Sbilanciamo l Europa · tlantico che sarebbe il Titanic della democra-zia. Qualche briciola di...

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«Se le nazioni imparas- sero a raggiungere la piena occupazione con le loro politiche interne, non ci sarebbero più for- ze economiche che met- tono gli interessi di un paese contro quelli dei vicini (…). Il commer- cio internazionale cesse- rebbe di essere quello che è, cioè un espedien- te disperato per mante- nere l’occupazione inter- na spingendo le vendite all’estero e limitando gli acquisti, che – se fun- ziona – non fa altro che spostare il problema della disoccupazione sul paese vicino che esce in condizioni peggiori dalla lotta» (John May- nard Keynes, Teoria ge- nerale dell’occupazio- ne, interesse, moneta, 1936, capitolo 24). Nessuno deve aver spiegato ad Angela Me- rkel questa considera- zione di Keynes. La Ger- mania - e l’Europa co- struita a sua immagine – fonda il suo sviluppo sulle esportazioni e, per facilitare commerci e in- vestimenti, si imbarca in un Trattato transa- tlantico che sarebbe il Titanic della democra- zia. Qualche briciola di export in più è vista da Berlino, Bruxelles e Washington come l’uni- ca via per tornare a cre- scere e rivincere le ele- zioni – quelle europee a maggio e quelle Usa di medio termine in au- tunno. Ma Keynes ci spiega che è una solu- zione illusoria, pagata in Europa dalla depres- sione della periferia, che può trascinare con sé l’insieme dell’Euro- pa. Le ombre degli anni trenta sono vicine, e ri- leggere Keynes può aiu- tarci a tenerle lontane. Il trattato intrattabile La rilettura Keynes e il commercio P er prudenza, di fronte alle crescenti in- quietudini, la Commissione europea ha rimandato da marzo a giugno, cioè a dopo le elezioni europee di maggio, dove c’è il rischio di un’impennata dei partiti eu- ro-scettici, il quarto round del mega-negozia- to Usa-Ue, che entro il 2015 dovrebbe porta- re a concludere il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership), battezzato la Nato del commer- cio dai suoi numero- si detrattori. Il com- missario Karel De Gucht ha promesso delle vaghe «consul- tazioni» pubbliche di qui a giugno nei 28 paesi sul contro- verso capitolo del ri- corso all’arbitrato in- ternazionale, nel- l’eventualità di con- flitto tra un’impresa e uno stato. Queste consultazioni non cambiano però il fat- to che un accordo che avrà influenza sugli scambi tra le due principali po- tenze commerciali planetarie, che assie- me controllano cir- ca la metà del com- mercio mondiale, venga condotto nel- la più completa se- gretezza, senza che i cittadini (e neppure gli europarlamenta- ri) siano informati delle decisioni che vengono prese. A dicembre, c’è stato il terzo round, a Washington. Dal tavolo del negoziato, su pressione della Francia, è stato tolto il setto- re culturale, anche se De Gucht ha ventilato un possibile reinserimento del settore del- l’audiovisivo nel corso delle discussioni. Inol- tre, dopo le polemiche sul datagate e lo spio- naggio degli europei da parte della Nsa, che nel giugno scorso hanno minacciato di ritar- dare l’avvio della trattativa sul Ttip, è stato sospeso il capitolo sulla protezione dei dati privati su Internet, come chiedeva la Ue. A di- cembre, 180 organizzazioni di cittadini e sin- dacali hanno scritto una lettera preoccupata a De Gucht e al rappresentante Usa per le questioni commerciali, Michael Froman. In questa lettera, firmata dalla Ces (Confedera- zione europea dei sindacati) e dall’america- na Afl-Cio, vengono espresse «gravi inquietu- dini» per i sistemi nazionali di sanità. «E’ im- perativo che questi accordi di commercio e di investimento sfocino su economie supple- mentari per i pazienti e i budget nazionali, invece di arricchire ancora di più alcune im- prese farmaceutiche e medicinali. La sanità pubblica, come l’accesso a medicine e a cu- re abbordabili, sono diritti umani che devo- no essere rafforzati dagli accordi commercia- li», scrivono i sindacati, che temono che nel Ttip vengano riprodotti i termini dell’intesa Usa-Corea (Korus), che permette ai produt- tori di contestare le decisioni delle autorità sanitarie nazionali sui valori dei prodotti far- maceutici e di esigere montanti di risarci- mento più importanti, nel caso si sentano le- se da prese di posizione politiche degli diver- si stati. Al centro delle preoccupazioni c’è ap- punto la clausola di protezione degli investi- menti (Investor-State Dispute Settlement), che permetterebbe alle imprese che si sento- no lese da un cambiamento di legislazione di uno stato di rivolgersi a un tribunale arbi- trale – cioè a una giustizia «privata», proba- bilmente presso la Banca mondiale – per chiedere riparazioni. Ci sono esempi, che po- trebbero venire riprodotti nelle relazioni Usa-Ue: la Philip Morris ha denunciato l’Uruguay, accusato di aver aumentato la di- mensione degli avvertimenti sanitari sui pac- chetti di sigarette. C’è poi il famoso caso del- la Lone Pine Resources, che ha attaccato il Canada, perché lo stato del Quebec ha istituito una morato- ria sullo shale gas, privando così l’azienda Usa dei previsti guadagni. Per Dan Mullaney, negoziatore Usa, il Ttip ricerca «il più alto livello di prote- zione» per gli inve- stimenti, eliminan- do le «divergenze inutili e costose» che permangono tra Stati uniti e Ue. Il negoziatore Ue, Ignacio Garcia Ber- cero, vuole rassicu- rare: «la deregula- tion non è e non sa- l’obiettivo del Ttip», che «non limi- terà il campo d’azio- ne dei governi», per- ché «questi negozia- ti non consisteran- no nell’abbassare o rinnegare le norme più elevate di prote- zione dei consuma- tori, dell’ambiente, della vita privata, della salute e del di- ritto del lavoro». Ma la ong Usa Public Citizen lancia l’allerta e av- verte che la trattativa è alla ricerca «del più piccolo denominatore», per spianare la stra- da a uno spazio di libero commercio, che la- scerà le mani libere alle multinazionali. In un contesto in cui gli stati stanno perdendo terreno, il Ttip mira a limitare il più possibile le barriere non tariffarie, favorendo di fatto le grandi imprese, in un commercio mondia- le caratterizzato da una grande concentrazio- ne (i primi 10 operatori Usa controllano il 96% dell’export del paese, nella Ue le prime 10 società esportatrici ne controllano l’85%). Sbilanciamo l’Europa L’alfabeto dell’Europa L e elezioni del Parlamento eu- ropeo sono alle porte e l’Ita- lia scivola in silenzio ai margi- ni dell’Europa. L’economia è in de- pressione da sei anni e l’Italia ingo- ia un’altra dose di austerità. La di- soccupazione è a livelli record e nessuno discute come creare lavo- ro. Le imprese hanno perso un quarto della produzione e nessu- no si chiede che cosa potremo pro- durre. L’Europa sta negoziando con gli Usa un disastroso Trattato che liberalizza ancora di più com- merci e investimenti e nessuno ci fa caso. Il nostro paese – la politica, l’eco- nomia, i media – è preda di una in- credibile "distrazione di massa", che nasconde i vent’anni di decli- no dell’Italia, l’impoverimento di nove italiani su dieci, le disugua- glianze mai così estreme, i privile- gi della finanza. Gli effetti della cri- si sono offuscati dalla gestione del- la crisi, le proteste delle vittime sof- focate dal rumore di fondo del po- pulismo, dalla retorica contro "la casta". «È l’Europa che ce lo chie- de»: questo l’argomento risolutivo che cancella ogni spazio per la poli- tica. «È tutta colpa dell’Europa» è la reazione, comprensibile ma sba- gliata, che dilaga nel paese. Una di- scussione documentata sui proble- mi sembra introvabile. Proviamo allora a farla qui, in queste quattro pagine speciali che Sbilanciamoci.info pubblicherà ogni settimana con il manifesto, da oggi alle elezioni europee. È l’occasione per affrontare i problemi più urgenti dell’econo- mia italiana e della politica euro- pea con la pazienza di spiegare i contenuti, l’impegno di scoprire che cosa succede ai quattro angoli del continente, perfino con la cu- riosità di rileggere qualche "classi- co". Iniziamo oggi dal Trattato Usa-Europa su scambi e investi- menti, continueremo ogni venerdì con la questione del lavoro, i dilem- mi dell’euro, le vie d’uscita dall’au- sterità, le sfide poste dalle migrazio- ni, le politiche industriali, i viaggi nelle periferie d’Europa, le regole sbagliate di un’Europa malcostrui- ta. Un filo comune attraverso tutti i temi è la costruzione di un alfabeto dell’Europa di oggi, di che cos’è, di come potrebbe essere. Accanto a questo la ricerca di un’alternativa ai disastri della crisi, alle macerie di trent’anni di liberismo. Un altro an- cora è la ricostruzione di un’idea di azione pubblica rinnovata ed effica- ce, dopo la privatizzazione obbliga- ta di quasi tutto. E poi l’esplorazio- ne di che cosa può essere in concre- to la democrazia, in Europa e in Ita- lia, nei palazzi della politica e nelle pratiche dei movimenti. Una discussione a più voci, ma senza gli strilli della polemica, ra- dicale nella critica e concreta nel- le proposte. Una discussione co- me quella che da sette anni trova- te sul sito www.sbilanciamoci.in- fo, nella decina di ebook realizzati, nella lunga serie di appuntamenti che Sbilanciamoci organizza ogni anno. Tutti i materiali di questi “speciali” saranno disponibili an- che sul sito (spesso in versione più ampia), dove avranno seguito con altri interventi. Quattro pagi- ne che puntano a far dialogare va- ri altri media – giornali, radio, siti – impegnati sugli stessi terreni, sconfinando dai ristretti orizzonti italiani. Una scommessa per "sbi- lanciare l’informazione", allarga- re il dibattito, condividere idee. Uno strumento per tutti, e un invi- to a tornare protagonisti. sbilanciamoci.info U n comune decide che le men- se scolastiche acquistino pro- dotti locali a chilometri zero. Un paese – l’Italia - vota in un refe- rendum che l’acqua dev’essere pub- blica. Un continente - l’Europa - po- ne restrizioni all’uso di Organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura. Tra poco tutto questo potrebbe diventare illegittimo. Il Trattato transatlantico per il com- mercio e gli investimenti (Ttip, Transatlantic trade and investment partnership), oggetto di discussioni segrete tra Usa e Commissione euro- pea, prevede che le commesse pub- bliche non possano privilegiare pro- duttori locali, che gli investimenti delle multinazionali siano consenti- ti e tutelati anche nei servizi pubbli- ci (acqua, sanità, etc.), che la regola- mentazione non possa limitare i commerci, anche quando ci sono ri- schi per l’ambiente o la salute. E se un governo tiene duro, sono pronti i meccanismi di arbitrato che posso- no costringere gli stati a pagare alle multinazionali l’equivalente dei mancati superprofitti. Si tratterebbe di un colpo di stato. L’annullamento della politica di fronte all’assoluta libertà dei capita- li, non di commerciare – quella c’è già – ma di entrare in ogni attività, ogni ambito della vita, con la garan- zia di fare profitti. L’annullamento della democrazia intesa come possi- bilità di una comunità di decidere i propri valori, le regole condivise, le politiche da realizzare. L’annulla- mento dei diritti dei cittadini e del- le responsabilità collettive – come quella verso l’ambiente – che si frappongano alla trasformazione in merce del mondo intero. Il commercio è uno dei temi su cui i paesi membri della Ue hanno già trasferito completamente la so- vranità a Bruxelles: è la Commissio- ne a negoziare gli accordi all’Orga- nizzazione mondiale per il commer- cio (Omc) o i trattati bilaterali come il Ttip. Ma senza poteri significativi del Parlamento europeo e con il po- tere delle lobby delle multinazionali che detta le politiche europee, la Ue ha praticato in questi anni la versio- ne più estrema e irresponsabile del liberismo. Come nel caso dell’Unio- ne monetaria, il passaggio di poteri sul commercio è un pessimo esem- pio di come l’integrazione europa porti a politiche che favoriscono so- lo i capitali e danneggiano le perso- ne, il lavoro, l’ambiente - dentro e fuori l’Europa, come mostrano gli ef- fetti negativi dei trattati di libero scambio sui paesi in via di sviluppo. Il Ttip è un "Trattato intrattabile" che va fermato al più presto. Sia- mo ancora in tempo, un progetto analogo – l’Ami - era già stato scon- fitto nel 1998. Ma servirebbe una discussione attenta che ancora non c’è. Servirebbe una protesta di massa contro quest’ultimo, estremo sussulto di quel liberismo che ci ha portato a sei anni di de- pressione economica. Servirebbe- ro sindacati che non si pieghino a nuove distruzioni di posti di lavo- ro, consumatori che boicottino le mutinazionali più aggressive, parti- ti che si ricordino, per una volta, di difendere la democrazia. Discu- tere di elezioni europee – da oggi al prossimo maggio - significa di- scutere soprattutto di questo. Mario Pianta Anna Maria Merlo Dopo lunghe trattative svolte nella massima segretezza, l’accordo transatlantico tra Usa e Ue è in dirittura d’arrivo. È stato chiamato la «Nato del commercio», spalanca le porte agli investimenti e impedisce alla politica di limitare lo strapotere delle multinazionali, anche quando ci sono rischi per l’ambiente e la salute. Si cercano movimenti in grado di fermarlo EUROPA-USA Il patto atlantico dei capitali Valentino Parlato VENERDÌ 24 GENNAIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚1 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

