Schio - Kaposvar 2007 - Diario di viaggio

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25 agosto - 2 settembre 2007 diario di viaggio SCHIO - KAPOSVAR (-: Dicos Editore :-)

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Viaggio in bicicletta da Schio (Italy) a Kaposvar (Ungheria)

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25 agosto - 2 settembre 2007

diario di viaggio

SCHIO - KAPOSVAR

(-: Dicos Editore :-)

stampato nel mese di ottobre 2007

...c’ero anch’io!

Nella settimana dal 25 agosto al 2 settembre 2007, ho fatto parte del gruppo di appassionati delle due ruote che ha realizzato il viaggio in bicicletta da Schio alla gemellata Kaposvar (Ungheria). In venti il primo giorno, in diciannove nel se-guito, a pedali abbiamo attraversato confini (Austria, Slovenia, Croazia e infine Ungheria) e macinato strada... Facendo una media tra i diversi strumenti di misura individuali che davano cifre comprese tra i 780 e gli 816, possiamo dire 800 chilometri trattabili! Nonostante la tenacia con cui la pioggia ci ha inseguiti per oltre metà del viaggio, siamo sempre sfuggiti con successo al maltempo, che riusciva a raggiungerci soltanto un attimo dopo essere arrivati a destinazione. Sospetto che a vegliarci e a proteggerci dalle ire di Giove Pluvio, nonché dai perigliosi camion sloveni, ci sia stata l’intercessione del nostro Santo Protettore, l’economo Beppe Sella, che a distanza ci ha seguito attraverso dettagliati resoconti quotidiani. A lui, che ha dovuto sopportare la forzata ri-nuncia a questo progetto, a Elia e Renato che hanno preso le redini dell’organizzazione e ai compagni con cui ho condiviso l’avventura, dedico questi brevi pensieri in forma di diario, trascritti nelle sere di quella settimana, in cui oltre al piacere della scrittura ho ritrovato anche quelli del cibo e del sonno.

Maria Grazia

Questo viaggio è stato realizzato dal Gruppo Dicos (Dipendenti Comunali di Schio) e altri amici.I Dicos appoggiano e sostengono le finalità e l’attività dell’Associazione malattie rare “Mauro Baschirotto” di Vicenza fondata per effettuare studi e ricerche nell'ambito di quelle malattie che sono quasi sempre caratterizzate da difficoltà diagnostiche e terapeutiche che impongono un e-levatissimo carico gestionale ed emotivo ai pazienti e alle loro famiglie. Per diffondere questo messaggio di solidarietà, i ciclisti hanno indossato la maglia rosa dell’Associazione con la scritta “Io corro per la terapia genica”.

indice

itinerario..................pag. 7

partecipanti................ ” 9

25 agosto................... “ 13

26 agosto................... ” 16

27 agosto................... “ 19 28 agosto................... ” 23 29 agosto................... “ 25

30 agosto................... ” 30

31 agosto................... “ 33

01 settembre................ ” 38

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itinerario di viaggio

Schio, Bassano del Grappa, Cismon del Grappa, Arsiè, Pedavena, Belluno.

sabato 25/08/07

martedì 28/08/07

domenica 26/08/07

venerdì 31/08/07

lunedì 27/08/07

giovedì 30/08/07

mercoledì 29/08/07

sabato 1/09/07

domenica 2/09/07

Belluno, Cortina, Passo 3 Croci,S. Candido, Sillian

Sillian, Lienz, Spittal, Toplitsch

Toplitsch, Villach, Klagenfurt

Klagenfurt, Maribor

Maribor, Kadovec, Nagykanizsa

Nagykanizsa, Kaposvar

Kaposvar

Kaposvar, Schio

Km 124

Km 134

Km 124

Km 146

Km 74

Km 130

Km 130

Km 78

Km 0

Totale Km 816

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hanno partecipato

ELIAhomo gentilis

uno dei nocchieri del gruppo

RAFFAELLOhomo diplomaticusmediatore e “buon padre di famiglia”

RENATOhomo sportivus

modello sovieticus nonchè organizer

GIACOMOhomo iuvenis 1 pieno di capelli

ed energia

RICCARDOhomo iuvenis 2 programmato per le salite

MIRCOhomo sapiens raffinato

ciclomeccanico, cantastorie

ANTONIOhomo gaudens

vocazione: Principeaspirazione:genero

VIRMAiron lady

senza dubbio...una tipa avanti!

DUILIOhomo apripista perciò...mai

ultimo!

FRANCAmother womancomprensiva, accogliente

BRUNOhomo patienssempre pronto

a dare una spinta!

FRANCO S.homo determinatus ...”ITALIANI!!!!!!”

DONATELLArelaxed woman

con la bici o col furgone,sempre in

tranquillità

FRANCO R.homo severus

(apparentemente!) ma con giocoso campanello e coccinella sul casco!

MANUELAtenax womanprima o poi

arriva ovunque!

COSTANTEhomo orbatus del suo

antagonista sportivo ripetuta-mente invocato

ORIELLAinox womansilenziosa,metodica...

inarrestabile!

MARCOhomus multiplus

ciclista,autista,cuoco,sciatore...

...c’erano inoltre...

