SCULTURE ROMANICHE in DEL DUOMO DI PISTOIA, … · Infine il Salmi, nell'articolo La questione dei...
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Siffatto tipo, di cui qualche raro esempio si riscontra in Africa (Henchir-el Atech in Algeria) e in Siria (Srir), troviamo diffuso e preferito in Dalmazia (Salona), nell' Istria (Pola, Parenzo, Nesazio, Brioni, ecc.), in Carinzia (Stribach, Teurnia, Hemmaberg), in Ungheria (Kékkut) e potrebbe riconoscersi irradiato da Aquileia, dove ne abbiamo un chiaro esempio nelle basiliche Teodoriane. A proposito delle quali quanto fin qui si è cercato di chiarire verrebbe a corroborare e ad essere a sua volta confermato da quanto il Cecchelli recentemente ha esposto con copia di riferimenti documentari, circa la dimostrabile discendenza di questo tipo di basilica ehe l'Egger chiamò « absidenlose Saalkirchen n, dalla semplice originaria struttura della « ecclesia domestica» 37).
Ceno è che a Parenzo - prima che Eufrasio, a metà del VI secolo, sotto una più immediata influenza bizaIitino-ravennate, adottasse lo schema absidato (nella basilica, nella cappella tricora, nel consignatorio) - appare esclusivo il tipo di pianta rettangolare senza absidi. E se a questo accertamento si aggiunge quello dell'uso del banco presbiteriale isolato, riteni;mlO che non soltanto si possa riveòere con diversi criteri la interpretazione di altre costruzior.i della stessa epoca (per es. il Duomo di Pola, che, secondo noi, aveva analoga struttura) ma si debba riconoscere maggior interesse, su un piano storico meno limitato, a questi edifici di cui s'è parlato, sia come contributo ai dibattuti problemi su la tipologia delle costruzioni paleocristiane, sia per una più obbiettiva indagine e definizione della preferenza di siffatti schemi, non fosse altrove, in queste regioni che s'affacciano su l'alto Adriatico orientale e dove finora essi sembrano esclusivi: quasi il prodotto di una diffusione localmente coerente ed unitaria: o piuttosto il reliquato di più remota tradizione, derivata fin quassù e lasciata in secca dal riflusso di disperse correnti.
BRUNO MOLAJOLI.
lica precedente, come è ricordato nella epigrafe dell'abside eufrasiana, ma anche dallo stato dei musaici pavimentali largamente consunti e malamente rappezzati.
37) Cfr. CECCHELLI, op. cit., p. 209 sg.
l) A. CHIAPPELLI, Guido da Como e l'amico pergamo della Cattedrale di Pistoia, in Arte e Storia, ottobre 1895, p. 161 sgg.; G. BEANI, La Cattedrale Pistoiese, Pistoia, 1903. Il Chiappelli riteneva fossero parti del pulpito certe formelle di marmo a rilievo e con fondo a mosaico che si vedono oggi in Pistoia in vari luoghi, alcune applicate come ornamento al fonte battesimale, rinnovato nel secolo XVII, del Battistero di Pistoia, altre incastrate nel Presbiterio di S. Andrea rinnovato anch'esso al principio di quel secolo, ed altre ancora ehe furono util~zzate
SCULTURE ROMANICHE DEL DUOMO DI PISTOIA, RINVENUTE D URANTE RECENTI LA VORI.
Nell'agosto scorso si andavano eseguendo lavori nel pavimento e sottoposte strutture del presbiterio del Duomo di Pistoia per preparare la costruzione di un sacello nuovo adiacente alla Cripta da destinarsi a Cappella sepolcrale dei Vescovi. Già poco prima, sempre per gli stessi lavori, erano riapparse due colonne con capitelli romanici e formelle marmoree del noto tipo pisano, che fiorì negli ultimi anni del secolo XII e nella prima metà del seguente. Ma le scoperte di agosto furono ben più importanti. Altre formelle come le suaccennate vennero in luce, ma soprattutto interessanti altorilievi. Tutti questi frammellti, capovolti, erano stati usati come lastroni del pavimento: e costituiscono ora un prezioso materiale che si aggiunge a quello in altre occasioni riapparso e del quale dette già relazione Alberto Chiappelli e di nuovo il canonico Gaetano Beani 1) .
È molto probabile che altre ricerche anche nel pavimento delle navate ci fruttino ulteriori ritrovameuti. Finora abbiamo recuperato lO pezzi di scultura decorativa (formelle appartenenti alla originaria recinzione del presbiterio - cancelli presbiteriali - (figg. l, 2 3, 5, 6, 7, 8, 12) c due figurazioni di forte rilievo (figg. 13 e 14) che indubbiamente appartennero allo scomparso ambone, distrutto tra il 1546 e il 1563, di cui dà notizia, dicendolo di Guido da Como e fatto nell'anno 1199, il noto « V acchettone » Fioravanti, compilato in quegli stessi anni. Un altro raccoglitore di memorie pistoiesi, Pandolfo Arferuoli 2), conferma a sua volta che nell'anno 1199 « Guido da Como fece il pulpito del Duomo tutto pieno di figure».
