STORIA RICORDI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALEcasa di Cesaro, si macellavano dei bovini per conto...

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1 ASSOCIAZIONE CULTURALE “AMICI PER LA STORIA VIGODARZERE” STORIA e RICORDI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE 1915-1918 IN VIGODARZERE E IN ITALIA BOZZA in lavorazione del 05.12.2017 Giulio Cesaro

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ASSOCIAZIONE CULTURALE “AMICI PER LA STORIA VIGODARZERE”

STORIA e RICORDI

DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

1915-1918 IN VIGODARZERE

E IN ITALIA

BOZZA in lavorazione del 05.12.2017

Giulio Cesaro

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LE VIGNETTE DEL PRIMO SEMESTRE 1908 DELLA DIFESA DEL POPOLO

RENDONO L’IDEA DELL’ARIA RESPIRATA IN QUEGLI ANNI

La Difesa del Popolo 05.01.1908

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La Difesa del Popolo 05.01.1908

La Difesa del Popolo 26.01.1908

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La Difesa del Popolo 01.02.1908

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La Difesa del Popolo 19.02.1908

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La Difesa del Popolo 16.02.1908

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La Difesa del Popolo 23.02.1908

La Difesa del Popolo 08.03.1908

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La Difesa del Popolo 15.03.1908

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La Difesa del Popolo 29.03.1908

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La Difesa del Popolo 12.04.1908

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La Difesa del Popolo 12.04.1908

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La Difesa del Popolo 03.05.1908

La Difesa del Popolo 03.05.1908

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La Difesa del Popolo 31.05.1908

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La Difesa del Popolo 07.06.1908

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La Difesa del Popolo 07.06.1908

La Difesa del Popolo 28.06.1908

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La Difesa del Popolo 06.03.1914

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La Difesa del Popolo 21.03.1914

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Vignetta della La Difesa del Popolo del 26.02.1922 - Il cannibalismo è stato descritto nella

carestia russa del 1921-1923[51], nell'Holodomor (carestia) in Ucraina del 1932-1933[52] il cannibalismo fu

testimoniato dai sopravvissuti e poi confermato dagli archivi sovietici. All'epoca ne fu informato anche il

governo italiano, vedi Lettere da Kharkov. In queste carestie, che provocarono milioni di morti, i casi di

cannibalismo furono migliaia e si verificarono anche atti criminali … Tratto da Wichipedia.

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(tratto da Wikipedia).

Vignetta della La Difesa del Popolo del 1922 successivamente censurate dalla

dittature fascista.

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LA PROPAGANDA A FAVORE DELLA GUERRA E DELLA PACE

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Tratto dal libro: Storia e Memoria della Prima Guerra Mondiale in Primiero.

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L’aereo pilotato da Gabriele D’Annuzio decollò da S. Pelagio (Padova).

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Ill testo dei volantini lanciati su Vienna in italiano e in lingua tedesca.

VIENNESI!

Imparate a conoscere gli italiani.

Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che

un saluto a tre colori: i tre colori della libertà.

Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne.

Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro

cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d'odio e

d'illusioni.

VIENNESI!

Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l'uniforme prussiana?

Ormai, lo vedete, tutto il mondo s'è volto contro di voi.

Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La

vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il

pane dell'Ucraina: si muore aspettandola.

POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati!

VIVA LA LIBERTÀ!

VIVA L'ITALIA!

VIVA L'INTESA!

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MIA MADRE E MIA SORELLA NELLA TRAGEDIA DELLA

PRIMA GUERRA MONDIALE

Mia mamma Pedron Oliva è nata da Pedron Isidoro e da Giacomini

Giuseppina il 6/Aprile 1897 a Selvazzano Dentro (Padova), aveva una so-

rella Pedron Maria nata a Selvazzano Dentro (PD) da Pedron Isidoro e da

Giacomini Giuseppina il 13 agosto 1900 e da tre fratelli: Pedron Albano

nato a Selvazzano Dentro (PD) il 26 settembre 1904 da Pedron Isidoro e da

Giacomini Giuseppina, Pedron Florindo nato a Selvazzano Dentro (PD) il

21 agosto 1895 da Pedron Isidoro e da Giacomini Giuseppina e Pedron

Andrea - Gino nato a Selvazzano Dentro (PD) il 13 maggio 1909 da Pe-

dron IsidoroI e da Giacomini Giuseppina.

I genitori Pedron Isidoro e Giacomini Giuseppina erano contadini fit-

tavoli di un piccolo appezzamento di terreno agricolo e di una piccola casa

situata nella attuale via Pelosa n. 10 a Selvazzano1 dove frequentò la locale

scuola elementare fino alla seconda classe. Di quel periodo in particolare mi

raccontava, con un nodo alla gola, della sua compagna di banco che nel

1912, assieme alla sua famiglia, emigrò nella nuova colonia italiana in Li-

bia. Piangendo e sospirando l’ho sentita più volte domandarsi che fine a-

vesse fatto quella famiglia di cui non si avevano avute più notizie.

Mio zio Cesaro Giulio, di Cesaro Giovanni e di Bano Caterina è nato a

Vigodarzere (PD) il 7 gennaio 1893, nel 1914 si iscrisse ad un corso festivo

di specializzazione nelle “Arti Decorative Industriali” al Regio Istituto

d’Arte “Pietro Selvatico” con sede nell’attuale Largo Meneghetti a Padova.

Si recava a piedi da Vigodarzere e vi si diplomò nel 1915 con ottimo profit-

to. Contemporaneamente lavorava come operaio alla “Fonderia Padovana”

situata ove attualmente si trova la via Andrea Palladio nella zona

dell’Arcella nella città di Padova. Nei primi tempi Giulio raggiungeva la

Fonderia a piedi, sempre partendo dall’abitazione di Vigodarzere e solo

nell’ultimo periodo, acquistando i vari pezzi, assemblò una bicicletta da

uomo, comprensiva di un fanale a carburo (foto n. a pag ); così poteva rag-

1 A quel tempo quella zona era chiamata: “Canton del diavolo” al passaggio della Ma-donna Pellegrina nel 1950 fu cambiato in “Canton della Madonna”. Per andare a scuola a Selvazzano si percorreva una distanza, in andata e ritorno, di 6.200 metri.

