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313 P P a a r r t t e e I I I I Scienza dell’alimentazione INTRODUZIONE La materia di studio della “Scienza dell’alimentazione” comprende alcuni aspetti della fisiologia, della biochimica, del metabolismo che riguardano gli alimenti, la loro composizione, le loro funzioni in relazione ai bisogni nutrizionali del- l’organismo. Tutte le funzioni vitali degli esseri viventi, quali la riproduzione cellulare, l’ac- crescimento e la riparazione dei tessuti, la sintesi di composti organici, il lavoro muscolare e degli organi interni (cuore, polmoni, fegato ecc.), richiedono ener- gia, materiale da costruzione (plastico) e bioregolatori. Alimenti e nutrienti “essenziali” e “non essenziali” Gli alimenti sono costituiti da combinazioni diverse per qualità e quantità di una serie di sostanze nutritive, i nutrienti, che possono essere utilizzati per soddi- sfare le richieste di energia e di sostanze plastiche o regolatorie. I nutrienti sono quindi i principali costituenti degli alimenti e appartengono a una delle seguenti sei classi di sostanze chimiche: 1. proteine o protidi; 2. carboidrati o glucidi; 3. grassi o lipidi; 4. vitamine; 5. minerali; 6. acqua. Alcuni dei nutrienti si definiscono “essenziali” o indispensabili, in quanto non possono essere formati (sintetizzati) nell’organismo e quindi debbono ob- bligatoriamente essere introdotti già preformati con gli alimenti; nutrienti es- senziali sono per esempio alcuni aminoacidi, alcuni acidi grassi, minerali e vi- tamine che, quando non introdotti in quantità adeguate causano manifestazioni da carenza. Altri nutrienti possono invece essere sintetizzati nell’organismo stesso a partire da altre sostanze e pertanto sono definiti “non essenziali”. L’utilizzazione dei nutrienti da parte dell’organismo richiede che essi siano liberati dagli alimenti con i processi di digestione e resi “disponibili” all’assorbi- mento intestinale.

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Scienzadell’alimentazione

INTRODUZIONE

La materia di studio della “Scienza dell’alimentazione” comprende alcuni aspettidella fisiologia, della biochimica, del metabolismo che riguardano gli alimenti,la loro composizione, le loro funzioni in relazione ai bisogni nutrizionali del-l’organismo.

Tutte le funzioni vitali degli esseri viventi, quali la riproduzione cellulare, l’ac-crescimento e la riparazione dei tessuti, la sintesi di composti organici, il lavoromuscolare e degli organi interni (cuore, polmoni, fegato ecc.), richiedono ener-gia, materiale da costruzione (plastico) e bioregolatori.

Alimenti e nutrienti “essenziali” e “non essenziali”Gli alimenti sono costituiti da combinazioni diverse per qualità e quantità di unaserie di sostanze nutritive, i nutrienti, che possono essere utilizzati per soddi-sfare le richieste di energia e di sostanze plastiche o regolatorie. I nutrienti sonoquindi i principali costituenti degli alimenti e appartengono a una delle seguentisei classi di sostanze chimiche:

1. proteine o protidi;2. carboidrati o glucidi;3. grassi o lipidi;4. vitamine;5. minerali;6. acqua.

Alcuni dei nutrienti si definiscono “essenziali” o indispensabili, in quantonon possono essere formati (sintetizzati) nell’organismo e quindi debbono ob-bligatoriamente essere introdotti già preformati con gli alimenti; nutrienti es-senziali sono per esempio alcuni aminoacidi, alcuni acidi grassi, minerali e vi-tamine che, quando non introdotti in quantità adeguate causano manifestazionida carenza. Altri nutrienti possono invece essere sintetizzati nell’organismostesso a partire da altre sostanze e pertanto sono definiti “non essenziali”.

L’utilizzazione dei nutrienti da parte dell’organismo richiede che essi sianoliberati dagli alimenti con i processi di digestione e resi “disponibili” all’assorbi-mento intestinale.

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PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Funzioni degli alimenti: energetica, plastica, regolatoriaSi definisce alimento qualsiasi sostanza edibile (che si può mangiare) conte-nente i nutrienti essenziali e non essenziali che svolgono una o più delle se-guenti funzioni:

1. energetica: un continuo rifornimento di energia è la condizione indispen-sabile per lo svolgimento di tutti i processi vitali e per la contrazione mu-scolare. Il bisogno di energia è soddisfatto prevalentemente dagli alimenticontenenti glucidi e lipidi e secondariamente dalle proteine;

2. plastica: le sostanze deputate alla costituzione dei tessuti e delle strutturecorporee sono le proteine, il calcio, il ferro e gli altri componenti con i qualisi sintetizzano sostanze atte a formare nuove cellule, enzimi e specifici or-moni. Il bisogno di materiale “plastico” è soddisfatto principalmente dagli ali-menti ricchi di proteine;

3. regolatoria: la funzione di regolazione è svolta da sostanze, come le vita-mine e alcuni minerali, che consentono un controllo della velocità delle rea-zioni biochimiche interessate nei processi metabolici. Numerosi alimenti svol-gono in grado diverso questa funzione.

Oltre ai nutrienti, gli alimenti contengono anche sostanze non propriamentenutritive, alcune delle quali, come per esempio quelle appartenenti alla “fibra ali-mentare”, dotate di specifiche proprietà fisiologiche. Negli alimenti, infine, posso-no essere presenti sostanze a essi estranee che sono definite contaminanti sepervenute accidentalmente nell’alimento e additivi se aggiunte volontariamenteallo scopo di facilitarne la conservazione o di modificarne talune proprietà.

Compito della “Scienza dell’alimentazione” è quello di fornire il maggior nu-mero possibile di informazioni nutrizionali al fine di educare a un’alimentazionesana e appropriata a soddisfare i fabbisogni nutrizionali.

Il processo nutritivo, a grandi linee, comporta:

• l’introduzione per via orale di materiale alimentare disponibile nell’ambienteche, sottoposto a trasformazione chimica da parte dei succhi digestivi, rendepossibile l’assorbimento intestinale dei nutrienti;

• una serie di trasformazioni chimiche dei nutrienti in base alle quali essi siconvertono in “sostanza vivente”;

• l’eliminazione delle scorie, cioè dei composti non più utilizzabili.

La “Scienza dell’alimentazione” ha pertanto l’obiettivo di studiare:

1. gli alimenti nei loro aspetti merceologici, chimici e nutrizionali in rapportoai bisogni del vivente nelle diverse condizioni fisiologiche (età, sesso, atti-vità fisica, gravidanza e allattamento);

2. i processi della digestione degli alimenti, dell’assorbimento dei nutrienti, dellaloro utilizzazione metabolica e dell’eliminazione delle scorie inutilizzate;

3. gli aspetti socio-economici, psicologici e culturali connessi con l’alimenta-zione e con l’atto alimentare.

Dal momento che nessun alimento è nutrizionalmente completo, in gradocioè di soddisfare da solo i bisogni di nutrienti dell’organismo, le scelte alimen-tari dovrebbero innanzitutto essere effettuate sulla scorta di corrette conoscenzenutrizionali ed essere inoltre il più possibile variate: la monotonia nell’alimen-tazione può portare, se protratta a lungo, a introiti inadeguati (per eccesso o perdifetto) di alcuni nutrienti e quindi a squilibri nutrizionali.

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INTRODUZIONE

Le proteine alimentari costituiscono il materiale plastico che presiede la sintesidelle proteine corporee destinate a essere impiegate come elementi strutturalidelle cellule o come sostanze dotate di peculiari funzioni biologiche quali en-zimi, ormoni, anticorpi ecc. Sono composti quaternari in quanto costituite nonsolo da carbonio (C), ossigeno (O) e idrogeno (H), ma anche da azoto (N), in pro-porzione di circa il 16% del proprio peso; possono contenere anche modestequantità di fosforo e zolfo.

Formate da catene di a-aminoacidi legati tra loro dal legame peptidico, leproteine sono caratterizzate dalla proporzione e dalla sequenza con la qualegli aminoacidi si legano a formare la catena peptidica. Da queste due caratteri-stiche deriva la specificità – e quindi la funzione – delle migliaia di proteine pre-senti negli organismi viventi. Sequenza e proporzioni degli aminoacidi sono ge-neticamente determinate.

Caratteristica peculiare delle proteine è quella di andare soggette a un con-tinuo processo di demolizione e sintesi che va sotto il nome di turnover pro-teico.

Aminoacidi essenziali e non essenzialiLe proteine alimentari forniscono gli aminoacidi (AA) necessari per le sintesi pro-teiche. Gli AA sono, per definizione, molecole caratterizzate dalla presenza dialmeno un gruppo carbossilico (–COOH) a carattere acido e di un gruppo ami-nico (–NH2) a carattere basico. La restante parte della molecola (radicale – R) puòessere costituita da una catena lineare o ramificata, da un gruppo aromatico,solforato o altro che determina le caratteristiche costitutive di ogni singolo ami-noacido.

In natura esistono centinaia di aminoacidi, ma solo 20 sono coinvolti nellasintesi proteica. Anche se a livello cellulare tutti e 20 questi aminoacidi devonoessere contemporaneamente presenti, solo 9 devono essere introdotti prefor-mati con gli alimenti in quanto l’organismo non è in grado di sintetizzarli. Que-sti nove aminoacidi vengono definiti aminoacidi essenziali (AAE). Essenziale èquindi l’aminoacido non sintetizzato nell’organismo umano e che deve essere in-trodotto con l’alimentazione. Gli altri AA che possono essere sintetizzati dal ma-teriale disponibile sono denominati non essenziali (Tab. 18.1).

Sono definiti semiessenziali gli AA tirosina e cisteina, in quanto derivano ri-spettivamente dagli AA essenziali fenilalanina e metionina.

11118888PROTEINE O PROTIDI

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In particolari situazioni (per esempio, prematurità alla nascita) e in determi-nate condizioni patologiche (insufficienza renale cronica, cirrosi epatica, im-munodepressione) la velocità di sintesi endogena di alcuni AA non essenzialinon è sufficiente a garantire la copertura dei bisogni aumentati. In queste cir-costanze, gli AA arginina, glicina, glutamina, prolina e taurina (che è un derivatodella cisteina) assumono le caratteristiche di “essenzialità” e sono pertanto de-nominati anche condizionatamente essenziali.

VALORE NUTRIZIONALE DELLE PROTEINEE VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ PROTEICA

Da tempo è noto che le proteine alimentari non hanno tutte la medesima effi-cienza nello svolgere le funzioni di mantenere la vita e promuovere l’accresci-mento. Le differenti qualità nutrizionali dipendono in parte dalla rispettiva di-geribilità e in parte maggiore dal contenuto in AA essenziali: quanto maggiore èil contenuto in AA essenziali di una proteina, tanto più elevata è la sua qualità nu-trizionale.

Il valore nutrizionale di una proteina può essere valutato con metodi in vi-tro (chimici e enzimatici) e con metodi biologici. Dai primi si ricavano il pun-teggio chimico o aminoacidico e l’indice aminoacidico che derivano dal con-fronto tra il contenuto in AA essenziali della proteina in esame con quello notodi una proteina di riferimento (prevalentemente si fa riferimento a quella del-l’uovo, oppure a “schemi distributivi di aminoacidi” suggeriti da commissioni diesperti FAO/WHO).

I metodi biologici permettono una più precisa valutazione della qualità pro-teica in quanto tengono conto, oltre che della composizione in AA essenziali,anche della sua digeribilità e dell’efficienza di utilizzazione per le sintesi protei-che endogene. Il metodo biologico più utilizzato per la determinazione del va-lore nutrizionale o “valore biologico” delle proteine è quello dell’utilizzazioneproteica netta (NPU), definito come la percentuale delle proteine della dieta cheviene trattenuta dall’organismo.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Essenziali Non essenziali

Valina AlaninaLisina Arginina*Leucina Acido asparticoIsoleucina Cisteina°Metionina CistinaFenilalanina Acido glutammico-glutamina*Treonina Glicina*Triptofano IdrossiprolinaIstidina Prolina*

SerinaTaurina*Tirosina°

TABELLA 18.1 AMINOACIDI ESSENZIALI E NON ESSENZIALI

° AA semiessenziale; * AA condizionatamente essenziale.

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In linea generale, le proteine animali (uova, latte e derivati, carni in genere,pesci) sono di alto valore biologico (AVB), mentre quelle vegetali (cereali e de-rivati) sono di basso valore biologico (BVB); quelle della soia e dei legumi sonoa valore biologico più simile a quello delle carni. Il valore nutrizionale delle pro-teine è presentato nella tabella 18.2.

Mutua supplementazione proteicaLa qualità nutrizionale delle proteine a basso valore biologico può essere mi-gliorata dall’assunzione contemporanea (nello stesso pasto) di altre proteine chele completano o le supplementano. Infatti, la relativa deficienza o mancanza diun determinato aminoacido in una proteina può essere supplementata dalla pre-senza in quantità più che sufficienti dello stesso aminoacido in un’altra, con con-seguente miglioramento del valore biologico della proteina carente.

Le tradizioni alimentari di alcune regioni italiane, quali la cena a base di “caf-fellatte con pane” (nord) o il piatto unico di “pasta e fagioli” (sud) sono esempidi mutua supplementazione proteica: il consumo associato di pane (deficientein lisina) con latte (ricco in lisina), oppure di pasta (deficiente in lisina ma rela-tivamente ricca di metionina) con legumi (deficienti in metionina ma relativa-mente ricchi di lisina) permette di migliorare l’introito complessivo di aminoacidiessenziali e quindi la loro disponibilità per le sintesi proteiche.

FUNZIONI DELLE PROTEINE ALIMENTARI

Gli AA provenienti dalla digestione delle proteine alimentari sono utilizzati, dopol’assorbimento intestinale, come materiale plastico o energetico.

Funzione plasticaLa funzione fondamentale consiste nell’apporto di materiale per la sintesi dinuove proteine destinate a sostituire quelle catabolizzate giornalmente nell’a-dulto (quota di “mantenimento”) o a formare nuove cellule e nuovi tessuti nelsoggetto giovane (quota di “accrescimento”). Gli AA sono anche precursori dimolecole e di sostanze azotate di natura non proteica che svolgono importantifunzioni biologiche. Tra queste meritano di essere ricordate:

Proteine o protidi • CAPITOLO 18

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Alimenti Valore biologico Punteggio chimico/Indice aminoacidico

Uova 94 100Albume d’uovo 91 85Latte di mucca 90 78Caseina 70 73Carne di manzo/maiale 74-79 75-80Pesce 90 70Riso 67 80Legumi – 55-60Farina di frumento/pasta/pane 42 50-54Gelatina – 10

TABELLA 18.2 VALORE NUTRIZIONALE DELLE PROTEINE DI ALCUNI ALIMENTI

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• le basi puriniche e pirimidiniche costituenti gli acidi nucleici (DNA, RNA), de-rivate da aspartato, glutamina, glicina;

• l’acetilcolina (dalla metionina), la serotonina (dal triptofano), la dopamina e lecatecolamine (dalla tirosina), amine con svariate funzioni; principalmentesono neurotrasmettitori, mediatori chimici degli stimoli nervosi;

• l’istamina (dall’istidina), uno dei mediatori dei processi infiammatori;• la creatina, derivata da diversi AA, che fornisce sotto forma di creatinfosfato

l’energia per la contrazione muscolare;• l’ossido nitrico, derivato dall’arginina, che esplica molteplici funzioni nella

comunicazione cellulare, nella trasduzione dei segnali biologici e nella di-fesa immunitaria;

• la niacina o vitamina PP, derivata dal triptofano;• il glutatione (dagli aminoacidi solforati cisteina e glicina), importante per le

difese antiossidative cellulari.

Funzione energeticaLe proteine alimentari sono anche fonte energetica (1 g di proteina = 4 kcal).

Poiché l’organismo non può accumulare scorte proteiche o di AA, se con ladieta ne vengono introdotte in eccesso rispetto al fabbisogno plastico, costitui-scono una fonte utilizzabile di energia.

La quota eccedente di AA è quindi avviata verso la via ossidativa previa dea-minazione (distacco del radicale NH2). La catena carboniosa residua (chetoacido)è ossidata con produzione di energia (funzione energetica) oppure trasformatain composti di natura glucidica dai quali deriva glucosio (neoglicogenesi). Peresempio, dalla deaminazione dell’AA non essenziale alanina si ottiene acido pi-ruvico (alaninaÆpiruvato), che può essere ossidato o ritrasformato in glucosio.Il radicale NH2 derivato dal processo iniziale di deaminazione può essere utiliz-zato per la formazione degli altri aminoacidi (transaminazione). Altrimenti è con-vertito in urea a livello epatico ed eliminato con le urine.

BISOGNO DI PROTEINE NELL’UOMO E BILANCIO PROTEICO

L’organismo umano deve continuamente rinnovare le proprie strutture protei-che senza poter accumulare “scorte” di proteine. Ogni giorno dal catabolismodelle proteine derivano composti azotati (urea, creatinina ecc.) che vengono eli-minati con le urine, le feci, la cute, le diverse secrezioni organiche ecc.; tali per-dite devono essere sostituite e diviene pertanto necessario assumere con la dietai costituenti proteici (aminoacidi) in quantità adeguata.

Il bisogno proteico di un individuo è per definizione il livello più basso di pro-teine della dieta in grado di bilanciare le sue perdite di azoto corporee quando il biso-gno energetico è mantenuto a una ridotta attività fisica (bisogno di “mantenimento”).

Nell’età infanto-giovanile, in gravidanza e in allattamento, il bisogno pro-teico include quote aggiuntive per la sintesi di nuovi tessuti o per la secrezionedi latte (bisogno per l’“accrescimento”).

In linea generale, il bisogno proteico giornaliero dipende dai seguenti fattori:

1. massa corporea: variazioni della massa corporea (in assenza di obesità) de-terminano variazioni del bisogno proteico. Per questa ragione è razionaleesprimere il bisogno proteico in grammi di proteine per chilogrammo di pesocorporeo (g/kg). Il bisogno proteico è in relazione con la massa corporea equindi con il metabolismo di base del soggetto;

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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2. età e determinate situazioni fisiologiche: l’accrescimento somatico in etàinfanto-giovanile, la gravidanza e l’allattamento sono caratterizzati da unaumento delle sintesi proteiche e quindi da un aumento del bisogno proteico;

3. apporto energetico della dieta: poiché la sintesi di nuove proteine richiedeenergia, un apporto energetico sufficiente a soddisfare completamente il bi-sogno energetico del soggetto è l’indispensabile presupposto perché le pro-teine alimentari siano adibite a scopi “plastici”. In caso di apporto energeticoinsufficiente parte delle proteine alimentari sono utilizzate come fonte “ener-getica”; d’altra parte, una quota energetica più che sufficiente favorisce l’e-spletamento della funzione plastica anche con minori quantità di proteine;

4. qualità delle proteine alimentari: quanto maggiore è il contenuto in AA es-senziali di una proteina, tanto più elevata è la sua qualità nutrizionale e l’ef-ficienza con la quale può trasformarsi in materiale proteico dell’organismo.Il bisogno proteico può quindi essere soddisfatto da quantità minori di pro-teine se queste sono a valore biologico (NPU) molto elevato, mentre se leproteine sono a più basso valore biologico, ne sono necessarie quote supe-riori. Nell’alimentazione comune è opportuno pertanto valutare il valore bio-logico delle proteine degli alimenti abitualmente assunti: per la popolazioneitaliana il valore di NPU è di circa 79.

La valutazione del bisogno proteico individuale può essere effettuata calco-lando il bilancio tra entrate e uscite:

bilancio = entrate – uscite

Nel caso delle proteine, le “entrate” sono costituite dalle proteine degli alimen-ti e le “uscite” dall’azoto presente negli escreti (determinato con opportuni meto-di analitici). Poiché l’azoto caratterizza la struttura chimica delle proteine, il bi-lancio proteico è denominato anche bilancio di azoto (N). L’azoto costituisceil 16% in peso delle proteine; moltiplicando l’N degli alimenti o di altro materialebiologico per 6,25 (100:16 = 6,25) si ottiene la corrispondente quantità di proteine.

Tradurre il fabbisogno proteico in termini rigidamente numerici è comunquemolto difficile, sia per l’importanza degli effetti esercitati dall’apporto comples-sivo di energia con la dieta sia per i vari fattori che modificano l’utilizzazionedelle proteine (digeribilità, composizione in aminoacidi ecc.).

I valori dei bisogni in proteine raccomandati dai LARN (v. Cap. 26 “La dieta equi-librata o bilanciata”) sono stati ricavati dalle stime della quantità di proteine di altaqualità (proteine dell’uovo o del latte) necessaria a mantenere l’equilibrio dell’azo-to in presenza di un adeguato apporto di energia. I valori così ottenuti sono stati op-portunamente aumentati nel caso dei bisogni in proteine relativi alla crescita, allagestazione e all’allattamento. Tali valori sono sostanzialmente ancora i medesimiproposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1985, che ha ritenuto“introiti giornalieri sicuri” di proteine i valori riportati nella tabella 18.3. I dati sonoriferiti al consumo di proteine complessivamente di buona qualità e tengono contoanche delle variabilità individuali (per variabilità individuale si intende la differente ef-ficienza, pur sempre nell’ambito della “normalità”, di utilizzazione dei nutrienti).

Nelle società evolute (definite anche società affluenti) l’apporto proteico gior-naliero è solitamente superiore alle quantità raccomandate dalle Autorità Sani-tarie, senza che ne risultino danni alla salute grazie all’efficienza, in normali con-dizioni, dei sistemi di eliminazione delle scorie azotate (urea) prodotte in ec-cesso. È comunque prudente che gli apporti in proteine non oltrepassino il dop-pio del livello raccomandato.

Proteine o protidi • CAPITOLO 18

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In condizioni invece di riduzione degli apporti proteici, in particolare quandoquesti sono sensibilmente ridotti rispetto alle quote raccomandate, l’equilibriodel bilancio di azoto può essere mantenuto solo se le proteine contenute nelladieta sono di qualità elevata e se l’apporto energetico (kcal) è piuttosto gene-roso. L’importanza della qualità delle proteine è facilmente intuibile perché quelledi AVB forniscono, a parità di peso rispetto a quelle di qualità inferiore, una quan-tità superiore di aminoacidi essenziali, indispensabili per le sintesi proteiche.Quanto all’apporto energetico, si è dimostrato che, entro certi limiti, quanto piùelevata è la quantità di energia (kcal) introdotta con l’alimentazione, tanto piùbassa è la quantità di proteine necessaria per raggiungere e mantenere l’equili-brio del bilancio di azoto. Ciò dipende dal fatto che un’ampia disponibilità di car-boidrati nella dieta quale materiale energetico risparmia le proteine dall’andareincontro a ossidazione per soddisfare il bisogno energetico (effetto di risparmiosulle proteine).

FONTI ALIMENTARI PROTEICHE

Le “entrate” di azoto sono costituite dalle proteine contenute negli alimenti, siadi provenienza animale che vegetale; nei primi la concentrazione e la qualitàdelle proteine è in genere superiore a quella dei vegetali.

Classificando gli alimenti in funzione del rispettivo valore biologico proteico, ilprimo posto è occupato dalle uova e dal latte, seguono le carni/pesci e i formaggi,i legumi al terzo posto, e infine i cereali. Di seguito vengono riportate le principalicaratteristiche nutrizionali di alimenti considerati “buone fonti proteiche”.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Introito proteico giornalierog di proteine/kg di peso corporeo

Gruppi di età Livello di sicurezza Livello di sicurezza correttoper la qualità proteica*

Maschi Femmine Maschi Femmine

6-9 mesi 1,65 1,65 2,1 2,19-12 mesi 1,5 1,5 1,9 1,91-2 anni 1,2 1,2 1,5 1,52-3 anni 1,15 1,15 1,45 1,453-5 anni 1,1 1,1 1,35 1,355-12 anni 1,0 1,0 1,25 1,2512-14 anni 1,0 0,95 1,25 1,2014-16 anni 0,94 0,9 1,20 1,1016-18 anni 0,88 0,84 1,12 1,03Adulti 0,75 0,75 0,95 0,95Gravidanza + 6 g°Allattamento +17 g°

TABELLA 18.3 LIVELLI DI ASSUNZIONE RACCOMANDATA DI PROTEINE

* La qualità proteica è quella delle proteine mediamente consumate dalla popolazione italiana.° I valori per la gravidanza e per l’allattamento si intendono come supplemento in g/die di proteine nel periodo cor-rispondente.

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UovoL’uovo è un alimento di valore nutrizionale molto elevato. È costituito dall’al-bume (“bianco dell’uovo”), ricco in proteine e in sodio, e dal tuorlo (“giallo del-l’uovo”), ricco in grassi e colesterolo. Un uovo di gallina (poco più di 50 g) con-tiene circa 6 g di proteine e 4,5 g di lipidi, è ricco di minerali (sodio, calcio, fo-sforo) e di vitamine (A, B2) e ha un valore calorico di circa 65 kcal.

Latte e derivati

LatteIl latte è l’alimento che le diverse specie di mammiferi utilizzano per i propri pic-coli nei primi periodi della vita come unica e completa fonte di nutrienti. La suacomposizione, sia per la qualità che per la quantità delle proteine (così come pergli altri nutrienti), è specifica per ciascuna specie.

Per esempio, nel latte umano le proteine (circa 1 g per 100 ml) sono di altis-sima qualità, con elevato rapporto lattoglobuline (maggior VB)/caseina (minor VB);il latte vaccino, invece, contiene una maggior quota di proteine, circa 3,5 g/100ml, prevalentemente come caseina. Contiene inoltre circa 5 g di lattosio (disac-caride) e grassi (prevalentemente saturi), in quantità di 3,6 g se il latte è “intero”,1,5 g se è “parzialmente scremato” e inferiore a 0,5 g se è “magro o totalmentescremato”; l’apporto calorico è rispettivamente di 64 (intero), 46 (parzialmentescremato) e 36 (magro) kcal per 100 ml.

Fra i minerali presenti nel latte ricordiamo il calcio e il sodio (mentre il ferroè molto scarso) e, fra le vitamine, la vitamina B2 (riboflavina) e la vitamina A (li-posolubile), che però è persa in parte o totalmente con la scrematura del latte.

YogurtLo yogurt è derivato dalla fermentazione del latte per azione di particolari ceppidi microrganismi (lattobacilli). Lo yogurt “bianco” ha composizione e apportoenergetico sovrapponibili a quelli del latte da cui deriva (intero o magro), men-tre negli yogurt alla frutta o “arricchiti” con cereali, cacao, ecc. è in genere piùalto il contenuto glucidico (zuccheri) e quindi l’apporto calorico. Lo yogurt è piùdigeribile del latte, in quanto il lattosio per gran parte è idrolizzato (“digerito”)nel processo di fermentazione, influenza positivamente la flora batterica inte-stinale e, per la presenza di batteri lattici vivi (probiotici), è ritenuto in grado disvolgere effetti favorevoli sui processi immunitari, sul metabolismo del coleste-rolo e nella prevenzione della formazione di carcinogeni.

FormaggiPer legge, la denominazione di “formaggio” è riservata al prodotto che si ottienedal latte intero o scremato in seguito alla coagulazione acida o presamica (per ag-giunta di caglio, enzima ottenuto dallo stomaco dei vitelli), anche facendo uso di fer-menti o di sale da cucina.

Le tecniche di lavorazione e la stagionatura influenzano sensibilmente il con-tenuto proteico (e di lipidi): nei formaggi freschi da tavola (mozzarella, crescenza,robiola) e molli (taleggio, stracchino, camembert) il contenuto di proteine è pre-valentemente compreso tra 18 e 25 g/100 g, mentre è di 30 g/100 g o più neiformaggi duri (groviera, grana e parmigiano, caciocavallo).

La qualità delle proteine dei formaggi (prevalentemente caseina) è in genereinferiore a quella del latte di provenienza, in quanto le proteine del “siero di latte”(lattoalbumina, AVB) non precipitano nella cagliata.

Proteine o protidi • CAPITOLO 18

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Page 10: Scienza dell’alimentazioneitaly-s3-mhe-prod.s3-website-eu-west-1.amazonaws.com/...In natura esistono centinaia di aminoacidi, ma solo 20 sono coinvolti nella sintesi proteica. Anche

Le proteine, nel corso della maturazione di alcuni tipi di formaggi (per esem-pio, taleggio, gorgonzola, camembert) subiscono alcuni processi di degradazione(proteolisi), responsabili dei caratteristici aromi e gusto dei diversi tipi di for-maggio.

Anche il contenuto di grassi è sensibilmente influenzato dalla stagionatura edalle tecniche di lavorazione. Comunque sia, tutti i formaggi contengono quoteelevate di grassi (in prevalenza saturi), che spesso raggiungono e superano il 30%.Anche i formaggi freschi, considerati “magri”, hanno invece un contenuto lipidicopari o superiore al 20%: mozzarella 20%, feta 21%, caciottina fresca 21%, crescen-za 23%. Solo la ricotta di vacca, i fiocchi di latte magro e i formaggi che hanno ladenominazione legale “light” contengono una quota di grassi del 10-11% o meno.

Fra gli altri nutrienti presenti nei formaggi sono da segnalare il calcio e il so-dio (i formaggi sono in genere addizionati di sale), la vitamina A e alcune vita-mine del gruppo B (riboflavina o B2).

Ad eccezione della ricotta che, derivando dal siero di latte contiene ancheuna certa quota di lattosio, gli altri formaggi sono praticamente privi di glucidi.

Carni, pollame, pesceNelle diverse carni e/o pesci, freschi o conservati, il contenuto proteico (g/100 gdi alimento al netto degli scarti) varia in ragione inversa al contenuto in grassi ein acqua.

Nelle carni fresche, indipendentemente dall’origine (bovina, suina, pollameecc.), il contenuto di proteine è in media di 20 g/100 g, mentre nel pesce frescoè leggermente inferiore (13-18% circa).

Nelle carni e pesci conservati, specie in quelli che hanno subito un mag-gior processo di disidratazione (perdita di acqua), la concentrazione percentualedelle proteine aumenta e può superare anche il 30-35%: per esempio, la bresaolaben stagionata ne può contenere il 38-40%.

Come già riportato riguardo ai formaggi, anche nelle carni il contenuto ingrassi è molto variabile e dipende dalla specie animale, dal taglio e dalle moda-lità di allevamento: le carni fresche più magre contengono dall’1 al 5% di grassi,quelle più grasse, i salumi e gli insaccati oltre il 25-30%.

La qualità dei grassi è anch’essa diversa in relazione alla specie: le carni bo-vine e gli insaccati contengono grassi in prevalenza saturi; le carni suine di piùrecente selezione sono meno ricche di grassi saturi e più ricche di grassi mo-noinsaturi; il pollame, il coniglio e la selvaggina contengono invece maggioriquote di polinsaturi. Il pesce infine, specie quello più grasso (pesce azzurro: sgom-bro, sarde, tonno, pesce spada, salmone ecc.), è una buona fonte di grassi po-linsaturi della serie n-3 (v. Cap. 20 “Lipidi o grassi”).

Le frattaglie (fegato, rognone, cuore, cervello ecc.) sono molto ricche in co-lesterolo, vitamine e minerali. Le carni in genere sono buone fonti di ferro, po-tassio, sodio e di vitamine del gruppo B.

Soia e legumiNei semi secchi delle leguminose (ceci, fagioli, lenticchie, fave, piselli) il conte-nuto proteico è simile per quantità a quello della carne (20-22%), nella soia è ad-dirittura del 36%. Rispetto ai prodotti secchi, in quelli freschi (o conservati in sca-tola o surgelati) la quota proteica è circa un terzo (5-10%). Il valore biologicodelle proteine dei legumi è leggermente inferiore a quello delle carni; sono co-munque di buona qualità e le migliori tra quelle vegetali.

In Italia, nel corso degli anni, è progressivamente diminuito il consumo di le-gumi secchi, la cosiddetta “carne dei poveri”, nonostante siano alimenti di va-

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Proteine o protidi • CAPITOLO 18

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lore nutrizionale particolarmente elevato. Non solo sono ricchi di proteine, maanche di amido e fibra (v. Cap. 19 “Carboidrati o glucidi”) e contengono discretequantità di vitamine (gruppo B) e minerali (ferro e calcio).

Dai semi della soia (generalmente non consumati come tali) si possono ri-cavare dei “concentrati o isolati proteici” che, in seguito a particolari lavorazioni,possono essere utilizzati nell’industria alimentare per “arricchire” alimenti o perottenere sostituti vegetali delle carni (per esempio, hamburger di soia). Tra glialtri derivati della soia quali fonti di proteine ricordiamo il latte e il formaggio disoia (tofu).

Cereali e altri alimenti vegetaliIl contenuto proteico dei vegetali è molto vario: si passa da una concentrazionedi 1-2 g/100 g nella frutta fresca e in alcune verdure a foglia, a una concentra-zione di 7-11 g/100 g nei cereali e derivati (pane e prodotti da forno, pasta ecc.).Le proteine di questi ultimi hanno un valore biologico modesto, ma possono es-sere migliorate dall’abbinamento con le proteine dei legumi (pasta e fagioli, risoe piselli) o dei latticini (caffellatte con pane, pane e formaggio, pasta con par-migiano).

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

TURNOVER PROTEICO E BILANCIO DI AZOTO

CONDIZIONI FISIOLOGICHE E CLINICHE CARATTERIZZATEDA VARIAZIONI DEL BILANCIO PROTEICO

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INTRODUZIONE

I carboidrati o glucidi sono composti “ternari” in quanto costituiti da tre elementi:carbonio (C), idrogeno (H) e ossigeno (O). Sono i composti organici più abbon-danti in natura; da essi l’organismo animale ricava la maggior parte dell’ener-gia necessaria alla vita (nutrienti energetici). Possono essere suddivisi in:

• monosaccaridi, unità elementari, non più ulteriormente scomponibili peridrolisi;

• disaccaridi, formati da due molecole di monosaccaride unite insieme;• polisaccaridi, o carboidrati complessi, costituiti dall’unione di centinaia o

migliaia di unità elementari (monosaccaridi).

I monosaccaridi e i disaccaridi sono anche detti carboidrati o zuccheri sem-plici perché sono solubili in acqua, hanno gusto dolce e sono dotati di potereedulcorante (possono conferire gusto dolce ai cibi/bevande a cui sono addi-zionati).

I polisaccaridi alimentari si distinguono in disponibili e non disponibili. Unnutriente è “disponibile” quando, dopo la digestione, è assorbito dall’intestino:pertanto i polisaccaridi disponibili sono quelli completamente digeriti e assor-biti, mentre quelli non disponibili non sono digeriti dalle secrezioni digestiveumane né assorbiti dall’intestino e, quindi, non sono metabolicamente utilizzati;essi fanno parte della fibra alimentare o dietetica.

PRINCIPALI CARBOIDRATI ALIMENTARI

MonosaccaridiTra i principali monosaccaridi di interesse alimentare si ricordano gli esosi (mo-lecole a 6 atomi di C, o C6) qui di seguito indicati:

• il glucosio (aldoesoso): in natura, come monosaccaride, è presente nel miele,l’alimento che ne contiene in maggior concentrazione, e in quote modestenella frutta. È uno dei due monosaccaridi costituenti i disaccaridi ed è il prin-cipale componente dei polisaccaridi (amido). Il glucosio è lo “zucchero” pre-sente nel sangue (glicemia) ed è fonte di energia per le cellule dei nostri tes-suti;

11119999CARBOIDRATI O GLUCIDI

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• il fruttosio o levulosio (chetoesoso): anche il fruttosio è presente nel mielee in modeste concentrazioni nella frutta dove è variamente associato al glu-cosio e ad altri zuccheri. La fonte principale per l’uomo è comunque il sac-carosio; è il più dolce degli zuccheri;

• il galattosio: non si trova libero in natura ma è presente nel lattosio (zuc-chero del latte); nell’organismo umano partecipa alla formazione di galat-tosidi, importanti costituenti del tessuto nervoso.

Altri monosaccaridi da ricordare sono i pentosi (C5) ribosio e desossiribo-sio, costituenti gli acidi nucleici, poco rappresentati negli alimenti naturali masintetizzati dai tessuti.

Tra i monosaccaridi si includono anche i polialcol-zuccheri quali il sorbi-tolo e il mannitolo (C6) e lo xilitolo (C5), composti dotati di potere edulcorantee quindi utilizzati in un numero crescente di alimenti ipocalorici o acariogeni(caramelle, gomme da masticare), dove sostituiscono in tutto o in parte gli zuc-cheri disponibili.

DisaccaridiI principali disaccaridi di interesse alimentare sono:

• il saccarosio (glucosio + fruttosio): è lo “zucchero” per eccellenza, il piùrappresentato nella dieta umana, comunemente utilizzato per addolcire cibi,bevande e per preparare dolciumi. In seguito a idrolisi chimica si liberano idue monosaccaridi costituenti in proporzione quasi uguale (50% circa di glu-cosio e 50% di fruttosio): tale miscela è chiamata zucchero invertito o in-vertosio (nel miele);

• il lattosio (glucosio + galattosio): è l’unico zucchero di provenienza anima-le in quanto presente nel latte di tutti i mammiferi in concentrazione varia-bile a seconda della specie. Il latte vaccino ne contiene 5 g/100 ml, mentrenel latte di donna raggiunge i 7 g. Di potere edulcorante limitato (poco solu-bile e poco dolce), è facilmente fermentabile dalla flora batterica intestinale;

• il maltosio (glucosio + glucosio): come tale non è presente in prodotti na-turali, ma è un prodotto intermedio dell’idrolisi dell’amido; si forma per atti-vità enzimatica nei processi digestivi e nella fabbricazione della birra.