SAN BEPPE SELLAhomo spiritualis, nel senso che soltanto il suo

spirito ha pedalato con noi. Eletto

perciò Santo Protet-tore di questo viag-gio, fin dal momento della partenza è

entrato nella parte. Eccolo in un momento di raccoglimento benedicente :-)

DARIOhomo sporadicus pedalatore con noi soltanto il primo giorno

perchè il diri-gente non gli ha

concesso le ferie...!

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sab 25 agosto 07 Schio - Belluno km. 124

Ci siamo. Dopo averlo immaginato a lungo, a tratti anche temuto, questo giorno è arrivato. Partiamo alle 8.30, dai magazzini comunali di Schio, in un tripudio di macchinette fotogra-fiche a fermare il momento con il gruppo in posa, sorridente, con la divisa della “Pasubio Ser-vizi”. La frenesia fotografica è quasi giap-ponese. Il Ducato di Adelino viene caricato di bagagli e vettovaglie ed è di Franco, Franco della Franca, il primo turno di guida. A quanto pare, almeno guardando gli altri, ho i copertoni poco adatti all’occasione, visto che le gomme dei miei compagni sono lisce, senza, o quasi, tasselli. Ho anche due borsine posteriori, una coperta di Linus di cui mi sbarazzerò presto ri-consegnandole al furgone. E’ inevitabile che io parta sempre con qualche zavorra, fisica e men-tale: in questo viaggio vorrei disfarmi di en-trambe. Nel primo tratto in Valstagna ci con-frontiamo con un vento dispettoso che spinge contro il nostro senso di marcia. Durante la prima sosta al bar incontriamo il padre orgo-glioso del “magico Tempe”, un ragazzo che compie imprese a metà strada tra il ciclismo e l’acrobazia, pedalando con una ruota sollevata da terra e reggendo vassoi con bicchieri

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pieni d’acqua... Io sarò contenta se arriverò a destinazione pedalando normalmente! Prima di affrontare la salita di Cismon, Franco dispensa dal furgone piccole pesche glabre, che hanno l’aspetto e la consistenza delle mele e un sapore non meglio identificato che Giacomo definisce “sintetico”: come dargli torto? La salita ci porta per strade in cui il tempo sembra fermo e, a parte la striscia di asfalto sotto alle ruote, il colore che domina è il verde. Il cielo è velato, ma sono ugualmente in un bagno di sudore. Raffaello fa “come la cioca coi poldini” e gira la testa avanti e indietro, controllando che ci siamo tutti. Si, ci siamo. A Pedavena arrivo in carenza di zuccheri e de-siderando fortemente il cibo: è un evento piut-tosto raro, bene! Qui succede che perdo il con-tachilometri, e forse è un segno per dirmi che non devo concentrarmi troppo sul calcolo della strada fatta e quella da fare. Succede anche che ci lasciamo sedurre da varie misure di birra fresca: sarà un errore. Franca si sente male e farà il resto del viaggio in furgone. Quando ri-partiamo non c’è una nuvola, ma il sole fa il suo lavoro e l’alcol in circolo, con la dige- stione in corso non aiuta. A sorpresa, però, mi

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riprendo e nonostante il saliscendi e una serie di imprevisti che aumentano i chilometri, tengo botta. Attraversiamo paesi e località dai nomi fortemente contratti: Mis, Pez, Can... non si può dire che questi bellunesi sprechino parole. Neppure io, comunque. In questo frangente è meglio risparmiare il fiato. Il giorno cala, ma ancora non si vedono le indicazioni per Belluno. Nel frattempo però si sta volentieri al sole e quello che fino a poche ore prima era una fatica, diventa un piacere. I monti hanno ora il colore denso del tardo pomeriggio e finalmente, dopo l’ennesima salita,“se molemo zo a Belun”. Fatichiamo un pò a trovare i Salesiani, il nostro “hotel” per la notte. Qualcuno dice che i chilometri fin qui percorsi sono 135, qualcuno 124; fatto sta che ora, ogni metro in più da percorrere, è un metro di troppo. Alla fine ce la facciamo, e dopo la doccia la stanchezza viene dissimulata tra le pieghe degli abiti civili. Anche la pizza della cena ce la guada-gnamo dopo faticose ricerche peregrinando a piedi per la città. La luna quasi piena occhieg-gia nella notte limpida, il primo giorno è andato e fra 24 ore saremo già oltreconfine.

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dom 26 agosto 07 Belluno - Sillian km. 134

“E quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la salita, che fantastica storia è la vita...”

Chissà se quando Venditti scrisse questa can-zone, stava facendo il cicloturista...ne dubi- to. Il motivo, peraltro, sarebbe stato più a- datto alla giornata di ieri e naturalmente parlo per me che oggi non mi spenderò sulla ripida ascesa al Passo Tre Croci, scegliendo invece con la maggioranza l’alternativa per Passo Cima-banche. La ciclabile da Tai di Cadore è piace-vole e anche quella che da Cortina ricalca il percorso della vecchia ferrovia, riempie tal-mente la vista da far passare su un secondo piano di pensieri la preoccupazione per il di-slivello da colmare. Le quinte dei monti, le vecchie gallerie illuminate da luci calde e fioche, gli orridi che oltrepassiamo su ponti di legno sono piacevoli distrazioni per gli occhi, la mente, le gambe. Ci fermiamo spesso, noi del sottogruppo “slow” a scattare fotografie, ad a-scoltare il canto dell’acqua, dove corre, e a indovinarne la profondità dove essa si ferma a comporre piccoli laghi, da cui ci si aspetta di vedere comparire creature di fantasia.