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giungere il lavoro e la scuola con meno fatica. Il 9 giugno 1915, Giulio con-

seguì la patente di guida di automezzi presso il Circolo Ferroviario di Vero-

na. Giulio, durante la trebbiatura del 1915, conduceva un locomobile che

azionava una trebbia e lavorando in via Pelosa a Selvazzano conobbe mia

madre. Si innamorarono, e si sposarono in chiesa e abitarono nella casa rura-

le ubicata nell’attuale via Vittorio Veneto, n. 15 a Vigodarzere. Il matrimo-

nio religioso fu compiuto nella chiesa di Selvazzano, quello civile presso il

4 novembre 1917 presso il municipio di Vigodarzere allora ubicato a Salet-

to. Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria e la

“Fonderia Padovana” fu costretta a trasferirsi nella città di Pistoia in Tosca-

na. Giulio fu militarizzato e pure lui dovette abitare in quella città; nel fo-

glio matricolare militare si legge: “il 15 aprile 1918, Giulio Cesaro fa parte

del 56° Fanteria e comandato presso lo “Stabilimento” Fonderia Padovana

Pistoia”.

In quegli anni, in casa Cesaro a Vigodarzere, mia madre, Oliva Pe-

dron, viveva con gli anziani suoceri Bano Caterina e Cesaro Giovanni,

mentre i loro tre figli: Giulio, Ermenegildo e Vincenzo, a causa della guer-

ra, erano militari e lontani da casa. Oliva Pedron, in Cesaro, doveva condur-

re l’azienda agricola di ettari 4,6 in affitto, una stalla di mucche, una cavalla

e vari animali da cortile. Ella mi ricordava che nel 1917, quando il nemico

sfondò a Caporetto, avvicinandosi pericolosamente alla pianura veneta per

evitare che qualcuno mandasse segnali al nemico, le campane furono silen-

ziate legandone le corde. Mi raccontava che nelle notti dell’inverno del

1917 a Vigodarzere si vedevano ben distinti i lampi delle esplosioni delle

granate e si udivano il continuo rumore delle esplosioni provenienti dal

Monte Grappa e commentava: “Voi non potete immaginare lo stato d’ansia

per il terrore di essere invasi dagli affamati soldati degli eserciti nemici te-

desco e austroungarico”. Dopo la disfatta di Caporetto e durante la resi-

stenza del nostro esercito nella linea del fiume Piave, persisteva il reale peri-

colo dell’invasione del nostro territorio. I miei amici, Ivano Pasquetto nato

nel 1933 e Gianni Ranzato nato nel 1937, entrambi abitanti a Vigodarzere,

mi documentarono che le loro famiglie sotto il portico tenevano un carro a-

gricolo carico con le masserizie, pronti a partire per sfuggire all’invasore,

per raggiungere la zona oltre il fiume Po.

È necessario ricordare che in quel particolare periodo gli abitanti di Vigo-

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darzere, anche per raggiungere l’ospedale o una farmacia nella città di Pa-

dova, dovevano essere muniti di un particolare “lasciapassare”2.

Ricordo che, mia madre mi raccontò che nel terreno a sud della casa

colonica situata nell’attuale via Vittorio Veneto 15 a Vigodarzere, si era ac-

campata una compagnia di soldati scozzesi con il tradizionale “kilt” (gon-

nellino scozzese, allora rigorosamente indossato senza biancheria intima).

Con questi soldati mia madre barattò del latte appena munto con una grossa

pistola a tamburo e relative munizioni. Mia madre era determinata a difen-

dere e a proteggere gli anziani suoceri e l’azienda agricola; mi disse che il

comportamento di quei soldati fu sempre corretto e che prima di allontanarsi

coprirono di terra la latrina, lasciando tutto in ordine3.

La Dr.ssa Ludovica Passi, comproprietaria della Certosa di Vigodar-

zere, anni fa mi disse che una sua lontana zia gli aveva raccontato che dopo

la disfatta di Caporetto (24 ottobre – 12 novembre 1917) la Certosa di Vigodar-

zere fu nottetempo occupata da una compagnia di soldati italiani fuggiti dal-

la zona del fronte di guerra e vi rimasero parecchie settimane provocando

parecchi danni. Oltre ad incidere sui muretti del chiostro con la baionetta il

gioco della “trea” picchiavano sui pavimenti e sui muri alla ricerca di even-

tuali vuoti che indicassero loro improbabili nascondigli, dove pensavano po-

tessero celarsi i candelabri d'argento nascosti dai monaci; inoltre mi disse

che probabilmente si appropriarono dei piatti e del vasellame che la famiglia

De Zigno usava durante i soggiorni estivi nella Certosa.

Un altro fatto che mia madre mi raccontava, risalente sempre al tem-

po della tragica disfatta di Caporetto: riguardava i soldati italiani che erano

titubanti ad uscire dalle trincee e che durante l’attacco erano presi dal pani-

co, quando cercavano di tornare indietro erano presi di mira dai carabinieri.

A questa testimonianza che aveva ricevuto direttamente dai reduci della

2 La prima farmacia a Vigodarzere fu aperta nel 1939 dal Dottor Porra ed era situata alla fine di via Pisani nel vecchio palazzo degli Elardo tuttora esistente; testimonianze di Ugo Elardo (nato nel 1931) e di Arrigo Schiavon (nato nel 1930). 3 Quella grande pistola fu nascosta sul fondo di una cassapanca, nel 1935 mia sorella An-tonietta la scoprì e sparò un colpo, il proiettile infranse un vetro della finestra della ca-mera da letto dei miei genitori. Mia madre scavò una profonda buca e seppellì quella pistola. Gli chiesi che mi indicasse il luogo ed ella mi rispose che mai me l’avrebbe rive-lato.

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guerra, mi sono sempre permesso di ribadire che mai e poi mai i nostri Ca-

rabinieri avrebbero sparato sui nostri soldati. Più volte ritornammo su questi

fatti: mia madre era convinta sulla attendibilità delle sue affermazioni men-

tre io mi ostinavo a spiegarle l’infondatezza di quei fatti; lei con un nodo al-

la gola e con gli occhi arrossati mi garantiva la veridicità di quei dolorosi

eventi. Questi contrasti di opinione si ripeterono più volte e, quando nel

1971 al cinema Astra di Padova vidi il film storico “Uomini Contro”, ebbi la

certezza che mia madre alla fine aveva ragione e che i reduci nel raccontare

quei fatti furono sinceri. Purtroppo preso dalle mie frenetiche attività lavo-

rative e degli impegni sociali non me la sentii di dirle che lei aveva ragione.

Mia madre mi raccontò che alla fine del 1917, sotto il portico della

casa di Cesaro, si macellavano dei bovini per conto dell’esercito italiano e

che pur avendo a disposizione, a differenza di altri concittadini meno fortu-

nati, carne fresca, non poteva cibarsene perché, essendo in gravidanza, il

forte odore di “freschìn” della carne macellata le provocava il vomito.

Il 17 agosto del 1918 mia madre diede alla luce una bambina che fu

battezzata nella chiesa di Vigodarzere il 25 agosto 1918 e la chiamarono

Lia. Suo padre Giulio fu colpito dall’influenza chiamata “Spagnola” e l’11

ottobre dello stesso anno morì a Pistoia senza sapere che era diventato papà.