PolisaccaridiTra i polisaccaridi il principale è l’amido. L’amido (polimero del glucosio) è, nelladieta del soggetto adulto sano, la principale fonte di carboidrati disponibili al-l’assorbimento e utilizzabili dal metabolismo cellulare.

Costituisce il deposito energetico dei vegetali ed è localizzato nei semi deicereali e dei legumi, nelle radici e nei tuberi (per esempio, patata), dove si pre-senta in granuli di forma e caratteristiche diverse a seconda della specie vege-tale.

I granuli di amido sono formati, in proporzioni variabili da vegetale a vege-tale, da due componenti: amilosio (catena lineare di centinaia di unità di glu-cosio) e amilopectine (catene ramificate di unità di glucosio). Nell’amido il le-game che unisce una molecola di glucosio all’altra è di tipo “alfa-glucosidico”,riconosciuto e scisso dall’alfa-amilasi salivare e pancreatica. A crudo la dige-stione enzimatica dell’amido è un processo lento e difficoltoso e quindi la suautilizzazione come sostanza nutritiva presuppone la cottura dell’alimento. Unapercentuale limitata di amido può comunque non essere assimilata, e viene de-finita amido resistente.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Altri polisaccaridi da menzionare comprendono:

• le destrine (polimeri del glucosio): sono prodotti intermedi derivati da unaparziale idrolisi chimica o enzimatica dell’amido; meglio digeribili è più so-lubili dell’amido, le destrine sono utilizzate dall’industria per la preparazionedi prodotti alimentari e dietetici;

• il glicogeno (polimero del glucosio): polisaccaride di riserva dei tessuti ani-mali, è una molecola a catena ramificata presente principalmente nel fegatoe nel muscolo (“amido animale”). Il contenuto in glicogeno delle carni usatea scopo alimentare è trascurabile, in quanto, dopo la macellazione dell’ani-male, si trasforma in acido lattico.

FUNZIONI DEI CARBOIDRATI

Funzione energeticaLa funzione fondamentale dei carboidrati è quella di fornire energia: 1 g di car-boidrati dà 4 kcal; 1 g di glucosio (o altri monosaccaridi) 3,75 kcal.

Il glucosio può essere utilizzato dalle cellule di tutti i tessuti, ma è essenzialeper il cervello e i globuli rossi. In mancanza di glucosio l’organismo è in gradodi produrlo a partire dagli aminoacidi delle proteine e dal glicerolo presente neitrigliceridi (neoglicogenesi).

Il glucosio in eccesso dà tuttavia luogo alla produzione di trigliceridi che sidepositano nel tessuto adiposo. Ricordiamo che dai carboidrati si possono sinte-tizzare lipidi, ma dai lipidi non si possono produrre carboidrati.

Funzione plasticaI carboidrati forniscono materiale per la sintesi di composti strutturali e funzionaliindispensabili come le nucleoproteine (DNA e RNA), le mucoproteine e i glicolipidi.

Funzioni regolatorie

Effetto di risparmio sulle proteineLa produzione di glucosio a partire dagli aminoacidi (neoglicogenesi) è annul-lata quando l’organismo ha a disposizione glucosio proveniente dagli alimenti(amido, saccarosio). Un’alimentazione ricca in carboidrati consente un rispar-mio della quota di proteine perché esse possono essere meglio utilizzate per lasintesi di proteine corporee (funzione plastica delle proteine).

Effetto antichetogenoIl normale svolgimento del metabolismo lipidico richiede la presenza di carbo-idrati: se l’ossidazione dei grassi avviene in condizioni di carenza di carboidrati,si ha la formazione di corpi chetonici (acido acetacetico, acido betaidrossibutir-rico, acetone). Lo stato che ne consegue è denominato chetosi. Si può osservarenel bambino con processi febbrili, nel corso di diete carenti di carboidrati, neldigiuno e nel diabete mellito, e può dar luogo ad acidosi (chetoacidosi).

Gli “zuccheri” hanno infine anche una funzione organolettica, in quanto de-positari del gusto dolce.

***

Altre tipologie di carboidrati presenti nella dieta italiana e in grado di rag-giungere il colon senza essere digeriti dalle secrezioni umane, sono frazioni di

Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19

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amido resistente associate ad alcuni alimenti amidacei, oligosaccaridi non di-geribili presenti in particolare nelle leguminose e in alcune verdure, e i prodotticontenenti polialcoli sia di derivazione naturale che aggiunti come dolcificantiipocalorici (introito complessivo stimato: 7-10 g/die). È possibile che alcune diqueste sostanze possiedano la capacità di stimolare una microflora probioticacontribuendo quindi, con la fibra alimentare, a migliorare l’ecosistema intesti-nale. Va tuttavia ricordato che, se consumati in dosi eccessive, oligosaccaridi epolialcoli rapidamente fermentescibili possono provocare disturbi intestinali,quali distensione addominale per produzione di gas e diarrea.

FIBRA ALIMENTARE O DIETETICA

Con la denominazione “fibra alimentare o dietetica” si definisce l’insieme dellesostanze presenti nel vegetale non digerite dalle secrezioni digestive umane.

Comprende una serie di polisaccaridi composti da glucosio e da altri mo-nosaccaridi diversi (mannosio, galattosio, xilosio, arabinosio, ramnosio, acidiglucuronico e galatturonico):

• cellulosa, e• polisaccaridi non cellulosici (PNC): emicellulose, pectine, gomme e mucil-

lagini.

Altra sostanza appartenente alla “fibra”, ma non di natura glucidica (non èun polisaccaride), è la lignina.

Caratteristica comune a tutti questi composti è quindi la non “disponibilità”in quanto non digeriti dalle secrezioni digestive e quindi non assorbiti. Tuttavianel colon, a opera della flora batterica intestinale, molti di questi composti vannoincontro a degradazione (fermentazione) con produzione di gas (idrogeno, me-tano, anidride carbonica) e acidi grassi a catena corta (acido acetico, propio-nico, butirrico).

CellulosaÈ il composto organico più abbondante in natura. La cellulosa è formata da ca-tene lineari di migliaia di molecole di glucosio, unite tra loro con legame “beta-glucosidico” non riconosciuto (e quindi non scisso) dalle amilasi salivare e pan-creatica. Proprietà fondamentale della cellulosa è la capacità di assorbire acqua,aumentando di volume (“idrofilia”); da questa proprietà dipendono i principalieffetti sulla funzionalità gastroenterica.

Polisaccaridi non cellulosici (PNC)

EmicelluloseSono una numerosa serie di polisaccaridi complessi costituiti da catene linearie ramificate di pentosi (C5), esosi (C6) e acido glucuronico. La loro principaleproprietà è di assorbire acqua, ancor più spiccata rispetto alla cellulosa.

Pectine, gomme e mucillaginiFanno parte dei polisaccaridi non strutturali del vegetale dislocati negli spazi in-tercellulari e interlamellari del vegetale. Sono presenti nei frutti (pectine) e/o neisemi (mucillagini) dove svolgono funzioni anti-essiccamento; le gomme sonoessudati con funzioni protettive che scaturiscono da lesioni del vegetale. Sono

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molecole complesse costituite da polimeri ramificati di acidi uronici e accomu-nati dalla proprietà di legare acqua formando “gel” (rendono di consistenza ge-latinosa i liquidi a cui sono addizionate).

Oligosaccaridi non digeribiliSono polimeri glucidici di minor peso molecolare, solubili in acqua; includonol’inulina, gli oligosaccaridi della soia e i fruttooligosaccaridi (FOS).

LigninaLa lignina non è un polisaccaride ma è un polimero del fenilpropano; situatanelle pareti del vegetale ne aumenta notevolmente la consistenza e la durezza(consistenza del legno). È altamente insolubile in acqua, resistente alla fermen-tazione e la sua presenza nella fibra inibisce la fermentazione degli altri com-ponenti.

***

In generale, a seconda della loro solubilità in ambiente acquoso, i componentidella fibra si suddividono in due categorie:

1. fibre solubili, che includono pectine, gomme, mucillagini, oligosaccaridi nondigeribili e parte delle emicellulose;

2. fibre insolubili, che comprendono principalmente la lignina, la cellulosa ele emicellulose a basso grado di ramificazione.

In linea di massima le fibre solubili sono anche quelle più degradabili (fer-mentescibili) e viscose, anche se vi sono delle eccezioni. Per esempio, l’inulina(fruttooligosaccaride estratto dalla radice della cicoria) è molto solubile ed ec-cezionalmente fermentescibile, ma poco o per nulla viscosa; lo psyllio (mucilla-gine contenuta nei semi di Plantago Psyllium) è invece solubile e molto viscoso,ma scarsamente fermentescibile.

Il contenuto in fibra di alcuni alimenti è riportato nella tabella 19.1.

Effetti fisiologici della fibraLa fibra alimentare, per gli effetti di tipo funzionale e metabolico che produce, èun importante componente della dieta umana.

Cellulosa ed emicellulose sono fibre insolubili in acqua, che hanno però lacapacità di assorbire e trattenere acqua con conseguente aumento della loro massa;di conseguenza aumentano la massa fecale e in particolare il suo contenutoidrico, accelerano la velocità di transito gastrointestinale e riducono le pressioniendoluminali a livello del colon. L’insieme di questi effetti migliora la funzio-nalità intestinale ed esercita un’azione preventiva sulla patologia stipsi-corre-lata (diverticolosi, colite spastica, emorroidi ecc.), come dimostrato anche da in-dagini epidemiologiche condotte su popolazioni con consumi differenti di fibraalimentare. Se assunte con adeguate quantità di acqua in modo da favorirne l’i-dratazione, queste fibre determinano anche una maggiore sensazione di ripie-nezza gastrica con aumento del senso di sazietà.

I componenti della fibra solubile in acqua (pectine, gomme, mucillagini) for-mano invece dei gel, con i quali si ottiene una diminuzione della velocità di as-sorbimento dei substrati provenienti dalla digestione degli alimenti (glucosio,acidi grassi) con conseguente diminuzione delle risposte endocrino-metabo-liche (aumento della glicemia e dell’insulinemia) postprandiali.

Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19

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Nell’intestino crasso la fermentazione delle fibre solubili porta alla produ-zione di acidi grassi a corta catena e provoca una diminuzione del pH intralumi-nale (acidificazione). Gli acidi grassi a corta catena svolgono effetti “trofici” sullecellule della mucosa intestinale, per le quali sono fonte di energia, e sembranoanche influenzare positivamente il metabolismo glucidico e la produzione epa-tica di colesterolo.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Alimento Fibra solubile Fibra insolubile Fibra totale

g/100 g di sostanza edibile

Cereali e derivatiFarina bianca tipo 00 0,84 1,41 2,2Farina integrale 1,92 6,52 8,4Crusca 1,31 41,13 42,4Pane bianco 1,46 1,72 3,2Pane integrale 1,15 5,36 6,5Fiocchi d’avena 3,30 4,99 8,3

LegumiFagioli borlotti secchi 1,54 15,71 17,3Fagioli borlotti freschi 0,91 3,93 4,8Piselli freschi 0,45 5,80 6,3

VerdureBroccolo, bollito 0,84 2,42 3,3Carciofi, freschi, bolliti 4,68 3,17 7,9Carote crude 0,41 2,70 3,1Cicoria di campo, bollita 1,12 2,43 3,6Cipolle crude 0,16 0,88 1,0Funghi prataioli, crudi 0,11 2,14 2,3Lattuga 0,13 1,33 1,5Patate, crude 0,71 0,85 1,6Pomodoro, da insalata 0,24 0,77 1,0Spinaci, bolliti 0,42 1,64 2,1

FruttaBanana 0,62 1,19 1,8Fragola 0,45 1,13 1,6Mela, con buccia 0,73 1,84 2,6Pera, senza buccia 1,29 2,56 3,8Uva bianca 0,16 1,20 1,4

Frutta secca/farinosa/oleosaArachidi 1,03 9,89 10,9Castagne 0,37 4,33 4,70Datteri, secchi 1,24 7,49 8,70Fichi secchi 1,94 11,01 13,0Noci 0,84 5,37 6,20

TABELLA 19.1 CONTENUTO IN FIBRA SOLUBILE, INSOLUBILE E TOTALEDI ALCUNI ALIMENTI*

* Tabelle di composizione degli alimenti. Fonte: INRAN, 2000.

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Anche la capacità di pectine, mucillagini e lignina di legarsi agli acidi biliari,riducendone il riassorbimento enterico, influenza favorevolmente il tasso pla-smatico del colesterolo.

Grazie a questi “effetti metabolici” un’alimentazione ricca di fibra è statamessa in relazione alla riduzione del rischio per importanti malattie cronico-de-generative, in particolare i tumori al colon-retto (in parte spiegata anche dalladiluizione di eventuali sostanze cancerogene e dalla riduzione del loro tempo dicontatto con la mucosa), il diabete e le malattie cardiovascolari (in parte per unariduzione dei livelli ematici di colesterolo).

Effetti meno positivi della fibra riguardano la possibilità che alcuni suoi compo-nenti riducano la “disponibilità” per l’assorbimento intestinale di vitamine, mine-rali ed elementi traccia (calcio, ferro, zinco, magnesio). Per contro, dati più recen-ti indicano che le componenti solubili della fibra, in particolare gli oligosaccaridinon digeribili (FOS) sono in grado di migliorare la biodisponibilità per l’assorbimen-to intestinale di calcio e magnesio, attraverso modifiche favorevoli della tipolo-gia della flora batterica intestinale e del pH endoluminale (effetto prebiotico).

BISOGNO DI CARBOIDRATI E DI FIBRA

Per i carboidrati, a differenza delle proteine, non vi è alcuna indicazione di unbisogno nutrizionale quantitativamente precisato. Sul piano epidemiologico,le variazioni dell’apporto alimentare di carboidrati nelle diverse popolazionisono molto ampie: dal 70% e oltre della quota calorica giornaliera a quote mi-nime. D’altra parte, è stato dimostrato che è sufficiente una quantità modestadi carboidrati per limitare i processi di neoglicogenesi, riducendo sensibil-mente la produzione di corpi chetonici. Tale quantità è all’incirca di 70-100 gal giorno.

Le raccomandazioni ufficiali suggeriscono che la quota di carboidrati in un’ali-mentazione normocalorica non debba scendere al di sotto del 50% delle kilocalorietotali giornaliere. Questa quota dev’essere prevalentemente costituita da “car-boidrati complessi”, in modo di favorire l’introduzione simultanea di fibra (ap-porto consigliato: 30-35 g al giorno; 15 g/1000 kcal) e di limitare l’apporto digrassi a una quota non superiore al 30% delle kilocalorie totali. Infine, il con-sumo dei cosiddetti “zuccheri semplici” non dovrebbe superare il 10-12% del va-lore energetico della dieta.

FONTI ALIMENTARI DI CARBOIDRATI

Cereali e derivatiI cereali e i loro derivati sono la principale fonte energetica dell’uomo. I più uti-lizzati sono i semi di frumento, riso, mais, orzo, avena e segale, che possono es-sere consumati come tali (previa lavorazione e cottura) oppure sottoposti a ma-cinazione per ricavarne farine ricche di amido e con un discreto contenuto pro-teico. Le farine “integrali” (ottenute dalla macinazione del seme “integro”, nonprivato delle cuticole esterne) sono più ricche di fibra, vitamine e minerali ri-spetto alle farine “raffinate”.

La farina di frumento è di gran lunga la più utilizzata. Impiegata sia per lapreparazione di diverse varietà di pasta, è anche la farina con la quale si ottieneil pane e la maggior parte dei cosiddetti “prodotti da forno”: grissini, cracker, fettebiscottate, biscotti, merendine, dolci ecc.; infatti contiene glutine, la proteina ne-

Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19

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cessaria per la “panificazione”, perché in grado di conferire elasticità all’impa-sto farina/acqua e quindi di permetterne la lievitazione. Il valore nutrizionale diquesti cibi dipende, oltre che dalla composizione degli sfarinati di partenza, daeventuali altri ingredienti aggiunti (grassi, zuccheri ecc.) e dal loro contenuto inacqua. I prodotti più secchi e addizionati di grassi (per esempio, cracker e gris-sini), sono, a parità di peso, più calorici del pane comune.

Le farine di riso e di mais, non contenendo glutine non sono utilizzabili perla panificazione. Del riso generalmente viene consumato il chicco intero (risotti)e la farina di mais è utilizzata per la preparazione della polenta. Le farine di que-sti cereali, così come quelle ottenute dall’avena e dalla segale, possono esseremiscelate a quella di frumento per ottenere pani speciali.

Tra gli altri prodotti derivati dai cereali ricordiamo i fiocchi di avena o di mais(corn-flakes), i pop-corn (dal seme di mais), le “pappe” per la prima infanzia.

Il valore nutrizionale dei diversi cereali e dei loro sfarinati è del tutto similetra loro.

LegumiI legumi sono i semi commestibili di alcune leguminose. Quelli maggiormenteconsumati sono: fagioli, piselli, ceci, lenticchie, fave. Oltre a essere una buonafonte di proteine (v. Cap. 18 “Proteine o protidi”), sono ricchi in amido e in fibra.Tra i carboidrati non disponibili, alcuni oligosaccaridi presenti in discrete quan-tità (verbascoso, stachioso) e frazioni di amido resistente sono ritenuti responsa-bili della flatulenza. L’azione ipocolesterolemizzante è attribuita alla presenzadi sostanze peptiche e saponine.

TuberiIl tubero più utilizzato nell’alimentazione umana è la patata che, per l’elevatocontenuto in amido (18% circa), è un sostituto di altri alimenti amilacei (pane,pasta, riso ecc.). Dalla patata per estrazione dell’amido si ottiene la fecola, va-riamente utilizzata in pasticceria e nell’industria alimentare. Modesto è il suocontenuto in proteine e grassi, così come di vitamine e minerali, a eccezione delpotassio e della vitamina C (che però è per gran parte persa durante la conser-vazione e la cottura).

Verdure e ortaggiGli ortaggi che entrano nell’alimentazione umana sono numerosissimi; le di-verse parti commestibili (foglie, frutti, infiorescenze, germogli, radici ecc.) sonoricche di acqua e fonte principalmente di fibra, di alcune vitamine (A e C), di mi-nerali (potassio, ferro, calcio) e di fitocomposti a effetto antiossidante. Il conte-nuto in carboidrati disponibili risulta piuttosto ridotto, e trascurabile è l’apportodi grassi e proteine.

FruttaLe diverse varietà di frutta possono essere distinte in: frutta polposa (per esem-pio, mele, pesche, arance ecc.), farinosa (per esempio, castagne), oleosa (peresempio, noci, nocciole, mandorle ecc.); tutte queste varietà di frutta possonoessere consumate sia fresche che essiccate (per esempio, prugne, albicocche, noci,arachidi ecc.).

Nella frutta polposa il contenuto in carboidrati è costituito prevalentementeda zuccheri (mono-disaccaridi) in misura variabile dal 4-5 al 13-18%, a secondadel tipo di frutta. Trascurabile è il contenuto proteico e lipidico; tra i minerali ri-cordiamo il potassio (K) e tra le vitamine la A e la C.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Nella frutta farinosa il contenuto glucidico (amido) è ben più rilevante (38%circa); la frutta oleosa, invece, è prevalentemente fonte di grassi, proteine, cal-cio e fibra.

Zuccheri e dolciumiLo zucchero bianco è il saccarosio estratto dalla canna o dalla barbabietola dazucchero, purificato e cristallizzato. Comunemente utilizzato come dolcificantedi cibi e bevande, è una fonte calorica concentrata in poco volume e di rapidis-sima utilizzazione.

Il miele, prodotto dalle api per metabolizzazione del nettare dei fiori, è co-stituito principalmente da invertosio (miscela di glucosio e fruttosio in parti eguali);contiene anche saccarosio e acqua e modeste quantità di vitamine e minerali.

Le marmellate, le conserve di frutta, i succhi di frutta, e le bibite sonoprincipalmente fonte di zuccheri semplici a concentrazione variabile dal 10%(succhi/bibite) a oltre il 60% (marmellate).

Il valore nutrizionale dei dolciumi (gelati, cioccolato, torte, paste ecc.) è estre-mamente variabile in relazione alla quantità e qualità degli elementi base cheentrano nella loro preparazione (per esempio, uova, burro, farina, nocciole, zuc-chero, cacao, liquori ecc.).

Ricordiamo comunque che l’elevato valore energetico (calorico) dei dolciumi èdipendente, più che dal contenuto in zuccheri e amido, dal loro contenuto in grassi.

***

Il contenuto in carboidrati dei principali alimenti è riportato nella tabella 19.2.

Carboidrati o glucidi • CAPITOLO 19

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Alimento g/100 gdi sostanza

edibile

Pane, grissini, cracker 65-80Farina, pasta, riso 78-87Piselli, fagioli freschi 10-20Legumi secchi (fagioli, ceci, lenticchie) 45-50Patate 18Frutta poco zuccherina (fragole, cocomero, pompelmo, melone, ribes) 5-7Frutta a discreto contenuto zuccherino (arance, ciliegie, albicocche, mele, pere) 8-12Frutta ad alto contenuto zuccherino (banane, cachi, fichi, uva) 13-20Verdure, ortaggi 2-8

TABELLA 19.2 CONTENUTO IN CARBOIDRATI DISPONIBILI DI ALCUNI ALIMENTI

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FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

REGOLAZIONE DELLA GLICEMIA – IL DIGIUNO

EDULCORANTI

Le sostanze che hanno la proprietà di addolcire bevande o altri alimenti pos-sono essere distinte in edulcoranti naturali (presenti in natura) o sintetici (pre-parati per sintesi chimica). La Food and Drug Administration statunitense pre-ferisce utilizzare il termine carboidrati dolcificanti per una serie di sostanze dolciglucidiche (saccarosio, zucchero invertito, prodotti di idrolisi dell’amido, miele,sciroppi commestibili) ed edulcoranti intensivi per saccarina, ciclammato e aspar-tame.

Tra gli edulcoranti naturali, oltre al saccarosio che è lo zucchero di riferi-mento per valutare il potere dolcificante delle altre sostanze, si devono men-zionare:

• il fruttosio, con potere dolcificante 1,7-1,8 volte quello del saccarosio;• i polialcol-zuccheri: sorbitolo e mannitolo, con potere edulcorante inferiore

a quelli del saccarosio, e xilitolo. Il potere calorico dei polialcol-zuccheri è inmedia di 2,4 kcal/g.

Caratteristica comune a queste sostanze è il metabolismo a livello epatico,indipendente dalla presenza di insulina. Per questa ragione sono proposti comesostituti del saccarosio nell’alimentazione del diabetico; tuttavia il loro impiegodev’essere limitato e controllato perché possono favorire l’evoluzione di alcunecomplicanze del diabete (neuropatia, aterosclerosi).

Tra gli edulcoranti sintetici meritano menzione:

• la saccarina: è il primo edulcorante sintetico privo di potere calorico, usatodai diabetici da quasi un secolo. Ha un potere edulcorante 300-400 volte su-periore a quello del saccarosio. I possibili effetti cancerogeni (neoplasie ve-scicali) e teratogeni (danni all’embrione) già prospettati in passato sono statiritenuti superati con i moderni processi di sintesi. L’OMS consiglia di non su-perare la dose giornaliera di 5 mg/kg di peso per l’adulto, con l’esclusionedelle gravide e dei bambini fino a 3 anni di età (salvo i casi di provata ne-cessità come il diabete);

• l’aspartame: è una sostanza di sintesi, composta dall’associazione di dueaminoacidi naturali. Ha un potere calorico di 4 kcal/g ma, poiché la sua ca-pacità edulcorante è 200-300 volte superiore a quella del saccarosio, l’ap-porto calorico è da considerare trascurabile;

• l’acesulfame K: resistente ai trattamenti termici, non è metabolizzato dal-l’organismo (escreto tal quale nelle urine), ha un potere edulcorante 130-200volte più elevato del saccarosio.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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INTRODUZIONE

I lipidi o grassi comprendono una serie di composti eterogenei accomunati dallaproprietà di essere insolubili in acqua ma solubili in alcuni solventi organici (eta-nolo, etere etilico, cloroformio ecc.).

I più interessanti ai fini nutrizionali sono:

• trigliceridi: formati da glicerolo e acidi grassi, costituiscono oltre il 95% dellaquota lipidica alimentare;

• fosfolipidi: tra questi, i composti più semplici sono le “lecitine” (trigliceridiesterificati con acido fosforico), che costituiscono l’1-2% della quota lipidicaalimentare;

• steroli: composti a struttura policiclica; il più importante di questo gruppo èil colesterolo;

• vitamine liposolubili: retinolo (vitamina A), calciferolo (vitamina D), toco-feroli (vitamina E), fillochinone (vitamina K).

Dal punto di vista biologico-funzionale, i lipidi si possono distinguere anche in:

1. lipidi di deposito, costituiti prevalentemente da trigliceridi che si accumu-lano in particolari siti dei tessuti animali e vegetali e costituiscono un’im-portante riserva energetica e fonte di nutrienti essenziali;

2. lipidi strutturali, costituiti prevalentemente da fosfolipidi e steroli che hannoun ruolo fondamentale nella costituzione delle membrane cellulari e di strut-ture nervose.

PRINCIPALI LIPIDI ALIMENTARI

TrigliceridiChiamati anche grassi neutri, i trigliceridi chimicamente sono il prodotto del-l’esterificazione dei tre gruppi alcolici del glicerolo (polialcol a tre atomi di C) conil carbossile (—COOH) degli acidi grassi.

Quando l’esterificazione è limitata a uno o due gruppi si ottengono rispetti-vamente i monogliceridi e i digliceridi (Fig. 20.1).

22220000LIPIDI O GRASSI

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Acidi grassiGli acidi grassi sono costituiti da una catena lineare di atomi di C (in genere innumero pari) di lunghezza variabile da 4 a 30 (C4-C30), alla cui estremità si trovaun gruppo carbossilico (–COOH).

Gli acidi grassi si distinguono in funzione della lunghezza della catena carbo-niosa e del grado di saturazione.

Lunghezza della catena carboniosa degli acidi grassiSi distinguono:

• acidi grassi a catena breve (fino a C4);• acidi grassi a catena media (C6-C12);• acidi grassi a catena lunga (superiore a C12).

Gli acidi grassi a catena media (MCFA, medium chain fatty acids) e i trigliceridida essi formati (MCT, medium chain triglycerides) hanno caratteristiche fisiche, mec-canismi di assorbimento intestinale, di trasporto e destino metabolico differentidai trigliceridi costituiti da acidi grassi a catena lunga (LCT, long chain triglycerides).

La digestione dei trigliceridi a catena media non richiede bile per l’emulsio-namento e si completa in presenza di minime concentrazioni di lipasi pancrea-tica. Gli acidi grassi a catena media sono trasportati dall’enterocita per via por-tale al fegato ove sono ossidati (1 g di MCT fornisce 8,3 kcal).

Grado di saturazione degli acidi grassiSi distinguono:

• acidi grassi saturi: gli atomi di C della catena carboniosa sono legati da unlegame chimico singolo:

.....CH2 —CH2 —CH2 —CH2 ......

• acidi grassi insaturi: monoinsaturi e polinsaturi. Hanno rispettivamenteuno o più doppi legami tra due atomi di C contigui nella catena carboniosa(punto di insaturazione):

...CH2 —CH == CH —CH2 ....

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

346

Figura 20.1 Schema della struttura molecolare di trigliceridi, digliceridi e monogliceridi.

G

L

I

C

E

R

O

L

O

TRIGLICERIDE DIGLICERIDE MONOGLICERIDE

C

C Ac. grasso

C Ac. grasso

C Ac. grasso

C Ac. grasso

C Ac. grasso

C

C

C Ac. grasso

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Il grado di saturazione (numero di doppi legami), la lunghezza della catena car-boniosa, l’isomeria di posizione e geometrica condizionano le proprietà nutrizio-nali, fisiche e biologiche dei lipidi. Va ricordato che all’aumentare del numero deidoppi legami si abbassa il punto di fusione e aumenta la suscettibilità del grasso asubire alterazioni per azione del calore, aria e luce e ai fenomeni perossidativi.

I più importanti acidi grassi saturi sono gli acidi palmitico (C16) e stearico(C18). Sono prevalentemente presenti nei grassi di provenienza animale (solidi atemperatura ambiente), sono più stabili agli agenti fisici e tendono a innalzare ilivelli del colesterolo nel sangue (azione aterogena).

Gli acidi grassi insaturi sono principalmente presenti negli oli e grassi di ori-gine vegetale (fluidi a temperatura ambiente) e possono più facilmente esseresoggetti ad alterazioni. In relazione alla localizzazione del primo doppio legamea partire dal C terminale della catena, sono distinti in tre famiglie:

• famiglia o serie n-9: il principale rappresentante è l’acido oleico C18 mo-noinsaturo, largamente rappresentato in natura; è il costituente di gran partedei trigliceridi dell’olio di oliva;

• famiglia o serie n-6: il rappresentante è l’acido linoleico C18, 2 doppi legami,polinsaturo; è contenuto in vari oli vegetali;

• famiglia o serie n-3: il rappresentante è l’acido linolenico C18, 3 doppi le-gami, polinsaturo; è presente nell’olio di soia e nel germe di grano.

ACIDI GRASSI ESSENZIALI L’organismo, quando necessario, è in grado di sintetiz-zare tutti gli acidi saturi e monoinsaturi, ma non gli acidi grassi polinsaturi lino-leico e linolenico, che pertanto sono definiti acidi grassi essenziali. L’uomo deveassumere con gli alimenti un adeguato apporto di acidi grassi essenziali per evi-tare manifestazioni di carenza (rallentamento della velocità di crescita e altera-zioni cutanee, segnalati nel lattante, alterazioni renali, aumentata fragilità deiglobuli rossi, diminuita resistenza alle infezioni).

DERIVATI DEGLI ACIDI GRASSI ESSENZIALI Dall’acido linoleico e linolenico derivanodegli omologhi superiori (a catena più lunga e con un più elevato numero didoppi legami) come l’acido arachidonico (C20 derivato dalla serie n-6) e gli acidieicosapentaenoico (EPA, C20 della serie n-3) e docosaesanoico (DHA, C22 dellaserie n-3). Essi, insieme ai rispettivi precursori, svolgono funzioni di stabilizza-zione delle biomembrane cellulari e producono una serie di sostanze, denomi-nate nell’insieme eicosanoidi (prostaglandine, trombossani, prostacicline e leu-cotrieni) che esercitano importanti effetti di regolazione sulla circolazione san-guigna, sulla coagulazione del sangue e sul sistema immunitario.

SteroliIl colesterolo, alcol superiore a struttura ciclica, è il più importante degli sterolied è presente esclusivamente negli alimenti di origine animale.

Nelle sostanze di origine vegetale possono essere presenti altri tipi di steroli(fitosteroli).

Il colesterolo è un normale costituente delle membrane cellulari, dove con-tribuisce a regolare la permeabilità e la fluidità. Da esso derivano gli acidi biliarie gli ormoni steroidei (corticosteroidi, mineralcorticoidi e ormoni sessuali); è inol-tre il precursore del 7-deidrocolesterolo a partire dal quale si produce la vitaminaD per effetto dei raggi solari ultravioletti.

Oltre agli apporti con l’alimentazione, una certa quota di colesterolo è sin-tetizzata dall’organismo umano a partire da acetil-CoA, ed è regolata dagli en-zimi idrossimetilglutaril-CoA sintetasi e squalene sintetasi.

Lipidi o grassi • CAPITOLO 20

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Altri lipidiAltri lipidi di importanza più funzionale e strutturale che nutrizionale sono:

• i fosfolipidi, a cui appartengono le lecitine, che, grazie alla loro azione emulsio-nante, sono impiegate nella preparazione di diversi prodotti alimentari. I fosfoli-pidi presenti nella bile e nei fluidi corporei partecipano al trasporto di altri lipidimeno polari (una minore polarità corrisponde a una minore solubilità in acqua);

• i glicolipidi, importanti costituenti, insieme ai fosfolipidi (sfingomieline), delleguaine mieliniche delle cellule neuronali.

FUNZIONI DEI LIPIDI

I lipidi alimentari esplicano tutte le fondamentali funzioni dei nutrienti: energe-tica, plastica e regolatoria.

Funzione energeticaI trigliceridi rappresentano le fonti più concentrate di energia (1 g = 9 kcal). Lafunzione energetica è svolta in modo eguale da tutti gli acidi grassi, indipen-dentemente dal grado di saturazione. Se non vengono utilizzati nell’immediato,i trigliceridi si depositano nei tessuti (in particolare nel tessuto adiposo) costi-tuendo un materiale energetico di riserva.

Funzione plasticaI lipidi alimentari forniscono materiale per la sintesi di composti strutturali o fun-zionali di molti tessuti; sono inoltre il veicolo di vitamine liposolubili e degli acidigrassi essenziali.

Funzione regolatoriaLa funzione regolatoria è svolta dagli acidi grassi essenziali e dai loro omologhi.

***

Le funzioni plastiche (per esempio, formazione delle membrane cellulari) eregolatorie (per esempio, produzione di eicosanoidi) sono svolte principalmentedagli acidi grassi essenziali della serie n-6 (acido linoleico) e della serie n-3 (acidolinolenico) e dai loro derivati a catena carboniosa più lunga (C20 – C22 – C24) ea più elevato grado di insaturazione (4 e più doppi legami della molecola).

I lipidi, infine, sono responsabili di alcuni importanti effetti organolettici (au-mentano la palatabilità degli alimenti) e influenzano il senso di sazietà.

BISOGNO DI LIPIDI

Anche per i lipidi, come per i carboidrati, non esiste un’indicazione di un biso-gno nutrizionale quantitativamente ben definito. I consumi delle varie popola-zioni dimostrano un’ampia variabilità: da oltre il 40% della quota energetica gior-naliera a livelli intorno al 10%.

Tutti gli acidi grassi, a eccezione di quelli essenziali, possono essere sinte-tizzati dal nostro organismo: è noto che il materiale energetico proveniente daicarboidrati e, sia pure in grado minore, dalle proteine introdotto in eccesso dàluogo alla formazione di trigliceridi.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Pertanto, le autorità sanitarie dei vari Paesi si sono limitate a indicare un limi-te massimo di apporto lipidico attraverso gli alimenti, oltre il quale vi può essereun rischio per la salute. Tale limite per l’adulto è fissato al 30% dell’apporto ener-getico giornaliero per la quota totale e del 10% per i grassi saturi. Per il colesterolodi provenienza alimentare, il limite superiore è stato stabilito in 300 mg/die.

Esiste comunque la necessità di un apporto obbligato di acidi grassi essen-ziali: per l’adulto viene indicata una quota di acido linoleico (n-6) e di acidi grassipolinsaturi della serie n-3 rispettivamente dell’1-2% e dello 0,2-0,5% delle calo-rie giornaliere.

Viene altresì raccomandato di non assumere quote eccessive di acidi grassipolinsaturi (non superiore al 15% della quota energetica della dieta) in quantonon esente da rischi per la salute.

FONTI ALIMENTARI DEI LIPIDI

La quota di lipidi presenti nella dieta ha origine da due principali fonti alimentari:

• i grassi separati o “visibili”, costituiti dalle sostanze grasse da condimento:grassi solidi e oli;

• i grassi non separati o “invisibili”, costituiti dai lipidi presenti nell’alimentoframmisti agli altri nutrienti (per esempio, latte e formaggi, carni e insaccati,uova ecc.). I grassi possono essere presenti naturalmente nell’alimento (peresempio, uovo, olive ecc.) oppure “aggiunti” al cibo durante i processi di cot-tura e di trasformazione sia industriali che casalinghi (per esempio, cibi fritti,dolciumi ecc.).

Grassi da condimentoSulla base della loro origine, si possono distinguere in grassi animali (i più uti-lizzati sono burro, panna, lardo, strutto) e grassi vegetali (olio di oliva, olio disemi, margarina, grassi idrogenati).

Grassi animali

BURRO Il burro è il prodotto ottenuto dalla crema di latte vaccino e per leggedeve contenere non meno dell’82% di lipidi; la restante quota è costituita da ac-qua (circa 15%), lattosio e proteine in tracce. Tra i lipidi prevalgono i grassi satu-ri (palmitico); sono inoltre presenti colesterolo, vitamine liposolubili A e D e so-dio (generalmente il burro è addizionato di sale). Recentemente sono stati im-messi in commercio anche burri “light” o “leggeri”, a ridotto contenuto di lipidi.

PANNA O CREMA DI LATTE La panna può essere considerata come un latte forte-mente arricchito nella quota lipidica, che può variare dal 18% (se ottenuta peraffioramento naturale) al 40% (se ottenuta per centrifugazione). Le caratteristi-che qualitative dei lipidi sono le medesime di quelli del burro.