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A Passo Cimabanche, non mi par vero di togliermi le scarpe e regalare alle estremità inferiori un pediluvio gelato nel torrentello. In queste situazioni le soddisfazioni regrediscono a livello dei bisogni primordiali: mangiare, bere, riposarsi, lavarsi. Tuttavia ogni volta che succede mi pare una conquista, qualcosa che mi riprometto di conservare nella vita di ogni giorno e che invece poi irrimediabilmente perdo per strada. Al Passo arrivano anche gli arditi che hanno scelto l’opzione “scalata” lasciando sui tornanti sudore, energie e... un prezioso paio di occhiali da sole. Il disappunto di Renato per la perdita è più che manifesto, e a nulla vale il tentativo di ricerca messo in atto da Antonio e Giacomo, tornati al Passo Tre Croci sperando in un fortuito ritrovamento. Anzichè confortarlo per l’oggetto smarrito, gli amici di Renato girano il coltello nella piaga e questo diventa ben presto l’evento del giorno e il pretesto per ironie e battute. La prima pasta-sciutta comunitaria però, mette d’accordo tutti, come la siesta sul prato, un quadro di vita incorniciato dalle montagne.

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La prospettiva di avere davanti la discesa fino a S. Candido ci mette allegria: indossiamo i kway antivento e ci lanciamo giù per la strada ormai in ombra. Agli occhi degli automobilisti siamo una serpentina in movimento punteggiata qua e là dai fanalini a luce intermittente. Nell’aria aleggia la sensazione di essere in una terra di mezzo che non è più Italia e non è ancora Austria. La avverto in tutti i luoghi di confine, e trovo che sia davvero affascinante avvicinarsi a popoli diversi cogliendo le trasformazioni in modo graduale. Il sole si af-faccia di nuovo a fine tappa, mentre il canto di una Drava piccola e timida ci accompagna a Sil-lian.

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lun 27 agosto 07 Sillian - Toplitsch km. 146

La Drava. E’ lei che oggi ci indica il percorso. Quando l’abbiamo incontrata ieri era un semplice torrentello dalla voce ragazzina. Oggi la ve-diamo crescere, allargarsi, diventare grossa ma snella, agile, più adulta e silenziosa. Ci ac-compagna gentile, ma passando il confine il suo nome si pronuncia in un’altra lingua e ignoro se sia ancora un fiume femmina, a farci da guida. Ha cambiato voce, dimensioni, sembianze. L’acqua trasparente si muta in lattiginosa, come se vi fosse stata sciolta dentro della calce, poi diventa verde, fangosa, si trasforma di con-tinuo. Oggi per la prima volta, poco dopo Lienz, sfioriamo l’incidente fisico, ma non quello diplomatico, con un austriaco del luogo. Alte- rato lui, un pò spaventati noi, ce la caviamo così e l’unico danno lo riporta lo specchio re-trovisore esterno della sua auto contro il mio manubrio, noi per fortuna illesi. Sulla scena, a difendere le nostre ragioni, interviene anche un ciclista che parla l’idioma dell’incauto guida-tore, anche se in questa faccenda non siamo del tutto innocenti e a onor del vero va di-chiarata anche un po’ di nostra imprudenza. No-nostante la presenza del fiume, oggi tendiamo a sbagliare strada, e non una volta.

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Ci troviamo alla fine di quella che sembrava una pista,in mezzo a un campo di fiori gialli che Antonio già definito “Il Principe” classifica come “specie spontanea”. Pare che gli studi di agraria non abbiano lasciato un gran segno. Fac-ciamo dietro front portandoci dietro i nostri dubbi floreali, e, cosa più degna di nota, di percorso. Elia si inoltra nel giardino ben curato di una casetta di campagna e intraprende, in lingua tedesca, un tentativo di richiesta di informazioni con una giovane austriaca bionda in succinti abiti da giardinaggio. Ora conosciamo la direzione da prendere, tante grazie e auf wiedersehen. Ma dopo un po’ siamo da capo e brancoliamo...nel verde. A questo punto più di uno si dà da fare per domandare, con l‘unico ri-sultato di avere una serie di indicazioni con-trastanti fra di loro. E’ a quel punto che Franco R., fino a quel momento emblema di uno stile quasi British, esplode nella frase desti-nata a rimanere scolpita nella memoria dei pre-senti: “Se qualchedun che no xe Elia domanda ancora informassion, a ghe tajo via le ...”Sotto la minaccia del pericolo che incombe sui gioielli di famiglia, la comitiva rientra nei ranghi ed Elia riconquista la leadership.