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«Se le nazioni imparas-sero a raggiungere lapiena occupazione conle loro politiche interne,non ci sarebbero più for-ze economiche che met-tono gli interessi di unpaese contro quelli deivicini (…). Il commer-cio internazionale cesse-rebbe di essere quelloche è, cioè un espedien-te disperato per mante-nere l’occupazione inter-

na spingendo le venditeall’estero e limitandogli acquisti, che – se fun-ziona – non fa altro chespostare il problemadella disoccupazionesul paese vicino che escein condizioni peggioridalla lotta» (John May-nard Keynes, Teoria ge-nerale dell’occupazio-ne, interesse, moneta,1936, capitolo 24).

Nessuno deve aver

spiegato ad Angela Me-rkel questa considera-zione di Keynes. La Ger-mania - e l’Europa co-

struita a sua immagine– fonda il suo svilupposulle esportazioni e, perfacilitare commerci e in-vestimenti, si imbarcain un Trattato transa-tlantico che sarebbe ilTitanic della democra-zia. Qualche briciola diexport in più è vista daBerlino, Bruxelles eWashington come l’uni-ca via per tornare a cre-scere e rivincere le ele-

zioni – quelle europee amaggio e quelle Usa dimedio termine in au-tunno. Ma Keynes cispiega che è una solu-zione illusoria, pagatain Europa dalla depres-sione della periferia,che può trascinare consé l’insieme dell’Euro-pa. Le ombre degli annitrenta sono vicine, e ri-leggere Keynes può aiu-tarci a tenerle lontane.