LARDO E STRUTTO Lardo e strutto sono grassi provenienti dal maiale. Il lardo è ilgrasso sottocutaneo dell’animale consumato fresco o conservato sotto sale, lostrutto è ottenuto per estrazione a caldo del grasso addominale. Sono anch’essiricchi di grassi saturi, ma contengono anche quote non trascurabili di polinsa-turi (linoleico, 25% circa), variabili in relazione alle modalità di allevamento del-l’animale, ma comunque superiori a quelle presenti nel grasso dei bovini.

Lipidi o grassi • CAPITOLO 20

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Grassi vegetaliOLIO DI OLIVA Estratto dal frutto dell’olivo, comprende:

• gli oli di oliva vergine, ottenuti soltanto da processi (meccanici o altri) chenon causano alterazioni dell’olio e classificati in funzione delle qualità or-ganolettiche e dell’acidità; tra questi, il migliore è l’olio extravergine di oliva;

• l’olio di oliva, ottenuto dalla “raffinazione” di oli ad alta acidità (lampanti) emiscelato a oli vergini;

• l’olio di sansa di oliva, ottenuto per estrazione con solventi della parte grassarimasta nei residui solidi della lavorazione (sansa), raffinato e miscelato a olivergini di oliva.

Indipendentemente dalla tipologia, tutti gli oli sono costituiti al 100% da li-pidi e sono considerati grassi puri (900 kcal/100 g). Anche la composizione qua-litativa in acidi grassi dei diversi oli di oliva è in media sovrapponibile: preval-gono i grassi monoinsaturi (oleico, 75% circa), ma sono presenti anche polinsa-turi (linoleico, 7% circa) e saturi (15% circa).

Ciò che contraddistingue l’olio vergine di oliva dagli altri oli di oliva è la pre-senza di “costituenti minori” (ne sono stati identificati oltre 200) che ne caratte-rizzano le qualità organolettiche di aroma, colore, gusto, ma anche nutrizionali.Tra i diversi composti sono presenti steroli vegetali (fitosteroli), fenoli e altre so-stanze con azione antiossidante considerate responsabili di parte degli effettipositivi che svolge l’olio extravergine di oliva nella prevenzione delle patologiecronico-degenerative.

I processi di raffinazione, a cui sono sottoposti gli oli non vergini per depu-rarli da sostanze indesiderabili, comportano anche l’allontanamento di questicostituenti minori e quindi la perdita delle suddette proprietà dell’olio.

OLI DI SEMI Estratti da alcuni semi oleosi (per pressione o con solventi), questi olidevono essere successivamente rettificati, con perdita di componenti antiossidantie della maggior parte delle sostanze responsabili del loro colore, aroma e gusto.La caratteristica dei vari oli di semi di sembrare “neutri o leggeri” non deve far ri-tenere che sia ridotto anche il loro contenuto in grassi: tutti gli oli, di semi o di oliva,sono costituiti esclusivamente da lipidi e hanno il medesimo apporto energetico.

Le caratteristiche che contraddistinguono tra loro i diversi oli di semi deri-vano dalla loro diversa composizione in acidi grassi.

I principali oli monoseme (estratti da un unico seme) presenti in commer-cio sono più ricchi in polinsaturi rispetto all’olio di oliva, con un contenuto pro-gressivamente crescente dall’olio di arachide (25-30%), al mais-girasole (50%circa), al vinacciolo (ottenuto dai semi dell’uva, 70%). L’olio di soia ha un con-tenuto complessivo di polinsaturi di poco superiore al mais, ma è più ricco din-3 (acido linolenico, 7-8% circa).

Si ricorda che quanto più ricco è il contenuto in acidi grassi polinsaturi, tantopiù l’olio è instabile per azione di agenti fisici (ossigeno, calore ecc.). Per talemotivo gli oli di semi sono sempre addizionati di antiossidanti (tocoferoli).

MARGARINE E GRASSI IDROGENATI La margarina, inizialmente prodotta come suc-cedaneo del burro utilizzando anche altri grassi animali, attualmente viene ot-tenuta da miscele di sostanze grasse vegetali, parte delle quali sottoposte a “idro-genazione”. Tale processo tecnologico trasforma la struttura chimica dei grassioriginali che da insaturi divengono progressivamente sempre più saturi, con mo-difica della loro consistenza da fluida a solida (a temperatura ambiente); da ri-

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levare che in questo processo si formano anche isomeri trans delle molecole diacidi grassi.

Le margarine hanno composizione nutrizionale sostanzialmente simile aquella del burro (lipidi 84%, in prevalenza saturi), ma non contengono coleste-rolo. In commercio si trovano anche margarine “dietetiche” a basso grado diidrogenazione e più elevato contenuto in polinsaturi.

Altri alimenti fonti di lipidiTra i principali alimenti che veicolano lipidi in forma nascosta o “mascherata”ricordiamo:

• formaggi e salumi (prosciutti/insaccati), il cui contenuto in grassi varia dal20 al 40% circa (da 260 a 450 kcal/100 g);

• torte e dolciumi; oltre a amido e zuccheri, a seconda del tipo di lavorazionecontengono dal 10 a oltre il 35% di grassi;

• snack commerciali dolci (per esempio, merendine) o salati (per esempio,patatine, salatini ecc.); contengono oltre il 20% di lipidi;

• salse tipo maionese e derivati (70% di grassi), prodotti di gastronomia (peresempio, patè);

• focacce e prodotti da forno conditi (per esempio, pane alle olive, alle noci,cracker al formaggio ecc.);

• frutta secca oleosa a guscio (noci, mandorle, arachidi, cocco ecc.), che con-tiene lipidi ricchi in polinsaturi ma in rilevanti quantità (40-60%).

Il contenuto lipidico di alcuni alimenti è riportato nella tabella 20.1.

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

TRASPORTO DEI LIPIDI NEL SANGUE. LIPOPROTEINE PLASMATICHE

EFFETTI DEI LIPIDI ALIMENTARI SUL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Lipidi o grassi • CAPITOLO 20

351

Alimento g/100 g di sostanza edibile

Oli 100Burro, margarina 84Maionese 70Formaggi, salumi 20-40Carni grasse (oca, maiale) 20-40Carni magre 3-10Uova 9Frutta secca oleosa 40-60Latte intero 3,6Cioccolato (fondente, al latte) 33-36

TABELLA 20.1 CONTENUTO IN GRASSI DI ALCUNI ALIMENTI

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INTRODUZIONE

Le vitamine, sostanze organiche di diversa e complessa struttura chimica, sonodei micronutrienti indispensabili per lo svolgimento di determinati processi me-tabolici e/o funzioni del vivente. Sono componenti “essenziali” della dieta e per-tanto devono essere forniti come tali o sotto forma di precursori diretti, le pro-vitamine, con l’alimentazione giornaliera.

Classificate in passato con le lettere dell’alfabeto (tale uso perdura tuttoraper comodità), sono attualmente identificate con un nome che fa riferimento allafunzione o alla struttura chimica. Anche la quantificazione dei rispettivi effetti,che in passato veniva espressa in unità internazionali (UI), viene oggi indicatain unità di misura di peso (milligrammi o microgrammi).

CAUSE GENERALI DI CARENZA

Già molto tempo prima che venisse identificata esattamente la causa, era notoche alcune malattie erano provocate dalla carenza di qualche vitamina. Oggi,nella società affluente, è piuttosto raro il riscontro di segni o disturbi riferibili acarenze alimentari primitive; è invece possibile osservare sintomi o segni di ipo-vitaminosi in circostanze nelle quali si è verificato un aumento del bisogno nonsoddisfatto da un adeguamento dell’introito di vitamine. Quest’ultima condi-zione si verifica più frequentemente in circostanze patologiche (per esempio,malassorbimento, alcolismo cronico) che nelle situazioni fisiologiche (accresci-mento, gravidanza, allattamento) in cui aumentano i bisogni nutrizionali.

In sintesi le principali cause di deficienze vitaminiche nella nostra societàsono riconducibili a:

• alimentazione incongrua o abnormemente ristretta;• alterazioni dell’assorbimento intestinale (malassorbimento), etilismo cro-

nico;• interferenza di certi farmaci (per esempio, alcuni antibiotici, estroprogesti-

nici, anticoagulanti ecc.)

Le manifestazioni cliniche delle deficienze vitaminiche compaiono dopo in-tervalli di tempo piuttosto lunghi e sono precedute da una progressiva riduzionedella concentrazione di vitamine nel plasma o in certi tessuti (leucociti, eritro-citi), alla quale sono spesso associate alterazioni di determinate funzioni.

22221111VITAMINE

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PROPRIETÀ GENERALI E MECCANISMI D’AZIONE

Tradizionalmente le vitamine sono classificate in base alla loro solubilità in idro-solubili e liposolubili. Queste proprietà determinano differenti modelli di as-sorbimento intestinale, di trasporto e di immagazzinamento nei tessuti: le vita-mine liposolubili possono accumularsi progressivamente nel tessuto adiposo;quelle idrosolubili sono caratterizzate da un livello di saturazione dei tessuti, su-perato il quale vengono eliminate con le urine. L’accumulo può provocare di-sturbi di ipervitaminosi.

Il meccanismo biochimico di azione di molte vitamine è ben conosciuto: peresempio, tutte le vitamine del gruppo B costituiscono dei coenzimi (cioè la parteattiva degli enzimi) implicati in determinate reazioni metaboliche; la vitamina Afa parte di un complesso “proteina + vitamina” presente nei bastoncelli della re-tina responsabile della percezione visiva alla luce crepuscolare. Per altre vita-mine (per esempio, l’acido ascorbico) le conoscenze su alcuni aspetti del mec-canismo d’azione sono ancora da definire.

INFLUENZE DEI PROCESSI TECNOLOGICI SUL CONTENUTO VITAMINICO DEGLI ALIMENTI

Il contenuto vitaminico degli alimenti è influenzato da diversi agenti fisici, comel’ossigeno dell’aria, la luce, il calore e alcuni trattamenti tecnologici.

In base alla resistenza ai procesi termici le vitamine si distinguono in ter-mostabili e termolabili. La termolabilità è spesso associata anche alla facilitàcon cui le vitamine possono subire ossidazione. La conservazione al freddo (con-gelamento, surgelamento) e al buio costituisce la miglior garanzia per il mante-nimento nel tempo del contenuto vitaminico di un alimento.

La scrematura del latte e la raffinazione delle farine dei cereali sono esempidi procedimenti tecnologici che riducono anche sensibilmente il contenuto vi-taminico; un rimedio a questo inconveniente è rappresentato dalla fortificazione(reintegrazione della quota vitaminica perduta) degli alimenti.

BISOGNO E USO FARMACOLOGICO DELLE VITAMINE

Le vitamine sono nutrienti essenziali e devono essere introdotte con l’alimen-tazione abituale in quantità ritenute ottimali per assicurare e mantenere buonecondizioni di salute e una ottimale efficienza psicofisica.

L’apporto vitaminico è quantitativamente indicato dalle quote giornaliereraccomandate, espresse dai LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di Nu-trienti). Tali quote sono sensibilmente superiori ai bisogni reali dei soggetti in-clusi nella classe di età alla quale i LARN sono riferiti (“margine di sicurezza” perprevenire stati di carenza).

Abbastanza frequentemente nella pratica clinica, le vitamine sono utilizzateanche a dosaggi molto alti (centinaia di volte superiori alle quote raccomandate)per ottenere un effetto farmacologico potenziandone al massimo l’azione fisio-logica. L’uso farmacologico delle vitamine, specie di quelle liposolubili che pos-sono più facilmente indurre fenomeni di accumulo, deve essere sempre effet-tuato sotto controllo medico.

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VITAMINE LIPOSOLUBILI

RETINOLO (VITAMINA A)L’attività vitaminica è svolta da diversi composti liposolubili, il più attivo dei qualiè il retinolo (alcol chimicamente complesso, contenuto negli alimenti di origineanimale), e da alcuni composti presenti nei vegetali, colorati di rosso/giallo-arancio o di verde, denominati carotenoidi (se ne conoscono oltre 600, di cui ilpiù diffuso e attivo è il beta-carotene). I carotenoidi sono da considerare provita-mine in quanto vengono convertiti in vitamina a livello dell’epitelio intestinale edel fegato.

Il retinolo (soprattutto il retinolo palmitato), immagazzinato nel fegato, è im-messo in circolo, a seconda delle necessità, legato a una proteina trasportatrice(RBP, retinol binding protein) dalla quale viene liberato a livello dei tessuti che loutilizzano.

FunzioniLa vitamina A è indispensabile per:

• il mantenimento dell’integrità anatomica e funzionale degli epiteli e dellemucose e del sistema immunitario;

• il normale accrescimento corporeo e la riproduzione;• il normale meccanismo della visione alla luce di debole intensità.

Fonti alimentariTra gli alimenti animali il fegato è la principale fonte di vitamina A, ma la vita-mina è anche contenuta nel latte (intero) e derivati e nelle uova; negli alimentivegetali è presente sotto forma di caroteni nella frutta e ortaggi colorati ingiallo/arancio e verde: carote, spinaci, peperoni, pomodori, albicocche, cachi,mango, melone, ecc.

DeficienzaUn deficit di vitamina A è spesso associato a malnutrizione generale, oppure amalassorbimento o a etilismo cronico.

I segni di deficienza sono principalmente a carico dell’occhio e si manife-stano con:

• emeralopia, cioè difficoltà di adattamento della visione in condizioni di scarsailluminazione (cecità notturna); è il segno più frequente e il primo a manife-starsi;

• xerosi, cioè secchezza della congiuntiva che si estende alla cornea (xerof-talmia), la quale, negli stadi più avanzati può essere colpita da rammollimento(cheratomalacia) con conseguente interessamento dell’iride e del cristallinoed estensione di processi infiammatori a carico di tutto l’occhio, il cui esitoè spesso la cecità.

Quota giornaliera raccomandataLa dose giornaliera raccomandata di vitamina A è espressa in microgrammi (mg)di “retinolo equivalenti” (RE; 1 RE = 3,33 UI); in questi valori sono compresi siala quantità di retinolo presente come tale negli alimenti sia la quantità di reti-nolo proveniente dai caroteni. Per l’adulto tale quota è di 700 mg al giorno:

1 RE = 1 mg retinolo = 6 mg beta-carotene = 12 mg altri carotenoidi

Vitamine • CAPITOLO 21

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La vitamina A a forti dosi (“megadosi”) è impiegata nel trattamento di alcuneaffezioni dermatologiche, nell’otosclerosi e nell’anosmia. Un suo derivato, l’a-cido retinoico, è utilizzato nelle forme gravi di acne.

TossicitàSintomi di tossicità possono verificarsi per assunzione prolungata di dosi supe-riori alle capacità di stoccaggio del fegato, generalmente per iperdosaggio di pre-parati farmacologici e per uso incongruo di supplementi vitaminici. Il beta-ca-rotene, invece, non causa ipervitaminosi A, perché non può essere convertito aretinolo con sufficiente velocità.

CALCIFEROLO (VITAMINA D)Si distinguono due forme principali di vitamina D: l’ergocalciferolo o vitamina D2,presente nei vegetali, e il colecalciferolo o vitamina D3, che deriva dal colesteroloed è sintetizzato nelle cellule epiteliali dell’epidermide umana in seguito all’e-sposizione alla luce solare. Questa sintesi dipende dallo spessore e dalla pig-mentazione della pelle, dalla qualità e intensità delle radiazioni UV e soprattuttodalla superficie esposta e dalla durata dell’esposizione. La vitamina D può es-sere sintetizzata e accumulata nei mesi estivi così da mantenere un adeguato li-vello nell’organismo anche nei mesi invernali. Se la sintesi endogena risulta in-sufficiente, è necessario un apporto di vitamina D con la dieta o con la supple-mentazione.

Per svolgere la sua attività biologica, la vitamina D deve subire due idrossi-lazioni, prima nel fegato (25-OH-D) e poi nel rene formando l’1,25-diidrossicole-calciferolo (1,25-(OH)2-D) o calcitriolo, la forma “attiva” della vitamina.

FunzioniLa vitamina D è indispensabile per un normale svolgimento dei processi di os-sificazione del soggetto in accrescimento e per il normale mantenimento del-l’osso dell’adulto. La sua azione è intimamente legata al metabolismo del cal-cio e del fosforo. La vitamina D “attivata” (calcitriolo) favorisce la sintesi da partedelle cellule intestinali di una proteina che trasporta il calcio dal lume intestinaleall’interno della cellula stessa, e da qui al vaso sanguigno. Si attua così l’effettovitaminico che comprende:

• la stimolazione dell’assorbimento del calcio e del fosforo a livello intestinale;• la regolazione, in sinergia con l’ormone paratiroideo, dei livelli plasmatici di

calcio;• il mantenimento di un’adeguata mineralizzazione dello scheletro.

La vitamina D può essere inoltre coinvolta in alcuni processi non legati al-l’omeostasi del calcio e del fosforo (per esempio, differenziamento cellulare, fun-zione neuromuscolare), mediante meccanismi non ancora chiariti.

Fonti alimentariL’olio di fegato di merluzzo è una fonte ricchissima di vitamina D (ma non vieneabitualmente consumato); quote modeste sono presenti nei pesci grassi, nelleuova e in quantità minima nel burro e formaggi grassi.

DeficienzaSegni precoci di carenza di vitamina D sono l’ipocalcemia con iperparatiroidi-smo secondario (possibili convulsioni da ipocalcemia). Manifestazioni classiche

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di carenza prolungata sono: rachitismo nel bambino, caratterizzato da ritardodella chiusura delle fontanelle craniche, “rosario rachitico” costale, incurvamentodelle ossa lunghe e disturbi dell’accrescimento in generale; nell’adulto si haosteomalacia, caratterizzata da deformazioni scheletriche che colpiscono pre-valentemente il bacino.

Quota giornaliera raccomandataNei soggetti in accrescimento o durante la gravidanza e l’allattamento la quotagiornaliera raccomandata è di 10 mg. Anche per gli anziani, soprattutto quelliistituzionalizzati, considerati a rischio di carenza sia per mancanza di esposi-zione alla luce solare, sia per ridotta capacità di sintesi endogena, si consigliaanaloga dose.

Si ritiene invece che l’adulto normale possa ottenere una quantità di vita-mina sufficiente ai propri bisogni mediante l’esposizione alla luce delle parti sco-perte del corpo.

In clinica la vitamina D è utilizzata nel trattamento dell’ipoparatiroidismo edell’osteoporosi; inoltre l’1,25-diidrossicolecalciferolo è correntemente impie-gato nella prevenzione e nella cura delle alterazioni del metabolismo calcio/fo-sforo dell’uremia cronica.

TossicitàSegni di intossicazione (nefrocalcinosi, ridotta funzione renale o calcificazionedei tessuti molli) sono stati evidenziati dopo somministrazione prolungata di altedosi di vitamina D.

TOCOFEROLO (VITAMINA E)Sotto tale denominazione è compresa una serie di composti, il più importantedelle quali è l’alfa-tocoferolo, aventi la caratteristica fondamentale di esseredegli antiossidanti biologici e di svolgere negli animali un effetto antisteri-lità.

Ampiamente distribuiti in natura, questi composti sono presenti in molti ve-getali (particolarmente ricchi ne sono i semi in generale e gli oli vegetali), nellatte e nel rosso d’uovo.

Situazioni di carenza di vitamina E non si riscontrano in individui normali,poiché la maggior parte delle diete ne contiene adeguate quantità.

Gli effetti antiossidanti della vitamina E si esplicano prevalentemente sugliacidi grassi polinsaturi (PUFA, poly unsatured fatty acids) nei confronti dei qualiessa svolge un’azione di protezione bloccando la propagazione del danno ossi-dativo.

La quota di assunzione giornaliera di questa vitamina deve essere propor-zionale alla quantità di acidi grassi polinsaturi introdotta con l’alimentazione;indicativamente può variare tra 3 e 8 mg per l’adulto.

FILLOCHINONE (VITAMINA K)Differenti composti chimici (fillochinoni, menadioni o menachinoni) posseggonoeffetti vitamina K-simili e svolgono un’attività antiemorragica. Largamente rap-presentati in natura, sia in alimenti animali che vegetali (ne sono ricchi gli or-taggi a foglia verde: spinaci, lattuga, broccoli, cavoli), questi composti possonoessere sintetizzati anche dalla flora batterica intestinale dell’uomo.

La vitamina K è indispensabile per la sintesi della protrombina e di altri fat-tori coinvolti nei processi della coagulazione del sangue (fattori VII, IX, e X) edell’osteocalcina presente nella matrice ossea.

Vitamine • CAPITOLO 21

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Alcune sostanze antagoniste di questa vitamina (dicumarolici) sono usate ascopo terapeutico come anticoagulanti.

Esistono in clinica alcune situazioni morbose caratterizzate da una tendenzaalle emorragie che è determinata da:

• deficienza dell’assorbimento intestinale della vitamina a causa di malassor-bimento lipidico;

• incapacità di utilizzazione della vitamina da parte della cellula epatica sof-ferente per motivi patologici (epatiti, cirrosi).

La somministrazione di vitamina K per via parenterale corregge gli effettidella deficienza di assorbimento, ma non quelli della mancata utilizzazione daparte dell’epatocita.

VITAMINE IDROSOLUBILI

TIAMINA (VITAMINA B1)La tiamina è il composto per il quale venne utilizzato per la prima volta il ter-mine “vitamina”, con un chiaro riferimento, da una parte, agli effetti “vitali” chea essa potevano essere attribuiti e, dall’altra, alla presenza di un gruppo “am-minico” nella struttura della sua molecola.

FunzioniLa tiamina entra a far parte come coenzima (tiaminpirofosfato, TPP) di una se-rie di enzimi che sono indispensabili per un normale svolgimento del metaboli-smo dei carboidrati.

Fonti alimentariLa vitamina B1 è maggiormente contenuta negli alimenti animali (specialmentenelle carni di maiale) rispetto ai vegetali. In questi ultimi è particolarmente ab-bondante nei cereali integrali.

DeficienzaLa classica malattia da carenza di vitamina B1 è il beri-beri, nota da secoli nellasua forma umida (scompenso cardiaco) o secca (polinevrite). Insieme alla deficien-za di altre vitamine (PP, B6, B12) è attualmente ritenuta responsabile di danni ainervi periferici (polinevrite) nell’etilismo cronico. Deficienze acute, spesso legatead abuso di alcol (l’assorbimento intestinale è notevolmente ridotto) o di dro-ghe, provocano lesioni del sistema nervoso centrale (encefalopatia di Wernicke).

Quota giornaliera raccomandataPer l’adulto la quota di assunzione giornaliera raccomandata è di 0,9 e 1,2 mg,per femmina e maschio rispettivamente.

RIBOFLAVINA (VITAMINA B2)

FunzioniDal punto di vista biochimico la riboflavina è un costituente di due coenzimi (fla-vinadenindinucleotide o FAD, e flavinmononucleotide o FNM) che fanno partedi numerosi sistemi enzimatici coinvolti nelle reazioni di ossidoriduzione. In par-ticolare:

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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• decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico;• ossidazione degli acidi grassi e degli aminoacidi;• trasporto di elettroni nella catena respiratoria.

Fonti alimentariLa riboflavina è presente in latte e derivati, uova e fegato tra gli alimenti animali;tra i vegetali le fonti migliori sono i cereali integrali e le verdure a foglia verde.È stabile al calore ma non alla luce. Il latte, che è una buona fonte di vitamina,deve quindi essere conservato in recipienti tenuti al riparo della luce.

DeficienzaLa carenza di vitamina B2 si manifesta con una serie di sintomi a carico della boc-ca (stomatite angolare, lingua geografica), dell’occhio (vascolarizzazione cornea-le), della cute del viso e dei genitali (eritemi). Nell’uomo la deficienza di riboflavinapura è rara; è associata di solito a carenza di altre vitamine del complesso B.

Quota giornaliera raccomandataPer l’adulto la quota di assunzione giornaliera raccomandata è di 1,3 e 1,6 mg,per femmina e maschio, rispettivamente.

NIACINA (VITAMINA PP)Il termine “niacina” indica due composti (acido nicotinico e nicotinamide), chimi-camente semplici, aventi un effetto vitamina PP. La sigla PP sta a indicare la ca-pacità della vitamina di “prevenire la pellagra”, malattia da tempo ritenuta con-seguenza di un’alimentazione prevalentemente composta da mais e particolar-mente povera di alimenti animali.

FunzioniLa vitamina PP è componente di due coenzimi (NAD e NADP) adibiti al trasportodi ioni idrogeno (H+) e alla formazione di composti contenenti legami ricchi dienergia (ATP).

Fonti alimentariLa niacina è presente in alimenti animali e vegetali, e può essere sintetizzata neitessuti a partire dal triptofano, aminoacido essenziale delle proteine animali evegetali. Nel mais è presente in forma biologicamente non disponibile (come gli-coside dell’acido nicotinico).

DeficienzaLa classica malattia da carenza è la pellagra, che ha un quadro clinico caratte-rizzato da lesioni a carico della cute (dermatite) localizzate sulle parti espostealla luce solare, da sintomi a carico del tubo digerente (mancanza di appetito,diarrea, stomatite) e da disturbi neuropsichici (polinevrite, psicosi, demenza).

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di vitamina (14 e 18 mg per femmina e ma-schio adulti, rispettivamente) è espressa in milligrammi di “niacina equivalenti”:in questi valori sono compresi sia la quantità di niacina presente come tale ne-gli alimenti sia la quantità di niacina che si può formare a partire dal triptofanocontenuto nella quota proteica degli alimenti.

Si considera per convenzione che 60 mg di triptofano alimentare corrispon-dano a 1 mg di niacina.

Vitamine • CAPITOLO 21

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PIRIDOSSINA (VITAMINA B6)Diversi composti hanno dimostrato di possedere effetti vitaminici di questo tipo.Da essi derivano numerosi coenzimi che svolgono un ruolo fondamentale nelmetabolismo proteico in quanto coinvolti nella sintesi, degradazione e utilizza-zione degli aminoacidi.

Fonti alimentariLa piridossina è molto diffusa in natura, sia in alimenti animali che vegetali.

DeficienzaNell’uomo la carenza di piridossina è assai rara.

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata è di 1,5 mg per l’adulto.

COBALAMINA (VITAMINA B12)Da tempo è stata identificata con il fattore “estrinseco” del principio antianemicodi Castle, ma la definizione della sua struttura chimica (sotto questo aspetto è lapiù complessa delle vitamine) e la sua sintesi sono avvenute attorno agli anni’50. Contiene cobalto, che le conferisce la colorazione rossa.

FunzioniLa vitamina B12 interviene, come coenzima, insieme ai folati, nella sintesi di gruppichimici molto semplici dai quali vengono prodotte le basi puriniche e pirimidi-niche. Queste basi sono costituenti essenziali degli acidi nucleici (DNA, RNA), ilcui metabolismo viene pertanto alterato in condizioni di carenza.

Fonti alimentariLa cobalamina è presente in concentrazioni piuttosto modeste solo negli ali-menti di origine animale (fegato, carni).

DeficienzaLa deficienza di vitamina B12 si manifesta con:

• anemia macrocitica (le dimensioni dei globuli rossi sono superiori alla norma)con maturazione midollare dei globuli rossi di tipo megaloblastico (anemiaperniciosa o di tipo pernicioso);

• segni neurologici attribuibili alla demienilizzazione delle fibre nervose de-correnti nel midollo; tali segni sono osservabili soltanto nelle forme più avan-zate di anemia perniciosa.

Raramente si riscontra deficienza di vitamina B12 per insufficiente apportoalimentare. Solo i soggetti che seguono diete strettamente vegetariane sono adalto rischio di carenza.

La carenza di vitamina si può verificare con maggior frequenza in circostanzepatologiche. È noto che l’assorbimento della vitamina B12 avviene a livello del-l’ileo distale e dipende dalla presenza di un costituente del succo gastrico de-nominato fattore intrinseco di Castle. Questo fattore è una mucoproteina secretadalle cellule del fondo gastrico. Dall’interazione tra fattore intrinseco e vitaminaB12 si forma un complesso resistente all’azione dei succhi digestivi. La deficienzadi fattore intrinseco, e quindi il mancato assorbimento della vitamina B12 intro-dotta con gli alimenti, si riscontra nei soggetti sottoposti a gastrectomia totale ein quelli affetti da anemia perniciosa.

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Altre cause di deficienza di vitamina B12 possono essere individuate nella re-sezione dell’ileo distale, la sede elettiva dell’assorbimento della vitamina, o inun’abnorme proliferazione a livello intestinale di batteri che utilizzano la vita-mina per il proprio metabolismo.

Quota giornaliera raccomandataIl fegato possiede ampie riserve di vitamina B12 (circa 2000 mg) e la quota gior-naliera raccomandata è molto modesta: 2 mg.

FOLATI (ACIDO FOLICO)L’acido folico è stato riconosciuto come un fattore antianemico distinto dalla vi-tamina B12.

FunzioniL’acido folico interviene come coenzima in numerose reazioni biochimiche ba-silari, nella sintesi e nel trasporto di composti semplici (unità monocarboniose)destinati a entrare nella costituzione degli acidi nucleici. Partecipa infatti allabiosintesi di DNA e RNA, alla metilazione dell’omocisteina a metionina e al me-tabolismo di alcuni aminoacidi.

Fonti alimentariL’acido folico è presente nei vegetali a foglia, nel fegato, nelle uova e nei fagioli.È una vitamina termolabile.

DeficienzaLa carenza di acido folico si manifesta tipicamente con anemia macrocitica ematurazione midollare dei globuli rossi di tipo megaloblastico (vedi vitaminaB12). Si osserva con relativa frequenza negli etilisti e durante la gravidanza; inquesta condizione, caratterizzata da un aumento del fabbisogno giornaliero divitamina, costituisce un fattore di rischio per la comparsa della spina bifida nelnascituro, una gravissima turba a carico del midollo spinale.

Quota giornaliera raccomandataSi raccomanda un’assunzione giornaliera di 200 mg per l’adulto. In gravidanza,per la prevenzione della spina bifida e dell’anencefalia del neonato, la dose rac-comandata è raddoppiata (400 mg).

ACIDO ASCORBICO (VITAMINA C)La vitamina C è la più labile delle vitamine: la sua presenza negli alimenti è dra-sticamente ridotta dai processi di cottura e comunque diminuisce sensibilmenteanche in seguito alla conservazione dell’alimento esposto all’aria e alla luce.

FunzioniLe numerose funzioni attribuite alla vitamina C (acido L-ascorbico) sono ricondu-cibili alla sua capacità di ossidarsi e di ridursi reversibilmente. È il cofattore di en-zimi che catalizzano reazioni di idrossilazione per la formazione del collagene, com-ponente fondamentale della sostanza cementante intercellulare, e dell’adrenalina.

Interviene nella sintesi degli ormoni steroidei surrenalici (vitamina antistress)e nei processi di difesa cellulare, favorendo l’eliminazione dei radicali liberi dell’os-sigeno e rigenerando l’attività antiradicalica della vitamina E (effetto antiossidante).

Infine la vitamina C favorisce l’assorbimento intestinale del ferro per riduzioneda Fe3+ a Fe2+.

Vitamine • CAPITOLO 21

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Fonti alimentariLa vitamina C è largamente diffusa negli alimenti di origine vegetale, partico-larmente negli agrumi, kiwi, fragole, ribes, peperoni, pomodori e ortaggi a fogliaverde.

DeficienzaLa carenza di vitamina C si manifesta con:

• fragilità dei piccoli vasi dalla cui rottura provengono le emorragie;• alterazioni della crescita e della riparazione tissutale, dalle quali deriva il ri-

tardo della cicatrizzazione delle ferite;• insufficiente difesa contro le infezioni per difetto dell’attività fagocitaria e

linfocitica e della formazione degli anticorpi.

Nell’adulto la classica malattia da carenza è lo scorbuto, caratterizzata daemorragie e fragilità capillare, mentre nel bambino si associano anche disturbidell’accrescimento osseo.

In clinica la vitamina C ad alte dosi è correntemente impiegata nel trattamentodi malattie emorragiche e delle malattie infettive in genere in quanto dotata diun’azione antistress. In questi ultimi anni è stato prospettato un suo probabileeffetto antitumorale non ancora sufficientemente confermato.

Quota giornaliera raccomandataL’assunzione giornaliera raccomandata per l’adulto è di 60 mg. Nel fumatore ilfabbisogno viene raddoppiato rispetto ai non fumatori.

ACIDO PANTOTENICOLargamente distribuito in natura, l’acido pantotenico è il precursore del “coen-zima A”, parte attiva dell’enzima indispensabile per la formazione e il trasportodell’acetato attivato, e quindi punto cardine del metabolismo dei carboidrati, de-gli aminoacidi, degli acidi grassi e dei composti steroidei.

BIOTINALa biotina è largamente distribuita in natura e costituisce il coenzima di diversisistemi enzimatici (carbossilasi) implicati nel metabolismo intermedio di nume-rose sostanze.

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

FONTI ALIMENTARI DELLE VITAMINE

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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INTRODUZIONE

Numerosi minerali entrano nella costituzione delle cellule e dei tessuti del no-stro organismo. Alcuni di essi sono presenti in quantità relativamente elevata eper questo motivo, insieme alle proteine, ai grassi e ai carboidrati, vengono de-finiti macroelementi: calcio (Ca), fosforo (P), magnesio (Mg), sodio (Na), cloro(Cl), potassio (K). Altri, invece, sono presenti in “traccia”, in quantità dell’ordinedel milligrammo o meno, e sono definiti micro- od oligoelementi: ferro (Fe),zinco (Zn), rame (Cu), iodio (I), fluoro (F), selenio (Se), cromo (Cr) ecc.

Si ritiene attualmente che circa un terzo degli oligoelementi minerali cono-sciuti siano “essenziali”, anche se non per tutti sono stati messi in evidenza sin-tomi specifici di carenza nell’uomo. Oltre all’essenzialità di un elemento mine-rale, è anche importante tener conto della sua “biodisponibilità”, ovvero dellaquota ingerita che è effettivamente assorbita, trasportata al sito di azione e con-vertita nella forma fisiologicamente attiva. Pertanto un alimento è in grado dicoprire il fabbisogno di un oligoelemento se questo è presente non solo in quan-tità corretta ma anche in forma biodisponibile.

CALCIO

Il calcio è il minerale presente in maggior quantità nell’organismo; nell’adultoè contenuto nella misura di 1200 g, il 99% dei quali nello scheletro osseo e neidenti. Il rimanente 1% è ripartito tra tessuti molli e fluidi extracellulari; in que-sti ultimi la quota ionizzata (45% circa) rappresenta la quota funzionalmenteattiva.

FunzioniIl calcio nell’osso, sotto forma di idrossiapatite, ha insieme al fosforo funzionistrutturali e costituisce una riserva per il mantenimento della concentrazioneplasmatica. Nei fluidi extracellulari gli ioni Ca2+ svolgono funzioni altamente spe-cializzate: attivazione di enzimi (coagulazione del sangue), partecipazione al-l’eccitamento neuromuscolare (trasmissione dell’impulso nervoso e contrazionemuscolare), moltiplicazione e differenziazione cellulare.

Il calcio è inoltre coinvolto nel mantenimento dell’integrità delle membranee delle sostanze cementanti intercellulari.

La quota di calcio nei liquidi extracellulari è regolata dal paratormone (PTH,

22222222MINERALI

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che mobilizza Ca2+ dell’osso), dalla vitamina D “attivata” (1,25-(OH)2D, che favo-risce l’assorbimento intestinale del calcio) e dalla calcitonina (influenza la de-posizione di Ca2+ nell’osso). Variazioni anche modeste della concentrazione pla-smatica degli ioni Ca2+ (calcemia) al di fuori dei limiti di normalità sono indica-tive di fenomeni patologici.

La concentrazione plasmatica del calcio è di 9-11 mg/dl (cioè 4,5-5,5 mEq/l).L’ipocalcemia (diminuzione della calcemia a livelli inferiori a 8 mg/dl) co-

stituisce un’emergenza medica; è dovuta in genere a ipoparatiroidismo (dimi-nuzione della secrezione di PTH) ed è caratterizzata da spasmi muscolari, pa-restesie, alterazioni della conduzione nervosa, aritmie cardiache e alterazionidell’elettrocardiogramma (tetania ipocalcemica).

L’ipercalcemia (aumento della calcemia a livelli superiori a 11 mg/dl) si ri-scontra nell’iperparatiroidismo (aumento della secrezione di PTH) e, a volte, an-che nelle neoplasie con metastasi. Può essere asintomatica, ma quando si pro-trae nel tempo dà luogo a deposizione di sali di calcio nei tessuti molli e nellapelvi renale (calcolosi renale).

Fonti alimentariIl calcio proviene principalmente da latte e prodotti lattiero-caseari. Fonti vege-tali di calcio sono il cacao e il cioccolato, la frutta secca oleosa e i legumi. Danon trascurare il contenuto di calcio di alcune acque (potabili e/o minerali).

L’assorbimento intestinale del calcio alimentare riguarda complessivamenteil 35-45% della quota ingerita con gli alimenti ed è favorito dalla vitamina D “at-tivata” (1,25-(OH)2D) che stimola la sintesi, nella cellula intestinale, di una pro-teina legante il calcio.