CosÌ questi fortunati ritrova menti chiariscono nel modo più preciso che le formelle ornate a intagli e tarsie di tipo pisano non hanno nulla
rovesciandole come lastre di marmo nel pavimento della Cattedrale sulla fine del sec. XVI, e che ritrovate nel 1838, si conservano oggi con altri oggetti di arte nel Capitolo di S. Francesco di Pistoia. Abbiamo ammesso la possibilità che alcune di queste formelle costituissero parte del pulpito della Cattedrale, perchè molte di esse sono simili nella disposizione del disegno e nella fattura ad altre formelle di marmo a rilievo e con fondo a mosaico che si ritrovano nel pergamo di S. Bartolommeo, opera non dubbia di Guido da Como. Il Beani ripete queste notizie, ma dichiara che non condivide l'opinione del Chiappelli circa l'appartenenza delle formelle allo scomparso pulpito, giacchè risultava dall'Arferuoli che quel pulpito era « pieno di figure ».
2) Historia di Pistoia di PANDOLFO ARFERUOLI, vol. I,
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TAY. XLV.
}'ig. l ,
F igg. ]-2. Formelle di rcc inziollc pro.biteri"lc.
Pi.roia. Duomo. .Fig.2.
Fig. 3. Formella di recinzionc presbiteriale. Pistoia , Duomo. Fig. 4. Formella. Pisa, Battistero.
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TAV. XLVI.
Fig. 5. Fig. G.
Jo'jg.7. Fi!;. S.
Figg. 5~8 . Furrllellc di rCf.'i n z iOJlt' prcsbitt'rial,·. Pistoia. llUOI110.
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TAV. XLVII.
IOig. 9. l lltima Cena c Caltura fii Cri,lo (dal pulpilo H'(Imp"r~o nel S(T. XVI). Pi5loin. Duomo.
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TAv. XLViII.
Fig. IO. La Vi, ituzionc (dal pulpito scomparso nel sec. XVI). Pistoia, Duomo.
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a vedere col pulpito o ambone scomparso nel sec. XVI che ora possiamo immaginare analogo a quello scolpito da Guglielmo per il Duomo di Pisa e poi trasferito al Duomo di Cagliari; e del tutto associabile all'altro del Duomo di Volterra, attribuito dal Toesca 3) a Biduino, dallo Swarzenski 4) a Buonamico, suo probabile collaboratore. Uno dei rilievi mostra due scene: in alto l'Ultima C!lna, in basso il Tradimento di Giuda (fig. 9).
Nel Cenacolo Cristo è seduto all'estremità destra della tavola, contrariamente a quanto si vede nella figurazione di Cagliari e in quella di Volterra (fig. 11); manca, come in quella di Cagliari, il curioso particolare che vediamo nel pulpito di Volterra, di Satana strisciante sotto la tavola alle calcagna di Giuda. La stretta parentela iconografica è abbastanza evidente anche in curiosi particolari, come qucllo del pesce posato sulle scodelle e degli apostoli disposti su due file, risultando alcuni di essi rappresentati con la sola testa negli intervalli tra le figure accostate alla tavola, e dobbiamo notarla altresÌ per la scena del Tradimento, sebbene tra la rappresentazione di Guglielmo c questa del Duomo pistoiese non manchino di1Ferenze notevoli. Più stretta è l'analogia tra l'altro rilievo pistoiese (fig. lO) e quello di Volterra con la rappresentazione della Visita di Maria ad Elisabetta; a Volterra nello stesso quadro è compresa anche l'Annunciazione (fig. 13), ma le tre figure di Zaccaria, di Maria e di Elisabetta si corrispondono nei due rilievi con atteggiamenti e caratteri quasi identici. Si può ricordare anche il capitello di sinistra nel portale principale di S. Andrea di Pistoia (Gruamonte e Adeodato).
mss. n.O 128 tra i manoscritti dell'Archivio Capitolare di Pistoia.