Il trattatointrattabile

Larilettura

Keynes e il commercio

Per prudenza, di fronte alle crescenti in-quietudini, la Commissione europeaha rimandato da marzo a giugno, cioè

a dopo le elezioni europee di maggio, dovec’è il rischio di un’impennata dei partiti eu-ro-scettici, il quarto round del mega-negozia-to Usa-Ue, che entro il 2015 dovrebbe porta-re a concludere il Ttip (Transatlantic Tradeand Investment Partnership), battezzato laNato del commer-cio dai suoi numero-si detrattori. Il com-missario Karel DeGucht ha promessodelle vaghe «consul-tazioni» pubblichedi qui a giugno nei28 paesi sul contro-verso capitolo del ri-corso all’arbitrato in-ternazionale, nel-l’eventualità di con-flitto tra un’impresae uno stato. Questeconsultazioni noncambiano però il fat-to che un accordoche avrà influenzasugli scambi tra ledue principali po-tenze commercialiplanetarie, che assie-me controllano cir-ca la metà del com-mercio mondiale,venga condotto nel-la più completa se-gretezza, senza che icittadini (e neppuregli europarlamenta-ri) siano informatidelle decisioni chevengono prese.

A dicembre, c’èstato il terzo round,a Washington. Dal tavolo del negoziato, supressione della Francia, è stato tolto il setto-re culturale, anche se De Gucht ha ventilatoun possibile reinserimento del settore del-l’audiovisivo nel corso delle discussioni. Inol-tre, dopo le polemiche sul datagate e lo spio-naggio degli europei da parte della Nsa, chenel giugno scorso hanno minacciato di ritar-dare l’avvio della trattativa sul Ttip, è statosospeso il capitolo sulla protezione dei datiprivati su Internet, come chiedeva la Ue. A di-cembre, 180 organizzazioni di cittadini e sin-dacali hanno scritto una lettera preoccupata

a De Gucht e al rappresentante Usa per lequestioni commerciali, Michael Froman. Inquesta lettera, firmata dalla Ces (Confedera-zione europea dei sindacati) e dall’america-na Afl-Cio, vengono espresse «gravi inquietu-dini» per i sistemi nazionali di sanità. «E’ im-perativo che questi accordi di commercio edi investimento sfocino su economie supple-mentari per i pazienti e i budget nazionali,invece di arricchire ancora di più alcune im-prese farmaceutiche e medicinali. La sanitàpubblica, come l’accesso a medicine e a cu-

re abbordabili, sono diritti umani che devo-no essere rafforzati dagli accordi commercia-li», scrivono i sindacati, che temono che nelTtip vengano riprodotti i termini dell’intesaUsa-Corea (Korus), che permette ai produt-tori di contestare le decisioni delle autoritàsanitarie nazionali sui valori dei prodotti far-maceutici e di esigere montanti di risarci-mento più importanti, nel caso si sentano le-se da prese di posizione politiche degli diver-si stati. Al centro delle preoccupazioni c’è ap-punto la clausola di protezione degli investi-menti (Investor-State Dispute Settlement),

che permetterebbe alle imprese che si sento-no lese da un cambiamento di legislazionedi uno stato di rivolgersi a un tribunale arbi-trale – cioè a una giustizia «privata», proba-bilmente presso la Banca mondiale – perchiedere riparazioni. Ci sono esempi, che po-trebbero venire riprodotti nelle relazioniUsa-Ue: la Philip Morris ha denunciatol’Uruguay, accusato di aver aumentato la di-mensione degli avvertimenti sanitari sui pac-chetti di sigarette. C’è poi il famoso caso del-la Lone Pine Resources, che ha attaccato il

Canada, perché lostato del Quebec haistituito una morato-ria sullo shale gas,privando cosìl’azienda Usa deiprevisti guadagni.Per Dan Mullaney,negoziatore Usa, ilTtip ricerca «il piùalto livello di prote-zione» per gli inve-stimenti, eliminan-do le «divergenzeinutili e costose»che permangonotra Stati uniti e Ue.Il negoziatore Ue,Ignacio Garcia Ber-cero, vuole rassicu-rare: «la deregula-tion non è e non sa-rà l’obiettivo delTtip», che «non limi-terà il campo d’azio-ne dei governi», per-ché «questi negozia-ti non consisteran-no nell’abbassare orinnegare le normepiù elevate di prote-zione dei consuma-tori, dell’ambiente,della vita privata,della salute e del di-ritto del lavoro». Ma

la ong Usa Public Citizen lancia l’allerta e av-verte che la trattativa è alla ricerca «del piùpiccolo denominatore», per spianare la stra-da a uno spazio di libero commercio, che la-scerà le mani libere alle multinazionali. Inun contesto in cui gli stati stanno perdendoterreno, il Ttip mira a limitare il più possibilele barriere non tariffarie, favorendo di fattole grandi imprese, in un commercio mondia-le caratterizzato da una grande concentrazio-ne (i primi 10 operatori Usa controllano il96% dell’export del paese, nella Ue le prime10 società esportatrici ne controllano l’85%).

Sbilanciamo l’Europa

L’alfabetodell’Europa

Le elezioni del Parlamento eu-ropeo sono alle porte e l’Ita-lia scivola in silenzio ai margi-

ni dell’Europa. L’economia è in de-pressione da sei anni e l’Italia ingo-ia un’altra dose di austerità. La di-soccupazione è a livelli record enessuno discute come creare lavo-ro. Le imprese hanno perso unquarto della produzione e nessu-no si chiede che cosa potremo pro-durre. L’Europa sta negoziandocon gli Usa un disastroso Trattatoche liberalizza ancora di più com-merci e investimenti e nessuno cifa caso.

Il nostro paese – la politica, l’eco-nomia, i media – è preda di una in-credibile "distrazione di massa",che nasconde i vent’anni di decli-no dell’Italia, l’impoverimento dinove italiani su dieci, le disugua-glianze mai così estreme, i privile-gi della finanza. Gli effetti della cri-si sono offuscati dalla gestione del-la crisi, le proteste delle vittime sof-focate dal rumore di fondo del po-pulismo, dalla retorica contro "lacasta". «È l’Europa che ce lo chie-de»: questo l’argomento risolutivoche cancella ogni spazio per la poli-tica. «È tutta colpa dell’Europa» èla reazione, comprensibile ma sba-gliata, che dilaga nel paese. Una di-scussione documentata sui proble-mi sembra introvabile.

Proviamo allora a farla qui, inqueste quattro pagine speciali cheSbilanciamoci.info pubblicheràogni settimana con il manifesto,da oggi alle elezioni europee.

È l’occasione per affrontare iproblemi più urgenti dell’econo-mia italiana e della politica euro-pea con la pazienza di spiegare icontenuti, l’impegno di scoprireche cosa succede ai quattro angolidel continente, perfino con la cu-riosità di rileggere qualche "classi-co". Iniziamo oggi dal TrattatoUsa-Europa su scambi e investi-menti, continueremo ogni venerdìcon la questione del lavoro, i dilem-mi dell’euro, le vie d’uscita dall’au-sterità, le sfide poste dalle migrazio-ni, le politiche industriali, i viagginelle periferie d’Europa, le regolesbagliate di un’Europa malcostrui-ta. Un filo comune attraverso tutti itemi è la costruzione di un alfabetodell’Europa di oggi, di che cos’è, dicome potrebbe essere. Accanto aquesto la ricerca di un’alternativaai disastri della crisi, alle macerie ditrent’anni di liberismo. Un altro an-cora è la ricostruzione di un’idea diazione pubblica rinnovata ed effica-ce, dopo la privatizzazione obbliga-ta di quasi tutto. E poi l’esplorazio-ne di che cosa può essere in concre-to la democrazia, in Europa e in Ita-lia, nei palazzi della politica e nellepratiche dei movimenti.

Una discussione a più voci, masenza gli strilli della polemica, ra-dicale nella critica e concreta nel-le proposte. Una discussione co-me quella che da sette anni trova-te sul sito www.sbilanciamoci.in-fo, nella decina di ebook realizzati,nella lunga serie di appuntamentiche Sbilanciamoci organizza ognianno. Tutti i materiali di questi“speciali” saranno disponibili an-che sul sito (spesso in versionepiù ampia), dove avranno seguitocon altri interventi. Quattro pagi-ne che puntano a far dialogare va-ri altri media – giornali, radio, siti– impegnati sugli stessi terreni,sconfinando dai ristretti orizzontiitaliani. Una scommessa per "sbi-lanciare l’informazione", allarga-re il dibattito, condividere idee.Uno strumento per tutti, e un invi-to a tornare protagonisti.

sbilanciamoci.info

U n comune decide che le men-se scolastiche acquistino pro-dotti locali a chilometri zero.

