreux au Koweït, intéressaient beaucoup l'Irak. Le 7 Août, le président

américain George Bush, avec l'autorisation de l'ONU décide d'envoyer des troupes

militaires nécessaires pour arrêter l'avancée des Irakiens au Koweït. En Janvier

1991, le conflit aérien a eu lieu et a été diffusé en direct par toutes les télévisions

mondiales. Le 17 Janvier 1991, à 2h38 l'opération Desert Storm a commencé (qui

a pris fin en Mars de la même année avec la victoire de la Coalition

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internationale) et, en même temps, grâce au réseau de la chaîne de télévision

américaine, Cable News Network (CNN), tout le monde pouvait entendre le bruit

des bombardements commenté par les journalistes Bernard Shaw, Peter Arnett et

John Holliman. Par conséquent, l’humanité s’est installée devant la télévision

pour regarder le plus grand spectacle de tous les temps, la guerre en directe. «Le

rapport de la première guerre de la de télévision a donc été confié aux témoins

oculaires».195

La nuit même de l'attaque, nous entendons la voix de Peter Arnett, qui dit :

«We can’t see anything. But it looks like fireworks on the Fourth of July».

Mimi White écrit dans son analyse minutieuse sur la couverture des

nouvelles de la CNN: «Ce qui a rendu particulier ce genre de conflit mondial a

été le fait d’avoir été retransmis en direct à la télévision».

Les trois journalistes, de l’Hôtel Al-Rashid de Baghdâd, ont assisté au

bombardement et l’ont transformé en émission télévisée, consacrant la première

couverture en direct d'un événement de la guerre. La première guerre en direct

avait débuté, et, après le premier reportage audio, on a assisté aux premières

vidéos des bombardements aériens . Pour la première fois dans l'histoire, le

développement technologique a permis de voir, en temps réel et sous forme de

médiation, un conflit armé.

196

195 B. Cummings, «War and television», Verso, Londres 1992 196 «Nous ne voyons rien. Mais ils semblent les feux d'artifice du 4 Juillet». Citation traduite par Valentina De Maria dans le livre de Vincenzo Strika, «La guerra Iran-Irak et la guerra del Golfe. Quadro regionale e internazionale. Prospttive di pace», pag. 84, Liguori, 1993.

Le

tournant médiatique impliquait même les forces armées qui donnèrent vie à des

conférences de presse de plus en plus orientées à fournir des descriptions

détaillées aux journalistes. Le 28 Février 1991, l'Irak se retire du Koweït, après

avoir mis le feu à 700 puits de pétrole.

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3.3 La guerre du Liban 1982

L'invasion israélienne du Liban, qui commença par l'envoi de forces de

terre le 6 juin 1982, constitua l'aboutissement d'une longue crise qui durait depuis

des années. Les coulisses sont complexes: à part les conflits internes en raison des

diverses factions libanaises (chiites197, sunnites198, chrétiens), une présence de

plus en plus efficace a été superposée au niveau politique et militaire par l'OLP199.

1982 est l'année où le Liban se transforme en champ de bataille. Le 4 Juin 1982, la

guerre s'aggrave après l'attentat à Londres du groupe palestinien anti-OLP de

Abou Nidal200, à l'ambassadeur israélien Shlomo Argov. L’Israël a envahi le Liban