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E finalmente ritroviamo la Drava! Nel punto in cui ci fermiamo per l’appuntamento con la pastasciutta, più che un pranzo, un rito, c’è una spiaggetta da cui si può osservare l’acqua corrente. Corre davvero. Non corrisponde allo stereotipo che si ritrova spesso in letteratura del tipo: ”il fiume scorreva lento...”. Qui è tutt’altro, proprio il contrario. E’ di nuovo limpida e anche le sponde sono linde, tanto che pare quasi di offenderle risciacquando la pen-tola della pasta. Verso Toplitsch, realizzo che anche oggi i chilometri sono andati ben oltre il centinaio e penso anche che mi sto abituando, nonostante io rimanga più cicloviaggiatrice che ciclista tout court. Mi piacerebbe infatti por-tare a casa qualcosa in più di una velocità media oraria alta. Vorrei riuscire ad entrare nelle atmosfere locali, conoscere il genius loci... ma i tempi sono tirati e... ubi maior...io mi adatto! Chiedo quanti chilometri abbiamo percorso in tutto, non per fretta di ar-rivare ma come rassicurazione psicologica: se sono riuscita ad oltrepassare la metà, sarò in grado di fare anche quella che ancora manca. La Manu, salita sul furgone con Bruno, ci attende a Toplitsch, dove le biciclette trovano ricove-

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ro vicino a odorosi maiali. Noi invece ci siste-miamo in un “cottage” di legno, decisamente più accogliente. Il colpo di scena arriva a cena, peraltro dopo un giorno intero di fuga di noti-zie e smentite sul ritrovamento degli occhiali di Renato. Lo scherzo promosso da Antonio che ci ha costretto alla complicità nonostante qual-cuno si fosse mosso a compassione, e volesse svelare la beffa, si conclude con la consegna del prezioso reperto al legittimo proprietario che più che meditar vendetta contro i presunti amici, pare, al contrario, quasi commosso. Nella notte tendo l’orecchio per indovinare il rumore del fiume, ma il silenzio è interrotto soltanto dal passaggio di un treno. Immagino la Drava resa metallica dalla luna, scivolare ora veloce ora lenta, a seconda dell’andamento delle terre su cui si trova a scorrere. E’ come stare sot-toruota a qualcuno: avere davanti uno o un altro, non è mai la stessa cosa.

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Da ieri ho le dita addormentate: probabilmente ho caricato troppo peso sulle mani, nei giorni scorsi, è una ciclopatia diffusa, mi dicono. Se le mie dita dormono, in compenso stanotte io non ho chiuso occhio, ma parto con gli altri a cuor leggero perchè oggi resteremo sotto i cento, quindi la tappa è breve: a questo mondo è dav-vero tutto relativo. Le ciclabili oggi ci sfug-gono, e spesso siamo costretti a buttarci sulle strade trafficate. Antonio mi presta i suoi guanti, decisamente più imbottiti dei miei e ne ho un sollievo immediato: anche oggi ho imparato qualcosa. Quando nei pressi di Velten riconosco le fisionomie del lago Worther, comprendo che Klagenfurt è vicina. Ci ero già stata in bici-cletta, qualche anno fa con la Manu, ovviamente partendo in loco, non dall’Italia. Il nostro hotel è fuori città e per tornare in centro a fare i turisti, dopo una veloce doccia, pren-diamo l’autobus. In centro ci attende Lize, la nostra guida, che parla un italiano approssima-tivo di cui chiede continuamente conferme. Scopriamo con lei angoli nascosti ma anche le tradizionali mete e i luoghi cari ai cittadini. E’ in un parco pubblico che ospita la fontana di un famoso artista carinziano che Lize recita un

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mar 28 agosto 07 Toplitsch - Klagenfurt km.74

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detto che spiega la passione di questa gente per il canto: “Due carinziani fanno già un coro”. Per tutta risposta Mirko, profondo conoscitore della realtà locale di provenienza, replica:”Da noi, invece, “Do done e na sporta fa un marcà!”. Visitiamo anche la sala degli stemmi (600!) nel palazzo sede del governo carinziano e all’uscita ci attendono gli altri nostri compagni e...la pioggia. Diviene freddo all’improvviso, fuori ombrelli e giubbini, ma ci prendiamo lo stesso un bel gelato, combinazione, italiano. Il Prin-cipe viene quasi chiuso dentro a un ombrellone, ma ne esce vivo, vispo e con inalterato spirito commerciale di cui usufruisco anch’io di lì a poco quando con lui, Raffaello e Renato entriamo in un attrezzato negozio per ciclisti. Contrat-tando sul prezzo con esibizioni teatrali degne di riprese filmate, Antonio riesce a spuntare lo sconto di 10 euro su due paia di guantini con il gel. Nidi di cicogne e arcobaleni sopra i tetti delle case ci fanno compagnia mentre torniamo in albergo. Durante la sostanziosa cena i più de-cidono che domani sfideranno la pioggia data quasi per certa, e proseguiranno a pedali se-condo programma. In quattro, compreso l’autista Elia, viaggeremo al coperto e ... a motore.

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Bruce Chatwin teorizzava l’utilità di sbagliare strada, di non avere una meta, perfino di non avere una mappa. Amava andare, più che arrivare e su questo mi trovo abbastanza d’accordo,magari con qualche compromesso che stia a metà strada tra il tutto organizzato e il nulla di programmato. Per dire che oggi vivo in modo molto rilassato l’imprevisto che mi ha tempora-neamente allontanato dalla bici e dai miei com-pagni di viaggio, anche se mi dispiace per l‘interruzione dello spirito di gruppo.La Manu ed io ci muoviamo verso le 10.00 dal Gasthof Kral, dopo aver salutato Elia e Dona-tella partiti in furgone. Gli altri hanno invo-cato la buona sorte e lo spirito di Beppe Sel- la, inforcando la bicicletta. Ce la prendiamo con calma, in giro per una piovosa Klagenfurt che sa già di autunno,facendo shopping su com-missione. Vicino a quello che ieri la nostra guida ha definito “il tempio del gourmet” (che come definizione per il Mc Donalds mi sembra un po’ forte) c‘è un altro luogo di culto del mo- derno consumo: 150 negozi collegati da corridoi e scale mobili, parcheggi e balaustre pano- ramiche. Un dedalo di percorsi intrecciati nel- le luci artificiali, che induce al mal di testa.