In un cassetto dell’armadio della stanza da letto, dove mia madre conservava

i documenti di famiglia, trovai una lettera del frate cappuccino che lo assi-

stette spiritualmente negli ultimi giorni di vita. Allegata a quella lettera fu-

rono inviati alla vedova i documenti e gli oggetti del defunto marito.

Al termine della guerra, Oliva fu dichiarata vedova di guerra ma sen-

za nessuna pensione. Mia sorella Lia fu dichiarata orfana di guerra ma le fu

sempre negato ogni diritto di sussidio. Il fratello maggiore di mia madre,

Pedron Florindo, si fece tutta la guerra come artigliere di montagna, con-

duttore di muli e per cinque volte fu investito dalle slavine. In quelle condi-

zioni ebbe i primi attacchi di epilessia, ma in quel tragico periodo di guerra

non gli rilasciarono alcun certificato medico e di conseguenza nemmeno a

lui fu riconosciuta la pensione di guerra. Nel primo dopo guerra, Pedron

Florindo da Selvazzano si recò a Vigodarzere per trovare la sorella Oliva.

Mia madre me lo descrisse come un uomo alto di statura, aveva il viso bian-

co con le guance molto rosse (probabilmente affetto di rosacea). La vita di

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Florindo durò poco perché nel 1920 fu stroncata da un attacco epilettico e

nemmeno ai genitori fu riconosciuto il diritto alla pensione.

I Caduti in guerra del territorio comunale di Vigodarzere furono n. 96 (dal-

le lapidi dei Caduti della guerra 1915/18). Al ritorno a casa, diversi soldati

portarono nelle loro famiglie la tubercolosi, l’influenza “Spagnola” e altre

malattie infettive4.

Il 30 dicembre 1924 Oliva Pedron sposò mio padre Vincenzo Cesaro, fratel-

lo del primo marito, ed ebbe tre figlie: Antonia nel 1925, Giovannina nel

1928 e Tecla nel 1933. Nell’agosto del 1937 mi diede alla luce e in ricordo

di mio zio operaio e soldato deceduto in servizio militare, mi chiamarono

Giulio.

Anche negli ultimi anni di vita conservò e raccontò la memoria del suo vis-

suto. Mia madre Oliva ha condiviso con le altre mamme di Vigodarzere

tutte le sofferenze e i lutti della prima (1915/1918) e della seconda guerra

mondiale (1940 - 1945).

Andò “avanti” passando alla vita eterna nel 1981 all’età di 83 anni.

4 Documentazioni rilevate nell’archivio parrocchiale S. Martino di Vigodarzere: i funera-li dei cittadini nella parrocchia di Vigodarzere (a quel tempo la parrocchia di Vigodarze-re comprendeva anche il territorio di Terraglione e di Bragni di Cadoneghe) furono: an-no 1914 n. 39 - 1915 n. 70 - 1916 n. 51 – 1917 n. 53 - 1918 n. 72 - 1919 n. 52 - 1920 n. 43. “Soldati della parrocchia di Vigodarzere morti o scomparsi e durante la guerra dell’Italia contro l’Austria e la Germania e dei morti a causa della cosiddetta Spagnola durante lo stesso periodo si pongono in ordine di data della morte della stessa di notizia ufficiale”. Seguono: cognome, nome, paternità, contrada e data della morte di 64 solda-ti residenti nel territorio della parrocchia di Vigodarzere” . Altre notizie: (a) Dove a Vigodarzere nel 2005 era ubicato il Magazzino dell’Aereonautica Militare nel 1916 c’era la “Cines”che produceva film muti o tessuti. Alcuni ambienti furono requisiti e adibiti ad ospedale. La notizia é riportata dal settimanale “La Difesa del Popolo” del 11 giugno 1916. (b) Mio padre Vincenzo Cesaro, per tutto il periodo della prima guerra mondiale, fu mili-tare nell’Artiglieria Costiera nell’isola di Caroman - Sottomarina (Venezia); mi raccontò che nel 1918 fu aggredito dall’influenza chiamata “Spagnola”. A tutti gli ammalati fu d i-stribuita una maglia di lana bianca, il suo vicino di letto non la indossò, perché voleva donarla alla sua famiglia ma durante la notte morì soffocato dalla malattia e la maglia di lana bianca le fu rubata.

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Pedron Oliva nata 06/04/1897 a Selvazzano Dentro (PD) e Cesaro Giulio nato a Vigodar-zere 07.01.1893 a Vigodarzere. Si sposarono il 04.11.1917.

Patente di guida di automobili e di locomobili conseguita da Cesaro Giulio senior il 09.06.1915.

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Padova 15 luglio 1916: diploma di Cesaro Giulio per avere frequentato il corso festivo presso l’Istituto Pietro Selvatico a Padova.

Da notare che, da lunedì a sabato compreso, lavorava presso la Fonderia Padovana ubi-cata ….. che raggiungeva a piedi. Alla domenica, sempre a piedi, si recava a scuola presso situata presso l’edificio scolastico ora Piazza Meneghetti, Largo (?)

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Foglio matricolare di Cesaro Giulio senior nato a Vigodarzere classe 1893.

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Cesaro Vincenzo mio padre Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto (fratello di Cesaro Giulio senior) il 30 - 12-1924 sposò Pedron Oliva che, nell’ottobre 1918 era rimasta ve-dova di guerra con una figlia di due mesi (nella foto con la divisa di artiglieria costiera).

Mio padre Vincenzo Cesaro, per tutto il periodo della prima guerra mondiale, fu milita-re nell’Artiglieria Costiera nell’isola di Caroman - Sottomarina (Venezia); mi raccontò che nel 1918 fu colpito dall’influenza chiamata spagnola a tutti gli ammalati fu conse-gnata una maglia di lana bianca. Il vicino di letto non la indossò, voleva inviala alla sua-famiglia. Durante la notte la maglia di lana le fu rubata.

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Pedron Andrea chiamato Gino, fratello di Pedron Oliva Cesaro, ragazzo del 1899, a 17 anni fu chiamato alle armi, Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto.

.in centro Pedron Maria (sorella di Pedron Oliva Cesaro) nata a Selvazzano Dentro il 13 agosto 1900, sposatasi con Pedron Massimo si trasferirono a Mansuè (Treviso). In brac-cio di Pedron Maria il figlio Pedron Lino, in piedi a destra la figlia Pedron Livia, a sinistra la figlia Pedron Flavia.