sur une grande échelle, il s’agit de l’Opération de Paix en Galilée 201 . Les

Israéliens, soutenu par les milices chrétiennes, ont continué à mener d’autres

incursions dans le territoire libanais en Juin 1989. En Juin, les Israéliens

commençaient le siège de Beyrouth. Le diplomate américain Philippe Habib202

197 Minorités islamiques (de Shi'at Ali, «la faction d'Ali»). Leur origine remonte à la mort du Prophète. On croit que 'Ali, le cousin et fils de Mahomet, avait été explicitement désigné pour lui succéder. 198 Disciples orthodoxes de l'Islam et ils constituent la majorité. Depuis le milieu du 1er siècle, les sunnites ont pris ce nom pour dire qu'ils étaient les seuls et les vrais disciples de la tradition de Muhammad (alors que les chiites suivent aussi celle de ses descendants). 199L’ Organisation pour la Libération de la Palestine a été fondée à Jérusalem en mai 1964 par une réunion de 422 personnalité nationales palestiniennes. En Janvier 1969, Yasser Arafat, le chef d'Al-Fatah (organisation politique palestinienne et paramilitaire, fondée en 1959 par Arafat lui-même) a pris la présidence du Comité exécutif. 200 Abu Nidal, Mai 1937 - Août 2002, était un militant, politique et terroriste palestinien. 201 L’Opération de Paix de la Galilée a commencé le 6 Juin 1982, lorsque les Forces de défense israéliennes (FDI) ont envahi le sud du pays des cèdres. Le gouvernement israélien a donné le feu vert à l’invasion comme une réponse à la tentative d'assassinat mis en place par le Fatah contre son ambassadeur Shlomo Argov dans le Royaume-Uni. 202 Philip Charles Habib (Brooklyn, le 25 Février, 1920 - Puligny-Montrachet, le 25 mai 1992) était un diplomate américain né de parents libanais chrétiens maronites.

obtient, par le Premier ministre israélien, l’assurance que ses soldats ne seraient

pas entrés à l’Ouest de Beyrouth et qu’ils n'auraient pas attaqué les camps des

réfugiés palestiniens; après ces garanties l’accord est signé. Toutefois, Yasser

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Arafat203

Le 16 Septembre, Elias Hobeika, chef des milices chrétiennes, entre dans

les camps de réfugiés de Sabra et Chatila à l’Ouest de Beyrouth. A 18 heures, le

massacre commence, avec plus de 2000 civils palestiniens qui sont brutalement

assassinés. Après l'événement tragique, conformément à la Résolution 521 du

Conseil de Sécurité, le gouvernement libanais demande à certains pays, dont

l'Italie, d’interposer une force multinationale dans des endroits concordés. Tout ça

dans le but d’assurer la restauration de la souveraineté et de l'autorité du

est toujours préoccupé en ce qui concerne le sort de la population civile

palestinienne et il insiste sur l'envoi d'une force multinationale pour assurer le

respect des accords.

La demande officielle pour l'intervention d'une force multinationale

d'interposition a été accordée le 19 Août 1982. Le 21 Août, le premier contingent

international composé par les Français arrive à Beyrouth et, suivis dans les deux

jours successifs par les soldats italiens et américains. À ce stade, Arafat accepte de

renoncer à Beyrouth avec ses 15 000 combattants. A la fin de la même année on

assiste à la création de Hezbollah, un terme qui, en arabe, signifie Parti de Dieu,

une milice soutenue et financée par l'Iran et la Syrie. Le 14 Septembre, l'assassinat

du président élu, Béchir Gemayel, fait précipiter encore une fois la situation et les

troupes israéliennes envahissent l’Ouest de Beyrouth. Par cette action, Israël

rompt l'accord avec les Etats-Unis, c’est-à dire de ne pas entrer à l’Ouest de

Beyrouth, mais aussi les accords de paix avec les forces musulmanes qui sont

intervenues et les accords avec la Syrie.

203 Yasser Arafat (Le Caire, 24 Août, 1929 - Clamart, le 11 Novembre, 2004) était un homme politique palestinien. Il avait un caractère complexe et controversé, il était considéré comme un homme d'action mais aussi diplomate prudent. Il a été accusé d'avoir pris en charge les actes de terrorisme contre des civils israéliens et de n’avoir rien fait pour s'y opposer. Cependant, dans le monde arabe, il a toujours été reconnu et considéré comme la figure unique et charismatique.

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gouvernement libanais à Beyrouth et, mais aussi pour assurer la sécurité de la

population.