La biodisponibilità del calcio può essere influenzata negativamente da alcunicostituenti dei vegetali: ossalati, fitati, fosfati e alcune frazioni della fibra ali-mentare (acidi uronici); può essere invece aumentata da altri componenti solu-bili della fibra (polisaccaridi non digeribili) e dalla presenza di zuccheri, in par-ticolare di lattosio. Inoltre il suo assorbimento è più efficiente nella prima in-fanzia, adolescenza e gravidanza, mentre diminuisce con l’avanzare dell’età econ l’aumento del suo apporto alimentare.

La principale via di eliminazione del calcio è con le feci. Con le urine la quotaeliminata è ampiamente variabile, in relazione anche al concomitante apportodi proteine, sodio e fosforo; recentemente si è evidenziato che le perdite con ilsudore sono superiori a quanto finora ritenuto.

DeficienzaPoiché l’osso costituisce una riserva di Ca2+, può essere presente una deficienzadi calcio prolungata nel tempo senza alcuna ripercussione sulla calcemia, che èmantenuta a livelli normali dall’intervento delle paratiroidi (PTH). Possibili causedi deficienza sono:

• apporti alimentari inadeguati e prolungati nel tempo;• compromissione della capacità di assorbimento intestinale (malassorbimento);• eventuali deficienze di vitamina D provocate dall’età avanzata (ridotta espo-

sizione alla luce solare) e dall’insufficienza renale cronica (mancata forma-zione della forma “attivata” di vitamina D).

La carenza di minerale protratta nel tempo si manifesta con alterazioni del-l’osso analoghe a quelle riportate nella carenza di vitamina D (osteomalacia nel-l’adulto, rachitismo nel bambino).

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Si ritiene che una deficienza cronica di calcio alimentare nella fase di accre-scimento corporeo possa determinare una diminuzione della densità mineraledell’osso rispetto al picco di massa ossea, che si raggiunge tra i 20 e i 30 anni(maturità scheletrica). Dopo questo picco si verifica, qualunque sia il livello diassunzione di calcio, una progressiva perdita di densità minerale dell’osso. Lamigliore prevenzione di questa riduzione consiste nell’ottenere un picco di massaossea ottimale.

Più controverso è il ruolo del calcio alimentare nella patogenesi dell’osteo-porosi in età postmenopausale o in età avanzata; sembrerebbe che bassi introitidi calcio nell’anziano abbiano un ruolo “permissivo” piuttosto che causale nellosviluppo della malattia (che ha patogenesi multifattoriale, con ruolo predomi-nante svolto dalla cessazione dell’attività estrogenica nella donna).

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di calcio è di 800 mg per l’adulto. Si racco-mandano quote superiori per l’anziano, il giovane in accrescimento osseo e ladonna in età postmenopausa (v. valori LARN).

FOSFORO

Gran parte del fosforo presente nell’organismo (85%) è depositato nelle ossa in-sieme al calcio sotto forma di idrossiapatite; il rimanente 15% è localizzato neitessuti molli e nei liquidi extracellulari.

FunzioniIl fosforo è un costituente di tutte le cellule, in quanto presente negli acidi nu-cleici (DNA e RNA) e nei composti contenenti legami altamente energetici (ATP).Come componente dei fosfolipidi è coinvolto nella stabilizzazione delle mem-brane cellulari e nel trasporto nei fluidi corporei di altri lipidi non polari (trigli-ceridi e colesterolo).

Come fosfato inorganico partecipa alla regolazione dell’equilibrio acido-basedei liquidi biologici.

La concentrazione plasmatica del fosforo inorganico è di 2,5-4,5 mg/dl.L’omeostasi del fosforo è mantenuta dalle variazioni dell’escrezione renale,

sotto l’influenza del PTH. A un aumento dell’apporto alimentare di fosforo fa se-guito un rapido aumento dell’escrezione urinaria.

Fonti alimentariIl fosforo ha diffusione ubiquitaria: latte e derivati, carni, cereali, legumi.

Circa il 60% del fosforo alimentare è assorbito dall’intestino; l’assorbimentoè influenzato favorevolmente dalla vitamina D (1-25 idrossicolecalciferolo), in-dipendentemente dal suo effetto sull’assorbimento del calcio.

DeficienzaLa carenza di fosforo è rara e compare solo in circostanze patologiche (chetoa-cidosi diabetica, rialimentazione dopo digiuno prolungato).

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di fosforo è di 800 mg per l’adulto.

Minerali • CAPITOLO 22

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MAGNESIO

Il magnesio è contenuto per buona parte nell’osso (60% circa) e nei tessuti molli(39%), solo una piccola parte (1%) è presente nei fluidi extracellulari.

FunzioniÈ necessario per l’attivazione di numerosi processi enzimatici che interessanoil metabolismo intermedio e la sintesi di lipidi, di proteine e di nucleoproteine.Insieme al calcio e al potassio, modula il potenziale di membrana dei nervi e deimuscoli (trasmissione dell’impulso nervoso, contrazione muscolare). Il magne-sio è inoltre essenziale per i processi di mineralizzazione e di sviluppo dell’ap-parato scheletrico.

La concentrazione plasmatica del magnesio è di 1,5-2,8 mg/dl (1,3-2,1 mEq/l).

Fonti alimentariIl magnesio viene fornito dai vegetali a foglia verde, dai cereali, dal latte, dallecarni e dal cacao.

DeficienzaLa concentrazione di magnesio nel plasma è regolata dal rene che è in grado,quando necessario, di trattenerlo efficacemente mediante il riassorbimento tu-bulare. Pertanto i segni di deficienza compaiono soltanto in condizioni patolo-giche che determinano un aumento delle perdite per via renale e/o intestinale(diarree). L’ipomagnesiemia è spesso associata a ipocalcemia e si manifesta consegni di ipereccitabilità muscolare, tetania e, a volte, convulsioni.

Quota giornaliera raccomandataIn mancanza di dati sufficienti per stabilire con sicurezza il livello di assunzioneraccomandato di magnesio, i LARN propongono un intervallo di sicurezza di150-500 mg.

IODIO

FunzioniLo iodio è il componente essenziale per la sintesi degli ormoni tiroidei te-traiodiotironina o tiroxina (T4) e triiodotironina (T3). Questi ormoni, secretidalla tiroide sotto l’influenza dell’ormone tireostimolante ipofisario (TSH),sono indispensabili per un regolare accrescimento corporeo e per un normalesviluppo cerebrale. Essi regolano i processi energetici endocellulari, accele-rando le reazioni metaboliche ossidative, attivano e regolano la sintesi pro-teica e del colesterolo e favoriscono la deposizione del Ca2+ nella matrice del-l’osso.

Un aumento della secrezione degli ormoni tiroidei, come si verifica nell’i-pertiroidismo, determina un aumento del metabolismo di base (MB).

Fonti alimentariLe più importanti fonti di iodio sono costituite dai prodotti della pesca (pesci dimare); la presenza di iodio in altri alimenti animali e vegetali dipende dal con-tenuto di iodio del terreno dal quale passa nelle fonti alimentari attraverso il ci-clo alimentare.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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DeficienzaLo iodio è distribuito in modo molto diverso nel terreno, a seconda delle regioni.In molte regioni montuose, come le Alpi o le Ande, il suolo è molto povero di io-dio, cosicché, di conseguenza, ne sono molto povere le fonti alimentari sia ve-getali che animali. In queste aree la deficienza di iodio alimentare si manifestacon iperplasia tiroidea (“gozzo”), sintomi di ipotiroidismo nell’adulto e disturbidella crescita corporea e dello sviluppo intellettivo nel bambino (cretinismo en-demico). Tutte queste manifestazioni, osservate in Svizzera e in certe valli al-pine italiane (buona parte del territorio nazionale è tuttora caratterizzato da ca-renza iodica), possono essere facilmente prevenute dall’integrazione della dietacon adeguate quantità di iodio, per esempio attraverso l’impiego regolare di sale(NaCl) arricchito di iodio o “iodato”. Tale pratica, anche se meno diffusa di quantoauspicabile, ha consentito la quasi totale scomparsa del cretinismo endemico.

TossicitàL’eccessivo apporto di iodio (attenzione a preparati “dimagranti” contenenti iodioe/o estratti tiroidei!) può essere responsabile dell’instaurarsi del gozzo tossiconodulare (morbo di Plummer) e dell’ipertiroidismo.

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di iodio per l’adulto è di 150 mg.

FERRO

Il contenuto di ferro nell’organismo è di circa 3-4 g. Circa il 65% del ferro totaledell’organismo è presente nella molecola dell’emoglobina, mentre il 10% è con-tenuto nella mioglobina. La quota rimanente è rappresentata principalmente dalferro di deposito (ferritina ed emosiderina), mentre minime quantità sono conte-nute negli enzimi e nei citocromi o sono associate alla transferrina (proteina ditrasporto).

FunzioniIl ferro entra nella costituzione dell’emoglobina, della mioglobina e di diversi en-zimi coinvolti in reazioni di ossidoriduzione; è accettore e trasportatore di elet-troni in sistemi enzimatici attivi nella respirazione cellulare (citocromi); è ac-cettore e trasportatore di O2 nell’emoglobina.

L’organismo mantiene l’equilibrio del ferro attraverso:

• la costituzione di un pool di riserva;• la modulazione dell’assorbimento in funzione dei bisogni;• il recupero dal catabolismo degli eritrociti.

Fonti alimentariIl ferro è presente nelle carni, in particolare nel fegato e nella milza sotto formadi ferro “eminico” (ferro contenuto nell’eme dell’emoglobina e della mioglobina);nei vegetali (legumi, vegetali a foglia, frutta a guscio oleosa) si trova prevalen-temente sotto forma di sali inorganici. Latte e derivati, patate e frutta fresca sonoalimenti molto poveri di ferro.

Il ferro contenuto negli alimenti animali (carni) è assorbito dall’intestino più fa-cilmente di quello contenuto nei vegetali. Questo perché il suo assorbimento inte-stinale avviene in modo differente in relazione alla forma chimica del ferro con-

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tenuto negli alimenti: il ferro eminico è assorbito come tale dall’enterocita; ilferro inorganico contenuto nei vegetali è assorbito preferenzialmente sotto formadi ione ferroso (Fe2+). Affinché lo ione ferrico (Fe3+) possa essere ridotto a ioneferroso (Fe2+) è necessario l’intervento della secrezione gastrica e dell’azione ri-ducente della vitamina C.

Diversi fattori influenzano negativamente l’assorbimento intestinale del ferro,come la presenza di fitati e ossalati nei vegetali e i tannini contenuti nel tè e nelvino. Tra i fattori patologici vanno ricordati l’achilia (assenza di secrezione clo-ridrico-peptica), il malassorbimento e l’uso continuato di specifici antiacidi.

L’assorbimento intestinale del ferro è favorito invece, oltre che dalla vita-mina C, anche da alcuni aminoacidi e acidi organici. In condizioni “normali”circa il 10% del ferro contenuto negli alimenti è assorbito dall’intestino. Talequota aumenta in condizioni di un aumento dei bisogni (gravidanza, accresci-mento, anemia).

Trasporto e utilizzazioneIl bilancio del ferro è regolato dal contenuto in ferro della cellula intestinale che,in “condizioni normali”, assorbe e immette in circolo la quantità di ferro neces-saria a sostituire la quota eliminata per le diverse vie. In questo modo si evital’accumulo di ferro nell’organismo con i conseguenti fenomeni patologici (emo-siderosi, emocromatosi). La transferrina è la proteina di trasporto del ferro. Ilferro veicolato ai tessuti emopoietici (midollo osseo) è utilizzato per la sintesi diemoglobina della quale costituisce lo 0,34% in peso. Per questa sintesi viene uti-lizzato anche il ferro proveniente dalla lisi dei globuli rossi, quando hanno esau-rito il loro ciclo vitale (120 giorni). Il ferro interviene, inoltre, nella sintesi di mio-globina, contenuta nel muscolo, e di altri enzimi coinvolti nei processi ossidori-duttivi (catalasi, citocromi). Il ferro eccedente i bisogni è depositato nelle celluledel sistema reticoloendoteliale sotto forma di ferritina e di emosiderina.

La concentrazione plasmatica del ferro (sideremia) varia da 50 a 150 mg/dl.I livelli normali di transferrina variano da 230 a 430 mg/dl. L’eliminazione del ferro dall’organismo è limitata a 1 mg/die per l’uomo (via

intestinale, urinaria e cutanea) e a 1,5-1,8 mg/die per la donna in età fertile (allevie di eliminazione dell’uomo si aggiungono le perdite mestruali).

DeficienzaSi rimanda il lettore ai “Focus clinici” di fine capitolo.

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di ferro è di 10 mg per il maschio e 18 mgper la femmina adulta in età fertile.

ZINCO

Lo zinco nell’organismo umano, pari a circa 2 g, si concentra in particolare nellamuscolatura striata (60%), nelle ossa (30%) e nella pelle (4-6%).

FunzioniOltre 200 enzimi presenti nei sistemi biologici dipendono per la loro attività dallapresenza di zinco. È indispensabile per un normale svolgimento delle funzioniimmunitarie e per la moltiplicazione cellulare. Svolge anche un’azione antios-sidante ed è necessario per la formazione di ossa e muscoli.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Fonti alimentariLo zinco è contenuto in alimenti animali e vegetali; in questi ultimi la sua “dispo-nibilità” è fortemente ridotta dalla presenza di fitati, ossalati e fibra (insolubile).

DeficienzaLa deficienza di zinco si manifesta con una malattia cutanea denominata acro-dermatite enteropatica e con una sindrome rilevata in giovani maschi del MedioOriente la cui alimentazione è povera di zinco caratterizzata da arresto della cre-scita, ipogonadismo, anoressia.

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di zinco è di 10 mg per l’adulto.

RAME

Il contenuto totale di rame nell’organismo varia da 50 a 120 mg, di cui 40% neimuscoli, 15% nel fegato, 10% nel cervello, 10% nel sangue e il restante nel cuoree nei reni. Il rame viene trasportato in circolo per la maggior parte legato alla ce-ruloplasmina (90-95%).

FunzioniCostituente di enzimi e di metalloproteine (la più nota delle quali è la cerulo-plasmina), il rame è coinvolto nelle reazioni di ossidoriduzione, nel trasporto delferro, nella formazione del tessuto connettivo e della guaina mielinica del tes-suto nervoso.

Fonti alimentari e deficienzaIl rame è contenuto nel fegato e nel rene, nei molluschi e in alcuni frutti (avo-cado, noci, nocciole, uva secca). Una dieta equilibrata ne fornisce quantità ade-guate e la deficienza alimentare è rara; sono invece note malattie nelle quali siverifica un’alterazione del metabolismo di questo minerale (morbo di Wilson).

Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di rame è di 1,2 mg per l’adulto.

SELENIO

Il selenio è chimicamente simile allo zolfo e lo sostituisce negli aminoacidi solfo-rati. Fa parte di sistemi enzimatici che svolgono funzione di protezione dalle os-sidazioni (antiossidanti) in stretta relazione con la vitamina E (tocoferolo).

Il selenio è un elemento essenziale per l’attività della glutatione perossidasi,importante enzima che fa parte del sistema di difesa antiossidativo cellulare.

Per la sua attività antiossidante è stato ipotizzato che il selenio possa avereun ruolo protettivo nei confronti del processo di invecchiamento e anche per lepatologie neoplastiche. Tuttavia allo stato attuale mancano conferme certe chesupplementazioni alimentari di selenio siano effettivamente in grado di inibirela carcinogenesi.

Il selenio entra nella catena alimentare a partire dal terreno, il cui contenutone determina la concentrazione negli alimenti. In una regione della Cina è statarilevata una miocardiopatia da carenza di selenio (malattia di Keshan).

Minerali • CAPITOLO 22

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Quota giornaliera raccomandataLa quota giornaliera raccomandata di selenio è di 55 mg per l’adulto.

ALTRI MINERALI DI INTERESSE NUTRIZIONALE

Altri minerali di interesse nutrizionale sono:

• il fluoro, che riduce la suscettibilità alla carie dentale;• il manganese, che fa parte dei sistemi antiossidanti;• il molibdeno, che entra nell’attività di enzimi coinvolti nelle reazioni di os-

sidoriduzione;• il cromo, che ha un effetto di potenziamento dell’azione ipoglicemizzante

dell’insulina.

Di questi elementi non è stata ancora stabilita la rispettiva quota giornalieraraccomandata.

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

ANEMIE NUTRIZIONALI

Le anemie nutrizionali comprendono l’anemia da deficienza di ferro e l’anemiada deficienza di vitamina B12 e/o acido folico.

Si ricorda che per anemia si intende una diminuzione del numero di globulirossi (GR), e quindi della quantità di emoglobina (Hb) circolante nel sangue. Siconsiderano normali i seguenti valori di Hb, GR e di volume globulare medio(VGM):

Hb (g/dl) GR (milioni/mm3) VGM (fl)

Uomo 16 ± 2 5,4 ± 0,9 90 ± 7Donna 14 ± 2 4,8 ± 0,9 90 ± 7

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si devono considerare ane-mici i soggetti con tassi plasmatici di Hb inferiori a 13 g/dl per l’uomo, 12 g/dlper la donna e 11 g/dl per la gestante.

***

Le anemie da deficienza di ferro (o sideropeniche) sono piuttosto frequentianche nelle società affluenti, Italia compresa, almeno nei gruppi di popolazionea più elevato fabbisogno di ferro: lattanti, adolescenti, donne in età fertile.

Sono dovute in genere ad apporto alimentare inadeguato rispetto a un rela-tivo aumento delle esigenze di ferro, come si verifica, per esempio, nella fase diaccrescimento (bambini) e in gravidanza; oppure per l’aumento delle perditeematiche (emorragie anche clinicamente occulte, flussi mestruali abbondanti opiù frequenti che di norma); oppure, ancora, per alterazioni dell’assorbimentointestinale del minerale dovute a processi patologici.

Le anemie da deficienza di ferro sono caratterizzate dalla presenza in cir-

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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colo di GR più piccoli (VGM < 80) e meno colorati che di norma. L’anemia quindiè definita microcitica e ipocromica.

Clinicamente l’anemia da carenza di ferro si presenta con astenia, pallore,tachipnea, tachicardia. Comunque alcuni segni, quali la difficoltà di concentra-zione e l’affaticabilità nel lavoro, possono essere riscontrati già nelle fasi cheprecedono lo stato di carenza, che vanno identificate mediante misurazione diparametri ematici. In una prima fase (stadio di deplezione) le riserve sono az-zerate, come evidenziato dai valori della ferritina. Successivamente si ha la ri-duzione del ferro circolante e poi alterazioni dell’eritropoiesi con conseguentimodifiche delle caratteristiche dei globuli rossi. Protraendosi lo stato carenziale,i livelli di emoglobina si riducono al di sotto dei valori considerati normali, e inseguito si può instaurare una grave anemia microcitica e ipocromica.

La deficienza di vitamina B12 e/o acido folico si instaura per apporto ali-mentare inadeguato al quale talora (ma non sempre!) si associa un aumento deibisogni (per esempio, in gravidanza), oppure per alterazione dell’assorbimentointestinale da processi patologici, o ancora per interferenze di alcuni farmaci sul-l’assorbimento o sul metabolismo di detta vitamina. L’abuso alcolico rientra inquesta categoria.

L’anemia da deficienza di queste vitamine è caratterizzata dalla presenza incircolo di GR di volume più elevato (VGM > 100) e più colorati che di norma. L’a-nemia è quindi definita macrocitica e ipercromica.

Minerali • CAPITOLO 22

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ACQUA

L’acqua è un costituente fondamentale dell’organismo: tutte le reazioni meta-boliche, il trasporto dei nutrienti, l’eliminazione dei prodotti del metabolismonon più utilizzati avvengono in mezzo acquoso. Quantitativamente è il compo-nente predominante dell’organismo umano: infatti rappresenta circa il 60% delpeso di un individuo adulto. Tale percentuale è maggiore nell’infanzia (alla na-scita è circa il 77% del peso corporeo) e diminuisce progressivamente con l’etàe/o con l’aumentare dei depositi adiposi.

Nell’adulto l’acqua totale corporea è ripartita per circa due terzi all’internodelle cellule, ove costituisce il liquido intracellulare (LIC) che, in condizioni fi-siologiche, è un indice della massa cellulare corporea. La restante quota (unterzo) è esterna alle cellule, e costituisce il liquido extracellulare (LEC), che com-prende i liquidi interstiziali e quelli circolanti (plasma, linfa ecc.).

Bisogno di acqua e apporto idricoIl bilancio dell’acqua dipende dal mantenimento dell’equilibrio tra il volume diacqua in entrata e quello in uscita dall’organismo.

Il bisogno di acqua è variabile ed è in relazione con:

• il metabolismo energetico giornaliero e quindi con la massa corporea (me-tabolismo basale) e l’attività fisica;

• la quantità e la qualità degli alimenti ingeriti (carico di sostanze osmotica-mente attive, come per esempio il cloruro di sodio e le proteine dalle qualiproviene l’urea come prodotto del loro metabolismo);

• il clima e il microclima ambientali (temperatura e umidità dell’aria, ventila-zione).

Si ritiene che per l’adulto 1 ml di acqua per ogni kcal del suo metabolismoenergetico sia una quantità adeguata a bilanciare le perdite; in condizioni piùestreme (intensa sudorazione, attività fisica importante, elevato carico di soluti),la raccomandazione è di aumentare la quantità a 1,5 ml/kcal.

Nei bambini, per la maggior quantità di acqua corporea, per il suo più veloceturnover e per la ridotta capacità dei reni a eliminare il carico di soluti, il biso-gno di acqua è superiore a quello degli adulti; si raccomanda quindi un apportodi almeno 1,5 ml/kcal.

Particolare attenzione deve essere rivolta al soddisfacimento del fabbisognodi acqua nell’anziano, specie quando lo stimolo della sete è attenuato e/o quando

22223333ACQUA ED ELETTROLITI

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non può essere soddisfatto autonomamente, e nella donna che allatta, dato cheil latte prodotto è costituito da acqua per oltre l’87%.

L’acqua viene assunta quasi esclusivamente attraverso l’alimentazione. Piùprecisamente, le fonti d’acqua sono rappresentate da:

• acqua bevuta come tale o sotto forma di altre bevande;• acqua contenuta negli alimenti solidi;• acqua di ossidazione, proveniente cioè dal metabolismo intermedio di pro-

tidi, glucidi e lipidi che hanno subito i normali processi ossidativi (200-300ml/die).

L’acqua è un nutriente essenziale, poiché la modestissima quota metabo-lica non è assolutamente sufficiente a coprire il fabbisogno giornaliero.

Un apporto idrico normale per un adulto sano, che si attiene a un’alimen-tazione equilibrata, in un clima temperato e con attività fisica moderata, può es-sere considerato il seguente:

• acqua sotto forma di liquidi: 1000-1700 ml;• acqua presente in alimenti solidi: 800-1000 ml;• acqua di ossidazione (proveniente dal metabolismo): 200-300 ml;• per un apporto totale nelle 24 ore di 2000-3000 ml.

Nella tabella 23.1 è riportato il contenuto in acqua di alcune bevande e ali-menti solidi.

L’acqua assunta con le bevande e con gli alimenti non subisce digestione,ma viene assorbita contemporaneamente agli altri nutrienti nell’intestino tenue;un ulteriore riassorbimento idrico avviene nell’intestino crasso.

Ricordiamo che l’acqua non apporta energia (1 g di acqua = 0 kcal) e chenon può essere trasformata in grassi (l’acqua non fa ingrassare!).

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

374

Alimento Acqua g/100 g di sostanza edibile

Acqua 100Bevande alcoliche: vino, birra 90Bevande alcoliche: liquori, distillati 65Bibite gassate/succhi di frutta 85-90Latte, yogurt 87-89Frutta fresca 80-90Verdura fresca 80-95Pesce fresco 70-85Carni fresche 60-75Formaggi freschi 55-70Formaggi stagionati 30-50Uova 77Pane 30Pasta, riso, farine 10-12Zucchero TracceOlio Assente

TABELLA 23.1 CONTENUTO IN ACQUA DEI PRINCIPALI GRUPPI DI ALIMENTI

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ELETTROLITI

Nei due compartimenti corporei, LEC e LIC, sono distribuiti diversi elettroliti, inconcentrazioni differenti e con specifiche funzioni (v. anche Cap. 11 “Equilibrioacido-base”). I principali sono elencati di seguito.

SODIOIl sodio (Na+) è il principale catione dei liquidi extracellulari. Poco meno dellametà della quantità di sodio contenuta nell’organismo si trova nel LEC, una pic-cola parte (7%) nel LIC, il resto nell’osso.

La concentrazione plasmatica normale di sodio varia tra 135 e 145 mEq/l, conlimiti estremi, già indicativi di alterazioni patologiche, alle concentrazioni di 130e 150 mEq/l rispettivamente.

Fonti alimentariLa quantità di sodio assunta con l’alimentazione abituale è assai variabile in re-lazione con le culture popolari e le abitudini personali.

La quota prevalente dell’apporto alimentare è in relazione all’uso del sale(NaCl): ogni grammo di sale contiene circa 0,4 g di sodio; essa può variare tra 5e 15 g al giorno (pari a 82-250 mEq di Na+):

1 g di NaCl = 400 mg di Na+ = 17 mEq di Na+

1 mEq di Na+ = 23 mg di Na+

Oltre alla quota presente nel sale utilizzato a tavola e nella confezione ca-salinga dei cibi, il sodio è presente negli alimenti come tali (in quota maggiorenegli alimenti di provenienza animale rispetto a quelli di provenienza vegetale),e in particolare in quelli trattati con il sale a scopo organolettico o di conserva-zione (formaggi, salumi, carni e pesci conservati e affumicati, olive, sottaceti,prodotti in scatola ecc.), nei dadi per brodo e in alcune salse (per esempio, lasalsa di soia). Variabile è il contenuto in Na+ delle acque potabili.

Nella tabella 23.2 è riportato il contenuto di sodio e potassio di alcuni alimenti.

Acqua ed elettroliti • CAPITOLO 23

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Alimenti Sodio Potassio

mg/100 g di sostanza edibile

Carne, pollame, pesce 40-100 200-400Formaggi 200-1800 35-100Frutta fresca 1-10 110-374Latte vaccino 50 135Pane 500-700 70-160Pasta, riso 2-15 100-160Salumi e prosciutto 800-4000 140-350Uova 140 146Verdure e ortaggi 10-100 110-374

TABELLA 23.2 CONTENUTO DI SODIO E POTASSIO DI ALCUNI ALIMENTI

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FunzioniIl sodio è il principale determinante della pressione osmotica del LEC; inoltrepartecipa insieme ad altri elettroliti (K, Ca e Mg) alla modulazione dell’eccita-mento neuromuscolare.

L’eliminazione del sodio avviene essenzialmente per via urinaria; modestaè, in condizioni normali, l’eliminazione per via cutanea (sudore) e fecale. A li-vello renale sono attivi meccanismi per mezzo dei quali il sodio può essere quasicompletamente riassorbito a livello tubulare e quindi trattenuto nell’organismo.È questa una situazione che si verifica dopo qualche giorno di alimentazionemolto povera di sodio.

Livelli di assunzione raccomandatiIn condizioni normali il nostro organismo elimina giornalmente da 0,1 a 0,6 g disodio, quantità che sono già presenti naturalmente nei cibi, senza bisogno di ag-giunta di sale. La popolazione adulta italiana assume in media circa 10 g di sale(4 g di Na), quantità molto più elevata della dose necessaria. Dato che un ele-vato consumo di sale e di sodio può favorire l’instaurarsi dell’ipertensione arte-riosa ed è associato a un incremento del rischio anche per altre patologie (ne-fropatie, cardiopatie, osteoporosi ecc.), si raccomanda di ridurre il consumo di saleal di sotto di 6 g al giorno (= 2,4 g di sodio).

POTASSIOIl potassio (K+) è il principale catione del LIC: solo il 2% della quantità totale con-tenuta nel corpo si trova nel LEC; circa i due terzi del potassio intracellulare sitrovano nei muscoli.

La concentrazione plasmatica normale varia da 3,5 a 5 mEq/l.

Fonti alimentariL’introito medio giornaliero di potassio di un adulto può variare da 2000 a 6000 mg, corrispondenti a 50-150 mEq:

1 mEq di K+ = 39 mg di K+

È presente in abbondanza in quasi tutti gli alimenti, in concentrazioni rela-tivamente maggiori nei vegetali rispetto agli animali e, in questi ultimi, più nellecarni che nel latte e derivati (Tab. 23.2).

FunzioniInsieme a sodio, calcio e magnesio, il potassio è responsabile del mantenimentodel potenziale elettrico delle membrane cellulari e, quindi, interviene nella con-trazione muscolare e nella trasmissione degli impulsi nervosi.

In linea generale la quantità di potassio eliminata giornalmente con le urine bi-lancia quasi esattamente quella ingerita; l’eliminazione fecale, invece, in condizio-ni normali, è esigua e pressoché costante (il colon elimina K+ in scambio con Na+).

DeficienzaData l’ampia e ubiquitaria distribuzione del potassio negli alimenti, è estrema-mente improbabile che un deficit di potassio abbia esclusivamente cause ali-mentari. Una deficienza di potassio si verifica solo in presenza di perdite ecces-sive per via gastroenterica (vomito prolungato, diarrea cronica, abuso di lassativi)o urinaria (uso di diuretici, alcuni tipi di nefropatia cronica e disturbi metabolicicome l’acidosi diabetica).

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Altre condizioni in cui si può osservare deficit di potassio sono i traumatismiaccidentali o chirurgici e le ustioni che mobilizzano il K+ dai tessuti; inoltre, inqueste evenienze l’apporto alimentare è quasi sempre inadeguato.

In presenza di una funzione renale normale è quasi impossibile indurre uneccesso di potassio per carico alimentare, in quanto viene eliminato con le urine.Intossicazione acuta può verificarsi solo per eccessiva somministrazione ente-rale o parenterale di potassio.

Livelli di assunzione raccomandatiL’aumento dell’apporto di potassio è correlato a una riduzione della pressionearteriosa. È stato calcolato che un aumento dell’apporto medio di potassio da60 a 80 mEq/die (da 2,3 a 3,1 g/die) dovrebbe determinare una riduzione di 4mmHg della pressione sistolica media, e portare a una riduzione del 25% dei de-cessi correlati all’ipertensione. Per tali motivi si raccomanda un apporto mediodi 80 mEq/die (3,2 g/die) nell’adulto.

CALCIO E MAGNESIOCalcio (Ca2+) e magnesio (Mg2+) sono presenti nel plasma in concentrazioni di 4,5-5,5 mEq/l e 1,3-2,1 mEq/l, rispettivamente. Per dettagli riguardanti la provenienza,le funzioni e il metabolismo di questi minerali si rimanda al capitolo 22 “Minerali”.

CLOROQuantitativamente il cloro (Cl–) è l’anione più importante del LEC e ha la funzioneprecipua di accompagnarsi a Na+ (e a K+) in modo da mantenere l’elettroneutralitàdell’ambiente. È quindi il principale anione determinante la pressione osmotica delLEC. Inoltre è necessario per la formazione dell’acido cloridrico del succo gastrico.

La sua introduzione con gli alimenti avviene principalmente sotto forma dicloruro di sodio e varia tra 90 e 250 mEq al giorno.

La sua concentrazione plasmatica varia tra 95 e 105 mEq/l.L’eliminazione di Cl– è in genere strettamente collegata a quella di Na+ e av-

viene in prevalenza con le urine, ma vi può essere una perdita che si verifica inmodo indipendente in caso di vomito (perdita prevalente di Cl–).

BICARBONATOL’importanza di questo anione (HCO3

–), la cui concentrazione normale varia in ge-nere tra 25 e 28 mEq/l, è legata alla regolazione dell’equilibrio acido-base (pH)del sangue. Proviene dall’anidride carbonica (CO2) prodottasi nei processi me-tabolici, previa trasformazione di questa in acido carbonico (H2CO3), cui segue,nel plasma, la dissociazione secondo la sequenza di reazioni:

CO2 + H2O Æ̈ H2CO3 Æ̈ H+ + HCO3

Il sistema bicarbonato/acido carbonico (HCO3–/H2CO3), che nel LEC, in con-

dizioni normali, ha un rapporto pressoché costante, interviene come sistema tam-pone nelle variazioni del pH del sangue.

PROTEINETutte le proteine comprendono nella loro molecola cariche elettriche positive (+)e cariche negative (–). Il prevalere dell’uno o dell’altro tipo di carica dipende dalpH del mezzo nel quale si trovano: a pH 7,40 prevalgono le cariche negative epertanto, nel plasma le proteine si comportano come anioni.

La concentrazione normale delle proteine circolanti è di 16 mEq/l.

Acqua ed elettroliti • CAPITOLO 23

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ALTRI ANIONIIn questa categoria rientrano i solfati, i fosfati e altri acidi organici.

I solfati (SO42–) provengono dal metabolismo degli aminoacidi solforati e la

loro concentrazione plasmatica, in condizioni normali, è pressoché trascurabile.I fosfati (PO4

3–) partecipano insieme al calcio alla formazione dell’osso; sonocoinvolti come sistema tampone nella regolazione dell’equilibrio acido-base deiliquidi biologici e la loro concentrazione plasmatica è di 2-2,5 mEq/l. Tale con-centrazione è regolata, insieme a quella del calcio, dall’ormone paratiroideo.

I restanti anioni derivano da acidi organici che, in genere, sono prodotti delmetabolismo intermedio. La loro concentrazione nel plasma è di circa 6 mEq/l.

ELIMINAZIONE DI ACQUA ED ELETTROLITI

L’eliminazione dell’acqua e degli elettroliti avviene per via renale e per via ex-trarenale.

Eliminazione per via renaleIl rene, con l’escrezione di urine, è il principale regolatore del volume e del con-tenuto elettrolitico dei liquidi biologici. Con la propria attività emuntoria inter-viene nel regolare:

• la quantità totale di acqua nel corpo;• la quantità totale di elettroliti del corpo;• la concentrazione degli elettroliti nei due compartimenti (LIC e LEC);• la concentrazione degli idrogenioni (H+) e quindi il pH dei due compartimenti.

Di particolare importanza al fine del mantenimento del volume dei liquidicorporei è la capacità renale di concentrazione massima con la quale si eliminaun carico osmotico di 1000-1200 mOsm/l, quale risulta dall’alimentazione abi-tuale, con un volume urinario di 700 ml.

Al mantenimento dell’omeostasi idrosalina partecipano due sistemi ormo-nali i cui effetti si esplicano a livello renale: l’ormone antidiuretico e l’aldoste-rone.

L’ormone antidiuretico (ADH), elaborato dai centri nervosi ipotalamici e im-magazzinato nell’ipofisi posteriore, è immesso in circolo in risposta a modestiaumenti dell’osmolarità plasmatica. La sua presenza a livello del tubulo distaledetermina un rapido passaggio di acqua verso l’interstizio renale con il risultatoche vengono eliminati piccoli volumi di urine molto concentrate.

L’aldosterone, invece, ormone prodotto dalla corteccia surrenale, intervienesull’escrezione urinaria del sodio di cui favorisce il riassorbimento a livello deltubulo distale, in scambio di ioni H+ e K+.

Eliminazione per via extrarenaleLe vie cutanea, polmonare ed enterica rappresentano le vie extrarenali di elimi-nazione di acqua ed elettroliti.

Per via cutanea l’eliminazione di acqua avviene per semplice evaporazione(perspirazione insensibile) e per escrezione di sudore (perspirazione sensibile). Laperspirazione insensibile fa parte dei processi di termoregolazione e determinauna “perdita obbligatoria” di acqua che, in condizioni normali, è di 400-500ml/giorno. La sudorazione comporta anche un’eliminazione di elettroliti (Na+ eCl– in concentrazioni assai inferiori a quelle del plasma, K+ e Ca2+).

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Per via polmonare l’acqua viene eliminata tramite l’aria espirata, che è sa-tura di vapore acqueo. Anche per questa via viene eliminata obbligatoriamentesolo acqua (300-400 ml/giorno).

Per via enterica, in circostanze normali, l’eliminazione di acqua e di elet-troliti con le feci è modesta. Vengono eliminati circa 100-200 ml di acqua/die;la concentrazione di K+ è superiore a quella di Na+. L’eliminazione idroelettroli-tica per via digestiva assume importanza soltanto in situazioni patologiche pervomito, diarrea, fistole digestive o aspirazioni gastroenteriche.

Ricordiamo che si considerano obbligate le perdite di acqua che avvengonocomunque, indipendentemente dagli apporti idrici (per esempio, con la perspi-razione insensibile o la respirazione) e che sono sempre da compensare.

Per un soggetto sano, che si attiene a un’alimentazione equilibrata, in unclima temperato e con attività fisica moderata, si considerano normali i seguentivalori di eliminazione di acqua:

• attraverso la cute: 500-600 ml;• attraverso i polmoni: 400-600 ml;• con le feci: 100-200 ml;• con le urine: 1000-1600 ml;con una eliminazione totale nelle 24 ore di 2000-3000 ml.

In condizioni normali non vi è apprezzabile differenza tra la quantità di ac-qua ingerita e quella eliminata e, quindi, il bilancio idrico è in equilibrio.