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Pedron Florindo chiamato Giuseppe (fratello di Pedron Oliva Ce-

saro nato a Selvazzano Dentro (PD) il 21 agosto 1895 da Pedron Isidoro e

da Giacomini Giuseppina. Durante la guerra (1915.1918) fu un Alpino

dell’Artiglieria di Montagna. Mia madre me lo descrisse alto di statura pieno

di salute e con il viso con le guance molto colorite, faceva il conduttore di

muli e durante il servizio fu travolto dalle slavine almeno 5 volte. Già duran-

te il servizio fu colpito da attacchi epilettici. E’ deceduto a Selvazzano nel

1920 durante un attacco epilettico.Ai genitori di Florindo non fu riconosciu-

to il diritto alla pensione .

IIl 3° Reggimento artiglieria terrestre da montagna è un reparto alpino dell'Esercito Italiano con sede a Remanzacco (UD); dipende dalla Brigata alpina "Julia". L'attuale comandante è il Colon-nello Enzo Ceruzzi (tratto da Wikipedia)

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Pedron Albano, Carabiniere, Cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto è il fratello di Pe-dron Oliva Cesaro.

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Pedron Albano in divisa da Carabiniere.

Casa restaurata dove vivevano in affitto mia madre Oliva e i suoi fratelli ubicata

In via Pelosa n.10 a Selvazzano Dentro (Padova).

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Gli sposi Cesaro Pedron abitarono nella casa ubicata all’inizio di via Certosa a Vigodarzere (Padova).

Nel terreno a sud della casa Cesaro nel 1917 si era accampata una compagnia di soldati scozzesi. Quando si allontanarono coprirono con la terra la latrina e lasciarono tutto in ordine.

Anche a Vigodarzere i disertori di passaggio chiedevano cibo e da dormire e una com-pagnia di soldati occupò nottetempo l’ex monastero della Certosa di Vigodarzere.

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Sotto il portico della casa Cesaro nel 1917 si macellavano i bovini per alimentare i solda-ti dell’ esercito Italiano e negli ultimi giorni della guerra 1940 – 1945 due partigiani abi-

tanti a Vigodarzere spararono con fucile mod.1891 contro due blindati tedeschi dotati di mitraglie giunti da Saletto mentre una colonna di soldati tedeschi del genio militare pri-

gionieri dei partigiani di Vigodarzere a piedi erano condotti verso Saletto. Ricordo: mi trovavo in cucina, mia madre stava cuocendo la polenta, dal largo camino arrivò il ru-more assordante delle raffiche delle due mitraglie. Mia madre gridò disperata: “Fuori

stanno buttando giù la casa! Raggiunto il cortile al lato sud sotto il portico i due parti-giani di Vigodarzere sparavano contro i blindati tedeschi. Mio padre Vincenzo Cesaro gridò ai partigiani: “Allontanatevi perché i tedeschi ci ammazzano tutti e bruciano la ca-sa”.

Il partigiano Salvato chiamato “Cicci” (ebbe un polmone forato da un proiettile fu con-dotto in ospedale a Padova e gli salvarono la vita (vedere la pagina n. 177 del libro “Vi-godarzere sul filo della memoria”). Mia madre si recò al bordo del fosso e vide un solda-to tedesco con la divisa da ferroviere con il torace forato da un proiettile e commentò “Era un bell’uomo la sua famiglia non lo vedrà più”.

Sotto il portico nel dopo guerra il norcino Cattelan Antonio macellava il suino allevato dalla famiglia di Cesaro Vincenzo.

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Dipinto dell’ultimo casone di Vigodarzere, ubicato in via don Mazzolari, era di proprietà

della famiglia Pulliero, fu demolito nel 1950.

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LA PROPAGANDA A FAVORE DELLA GUERRA E

DELLA PACE

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Questo volantino è stato distribuito su tutto il fronte della guerra.

Tratto dal libro: “Storia e Ricordi della Prima guerra mondiale in Primiero”.

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MONTE GRAPPA TU SEI LA MIA PATRIA . . .

DOVE RIPOSANO MIGLIAIA DI VITTIME DELLA GUERRA

Il Sacrario sulla vetta del monte Grappa. Mia madre Oliva Pedron spesso mi ha ricordato che di notte a Vigodarzere si vedevano i lampi delle esplosioni delle granate e si udivano distintamente le esplosioni che tortura-

vano le notti insonni dei cittadini di Vigodarzere.

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Dalla vetta del Grappa si può può ammirare la laguna di Venezia. Anche i soldati tede-schi e austroungarici nel 1917 osservarono la pianura veneta con la bramosia di invader-la.

Il Sacrario Militare di Cima Grappa, realizzato su progetto dell’architetto

Giovanni Greppi e dello Scultore Giannino Castiglioni, si sviluppa, da sud a

nord, sul costone di Cima Grappa a 1.776 metri di quota. Il complesso mo-

numentale ospita i resti di 12.615 caduti italiani e 10.295 caduti austro-

ungarici, conservati in due distinte strutture, perfettamente collegate tra

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loro, al centro di una serie di costruzioni destinate a servizi per visitatori e

di monumenti commemorativo religiosi.

La grande Scala Monumentale, in posizione centrale, si arresta all’altezza

del 4° Girone, dove è dislocata la Tomba del Maresciallo Gaetano Giardino,

Comandante dell’Armata del Grappa, deceduto il 21 novembre 1935. Da

quest’ultima, a mezzo di due scalinate laterali, si accede al 5° Girone, al

centro del quale è stato realizzato il Sacello della Madonna del Grappa. La

costruzione, di forma circolare, è realizzata in blocchi di pietra del Grappa,

al cui interno si trova la statua della Vergine con il Gesù Bambino tra le

braccia, consacrata solennemente nel 1901 da Papa Pio X (restaurata suc-

cessivamente agli eventi bellici del 1917-1918). Le pareti interne sono rive-

stite in marmo, e sulle stesse spiccano una pregevole Via Crucis in bronzo

dello scultore Giannino Castiglioni, e un busto di Papa Pio X.

Cippo dedicato ai partigiani del Monte Grappa nell’ultima guerra mondia-le: impiccati 171, fucilati 605, prigionieri 3212, deportati 804, bruciati 285.

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Cima Grappa giovedì 16 febbraio 2017 ore 06,11.

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Da destra: Ranzato Flavia (1), Pasquale, Severino, Antonio, Anna Bernardello, Pietro e In-nocenza. La foto è stata conservata da Ranzato Gianni classe 1937.

Retro della foto di cartone: lasciapassare della famiglia di Ranzato Pasquale del

16.11.1917.

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I miei amici di Vigodarzere Pasquetto Ivano cl. 1933 e Ranzato Gianni cl. 1937 ricordano che i loro nonni li informarono che sotto il portico tenevano un carro con tutte masseri-zie pronti a partire per raggiungere e oltrepassare il fiume Po (prevista nuova linea del fronte di guerra).