3) P. TOESCA, Storia deU'Arte, p. 899. ') Vedi nel TBIEME BECKER, IV, p. 272. Vcdi anche
M. SALMI, La scultura romanica in Toscana, Firenze, 1928-VI, p. 77 sgg., e W. BIEnL, Toskanische Plas,ik, Leipzig, 1926.
6) P. BACCI, Documenti toscani per la storia deU'Arte, Firenze, Gonnelli, 1910. Il Bacci, mi sembra opportuno ricordarlo, pone la questione dei vari Guidi, Guido il vecchio, Guido il giovane o Guidetto, Guido Bigarclli da Como, Guido da Como: Guido il vecchio sarebbe il medesimo ehe nel 1188 riedificò dai fondamenti S. Maria Corteorlandini a Lucca e nel 1211 è a Prato per eseguire in parte e in parte sopraintendere ai lavori dell'Opera di S. Stefano. Guidetto sarebbe non figlio (come alcuni hanno immaginato) ma contemporaneo di Guido e come lui esecutore di una parte dei lavori di scalpello alla facciata di S. Martino. Guido Bigarelli deve, secondo il Bacci, esser considerato come un maestro distinto da Guido da Como, scultore dell'ambone di S. Bartolommeo in Pantano. Come è noto, il Venturi ritiene invece che Guido di Bonaggiunta di Bigarello detto di Como, ma in realtà
Ma a parte le dette analogie molto ci sarà da studiare sui caratteri plastici che differenziano sensibilmente le opere di cui parliamo. Si può dire intanto che a Volterra appare superiore di modellazione e di espressione la Cena e a Pistoia, invece, è la Visitazione che ci presenta nel confronto le figure più corrette ed efficaci. Si può osservare inoltre che lo scultore dei ritrovati altorilievi usa ancora in uno di essi (Visitazione) il fondo arabescato come un damasco, sull'esempio di Guglielmo, seguito ed esagerato da Gruamonte e da Adeodato, non seguito invece da Biduino e Buonamico.
Il ritrovamento di queste sculture ci riporta al vecchio tema dei Guidi e alle ricerche e discussioni alle quali presero parte più di trent'anni or sono Pèleo Bacci e studiosi pistoiesi come il Beani e Alberto Chiappelli; riponendo sul tappeto questioni di cui si sono interessati autorevoli storici dell'arte come lo Schmarsow, Max Zimmermann, Adolfo V cnturi, ecc. Sia le sculture testè recuperate, come quelle del pulpito di Volterra potrebbero convenientemente esser datate sul finire del sec. XII, non troppo lontane di tempo dal loro modello, il pulpito di Guglielmo che rimane superiore nettamente. Perciò non sarebbe per sè inaccettabile la nota datazione del 1199 indicata dal Fioravanti e dall'Arferuoli. Quanto a parlare di Guidetto che allo stato delle nostre conoscenze ci risulta piuttosto un minuzioso ornatista, ci sembra ancora difficile e dubitiamo che -con la sola indagine critica se ne possa venire a capo 6). Potrebbero invece di Guidetto essere, in massima parte, le formelle ritrovate e che molto probabilmente erano quelle della recinzione presbiteriale: ma tra esse ve ne sono due (figg. l e 2) che dimo-
di Arogno (Lugano), sia il medesimo che Guido da Como. Il Crowe e il Cavalcaselle ritengono a loro volta che Guido da Como autore dell'ambone di S. Bartolommeo in Pantano sia lo stesso Guido da Como che nel 1293 lavorava alla loggia dell'Opera dclla Cattedrale di Orvieto. Infine il Salmi, nell'articolo La questione dei Guidi, in L'Arte, 1914, e nel volume sulla Scultura Romanica in Toscana (Firenze, 1928-VI), ritiene che Guidetto sia il maestro ai servizi dell'opera di S. Stefano di Prato nel 1211 e lo stesso Guidetto che nel 1204 incide il suo nome in una colonnetta del primo piano sulla facciata di S. Martino a Lucca e sarebbe di quella facciata il principale autore. Guido da Como è per il Salmi lo stesso che Guido Bigarelli. Checchè ne sia, non ci sembra che il pulpito parzialmente ritrovato abbia relazione diretta o indiretta con Guidetto e tanto meno col Guido del pulpito di S. Bartolommeo. Invece per le formelle vi è indubbiamente una stretta relazione delle due che poniamo in particolare evidenza con quelle del Bigarelli nel Battistero di Pisa (figg. 4, 5, 6, 7) oltrechè, per quanto riguarda le teste che ne formano il più squisito motivo, con la ricordata testa del pulpito di S. Bartolommeo in Pantano.
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strano mano assai plU esperta e particolare finezza di gusto; si osservino le teste di fronte e di profilo, di sorprendente vivacità, di magistrale modellazione e di espressione caricaturale volutamente raggiunta con piena padronanza di tecnica. Specialmente per una di esse, quella delle teste in profilo, si arriva ad una fine eleganza e morbidezza anche nella modellazione del fogliame, dalle nervature flessuose tanto diverse da quelle dell'altra formella con teste rozzissime e paragonabili ai fogliami delle formelle del fonte battesimale pisano. Per queste due formelle non è fuor di luogo il confronto, nei riguardi delle dette teste, con quella che nel pulpito di S. Bartolommeo in Pantano (fig. 14) sostiene il gruppo del leggìo di destra in cornu evangelii. Non occorre dire che non vi è invece alcun rapporto tra gli altorilievi del Duomo e quelli di S. Bartolommeo.