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mer 29 agosto 07 Klagenfurt - Maribor km.130

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Dove saranno i nostri compagni? avranno schi- vato la pioggia che qui cade con insistenza? Il tratto da Klagenfurt a Kunsdorf lo facciamo in autobus. Il cielo è nero, basso sulle nostre teste, un vero effetto notte. All’altezza di Rosenhof, nel mezzo di un nubifragio in piena regola, attraversiamo un ponte che unisce due sponde lontanissime di una Drava divenuta mae-stosa, ampia. Oggi il suo abito è del colore del piombo, stemperato dalla nebbia che vela l’intero paesaggio, ancora una volta non avaro di verde. Sono verdi anche i deserti di perife-ria in cui sorgono cattedrali isolate del tipo BILLA o SCHLECKER. L’autista ha una guida audace, nonostante la ridotta visibilità e la pioggia battente.”Chissà quante volte avrà fatto questa strada e con queste condizioni meteo” penso. Ricordo che avevo analoghi pen-sieri durante gli ultimi giorni di navigazione sull’Hurtigruten nei burrascosi mari Norvegesi. Immaginare che la gente del luogo sia pratica e che ciò riduca i pericoli, è un modo come un altro per rassicurarmi. Arriviamo alla piccola stazione di Kunsdorf in perfetto orario e saltiamo al volo sul treno per Bleiburg, prive di biglietto ovvero del “titolo di viaggio” co-

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me si dice nel linguaggio ferroviario. A bordo della carrozza bianca e blu non c’è anima viva, ma il tempo e la situazione sarebbero congeniali alla comparsa di qualche fantasma. All’approdo a Bleiburg ci troviamo davanti un’altra stazion-cina di campagna e ad una attesa di due ore e mezza prima del treno per Maribor. Fuori c’è odore di umido e di fattoria, di tempo lento che non voglio soffrire, abituata mio malgrado a ritmi più veloci, ma gustare. Le alternative del resto, non sono molte: ci troviamo a qualche chilometro dal primo centro abitato e sta im-perversando la bufera. Anche qui, a parte l’adetto ai biglietti, siamo sole. Il luogo è accogliente, ci sono anche un tavolo e tre sedie, non ci mettiamo niente a far casetta. Tiriamo fuori viveri, libri; la Manu si stende e riesce perfino a dormire, io scrivo le note per il diario di bordo: oggi c’è anche il tempo per scrivere, le altre sere lo rubo al sonno, e non è un caso che il resoconto della giornata di oggi sia più lungo. Uno spiraglio di sole ci permette una breve passeggiata. Due morosetti si scambiano affettuosità camminando tra le poz-zanghere, una comitiva di italiani in bicicletta sbarca da un treno e distratte, quasi

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stiamo per perdere il nostro. Il trenino per Maribor tradisce il passaggio dalla compagnia austriaca a quella slovena. E’un’unica carrozza, di età avanzata, nonostante il restyling dei sedili, e include un controllore affabile, di una gentilezza antica che veste una divisa più grande della sua taglia. Riconosco l’odore di treno - lo stesso che c’era anche sulla Vicenza Schio prima dell’arrivo dei moderni “Minuetto”- il rumore di treno, il suo ritmo cadenzato sulle traversine, il passaggio da un fotogramma di paesaggio all’altro nel finestrino. Mi piace, il treno. In coerenza con il trend di oggi, siamo sole, e alla frontiera per l’ingresso in Slovenia sale a bordo un po-liziotto a controllare i documenti, compiaciuto che l’operazione si svolga in fretta. Lento, regolare, con alta frequenza di soste, il trenino si ferma in stazioni apparentemente ab-bandonate in cui si manifestano dal nulla ca-pistazione in divisa con berretto rosso e pa-letta, che, notiamo, si assomigliano un pò tutti fisicamente. Mi ricorda l’infanzia, quando si andava in treno da Schio a Thiene, per far visita ai nonni. Si buca e si sbuca dal verde dei boschi; sulla sinistra la Drava è pronta

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per un nuovo defilè: oggi veste color nocciola e ha l’aria scontrosa, infastidita da troppa boscaglia. E’ buio quando arriviamo a Maribor Centrale, l‘atmosfera è decisamente balcanica. Nella notte il furgone con Renato e Antonio ci conduce al Garni Hotel Tabor Maribor: lunghi corridoi in moquette rossa, una inopportuna aria condizionata e la mancanza di aceto in tavola. Passiamo il dopocena in un salottino dalla luce fioca a consultare il meteo su inter-net e i messaggi che ci manda dall’Italia Clau-dio, fratello di Elia. Le previsioni per domani sono pessime. Vedremo.