(1) Nel 1948 ero iscritto ai fanciulli dell’Azione Cattolica la delegata era Flavia Ranzato. Ricordo chiaramente che durante la campagna elettorale delle elezioni politiche ci invitò a pregare per-ché vincesse il partito della Democrazia Cristiana. Inoltre mi consegnò una carta geografica delle regioni italiane e fui invitato a fare dei fioretti scegliendo una regione. Indicai l’Emilia Romagna perché si sapeva che, avevano ucciso parecchi sacerdoti, ma nella rossa regione nonostante le mie preghiere e i miei fioretti stravinsero i social comunisti.

FOTO RICORDO DELLA MIA FAMIGLIA

Le mie sorelle mi hanno ricordato che Lia Cesaro frequentò la classe quinta elementare a Pontevigodarzere, assieme a Ranzato Guerrino e Spinello Guerrino, perché a Vigodar-zere la scuola elementare arrivava alla quarta classe. In quella circostanza Lia conobbe Domenico Ravazzolo domiciliato a Pontevigodarzere (Padova) compagno della classe quinta elementare. L’amicizia tra Lia e Domenico proseguì e nel 1943 Domenico Ravazzolo operaio tornito-re costruì e regalò alla “morosa” Lia Cesaro una lampada a carburo che fu usata dalla stessa per illuminare il modesto laboratorio di sarta. Il soldato Domenico Ravazzolo fu inviato nel fronte di guerra russo e nel 1944 fece parte della lunga e dolorosa ritirata.

Il famoso fotografo Tagliapietra di Padova il 15/01/1944 immortalò Cesaro Lia

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figlia di Cesaro Giulio senior e Ravazzolo Domenico che era appena ritornato dal fronte di guerra russo. Porta il velo Cesaro Giulio junior. Quella mattina accompagnai la sposa alla chiesa di Vigodarzere in carrozza trainata da due cavalli. Cera una fitta nebbia e gli alberi erano decorati con una intensa brinata. Ricordo che durante il tragitto piansi. (Lia mi aveva accompagnato alcune volte a Pado-va ad assistere alla proiezione di film e giustamente pensavo che non l’ avrebbe più fat-to) Lia mi chiese il motivo e io risposi con una bugia, le dissi che piangevo perché avevo tanto freddo.

L’amicizia tra Lia e Domenico del periodo scolastico durante la classe quinta elementare proseguì e nel 1943 Domenico Ravazzolo operaio tornitore di lastre di metallo costruì e regalò alla “morosa” Lia Cesaro una lampada a carburo (1) che fu usata dalla stessa per illuminare il modesto laboratorio di sarta. Il soldato Domenico Ravazzolo fu inviato nel fronte di guerra russo e nel 1944 fece parte della lunga e dolorosa ritirata. (1) Esemplare unico conservato da Cesaro Giulio iunior.

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Padova - Corso del Popolo con vista sui giardini dell’Arena, da sinistra: Cesaro Lia e la so-rella Antonia.

Cesaro Lia da nubile trasformò una stanza dell’abitazione Cesaro in un laboratorio di sartoria per abiti da donna. Per illuminarlo usava una lampada a carburo; trasmise il suo talento di sarta a diverse ragazze di Vigodarzere tra esse Teresina Pagetta, Zena

Marangon, Flora Cosma e Cesaro Giovannina.

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Da sinistra: Pedron Oliva, in piedi Ravazzolo Franco, Ravazzolo Pia e Piergiulio; seduto il genero Ravazzolo Domenico. In centro Cesaro Lia con accanto Lucia Ravazzolo.

Foto scattata nella spiaggia di Iesolo – Venezia.

Pedron Oliva accanto all’orto di famiglia

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Nella foto del 1963 da sinistra Pinton Anna, Cesaro Antonia, Pedron Oliva Cesaro, Cesaro Giulio e Pinton Claudio.

Foto del 1964, da sinistra: Ravazzolo Lucia, Pinton Anna, Ravazzolo Franco, Pedron Oliva

Ravazzolo Pia, Ravazzolo Lucia e Ravazzolo Piergiulio.

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Matrimonio di Cesaro Giulio con Albertin Maria Rosa 01.06.1974 a destra la sorella

Cesaro Lia.

Da sinistra in piedi: Baldan Aldo, Cesaro Tecla, Cesaro Antonia, Pedron Oliva Cesaro,

Cesaro Vicenzo e Ravazzolo Domenico. Seduti da sinistra: Ravazzolo Franco, Baldan Va-leria e Ravazzolo Pia.

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Operai della vigna di Cesaro Antonia - settembre 1976.

Pedron Oliva Cesaro con in braccio il nipote Cristiano

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. 29 - 7 - 1979 Foto del pranzo di battesimo di Cesaro Daniele – Da sinistra: Pedron Oliva,

Albertin Maria Rosa con in braccio il neonato Cesaro Daniele, Businaro Angela e don Luigi Contin parroco della chiesa di San Martino di Vigodarzere.

Da sinistra seduti: Cesaro Cristiano e Daniele sopra: Cesaro Giulio e la sorella Lia

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Da sinistra: Cesaro Cristiano, Cesaro Lia e Pedron Oliva Cesaro.

Pedron Oliva Cesaro con il nipote Cesaro Cristiano

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Da sinistra in piedi: Lissandron Marisa, Cesaro Lia. Albertin Maria Rosa Cesaro, Cesaro

Tecla, Baldan Valeria, Cesaro Gianna, e Cesaro Antonia. In centro: Cesaro Cristiano, Pe-dron Oliva Cesaro e Lissandron Alessandro. Foto del 1976.

Riunione dei cugini: Baldan, Cesaro e Ravazzolo. Piazzola sul Brenta 28/09/1997.

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Settembre 2012 - I figli di Pedron Oliva e di Cesaro Vincenzo. Da sinistra: Cesaro Anto-

nia, Cesaro Giulio, Cesaro Gianna e Cesaro Tecla.

Rubano (PD) 24.12.2016 - Da sinistra: Bettin Sereno marito di Pedron Adriana, Cesaro

Giulio e Pedron Franco.

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12. 02. 2017 Caselle di Selvazzano (PD) - Da destra: il Carabiniere Zuin Lorenzo con la

moglie Pedron Luigina e Cesaro Giulio.

Da destra: Luigina Pedron con la sorella Rina.

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Da destra: Elena Pedron con accanto il papà Cavaliere dell’Ordine Cavaliere di Vittorio Veneto Pedron Andrea chiamato Gino, vicino la moglie Gambato Maria, segue il figlio

Carabiniere Pedron Alfredo e la sorella Pedron Antonia.

Vigodarzere (PD) 5. 1.2017. Da sinistra: Ravazzolo Pia, Baldan Aldo, Ravazzolo Franco,

Ravazzolo Lucia, Cesaro Tecla, Cesaro Giulio e Albertin Maria Rosa Cesaro.