La guerre du Liban termine en Octobre 1989, avec les accords de Taëf 204

Al-Manar soutient ouvertement les missions suicides contre l’Israël, et elle

a soutenu la thèse de l'implication israélienne du 11 Septembre contre les Etats-

Unis. Par conséquent, nous devons réfléchir sur la forte relation que la chaîne Al-

qui prévoient la dissolution et la déposition des armes de la part des milices. On

exige, donc, l'envoi des forces «FINUL» (Force Intérimaire des Nations Unies au

Liban) dans une mission conjointe dans le sud du pays. L'Italie participe

activement à la force multinationale appelée FINUL, au long de la ligne Blue Line

entre le Liban et l’Israël. bDans cette situation, les troupes italiennes ont non

seulement soutenu le gouvernement, mais elles ont aussi apporté leur soutien à la

population civile avec une équipe de médecins et personnels paramédicaux.

3.4 Al-Manar

Al-Manar, qui en arabe signifie «Phare», mieux connue sous le nom de

«la télévision de la Résistance», est une chaîne satellitaire arabe et elle est très liée

au mouvement libanais Hezbollah. Principalement, Al-Manar encourage

l'idéologie de la résistance, la lutte contre l'occupation israélienne et la destruction

de l’ Etat palestinien. La chaîne a une large gamme de programmes de divers

types, et au niveau national, Al-Manar est suivie par la plupart de la population du

pays.

204 Les accords de Taëf constituent un traité inter-libanais destiné à mettre fin à la guerre civile libanaise qui s'est développée entre 1975 et 1990. Négociations à Taëf en Arabie Saoudite, elles ont été le résultat des efforts politiques d'un comité composé du roi Hassan II du Maroc, du roi Fahd d'Arabie saoudite et du président algérien Shadhli Bendjedid, avec le soutien de la diplomatie officieuse des États-Unis d'Amérique. Ce traité a été signé le 22 Octobre 1989, et ratifié par le Parlement libanais le 5 Novembre de la même année.

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Manar a avec le mouvement du Hezbollah. Un canal à travers lequel ce

mouvement vise à sensibiliser la population musulmane sur des sujets très

importants. Hezbollah, en effet, diffuse ses idées par l'un des moyens de

communication les plus avancés de nos jours, la télévision. Comme mentionné ci-

dessus, les mass médias représentent une influence puissante dans la guerre grâce

à la diffusion d'informations visant à influencer l'opinion publique. Beaucoup de

Forces internationales ont critiqué le chaine d'Al-Manar d’ alimenter les tensions

et donc de rendre encore plus critique une situation qui est déjà difficile à

résoudre. Elle a également été accusée de promouvoir des activités terroristes pour

ceux qui n'acceptant pas la volonté de la communauté musulmane compromettent

la volonté d'Allah.

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CHAPITRE IV

4.1 Les projet COCIM

« Le terme de COCIM (coopération civilo-militaire) indique la

coordination et la coopération entre la composante militaire et les organisations

civiles dans la zone intéressée à une opération militaire, avec une attention

particulière à la population locale, aux autorités, aux organisations nationales

(OG), aux organisations internationales (OI) et à ces organisations non-

gouvernementales (ONG). Le but des activités COCIM est celui de développer et

de maintenir une coopération totale entre la composante militaire et civile afin de

créer les conditions nécessaires pour faciliter la réalisation de la mission. Les

tâches principales des activités de COCIM sont fournir un support aux forces

armées locales; créer un lien entre l'élément civil et militaire et fournir un soutien

civile". 205 Ces projets sont actifs dans de nombreux théâtres d'opération; au Liban

les projets en faveur de la population se poursuivent et ils sont menés par les

Casques Bleus Italiens de la Joint Task Force Lebanon par la «Brigata Granatieri

di Sardegna» (Brigade Grenadiers de Sardaigne) à Rome206

205 Définition prise de Wikipedia et traduite par Valentina De Maria

.

Au Kosovo, en 2013, le contingent italien a porté à terme 21 projets de

COCIM pour les personnes appartenant à toutes les ethnies. En Afghanistan, au

profit de la population locale, des projets d'assistance en faveur de la province

afghane occidentale de Herat ont été inaugurés.

206 Citation traduite par Valentina De Maria de www.ministerodelladifesa.it

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En Italie, le travail des soldats à l'étranger n’est pas considéré comme il le

devrait. Il y a beaucoup d'opinions, contraires ou non, en ce qui concerne les

missions de maintien de la paix où l'armée italienne est engagée tous les jours.