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

LE SOLUZIONI PER INFUSIONE PARENTERALE (ENDOVENOSA)IMPIEGATE NEL TRATTAMENTO DEGLI SQUILIBRI IDROELETTROLITICI

Acqua ed elettroliti • CAPITOLO 23

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INTRODUZIONE

L’etanolo o alcol etilico è una sostanza ad alto contenuto energetico, presentenelle bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici ecc.).

L’uso di bevande a contenuto alcolico è ampiamente diffuso e fa parte delladieta e della cultura di molti Paesi. In Italia, in modo particolare, è consuetudinebere uno o più bicchieri di vino durante i pasti, anche se attualmente questa abi-tudine è sempre più soppiantata, specie tra i giovani, da quella di bere alcolici(birra, cocktail) al di fuori dei pasti e in quantitativi abbondanti.

L’etanolo dev’essere considerato un nutriente di natura particolare perché,oltre a produrre energia nel corso del suo metabolismo, può provocare effettifarmacologici o addirittura tossici in funzione della quantità ingerita. Conosceregli effetti dell’alcol sull’uomo diventa tanto più necessario dal momento che fre-quentemente, nella pratica sanitaria, si osservano le conseguenze patologichedell’abuso di bevande alcoliche.

UTILIZZAZIONE DELL’ETANOLO

L’assorbimento dell’etanolo avviene già in quantità moderata a livello dello sto-maco e si completa rapidamente nel primo tratto dell’intestino; una volta as-sorbito l’alcol passa nel sangue e quindi al fegato, dove viene obbligatoriamenteossidato con liberazione di energia. L’assorbimento è più rapido quando lo sto-maco è vuoto (controindicato bere a digiuno!) e più lento quando la bevanda èassunta durante o poco dopo il pasto.

L’etanolo contenuto nelle bevande alcoliche è quindi fonte di energia: 1 g dialcol fornisce 7 kcal.

Per stabilire la quantità (in grammi) di alcol ingerita per volta e per giorno ènecessario ricordare che per gradazione alcolica di una bevanda si intende il vo-lume in millilitri di etanolo contenuto in 100 ml di bevanda. Poiché 1 ml di etanolopesa circa 0,8 g, il valore energetico di 1 grado alcolico è di 5,6 (= 7 ¥ 0,8) kcal.

A titolo esemplificativo riportiamo il valore energetico di alcune bevande al-coliche:

• 1 bicchiere (125 ml) di vino a 12°: 90 kcal;• 1 dose (50 ml) di whisky a 40°: 112 kcal;• 1 dose (25 ml) di grappa a 42°: 57 kcal;• 1 boccale (250 ml) di birra (contiene anche carboidrati) a 4°: 85 kcal.

22224444ALCOL ETILICO O ETANOLO

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EFFETTI FARMACOLOGICI, TOLLERANZA, DIPENDENZA

Generalmente nei soggetti che non assumono abitualmente bevande alcoliche,il metabolismo (ossidazione) dell’etanolo a livello epatico si svolge piuttosto len-tamente, a una velocità quasi costante, cosicché la concentrazione dell’alcol nelsangue (alcolemia), che raggiunge i massimi livelli tra 1/2 ora e 2 ore dall’as-sunzione, diminuisce in un periodo di tempo abbastanza lungo: occorrono al-meno 4 ore per eliminare dal sangue l’alcol contenuto in poco più di 250 ml di vinoa 12° (2 bicchieri).

La lenta metabolizzazione, associata al rapido assorbimento, in caso di as-sunzioni di elevate quantità di alcolici può facilmente determinare aumenti del-l’alcolemia con le manifestazioni dell’etilismo acuto. Esse dipendono dai livellidell’alcolemia e variano dall’iniziale euforia all’eccitamento con alterazioni delcomportamento, allo stato confusionale fino al sonno profondo e al coma.

Se però l’assunzione di bevande alcoliche diviene regolare, entrando a farparte delle abitudini personali, il metabolismo dell’etanolo a livello epatico di-viene più rapido cosicché il soggetto può “tollerare” quantità maggiori di etanolosenza andare incontro agli episodi di “ebbrezza acuta”, che si manifestano sol-tanto quando le dosi abituali vengono largamente superate.

Con il perdurare nel tempo dell’abitudine alle bevande alcoliche, si svilup-pano altri meccanismi che portano il soggetto a “tollerare” dosi piuttosto elevatedi etanolo senza l’apparente manifestazione di alcun disturbo. Si ritiene che ciòpossa verificarsi per una sorta di adattamento neuronale che consente un nor-male svolgimento delle varie funzioni cerebrali anche in presenza di elevate con-centrazioni di etanolo nel sangue. A questo punto, se non intervengono processicognitivi tendenti a limitare o comunque a controllare l’assunzione di bevandealcoliche, si instaurano le premesse per consumi sempre più massicci di etanolofino a dosi da ritenere sicuramente “eccessive” rispetto alle consuetudini diete-tiche e sociali della comunità alla quale il soggetto appartiene.

Questa situazione può accompagnarsi per qualche tempo a una normale ef-ficienza psicofisica, ma è piuttosto raro che l’esposizione prolungata a elevati li-velli plasmatici di etanolo non provochi la comparsa di qualche forma di pato-logia alcol-correlata. Inoltre, anche se più raramente, può accadere che, per unnormale svolgimento della vita di relazione, il soggetto debba ricorrere all’alcol,come se l’attività neuronale, e quindi le varie funzioni nervose, non possanosvolgersi senza l’apporto di etanolo.

Si crea così alcol-dipendenza nella quale, in analogia con le altre tossico-dipendenze, l’alcol funziona come una droga. L’alcolismo, associato a una fortepulsione verso l’assunzione di alcolici e alla comparsa della sindrome di asti-nenza quando se ne sospende l’assunzione, caratterizza l’alcol-dipendenza.

Da ricordare inoltre che l’etanolo provoca effetti depressivi sulle funzionicerebrali. La sua azione si aggiunge a quella dei farmaci depressivi del sistemanervoso centrale (barbiturici, benzodiazepine, ipnotici).

EFFETTI DELL’ETANOLO SULLO STATO DI NUTRIZIONE

Nei soggetti abituali consumatori di bevande alcoliche, l’apporto energetico del-l’alcol, unito a quello fornito dall’alimentazione, può contribuire allo sviluppo disovrappeso o franca obesità. Tuttavia, quando l’assunzione di bevande alcoli-che diviene incontrollata si può verificare una diminuzione di peso associata allosviluppo di malnutrizione: l’anoressia tipica dell’etilista cronico contribuisce alla

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sensibile diminuzione degli apporti di alimenti e ha un ruolo importante nel de-terminare il calo ponderale. Inoltre l’etanolo:

• interferisce negativamente sui processi di assorbimento e di immagazzina-mento della vitamina A, dell’acido folico e di alcune altre vitamine del gruppoB (B1, B6 e PP);

• influisce sulla concentrazione di alcuni minerali, con meccanismi diversi,spesso associati a carenze alimentari. Non è eccezionale nel bevitore incal-lito il riscontro di diminuzioni della concentrazione plasmatica di potassio,magnesio, fosforo e zinco.

Il forte bevitore è spesso malnutrito perché le calorie (vuote) fornite dall’alcol sisostituiscono a quelle provenienti dagli altri alimenti ricchi di nutrienti.

Infine, l’assunzione di bevande alcoliche anche a dosi modeste predispone,in certi soggetti, all’aumento della concentrazione plasmatica di trigliceridi (iper-trigliceridemia) e dell’acido urico (iperuricemia).

USO CORRETTO DELLE BEVANDE ALCOLICHE

La natura particolare che si attribuisce all’etanolo come nutriente si riflette nelle for-mulazioni delle raccomandazioni ufficiali nelle quali, a differenza degli altri nutrien-ti, per l’etanolo manca ogni accenno all’“assunzione giornaliera raccomandata”.

I LARN “ammettono” un consumo giornaliero di etanolo per l’adulto di 40 g perl’uomo e di 30 g per la donna. Questa quantità corrisponde a un totale di non piùdi 3 bicchieri di vino al giorno per gli uomini e di 2 bicchieri per le donne, da ri-partire nei due pasti principali. Nell’anziano la quantità ammissibile si riduce a30 g nei maschi e 25 g nelle femmine.

Vi sono inoltre situazioni fisiologiche e patologiche in cui non andrebbe con-sumato nessun tipo di bevanda alcolica (gravidanza, età inferiore a 18 anni, dia-bete mellito, assunzione di alcuni farmaci, guida di autoveicoli). Non appare op-portuno, infine, allargare l’assunzione di alcol, anche in piccole quantità, allapopolazione che non ne fa uso.

A questo concetto di quantità tollerabile, perché scarsamente tossica, studiepidemiologici degli ultimi decenni hanno associato l’osservazione che il con-sumo di piccole quantità di alcol possa avere addirittura un ruolo protettivo nei con-fronti di alcune malattie. In particolare, moderate assunzioni di alcolici (inferioria 40 g/die di etanolo) sarebbero associate a una ridotta mortalità per malattiecardiovascolari; ciò potrebbe trovare una parziale spiegazione nell’effetto posi-tivo esercitato da tali quantità di etanolo sui livelli plasmatici delle lipoproteinead alta densità (HDL) e sui parametri emocoagulativi (aumenta la fluidità del san-gue). Non è però ancora completamente chiarito se l’effetto protettivo sia asso-ciabile solamente all’alcol di per sè o se invece non sia da attribuire, come indi-cherebbe la maggior parte delle evidenze, alla natura della bevanda alcolica: lebevande fermentate, come il vino o la birra, contengono oltre all’alcol altre so-stanze a effetto protettivo (risveratrolo e altri antiossidanti naturali).

È necessario infine sottolineare che i Paesi a più alto consumo di alcol e mi-nore mortalità coronarica (paradosso francese) presentano per contro una mag-giore mortalità alcol-correlata.

Purtroppo una parte non indifferente della nostra popolazione supera il limitedi consumo sopraindicato, anche se molti di questi soggetti non sembrano incor-rere in alcuna conseguenza negativa. Viene allora spontaneo domandarsi quale

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quantità di etanolo sia eccessiva, ovvero “quale sia il livello oltre il quale l’abitudinedi bere alcolici porta alla malattia o diviene essa stessa malattia (alcol-dipendenza)”.

Non è facile stabilire il livello di demarcazione tra la quantità dannosa e quellanon dannosa di bevande alcoliche assunte giornalmente perché, oltre al crite-rio quantitativo, si devono prendere in considerazione altre variabili strettamentecorrelate all’individuo, come la massa corporea, lo stato di nutrizione e l’ali-mentazione abituale. Un altro criterio di notevole importanza nella discrimina-zione è dato dalla conoscenza dei modi e delle circostanze nelle quali il soggettoè portato ad assumere bevande alcoliche. A questo proposito è utile definire conuna certa precisione i termini uso e abuso di bevande alcoliche.

Uso è l’assunzione abituale od occasionale di bevande alcoliche “per ciò cheesse sono”, ossia per le caratteristiche organolettiche (gusto, colore, aroma) evoluttuarie, in quantità e con modalità consone al contesto sociale e culturaledi appartenenza, in situazioni appropriate e con la conservazione della capacitàdi controllo dell’assunzione.

L’abuso è considerato un uso patologico e consiste nel:

• ricercare nell’alcol gli effetti specifici (farmacologici!) sulla psiche, come l’ef-fetto euforizzante o tranquillizzante, o di procacciatore del senso di benes-sere;

• ricorrere all’alcol, proprio per questi suoi effetti, ogni volta che si deve af-frontare uno stato di disagio, oppure sgradevoli situazioni interpersonali;

• aver perso la capacità di controllo dell’assunzione e quindi continuare a bereeccessivamente nonostante il rischio di danni fisici o sociali o anche in pre-senza di tali danni.

Sul piano pratico, rientrano nel quadro di abuso di alcol i seguenti compor-tamenti:

• bere alcolici al mattino e/o fuori pasto più volte al giorno;• bere da soli in casa o al bar;• concedersi eccessi alcolici costantemente nei week-end o a ogni occasione

conviviale oppure quando si deve affrontare una prova impegnativa o in unasituazione emotiva;

• continuare ad assumere dosi rilevanti di alcolici pur avendo patologie che necontroindicano l’uso, oppure in situazioni di crisi dei rapporti familiari o dilavoro provocate dall’abuso di alcol.

Si delinea così il classico quadro dell’alcolismo che, secondo l’Organizza-zione Mondiale della Sanità (OMS) è un disordine comportamentale cronico ma-nifestato da un’assunzione ripetuta di bevande alcoliche in eccesso rispetto agliusi dietetici e sociali della comunità e a un grado tale da interferire con la salutedel bevitore o con la sua funzione sociale o economica.

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FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

PATOLOGIA ALCOL-CORRELATA

Le diverse malattie provocate dall’abuso di alcol sono raggruppate sotto la de-nominazione di patologie alcol-corrrelate.

Sistema nervoso centrale e periferico• Un tipo particolare di encefalopatia acuta, spesso associata a una psicosi ca-

ratterizzata da gravi alterazioni della memoria (sindrome di Wernicke-Kor-sakoff), è determinata dall’associazione dell’eccesso alcolico con deficienzenutrizionali, in particolare di vitamina B1. Anche la degenerazione cerebel-lare può essere provocata da tale associazione. La compromissione dei pro-cessi cognitivi e mnemonici (cioè della memoria) dell’etilista può sfociare alungo andare nella demenza alcolica.

• L’interessamento del sistema nervoso periferico si manifesta nel 5-15% de-gli alcolisti con polineuropatie caratterizzate da disturbi della sensibilità edella motilità delle estremità distali degli arti.

• Sul piano psichiatrico, l’etanolo può provocare psicosi acute con allucina-zioni, stati depressivi, sindromi ansioso-ossessive.

Apparato digerente• Le lesioni a carico dell’apparato digerente provocate dall’eccesso di etanolo

sono: i processi infiammatori a carico dell’esofago, favoriti anche dal reflussogastroesofageo indotto dall’alcol (esofagite da reflusso); le gastriti con atro-fia della mucosa; l’accelerazione del transito intestinale (diarrea dell’alcoli-sta) con compromissione dell’assorbimento di nutrienti.

• Molto più gravi sono le manifestazioni cliniche del danno pancreatico (pancrea-titi acute e croniche) e a carico del fegato (steatosi, epatite alcolica, cirrosi).

Apparato cardiovascolare• L’etanolo diminuisce la contrattilità del miocardio e provoca vasodilatazione

periferica. Ne consegue una diminuzione della pressione arteriosa. Tuttavial’assunzione cronica di alcol in eccesso determina ipertensione arteriosa,aritmie cardiache e miocardiopatia dilatativa.

• È segnalata un’associazione significativa tra l’insorgenza di accidenti cerebro-vascolari (ictus) e l’assunzione eccessiva di etanolo nelle 24 ore precedenti.

Altri apparati• L’anemia macrocitica è abbastanza frequente nell’etilista cronico e dipende

dalla deficienza di acido folico indotta dall’alcol.• L’alcolismo cronico compromette la funzione sessuale nell’uomo e può de-

terminare amenorrea nella donna.• Anche il muscolo scheletrico è interessato dagli eccessi alcolici (miopatie).• Di particolare importanza è la sindrome alcolica fetale determinata dal-

l’eccessiva introduzione di alcol da parte delle madri durante la gravidanzae caratterizzata da microcefalia (cranio piccolo), grave ritardo dello sviluppomentale e lesioni valvolari al cuore del neonato.

• Infine le neoplasie sono più frequenti nell’etilista rispetto alla popolazione ge-nerale con aumento dell’incidenza di tumori a livello di capo-collo, esofago,stomaco, pancreas, fegato e, secondo dati recenti, anche della mammella.

Alcol etilico o etanolo • CAPITOLO 24

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INTRODUZIONE

Tutti gli alimenti freschi sono deperibili. Nell’arco di tempo che intercorre tra laraccolta o la macellazione e il consumo, le derrate alimentari subiscono una se-rie di trasformazioni che le deteriorano e le rendono non commestibili se nonvengono correttamente conservate. Gran parte degli alimenti abitualmente con-sumati è sottoposta quindi a procedimenti tecnologici a scopo di conservazioneo di modificazione di alcune qualità organolettiche. Le tecnologie impiegate perla conservazione degli alimenti hanno lo scopo principale di eliminare le causedel deterioramento al quale sono esposti, in misura maggiore o minore, quasitutti gli alimenti. Il deterioramento è determinato soprattutto dalla persistenzadell’attività di certi enzimi che modificano la composizione chimica degli ali-menti e dalla presenza di microrganismi che utilizzano per la loro riproduzionealcune sostanze contenute negli alimenti stessi.

Presupposto indispensabile per ottenere un buon risultato dai vari procedi-menti tecnologici applicati a un prodotto alimentare è quello di conservare o mi-gliorare le caratteristiche organolettiche originali, mantenendo il più possibileinalterato il suo valore nutrizionale. Grazie a una continua evoluzione del set-tore e alle nuove tecnologie, i possibili effetti negativi dei procedimenti di con-servazione tendono a essere sempre più ridotti, garantendo comunque la salu-brità dei prodotti per periodi sempre più lunghi.

Sinteticamente, i principi su cui si basano le tecniche di conservazione deglialimenti sono:

• trattamento al calore:– cottura– pastorizzazione– sterilizzazione– blanching o “scottatura”

• rimozione dell’acqua:– disidratazione– concentrazione

• utilizzo delle basse temperature:– refrigerazione– congelazione– surgelazione

22225555CONSERVAZIONEDEGLI ALIMENTI

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• controllo del pH:– aggiunta di acidi– fermentazione

• irradiazione• aggiunta di additivi chimici.

I trattamenti termici (freddo o calore) sono i mezzi più comuni per conser-vare gli alimenti.

TRATTAMENTO DEGLI ALIMENTI CON IL CALORE

L’esposizione sia al calore solare sia a quello del fuoco è uno dei mezzi più an-tichi che l’uomo abbia applicato per realizzare la conservazione degli alimenti.Con il calore, oltre a rendere commestibili e a migliorare la palatabilità di nu-merosi alimenti, si determina l’inattivazione di enzimi e la distruzione totale oparziale della flora microbica.

Cottura degli alimentiGli alimenti, sottoposti a trattamento termico, subiscono numerose trasforma-zioni che riguardano le qualità organolettiche, il valore nutrizionale, il grado didigeribilità e anche l’eventuale tossicità per la presenza di batteri o di sostanzetossiche o comunque dannose. Questa serie di effetti dipende dalla temperaturae dalla durata del riscaldamento e si verifica anche durante i normali processi dicottura degli alimenti.

La cottura in generale migliora le qualità organolettiche (sapore, odore ecc.)e facilita la digeribilità e la masticazione degli alimenti; rende inoltre edibili(mangiabili) alcuni alimenti che, altrimenti, non potrebbero essere consumati(legumi, cereali ecc.). Determina, infine, la scomparsa o la diminuzione della ca-rica batterica e di certe sostanze tossiche. Accanto a questi effetti che si possonoritenere complessivamente favorevoli, durante la cottura si verificano alcunemodificazioni chimico-fisiche che alterano parzialmente le caratteristiche nu-trizionali dell’alimento.

Il grado più o meno marcato di queste modificazioni dipende dalle tipologiedi cottura utilizzate, in ambiente secco (per esempio, forno) o umido (per esem-pio, bollitura), tenendo presente che in campo industriale, diversamente dellacottura domestica, la standardizzazione dei tempi e delle temperature e lo svi-luppo di nuove tecnologie consentono di ottenere gli effetti desiderati minimiz-zando il danno ai nutrienti.

Alcuni alimenti (non tutti) subiscono variazioni di volume e di peso durantela cottura: cereali e legumi aumentano di volume e di peso in quanto assorbonouna certa quantità di acqua di cottura, con una sorta di “diluizione” dei loro com-ponenti nutritivi; mentre le carni diminuiscono di volume e di peso per la per-dita di acqua.

È possibile, inoltre, che durante i processi di cottura alcuni composti chimicipresenti nell’alimento interagiscano tra di loro dando luogo alla formazione diprodotti con proprietà nutrizionali diverse da quelle dei composti di partenza.Queste variazioni possono avvenire anche per interazioni dei componenti chi-mici dell’alimento con il sugo nel quale esso viene cotto oppure per cottura si-multanea in un medesimo recipiente di alimenti differenti.

La denaturazione delle proteine è la caratteristica modificazione indottadalla cottura degli alimenti proteici come le carni. Tale processo consiste nella

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perdita della struttura tridimensionale delle proteine, che vengono così più fa-cilmente demolite dai succhi digestivi e rese più digeribili. Tuttavia, se un ali-mento proteico come la carne è cotto in un sugo che contiene zucchero (comenel caso di un arrosto al latte nel quale è presente lattosio) oppure insieme a unalimento glucidico (per esempio, una cotoletta impanata), il processo di dena-turazione facilita l’interazione tra gruppi aminici di alcuni aminoacidi essenzialie lo zucchero presente nell’alimento, con formazione di composti chimici prividi ogni valore nutrizionale in quanto non assorbiti dall’intestino. Tali processisono noti come reazione di imbrunimento o di Maillard.

La cottura negli oli e nei grassi da condimento, specialmente se eseguitaa temperature elevate e protratta nel tempo, oppure effettuata ripetutamentenello stesso olio, può dare luogo alla formazione di composti tossici.

Altri tipi di perdite del valore nutrizionale degli alimenti sottoposti a cotturariguardano la distruzione parziale di vitamine. A questo proposito è bene ri-cordare che alcune vitamine sono termolabili mentre altre sono termostabili, eche le perdite vitaminiche nei prodotti di origine vegetale sono influenzate an-che dalla quantità di acqua utilizzata per la cottura e dal grado di acidità o di al-calinità del mezzo di cottura.

Nonostante tutto, le alterazioni del valore nutritivo dei vari alimenti sottopostiall’azione del calore sono modeste purché le temperature non siano particolarmen-te elevate e soprattutto non vengano mantenute per tempi eccessivamentelunghi.

La cottura in forni a microonde costituisce un più recente metodo di cotturaal quale si attribuisce la proprietà di preservare meglio il contenuto nutrizionaledell’alimento.

Le principali alterazioni del contenuto in nutrienti degli alimenti in relazionealla tipologia di cottura sono riportate nella tabella 25.1.

PastorizzazioneLa pastorizzazione è un processo che viene effettuato a temperature inferiori a100 °C. Con questo procedimento si ottengono la distruzione dei microrganismipatogeni, una sensibile riduzione di tutta la flora microbica, anche di quella nonpatogena, e l’inattivazione degli enzimi presenti nell’alimento.

Il tempo e la temperatura di pastorizzazione dipendono dalla composizionechimica dell’alimento da trattare; per il latte la tecnica tradizionale prevede unatemperatura di 75 °C applicata per 15-20 secondi, ma attualmente si preferisceil trattamento a 85 °C per 4 secondi. Con temperature più alte e tempi più brevi,si preservano maggiormente le caratteristiche nutrizionali e organolettiche delprodotto. Oltre al latte possono essere sottoposti a pastorizzazione il vino, labirra e i succhi di frutta.

SterilizzazioneLa sterilizzazione si attua con l’impiego di temperature superiori a 100 °C e de-termina, oltre all’inattivazione degli enzimi, la distruzione completa di tutta laflora batterica, patogena e non patogena.

La sterilizzazione è applicata in genere su alimenti inscatolati (frutta sciroppa-ta, piselli, fagioli ecc.). Nel caso del latte si effettua con l’impiego di temperatureelevate per tempi brevi (UHT, ultra-high-temperature): 145 °C per 1-2 secondi. Illatte così trattato si conserva a lungo (latte a lunga conservazione) a differenzadel latte pastorizzato che può essere conservato in frigorifero solo per qualchegiorno.

In linea generale, la sterilizzazione, rispetto alla pastorizzazione, permette

Conservazione degli alimenti • CAPITOLO 25

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la conservazione degli alimenti per più lungo tempo (se la confezione è mante-nuta chiusa), ma le caratteristiche del prodotto e il contenuto in nutrienti subi-scono maggiori alterazioni.

BlanchingLa “scottatura” o blanching consiste in una breve precottura a cui vengono sot-toposti i vegetali prima di essere surgelati, essiccati o confezionati in scatola,allo scopo di inattivare gli enzimi responsabili del deterioramento dell’alimento.

TRATTAMENTO DEGLI ALIMENTI CON IL FREDDO

Trattare l’alimento con il freddo, in modo da ridurre o bloccare l’attività degli en-zimi e la moltiplicazione microbica, è uno dei metodi più efficaci di conserva-zione degli alimenti. Si distinguono tre tecniche di raffreddamento: la refrigera-zione, il congelamento e il surgelamento.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Tecnica di cottura Principali modifiche dell’alimento

In mezzo umido:

• Bollitura

• Cottura a vapore o a pressione

• Cottura in umido (brasata o stufata)

In mezzo secco:

• Cottura al forno: convenzionale(gas, elettrico) o a microonde

• Arrostimento (alla griglia, alla piastra)

• Frittura

TABELLA 25.1 ALTERAZIONI DEL CONTENUTO NUTRIZIONALE DEGLI ALIMENTISOTTOPOSTI A DIVERSE TECNICHE DI COTTURA

• Perdita di nutrienti idrosolubili (per esempio vita-mine C, B1, folati) nell’acqua di cottura, in relazionealla quantità di acqua, ai tempi di cottura e alla su-perficie di contatto dell’alimento

• Riduzione dei tempi di cottura; possibili minori per-dite di nutrienti

• Perdita di vitamine, di alcuni minerali e di proteineche si diffondono nel sugo di cottura

• Perdita progressiva di acqua (essiccamento)• Perdita di vitamine più contenuta con temperature

e tempi di cottura più brevi (per esempio, forni atermoconvezione, microonde)

• Reazione di Maillard

• Minori perdite di nutrienti nella cottura alla piastra;nella cottura alla griglia possibile formazione dicomposti nocivi

• Perdita di vitamine termolabili• Assorbimento nell’alimento di parte del grasso di

cottura• Alterazioni del grasso in grado più o meno marcato

in relazione a: temperatura raggiunta, tempi di espo-sizione, tipo di grasso, presenza di acqua e/o aria.

• Formazione di composti potenzialmente nocivi (pe-rossidi, idroperossidi, aldeidi, acroleina ecc.) chepossono essere assorbiti dall’alimento

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RefrigerazioneLa refrigerazione si ottiene portando l’alimento a temperatura compresa tra 0-5 °C,condizioni che si raggiungono in un normale frigorifero. Le reazioni chimiche ed en-zimatiche sono notevolmente rallentate come anche le modificazioni a carico del-l’alimento. Con la refrigerazione si aumenta la conservabilità dei prodotti per breviperiodi.

CongelamentoIl congelamento si ottiene raffreddando l’alimento al di sotto del punto di con-gelamento dei liquidi in esso contenuti (si trasforma l’acqua in cristalli di ghiac-cio). Questo metodo è applicato a carni, uova, burro ecc.

SurgelazioneLa surgelazione si attua mediante un abbassamento rapido (in meno di 4 ore)della temperatura dell’alimento a –18 °C; in tal modo il congelamento dell’acquacontenuta nelle cellule animali e vegetali dei vari alimenti forma dei microcri-stalli che non danneggiano le pareti cellulari.

Ne risulta un prodotto che si mantiene inalterato per molti mesi purché siacostantemente mantenuto alla temperatura di –18 °C fino al momento della suautilizzazione (catena del freddo).

Il surgelamento può essere applicato anche a cibi già cucinati, che possonopoi essere utilizzati per il consumo domestico oppure nelle mense collettive, ne-gli ospedali ecc.

Il mantenimento delle qualità organolettiche e nutrizionali è una buona ga-ranzia per questi usi. Infatti, gli alimenti conservati alle basse temperature nonsubiscono sostanziali modificazioni del loro valore nutrizionale. Al massimo, vipossono essere alcune riduzioni delle attività vitaminiche se il ritorno alla tem-peratura ambiente dell’alimento non è effettuato secondo determinate modalitàoppure se l’alimento già cucinato dev’essere ulteriormente riscaldato prima diessere consumato.

RIMOZIONE DELL’ACQUA DALL’ALIMENTO

Disidratazione: essiccamento e liofilizzazioneLa rimozione dell’umidità (acqua) da un alimento riduce o elimina uno dei fat-tori favorenti la degradazione.

Con la disidratazione, si ottiene per evaporazione (essiccamento) o su-blimazione (liofilizzazione) la rimozione della quasi totalità dell’acqua pre-sente nell’alimento. Vengono utilizzate diverse tecniche, applicate a numerosecategorie di alimenti solidi o liquidi: frutta, ortaggi, latte, caffè, carni, pesci,uova ecc.

La liofilizzazione, procedimento molto più sofisticato rispetto ad altre tec-nologie, offre notevoli vantaggi sia per quanto riguarda il mantenimento dellequalità organolettiche e nutrizionali dell’alimento sia per quanto riguarda la du-rata della conservazione.

ConcentrazioneVengono sottoposti a concentrazione (rimozione di parte dell’acqua) succhi difrutta, pomodori e latte, con il vantaggio di ridurre peso e volume e quindi lespese di confezionamento, immagazzinamento e trasporto.

Conservazione degli alimenti • CAPITOLO 25

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CONTROLLO DEL pH

L’abbassamento del pH a valori tali da bloccare i processi di degradazione del-l’alimento si può ottenere con l’aggiunta di acidi, per esempio l’aceto di vino(contiene acido acetico) utilizzato generalmente per le conserve di verdure. Lafermentazione, processo causato da microrganismi, era conosciuto e applicatofin dall’antichità per modificare le caratteristiche di gusto e conservabilità di ali-menti come latte (per esempio, yogurt, formaggi ecc.), verdure (per esempio,crauti ecc.) e bevande (per esempio, vino, birra ecc.); determina un aumento del-l’acidità del prodotto che non è tuttavia sufficiente da sola a garantirne le pro-lungata conservazione. In genere gli alimenti fermentati subiscono anche altriprocedimenti di conservazione (per esempio, la pastorizzazione).

IRRADIAZIONE

L’utilizzo delle radiazioni ionizzanti è applicato sotto rigida regolamentazione aerbe aromatiche, spezie e alimenti vegetali (aglio, cipolle, patate) a scopo anti-germogliativo e per ridurre i parassiti infestanti.

ADDITIVI ALIMENTARI

L’aggiunta di sostanze in grado di mantenere più a lungo inalterati i cibi e/o diesaltarne il sapore e l’aroma è una consuetudine antica. In epoca preindustrialesi utilizzavano metodi di conservazione degli alimenti quali:

• salatura delle carni e del pesce;• aggiunta di succo di limone a frutta e verdura per evitarne l’imbrunimento;• impiego di aceto nella preparazione di conserve vegetali;• aggiunta di salnitro nelle carni insaccate;• solfitazione dei mosti e dei vini.

Tali metodi, derivati dall’esperienza, non erano privi di rischi e non garanti-vano la salubrità dei prodotti ottenuti in modo artigianale.

Negli ultimi decenni, l’aggiunta di sostanze chimiche o “additivi alimentari”rappresenta una esigenza tecnologica conseguente all’evoluzione industriale eal mutare delle abitudini alimentari che hanno enormemente influenzato il ci-clo di produzione e distribuzione degli alimenti. L’impiego di additivi si è cosìnotevolmente esteso, rendendo oggi possibile, per esempio, produzione, stoccag-gio e distribuzione di prodotti alimentari in aree geografiche molto distanti traloro.

Il Ministero della Salute definisce additivo alimentare “qualsiasi sostanza,normalmente non consumata come alimento, aggiunta intenzionalmente ai pro-dotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, di trasformazione,di preparazione, di trattamento, di imballaggio, di trasporto o immagazzinamentodegli alimenti, che si possa ragionevolmente presumere diventi un componente ditali alimenti”.

Onde evitare la comparsa nel consumatore di atteggiamenti di diffidenza,viene anche precisato che:

• molti additivi sono costituenti naturali di alimenti: per esempio, l’acido ci-trico, la lecitina, le pectine, i tocoferoli;

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Page 66: Scienza dell’alimentazioneitaly-s3-mhe-prod.s3-website-eu-west-1.amazonaws.com/...In natura esistono centinaia di aminoacidi, ma solo 20 sono coinvolti nella sintesi proteica. Anche

• gli additivi alimentari sono sostanze ampiamente studiate e documentatesotto il profilo tossicologico e il loro uso è costantemente sotto il controllodi Organizzazioni Internazionali e Nazionali. Per essi è fissata una dose ac-cettabile giornaliera, che rappresenta la quantità di additivo che può essereingerita giornalmente attraverso la dieta nell’arco di vita senza che com-paiano effetti indesiderati;

• nella preparazione e conservazione degli alimenti è autorizzato l’impiegosolo di quelle sostanze esplicitamente elencate in un’apposita lista positiva.

Il principio autorizzativo della lista positiva è la prima garanzia a tutela delconsumatore. L’additivo autorizzato è una sostanza di cui è stata valutata lasicurezza d’uso, di cui sono stati fissati i requisiti di purezza chimica, e di cui co-munque è consentito l’uso solo nel caso di documentata esigenza tecnologica:ossia, anche se ritenuto non nocivo, l’additivo non è consentito se non è neces-sario.

Di seguito vengono riportate le diverse classi di additivi comunemente uti-lizzati e le loro rispettive definizioni.

ColorantiI coloranti sono sostanze che conferiscono un colore a un alimento o che ne re-stituiscono la colorazione originaria, e includono componenti naturali dei pro-dotti alimentari e altri elementi di origine naturale, normalmente non consumaticome alimenti né usati come ingredienti tipici degli alimenti.

EdulcorantiGli edulcoranti sono sostanze utilizzate per conferire un sapore dolce ai prodottialimentari o per la loro edulcorazione estemporanea.

Altri additiviVengono qui elencate alcune sostanze che rientrano tra gli additivi alimentaridiversi da coloranti ed edulcoranti:

• conservanti: prolungano il periodo di conservazione dei prodotti alimentariproteggendoli dal deterioramento provocato da microrganismi;

• antiossidanti: prolungano il periodo di conservazione dei prodotti alimen-tari proteggendoli dal deterioramento provocato dall’ossidazione, come l’ir-rancidimento dei grassi e le variazioni di colore;

• coadiuvanti (compresi i solventi veicolanti): vengono utilizzati per sciogliere,diluire, disperdere o altrimenti modificare fisicamente un additivo alimentaresenza alterarne la funzione tecnologica (e senza esercitare essi stessi alcuneffetto tecnologico) allo scopo di facilitarne la manipolazione, l’applicazionee l’impiego;

• acidificanti: aumentano l’acidità di un prodotto alimentare e/o gli conferi-scono un sapore aspro;

• correttori di acidità: modificano o controllano l’acidità o l’alcalinità di unprodotto alimentare;

• antiagglomeranti: riducono la tendenza di particelle individuali di un pro-dotto alimentare ad aderire l’una all’altra;

• antischiumogeni: impediscono o riducono la formazione di schiuma;• agenti di carica: contribuiscono ad aumentare il volume di un prodotto ali-

mentare senza modificare in modo significativo il suo valore energetico di-sponibile;

Conservazione degli alimenti • CAPITOLO 25

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• emulsionanti: rendono possibile la formazione o il mantenimento di una mi-scela omogenea di due o più fasi immiscibili, come olio e acqua, in un pro-dotto alimentare;

• sali di fusione: disperdono le proteine contenute nel formaggio realizzandoin tal modo una distribuzione omogenea dei grassi e altri componenti;

• agenti di resistenza: rendono o mantengono saldi e croccanti i tessuti deifrutti e degli ortaggi o interagiscono con agenti gelificanti per produrre o con-solidare un gel;

• esaltatori di sapidità: esaltano il sapore o la fragranza, o entrambi, di unprodotto alimentare;

• agenti schiumogeni: rendono possibile l’ottenimento di una dispersioneomogenea di una fase gassosa in un prodotto alimentare liquido o solido;

• gelatificanti: danno consistenza a un prodotto alimentare tramite la forma-zione di un gel;

• agenti di rivestimento (inclusi gli agenti lubrificanti): applicati sulla super-ficie esterna di un prodotto alimentare, gli conferiscono un aspetto brillanteo forniscono un rivestimento protettivo;

• umidificanti: impediscono l’essiccazione dei prodotti alimentari contrastandol’effetto di una umidità atmosferica scarsa o promuovono la dissoluzione diuna polvere in un ambiente acquoso;

• amidi modificati: sostanze ottenute mediante uno o più trattamenti chimicidi amidi alimentari, che possono aver subìto un trattamento fisico o enzima-tico e possono essere fluidificati per trattamento acido o alcalino, sbiancati;

• gas d’imballaggio: gas differenti dall’aria introdotti in un contenitore prima,durante o dopo aver inserito in tale contenitore un prodotto alimentare;

• propellenti: gas differenti dall’aria che espellono un prodotto alimentare daun contenitore;

• agenti lievitanti: sostanze, o combinazione di sostanze, che liberano gasaumentando il volume di un impasto o di una pastella;

• sequestranti: formano complessi chimici con ioni metallici;• stabilizzanti: rendono possibile il mantenimento dello stato fisico-chimico

di un prodotto alimentare. Comprendono le sostanze che rendono possibileil mantenimento di una dispersione omogenea di due o più sostanze immi-scibili in un prodotto alimentare e includono anche sostanze che stabiliz-zano, trattengono o intensificano la colorazione esistente di un prodotto ali-mentare;

• addensanti: aumentano la viscosità di un prodotto alimentare.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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INTRODUZIONE

Una corretta alimentazione e, più in generale, lo stile di vita, sono tra i più im-portanti determinanti lo stato di salute. Una dieta “sana” è un fattore di preven-zione, non solo dei processi patologici collegati a carenze nutrizionali, ma an-che di numerose malattie cronico-degenerative. È quindi fondamentale che siaopportunamente variata e sufficiente a soddisfare tutte le esigenze nutrizionalidell’organismo, senza costituire cause di “eccessi” o di squilibri.