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Se il buongiorno si vede dal mattino... Delle cinque possibilità di meteo, dal miglior sole alla pioggia più inclemente, il cartellino sul tavolo della colazione, evidenzia la previsio- ne peggiore. Eppure quando già si ipotizzano treni e furgone per molti di noi, la pioggia cessa e a parte Raffaello che oggi è di guida al nostro portabagagli itinerante, partiamo tutti in bici. Ci sono tratti che richiedono atten-zione per via del traffico pesante su strade sprovviste di piste ciclabili. Ma si va. Pas-siamo la frontiera, ed eccoci in Croazia, e poi un’altra, siamo in Ungheria. Non pare vero: siamo proprio in quei posti che a guardarli sulla cartina, fino a pochi giorni fa, sembra-vano lontanissimi. Il tempo non migliora, ma almeno non piove, il morale è alto. Lungo il percorso, solo qualche breve sosta per pipì- stop collettivi, spuntini di frutta fresca e secca, consultazioni sulla direzione da pren-dere. Catrame e letame fanno rima anche con il nostro respiro, mentre gli occhi registrano le forme che cambiano: caprioli in corsa, nidi di cicogna, casette basse e ordinate circondate da siepi. L’aria cattiva dei gas di scarico con-trasta con il paesaggio per nulla industriale,

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gio 30 agosto 07 Maribor - Nagykanizsa km.130

per nulla cittadino. Avranno anche qui il pro-blema del PM10 o le molecole saranno così grosse da essere visibili ad occhio nudo? Ad un incrocio, freno improvvisamente per il soprag-giungere di un’auto e Renato per non rovinarmi addosso si butta a terra di lato, riportando una gran botta ad una gamba. Gli prometto il mio magico gel all’arnica, ma mi sento ugualmente un pò in colpa. Entriamo a Nagykanizsa, città si-lenziosa in cui si riconosce il modello dei centri urbani dell’est Europa che ciascuno di noi conserva nel suo immaginario. Elia ne è af-fascinato. Un signore gentile si offre di con-durci attraverso un labirinto di viuzze, alla Marica City Panziò. Siamo un pò stanchi, ma nes-suno lo dice, affamati e nessuno lo tace. Qual-cuno sceglie la branda, altri tentano un giro in centro, con l’ombrello, perchè piove di nuovo. Ma i negozi chiudono presto e la ricerca di cibo si fa difficile. Si alza anche il vento, perchè soffrire? Dietro front. Nel sottotetto a tre letti con lucernario, che divido con Ma-nuela, un sonno meraviglioso e profondo come la Fossa delle Marianne mi porta via per qualche ora, finchè la sveglia per la cena mi strappa a quell’altrove pacifico. Il locale è accogliente

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carino ed economico. A dirla tutta il cambio degli euro con i fiorini è più che vantaggioso: qui facciamo proprio la figura dei “sioreti”. Siamo in tavolini da quattro: nel nostro a-scoltiamo i racconti di Mirko appassionato di storia locale (la nostra, delle montagne vicen-tine, che furono teatro di guerra) e infatica-bile esploratore di sentieri e di libri. A cena ultimata il gruppo si divide tra un’incerta serata mondana e la ripresa del riposo inter-rotto in precedenza. Addormentarsi col suono della pioggia è sempre piacevole, a qualsiasi latitudine.

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Lasciamo Nagykanizsa, un nome che scopriamo di pronunciare in modo errato, dopo aver impiegato ventiquattro ore per mandarlo a mente, alle 7.30, vestiti da pioggia, per scaramanzia. La carta igienica del bagno era rosa, di quel tipo super economico, antenata delle multiveli deco-rate e profumate di oggi. In Italia non la vedo da quando ero bambina. Spesso, in questo viaggio sono emersi elementi di passato: i coni di cialda poco zuccherata, come quelli del “ge-lataro” Bonato che veniva con il carrettino in Via Firenze a Magrè; i distributori a monete di palline di chewin-gum colorato, la margarina Rama. Questo viaggio sembra per certi versi un ritorno alle origini e forse è davvero così se, come dice Paolo Rumiz, un vero viaggio non può che andare verso est, anzi, verso l’aurora, perchè tutti vogliamo sapere da dove veniamo e una percezione istintiva ci dice che tutti i popoli vengono dalle steppe. Stamattina anche la nostra divisa è rosa, come quella carta per noi superata, come i ciclisti più bravi del Giro d’Italia, come l’aurora. E anche noi ci spo- stiamo a Oriente, per l’ultima tappa, lungo una strada dritta e quasi piatta, fiancheggiata da distese di campi. I centri abitati sembrano in

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ven 31 agosto 07 Nagykanizsa - Kaposvar km.78

realtà non avere un centro: le casette basse sono allineate lungo rettilinei a bordo strada, ma arretrate e separate da essa attraverso una fascia di prato e una di asfalto appena davanti ai cancelli, che noi usiamo come pista ciclabi le. La superficie della schiena di Elia, che mi precede, è il frangivento che annulla l’attrito e mi fa sembrare “una che va”. Inoltre, al set- timo giorno di pedali, ho finalmente perfezio- nato l’istinto di stare sottoruota a qualcuno senza più dovermi concentrare, per trarne bene- ficio. Magari la prossima volta imparerò ad ”ammorbidire i rapporti duri” come i ciclisti veri. In ogni caso, al settimo giorno,come vuo- le la tradizione dalla notte dei tempi, anch’io mi sto riposando. Gli esseri umani in sella ad una bici suscitano invariabilmente curiosità e simpatia, ma soprattutto non inducono sospetti e diffidenza. La gente che incontriamo è “ciclisti friendly”, sorride, fa “ciao ciao” con la mano e talvolta ci fa eco nella nostra lingua. Diffi-cile il contrario: nell’idioma ungherese si scontrano troppe consonanti e articolare una frase richiede impegno. Uno dei più attivi nel dispensare saluti è Franco R. che, in sequenza, agita la mano e suona la simpatica trombetta