Il y a de nombreux commentaires - positifs ou non - , différents points de

vue, mais, est ce que les médias mettent en lumière la vraie nature de ces soldats

qui vont dans ces théâtres d'opérations? Est-ce qu’ils montrent les difficultés

sévères rencontrées chaque jour par les soldats, comme par exemple l'absence de

leurs proches, les difficultés culturelles, le soutien difficile qu'ils donnent à la

population locale.?

Les médias montrent uniquement les scènes les plus cruelles et les plus

négatives de la mission et dans la plupart des cas, ils rapportent la mort des soldats

ou les actes de négligence de ces derniers.

« Il y a environ 8500 soldats italiens qui sont engagés dans 30 missions

internationales dans 20 pays. L'Afghanistan est le pays qui voit la plus grande

contribution du contingent national (environ 2700 unités); suivi par le Liban

(2100) et par les pays Balkans (Kosovo, Bosnie et Albanie), avec environ (2300)

unités".207

L’Afghanistan a vu son pays renaître grâce à l'intervention des diverses

forces internationales qui ont restauré la paix et la stabilité dans la région. Les

contingents italiens ont réussi, non seulement à former l'armée afghane prête à

faire face aux nombreux problèmes de la nation, mais ils ont agi comme un

véritable médiateur de paix, en construisant beaucoup d’infrastructures

essentielles dans la ville - comme les hôpitaux, les écoles , l'eau courante - dans

les villages les plus pauvres. Les soldats du 6ème régiment de Bersaglieri de

207 Citation traduite par Valentina De Maria de : http://www.rainews.it/it/fotogallery.php?galleryid=134768

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Trapani, le 8ème régiment Bersaglieri de Caserta et la Taurinense Brigade

(Alpini) à Turin se sont distingués dans cette mission.

Il y a une forte interaction avec la population locale, et pour cette raison,

beaucoup de soldats deviennent de véritables médiateurs linguistiques et culturels.

En effet, un Caporal Major du Régiment Alpini a affirmé : «Nous allions chez le

chef du village. Il nous recevait, nous nous asseyions, selon la coutume locale, sur

des tapis multicolores et nous parlions en face de l’habituelle tasse de thé

vert».208

1. Présentation

L'interview a été réalisée au Lieutenant Andrea (il m'a demandé de rester

anonyme, et pour cette raison seulement le prénom sera mentionné).

Actuellement il est en Afghanistan et, malgré les problèmes liés à la connexion, il

a été en mesure de répondre complètement aux questions suivantes.

4.2 Interviews

Je suis le Lieutenant Andrea de la Brigade Folgore. J’ai 24 ans et

actuellement je suis en Afghanistan, à Herat.

2. Quand vous êtes arrivé en Afghanistan ?

Je suis arrivé ici en Mars. Je vais rester sur le territoire de l'Afghanistan

jusqu'à la mi-Septembre.

3. Avez-vous aidé la population locale ?

Tous le jours nous aidons la population locale. En particulier, en ce qui

concerne les opérations de sécurité et de sauvegarde pour ces derniers.

4. Vous êtes accompagné par des interprètes locaux ?

208 Mario Renna, «Ring Road, six mois avec le Régiment des Alpini en Afghanistan», Mursia, Milano, 2011, citation traduite par Valentina De Maria

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Oui, nous avons des interprètes locaux qui nous accompagnent tous les jours. Il

sont un élément essentiel dans la communication avec la population locale.

5. Quelles sont les principales différences culturelles que vous avez

constatées?

J’ai constaté beaucoup de différences culturelles, surtout liées à la religion

6. Pouvez-vous donner un exemple ?

Il n'y a personne qui n'est pas religieux. Cela influence de nombreux

aspects quotidiens auxquels nous devons nous confronter tous les jours.

7. Est-ce qu’il y a un épisode qui vous a frappé particulièrement ?

Sincèrement non, rien qui soit resté dans mon coeur. En particulier de ce

que je peux raconter.

8. Référiez-vous cette expérience ?

Sûrement, je n'ai aucun doute.