Per dieta equilibrata o bilanciata si intende comunemente uno schema diete-tico elaborato in modo da contenere le sostanze nutritive in quantità adeguate asoddisfare i fabbisogni nutrizionali di un singolo individuo o di gruppi di popolazioni.

BISOGNI NUTRIZIONALI E LIVELLI DI ASSUNZIONE GIORNALIERA RACCOMANDATA DI NUTRIENTI (LARN)

L’impostazione di un piano dietetico equilibrato deve tener conto in primo luogodei bisogni nutrizionali individuali. I fabbisogni nutrizionali, tuttavia, sono va-riabili da individuo a individuo e inoltre cambiano nel corso della vita. In lineagenerale essi dipendono dalla massa corporea e dall’età, da eventuali condizionifisiologiche quali la gravidanza e l’allattamento e, in alcuni casi, sono influen-zati anche dall’attività fisica.

Per formulare una dieta equilibrata, oppure per valutare l’adeguatezza deiconsumi alimentari (dieta abituale) di un individuo o di gruppi di popolazioni, sifa riferimento a degli standard nutrizionali, che sono le “quantità raccoman-date di nutrienti da ingerire giornalmente” stabilite da comitati di esperti di variPaesi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in base a dati speri-mentali e indagini epidemiologiche.

Per tener conto della variabilità interindividuale dei bisogni nutrizionali, nel-l’elaborazione di questi standard, a ciascun nutriente, energia esclusa, è stataattribuita una certa quantità “aggiuntiva” al di sopra del bisogno nutrizionale veroe proprio, tale da costituire un “margine di sicurezza”.

Gli standard nutrizionali così determinati sono da intendere come livelli diassunzione dei singoli nutrienti sicuramente “adeguati” ai fabbisogni di tutte le per-sone “sane” appartenenti ai gruppi di età ai quali sono riferiti.

Per la popolazione italiana sono stati elaborati i “Livelli di Assunzione gior-naliera Raccomandati di energia e Nutrienti” (LARN), presentati nella versionepiù recente nella tabella 26.1.

22226666LA DIETA EQUILIBRATA

O BILANCIATA

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La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26

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I LARN non devono essere identificati con i bisogni nutrizionali effettivi deisingoli individui, in quanto sono quote raccomandate di nutrienti più che suffi-cienti per soddisfare i bisogni nutrizionali dei soggetti di ambo i sessi nei diversigruppi di età. Non rappresentano un limite minimo al di sotto del quale esiste unreale rischio di malnutrizione, né necessariamente un livello ottimale di assun-zione, quanto piuttosto un livello di sicurezza valido per l’intera popolazione o pergruppi di essa e non per individui singoli.

I LARN si possono utilizzare per la formulazione di programmi dietetici e dieducazione alimentare o per valutare l’adeguatezza degli introiti alimentari.

Nell’ultima edizione dei LARN (1996) nella tabella finale non sono riportati ilivelli raccomandati in energia per classi di età. Infatti, per l’energia, la notevolevariabilità dei fabbisogni, anche nell’ambito di una singola classe di età, nonconsente di suggerire come adeguato un singolo valore di fabbisogno energe-tico. Sono indicati invece degli intervalli di raccomandazioni per gruppi ristretti eben definiti di popolazione per ciascun anno di vita fino all’età adulta, e di quiin poi valori differenti a seconda del peso corporeo e del tipo di attività fisicasvolta. Alcuni di questi valori, sottoposti ad arrotondamento, sono riportati nellatabella 26.2.

GUIDA ALLA SCELTA GIORNALIERA DEGLI ALIMENTI

Per mettere in pratica le diverse raccomandazioni riguardanti i livelli di nu-trienti da assumere giornalmente con gli alimenti, si può far riferimento alle“Tabelle di Composizione degli Alimenti” (per esempio, dell’Istituto Nazionaledi Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, INRAN, ed. 2000) e a calcoli com-plessi.

Oppure, in modo più semplice, si può utilizzare una guida alimentare nellaquale gli alimenti sono suddivisi in gruppi in base all’affinità della loro compo-sizione nutrizionale. In ogni gruppo sono compresi alimenti equivalenti in quantosimili per il contenuto in nutrienti fondamentali e quindi, rispettando le oppor-tune proporzioni, interscambiabili tra loro. Ciascun gruppo dev’essere presentenella nostra dieta in modo proporzionato, poiché un’alimentazione equilibrataè data non solo da un corretto apporto calorico, ma da un’adeguata ripartizionedei gruppi alimentari.

La classificazione più largamente condivisa riunisce gli alimenti nei gruppidi seguito elencati.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

398

Peso Attività Attività Attività(kg) lieve moderata pesante

Maschi 65-70 2300-2450 2800-3000 3300-350070-75 2400-2550 2900-3100 3400-3700

Femmine 50-55 1750-1850 1900-2050 2100-225055-60 1850-1950 2000-2150 2250-2400

TABELLA 26.2 VALORI INDICATIVI DI FABBISOGNO ENERGETICO (KCAL/DIE) PER ADULTI (18-60 ANNI) IN FUNZIONE DEL PESO E DEL TIPO DI ATTIVITÀ

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• Gruppo cereali, loro derivati e tuberiComprende i semi, le farine dei diversi cereali e i prodotti da esse derivati:pane, grissini, cracker, paste alimentari, polenta, riso, orzo, mais ecc.; in que-sto gruppo si includono anche i tuberi commestibili come le patate.Gli alimenti di questo gruppo forniscono soprattutto carboidrati complessisotto forma di amido e sono i nutrienti di base della nostra alimentazione ela principale fonte energetica; contengono anche discrete quote di proteineche, seppur di modesta qualità nutrizionale, possono essere migliorate dalcontemporaneo consumo di proteine del latte o dei legumi (supplementa-zione/complementarietà proteica); sono presenti inoltre vitamine del com-plesso B, calcio e ferro. Fra gli alimenti di questo gruppo è opportuno utiliz-zare spesso anche quelli integrali, in quanto più ricchi di fibra.Una razione di 100 g di pane è equivalente a 70 g di pasta o riso, a 70 g digrissini o cracker, a 70 g di farina (frumento, mais ecc.), a 350 g di patate.Solitamente gli alimenti di questo gruppo, fornitori di energia, sono (o do-vrebbero essere) consumati in quantità differenti in relazione alle necessitàenergetiche dei singoli soggetti.

• Gruppo frutta e ortaggiComprende tutte le verdure, gli ortaggi e la frutta ed è una fonte importantis-sima di fibra, di b-carotene (presente soprattutto in carote, peperoni, pomo-dori, albicocche, meloni ecc.), di vitamina C (presente soprattutto in agrumi,fragole, kiwi, pomodori, peperoni ecc.), di diversi minerali (calcio, ferro, fo-sforo, magnesio, e in particolare potassio) e anche di componenti minori (an-tiossidanti e altri), che svolgono preziose azioni protettive.Gli alimenti di questo gruppo (specie le verdure) hanno in genere un bassocontenuto calorico e un elevato volume e pertanto hanno anche un certo po-tere saziante. Grazie alla loro grande varietà, in ogni stagione si possonoavere diverse disponibilità e ampie possibilità di scelta: frutta e verdura de-vono essere presenti in abbondanza nell’alimentazione abituale, in almeno4-5 porzioni da distribuire nei pasti della giornata, a cominciare dalla primacolazione o anche consumati come fuori pasto o merenda.

• Gruppo carni, pesci, uovaComprende tutte le carni (manzo, vitello, maiale, coniglio, agnello ecc.), ilpollame (pollo, gallina, tacchino, anitra ecc.), la selvaggina (lepre, fagianoecc.), le frattaglie dei diversi animali (fegato, rognone, cuore ecc.), i pescidi acque dolci e marini, i molluschi e crostacei, le carni lavorate e trasforma-te (prosciutti, insaccati, carni essiccate, inscatolati ecc.) e, infine, le uova.Tutti questi alimenti, sia freschi che congelati, surgelati o conservati, sonoimportanti fonti di proteine di elevata qualità (in particolare quelle delle uova,che costituiscono lo standard di riferimento per valutare la qualità proteica),di ferro altamente biodisponibile e oligoelementi (zinco, rame) e inoltre divitamine del complesso B (in particolare vitamine B1, PP e B12).Il contenuto di proteine di questi alimenti è di circa il 18-20%, con quote an-che più elevate nei salumi/insaccati e nelle carni conservate, dove il pro-cesso di stagionatura, causando perdita di acqua, induce una maggior con-centrazione dei nutrienti.Nell’ambito di questo gruppo sono da preferire le carni magre (siano esse bo-vine, avicole, suine ecc.) e il pesce. Va invece moderato, per quanto riguardala quantità, il consumo di prodotti a maggiore tenore in grassi, quali certi tipidi carne e di insaccati. Per le uova, infine, un consumo accettabile per sog-getti sani è quello di 2-4 uova alla settimana.

La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26

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• Gruppo dei legumiComprende i fagioli, i ceci, le lenticchie, le fave, i piselli, la soia ecc., conside-rati validi sostituti delle carni. I legumi allo stato secco hanno un contenutoproteico quantitativamente simile a quello delle carni, anche se di qualità lie-vemente inferiore; contengono inoltre una discreta quota di carboidrati com-plessi (amido) e di fibra alimentare, vitamine del gruppo B, calcio e ferro. Ilegumi sono quindi alimenti con numerosi pregi nutrizionali e non dovreb-bero mai mancare nella dieta: sono ricchi di energia, ottime fonti di proteineche per la loro composizione aminoacidica migliorano la qualità delle pro-teine dei cereali (mutua supplementazione delle proteine alimentari), sono po-veri di grassi e hanno un notevole contenuto di ferro.Alcune riserve riguardano la loro digeribilità: la fibra e certi carboidrati non di-geribili (stachiosio) in essi contenuti sono soggetti a processi di fermentazioneda parte della flora batterica intestinale con conseguente produzione di gas.I legumi dovrebbero essere consumati almeno 1-2 volte a settimana associatiai cereali, come alternativa vegetale alle fonti proteiche animali (carni/formaggi).

• Gruppo latte e derivatiComprende i tipi di latte di diversa provenienza animale e tutti i prodotti lat-tiero-caseari: yogurt, latticini e formaggi. Tutti questi alimenti forniscono pro-teine di elevata qualità, vitamine del gruppo B, in particolare B2 (riboflavina),vitamine liposolubili (A e D) e sono un’ottima fonte di calcio e di fosforo.Il latte ha un contenuto proteico di circa 3,5 g e di calcio di 120 mg/100 g. Iformaggi ne contengono quantità proporzionalmente maggiori (anche 10volte tanto) in funzione del fattore concentrazione: più è stagionato un for-maggio, maggiore è la concentrazione dei nutrienti.Una razione di 250 ml di latte oppure di 50 g di formaggio fornisce poco menodi 10 g di proteine e poco meno di un terzo della quantità giornaliera raccoman-data di calcio per l’adulto (oltre a una quota discreta di vitamine B2 e A).La presenza di latte e dei suoi derivati nella dieta è indispensabile per l’equili-brio e l’adeguatezza della razione alimentare; tuttavia, per l’elevato contenutoin grassi (prevalentemente “saturi”) dei prodotti lattiero-caseari, è preferibile ilconsumo di latte parzialmente scremato e di latticini e formaggi meno grassi.

• Gruppo grassi da condimentoComprende gli oli di origine vegetale, le margarine e i grassi di origine animale(burro, panna, lardo, strutto ecc.). Il loro consumo dev’essere contenuto, inquanto sono una fonte concentrata di energia e, se in eccesso, un fattore dirischio per l’insorgenza di obesità, malattie cardiovascolari e tumori. Va co-munque tenuto presente il loro ruolo nell’esaltare il sapore dei cibi e nel-l’apportare acidi grassi essenziali e vitamine liposolubili (vitamine A, D, E eK), delle quali favoriscono anche l’assorbimento. Sono da preferire i grassidi origine vegetale (in particolare l’olio extravergine d’oliva) rispetto a quellidi origine animale.

Zucchero, dolciumi e bevande alcoliche, pur facendo parte della nostraalimentazione abituale, non sono presi in considerazione in quanto ritenuti dilimitato valore nutrizionale, rappresentato quasi esclusivamente dal rispettivovalore energetico.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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LINEE GUIDA PER UNA SANA ALIMENTAZIONE

Una corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e perinvecchiare bene. Nella nostra società Europea lo sviluppo politico ed econo-mico ha assicurato un’abbondante quantità di cibo rispetto al passato, che hacontribuito alla parallela crescita dell’aspettativa di vita. Le modificazioni delleabitudini di vita e il progressivo allontanamento dal tradizionale modello con-tadino (o “mediterraneo” per il nostro Paese) che hanno accompagnato tale svi-luppo, sono però risultati avere un ruolo determinante nell’aumento dell’inci-denza delle principali patologie degenerative, che rappresentano oggi la causamaggiore di mortalità, compresa quella prematura.

Inoltre il progresso tecnologico, sia nelle attività lavorative che nelle altre at-tività quotidiane, ha portato a una significativa riduzione nel fabbisogno calo-rico, mentre la messa a fuoco del ruolo protettivo di certi micronutrienti, comequelli ad attività antiossidante, sta inducendo a rivalutarne i fabbisogni alimen-tari in modo più largo, al di là di quello richiesto per la semplice prevenzione diuna loro carenza.

Si è quindi sentita la necessità di proporre modelli alimentari che, pur te-nendo conto del soddisfacimento dei bisogni nutrizionali, fossero rivolti all’ot-tenimento di modificazioni di alcune abitudini alimentari e di vita rivelatesi as-sociate alle già ricordate patologie cronico-degenerative (obesità, diabete, ma-lattie cardiovascolari, tumori).

In questo contesto nascono iniziative volte a divulgare raccomandazioni siasulla corretta alimentazione sia sulla necessità di correggere la sedentarietà con losvolgimento di una regolare attività fisica giornaliera e di rimuovere tutti gli altri ri-conosciuti fattori di rischio, soprattutto il fumo e un eccessivo consumo di alcool.

La salute, infatti, si conquista e si conserva imparando sin da bambini le regoledel mangiare sano e di un “corretto stile di vita”.

Negli ultimi decenni le Autorità Sanitarie nazionali e internazionali e alcuniOrganismi Scientifici hanno dato vita a Linee Guida o Direttive Alimentari. InItalia, fin dal 1986 l’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nu-trizione) ha prodotto e diffuso le prime “Linee guida per una sana alimentazioneitaliana” che, per l’evolvere delle conoscenze scientifiche, delle abitudini ali-mentari e degli stili di vita della popolazione, sono state periodicamente rivistee aggiornate (prima revisione nel 1997, seconda e ultima revisione nel 2003).

Le Linee guida sono pertanto uno strumento garantito da istituzioni scienti-fiche e destinato a tutta la popolazione che, con linguaggio chiaro e facilmentecomprensibile, suggerisce le regole di comportamento più idonee a realizzareun’alimentazione sana ed equilibrata.

Di seguito riportiamo le dieci “Direttive” proposte nell’ultima revisione del2003, con i suggerimenti su “come comportarsi” (per approfondimenti si ri-manda al testo specifico, consultabile al sito www.sinu.it/pubblicazioni.asp).

1. CONTROLLA IL PESO E MANTIENITI SEMPRE ATTIVO

Come comportarsi:

• Il tuo peso dipende anche da te. Pesati almeno una volta al mese control-lando che il tuo indice di massa corporea (IMC) sia nei limiti normali.

La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26

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• Qualora il tuo peso sia al di fuori dei limiti normali, riportalo gradatamenteentro tali limiti:– in caso di sovrappeso: consulta il medico, riduci le “entrate” energetiche

mangiando meno e preferendo cibi a basso contenuto calorico e che sa-ziano di più, come ortaggi e frutta, aumenta le “uscite” energetiche svol-gendo una maggiore attività fisica e distribuisci opportunamente l’ali-mentazione lungo tutto l’arco della giornata a partire dalla prima cola-zione, che non deve essere trascurata;

– in caso di sottopeso: consulta il medico e comunque mantieni un giustolivello di attività fisica e un’alimentazione variata ed equilibrata, consu-mando tutti i pasti agli orari abituali.

• Abituati a muoverti di più ogni giorno: cammina, sali e scendi le scale, svolgipiccoli lavori domestici ecc.

• Evita le diete squilibrate o molto drastiche del tipo “fai da te”, che possonoessere dannose per la tua salute. Una buona dieta dimagrante deve sempreincludere tutti gli alimenti in maniera quanto più possibile equilibrata.

2. PIÙ CEREALI, LEGUMI, ORTAGGI E FRUTTA

Come comportarsi:

• Consuma quotidianamente più porzioni di ortaggi e frutta fresca, e aumentail consumo di legumi sia freschi che secchi, avendo sempre cura di limitarele aggiunte di oli e di grassi, che vanno eventualmente sostituiti con aromi espezie.

• Consuma regolarmente pane, pasta, riso e altri cereali (meglio se integrali),evitando di aggiungere troppi condimenti grassi.

• Quando puoi, scegli prodotti ottenuti a partire da farine integrali e non conla semplice aggiunta di crusca o altre fibre (leggi le etichette).

• Per mettere in pratica questi consigli fai riferimento alle porzioni indicatenella linea guida numero 8 “Varia spesso le tue scelte a tavola”.

3. GRASSI: SCEGLI LA QUALITÀ E LIMITA LA QUANTITÀ

Come comportarsi:

• Modera la quantità di grassi e oli che usi per condire e cucinare. Utilizza even-tualmente tegami antiaderenti, cotture al cartoccio, forno a microonde, cot-tura al vapore ecc.

• Limita il consumo di grassi da condimento di origine animale (burro, lardo,strutto, panna ecc.).

• Preferisci i grassi da condimento di origine vegetale: soprattutto olio extra-vergine d’oliva e oli di semi.

• Usa i grassi da condimento preferibilmente a crudo ed evita di riutilizzare igrassi e gli oli già cotti.

• Non eccedere nel consumo di alimenti fritti.• Mangia più spesso il pesce, sia fresco che surgelato (2-3 volte a settimana).• Tra le carni, preferisci quelle magre ed elimina il grasso visibile.• Se ti piacciono le uova ne puoi mangiare fino a 4 per settimana, distribuite

nei vari giorni.• Se consumi tanto latte, scegli preferibilmente quello scremato o parzialmente

scremato, che comunque mantiene il suo contenuto in calcio.• Tutti i formaggi contengono quantità elevate di grassi: scegli comunque quelli

più magri, oppure consumane porzioni più piccole.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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• Se vuoi controllare quali e quanti grassi sono contenuti negli alimenti, leggile etichette.

4. ZUCCHERI, DOLCI, BEVANDE ZUCCHERATE: NEI GIUSTI LIMITI

Come comportarsi:

• Modera il consumo di alimenti e bevande dolci nella giornata, per non su-perare la quantità di zuccheri consentita.

• Tra i dolci preferisci i prodotti da forno della tradizione italiana, che conten-gono meno grasso e zucchero e più amido, come per esempio biscotti, tortenon farcite ecc.

• Utilizza in quantità controllata i prodotti dolci da spalmare sul pane o sullefette biscottate (quali marmellate, confetture di frutta, miele e creme).

• Limita il consumo di prodotti che contengono molto saccarosio, e special-mente di quelli che si attaccano ai denti, come caramelle morbide, torroniecc. Lavati comunque i denti dopo il loro consumo.

• Se vuoi consumare alimenti e bevande dolci ipocalorici dolcificati con edul-coranti sostitutivi, leggi sull’etichetta il tipo di edulcorante usato e le avver-tenze da seguire.

5. BEVI OGNI GIORNO ACQUA IN ABBONDANZA

Come comportarsi:

• Asseconda sempre il senso di sete e anzi tenta di anticiparlo, bevendo a suf-ficienza, mediamente 1,5-2 litri di acqua al giorno. Ricorda inoltre che i bam-bini sono maggiormente esposti a rischio di disidratazione rispetto agli adulti.

• Bevi frequentemente e in piccole quantità. Bevi lentamente, soprattutto sel’acqua è fredda: infatti un brusco abbassamento della temperatura dello sto-maco può creare le condizioni per pericolose congestioni.

• Le persone anziane devono abituarsi a bere frequentemente nell’arco dellagiornata, durante e al di fuori dei pasti, anche quando non avvertono lo sti-molo della sete.

• L’equilibrio idrico dev’essere mantenuto bevendo essenzialmente acqua, tantoquella del rubinetto quanto quella imbottigliata, entrambe sicure e controllate.Ricorda che bevande diverse (come aranciate, bibite di tipo cola, succhi di frutta,caffè, tè) oltre a fornire acqua apportano anche altre sostanze che contengonocalorie (per esempio, zuccheri semplici) o che sono farmacologicamente at-tive (per esempio, caffeina). Queste bevande vanno usate con moderazione.

• È sbagliato evitare di bere per il timore di sudare eccessivamente (sudare èfondamentale per regolare la temperatura corporea) o di ingrassare (l’acquanon apporta calorie).

• Durante e dopo l’attività fisica bevi per reintegrare prontamente e tempestiva-mente le perdite dovute alla sudorazione, ricorrendo prevalentemente all’acqua.

• In determinate condizioni patologiche che provocano una maggiore perditadi acqua (per esempio gli stati febbrili o ripetuti episodi di diarrea), l’acquaperduta dev’essere reintegrata adeguatamente e tempestivamente.

6. IL SALE? MEGLIO POCO

Come comportarsi:

• Riduci progressivamente l’uso di sale sia a tavola che in cucina.• Preferisci al sale comune il sale arricchito con iodio (sale iodato).

La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26

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• Non aggiungere sale nelle pappe dei bambini, almeno per tutto il primo annodi vita.

• Limita l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ket-chup, salsa di soia, senape ecc.)

• Insaporisci i cibi con erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemo-lo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semidi finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry).

• Esalta il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto.• Scegli, quando sono disponibili, le linee di prodotti a basso contenuto di sale

(pane senza sale, tonno in scatola a basso contenuto di sale ecc.).• Consuma solo saltuariamente alimenti trasformati ricchi di sale (snack sa-

lati, patatine in sacchetto, olive da tavola, alcuni salumi e formaggi).• Nell’attività sportiva moderata reintegra con la semplice acqua i liquidi per-

duti attraverso la sudorazione.

7. BEVANDE ALCOLICHE: SE SÌ, SOLO IN QUANTITÀ CONTROLLATA

Come comportarsi:

• Se desideri consumare bevande alcoliche, fallo con moderazione, durante ipasti secondo la tradizione italiana, o in ogni caso immediatamente prima odopo il pasto.

• Fra tutte le bevande alcoliche, dai la preferenza a quelle a basso tenore al-colico (vino e birra).

• Evita del tutto l’assunzione di alcol durante l’infanzia, l’adolescenza, la gra-vidanza e l’allattamento; riducila se sei anziano.

• Non consumare bevande alcoliche se devi metterti alla guida di autoveicoli o de-vi far uso di apparecchiature delicate o pericolose per te o per gli altri, e quindi haibisogno di conservare intatte attenzione, autocritica e coordinazione motoria.

• Se assumi farmaci (compresi molti farmaci che non richiedono la prescri-zione medica), evita o riduci il consumo di alcol, a meno che tu non abbiaottenuta esplicita autorizzazione da parte del medico curante.

• Riduci o elimina l’assunzione di bevande alcoliche se sei in sovrappeso odobeso o se presenti una familiarità per diabete, obesità, ipertrigliceridemia ecc.

8. VARIA SPESSO LE TUE SCELTE A TAVOLA

Come comportarsi:

• Scegli quantità adeguate (porzioni) di alimenti appartenenti a tutti i diversigruppi, alternandoli nei vari pasti della giornata.

9. CONSIGLI SPECIALI PER PERSONE SPECIALI

GRAVIDANZA

Come comportarsi:

• In gravidanza evita aumenti eccessivi di peso e fai attenzione a coprire i tuoiaumentati fabbisogni in proteine, calcio, ferro, folati e acqua: consuma quindiabitualmente pesce, carni magre, uova, latte e derivati e un’ampia varietà diortaggi e frutta.

• In particolare, durante tutta l’età fertile abbi cura che la tua assunzione di fo-lati copra i tuoi bisogni. In questo modo ridurrai il rischio di alterazioni deltubo neurale (spina bifida) nel feto.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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• In gravidanza non consumare cibi di origine animale crudi o poco cotti e nonassumere bevande alcoliche.

ALLATTAMENTO

Come comportarsi:

• Durante l’allattamento le tue necessità nutritive sono perfino superiori a quelledella gravidanza: un’alimentazione variata, ricca di acqua, vegetali freschi,pesce, latte e derivati, ti aiuterà a star bene e a produrre un latte del tuttoadatto alle esigenze del neonato.

• Nel periodo dell’allattamento evita quegli alimenti che possono conferireodori o sapori sgraditi al tuo latte o scatenare nel lattante manifestazioni ditipo allergico.

• Evita le bevande alcoliche e usa i prodotti contenenti sostanze nervine (caffè,tè, cacao, bevande a base di cola ecc.) con cautela.

BAMBINI E RAGAZZI IN ETÀ SCOLARE

Come comportarsi:

• Consuma la prima colazione, suddividi opportunamente la tua alimentazionenel corso della giornata e scegli più frequentemente ortaggi e frutta.

• Evita di eccedere nel consumo di alimenti dolci e di bevande gassate, e diconcederti con troppa frequenza i piatti tipici del fast-food all’americana.

• Dedica almeno 1 ora al giorno all’attività fisica e al movimento (camminare,giocare all’aperto ecc.).

ADOLESCENTI

Come comportarsi:

• Evita di adottare – al di fuori di ogni controllo – schemi alimentari partico-larmente squilibrati e monotoni, solo perché “di moda”.

• Fai particolare attenzione, specialmente se sei una ragazza, a coprire i tuoiaumentati bisogni in ferro e calcio: seguire alcune tendenze in voga pressoi giovani che portano a escludere dalla dieta alimenti come carne e pesce(ottime fonti di ferro) e latte e derivati (ottime fonti di calcio) rende molto dif-ficile questa copertura e quella della vitamina B12 e non trova giustificazioniscientifiche.

DONNE IN MENOPAUSA

Come comportarsi:

• Sfrutta l’eventuale aumentata disponibilità di tempo libero per praticareuna maggiore attività motoria e per curare la tua alimentazione: impara anon squilibrare mai la dieta e tieni sempre a mente che, dato che ogni ciboha un suo preciso ruolo nel contesto dell’alimentazione quotidiana, nondevi mai eliminare indiscriminatamente interi gruppi di alimenti a favoredi altri.

• Non esagerare con latte e formaggi, nonostante il loro cospicuo contenutoin calcio; se del caso, preferisci il latte scremato e, tra i formaggi, scegli quellia minor contenuto in grassi e di sale.

• Consuma tutti i giorni e in abbondanza frutta fresca e ortaggi. Usa preferi-bilmente l’olio d’oliva extravergine.

La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26

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• Tieni sempre a mente che anche in menopausa il sovrappeso e l’obesità, lasedentarietà, la stitichezza, il fumo di sigaretta e l’abuso dell’alcol rappre-sentano importanti fattori di rischio.

ANZIANI

Come comportarsi:

• Sforzati di consumare sistematicamente una dieta variata e appetibile.• Evita il ricorso troppo frequente a pasti freddi, piatti precucinati o riscaldati.• Scegli gli alimenti sulla base delle condizioni del tuo apparato masticatorio,

anche per facilitare i processi digestivi che nell’anziano sono meno efficientie preparali in modo adeguato, come per esempio: tritare le carni, grattug-giare o schiacciare frutta ben matura, preparare minestre, purea e frullati,scegliere un pane morbido o ammorbidirlo in un liquido ecc.

• Evita pasti pesanti e fraziona l’alimentazione in più occasioni nell’arco dellagiornata.

• Fai una buona prima colazione comprendente anche latte o yogurt.• Conserva un peso corporeo accettabile, continuando a mantenere, se possibile, un

buon livello di attività motoria ed evitando di abusare di condimenti grassi e di dolci.• Riduci i grassi animali, scegli frequentemente il pesce e le carni alternative

(pollo, tacchino, coniglio ecc.), non esagerare con i formaggi.• Consuma spesso legumi, frutta e ortaggi freschi.• Non eccedere con il consumo di bevande alcoliche e con l’aggiunta del sale

da cucina.

10. LA SICUREZZA DEI TUOI CIBI DIPENDE ANCHE DA TE

Come comportarsi:Qui di seguito sono ribadite alcune regole importanti per la sicurezza degli ali-menti. È ovvio però che devono essere tenuti in considerazione tutti gli aspettiche sono stati illustrati in questa “Linea Guida”.

• Varia le scelte di alimenti, anche per ridurre i rischi di ingerire in modo ripe-tuto sostanze estranee presenti negli alimenti, che possono essere dannose.

• In particolare, per anziani, lattanti, bambini e donne in stato di gravidanza,è necessario evitare del tutto il consumo di alimenti animali crudi o poco cot-ti, quali per esempio: uova poco cotte o salse a base di uova crude (zabaione,maionese fatta in casa), carne al sangue, pesce crudo, frutti di mare crudi.

• Fai attenzione alle conserve casalinghe (specie sott’olio o in salamoia). De-vono essere preparate rispettando scrupolose norme igieniche. Non assag-giare mai una conserva sospetta.

• Non lasciare raffreddare un alimento già cotto fuori dal frigorifero troppo alungo e senza coprirlo. Andrebbe messo in frigorifero al massimo entro dueore dalla cottura (un’ora l’estate). Quando utilizzi avanzi, riscaldali fino a chenon siano molto caldi anche al loro interno.

• Non scongelare gli alimenti di origine animale a temperatura ambiente. Senon li puoi cucinare direttamente, riponili in anticipo in frigorifero o mettilia scongelare nel microonde.

• Evita il contatto nel frigorifero tra alimenti diversi, conservando gli avanzi incontenitori chiusi, le uova nel loro contenitore d’origine ecc.

• Non avere un’eccessiva fiducia nella capacità del frigorifero di conservaretroppo a lungo i tuoi cibi: non svolge nessuna azione di bonifica e non con-serva in eterno gli alimenti.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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PORZIONI DI ALIMENTI CONSIGLIATE PER UNA DIETA EQUILIBRATA

La necessità di tradurre i fabbisogni di energia e di nutrienti indicati dai LARN inquantità di alimenti, ha portato a quantificare in modo standardizzato le por-zioni di alimenti, in modo da fornire indicazioni più precise circa le quantità dialimenti che devono essere assunte giornalmente e/o nell’arco della settimana.

Il concetto di “porzione” che viene riferito ai diversi alimenti è difficile daquantificare per il consumatore italiano, data la notevole variabilità di abitudinialimentari, le differenti tradizioni culinarie e gastronomiche regionali ecc.

Una porzione, presa come “unità pratica di misura della quantità di alimentoconsumata”, corrisponde a un certo quantitativo in grammi, che si è cercato diricavare sulla base dei consumi medi di alimenti della popolazione italiana, de-gli alimenti e pietanze tipici della nostra tradizione e delle grammature di alcuniprodotti confezionati. Il risultato di questa valutazione sulle porzioni general-mente utilizzate è quello riportato nella tabella 26.3, inserita nell’ultima edizionedelle “Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana” (consultabile al sitowww.inran.it) che fornisce il peso netto in grammi delle varie porzioni dei cibipiù diffusi.

Le porzioni consigliate in funzione dell’apporto energetico della dieta sonoriportate nella tabella 26.4, mentre le misure di uso casalingo sono presentatenella tabella 26.5.

La dieta equilibrata o bilanciata • CAPITOLO 26

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Gruppo di alimenti Alimenti Porzioni Peso (g)

Cereali e tuberi Pane 1 rosetta piccola/1 fetta media 50Prodotti da forno 2-4 biscotti/2,5 fette biscottate 20Pasta o riso* 1 porzione media 80Pasta fresca all’uovo* 1 porzione piccola 120Patate 2 patate piccole 200

Ortaggi e frutta Insalate 1 porzione media 50Ortaggi 1 finocchio/2 carciofi 250Frutta o succo 1 frutto medio (arance, mele) 150

2 frutti piccoli (albicocche, 150mandarini)

Carne, pesce, uova, Carne fresca 1 fettina piccola 70legumi Carne stagionata (salumi) 3-4 fette medie di prosciutto 50

Pesce 1 porzione piccola 100Uova 1 uovo 60Legumi secchi 1 porzione media 30Legumi freschi 1 porzione media 80-120

Latte e derivati Latte 1 bicchiere 125Yogurt 1 confezione piccola 125Formaggio fresco 1 porzione media 100Formaggio stagionato 1 porzione media 50

Grassi da condimento Olio 1 cucchiaio 10Burro 1 porzione 10Margarina 1 porzione 10

TABELLA 26.3 ENTITÀ DELLE PORZIONI STANDARD NELL’ALIMENTAZIONE ITALIANA

*in minestra metà porzione.

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PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Alimenti Unità di misura Peso (g)

Farina di frumento 00 1 cucchiaio colmo 11Pastina 1 cucchiaio colmo 15Riso crudo 1 cucchiaio colmo 8Panna da cucina 1 cucchiaio colmo 14Parmigiano 1 cucchiaio colmo 10Parmigiano 1 cucchiaio raso 7Maionese 1 cucchiaio raso 9Marmellata 1 cucchiaio raso 14Miele 1 cucchiaio raso 9Olio 1 cucchiaio raso 9Zucchero 1 cucchiaio raso 9Zucchero 1 cucchiaio colmo 13Cacao in polvere 1 cucchiaio colmo 10Latte 1 bicchiere 129Vino 1 bicchiere 127

TABELLA 26.5 CORRISPETTIVO IN PESO (g) DI ALCUNI ALIMENTI MISURATI CON UNITÀ DI MISURA CASALINGHE*

Alimento/gruppi alimenti 1700 kcal1 2100 kcal2 2600 kcal3

Porzioni giornaliere

Cereali, tuberi Pane 3 5 6Prodotti da forno 1 1 2Pasta/Riso/Pasta 1 1 1-2all’uovo fresca

Patate 1 2 2(a settimana) (a settimana) (a settimana)

Ortaggi e frutta Ortaggi/Insalata 2 2 2Frutta/Succo di frutta 3 3 4

Carne, pesce, 1-2 2 2uova e legumi

Latte e derivati Latte/Yogurt 3 3 3Formaggio fresco/ 2 3 3Formaggio stagionato (a settimana) (a settimana) (a settimana)

Grassi da Olio/Burro/Margarina 3 3 4condimento

TABELLA 26.4 NUMERO DI PORZIONI CONSIGLIATO

1Esempi: bambini di oltre 6 anni; donne anziane con vita sedentaria.2Esempi: adolescenti femmine; donne adulte con attività lavorativa non sedentaria, uomini adulti con attività lavora-tiva sedentaria.

3Esempi: adolescenti maschi, uomini adulti con attività lavorativa non sedentaria o moderata attività fisica.

*Un cucchiaio da tavola (del volume effettivo di 10 cc) e un bicchiere “da vino” (contenente 125 ml di liquido di di-versi alimenti).

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INTRODUZIONE

I bisogni nutrizionali durante l’età adulta (che in linea indicativa si ritiene compre-sa tra i 20 e i 50 anni) rimangono in genere stabili; così le indicazioni contenutenel capitolo 26 “La dieta equilibrata o bilanciata” sono valide per la popolazionesana e adulta e permettono di orientarsi per compiere le corrette scelte alimenta-ri. Esistono comunque altri gruppi di popolazione che hanno esigenze nutrizionalispecifiche legate alla loro età o a peculiari condizioni fisiologiche; di questi è ne-cessario conoscere i diversi bisogni, ai quali far fronte con particolare attenzione.

Per esempio l’accrescimento somatico del bambino/adolescente, l’involu-zione muscoloscheletrica che si verifica con l’avanzare dell’età, la formazionedi un nuovo organismo durante la gravidanza e la produzione di latte materno,sono condizioni che determinano variazioni dei bisogni nutrizionali in generalee di qualche singolo nutriente in particolare. Tali variazioni sono recepite daicorrispondenti LARN e a questi pertanto si deve fare riferimento.