Un paese – l’Italia - vota in un refe-rendum che l’acqua dev’essere pub-blica. Un continente - l’Europa - po-ne restrizioni all’uso di Organismigeneticamente modificati (Ogm) inagricoltura. Tra poco tutto questopotrebbe diventare illegittimo. IlTrattato transatlantico per il com-mercio e gli investimenti (Ttip,Transatlantic trade and investmentpartnership), oggetto di discussionisegrete tra Usa e Commissione euro-pea, prevede che le commesse pub-bliche non possano privilegiare pro-duttori locali, che gli investimentidelle multinazionali siano consenti-ti e tutelati anche nei servizi pubbli-ci (acqua, sanità, etc.), che la regola-mentazione non possa limitare icommerci, anche quando ci sono ri-schi per l’ambiente o la salute. E seun governo tiene duro, sono pronti imeccanismi di arbitrato che posso-no costringere gli stati a pagare allemultinazionali l’equivalente deimancati superprofitti.

Si tratterebbe di un colpo di stato.L’annullamento della politica difronte all’assoluta libertà dei capita-li, non di commerciare – quella c’ègià – ma di entrare in ogni attività,ogni ambito della vita, con la garan-zia di fare profitti. L’annullamentodella democrazia intesa come possi-bilità di una comunità di decidere ipropri valori, le regole condivise, lepolitiche da realizzare. L’annulla-mento dei diritti dei cittadini e del-le responsabilità collettive – comequella verso l’ambiente – che sifrappongano alla trasformazione inmerce del mondo intero.

Il commercio è uno dei temi sucui i paesi membri della Ue hannogià trasferito completamente la so-vranità a Bruxelles: è la Commissio-ne a negoziare gli accordi all’Orga-nizzazione mondiale per il commer-cio (Omc) o i trattati bilaterali comeil Ttip. Ma senza poteri significatividel Parlamento europeo e con il po-tere delle lobby delle multinazionaliche detta le politiche europee, la Ueha praticato in questi anni la versio-ne più estrema e irresponsabile delliberismo. Come nel caso dell’Unio-ne monetaria, il passaggio di poterisul commercio è un pessimo esem-pio di come l’integrazione europaporti a politiche che favoriscono so-lo i capitali e danneggiano le perso-ne, il lavoro, l’ambiente - dentro efuori l’Europa, come mostrano gli ef-fetti negativi dei trattati di liberoscambio sui paesi in via di sviluppo.

Il Ttip è un "Trattato intrattabile"che va fermato al più presto. Sia-mo ancora in tempo, un progettoanalogo – l’Ami - era già stato scon-fitto nel 1998. Ma servirebbe unadiscussione attenta che ancoranon c’è. Servirebbe una protestadi massa contro quest’ultimo,estremo sussulto di quel liberismoche ci ha portato a sei anni di de-pressione economica. Servirebbe-ro sindacati che non si pieghino anuove distruzioni di posti di lavo-ro, consumatori che boicottino lemutinazionali più aggressive, parti-ti che si ricordino, per una volta,di difendere la democrazia. Discu-tere di elezioni europee – da oggial prossimo maggio - significa di-scutere soprattutto di questo.

Mario Pianta

Anna Maria Merlo

Dopo lunghe trattative svolte nella massima segretezza, l’accordo transatlantico tra Usa e Ue è in dirittura d’arrivo.È stato chiamato la «Nato del commercio», spalanca le porte agli investimenti e impedisce alla politica di limitare lo strapoteredelle multinazionali, anche quando ci sono rischi per l’ambiente e la salute. Si cercano movimenti in grado di fermarlo

EUROPA-USA

Il patto atlanticodei capitali

Valentino Parlato

VENERDÌ 24 GENNAIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚1 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

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Secondo la Commissione Europea,ma anche i cinguettii di Enrico Lettadopo l’incontro con Barack Obama,

il Transatlantic Trade and Investment Part-nership (Ttip), trattato che vorrebbe crea-re tra Usa e Ue la più consistente area di li-bero scambio mai tentata nel pianeta, staalla crisi come l’aspirina ai malesseri di sta-gione. Se ne sa poco, perché il testo è se-greto anche per il Parlamento Europeo e ilCongresso statunitense e negoziato da unpugno di esperti, tra la Commissione Ue eil ministero del Commercio Usa. Eppurec’è chi ne parla come una delle poche ri-sposte alla caduta libera dell’economiaglobale. Due milioni di posti di lavoro inpiù in Ue con le liberalizzazioni, 119 mi-liardi di euro l’anno di Pil per l’Europa e130 miliardi di dollari per gli Stati Uniti,cioè 545 euro in più l’anno per ogni fami-glia di quattro persone in Europa, e 901dollari negli Stati Uniti. Sono le rosee previ-sioni diffuse dal Commissario al commer-cio Karel De Gucht nel luglio scorso, quan-do i negoziati sono partiti formalmente.

Peccato che questo si otterrebbe, nellamigliore delle ipotesi, solo entro il 2027. Eche lo studio citato si limita a quantificaregli effetti diretti del Ttip, ma nessuno de-gli effetti collaterali. Le famiglie europeepotrebbero, infatti, risparmiare acquistan-do più pollo a buon mercato esportato da-gli Usa, ma non sappiamo quanti loromembri perderebbero il lavoro per lachiusura degli allevamenti europei di mi-gliore qualità. Quel pollo, se di qualitàpeggiore rispetto a quanto previsto at-tualmente dai regolamenti alimentarieuropei, potrebbe farli ammalare e pesa-re di più sui servizi sanitari pubblici esulle tasche di tutti. Il Ttip, infatti, puntaad abbattere non tanto le tasse doganalitra Usa e Ue - già mediamente appiatti-te intorno al 4% - ma le cosiddette Bar-riere Non Tariffarie, cioè divieti di im-portazione e tasse specifiche che, anchegrazie alle grandi battaglie contro la car-ne agli ormoni, il pollo lavato con il clo-ro, gli ftalati nei giocattoli, i residui di pe-sticidi nel cibo, gli Ogm e così via, tiene

lontani dal nostro mercato prodotti nonsicuri, tossici. Queste valutazioni, infine,non tengono conto di quanto ci coste-rebbero, in termini di diritti e di qualitàsociale e ambientale, la liberalizzazioneprevista dei servizi essenziali - principal-mente acqua, energia e trasporti - diquelli finanziari, la stretta sul finanzia-mento delle imprese a partecipazionestatale e sulla proprietà intellettuale.

I regolamentiLa Commissione li ha recentemente

definiti «generatori di problemi», ma re-golamenti e standard di qualità europeisono spesso il risultato di anni di buonebattaglie. Eppure il Ttip contiene un «Ca-pitolo orizzontale per la coerenza dei re-golamenti» che prevede l’istituzione delRegulatory Cooperation Council: un or-

gano dove esperti della Commissione edel ministero Usa competente valutereb-bero l’impatto commerciale di ogni mar-chio, regola, etichetta che si volesse in-trodurre a livello nazionale, federale oeuropeo. A sua discrezione sarebberoascoltati imprese, sindacati e società ci-vile. A sua discrezione sarebbe valutatoil rapporto costi - benefici di ogni misu-ra e il livello di conciliazione e uniformi-tà tra Usa e Ue da raggiungere, e quindila loro effettiva introduzione.