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(popi-popi) senza problemi di equilibrio. Equi- librio che sembra invece mancare al cavallo che traina il carro con la famigliola, forse rom, che superiamo con facilità. La meta finale si avvicina, compare un cartello con la scritta “Kaposvar” e un principio di euforia comincia ad entrare in circolo. Nello spiazzo in cui ci fer-miamo per il pranzo, la preparazione della pasta è oggi più che mai un rito celebrativo. I Fran-chi, che hanno già mostrato doti culinarie, si adoperano con pentole, pomodoro e olive. Anche Marco si da’ da fare, controllando il fuoco, mescolando il sugo. I piatti abbondanti, i bis, la scarpetta nella pentola, testimoniano la bontà del risultato. Siamo allegri, l’imminente condivisione del traguardo ci fa sentire gruppo, ognuno più indulgente nei confronti degli altri. Ricompare l’alcol a pranzo, perfino le prugne sotto grappa, al momento del caffè. Antonio e Renato si spalmano la crema solare, Franca prende il sole, il sindaco dorme. Nell’aria, risate e una valanga di immagini fer-mate da dieci macchine fotografiche diverse. Se questi sono gli effetti, tutta la gente dovrebbe fare almeno una volta nella vita, un viaggio in bici.

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Ripartiamo, e di lì a poco ci viene incontro Katleen, che ha dato una mano agli organizzatori per il nostro soggiorno a Kaposvar. La seguiamo fino all’arrivo in città, dove entriamo in modo disordinato e trionfale fino a giungere nel nuovissimo centro, lontano dalle atmosfere bal-caniche di Ngykanisza, più vicino a quelle Di-sneyane. Nell’attimo in cui Antonio capisce che i suoi amici stanno per buttarlo nella fontana, si consegna spontaneamente all’acqua sguazzando come un tritone, sotto lo sguardo divertito dei presenti. La sua vendetta è immediata: salta fuori e, grondante, corre ad abbracciare chi si trova in quel momento sulla sua traiettoria: Manuela. La sentenza di Mirko giunge, inesora-bile: ”El xè l’unico che riesse a far acqua strucando na dona”. Subito dopo tentiamo di in-tonare “quando saremo fora fora dela Valsugana” e “me compare giacometo” che Mirko riprende im-pietosamente con la telecamera. Spunta anche il fotografo del quotidiano locale. Finalmente rag-giungiamo il Laetitia Hotel, e deponiamo le bici. Più che in un hotel siamo in un residence, il giardino è curato, le stanze sono nuove e ricche di rifiniture. Abbiamo anzi più stanze, degli appartamenti veri e propri, con ogni

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genere di comfort. Ma naturalmente, chi si trova nella sistemazione migliore è il Principe che non pago di aver avuto in sorte, con Renato e Mirko, una suite imperiale - una camera doppia e un bagno a testa, per non parlare di sa-lotti terrazzi e caminetti - si allarga fino ad occupare ogni spazio disponibile compresi tutti i bagni; lì esaurisce ben presto l’acqua calda, indebitamente sottratta a quanti altri sono in attesa di doccia. Il Sindaco, non quello che abbiamo appresso, quello di Kaposvar, ci riceve nel palazzo municipale e dopo le informali for-malità del caso, Katleen ci conduce all’impegnativo momento della cena con la spe-cialità locale: stinco di porco. Renato inter-cetta la mia preoccupazione e mi assicura che per me, ci sarà la variante vegetariana. Le di-mensioni delle porzioni di cibo, mi avevano im-pressionato fin da quando eravamo in Austria, ma qui sfondano veramente ogni previsione, sotto ogni punto di vista. Quando i piatti arrivano in tavola, oltre che grandi, sono allegri come clown e colorati come i quadri di Kandinsky.

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Sulla tastiera ungherese del portatile, spicca la lettera “z”, che, al contrario, è in po-sizione defilata, in quelle nostrane. Probabil-mente è una vocale quella che hanno esiliato per dare una posizione di spicco alla usatissima consonante. Nell’area wireless del Laetitia Hotel sto cercando con Raffaello di buttare giù un comunicato stampa da mandare in Italia e poi via libera a una giornata senza bici e senza programmi. Ma di fronte a questa prospettiva, qualcuno si sente già in crisi di astinenza e infatti Virma, Duilio e Antonio scelgono di prendere il treno con bici al seguito in dire-zione Lago di Balaton, per poi fare ritorno a Kaposvar, pedalando. La maggioranza di noi invece ha in mente le terme, per chiudere in relax. Intanto però nella mattinata siamo più o meno tutti in giro “de lilon”, anche se qui non è il massimo per lo shopping e per chi voleva comprare “un pensierino”. Giacomo per la verità qualche obiettivo in mente ce l’ha: occhiali da sole e un paio di scarpe da ginnastica. Desiste quasi subito sul fronte dei ray-ban, dove i mo-delli proposti non convincono ed hanno un’aria triste, da figli di un design minore. Più dura è sul fronte delle scarpe dove Giacomo ha indivi-