L’ALIMENTAZIONE NELL’ETÀ INFANTO-GIOVANILE

L’alimentazione è il fattore indispensabile per il normale svolgimento dei processidi accrescimento corporeo i quali, pur avendo basi genetiche, hanno bisogno diun regolare apporto di energia e di materiale plastico per realizzarsi correttamen-te. Un’alimentazione “adeguata”, attuata fin dalle prime fasi della vita, consentedi ottenere al massimo grado la realizzazione del potenziale genetico. Nel mede-simo tempo, proprio nei primi anni di vita è fondamentale la prevenzione delleconseguenze della malnutrizione, sia per difetto calorico-proteico (che nei casipiù gravi può anche compromettere lo sviluppo cerebrale e intellettivo), sia pereccesso di apporti alimentari, che può condizionare la futura comparsa in età a-dulta di malattie cronico-degenerative (obesità, diabete, aterosclerosi, cancro ecc.).

Le proposte di schemi alimentari equilibrati per l’età evolutiva devono per-tanto allinearsi alle considerazioni che seguono:

1. l’accrescimento somatico è veloce nel primo anno di vita (il bambino rad-doppia il peso registrato alla nascita nei primi 3-4 mesi e lo triplica al terminedel primo anno di vita) e, successivamente, diminuisce in modo progressivofino al momento del periodo puberale in cui presenta una netta ripresa. Diconseguenza, le richieste di energia e di gran parte degli altri nutrienti, rife-

22227777L’ALIMENTAZIONE

NELLE DIVERSE ETÀE CONDIZIONI FISIOLOGICHE

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rite all’unità di massa corporea (chilogrammi di peso), sono più elevate neiprimi anni di vita (in particolare nei primi 2) e quindi diminuiscono progres-sivamente fino al sopravvenire della maturazione sessuale;

2. parallelamente all’accrescimento somatico si attua lo sviluppo neuropsico-logico del soggetto. Con l’autonomia della deambulazione inizia l’attivitàesplorativa del bambino alla quale seguiranno, con il tempo, attività moto-rie integrate nella vita relazionale. L’atto alimentare, che fin dalle primissimefasi della vita è caricato di connotazioni simboliche, si struttura lentamentenel corso del tempo in un comportamento alimentare nel quale si riflettono,oltre a certe abitudini acquisite dall’ambiente familiare e culturale, anche de-terminate pulsioni e valenze provenienti dall’inconscio;

3. nel periodo puberale gli aumenti di peso e di statura si accompagnano a mo-dificazioni della composizione corporea con sensibili differenze tra i due sessi:

• nel maschio, la cui crescita scheletrica lineare dura più che nella fem-mina, si assiste a un aumento prevalente delle masse muscolari e viscerali.

• nella femmina, invece, all’aumento delle masse muscolari e viscerali, piùmodesto rispetto al maschio, si accompagna un prevalente aumento delladeposizione di grasso nel tessuto adiposo sottocutaneo, con conseguente“arrotondamento” della figura (comparsa delle caratteristiche sessuali secon-darie).

La differenziazione sessuale comporta variazioni della composizione cor-porea: in presenza di un peso corporeo “normale”, la massa grassa costitui-sce circa il 20-25% del peso nella femmina e il 15% nel maschio. Queste di-versità della composizione corporea condizionano differenze delle rispettiverichieste nutrizionali.

Raccomandazioni nutrizionaliNella formulazione di un piano dietetico per i soggetti in età evolutiva è neces-sario fare riferimento ai LARN per le rispettive fasce di età (v. Tab 26.1). Ricor-diamo sinteticamente i punti più importanti.

EnergiaIn riferimento ai chilogrammi di peso corporeo, le richieste energetiche sonotanto più elevate quanto minore è l’età del soggetto; dipendono sia dal meta-bolismo di base sia dall’attività fisica, alquanto variabile da soggetto a sog-getto, in particolare durante l’adolescenza nel sesso maschile.

Negli ultimi anni i giovani stanno diventando sempre più sedentari: quasitutti trascorrono in media più di 2 ore al giorno davanti al televisore o al com-puter e oltre un terzo più di 3 ore. Solo una minoranza pratica attività sportiva;tra gli adolescenti, lo sport è praticato da un quinto dei maschi fino a 14 anni eda un terzo dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni, con una partecipazione minore delsesso femminile.

Pertanto, per una corretta formulazione di un piano dietetico individuale peri soggetti di questa età, occorre tener presente le necessità energetiche riferite alpeso corporeo e all’età (110-95 kcal/kg nei primi due anni di vita; 68 e 59 kcal/kgrispettivamente per il maschio e per la femmina a 10 anni), ma soprattutto oc-corre determinare il livello di attività fisica svolta nelle ore extrascolastiche.

ProteineIl bisogno proteico, espresso anch’esso in relazione ai chilogrammi di peso cor-poreo, è superiore nel bambino rispetto al ragazzo, nel ragazzo rispetto all’a-

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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dolescente, e in quest’ultimo rispetto all’adulto. Di conseguenza, anche le rac-comandazioni riguardanti l’apporto proteico (LARN) declinano con l’età: da li-velli di circa 2 g/kg nei primi anni di vita si passa a 1,3 g/kg all’età di 6-10 anni,a 1,1-1,2 g/kg all’età di 15-17 anni, per arrestarsi a 0,95 g/kg nell’età adulta perambedue i sessi.

Zuccheri e grassiSi ritiene accettabile un apporto di zuccheri semplici lievemente superiore aquello raccomandato per l’adulto (sino al 15-16% dell’energia), ferma restandola raccomandazione della limitazione nel consumo di saccarosio e di una cor-retta educazione all’igiene orale.

Anche l’apporto di grassi, specie di acidi grassi essenziali e derivati (impor-tanti per la crescita e lo sviluppo del neonato), è più elevato in questa fascia dietà (2-3% per w-6 e 0,5% per w-3).

L’entità dell’apporto lipidico ritenuta adatta è del 35-40% dell’energia totalefino al secondo anno di vita e del 30% fino all’adolescenza.

Il valore soglia dell’apporto di colesterolo nel bambino è stato stabilito in 100mg/1000 kcal (300 mg/die nell’adulto).

Vitamine e mineraliTra questi costituenti nutritivi, che rivestono particolare importanza nei processidi accrescimento corporeo, meritano un accenno particolare la vitamina D, ilcalcio e il ferro.

Per quanto riguarda la vitamina D, indispensabile per una normale forma-zione dell’osso, ne va rilevato l’elevato bisogno nelle prime fasi della vita e suc-cessivamente nelle fasi di accrescimento. L’esposizione alla luce solare solita-mente stimola una sintesi endogena adeguata; tuttavia, in particolari condizioni,quando questa esposizione viene a mancare per periodi piuttosto lunghi, è ne-cessario ricorrere a una supplementazione farmacologica, dal momento che lapresenza di questa vitamina negli alimenti abitualmente consumati è moltoscarsa.

Da sottolineare infine gli aumentati livelli raccomandati di calcio e ferro nel-l’età adolescenziale per far fronte alla crescita scheletrica e, nelle femmine, perovviare alle perdite dovute alla comparsa dei flussi mestruali.

AcquaNel bambino si raccomanda un apporto di acqua di 1,5 ml/kcal di energia spesa;tale quota è superiore al fabbisogno dell’adulto, in quanto il bambino ha un mag-gior contenuto in acqua per unità di peso, un più rapido turnover dell’acqua cor-porea e una ridotta capacità dell’emuntorio renale a eliminare il carico di soluti.

Problemi connessi con l’alimentazione in età infanto-giovanilePer i bambini e i ragazzi è difficile coprire i propri fabbisogni con i soli tre pastiprincipali. È quindi opportuno fornire loro, a complemento di questi ultimi, an-che due merende che concorrano a soddisfare le particolari esigenze nutrizio-nali tipiche di queste età, ma che comunque siano di entità moderata, tale danon compromettere l’appetito nel pasto successivo.

Le abitudini alimentari acquisite da giovani spesso persistono nel tempo: èperciò importante insegnare ai ragazzi fin dalla più tenera età come seguire un’a-limentazione salutare, incoraggiandoli a consumare quantità sufficienti di un’am-pia varietà di cibi ricchi di energia e di nutrienti, senza mai trascurare la frutta egli ortaggi. Una dieta variata e distribuita in più occasioni nella giornata garan-

L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27

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tisce la copertura dei bisogni di proteine, vitamine (soprattutto la C, la D e il com-plesso B) e sali minerali (soprattutto calcio, ferro e iodio, quest’ultimo anche me-diante l’uso di sale iodato).

Purtroppo anche in Italia sono in continuo incremento le percentuali di sog-getti in sovrappeso o francamente obesi anche in età infantile e adolescenziale,per scelte alimentari scorrette ed eccessiva sedentarietà. Tutto ciò è motivo diallarme per la salute futura delle prossime generazioni di adulti, che saranno piùpredisposte all’obesità e a malattie cronico-degenerative.

L’impegno educativo dev’essere rivolto a correggere gli errori alimentari piùcomuni dei ragazzi, che secondo le “Linee Guida per una Sana Alimentazione”sono quelli di seguito riportati:

• evitare o ridurre al minimo la colazione del mattino;• evitare gli spuntini intermedi della mattina e del pomeriggio, oppure limitarli

a prodotti attraenti ma dal ridotto valore nutritivo;• evitare o ridurre al minimo, nel corso dei due pasti principali, il consumo di

verdura e di frutta;• eccedere nel consumo di alimenti come salumi, cioccolata e barrette, pata-

tine fritte, caramelle e altri dolci confezionati (con i relativi problemi con-nessi al diffondersi della carie dentale) e bevande gassate (ricche di zuccheroe spesso di caffeina);

• dare spazio eccessivo al fast-food all’americana, ricco di alimenti a elevatocontenuto in calorie, grassi saturi, sale e zuccheri semplici e poveri di fibrae vitamine.

I ragazzi devono essere fisicamente più attivi tutti i giorni, camminando, gio-cando all’aperto, correndo o altro, anche in aggiunta all’eventuale attività spor-tiva organizzata. Non devono limitarsi a consumare solo ciò che piace, ma abi-tuarsi a mangiare di tutto, evitando la monotonia delle scelte alimentari; nonabolire la prima colazione, distribuire in più pasti la propria dieta, aumentare lafrequenza di consumo di latte e derivati, verdura e frutta, e non eccedere invecenel consumo di carne e di alimenti ricchi di grassi saturi, o di zuccheri, dolciumie bibite gassate zuccherine.

Nell’età adolescenziale si possono presentare altre problematiche nutrizio-nali più specifiche. In questa età, la ricerca di autonomia personale può dar luogoad alterazioni del comportamento alimentare e/o al manifestarsi di carenze nu-trizionali. Senza entrare nello specifico di patologie quali l’anoressia e la buli-mia nervosa che, pur avendo quasi sempre un esordio nell’adolescenza, hannocause psicologiche complesse, si deve tuttavia sottolineare che alcuni atteggia-menti alimentari patologici possono comunque di frequente presentarsi negliadolescenti.

Nelle ragazze, per esempio, il desiderio di dimagrire in maniera eccessiva odi uniformarsi a “modelli” alimentari o estetici non adeguati, può far sì che ven-gano adottati regimi alimentari troppo restrittivi o disordinati e squilibrati, talida comportare la carenza di nutrienti indispensabili. In Italia, sono proprio leadolescenti ad avere, fra tutti i gruppi di età, i più bassi livelli di consumo di cal-cio e ferro. Aumenta così il rischio di sviluppare l’anemia da carenza di ferro (èla malattia da carenza nutrizionale di più frequente osservazione nell’età in-fanto-giovanile) e/o di compromettere la mineralizzazione ossea, con maggiorrischio di comparsa di una precoce e grave osteoporosi nell’età matura.

Da segnalare inoltre l’abitudine negli adolescenti al consumo di bevande al-coliche (vino, birra e anche liquori), nettamente in incremento rispetto al pas-

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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sato. Il consumo precoce e abituale di alcol non solo è dannoso per gli effetti chequesta sostanza produce in un soggetto in età evolutiva, ma anche perché è or-mai accertato che alcol e fumo sono spesso propedeutici all’uso di droghe.

L’ALIMENTAZIONE NELL’ETÀ AVANZATA

In Italia, come nel resto del mondo occidentale, la popolazione di anziani è inprogressivo aumento. Di conseguenza è aumentata l’attenzione all’alimenta-zione dell’anziano quale mezzo per prevenire le malattie che possono condurrea una più precoce senescenza e rallentare i processi biologici dell’invecchia-mento, assicurando all’anziano il massimo possibile dell’efficienza psicofisica.

I problemi generali dell’alimentazione dell’anziano possono essere riuniti inun’unica raccomandazione: “adeguare la dieta alla persona anziana, rimuovendoo correggendo tutte quelle cause che possono impedire od ostacolare un’ade-guata alimentazione”. Infatti nell’età avanzata numerose variabili influisconosull’alimentazione e, quindi, sullo stato di nutrizione. Per semplicità, possiamosuddividere tali variabili in due categorie: intrinseche al processo di invecchia-mento e accessorie.

Variabili intrinsecheSono caratterizzate dall’involuzione delle masse muscolari e viscerali che si ve-rifica dapprima lentamente a partire dalla quarta decade di vita e prosegue poipiù velocemente con la senescenza (oltre i 75 anni). A questa variabile “obbli-gata” si deve la diminuzione del metabolismo di base (MB) dell’anziano alla qualesi associa una ancor più marcata diminuzione del dispendio energetico dovutaa riduzione dell’attività fisica.

Caratteristica biologica dell’invecchiamento è quindi la riduzione del di-spendio energetico giornaliero (e pertanto del fabbisogno energetico).

Variabili accessorieSono variabili legate alla presenza, non costante, di particolari problemi fisici,psicologici e sociali che interferiscono con approvvigionamento, preparazione,degustazione e utilizzazione dei cibi da parte dell’anziano. I più importanti diquesti problemi sono in relazione a:

• vivere soli e isolati;• impedimenti fisici che condizionano la capacità di approvvigionarsi e pre-

parare i cibi;• fattori economici limitanti le scelte alimentari;• problemi di masticazione (perdita dei denti) e di digestione (riduzione della

secrezione gastrica e pancreatica, deficienza di lattasi ecc.);• peggiorata percezione dei segnali della sete che può provocare disidrata-

zione;• frequente insorgenza di depressione;• uso di farmaci che possono causare nausea/dispepsia/inappetenza;• scarsa educazione alimentare.

Raccomandazioni nutrizionaliNell’età avanzata si verifica una diminuzione del dispendio energetico a causadella diminuzione del metabolismo basale e, in modo ancora più marcato, del-l’attività fisica. Poiché quest’ultima presenta ampie variazioni interindividuali,

L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27

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molto opportunamente i LARN danno indicazioni del bisogno energetico dell’etàavanzata suddivisa in due classi (60-74 anni e oltre 75 anni), in relazione anchealla presenza (+) o assenza (-) di una certa quota di attività fisica (Tab. 27.1).

Per quanto riguarda le proteine e gli altri nutrienti va sottolineato che il ri-spettivo apporto va mantenuto ai medesimi livelli di quelli degli adulti, anzi, ri-spetto a questi ultimi, l’apporto di calcio va sensibilmente aumentato per con-trastare il catabolismo osseo dovuto all’osteoporosi, di particolare rilevanza nelsesso femminile dopo la menopausa. Anche l’apporto di vitamina D, la cui “at-tivazione” nell’anziano è ridotta, dev’essere aumentato.

Particolare attenzione dev’essere rivolta al soddisfacimento del fabbisognodi acqua, specie quando lo stimolo della sete è attenuato e/o quando non puòessere soddisfatto autonomamente.

Per questi motivi, nella formulazione di piani dietetici per i soggetti in etàavanzata devono essere principalmente inclusi alimenti di elevata densità nutri-zionale, nei quali sia più “concentrato” il contenuto in nutrienti rispetto a quelloin energia.

La tendenza a mantenere le proprie abitudini alimentari, non riducendo pro-porzionalmente la quantità di cibi più ricchi in energia, unita al declino dell’at-tività fisica, sono all’origine del riscontro, proprio nella terza età, di un tasso disovrappeso e di obesità particolarmente elevato.

Peraltro, salvo specifiche controindicazioni (diabete, dislipidemie, iperurice-mia, obesità ecc.), le caratteristiche qualitative dell’alimentazione indicata nellaterza età non differiscono in modo sostanziale da quelle dell’adulto.

Tra gli alimenti proteici sono da previlegiare latte e yogurt, formaggi freschie/o meno grassi, legumi, uova, pesce (fonte di acidi grassi polinsaturi omega-3)e anche carne magra e pollame; questi alimenti sono inoltre importanti fonti dicalcio e ferro e di vitamine del gruppo B, di cui spesso l’anziano è carente.

È opportuno ridurre le quantità di grassi da condimento, preferendo quellivegetali in quanto più ricchi in acidi grassi mono- e polinsaturi (olio di oliva, al-cuni oli di semi).

L’apporto di carboidrati complessi, presenti nei cereali e derivati (pasta, paneecc.), legumi e alcuni tipi di verdura e di frutta, non deve essere ridotto a favoredi quello di zuccheri raffinati e dolciumi; in genere, gli anziani, specialmente sevivono da soli, tendono a preferire alimenti pronti e di facile consumo, come ap-punto i dolci, ma anche alcuni salumi, formaggi stagionati o altri alimenti, ric-chi di grassi saturi e di sale, il cui eccesso favorisce l’insorgere o l’aggravamentodell’ipertensione arteriosa.

Il consumo di alcol va tenuto sotto controllo, anche per non danneggiare ilfegato.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

414

Uomini Donne

Età (anni) Attività fisica (+) Attività fisica (-) Attività fisica (+) Attività fisica (-)

60-74 2000-2400 1900-2250 1700-2050 1600-1900> 75 1900-2200 1700-2200 1700-2000 1500-1750

TABELLA 27.1 INDICAZIONI DI UNA GAMMA DI VALORI (ARROTONDATI) DIFABBISOGNO ENERGETICO (kcal/die) PER LA POPOLAZIONE ANZIANA ITALIANA

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In conclusione, è bene che l’anziano, ancor più che il giovane, controlli il pro-prio peso, vari le scelte alimentari, frazioni in più pasti la dose giornaliera di ali-menti (anche al fine di facilitare la digestione) e beva abbondantemente e fre-quentemente acqua.

Nella tabella 27.2 è presentato un esempio di dieta per l’età avanzata nellaquale si propone un’ampia scelta di cibi di buon valore nutritivo.

L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27

415

Composizione media in nutrienti: confronto con i LARN (valori medi per maschi e femmine di età corrispondente)Nutrienti Dieta LARN

Proteine 65 g 62-53 gLipidi 64,5 g –Glucidi 265,3 g –Calcio 1030 mg 1000-1200 mgFerro 12,3 mg 10 mgTiamina 0,85 mg 0,8 mgRiboflavina 1,5 mg 1,6-1,3 mgNiacina 25 mg 18-14 mgRetinolo 980 mg 700-600 µg

Schema dietetico per ultrasettantenni

Prima colazione• Una tazza di latte (parzialmente scremato): 200-250 ml + caffè q.b.• 1 cucchiaino di zucchero: 10 g• 2-3 fette biscottate oppure mezzo panino (25 g) Pranzo• Un piatto di riso o pasta al pomodoro, al sugo o ragù di carne, all’olio (riso o pasta 60 g + olio 1 cucchiaio [10

g], pomodoro e carne per ragù q.b.), oppure un piatto di gnocchi di patate. In alternativa un piatto di minestronecon verdura passata (riso o pasta: 30 g, verdure q.b., olio 1 cucchiaino) + parmigiano 10 g

• 100 g di carne di manzo, vitello, pollame, coniglio ecc. (oppure 130 g di pesce confezionati) come crocchettedi pollo, hamburger, polpette di carne, involtini, bistecca, arrosto ecc; pesce bollito, ai ferri o al forno (condi-mento: 1 cucchiaio di olio). In alternativa: piatto unico composto da lasagne o ravioli al forno con ragù di carne

• 150 g di qualsiasi verdura cotta o cruda, condita con 1 cucchiaio di olio (aceto o limone a piacere) oppure pu-rea di patate

• 40 g di pane (1 bocconcino)• frutta fresca di stagione cruda o cotta: 150 g; oppure frutta sciroppata o spremuta al naturaleMerenda• Una tazza di tè + latte, 1 cucchiaino di zucchero oppure un bicchiere di latte o un vasetto di yogurt, 2 fette bi-

scottateCena• 30 g di pastina o riso o semolino in brodo di verdura o minestrone o passato di verdura con crostini• 50 g di formaggio (certosino, mozzarella, delizia, crescenza, ricotta ecc.) oppure 50 g di prosciutto cotto o crudo

o bresaola, oppure 1-2 uova confezionate a piacere (alla coque, in frittata con o senza verdure, sode) oppurepiselli al prosciutto (120 g di piselli freschi o surgelati + 30 g di prosciutto cotto + 1 cucchiaio di olio come con-dimento) oppure sformato di verdure

• verdure, pane, frutta come a pranzo. La frutta può essere sostituita da una fetta di dolce (crostata) o budinoInoltre:• un bicchiere di vino ai pasti principali (1/2 per le donne).• prima di coricarsi: un bicchiere di latte tiepido (150-200 ml) con miele (1-2 cucchiaini)• bere frequentemente acqua, anche prima di avvertire lo stimolo della sete: almeno 1,5 l ai pasti e/o frazionata

durante la giornata• non eccedere nell’aggiunta di sale alle pietanze

TABELLA 27.2 ESEMPIO DI DIETA DA 2000 KCAL GIORNALIERE PER ULTRASETTANTENNI

N.B. Il latte può essere sostituito da latte HD (povero di lattosio) in caso di intolleranza al latte normale.

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L’ALIMENTAZIONE NELLA GRAVIDANZA E NELL’ALLATTAMENTO

GravidanzaTradizionalmente le raccomandazioni nutrizionali per la donna in gravidanzasono state formulate in base ai calcoli delle necessità di energia, proteine e al-tri nutrienti per la sintesi dei tessuti del nuovo essere vivente e per le diverse mo-dificazioni alle quali va incontro l’organismo materno: aumento della massa cir-colante, ipertrofia-iperplasia utero-mammaria, deposizione di grasso nel tessutoadiposo (volta a fornire, se necessario, energia per l’allattamento).

I totali dei vari costi nutrizionali così ottenuti, sottoposti alle necessarie cor-rezioni e divisi per i giorni della gravidanza, sono riportati come LARN per lostato gravidico e per l’allattamento nella tabella 27.3. Va sottolineato tuttaviache i suddetti valori di riferimento sono soggetti a variazioni sia in relazione alperiodo della gravidanza, che alle condizioni dello stato nutrizionale dell’orga-nismo materno all’inizio della gravidanza.

In particolare, nel primo trimestre della gestazione i fabbisogni di energia edella maggior parte dei nutrienti sono del tutto sovrapponibili a quelli della donnanon gravida, per aumentare poi progressivamente (specie le richieste energeti-che) nei successivi due trimestri, a valori superiori a quanto riportato come “me-die” nella tabella LARN (> 300 kcal/die nel secondo trimestre e > 400 kcal/dienel terzo trimestre). Inoltre, le più recenti indicazioni sottolineano che il fabbi-sono aggiuntivo di energia dev’essere determinato individualmente in funzionedel peso pregravidico e dell’incremento ottimale di peso da ottenere nel corsodel periodo gestazionale (v. “Focus clinici” a fine capitolo).

Richieste speciali di specifici nutrientiL’aumento della massa sanguigna, il trasferimento placentare di ferro al feto, leperdite di sangue al momento del parto fanno aumentare le richieste di ferro perl’espletamento di una gravidanza complessivamente a circa 1000 mg. È difficile

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

416

Età 30-49 anni Gravidanza Allattamento

Energia 2000 kcal + 100/200 kcal + 400/500 kcalProteine 53 g 59 (+ 6) g 70 (+17) gCalcio 800 mg 1200 mg 1200 mgFerro 18 mg 30 mg 18 mgIodio 150 mg 175 mg 200 mgZinco 7 mg 7 mg 12 mgSelenio 55 µg 55 µg 70 µgVitamina B1 0,9 mg 1,0 mg 1,1 mgVitamina B2 1,3 mg 1,6 mg 1,7 mgVitamina PP 14 mg 14 mg 16 mgAcido folico 200 µg 400 µg 350 µgVitamina B12 2 µg 2,2 µg 2,6 µgVitamina C 60 mg 70 mg 90 mgVitamina A 600 µg 700 µg 950 µgVitamina D 0-10 µg 10 µg 10 µg

TABELLA 27.3 LARN PER DONNA ADULTA DI 56 kg E VARIAZIONIRACCOMANDATE PER LA GRAVIDANZA E L’ALLATTAMENTO

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che tale quantità possa essere supplita solo dall’alimentazione, anche in assenzadelle perdite mestruali, tanto più che non raramente le scorte di ferro dell’orga-nismo materno sono compromesse da pregresse perdite mestruali eccessive oda precedenti gravidanze ravvicinate. Da qui la necessità di ricorrere a una sup-plementazione farmacologica di ferro per prevenire lo stato anemico maternocon le possibili ripercussioni sullo sviluppo fetale.

Un’altra necessità nutrizionale particolare in gravidanza riguarda l’acido fo-lico, il cui apporto giornaliero dev’essere raddoppiato rispetto alla quota racco-mandata per la donna non gravida. Si ricorda che l’acido folico è coinvolto nellasintesi degli acidi nucleici e quindi nella moltiplicazione cellulare; l’anemia ma-crocitica, dovuta a carenza di acido folico, non è un evento eccezionale in gra-vidanza. Inoltre la supplementazione con acido folico effettuata nel periodo im-mediatamente pregravidico e nelle prime 4 settimane di gestazione previene idifetti di chiusura del tubo neurale (spina bifida, anencefalia).

Durante la gravidanza, soprattutto nel terzo trimestre, il fabbisogno di cal-cio aumenta, per la necessità di trasferirne al feto 200-250 mg/die. Nonostantel’innesco di meccanismi di adattamento, caratterizzati da aumentato assorbi-mento intestinale e diminuzione dell’escrezione urinaria, è comunque racco-mandato un consistente aumento dell’assunzione di calcio per prevenire il de-pauperamento del patrimonio minerale della madre.

La gravidanza è infine caratterizzata da un aumento delle necessità di ac-qua per soddisfare il fabbisogno del feto e per il liquido amniotico. A fine gravi-danza, l’acqua corporea totale è in genere aumentata di oltre 8 litri. È quindi op-portuno che la normale razione di 1,5-2 l sia leggermente aumentata.

Prevenzione dell’infezione da toxoplasmaIn gravidanza, come regola generale, è consigliabile astenersi dal consumare in-saccati, ma soprattutto è necessario escludere i cibi di origine animale crudi opoco cotti e lavare accuratamente le verdure e la frutta consumate crude o conla buccia.

Alcol in gravidanzaÈ consigliabile l’astensione dal consumo di bevande alcoliche di qualsiasi genere.

***

In conclusione, nella donna in gravidanza, la richiesta supplementare di energia,relativamente contenuta, è tale da non comportare cambiamenti rilevanti delladieta. Per evitare che il peso aumenti oltre i limiti desiderabili, le porzioni dei cibinon dovrebbero subire tanto modifiche quantitative, quanto qualitative: l’aumentatarichiesta di proteine può essere facilmente soddisfatta ricorrendo al pesce, allecarni magre, alle uova, al latte, ai formaggi e ai latticini, che contribuiscono a sod-disfare le aumentate esigenze di calcio; peraltro, non bisogna rinunciare al pane,alla pasta, al riso e agli altri cereali i quali, se non troppo raffinati, contribuisconoanche a prevenire la stipsi, disturbo frequente durante la gravidanza. I legumi sec-chi, se da un lato apportano proteine, ferro e calcio, dall’altro possono favorire,specie nella gravida, la comparsa di meteorismo e di coliche addominali.

AllattamentoPer l’allattamento le raccomandazioni nutrizionali (v. Tab. 27.3) sono state for-mulate in modo analogo a quello utilizzato per la gravidanza, calcolando il co-sto energetico, proteico e in altri nutrienti della produzione giornaliera di latte.

L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27

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Nello stabilire la quota giornaliera di calorie, si è tenuto conto che una partedel costo energetico della produzione lattea deve essere fornita dai grassi de-positati nell’organismo materno durante la gravidanza (perdita media di peso di0,5 kg/mese nei sei mesi successivi al parto).

Oltre all’incremento dell’apporto energetico e proteico, la produzione dellatte comporta soprattutto un aumento dei bisogni di calcio e acqua:

• acqua: le perdite da compensare per una portata lattea giornaliera di 750-800 ml (all’87% di acqua) si possono calcolare in circa 650-700 ml/die da ag-giungere alle necessità normali;

• calcio: il contenuto di calcio del latte materno è di 320 mg/l. Allo scopo diprevenire l’impoverimento del patrimonio minerale dell’organismo maternosi consiglia un aumento quotidiano dell’assunzione di calcio fino a 400 mg.

Per la nutrice, il miglior modo per far fronte a queste necessità consiste inun’alimentazione ricca e variata, che comprenda notevoli quantità di liquidi(acqua, succhi di frutta, latte ecc.), olio d’oliva come grasso da condimento(l’acido oleico è fondamentale per la maturazione del sistema nervoso del lat-tante), un frequente consumo di pesce (per arricchire il latte materno di acidigrassi omega-3, utili per le strutture nervose del lattante), di frutta fresca e ve-getali colorati in arancio e con foglie color verde scuro, di latte e latticini e dilegumi.

Durante l’allattamento sono infine da limitare o escludere alcuni cibi o be-vande che:

• trasmettono al latte odori o sapori che possono risultare sgraditi al lattante,tanto da allontanarlo dal seno materno:

– asparagi, aglio, cipolle, cavoli;– mandorle amare;– alcune spezie;

• contengono sostanze farmacologicamente vasoattive o capaci di indurne ilrilascio, quindi potenzialmente responsabili dello scatenamento di manife-stazioni cliniche similallergiche:

– formaggi fermentati;– crostacei, molluschi, mitili;– eventualmente anche cacao o cioccolato;– fragole, ciliege, pesche, albicocche ecc.

Come per la gravidanza, anche durante l’allattamento si raccomanda la mas-sima moderazione nell’assunzione di alcol (escludere superalcolici, consentite solomodeste quantità di vino o birra) e di bevande nervine (tè, caffè), di evitare il fumoe qualsiasi medicinale se non prescritto dal medico.

Secondo le “Linee Guida”, l’uso di bevande alcoliche e di prodotti conte-nenti sostanze nervine durante l’allattamento è soggetto alle seguenti indi-cazioni:

• evitare tassativamente i superalcolici (l’alcol etilico passa nel latte, può ini-bire la montata lattea e provocare nel lattante sedazione, ipoglicemia, vo-mito e diarrea);

• il vino, anche quello a bassa gradazione alcolica, non andrebbe bevuto; nelcaso limitarsi a quantità non superiori a un bicchiere, una o al massimo duevolte a settimana, esclusivamente ai pasti;

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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L’alimentazione nelle diverse età e condizioni fisiologiche • CAPITOLO 27

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Nutrienti

Proteine 103,5 g = 16,7% delle kcal totaliLipidi 94,3 g = 34,2% delle kcal totaliGlucidi 342,6 g = 49,1% delle kcal totali

Tiamina 1,4 mgRiboflavina 2,2 mgNiacina 34,2 mgAcido ascorbico 136 mgRetinolo 2884 µgCalcio 1215 mgFerro 20 mg

Quantità giornaliera degli alimenti

Latte 500 ml Formaggio 80 gPane 200 g Prosciutto 80 gPasta-riso 80 + 30 g Bresaola 80 gCarne o pesce 150/200 g Uova n. 2Grassi di condimento 50 gZucchero 15 gFrutta 400 gVerdura 400 g

Menu settimanale suggerito

Prima colazione• 300 ml di latte zuccherato + caffe q.b.• 50 g di pane

Pranzo• 80 g di riso o pasta al pomodoro, al sugo o ragù di carne, all’olio o al burro, o risotto condito con una parte dei

grassi di condimento della giornata, 1 cucchiaino di parmigiano• 150 g di carne o pollame o coniglio, oppure 200 g di pesce confezionato a piacere usando una parte dei grassi

di condimento• 200 g di verdura cruda o cotta confezionata a piacere condita con una parte dei grassi di condimento; aceto o

limone a piacere• 50 g di pane (1 panino);• 200 g di frutta fresca di stagione o cotta

Merenda• 200 ml di latte oppure 1 vasetto di yogurt oppure 30 g di formaggio o prosciutto• 50 g di pane (1 panino)

Cena• 30 g di pastina o riso o semolino in brodo di verdura oppure minestrone o zuppa di verdura• 80 g di formaggio o bresaola o prosciutto oppure 2 uova cotte a piacere oppure una razione di carne come a

pranzo• verdura, pane e frutta come per il pranzo

TABELLA 27.4 DIETA DI 2500 KCAL GIORNALIERE PER L’ALLATTAMENTO(COMPOSIZIONE MEDIA IN NUTRIENTI)

N.B. Il peso degli alimenti è riferito al crudo, al netto degli scarti di preparazione.

in alternativatra loro

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• bere birra non dà vantaggi alla nutrice: non è vero che favorisca la secre-zione lattea e, oltre all’alcol, può cedere al latte materno sostanze amari-canti, conferendogli un sapore sgradevole per il lattante;

• caffè, tè, cacao, bevande a base di cola e tutti i nervini in genere vanno li-mitati: gli alcaloidi in essi contenuti sono escreti con il latte materno in quan-tità non trascurabile. Preferire, eventualmente, i prodotti decaffeinati o de-teinati.

Nella tabella 27.4 è presentata una dieta per l’allattamento formulata in mododa assicurare gli introiti raccomandati di nutrienti (LARN).

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

VARIAZIONI FISIOLOGICHE DEL PESO CORPOREOCON L’ETÀ E NELLA GRAVIDANZA

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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COMPOSIZIONE CORPOREA: INTRODUZIONE

La composizione corporea di un organismo riflette quanto nel corso della vita èstato assunto sotto forma di energia e nutrienti, nel rispetto dei fabbisogni. Po-trà essere ottimale se gli introiti sono stati adeguati, senza eccessi né carenze(specie di sostanze essenziali), oppure più o meno alterata se si sono verificatio sono presenti squilibri nutrizionali.

L’esempio più rilevante delle conseguenze di un’alimentazione sbilanciataper apporti in eccesso e dei suoi riflessi negativi sulla composizione corporea, èl’obesità. L’eccesso di grasso corporeo, che ne è la condizione caratterizzante,non è altro che il risultato di uno squilibrio del bilancio energetico: l’apporto dicibo è, o è stato, superiore a quanto necessario.

La valutazione della composizione corporea è quindi importante nella ricercae nella clinica per le informazioni che può fornire:

• in condizioni fisiologiche sulle modificazioni delle componenti corporee nelcorso della vita (infanzia/adolescenza, età senile) o per monitorare l’effi-cienza fisica negli atleti;

• in condizioni patologiche, principalmente nello studio dell’obesità o per va-lutare le alterazioni indotte dalla denutrizione;

• è inoltre utile per stabilire in modo più preciso i fabbisogni nutrizionali deipazienti e per valutare gli effetti delle terapie nutrizionali effettuate.

STUDIO DELLA COMPOSIZIONE CORPOREA

Le prime conoscenze sulla composizione corporea derivano dall’analisi dei ca-daveri, e ancora oggi i dati così ottenuti rappresentano il riferimento per la va-lutazione dell’attendibilità delle altre metodiche.

Ovviamente nel vivente non si possono applicare le stesse tecniche che per-mettono di separare i diversi costituenti dei tessuti non più in vita. Si fa pertantoriferimento a dei “modelli teorici” che suddividono il corpo umano in comparti-menti: il più semplice (e il più utilizzato) è il cosiddetto “Modello bicomparti-mentale”, che considera il corpo umano come se fosse diviso in due soli settorio compartimenti:

• massa grassa (o fat mass, FM), costituita sia dal grasso depositato nel tes-suto adiposo, sia da quello presente, frammisto ad altre componenti, nei di-

22228888COMPOSIZIONE CORPOREA

E VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE

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versi tessuti e strutture corporee (per esempio, il grasso fra le cellule dei mu-scoli, intorno agli organi viscerali, interno nell’addome ecc.);

• massa corporea alipidica o massa magra (o fat free mass, FFM), costi-tuita da “tutto ciò che non è grasso”, incluse le componenti non grasse deltessuto adiposo. Della FFM fanno parte oltre ai muscoli, l’acqua corporea,l’osso e le strutture articolari, i polmoni, il fegato, i reni e tutti gli altri organiinterni (privi della componente grassa).

Altri modelli utilizzati nella descrizione della composizione corporea fannoriferimento a:

• composizione atomica: l’uomo di riferimento di 70 kg contiene il 61% di os-sigeno, il 23% di carbonio, il 10% di idrogeno, il 2,6% di azoto, l’1,4% di cal-cio e meno dell’1% di altri elementi (fosforo, zolfo, potassio, sodio, cloro, ma-gnesio e diversi altri in traccia);

• composizione molecolare: è il modello più utilizzato e generalmente iden-tifica le seguenti maggiori componenti:

– l’acqua, che rappresenta il 60% o più nell’uomo di riferimento (un terzoextracellulare e due terzi intracellulare);

– i grassi, in proporzioni diverse negli individui di riferimento: 15-20% neimaschi e 20-25% nelle femmine;

– le proteine, presenti per circa il 15-17%;– i minerali, presenti per circa il 5% in condizioni normali;

• composizione cellulare/componenti tissutali: questi modelli distinguonola massa cellulare (le cellule dei tessuti connettivo, epiteliale, neurale e mu-scolare), i fluidi e i solidi extracellulari;

• corpo intero: sul corpo in toto possono essere effettuate diverse misurazioni:statura, peso, lunghezza di segmenti corporei, circonferenze corporee, spesso-re di pliche cutanee, superficie corporea, densità corporea, volume corporeo.