Ricordiamo che nel 1988 l’Ue ha vieta-to l’importazione di carni bovine trattatecon certi ormoni della crescita canceroge-ni. Per questo era stata obbligata a pagarea Usa e Canada dal Tribunale delle dispu-te dell’Organizzazione mondiale del com-mercio (Wto) oltre 250 milioni di dollaril’anno di sanzioni commerciali nonostan-

te le evidenze scientifiche e le tante vitti-me. Solo nel 2013 la ritorsione è finitaquando l’Europa si è impegnata ad acqui-stare dai due concorrenti carne di altaqualità fino a 48.200 tonnellate l’anno, al-la faccia del libero commercio. Sarà unacoincidenza, ma in un documento con-giunto dell’ottobre 2012 BusinessEuropee US Chamber of Commerce, le due piùpotenti lobby d’impresa delle due spondedell’oceano, avevano chiesto ai propri go-verni proprio di avviare una «cooperazio-ne sui meccanismi di regolazione», checonsentisse alle imprese di contribuirealla loro stessa stesura.

Gli investimenti privati protettiCon una certa baldanza, il 14 gennaio

scorso a Bruxelles Pascal Kerneis dell’Eu-ropean Service Forum, la più potentelobby dei fornitori europei di servizi, neldialogo della Commissione europea conla società civile ha sostenuto che il Ttipnon avrebbe alcun senso senza l’introdu-zione di un Meccanismo di risoluzionedei contenziosi tra investitori e Stati, (In-vestor-State Dispute Settlement - Isds).Esso permetterebbe alle imprese di farcondannare quei paesi che approvasse-ro leggi dannose per i propri investimen-ti presenti e futuri. Oggi sono costrette apresentarsi ai tribunali nazionali, e sot-tostare alle regole di ciascun paese, e inEuropa, in alcuni casi, alla Corte euro-pea di giustizia. Come evitare le connes-se seccature? Creare un organismo che,come il Dispute Settlement Body dellaWto per il commercio, giudichi tenendoin conto le sole leggi e contratti relativiagli investimenti. Prendiamo il caso delQuebec, che nel maggio 2013 ha vietatol’estrazione di gas e petrolio dalfracking, cioè dalla polverizzazione peresplosione del sottosuolo, pericolosaper l’uomo e l’ambiente. La compagniastatunitense Lone Pine, che aveva firma-to col governo canadese una concessio-ne per l’estrazione, ha chiesto un risarci-mento da 250 milioni di dollari. Se negliaccordi tra Usa e Canada fosse stato in-trodotto un Isds, gli avrebbe dato sicura-mente ragione perché gli interessi gene-rali non avrebbero avuto alcun peso. Earriviamo, così, all’ultimo punto.

Diritti versus interessiTom Jenkins della Confederazione sin-

dacale europea (Etuc), nell’incontro conla Commissione del 14 gennaio scorso,ha ricordato che gli Stati Uniti non han-no ratificato diverse convenzioni e impe-gni internazionali Ilo e Onu in materia didiritti del lavoro, diritti umani e ambien-te. Questo rende il loro costo del lavoropiù basso e il comportamento delle im-prese nazionali più disinvolto e competi-tivo, in termini economici, anche se piùirresponsabile. A sorvegliare gli impattiambientali e sociali del Ttip, ha rassicura-to la Commissione, come nei più recentiaccordi di liberalizzazione siglati dall’Ue,ci sarà un apposito capitolo dedicato allosviluppo sostenibile che metterà in piediun meccanismo di monitoraggio specifi-co, partecipato da sindacati e società civi-le d’ambo le regioni. Funzionerà?

Quello in vigore da meno di un annotra Ue e Corea del sud, paese che comegli Usa si è sottratto a gran parte delleconvenzioni Ilo e Onu ed è molto più fa-cile da criticare, fa acqua da tutte le par-ti. Imprese, sindacati e Ong che fannoparte dell’analogo organo creato per mo-nitorare la sostenibilità sociale e ambien-tale del trattato Ue-Korea hanno prote-stato con la Commissione perché avviiuna procedura di infrazione contro laKorea per comportamento antisindaca-le, e ancora aspettano una risposta. Èplausibile, con queste premesse, che laCommissione faccia la voce grossa congli Stati uniti per i diritti del lavoro e perl’ambiente? A marzo, quando i tecniciUsa e Ue s’incontreranno ancora a Bru-xelles per far avanzare il negoziato, lo ca-piremo più chiaramente.

C’è un sogno americano perl’economia italiana, con ilnuovo Trattato transatlanti-

co? Il ministero per lo Sviluppo eco-nomico ha commissionato a Prome-teia spa una prima valutazione d’im-patto mirata all’Italia. Scorrendo da-ti e previsioni apprendiamo che i pri-mi benefici delle liberalizzazioni simanifesterebbero nell’arco di tre an-ni dall’entrata in vigore dell’accor-do: il 2018, al più presto. L’Italia subi-sce dagli Stati uniti dazi abbastanzaforti sui suoi prodotti moda (9%, suuna media di dazi contro i prodottiitaliani del 2,7%), agroalimentare emeccanica. È sugli standard, però,che gli Usa ci penalizzano di più: perla moda arriviamo al 25% con le bar-riere non tariffarie. Alcuni, come Ba-rilla e Rana, hanno saltato gli ostaco-li creando società ad hoc a stelle estrisce, per ricevere un trattamentonazionale. Per gli altri esportatori ita-liani il Ttip porterebbe, entro i tre an-ni considerati, da un guadagno paria zero in uno scenario cauto, ad uno+0,5% di Pil in uno scenario ottimi-stico: 5,6 miliardi di euro e 30 milaposti di lavoro grazie a un +5% del-l’export per il sistema moda, la mec-canica per trasporti, un po’ meno dacibi e bevande e da uno scarso +2%per prodotti petroliferi, prodotti percostruzioni, beni di consumo e agri-coltura.

Quali imprese italiane esportanodavvero e potrebbero guadagnareda un accordo con gli Usa? L’Omc cidice che sono oltre 210 mila, ma è latop ten che si porta a casa il 72% del-le esportazioni nazionali. Secondol’Ice, in tutto nel 2012 le esportazio-ni di beni e servizi dell’Italia sonocresciute del 2,3%. La loro incidenzasul Pil ha sfiorato il 30% in virtù del-l’austerity e della crisi dei consumiche hanno depresso il prodotto in-terno. L’Italia è riuscita a rosicchiarespazi di mercato internazionale con-tenendo i propri prezzi, senza gene-rare domanda interna né nuova oc-cupazione. Anzi: lo ha fatto spostan-do all’estero processi o attività dovecostavano meno il lavoro o le tecno-logie. Abbiamo acquistato, insom-ma, quote di mercato estero, perden-do lavoratori-consumatori nel mer-cato interno. Al momento, poi, pro-teggiamo con o senza tariffe ad hoczucchero, carni, farmaci, chimica,alimentari. Basiamo molto del no-stro marketing sulla qualità e abbia-mo regole abbastanza stringenti chepotrebbero essere, però, livellateagli standard statunitensi, molto piùbassi nella maggioranza dei casi.

Per i servizi, al momento solo gliaudiovisivi sono fuori dalle possibililiberalizzazioni e di sanità non si èancora parlato, ma la tensione è altasoprattutto su energia, trasporti e fi-nanza. Inoltre, con l’aumento di di-sponibilità sul mercato interno dicarni, alimenti, cosmetici, prodottidi consumo e abbigliamento Usa abasso prezzo, il consumatore italia-no dovrebbe ripiegare sui prodotti ei servizi più a buon mercato, sacrifi-cando quel poco di sicurezza alimen-tare, ambientale, sociale e di dirittiche l’Europa ancora salvaguarda.