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Recente riunione dei cugini Pedron presenti all’esequie di Pedron Antonia (prima della

cerimonia il sacerdote amministrò il sacramento della confessione comunitaria ai fedeli).

Chiesa di San Domenico a Selvazzano Dentro (PD) 12.02.2017. Il nuovo parroco don Lu-igi Bonetto (già parroco di S. Martino di Vigodarzere) inonda la sua chiesa con la musica

sacra (dopo di avere visionato la presente ricerca).

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L’ottocentesca casa rurale Cesaro ubicata in via Vittorio Veneto, n. 15 a Vigodarzere vi-

sta dal lato nord e l’elisoccorso in fase di decollo.

Pedron Oliva Cesaro riposa nel cimitero di Vigodarzere.

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Foto di domenica 26 marzo 2017 – Incontro dei cugini Baldan, Cesaro, Lissandron, Ravagnan e Ravazzolo.

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Nella foto: Alessi Antonio abitante a Tavo di Vigodarzere noto modellista di abitazioni rurali, attrezzi, trattori agricoli e presepi, il locomobile della foto é funzionante. Fu il primo motore a Vigodarzere che alleviava la fatica dei lavoratori agricoli. Non arava il terreno, serviva per il traino e azionava la trebbiatrice. Da notare che nel 1919 termina-ta la prima guerra mondiale, l’Austria e l’Ungheria dovettero pagare i danni di guerra provocati e consegnarono all’Italia in certo numero di locomobili di cui l’Ungheria era specializzata nella produzione. Uno di questi locomobile con una trebbiatrice furono ac-quistate nel 1919 da Edoardo Ranzato di Vigodarzere.

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Il campanile di Vigodarzere e quello di Altichiero.Nello sfondo il Monte Grappa com la

neve fotografato dalla tangenziale (foto G. Cesaro febbraio 2016).

IL SANTO E’ IL MIO PROTETTORE La seconda guerra mondiale era da diversi mesi terminata, mia ma-

dre Oliva progettò un viaggio a Padova. Ricordo quella mattina di buonora mi fece salire nell’unica bicicletta da donna di casa Cesaro energicamente prese a pedalare verso Pontevigodarzere - Padova sino alla custodia delle biciclette, poi attraversammo il ricostruito ponte stradale sul fiume Brenta e davanti alla chiesa di Pontevigodarzere salimmo sul tram che ci portò al capolinea in piazza Garibaldi. A piedi raggiungemmo l’ambulatorio medico del dr. Bottacin, ubicato nei pressi della Basilica del Santo. Ricordo che il medico mi auscultò i polmoni e poi eseguì un esame radiografico al torace. Al termine sentenziò che anche se ero un po’ pallido, godevo di buona salu-te e mi raccomandò di mangiare spesso dei rossi d’uova di gallina, mi con-segnò una confezione di ricostituente di estratto di fegato e mi consigliò che tutte le mattine dovevo bere un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo. Mia madre temeva che fossi affetto da tubercolosi e con il viso radioso di gioia mi condusse a ringraziare il Santo perché finalmente si poteva vivere senza l’angoscia dei bombardamenti, senza la presenza dei soldati tedeschi ma sopratutto era contenta per il giudizio rassicurante del medico. So-stammo in preghiera presso la tomba del Santo poi mia madre si accosto al confessionale e devotamente partecipammo alla S.Messa celebrata

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all’altare del Santo. Nel ritorno rimasi impressionato dalle tante macerie delle abitazioni e i palazzi demoliti dai bombardamenti compiuti dagli aerei angloamericani. Nei pressi della chiesa di S. Carlo da bordo del tram vidi un gruppo di uomini rincorrevano e lanciavano sassi all’indirizzo di un anziano sacerdote in bicicletta e in precipitosa fuga. Nel riattraversare il ponte sul fiume Brenta un gruppo operai della fabbrica Breda di Cadoneghe occupa-no il centro del ponte e rimasi sconvolto da una frase detta da un sciope-rante: “Quanto tempo dovremmo aspettare ancora per l’arrivo dei soldati di liberazione russi?”. Rivolsi a mia madre una domanda di chiarimento: “Padova è già occupata dai soldati inglesi e quelli russi cosa verrebbero a fare?” Mia madre mi rispose seccamente: “Non dobbiamo fidarci di quelle persone.

Il Gazzettino cronaca di Padova 16.04.1946

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Cesaro Giulio presso la tomba del Santo per grazia ricevuta (Dal 1972 sono stato ricove-

rato in ospedali cittadini tre volte, l’ultimo al pronto soccorso di Padova la diagnosi è sempre la stessa “Sincope vaso vagale”).

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Foto grande: le Tre cime di Lavaredo riprese dal monte Paterno. Foto piccola: del 15 novembre 2015 ripresa dalla Forcella delle Tre Cime di Lavaredo (escursione effettuata per grazia ricevuta da S. Antonio). Nel volantino è scritto: “Monte Paterno - 15 novembre 2015 - S. Antonio grazie per a-vermi liberato dagli psicofarmaci – firmato Giulio Cesaro.

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Tavo di Vigodarzere - Domenica 08. 11. 2015: commemorazione del 4 Novembre anni-versario della fine della prima guerra mondiale. Da sinistra: Lissandron Sergio, prof.

Francesco Vezzaro sindaco di Vigodarzere, Piccolo Francesco Presidente dei Combat-tenti e Reduci di guerra e Cesaro Giulio. Seduto: Esio Rizzato Presidente emerito dei

Combattenti, Reduci e Internati.

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Seguirà, quanto prima, la pubblicazione di numerose pagine dei settimanali:

L’ECO DEI LAVORATORI, LA DIFESA DEL POPOLO.

I QUODITIANI:

IL VENETO, LA PROVINCIA DI PADOVA e

LA LIBERTA’.

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RINGRAZIAMENTI

Mia sorella Antonia Cesaro che ha conservato i documenti e quasi tutte le

fotografie di famiglia e quelle dei parenti.

Mia sorella Tecla Cesaro per l’aiuto nella ricerca della memoria storica

della nostra famiglia.

Il personale del Centro di Ateneo per la Storia della Resistenza e dell'età con-

temporanea - Unipd – Padova.

Il personale della Biblioteca Civica di Padova.

Il personale dell’Archivio di Stato di Padova.

Il personale della Accademia Galileiana di Padova.

Il personale dell’Ufficio Anagrafe del comune di Selvazzano Dentro.

Il personale dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Vigodarzere.

Il personale della Biblioteca di Vigodarzere.

Don Luigi Bonetto e Alessandro Francato per le ricerche effettuate

nell’archivio parrocchiale di Vigodarzere.

Teresa Berto vedova di Silla Pegoraro per le indicazioni fornitimi relative

ai 35 prigionieri sudafricani, inglesi e U.S.A che furono nascosti dalle fami-

glie del territorio comunale di Vigodarzere.