Su questo argomento che desterà certo vivo interesse torneremo ulteriormente, ma intanto abbiamo voluto soprattutto porre in evidenza la stretta parentela tra il pulpito di Pistoia e quello di Volterra, dipendenti entrambi da quello di Guglielmo.
CARLO CALZECCBI.
UN POSSIBILE BALDUNG ALLA R. GALLERIA ESTENSE.
Da qualche mese è stata esposta nella sala dedicata ai pittori stranieri della R. Galleria Estense di Modena una testa di vecchio con l'ascrizione ad Rans Baldung Grien. Risarcita nel 1938 dal restauratore Enrico Podio, che ne campi le zone lacunose a tinte neutre, il dipinto (su carta fissata su tavola: m. 0,32,5 x 0,24) è stato esposto a cura dell'attuale Direzione, che ne accettò subito l'attribuzione da me proposta e già corroborata da altri studiosi di passaggio all'Estense.
Che si tratti di un'opera del Baldung è provato dal confronto, di chiara evidenza, con la Testa di vecchio n.O 552 B dei Musei Statali eli Berlino, la cui pertinenza al pittore è un fatto acquisito da più eli un quarantennio. Anzi è da pensare che si tratti di uno stesso modello: a Berlino volto di tre quarti, a Modena di pieno prospetto. La realtà fisionomica del modello è trascritta con una sagacia espressiva analitica, ma al tempo stesso subordinata ad una necessità di stile, per cui ogni elemento colto in quella fisionomia si puntualizza in elemento autonomo di espressione, basata sulla capillare conduzione ritmica della linea. Che l'opera sia un originale
LE ARTI
e non una copia lo conferma il ductus cosÌ vivo e pulsante del tratto, che discrimina i peli allucciolati della barba fluente, rcndendoli quasi incandescenti in piena luce. Il mediocre stato di conservazionc ha del resto attenuate certe trasparenze che risaltano nella testa di Berlino.
Mentre le due teste hanno quasi le stesse misure (la berlinese infatti misura m. 0,32xO,23), quella modenese può considerarsi un frammento, poichè in basso, a sinistra, rivela una capigliatura castana appartenente certo ad un'altra figura.
È evidente l'aderenza dello stile dei due dipinti a ben noti motivi formali diireriani. Gli studi per gli Apostoli dell'Assunta del 1509, di cui rimane copia all'Istituto Stadel di Francoforte, oggi all'Albertina di Vienna, sono evidentemente in stretto rapporto con il modulo disegnativo o meglio con la sensibilità linearistica che determina quella vibrante ed ossessionata trasposizione fisionomica del dipinto di Berlino e di quello di Modena: ricerche analitiche che si ritrovano puntualmente inserite in altre opere del Baldung, come nel S. Giuseppe dell'Adorazione dei Magi dello stesso Museo di Berlino del 1507. Rans Baldung, a partire dal soggiorno a Norimberga del 1504, s'era orientato decisamente verso Diirer, dando alla sua visione quella ferrea e compatta struttura cristallina dove la luce acquista un determinato valore, i cui sviluppi saranno fondamentali per l'ulteriore svolgersi di tutta la sua pittura. Questa ascendenza diireriana, che stabilisce nella pittura del Baldung una compattezza di rapporti figurativi e sentimentali decisamente umanistici, dall'Adorazione berlinese, passando per la Crocefissione dello stesso Museo (1512), darà i suoi frutti più maturi nelle opere eseguite a Friburgo (1512-1516): poi l'arte del Baldung andrà liberandosi mediante una piil trascendente fantasia che sublimerà l'elemento luministico, fino a creare quelle opere tarde che a buon diritto collocano il Baldung accanto all'Altdorfer o allo stesso Griinewald.
La Testa di vecchio dell'Estense può dunque prender posto nell'attività del Baldung in quel momento di nutrita collaborazione, e quindi di reazionc al tempo stesso, con la umanistica mentalità diircriana: dove del resto l'artista misura le proprie possibilità espressive trasponendo in un linearismo più ritmico, e quindi più funzionale, quello più energetico e scabro del gran patriarca dell'arte tedesca: quindi, cronologicamente può antecedere la data del 1510.
RODOLFO PALLUCCBINI.
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Fig. 11. Ultima Cena. Volterra, Duomo (pulpito).
Fig. 12. Fig. 13.
TAV. XLIX.
l!'ig. 14.
Fig. 12 . . Frammento di cornice a giraLi.
Pistoia, Duomo.
Fig. 13. La Visitazione. Volterra, Duo
mo (pulpilO).
Fig. 14. GUIDO DA CO~IO: Particolare
del leggìo di destra del pulpito. Pi
stoin, S. Bartolonuueo in Pantano.
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