24 GENNAIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚1 - PAGINA 2

CON IL TTIP CADRANNOLIMITI E TASSE SPECIFICHECHE HANNO TENUTOLONTANI DAL NOSTROMERCATO PRODOTTI NONSICURI, ADDIRITTURA TOSSICI.COME LA CARNEAGLI ORMONI O GLI OGM

LA VECCHIA EUROPA, IL TOUR DEGLIECONOMISTI SGOMENTILa crisi, in Europa e in Italia, ha colpito soprattut-to i giovani, cancellando le opportunità di lavoro- la disoccupazione giovanile nel nostro paese èal 41 per cento - e ogni prospettiva di vita nonprecaria. Se ne è discusso ieri, a Roma, nel cor-so di un incontro organizzato dalla CampagnaSbilanciamoci! – che raccoglie 50 associazioni –e la rete di “Economisti sgomenti” francesi (inItalia per presentare il loro ultimo libro, “Changerl’Europe”), in collaborazione con la “Rete euro-pea degli economisti progressisti” (Euro-pen).Oggi (venerdì 24) si replica a Firenze (IstitutoUniversitario Europeo, Badia Fiesolana, Via deiRoccettini 9, Fiesole, dalle 15 alle18) con unworkshop a cui partecipano Mireille Bruyère, pergli Economisti Sgomenti, e Domenico Mario Nuti,docente all’Istituto Universitario Europeo.

Per consultare il programma www.sbilanciamo-ci.info

L’EUROPA CHE (FORSE) VERRÀL’Europa dei popoli che tutti vorremmo. È dedica-tA a questo tema la storia di copertina del nume-ro 3/2014 di Rassegna Sindacale, settimanaledella Cgil. Che ospita una lunga e ragionata inter-vista a Martin Schulz, presidente del Parlamentoeuropeo dal 2012, realizzata da Maria AntoniaFama e Altero Frigerio di Radioarticolo1. schulzche alla vigilia delle elezioni europee «disegna»l’Unione per quello che dovrebbe essere. Tra glialtri articoli che si possono leggere, C’è il contri-buto dello scrittore e giornalista greco Dimitri De-liolanes che descrive quello che l’Europa nondovrebbe essere e che invece è stata: con i taglie l’austerity imposti dalla troika che hanno scon-volto il tessuto sociale della Grecia (ma non so-

lo, naturalmente). Infine, Salvo Leonardi, ricerca-tore Ires Cgil, si interroga su ruolo, limiti e pro-spettive dei sindacati in Europa. Con alcuni im-portanti spiragli: un modello di contrattazionesovranazionale, europea, che sta cominciando acogliere qualche primo risultato in tema di dirittie condizione dei lavoratori. Rassegna Sindacaleè in abbonamento. Si può acquistare la singolacopia in Pdf nello shop digitale (www.rassegna.it/shop/) o dall’applicazione di Rassegna, scari-cabile sia per Ipad che per Galaxy.

LA SCIARADA DEL LIBERO SCAMBIOUSA-UEDai negoziati di Doha, falliti principalmente a cau-sa del rifiuto degli Stati uniti di eliminare i lautisussidi al mondo agricolo, arrivano quelli per ilTrattato di partnership transatlantica (Ttip). Allaluce della storia recente appare dunque chiaro

che l’obiettivo non è quello un’area di liberoscambio tra Usa e Europa, ma piuttosto quello dimantenere il regime di scambi funzionale agliinteressi che hanno a lungo dominato la politicacommerciale occidentale.Joseph Stiglitz da www.sociale-europe.eu

100 ONG CONTRO LA PRESSIONE“GIUDIZIARIA” DELLE MULTINAZIONALISULL’AUTONOMIA DEGLI STATIOltre 100 Ong chiedono ai negoziatori americanie europei di non includere nel futuro accordo dilibero scambio (Ttip) la clausola che permettealle multinazionali di chiamare in giudizio in tribu-nali internazionali e "a porte chiuse" gli Stati so-vrani che attuino provvedimenti da esse ritenutecontrarie ai propri interessi e investimenti e per iquali non si sentano tutelate dalle decisioni deitribunali locali. Da www.valori.it

WEB

Monica Di Sisto

M. di S.

Via le tutele ambientalie i divieti di importazione?In nome degli investimentiSecondo il commissario al Commercio Ue saranno creati due milionidi posti di lavoro. Entro il 2027. Al prezzo di una totale deregulation

IL DOSSIER PROMETEO

Il sogno americanoin Italia: guadagniper poche imprese,non per i lavoratori

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www.sbilanciamoci.info

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«Taglia quei pneumatici».Il campesino perforacon il machete le quat-

tro ruote del bus che il suo grup-po aveva fatto sistemare di traver-so per bloccare la strada. All’arri-vo dei soldati, il gruppo si disper-de, ma il blocco del traffico è or-mai riuscito, sotto lo sguardo si-lente dei passeggeri e degli auto-mobilisti, che in parte si lamenta-no ma in buona parte risconosco-no di appoggiare la protesta.

Sono alcune delle scene vissu-te nell’agosto dell’anno scorso,quando la Colombia viene travol-ta dal Paro Campesino, la rivoltadegli agricoltori per le condizioniinsostenibili delle campagne. Bo-gotà vede la centrale Plaza de Bo-livar riempirsi in cinque moltitu-dinarie manifestazioni, grazieagli studenti che appoggiano laRevoluciòn de las Ruanas (dal no-me del simil poncho che sono so-liti indossare i contadini). Gli ac-

cusati principali sono i Tratadosde Libre Comercio (Tlc).

Sotto il mandato dell’attualepresidente J.M. Santos la Colom-bia implementa o firma trattaticon Canada, Stati Uniti, UnioneEuropea e sta preparando un ac-cordo con Israele. Tuttavia, la poli-tica è in perfetta continuità con ilpredecessore Uribe, che firma ac-cordi con Efta (Svizzera, Liechten-stein, Islanda e Norvegia), Cile evari paesi Centroamericani e chenegozia il contenuto principaledell’accordo con gli Usa (non rati-ficato inizialmente per le denuncedei sindacati americani sul manca-to rispetto dei diritti umani).

Gli effetti sono immediati. Se-condo i dati del Census Bureau,tra il maggio 2012 e il maggio2013, il primo anno dopo la firmadell’accordo con gli Usa, il saldocommerciale con il gigante norda-mericano peggiora drasticamen-te. Depurando per l’inflazione(per semplicità usando grezza-mente la variazione annua dei

prezzi al consumo) l’export versogli usa diminuisce dell’8% mentrele importazioni aumentano del14% (dati del Census Bureau). Ildato più importante tuttavia èche mentre (2013 su 2012)l’export agricolo colombiano scen-de del sei per cento circa, l’importcresce del 10%. Tutto ciò in barbaai vantaggi comparati della teoriaeconomica ortodossa. La motiva-zione è semplice: i Paesi ricchiquando negoziano lo fanno da po-sizione di forza e garantiscono ec-cezioni e pesanti sussidi ai settoriagricoli, dove i Paesi a basso o me-dio livello di reddito hanno unaquota rilevante di valore aggiuntoe occupati.

Le trasformazioni strutturali in-dotte da una raffica di trattati so-no profonde. Si osserva una dimi-nuzione della quota manifatturie-ra (nel 2012 al 13% secondo la Ce-pal), riducendo così il grado di di-versificazione dell’economia e au-mentando il rischio di crisi, anchea causa di un tasso di cambio rea-

le che si è andato apprezzando dicirca il 40% dal 2003 al 2012, se-condo la stessa fonte. In effetti dal2008 la tassa di informalità è rima-sta pressoché stabile nonostantela crescita economica accelerata.

Si osserva anche una crescitadelle industrie estrattive: la loco-modora minera rappresenta at-tualmente il traino dell’attivitàproduttiva con una quota sul Pildel 12.3% (fonte Cepal), con l’ef-fetto di trasformare il businessprincipale dei gruppi armati ille-gali, che hanno sostituito il narco-traffico con le miniere illegali, icui profitti sono molto più facilida riciclare, e con ovvie conse-guenze nefaste, come rivela l’or-mai insostenibile situazione delsettore del carbone, in mano amultinazionali come la Drum-mond, recentemente finita nel-l’occhio del ciclone per la violazio-ne delle norme ambientali.