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CONCLUSION

Bien qu'il n’y ait pas de définition claire et de loi qui définissent ces

acteurs civils, ceux-ci jouent un rôle crucial dans ce contexte. En ce qui concerne

l’analyse sur l'étude du contexte de guerre, il a été souligné qu'il y a un manque

d'autonomie juridique pour les interprètes qui travaillent dans ces théâtres

d'opérations. L'interprète, non seulement a le devoir d'être une voix véhiculaire

entre deux langues, mais il est un véritable fil entre deux cultures, des histoires et

des opinions divergentes.

On doit poser l’accent sur leur statut juridique afin de les protéger avant,

pendant et après la permanence dans ces contextes. Il faut fournir aux interprètes

et aux médiateurs culturels et de la paix les connaissances et ces compétences de

base pour travailler dans un contexte de guerre. Des cours de formation, qui

préparent ces personnes pour la mission du point de vue physique et

psychologique/moral, seraient nécessaires, ainsi que la création d'organismes de

soutien une fois que ces derniers retournent chez-eux.

On a vu également que les nouvelles de la télévision influencent l'opinion

publique sur des questions aussi bien politiques que économiques ou religieuses.

On trouve la manipulation de l'information à des buts politiques et économiques

dans ce qui s'est passé au Moyen-Orient. Al-Manar incite, à travers ses émissions,

le public sur des questions spécifiques et il montre des photos ou il illustre les

événements actuels qui sont en faveur de son idéologie, en sachant quoi dire ou

quoi omettre.

Dans le dernier chapitre, on a souligné le travail de l'armée italienne dans

les différents théâtres d'opération. Dans la plupart des cas, leur tâche difficile n'est

pas montrée comme il devrait et pour cette raison, le public parfois n'est pas

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d'accord avec l'envoi des différents contingents militaires à l'étranger. Il faut dire

que, en particulier pour les missions de l'ONU, l'objectif du contingent italien est

de préserver et de maintenir un climat de paix et de stabilité dans le pays. Dans les

différents théâtres d'opérations, (telles que le Kosovo, l'Afghanistan et le Liban)

de nombreux villages et de nombreux équipements essentiels, tels que des

hôpitaux, des écoles ou des puits pour l'eau potable, ont été reconstruits.

Chaque année, des ingénieurs et des médecins militaires vont dans ce pays

pauvre pour apporter leur contribution et, pour cette raison, ils sont appelés de

vrais «médiateurs de paix». On définit également ces sujets des médiateurs

linguistiques parce qu’ils entrent en contact avec la population locale. Bien qu’ils

soient épaulés par la figure de l’interprète, les différents contingents militaires

nécessitent des cours de formations en ce qui concerne la diversité linguistique et

culturelle du pays.

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura della tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine.

Ringrazio anzitutto il professor Dino Schettino, una persona altruista e sempre disponibile. Senza di lui non avrei ottenuto i risultati da me auspicati per la realizzazione di questa tesi;

Le mie correlatrici, la prof. Maria Nocito, la prof. Tiziana Moni e la prof. Claudia Piemonte. Tre professoresse che mi hanno seguita e formata durante i miei tre anni di permanenza alla Gregorio VII;

A Fabrizio Di Filippo per il materiale fornitomi e per la sua più profonda e sincera testimonianza;

Ai miei genitori, a mia zia e ai miei nonni che mi hanno sempre sostenuta con tutto l'amore, l'entusiasmo e la forza possibile;

A mia sorella, un punto di riferimento nella mia vita;

A Gianluca, un nuovo membro della mia famiglia;

A Elena, la persona che mi regala sorrisi;

Ad Antonio Maria Teresi, un esempio per la mia vita. Una persona che mi ha fatta crescere e che mi ha fatto diventare quella che sono;

Ad Elisabetta ed Alessia, due amiche che ci saranno per sempre;

A Karin, una compagna di avventure importanti;

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A Mattia, la persona con la quale è nata una bellissima amicizia inaspettata;

A Giovanni, Amedeo e Ugo e ai bei momenti passati insieme;

A Claudia, condivideremo insieme questo nuovo percorso.