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sab 1° settembre 07 in giro per Kaposvar

duato quelle che gli piacciono se non fosse per il particolare che riportano stampati i simboli della pace e dell’anarchia. Ora, niente da dire sulla pace, ma sull’altro logo Raffaello padre non nasconde la sua contrarietà. Sempre in per-fetto Homo Diplomaticus Style, naturalmente, che spiega quanto buonsenso ci sia dietro alla sua posizione e che rende difficile intrapren-dere trattative con esiti diversi. Alla fine non compriamo nulla e proseguiamo nella pigra quanto terapeutica deambulazione senza meta. Da che siamo qui non abbiamo visto molta gente in giro, nonostante la città conti circa 70.000 abitanti. Ma stamattina in centro si sono date convegno una serie di auto d’epoca esposte nella piazza principale, e c’è un certo movimento. Qualcuno ci ferma e ci chiede se siamo i ciclisti venuti dall’Italia, il che oltre a riempirci di malce-lato orgoglio ci suggerisce che forse c’è qual-che giornale che oggi parla di noi. In edicola troviamo la risposta affermativa alla nostra supposizione e facciamo incetta di copie del quotidiano che mostra la nostra immagine a metà pagina, felici e contenti. L’ingresso ad un centro commerciale ricorda che l’occidente e i suoi modelli si stanno dirigendo a grandi passi

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anche in questa direzione. La pizza però è buona e anch’io che dal primo giorno di pedalate mi sono ritrovata con una fame da lupetta, finisco la mia razione senza tentennamenti. Un veloce passaggio in hotel, per prendere i costumi da bagno, un caffè in terrazza dal Principe ed i suoi coinquilini, ed eccoci alle terme. Il complesso è grande e la parte interna un pò in-quietante perchè l’edificio è decadente e as-somiglia un po’ a un manicomio. Ma l’esterno è una meraviglia di vasche e vaschette, scivoli, grotte e idromassaggi, acque calde e fredde, termali e normali. Ci lasciamo scivolare in un brodo caldo e verdastro in cui i muscoli si dis-tendono, le tensioni si allentano, la fatica di una settimana si scioglie e perfino i pensieri ora, vanno in discesa. Elia fa il coccodrillo, in un’alternanza di immersione e riemersione lenta, gli viene bene! Proviamo anche i diversi idromassaggi e gli scivoli, dove qualcuno ci rimette il costume, ma alla fine è nell’abbraccio liquido dell’acqua termale il luogo in cui stiamo più volentieri. Manuela chiede una mano per mettere in scena una perfor-mance acquatica. Le vengono offerte quattro braccia e un attimo dopo si esibisce

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nell’interpretazione di una moderna Dea Kali, con cuffietta da nuotatrice. Restando in tema di atleti, c’è da dire che quando ci muoviamo con Renato al seguito, statura e spalle da homo sportivus sovieticus, facciamo la nostra bella figura. Usciamo un pò lessati ma molto, molto rilassati. Franco S. che con Franca e Donatella ha provato altri trattamenti wellness, dichiara che si sente massaggiato perfino nell’anima. Al ritorno in hotel c’è il tempo per un sonnellino e lo spazio per sogni colorati. La cena, l’ultima di questa avventura insieme, ci vede al “Corner”, un locale dall’arredamento etnico simil thailandese rappresentato da un elefan-tino, forse perchè anche qui le porzioni sono da piccoli pachidermi. Un cameriere gentile che parla un pò italiano si impegna a tradurre i nomi dei piatti per darci un’idea e così com-prendo che il “piccolo verde” che descrive come guarnitura delle patate, altro non è che il prezzemolo. Antonio guarda perplesso quello che gli arriva, ma la zuppa dentro alla “ciopa de pan” è una delizia. Sull’onda dell’entusiasmo, il Principe offre una rosa a tutte le donne del gruppo. Le mette in conto a Franco S. ma è un dettaglio che non sembra compromettere il

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pregio di tanto slancio. Immortaliamo il galante gesto all’uscita con una foto, prima di passare, in formazione ridotta, nell’unico bar con musica sopportabile, per il bicchiere della staffa. Rimaniamo affossati nel divanetto fino all’ora di chiusura. Io sono infreddolita, Franco R. mi pare uno dei ciclisti di Altan, tutti siamo un pò buffi e bisognosi di sonno. Per la seconda sera di fila mi accorgo di dover rimuovere il pensiero di preparare le cose da portare in bici il giorno seguente. Per la seconda notte di fila, cioè da quando abbiamo smesso di pedalare, sognerò di pedalare. Mentalmente, ringrazio le persone che mi hanno aiutata e incoraggiata, in questo viaggio, a rompere di nuovo il ghiaccio con un mezzo di trasporto che amo da sempre, ma che avevo trascurato negli ultimi tempi. Sono serviti anche quelli che mi hanno detto che ero matta: i detrattori sono importanti nella riu-scita di piccole e grandi imprese. Camminando nella notte di una Kaposvar deserta e illuminata mi sento contenta, ricca di tanto pedalare, piena dei molti fotogrammi di luoghi e di vita che gli occhi, la mente e il cuore hanno cattu-rato lungo la via. In bicicletta, da Schio a Kaposvar, c’ero anch’io.

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“Se l’uomo è unione tra corpo e mente, labici è la sua apoteosi, perchè in bicicorpo e mente vanno alla stessa andatura”

Paolo Rumiz