Infine si osserva un persistentedeficit di parte corrente, nel trien-nio 2010-2012 stabilmente al 3%del Pil, con conseguente afflussomassiccio di capitali e crescita al-larmante del prezzo degli attivi,per esempio nello stesso periodoil prezzo delle case è cresciuto dicirca il 120%. Un simile afflussonetto di capitali caratterizza tuttala regione. In particolare, i tre di-scepoli del neoliberismo (Perù, Ci-le e Colombia) hanno un saldonetto dell’investimento stranierodiretto cresciuto a tassi da brividonegli ultimi tre anni, al punto darecuperare la flessione avvenuta aseguito della Grande Recessione2008-2010. L’aumento sul piccodel 2007 (in termini nominali) èstato del 126% in Perù, del 96% inColombia e del 20% in Cile.

Quest’ultimo ci mostra l’ulti-ma grande lezione dei Trattati fir-mati in condizioni asimmetri-che. Nonostante il plauso inter-nazionale per l’intelligente politi-ca di riserva obbligatoria non re-munerata, che limita i flussi di ca-pitale speculativi senza colpirein modo significativo chi investea lungo termine, il Cile ha dovu-to cambiare strada perché cosìprevede il Tlc, segno che comesempre la finanza sta dietro i pro-clami del libero commercio.

L’ approvazione del BaliPackage all’ultima mini-steriale Wto del dicem-

bre scorso è un segno di qualco-sa che sta cambiando, e veloce-mente, nella governance mon-diale. Il primo accordo portato acasa dall’Omc dal giorno dellasua costituzione, di fatto il pri-mo risultato concreto dalla chiu-sura dell’Uruguay Round, ridise-gna gli scenari futuri a comincia-re dal ruolo del Wto.

L’esplosione di accordi di libe-ro scambio (Ftas) bilaterali e re-gionali negli ultimi anni - bastipensare che l’Unione europeaha siglato accordi con più di 50Paesi - mostrava un quadro diprogressivo disimpegno dai fati-cosi tavoli negoziali dell’Organiz-zazione mondiale del commer-cio. Il punto più basso, il falli-mento della ministeriale del lu-glio del 2008, segnava il declinodel Doha Round e l’inizio dellafine della credibilità di PascalLamy come direttore generale efacilitatore del negoziato. «L’in-contro è fallito», dichiarò allastampa Lamy alla fine di novegiorni senza un risultato, «sem-plicemente perché i membrinon sono stati in grado di avvici-nare le loro posizioni differenti».Di tenore diverso quell’«abbia-mo riportato il mondo all’inter-no del Wto» che Roberto Azeve-do, il neodirettore dell’Omc, di-chiarò dopo una nottata al calorbianco e una conclusione nonscontata alla ministeriale indo-nesiana. Roberto Carvalho deAzevedo è un diplomatico brasi-liano, già Permanent Represen-tative del suo Paese al Wto, cosìcome presso la World Intellec-

tual Property Organisation(Wipo) e la United Nations Con-ference for Trade and Develop-ment (Unctad). Il primo settem-bre scorso è diventato direttoredell’Organizzazione mondialedel commercio, un ruolo nelquale potrà spendere tutta la cre-dibilità di diplomatico navigatodi un Paese emergente.

A fianco del Brasile, in questonuovo scenario, c’è l’India e lasua capacità di imporre temi al-l’agenda globale su argomenticome l’intervento pubblico inagricoltura, da anni al centro del-lo stallo del Doha Round. Il Fo-od Security Act indiano, e la pos-sibilità di sussidiare attivamenteproduzioni agricole per sostene-re centinaia di milioni di perso-ne alla fame, è protetto da qualsi-asi deferimento al Dispute Sett-lement Body.

Altro vincitore della partita in-donesiana sono gli Stati uniti.Che portano a casa la Trade Fa-cilitation a tutto vantaggio di re-altà come FedEx e Ups e di unamaggiore presenza nei mercatiesteri da parte delle impreseesportatrici. Gli Usa evitano ladefinitiva cancellazione degliexport subsidies, nonostantel’accordo di Hong Kong del2005. E trovano centralità sulloscenario internazionale con itre accordi di libero scambio incui l’Amministrazione Obama èattore protagonista: la Transpa-cific Partnership, con 12 Paesimembri che assommano al40% di tutto il Pil globale; laTransatlantic Trade and Investi-ment Partnership, con 28 Paesie il 50% del Pil globale; il Plurila-teral Services Agreement, con49 Paesi che partecipano e piùdell’80% del Pil globale.

24 GENNAIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPA

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L’AMERICA LATINAÈ DIVENTATAGRANDE, MA PERGLI USA È SEMPRE ILCORTILE DI CASA,TENUTO SOTTOCONTROLLO CONGLI ACCORDI DILIBERO SCAMBIO.SONO TREI TRATTATICOMMERCIALI DIPORTATA GLOBALEVOLUTI DA OBAMA

VENT’ANNI DI NAFTA: UN DISASTROPER I LAVORATORIL’Accordo nordamericano per il libero scambio,o Nafta, è stato la porta d’ingresso attraversocui i lavoratori americani sono stati spinti nelmercato del lavoro neo liberale globale. Fissan-do il principio che le imprese americane pote-vano trasferire la produzione altrove e venderei loro prodotti nuovamente negli Stati Uniti, l’ac-cordo NAFTA ha minato il potere contrattualedei lavoratori americani che aveva guidatol’espansione della classe media dalla fine del-la seconda guerra mondiale. Il risultato è stato20 anni di salari stagnanti e di redistribuzionedel reddito, della ricchezza e del potere politicoverso l’alto.Jeff Faux da www.tradegame.com

LA GRECIA E LE ELEZIONI EUROPEE

Cosa accadrà in Grecia dopo le elezioni euro-pee che, non senza una buona dose di ironiadella storia, si svolgono proprio mentre il pae-se avrà la presidenza dell’Unione europea? SeSyriza vincerà alle elezioni del Parlamento euro-peo, Alexis Tsipras, il leader del partito, ha det-to chiaramente che non riconoscerà il mandatodi governo della coalizione formata da Nd ePasok.Takis S Pappas da www.opendemocracy.net

NEL REGNO UNITO LAVORATORISEMPRE PIÙ POVERINonostante i dati mostrino una disoccupazionein calo, circa 13 milioni di inglesi vivono in con-dizioni di povertà, e di questi 6,7 milioni vivo-no in una famiglia con almeno un adulto allavoro. La denuncia del Rapporto sulla povertàe sull’esclusione sociale, curato dal New Policy

Institute.Mischa Wilmers da www.equaltimes.org

HOLLANDE E LE SFIDEDELL’ECONOMIA FRANCESELa Francia è spesso citata come “il malatod’Europa”. La bassa crescita, le finanze pubbli-che deteriorate, i crescenti problemi di competi-tività, una strutturale incapacità di riformareun’economia eccessivamente regolamentata.Riforme che, è inutile dirlo, aprirebbero la stra-da a una nuova era di crescita, di alta produtti-vità, e di ricchezza. François Hollande inizia laseconda metà del suo mandato presidenzialeaderendo a questo punto di vista.Francesco Saraceno da keynesblog.com

OLTRE IL PIL“Mobilitiamoci per andare oltre il Prodotto inter-

no lordo” è il contenuto di un articolo pubblica-to il 16 gennaio scorso sulla rivista Nature efirmato dal network Alliance for Sustainabilityand Prosperity di cui fa parte anche l’attualeministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Secon-do il primo firmatario, l’economista statuniten-se Robert Costanza, i lavori svolti in questi anniper elaborare nuove misure del progresso han-no portato ormai a una convergenza di risultati,con il concorso di diverse scienze, dall’ecologiaalla psicologia. Ora resta da risolvere il proble-ma politico: far sì che i nuovi indicatori venga-no concordati e adottati universalmente. Secon-do gli esperti un’occasione da non perdere èquella dei lavori in corso alle Nazioni unite perfissare, entro il 2015, i nuovi obiettivi globaliper l’umanità.Da Nature http://www.nature.com/nature/current_issue.html