Luigia Pegoraro vedova Gottardo per le testimonianze rese e pubblicate nel libro: Vigodarzere sul filo della memoria pag. 211, 212 e 213 relative al-

la deportazione in Germania del fratello Carabiniere Silla Pegoraro.

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La difesa del Popolo

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Papa Pio X

San Pio X

Papa

Nascita 2 giugno 1835

Morte 20 agosto 1914, Roma Italia

Venerato da Chiesa cattolica

Beatificazione 3 giugno 1951 da papa Pio XII

Canonizzazione 29 maggio 1954 da papa Pio XII

Ricorrenza 21 agosto

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]

Giuseppe Sarto giovane seminarista

Il cardinal Sarto, patriarca di Venezia

Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riesi, comune che dal 1952 ha assunto la denominazione di

Riese Pio X, in provincia di Treviso, secondo di dieci figli in una famiglia modesta. Suo padre

Giovanni Battista (1792-1852) era fattore e sua madre, Margherita Sanson (1813-1894), sarta. Egli

si distinse da molti suoi predecessori e successori proprio per il fatto che il suo cursus honorum fu

esclusivamente pastorale senza alcun impegno presso la curia o nell'attività diplomatica della Santa

Sede.

Ricevette la tonsura nel 1850 ed entrò nel seminario di Padova, grazie a una borsa di studio ottenuta

tramite il patriarca di Venezia Jacopo Monico, suo compaesano. Fu ordinato prete nel 1858 dal

vescovo di Treviso, Giovanni Antonio Farina, e divenne cappellano della parrocchia di Tombolo.

Nel 1867 fu promosso arciprete di Salzano e poi, nel 1875, canonico della cattedrale di Treviso,

cancelliere vescovile e fungendo nel contempo da direttore spirituale nel seminario diocesano,

esperienza della quale serberà sempre un ottimo ricordo.

Il 10 novembre 1884 fu nominato vescovo di Mantova; ricevette la consacrazione episcopale sei

giorni dopo nella basilica di Sant'Apollinare in Roma dal cardinale Lucido Maria Parocchi. Come

vescovo di Mantova partecipò al primo Congresso catechistico nazionale tenutosi a Piacenza tra il

24 e il 26 settembre 1889 e presentò un voto a favore di un catechismo popolare storico-dogmatico-

morale redatto in domande brevi e risposte comune per tutta Italia poiché riteneva che il catechismo

del Bellarmino

« ...tornasse molto difficile alle menti rozze non solo dei bambini, ma anche degli adulti che in questa

parte sono quasi geniti infantes] »

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Successivamente ricoprì la carica di patriarca di Venezia. Il governo italiano rifiutò peraltro

inizialmente il proprio exequatur, asserendo che la nomina del patriarca di Venezia spettava al Re e

che, inoltre, Sarto era stato scelto su pressione del governo dell'Impero austro-ungarico. Giuseppe

Sarto dovette quindi attendere ben 18 mesi prima di poter assumere la guida pastorale del

patriarcato di Venezia. Con la nomina a patriarca egli ricevette pure la berretta cardinalizia nel

concistoro del 12 giugno 1893. Ancora dieci anni e dalla cattedra di San Marco sarebbe salito a

quella di Pietro.

Alla morte di papa Leone XIII il candidato più probabile al soglio di Pietro era considerato il

segretario di Stato Rampolla. All'apertura del conclave il 1º agosto 1903, la sorpresa: il cardinale

Puzvna, arcivescovo di Cracovia, comunica che l'imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe,

usando un suo antico privilegio quale sovrano di un impero cattolico, pone il veto all'elezione del

cardinale Rampolla.

I motivi del veto sarebbero non soltanto politici, in particolare la vicinanza del Rampolla alla

Francia e le sue idee più aperte, ma anche personali; il Rampolla, quale segretario di Stato, avrebbe

infatti cercato di influenzare Leone XIII a negare una sepoltura cristiana all'arciduca Rodolfo

d'Asburgo-Lorena, figlio del sovrano, suicidatosi durante i fatti di Mayerling.

Nonostante l'indignazione di molti cardinali il conclave decise comunque di obbedire alla volontà

dell'imperatore, così la candidatura di Rampolla sfumò e i suffragi si orientarono sul patriarca di

Venezia, che fu eletto il 4 agosto e incoronato il 9. Prese il nome pontificale di Pio X in onore dei

suoi immediati predecessori Pio VI, Pio VII, Pio VIII e Pio IX. Scelse come motto del suo

pontificato Instaurare omnia in Christo (Efesini 1,10) e lo attuò con coraggio e fermezza.

Una delle prime decisioni di Pio X fu proprio l'abolizione con la costituzione apostolica

Commissum Nobis del cosiddetto jus exclusive (o veto laicale), una forma di veto che spettava ad

alcuni sovrani cattolici e in grazia al quale egli era divenuto pontefice.

Il pontificato

Il cardinal Luigi Macchi annuncia l'elezione del cardinal Sarto

Blasonatura dello stemma

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D'azzurro, all'ancora a tre braccia di nero

cordonata di rosso, posta in banda sopra un

mare ondato al naturale e sormontata nel

capo da una stella a sei punte d'oro, col capo

di Venezia: d'argento, al leone alato

passante, guardante e nimbato, tenente con la

branca anteriore destra un libro recante la

scritta: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA

MEUS e una spada, il tutto d'oro.

Pio X il giorno dell'incoronazione

Il nuovo Papa, consapevole di non avere alcuna esperienza diplomatica né una vera e propria

formazione universitaria, seppe scegliere dei collaboratori competenti come il giovane cardinale

Rafael Merry del Val, di soli 38 anni, poliglotta e direttore della Pontificia accademia ecclesiastica,

che fu nominato segretario di Stato. Stante la propria inesperienza, Pio X lasciò a Merry del Val

sostanzialmente campo libero nella conduzione della diplomazia vaticana.

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Papa Pio X rimase sempre semplice e umile e in Vaticano visse parcamente, assistito dalle sorelle,

in un appartamento fatto allestire appositamente.

Caratteristico e storicamente importante fu l'indirizzo teologico che diede alla Chiesa cattolica

durante tutto il suo pontificato, la cui linea può essere definita sinteticamente come tradizionalista,

in particolare per la lotta ingaggiata contro il modernismo attraverso l'enciclica Puzyna Dominici

Gregise il decreto Lamentabili Sane Exitu, a cui seguì l'approvazione personale del Puzyna Pianum,

una rete di informazione che indagava su teologi e docenti sospettati di modernismo. Si stava infatti

diffondendo all'interno del mondo cattolico e in ampi settori della stessa gerarchia ecclesiale, una

sorta di rivisitazione filosofica della teologia cattolica sotto l'effetto dello scientismo di fine

Ottocento. In risposta al modernismo teologico, Pio X introdusse dal 1º settembre 1910 il

giuramento della fede per tutti i membri del clero.