METODI PER VALUTARE LA COMPOSIZIONE CORPOREA

Le metodiche disponibili per valutare la composizione corporea sono numerosee differiscono fra loro per semplicità d’uso, accuratezza, sicurezza, costi, dispo-nibilità. Di seguito riportiamo una descrizione sintetica delle principali.

Misure antropometriche

Peso e staturaLe misurazioni di peso (kg) e statura (m) sono le rilevazioni più comuni, sempli-ci e accurate dalle quali si ottiene una prima valutazione della massa corporea.

Per stabilire la “normalità” del peso corporeo di un soggetto si può far riferi-mento al peso di soggetti di pari sesso, età e statura riportato nelle tabelle peso/al-tezza ricavate dalle misurazioni di un gran numero di individui. Dal loro con-fronto si calcola la percentuale di sovra- o sottopeso secondo la formula:

% sovrappeso = (peso misurato – peso di riferimento)/peso di riferimento ¥ 100

ricordando che si considera comunque normale una variazione di ± 10%. Peresempio se il peso di riferimento è 60 kg, la variazione di ± il 10% (± 6 kg) fa sìche siano comunque considerati normali tutti i pesi compresi tra 54 e 66 kg.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Un altro metodo di agevole attuazione, ormai universalmente in uso e checonsente di evitare l’impiego di tabelle, è dato dal calcolo dell’Indice di MassaCorporea (IMC), o Body Mass Index (BMI), secondo la formula:

IMC = peso corporeo (kg)/statura al quadrato (m2)

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) utilizza l’IMC per classificarela popolazione adulta (Tab. 28.1).

L’IMC è comunque un indicatore generico, utilissimo a fini statistici e utiliz-zato anche per valutare situazioni individuali, ma non è in grado di distinguerele componenti corporee massa magra e massa grassa. Un atleta particolarmentemuscoloso potrebbe avere per esempio un indice di massa corporea superiorea 25 e non per questo avere un eccesso di grasso corporeo, mentre lo potrebbeavere un individuo sedentario con IMC normale.

Circonferenze e pliche cutaneeTali parametri antropometrici, singolarmente o combinati tra loro, permettonola costruzione di indici di valutazione utilizzati come indicatori della massagrassa/massa magra, della taglia scheletrica e della distribuzione del grasso cor-poreo.

Tra le circonferenze corporee (misurate con metro a nastro) quella della vita(W) è considerata il miglior indicatore della distribuzione addominale del grassoe un importante indice di rischio cardiovascolare (Tab. 28.2).

La predittività per il rischio cardiovascolare migliora combinando insieme ivalori di IMC e quelli della circonferenza W.

Composizione corporea e valutazione dello stato nutrizionale • CAPITOLO 28

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IMC Classificazione

< 18,5 Sottopeso≥ 18,5 < 25,0 Intervallo di normalità ≥ 25,0 < 30,0 Sovrappeso≥ 30,0 < 35,0 Obesità di I livello≥ 35,0 < 40,0 Obesità di II livello≥ 40,0 Obesità di III livello

TABELLA 28.1 CLASSIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE ADULTASECONDO I VALORI DELL’INDICE DI MASSA CORPOREA (IMC)

Uomini (cm) Donne (cm)

Normalità ≤ 94 ≤ 80Rischio moderato 95-102 81-88Rischio elevato > 102 > 88

TABELLA 28.2 CIRCONFERENZA DELLA VITA (W) E LIVELLO DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE

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Le pliche cutanee, rilevate con un apposito strumento (plicometro) in speci-fici siti corporei, misurano lo spessore dello strato adiposo sottocutaneo, che sipresuppone sia proporzionale alla quota totale di grasso corporeo. Le più notesono le pliche del braccio (bicipitale e tricipitale), la sottoscapolare, la sovrailiaca,l’addominale.

Dai loro valori, inseriti in specifiche equazioni, si può ottenere la stima dellapercentuale (%) di grasso. Inoltre, le misure della plica tricipitale e della circonfe-renza del braccio consentono di calcolare la circonferenza e l’area muscolare delbraccio, indicatori di massa magra e utilizzati per valutare la compromissionedelle masse muscolari nei casi di denutrizione.

Densità corporeaLa densitometria, ancora oggi considerata tra le metodiche di riferimento perla stima della composizione corporea, si basa sul presupposto che le differenticomponenti corporee hanno densità diversa. Da studi su animali, cadaveri e susingoli componenti della FFM si è stabilito che la densità (peso/volume) delgrasso (FM) è pari a 0,9 kg/l e quella della FFM a 1,1 kg/l.

Conoscendo la densità corporea, dall’equazione di Siri si ottiene la stima inpercentuale del grasso corporeo, con un margine di errore molto basso:

massa adiposa % = (4,950/densità – 4,5) ¥ 100

Per valutare la densità è però necessario conoscere, oltre al peso, il volumedel corpo e ciò può essere ottenuto solo con procedure particolarmente com-plesse:

• pesata idrostatica: consente il calcolo del volume del corpo utilizzando ilprincipio di Archimede e richiede quindi l’immersione completa del soggettoin apposite vasche;

• pletismografia: richiede la disponibilità di apparecchiature molto costose; ilvolume corporeo viene calcolato a partire dalle variazioni di pressione (spo-stamento dell’aria) in un ambiente ristretto a tenuta ermetica quando vieneoccupato dalla persona in esame.

Tali metodiche, utilizzate soprattutto a scopo di ricerca, non sono applicabiliin clinica e per valutare ampi gruppi di popolazioni.

BioimpedenziometriaLa bioimpedenziometria (BIA) è la metodica più diffusa, semplice e non in-vasiva. Si basa su specifiche caratteristiche elettriche dei tessuti corporei che,al passaggio di una corrente alternata, oppongono una resistenza, denomi-nata impedenza (Z) costituita da due componenti: resistenza (R) e reattanza(Xc).

La resistenza è diversa a seconda delle caratteristiche dei tessuti e delle strut-ture biologiche: l’acqua e i tessuti privi di grasso sono buoni conduttori e quindioppongono una bassa resistenza, mentre i tessuti adiposo e osseo sono cattiviconduttori e hanno alta resistenza.

La reattanza (resistenza capacitiva) è la forza che un condensatore opponeal passaggio di una corrente elettrica. Le cellule, in particolare le membrane cel-lulari, si comportano come condensatori e quindi la reattanza può considerarsicome una misura indiretta della massa cellulare corporea.

I rilievi bioimpedenziometrici (R e Xc) ottenuti al passaggio attraverso l’or-

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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ganismo di una corrente elettrica di debole intensità (a frequenza fissa o varia-bile) permettono di ottenere una stima del contenuto di acqua corporea totale(TBW, total body water). Partendo dal presupposto che l’acqua costituisce il 73%della massa magra (FFM), dalla TBW si calcola la FFM e quindi, per differenzacon il peso, la FM (massa grassa).

Alcune apparecchiature disponibili attualmente in commercio dispongonodi software in grado di elaborare stime approssimative anche della distribuzionedei fluidi intra- ed extracellulari.

La BIA consente una stima veloce e sicura dei distretti idrici, della FFM e dellaFM, ed è anche sufficientemente accurata purché per il calcolo si utilizzino equa-zioni “popolazione-specifiche”.

In soggetti con caratteristiche corporee alle fasce estreme della popolazione(per esempio, gravi obesi), in caso di rapide variazioni di peso (per esempio, ra-pido dimagramento) o di anomala distribuzione dell’acqua e degli elettroliti (peresempio, presenza di edemi, versamento ascitico ecc.) la tecnica è poco affida-bile e ha un elevato margine di errore.

I suoi vantaggi sono la non invasività, la facilità e la rapidità di esecuzione,i bassi costi e un buon livello di riproducibilità.

Attenuazione fotonicaLa DEXA (dual energy X-ray absorptiometry) è oggi la metodica più avanzata eaccurata in grado di effettuare la simultanea misurazione di tre diversi compar-timenti corporei:

• massa ossea-minerale;• massa grassa;• massa magra senza componente osseo-minerale.

Si avvale di una fonte di raggi x che emette fotoni a due diversi livelli di ener-gia. Il doppio raggio fotonico attraversando i tessuti subisce una riduzione di in-tensità che dipende dallo spessore dei tessuti attraversati e dal loro specificocoefficiente di attenuazione.

Dal rapporto fra i due valori di attenuazione (R) è possibile, utilizzando op-portune formule, separare i tre compartimenti suddetti. La DEXA permette an-che di valutare la FFM, la FM e lo stato di mineralizzazione ossea in modo se-lettivo nei differenti distretti corporei e quindi, per esempio, può identificare areedi accumulo di grasso.

È altamente precisa e riproducibile, ha un basso rischio in quanto l’esposi-zione alle radiazioni è poco più di quella ambientale, ma richiede la disponibi-lità di strumentazioni molto costose e tempi di esecuzione abbastanza lunghi(20-30 minuti).

Tecniche per immagineLa tomografia computerizzata (TC) è il metodo più completo per lo studio di-retto del tessuto adiposo e della sua distribuzione. Il costo, la scarsa disponibi-lità e il rischio radiante la rendono di impiego limitato, se non per ricerca clinica.

La risonanza magnetica (RM) consente di valutare la composizione corpo-rea non esponendo il soggetto a radiazioni ma a un campo magnetico. Costo,durata dell’esame e scarsa disponibilità ne limitano l’impiego.

L’ecografia può essere utilizzata nella valutazione della distribuzione delgrasso corporeo in quanto consente una misurazione precisa e riproducibile dellospessore del tessuto adiposo sottocutaneo.

Composizione corporea e valutazione dello stato nutrizionale • CAPITOLO 28

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* * *

Tutti i metodi di misurazione della composizione corporea sono in pratica più omeno indiretti e si basano su assunzioni che non si possono applicare con ri-gore a tutti gli individui.

Infatti esiste una variabilità fisiologica correlata all’età, al sesso, al bilancioenergetico, al grado di forma fisica e allo stato di salute.

VALUTAZIONE DELLO STATO NUTRIZIONALE

Lo stato di nutrizione di un essere vivente viene definito come “quella condizionebiologica che può considerarsi come la risultante dell’equilibrio dinamico che sirealizza tra richieste nutrizionali e il loro soddisfacimento e dipende dall’apportodi energia e di nutrienti, dalla loro biodisponibilità ed efficienza di utilizzazione”.

La sua valutazione ha lo scopo di rilevare la presenza di stati di nutrizioneinadeguati (malnutrizione) per difetto o per eccesso. Può essere attuata:

• nell’individuo sano o in apparente stato di buona salute, per la sorveglianzanutrizionale di particolari soggetti (per esempio, nell’età evolutiva) e/o perprevenire patologie da ipernutrizione o malnutrizione subcliniche in soggettia rischio;

• nei soggetti affetti da patologie croniche, per identificare e quantificare lamalnutrizione che può complicare la patologia primitiva e per stabilire op-portunità, tempi e modalità di conduzione dell’intervento nutrizionale.

La valutazione dello stato di nutrizione deriva da una serie di rilievi anam-nestico/clinici (consistenza del tessuto adiposo, trofismo delle masse musco-lari, edemi, perdite di peso, rallentamenti della crescita, eventuale presenza divomito, diarrea, dolori addominali ecc.) e da esami fisici e di laboratorio, atti astabilirne l’adeguatezza o la compromissione.

A questo scopo si impiegano metodi antropometrici, biochimici, immunolo-gici e funzionali, alcuni dei quali sono da applicare periodicamente per seguirenel tempo l’evoluzione del processo morboso e gli effetti dei provvedimenti in-trapresi per correggere la malnutrizione.

Metodi antropometriciLa misurazione del peso e della statura corporei e il successivo calcolo del va-lore dell’IMC (kg/m2) sono certamente le prime rilevazioni da effettuare per iden-tificare condizioni che si discostano dalla norma.

Tuttavia, più che il confronto tra il peso misurato (o riferito dal paziente o daifamiliari se ne è impossibile la rilevazione) con i valori di riferimento (per esem-pio, valori riportati nelle comuni tabelle peso/altezza), rivestono maggior im-portanza le sue variazioni rispetto al peso abituale, dato anamnestico fondamen-tale per una corretta valutazione dello stato nutrizionale.

Ogni diminuzione di peso, quantificata in percentuale, dev’essere inoltre con-siderata in relazione al tempo occorso per verificarsi: in genere, le diminuzionigraduali e lente, rispetto a quelle rapide, compromettono meno lo stato di nu-trizione. È accertato comunque che una diminuzione di peso del 10% in un sog-getto di peso “normale” nei 3-4 mesi precedenti è da ritenere un indice “proba-bile” di malnutrizione, mentre una diminuzione più marcata (15-20%) costitui-sce un segno “sicuro” di malnutrizione.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Dalle rilevazioni di pliche e circonferenze corporee (descritte in precedenza)si possono quantificare e seguire nel tempo le variazioni dei compartimenti cor-porei FFM e FM.

Normalmente nella pratica clinica ci si limita a valutare la distribuzione ad-dominale del grasso con la misura della circonferenza della vita, oppure le va-riazioni della massa muscolare del braccio misurando la sua circonferenza e lospessore della plica tricipitale. L’impiego della plicometria per quantificare lamassa adiposa è generalmente di pertinenza specialistica.

Metodi biochimiciLa compromissione del patrimonio proteico dell’organismo può essere valutatacon diversi esami di laboratorio:

• il dosaggio della creatinina delle 24 ore rapportato alla statura del soggetto,il cosiddetto “indice creatinina/altezza”, dà indicazioni sull’impegno nel ca-tabolismo proteico delle proteine dei muscoli; a tale scopo si può utilizzareanche il dosaggio della 3-metilistidina nelle urine delle 24 ore;

• indicatori ritenuti ancora più sensibili dello stato nutrizionale sono le deter-minazioni delle concentrazioni plasmatiche di alcune proteine circolanti: al-bumina, prealbumina, transferrina, ceruloplasmina, fibronectina e la proteinalegante il retinolo. Le loro variazioni documentano una compromissione delcompartimento proteico viscerale.

Metodi immunologiciTra i metodi immunologici, i più usati sono gli indici di valutazione dell’immu-nità cellulo-mediata: la conta linfocitaria totale e la risposta di ipersensibilità ri-tardata ai test cutanei.

Metodi funzionaliUno dei metodi più utilizzati è la valutazione della forza muscolare, le cui varia-zioni possono essere saggiate mediante un dinamometro.

***

La valutazione dello stato nutrizionale è un processo complesso, risultante dal-l’integrazione dei diversi rilievi sopra descritti. È utile per l’infermiere conoscernei principi fondamentali, in particolare saper riconoscere in soggetti affetti da pa-tologie potenzialmente in grado di comprometterlo i principali segni di “malnu-trizione” (v. Cap. 29 “Malnutrizione”).

FFFFOOOOCCCCUUUUSSSS CCCCLLLLIIIINNNNIIIICCCCIIII

BODY MASS INDEX (BMI)

Composizione corporea e valutazione dello stato nutrizionale • CAPITOLO 28

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INTRODUZIONE

Nei Paesi industrializzati le problematiche nutrizionali più diffuse sono quelledovute a forme diverse di ipernutrizione o al mancato rispetto di corrette lineeguida alimentari; sono comunque presenti anche le problematiche nutrizionalida carenza o iponutrizione, comunemente definita malnutrizione, che può es-sere considerata quello stato di nutrizione inadeguata che si contrappone sulpiano clinico e fisiopatologico alla nutrizione ottimale.

La formazione professionale dell’infermiere richiede conoscenze specifichesu questo argomento, proprio in considerazione della frequenza con la quale lamalnutrizione anche oggi può essere osservata nelle corsie ospedaliere e del-l’impegno richiesto a tutto il personale sanitario per neutralizzarne le conse-guenze.

DEFINIZIONE

In senso lato, per malnutrizione si identifica uno stato di cattiva o comunquenon adeguata nutrizione, che più precisamente può essere definita come “quellasituazione in cui un deficit, eccesso o squilibrio di energia, proteine e altri nutrientiporta a effetti misurabili indesiderati sulla composizione corporea, funzionalità diorgani o tessuti e sulla prognosi a breve/lungo termine; tale situazione, se non cor-retta, determina un’aumentata incidenza di svariate complicanze, un incrementodella mortalità, un peggioramento della qualità di vita”.

Generalmente si è soliti fare una distinzione tra le forme per eccesso di nu-trienti e le forme per difetto o carenza di nutrienti. Le forme per eccesso, quasisempre identificabili in patologie specifiche (per esempio, obesità), non sarannoqui considerate, mentre verranno trattati gli aspetti relativi alle forme “per di-fetto”. In tal senso ricordiamo che la malnutrizione è quello stato morboso chesi instaura quando non sono soddisfatte le esigenze nutrizionali qualitative e quan-titative dell’individuo e che, secondo quanto appreso in precedenza, il soddisfa-cimento delle esigenze nutrizionali presuppone che i vari principi nutritivi sianopresenti nelle razioni alimentari in quantità adeguata e in opportuna propor-zione tra di loro e inoltre che siano adeguatamente assorbiti dall’intestino e uti-lizzati.

22229999MALNUTRIZIONE

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CLASSIFICAZIONE ED EZIOLOGIA

Una prima distinzione va fatta tra malnutrizione primaria, diretta conseguenzadi carenza di nutrienti (cibo) in assenza di altre patologie, ma che può favorirela comparsa di patologie (malnutrizione come causa di malattia) e quella secon-daria, cioè quella che consegue a una o più condizioni patologiche (malattiacome causa di malnutrizione).

Il deficit nutrizionale può essere globale (proteico-energetico) o selettivoper specifici nutrienti: proteine, vitamine, sali minerali, oligoelementi ecc.

Le forme di più frequente osservazione sono:

• la malnutrizione energetica per difetto dell’apporto calorico;• la malnutrizione proteica per difetto dell’apporto proteico;• la malnutrizione proteico-energetica ovvero l’associazione tra le due pre-

cedenti (PEM, protein-energy malnutrition, secondo la terminologia anglo-sassone).

Generalmente quando la condizione di malnutrizione proteico-energetica ègià avanzata, essa è sempre associata a deficit di altri nutrienti (vitamine e mi-nerali).

Malnutrizioni primarieLe malnutrizioni primarie, dovute a insufficiente apporto di nutrienti con l’ali-mentazione e storicamente associate a carestie, guerre o calamità naturali, sonodi frequente osservate nelle popolazioni economicamente sottosviluppate, spe-cialmente a carico dei bambini nei quali il corrispondente quadro clinico è statodenominato marasma (malnutrizione calorica) e kwashiorkor (malnutrizioneproteica).

Nelle società affluenti, invece, le malnutrizioni primarie sono sporadicamentesegnalate in soggetti che, per motivi psicologici, riducono la propria alimenta-zione (anoressia nervosa), in alcuni anziani in cattive condizioni economiche,negli etilisti cronici e nei tossicodipendenti.

Malnutrizioni secondarieLe malnutrizioni secondarie sono le forme che conseguono a diverse patologiee sono prodotte da meccanismi che:

• aumentano il bisogno di nutrienti, oppure• ne diminuiscono l’assorbimento intestinale, o• ne compromettono l’utilizzazione, o• ne aumentano le perdite per una più intensa eliminazione.

A questi meccanismi, presenti singolarmente o variamente associati in nu-merosi processi morbosi, si accompagna quasi sempre una riduzione degli ap-porti nutrizionali che contribuisce ad aggravare ulteriormente il quadro clinicodi questi pazienti.

Il problema della malnutrizione secondaria è di particolare rilevanza nei pa-zienti ospedalizzati. Ancor oggi la prevalenza della PEM negli ospedali è preoc-cupante: dati ufficiali indicano valori attorno al 30%, con un incremento signifi-cativo nei reparti chirurgici (40-50%) e ancor più nel caso di pazienti anziani onei soggetti affetti da insufficienza renale cronica sottoposti a dialisi (50-60%).Alcuni studi rilevano inoltre un peggioramento dello stato nutrizionale nel 60%circa dei degenti entro 2 settimane dal ricovero.

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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PATOGENESI DELLA MALNUTRIZIONE NELLE MALATTIE

L’insorgenza della malnutrizione nelle malattie è sostanzialmente riconducibilea due meccanismi responsabili della negativizzazione del bilancio nutrizionale:riduzione degli apporti e aumento dei fabbisogni.

Riduzione degli apportiLa situazione cosiddetta di starvation (termine anglosassone più estensivo delnostro “digiuno”) indica situazioni derivanti non solo dalla mancata introduzionedi alimenti, ma anche da qualsiasi condizione che realizzi comunque una ridu-zione degli apporti, come la ridotta assimilazione e l’aumento delle perdite.

La riduzione degli introiti alimentari può verificarsi come conseguenza di anores-sia (mancanza di appetito), nausea, vomito, disfagia (disturbi della deglutizioneo della canalizzazione esofagea), masticazione difficoltosa per cause dentali.

L’ospedalizzazione è di per sé un’altra causa di ridotta introduzione di ali-menti, per gli orari inadeguati e la scarsa appetibilità dei pasti, per i digiuni ne-cessari alle indagini diagnostiche nonché per le alterazioni dell’umore di tipo de-pressivo o per la presenza di dolori intensi e costanti. Altre importanti cause diriduzione degli apporti possono essere le prescrizioni dietetiche incongrue oquelle di farmacoterapie che interferiscono con l’apporto alimentare, diminuendol’appetito o alterando il gusto o che sono tossiche per il sistema digestivo (peresempio, la chemioterapia).

La ridotta assimilazione associata ad aumento delle perdite realizza la condi-zione di starvation attraverso il mancato assorbimento dei principi nutritivi. Que-sta condizione si riscontra in diverse patologie gastrointestinali che si accom-pagnano a diarrea o sono caratterizzate da una drastica diminuzione delle se-crezioni digestive (bile e succo pancreatico) o è conseguente a interventi chi-rurgici che hanno determinato un’estesa riduzione della superficie intestinaled’assorbimento. Principali condizioni in cui si verificano una maldigestione o unmalassorbimento sono la sindrome dell’intestino corto, la celiachia, la fibrosicistica, le pancreatiti, l’insufficienza biliare e altre epatopatie.

L’aumento delle perdite è la causa prevalente di malnutrizione nelle malat-tie infiammatorie croniche intestinali, nelle infezioni e nelle infestazioni inte-stinali, così come nelle diarree intrattabili. Nello stesso senso agiscono le fistoleintestinali che versano il contenuto intestinale all’esterno o che fanno comuni-care una parte alta del tratto gastrointestinale con una bassa (per esempio, la fi-stola gastrocolica o duodenocolica).

Le patologie nefrourologiche, per esempio, l’insufficienza renale cronica instadio avanzato e/o la dialisi renale, sono caratterizzate da alterazioni biochi-miche responsabili di una importante perdita dell’appetito. La conseguente ri-duzione degli apporti, l’ipercatabolismo e l’aumento delle perdite di proteine conle urine, che spesso accompagnano tali patologie, possono determinare unagrave compromissione dello stato nutrizionale.

Nel corso delle neoplasie la malnutrizione è piuttosto frequente ed è princi-palmente dovuta a diminuzione degli apporti alimentari per anoressia, alla qualesi sovrappone anche l’interferenza delle terapie oncologiche.

Le cause di malnutrizione nella sindrome da immunodeficienza acquisita(AIDS) possono variare in relazione alla stadiazione della malattia e alla loca-lizzazione delle complicanze. Di particolare importanza, oltre alla riduzione de-gli apporti, è la presenza di diarrea che, protraendosi nel tempo, diviene causadi malassorbimento.

Tra le altre patologie responsabili di malnutrizione caratterizzate da notevoli

Malnutrizione • CAPITOLO 29

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difficoltà di alimentazione con apporti inadeguati per i fabbisogni, ricordiamo:cardiopatie congenite o acquisite, alcune patologie neuromuscolari (per esem-pio, paralisi cerebrale, ritardo mentale, alcune miopatie, coma), patologie re-spiratorie croniche e patologie psichiatriche (per esempio, anoressia nervosa).

Infine la malnutrizione può svilupparsi e complicare tutte le forme morbosein cui sia necessario sospendere l’alimentazione per oltre quattro giorni o vi siauna riduzione degli apporti inferiore al 50% del fabbisogno per 7-10 giorni.

Aumento dei fabbisogniIl secondo meccanismo in grado di determinare una negativizzazione del bi-lancio nutrizionale è l’aumento dei bisogni nutrizionali dovuto a ipercatabolismo.Esso è presente in diverse condizioni patologiche che comportano febbre (lafebbre, di per sé, determina un aumento del MB del 13% per ogni grado centi-grado superiore a 37 °C), infezioni ricorrenti o per uso di particolari farmaci, ocomunque in tutti i processi morbosi definiti “aggressivi”.

La sindrome postaggressiva o, più semplicemente, malattia traumaticaod operatoria, è la risposta aspecifica dell’organismo alle “aggressioni”: trau-matismi, fratture ossee, interventi chirurgici, ustioni estese, sepsi ecc. È sca-tenata dall’intervento del sistema nervoso autonomo (simpatico) e si svolge sottol’influenza di una iperattività endocrina che interessa l’ipofisi, il surrene e la ti-roide, e alla quale si associa una sensibile diminuzione dell’effetto insulinico. Neconsegue una situazione endocrino-metabolica caratterizzata da un aumentodei bisogni energetici e proteici di entità variabile in relazione alla natura e allagravità dell’insulto lesivo (il massimo aumento è determinato dalle ustioni estese),all’età e allo stato di nutrizione del soggetto.

Si deve ricordare che questa risposta, sia pure in grado lieve, è sollecitata an-che dagli interventi chirurgici di minore importanza, come l’appendicectomia,la plastica erniaria ecc.

Tutte le patologie chirurgiche in generale sono quindi caratterizzate da unipercatabolismo e da un aumento dei fabbisogni. Negli interventi più estesi sultratto digestivo spesso è anche necessario il “riposo intestinale” parziale o to-tale con conseguente sospensione o riduzione degli apporti. Anche nella chi-rurgia toracica e in neurochirurgia, come a volte nei traumi e nelle ustioni, sihanno gravi difficoltà a una adeguata introduzione di alimenti.

Tutte queste condizioni, ancora oggi troppo spesso sottovalutate, costitui-scono in realtà una indicazione precisa a un supporto nutrizionale il più com-pleto possibile in quanto presentano rischi nutrizionali più che concreti.

L’importanza di conoscere e correttamente valutare la malnutrizione seconda-ria, che a buon titolo viene definita come una malattia nella malattia, risiede nel-la consapevolezza di quanto essa incida nel peggiorare la prognosi quoad valetu-dinem e quoad vitam di qualsiasi patologia e di quanto invece un corretto interven-to nutrizionale possa migliorare l’efficacia della terapia, ridurre l’incidenza dellecomplicanze e quindi migliorare la prognosi definitiva della patologia di base.

QUADRO CLINICO DELLA MALNUTRIZIONE

Ancor prima che il quadro clinico della malnutrizione sia conclamato, di fre-quente si devono valutare quadri di malnutrizione subclinica o marginale, ini-ziale o parziale, o anche condizioni di puro rischio nutrizionale. Infatti, le ma-nifestazioni cliniche possono inizialmente non essere evidenti, ma mano a manoche la malnutrizione progredisce, dopo l’esaurimento delle riserve di nutrienti

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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dell’organismo, si assiste dapprima alla compromissione di certe funzioni fisio-logiche evidenziabili solo con test biochimici o funzionali appropriati; in seguitocompaiono i segni clinici che spesso, sovrapponendosi a quelli della malattia re-sponsabile della malnutrizione, finiscono per confondersi con essi.

In effetti la malnutrizione è spesso misconosciuta. Secondo alcuni studi inambito ospedaliero non è identificata addirittura nel 60-70% dei casi e, di con-seguenza, non è neppure corretta.

Per questo l’infermiere, così come le altre figure sanitarie coinvolte nell’as-sistenza del malato, dovrebbe possedere alcune conoscenze di base dei mezziatti a identificare la presenza di malnutrizione e il “rischio nutrizionale” dei pa-zienti. A tale proposito vanno utilizzati gli strumenti e le metodiche descritti inprecedenza nel capitolo 28, paragrafo “Valutazione dello stato nutrizionale”.

A completamento di quanto già esposto, in merito ai criteri utilizzati si pre-cisa quanto segue:

• rilievi anamnestico/clinici: richiedono un’approfondita anamnesi fisiolo-gica e patologica con particolare attenzione alle variazioni del peso e degliintroiti alimentari. Se gli introiti risultano inferiori al 50% dei fabbisogni, si-curamente il rischio di malnutrizione sarà elevato. Da un accurato esameobiettivo possono essere registrati segni indicativi di compromissione dellostato nutrizionale e/o di deficit vitaminico/minerale: per esempio, perdita dimassa muscolare scheletrica e di grasso sottocutaneo, edemi, stomatite, se-gni di anemizzazione, segni cutanei e/o mucosi, lesioni a gengive, lingua,denti, unghie, capelli ecc.;

• rilievi antropometrici: la diminuzione del peso corporeo costituisce un se-gno cardinale e interessa oltre alla massa grassa (FM) anche la massa ma-gra (FFM). Particolarmente importante è quindi la registrazione delle va-riazioni di peso rispetto a quello abituale. Fortemente indicativo di malnu-trizione è un calo ponderale > del 10% nei 6 mesi o > del 5% nei 30 giorni(1 mese) antecedenti. Va sottolineato che valori di IMC <17 kg/m2 o un pesocorporeo <20% rispetto al peso di riferimento sono già correlati a uno statodi malnutrizione. Altri indicatori sono valori delle pliche cutanee tricipitalee sottoscapolare e della circonferenza e/o area muscolare del braccio in-feriori al 15° percentile;

• parametri biochimici/immunologici: alla perdita di FFM partecipano nonsolo le proteine muscolari ma anche quelle viscerali. L’interessamento vi-scerale può essere messo in evidenza mediante il dosaggio di determinateproteine plasmatiche. Le principali, di sintesi epatica, sono:

– albumina: ha l’emivita più lunga, di 20 giorni; la riduzione dei suoi livelliplasmatici si associa a un peggioramento della prognosi;

– transferrina: ha un’emivita più breve di 8 giorni; riflette le perdite e il re-cupero del patrimonio proteico;

– prealbumina: ha un’emivita brevissima di 2-3 giorni; può essere utiliz-zata come indicatore della risposta al trattamento nutrizionale.

In linea generale le proteine di sintesi epatica correlano inversamente con mor-bilità e mortalità: più sono basse le loro concentrazioni, più alta è la probabi-lità di evoluzione sfavorevole dell’evento morboso. La carenza di proteine (edi certi micronutrienti come zinco e vitamina C) può determinare un ritardo dicicatrizzazione delle ferite, comprese quelle chirurgiche. La malnutrizione com-promette anche i processi immunitari sia di tipo umorale che cellulo-mediati.Ne consegue una maggiore suscettibilità alle infezioni, le quali, a loro volta,

Malnutrizione • CAPITOLO 29

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possono essere causa ulteriore di malnutrizione: si instaura così un circolo vi-zioso che può portare a morte l’individuo. La tabella 29.1 riporta la classifica-zione del grado di malnutrizione in funzione dei livelli ematici di alcune pro-teine e di parametri biochimici e immunologici (numero di linfociti);

• parametri funzionali:come conseguenza della compromissione della FFMsi ha diminuzione della forza di contrazione dei muscoli scheletrici, rileva-bile con prove funzionali (per esempio, dinamometria). Talora anche la fun-zione del muscolo cardiaco e dei muscoli respiratori può essere alterata.

Indici nutrizionaliSono indicatori del “rischio di malnutrizione” e costituiscono un primo approc-cio per identificare soggetti malnutriti o “a rischio” da indirizzare a una valuta-zione nutrizionale più approfondita e quindi a trattamento. Ne sono stati pro-posti diversi, combinando tra loro parametri nutrizionali e variabili non nutri-zionali in senso stretto ma associate a malnutrizione (per esempio, età elevata,stati ipercatabolici ecc.). Dalla somma dei punteggi attribuiti a ogni variabile siottiene lo score finale che identifica il rischio e/o il livello di malnutrizione. Gliindici nutrizionali principali e di più diffuso impiego sono:

– Subjective Global Assessment (SGA);– Nutrition Risk Screening 2002 (NRS-2002);– Malnutrition Universal Screening Tool (MUST);– Nutrition Risk Index (NRI);– Mini Nutritional Assessment (MNA) (il più noto per l’età geriatrica).

A tutt’oggi non c’è accordo unanime su quale tra i diversi indici sia il migliorein termini di sensibilità e specificità nello screening della PEM. Per esempio, l’A-SPEN (la Società scientifica americana di nutrizione artificiale) raccomanda l’-SGA che, sebbene preciso, richiede un osservatore esperto, mentre l’ESPEN (laSocietà europea) raccomanda l’NRS-2002 che fa riferimento specificamente aipazienti ospedalizzati. Nella tabella 29.2 sono riportate le modalità di valuta-zione dell’NRS-2002; lo screening avviene in due fasi sequenziali, e prevede l’u-tilizzo di parametri di semplice reperibilità.

L’elevata incidenza di malnutrizione, in particolare negli ospedali, preoccupale autorità sanitarie anche in considerazione della scarsa sensibilizzazione de-

PARTE II • Scienza dell’alimentazione

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Parametro Malnutrizione

Lieve Moderata Grave

Albumina g/dl 3,5-3,0 2,9-2,5 < 2,5Transferrina mg/dl 200-150 149-100 < 100Prealbumina mg/dl 18-22 10-17 < 10Retinol binding protein mg/dl 2,9-2,5 2,4-2,1 < 2,1Linfociti /mm3 1500-1200 1199-800 < 800Indice creatinina/altezza 99-80 79-60 < 60

TABELLA 29.1 PARAMETRI BIOCHIMICI/IMMUNOLOGICIE GRADO DI MALNUTRIZIONE*

* Fonte: Linee Guida SINPE (Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale), 2002.

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gli operatori sanitari alla sua rilevazione e trattamento. Negli ultimi 30 anni nonè stato documento alcun miglioramento della sua prevalenza. Nel 2002 il Con-siglio d’Europa ha elaborato un documento di consenso sulla prevenzione dellamalnutrizione negli ospedali nel quale viene ribadita la necessità di valutazionedel rischio di malnutrizione in tutti i pazienti ospedalizzati già nelle prime ore dal ri-covero, con un inquadramento più ampio da parte di un team nutrizionale neipazienti “a rischio” e, se necessario, con impostazione di una terapia adeguata;vengono anche segnalate le principali barriere a una assistenza nutrizionale ap-propriata e le possibili raccomandazioni operative.

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RUOLO DELL’INFERMIERE NELLO SCREENING DELLA MALNUTRIZIONEE NELL’ASSISTENZA NUTRIZIONALE DI PAZIENTI MALNUTRITI

Malnutrizione • CAPITOLO 29

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Screening iniziale

1. IMC è < 20? Sì No2. Il paziente ha perso peso negli ultimi 3 mesi? Sì No3. Il paziente ha ridotto gli introiti negli ultimi 7 giorni? Sì No4. Il paziente è “critico”? Sì No

Se la risposta è “Sì’” ad almeno una domanda passare allo screening successivo

Screening finale

Punti Punteggio A Punti Punteggio BAlterazione dello stato nutrizionale Condizione medica e trattamento

0 0

1 1

2 2

33

Somma: totale punteggio A + totale punteggio B (+ 1 per un’età > 70 anni )< 3 Rischio assente o lieve: rivalutare ogni settimana> 3 Rischio moderato/elevato: iniziare intervento nutrizionale

TABELLA 29.2 NUTRITIONAL RISK SCREENING (NRS-2002)

• Normale stato di nutrizione

• Perdita di peso > 5% in 3 mesi, o• Assunzione alimentare pari al 50-75% dei

fabbisogni nella settimana precedente

• Perdita di peso > 5% in 2 mesi, o• IMC 18,5-20,5 e condizioni generali sca-

dute, o• Assunzione alimentare pari al 25-50% dei

fabbisogni nella settimana precedente

• Perdita di peso > 5% in 1 mese, o• IMC <18,5 e condizioni generali scadute, o• Assunzione alimentare pari a 0-25% dei

fabbisogni nella settimana precedente

• Normali necessità metaboliche

• Frattura dell’anca• Presenza di patologie croniche in partico-

lare con complicanze acute: cirrosi, BPCO,emodialisi, diabete

• Chirurgia addominale maggiore• Ictus• Infezioni polmonari gravi• Neoplasie di interesse ematologico

• Traumi cranici• Trapianto di midollo osseo• Pazienti in terapia intensiva

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