Fu Pio X ad avviare la riforma del diritto canonico, che culminerà nel 1917 con la promulgazione

del Codice di diritto canonico, e a redigere il Catechismo che porta il suo nome (Catechismo di Pio

X, 1905).[2]

Anche sul piano della gestione patrimoniale fu lui a unificare i redditi dell'obolo di San Pietro e quelli del patrimonio del Vaticano. Ma, soprattutto, riformò la Curia romana con la

costituzione Sapienti consilio del 29 giugno 1908, sopprimendo vari dicasteri divenuti inutili.

Raccomandò ai paesi cattolici l'uso della pronuncia ecclesiastica latina nelle scuole. Poco prima di

morire era intento a completare gli studi preparatori di un documento (poi abbandonato dai

successori) relativo alle condizioni di liceità dell'esercizio del diritto di sciopero.

Il nome di Pio X è legato anche alla riforma del canto gregoriano. Con il Motu proprio Inter

pastoralis officii sollicitudines (22 novembre 1903)[3]

, il pontefice impose il canto gregoriano nella

liturgia e fornì precise istruzioni circa l'uso della musica nelle funzioni religiose.

Pio X creò il primo cardinale sudamericano della storia della Chiesa. L'11 dicembre 1905 elevò a

questa dignità ecclesiastica il vescovo brasiliano Joaquim Arcoverde Cavalcanti.

Piazza San Pietro in una fotografia del 1909, ai tempi del pontificato di Pio X

L'8 agosto 1910 il pontefice emanò il decreto Quam singulari Christus amore con il quale ripristinò

l'età della prima comunione e della prima confessione dei bambini all'età dell'uso della ragione, cioè

intorno ai sette anni. Tale età era stata fissata dai concili Lateranense IV (1215) e Tridentino (13a

Sessione, 1551-1552); successivamente era stata modificata per influsso del giansenismo.

Il 1º novembre 1911 Pio X promulgò il nuovo Breviario con la bolla Divino Afflatu. Il Breviario

romano approvato da Pio V nel 1568 venne riformato: in particolare fu ripristinando l'antico uso di

recitare ogni settimana i 150 salmi, cambiando interamente la disposizione del salterio[4]

.

Pio X e il ballo

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Ai primi del Novecento il tango, ballo sensuale importato dall'Argentina, cominciava a sottrarre

spazio in Europa al valzer e alla polka. Di fronte alle interdizioni richieste dalle autorità

ecclesiastiche parigine, si narra che Pio X desse disposizioni affinché una coppia di ballerini di

tango gli fornisse un'idea precisa del nuovo ballo, per valutarne direttamente, di persona, gli aspetti

scandalosi. Avvenuta l'esibizione riservata di danza, il sommo Pontefice avrebbe detto[5]

:

« Mi me pàr che sia più bèo el bàeo a 'ea furlana; ma no vedo che gran pecài ghe

sia in stò novo bàeo! »

(A me sembra che sia più bello il ballo della furlana; ma non vedo che grandi peccati vi siano in

questo nuovo ballo!)

Dispose perciò la revoca della sanzione ecclesiastica prevista per chi lo avesse praticato. L'episodio

ha ispirato anche una nota poesia (Tango e Furlana) di Trilussa.

Papa Pio X nei Giardini Vaticani

Con l'enciclica Il Fermo Proposito dell'11 giugno 1905 il pontefice allenta le restrizioni del Non

expedit (ossia il fermo divieto per tutti i cattolici italiani di partecipare alla vita politica) di papa Pio

IX, soprattutto per arginare i consensi verso le forze socialiste. Pio X, nel testo dell'enciclica,

elargisce la "benigna concessione" di dispensarli da tale divieto, specialmente nei "casi particolari"

in cui essi ne riconoscano "la stretta necessità pel bene delle anime e per la salvezza delle loro

chiese"; e li invita anzi a perseguire la seria attività "già lodevolmente spiegata dai cattolici per

prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei

Consigli provinciali", così da favorire e promuovere "quelle istituzioni che si propongono di ben

disciplinare le moltitudini contro l'invadenza predominante del socialismo".

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Papa Pio X nel suo studio

Pio X ebbe a confrontarsi con il problema della separazione tra Stato e Chiesa, che emerse in

Francia con l'entrata in vigore della legge del 9 dicembre 1905, nella quale si concentravano gli

intenti fondamentali della politica antireligiosa e massonica della terza Repubblica e in particolare

del governo di Émile Combes. A partire dal 1880 si erano registrati in Francia una serie di

provvedimenti antireligiosi tendenti alla dissoluzione delle congregazioni religiose, di espulsione

dei religiosi regolari: insegnanti, personale infermieristico e così via.

Pio X si mostrò assai meno conciliante verso questa politica fortemente anticlericale rispetto al

proprio predecessore, nonostante la maggioranza dei vescovi francesi gli consigliasse di piegarsi

alla nuova legge. La legge emanata dal governo francese segnò il culmine di tale politica,

decretando unilateralmente l'abrogazione del concordato del 1801.

Nel 1906 Pio X con l'enciclica Vehementer Nos dell'11 febbraio, l'allocuzione concistoriale

Gravissimum del 21 febbraio e l'enciclica Gravissimo Officii Munere del 10 agosto, proibì ogni

attività collaborativa all'applicazione della nuova legge. L'ostilità del Pontefice alla nuova

normativa francese compromise la creazione delle associations cultuelles, previste dalla legge del

1905, alle quali avrebbe dovuto essere trasferito il patrimonio della Chiesa. Prendendo a pretesto

tale opposizione lo Stato francese incamerò gli ingenti beni immobili ecclesiastici. La situazione

sarebbe mutata soltanto nel 1923 con la creazione delle "associations diocésaines".

Analoghe tensioni si registrarono con il Portogallo, dopo l'avvento in quel Paese, nel 1910, della

repubblica guidata da gruppi di potere anticlericali massonici. Pio X rispose con l'enciclica

Iamdudum.

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La morte

Pio X sul letto di morte

Il corpo del Papa esposto il 21-22 agosto 1914

Tomba di Pio X, nella basilica di San Pietro in Vaticano

Proprio nei primi giorni della prima guerra mondiale, Pio X morì per una cardiopatia

(probabilmente di pericardite) il 20 agosto 1914 alle ore 1:15[7]

. Si dice anche che qualche tempo

prima della morte abbia detto più volte sconsolato: "Verrà il guerrone" ossia la Grande Guerra[8][9]

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Da Wikipedia, l'enciclopedia libera - 1 dicembre 2017.

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