Francesco Bogliacino

Alberto Zoratti

A SINISTRA, UNAMANIFESTAZIONECONTRO LEPOLITICHE DILIBERALIZZAZIONEDEL WTO. ACCANTO,CAMPESINOSCOLOMBIANI INMARCIA/FOTO REUTERS

Il «paro campesino»svela lo scambio inegualetra Colombia e UsaA un anno dalla firma dell’accordo, peggiora il saldocommerciale tra i due paesi. Giù l’agricoltura,i contadini si ribellano. Prezzi delle case su del 120%

Il Wto risorge,i Brics dettanol’agendaIl neodirettore brasiliano portaa casa il Bali packageE l’India impone i suoi temi

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Fu definita la «prima guerriglia on li-ne della storia». Eravamo alla finedegli anni ’90 e la rete non era sta-

ta ancora mai sperimentata in politica.Fu anche grazie a questa mobilitazione,che subito acquistò dimensioni globali,che riuscimmo a vincere – non capitaspesso – anche la battaglia parlamentare(per lo meno a livello europeo); e poi,quella definitiva: la rinuncia dell’Ocse,che aveva proposto l’Ami (l’Accordomultilaterale sugli investimenti), ad insi-stere sul suo progetto che inizialmenteera convinta sarebbe passato senza rea-zioni. Era il 3 dicembre del 1998. Il colpodecisivo era stato apportato dal primoministro francese Jospin, che, sotto lapressione della sua opinione pubblica(sempre più vigile delle altre europee inquesti casi) annunciò il ritiro della Fran-cia dal negoziato. La vittoria fu festeggia-ta con grande clamore nel 1999 nel famo-so raduno internazionale di Seattle – pre-cursore dei Forum sociali mondiali – do-ve fu peraltro affossato un altro pericolo-so strumento di liberalizzazione selvag-gia, il Millennium Round, proposto dal-l’Omc (Organizzazione Mondiale delCommercio).

Fu in occasione della battaglia sul-l’Ami che per la prima volta l’opinionepubblica si occupò di un negoziato inter-nazionale su cui, da sempre, le informa-zioni e le decisioni erano state di esclusi-va pertinenza degli organismi preposti.Ricordo ancora la meraviglia dei diplo-matici italiani accreditati a Parigi pressol’Ocse quando – ero presidente dellaCommissione per le Relazioni economi-che esterne del Parlamento europeo –andai a chiedere conto di quanto si sta-va facendo.

«Emergono le Ong che conquistanoun diritto d’ingerenza»; «Non è un buonauspicio per la liberalizzazione del com-mercio e del movimento dei capitali», di-chiararono allarmate le burocrazie inter-nazionali. Peggio i 450 dirigenti di multi-nazionali riuniti nell’assemblea della Ca-mera di commercio internazionale:«L’emergere di gruppi di attivisti rischiadi indebolire l’ordine pubblico, le istitu-zioni legali, il processo democratico».Sconsolato, l’allora ministro dell’econo-mia francese Strauss Kahn concluse:«Dopo l’Ami non si negozierà più comeprima».

La lezione appresa non fu che bisogna-va d’ora in avanti coinvolgere opinionepubblica e parlamenti ma, al contrario,che si sarebbe dovuto negoziare con an-cor più segretezza, per impedire indebi-te intrusioni. Infatti, se negli anni ’90 fupossibile a Marthin Kohr, direttore delThird World Network di Kuala Lampur,

di intercettare in rete la bozza con la pro-posta dell’Accordo dell’Organizzazionemondiale per il commercio e di allertarele Ong; e a Lori Wallach,del Public Citi-zens Global Watch, di aiutare a diffonde-re il documento (soprannominato «Dra-cula»), oggi sarà più difficile fare altret-tanto con il negoziato in corso per unTtip (Transatlantic Trade and Invest-ments Partnership) perché le relative car-te sono state «secretate».

Il Trattato in discussione, formalmen-te lanciato il 13 luglio scorso, è la copiaquasi del tutto conforme del defuntoAmi: non più elaborato in seno all’Ocse,perché non riguarda più i 29 membriche allora facevano parte di quell’organi-smo (oggi ce ne sono di più, e fra questila Cina), ma esclusivamente gli Stati Uni-ti e l’Unione europea.

Allora fu possibile inventare qualcheefficace gioco di parole, per lo meno inlingua francese – «le faux Ami» («il falsoamico») o «l’Ami est l’ennemi» – oggi ladizione è più ostica; e soprattutto la ca-pacità inventiva minore perché menoforte è l’impegno di chi sta combattendocontro il progetto: allora a esser coinvol-ti nella mobilitazione furono 600 gruppidella società civile appartenenti a 75 pae-

si, oggi ce ne sono solo circa un centina-io e in Italia sembra che quasi nessunosi sia accorto del nuovo Dracula.

Eppure la questione in ballo non era –e dunque non è oggi - di poco conto: invirtù di quell’accordo (e di quello cheora si sta negoziando), ogni investitorestraniero, ove i profitti previsti per la suainiziativa, dovessero risultare ridotti, invirtù di una disposizione delle istituzionidel paese in cui l’investimento è stato fat-to, deve esser risarcito. Basta dunque,tanto per fare un esempio, che un bosconon possa più esser abbattuto, che unaregola sull’energia proibisca una centra-le a carbone, che una norma impongaun più severo controllo sugli alimenti,che una legge o un accordo sindacaleconceda maggiori diritti o più alta remu-nerazione ai lavoratori, perché l’investi-tore straniero possa reclamare un risarci-mento. E ove dovesse nascere un conten-zioso a decidere – ipotesi davvero senzaprecedenti – non sarebbe un normale tri-bunale internazionale, ma un arbitratoaffidato a avvocati privati. Come si vedesi tratta di una vera privatizzazione delpotere legislativo, che investe anche l’esi-stenza dei servizi pubblici, i quali - in no-me della competitività più assoluta, che

non ammette alcuna forma di interven-to statale – non sarebbero più autorizza-ti a fruire di sostegni statali. Non a casola federazione sindacale europea ha de-nunciato come uno dei più temibili effet-ti del Trattato lo smantellamento dei si-stemi sanitari europei.

L’argomento usato dai fautori ieri del-l’Ami, oggi del Ttip, in difesa della loroiniziativa, è stato ed è che l’abbattimen-to di ogni ostacolo tariffario alla circola-zione di beni e servizi fra Usa e Ue, cre-ando un’unica grande area di scambio,avrebbe effetti incentivanti per lo svi-luppo e l’occupazione. Però le barrieredoganali fra i due grandi mercati occi-dentali sono già minime. Quanto si vuo-le in realtà colpire sono le barriere nontariffarie: le norme costituzionali, le le-gislazioni ecologiche, sociali, ecc. Inuna parola: garantire libertà e sicurez-za assolute al capitale transnazionaleimpedendo ai governi di assumere unaqualsiasi misura che possa avere effet-to negativo sui suoi interessi. E cioèquelle che nella significativa dizionedei negoziatori vengono chiamate «po-litiche nazionali superflue».

«Dal diritto dei popoli a disporre di séstessi al diritto delle multinazionali di di-sporre dei popoli», ha definito l’operazio-ne il documento accusatorio delle socie-tà dei registi, produttori e sindacati euro-pei. I cineasti sono stati in effetti quelliche più si sono mobilitati, visto che conl’annullamento di ogni finanziamentopubblico al cinema europeo questo ri-schierebbe di scomparire. E hanno otte-nuto un primo successo: il Parlamentoeuropeo ha votato in favore dell’esclusio-ne dell’audiovisivo dal Trattato.

È la dimostrazione che se si lotta sipuò anche vincere. Ma bisogna lottare, eperciò sapere. Invece non si sa quasiniente, in Italia in particolare, dove delnuovo Trattato transatlantico su cui sista trattando non sa, o almeno non diceniente, né il governo, né il parlamento; eneppure l’opposizione. Sarebbe beneche tutti ci svegliassimo prima che siatroppo tardi: ci va di mezzo lo stesso mo-dello politico-sociale europeo. A che procontinuare a parlare di Europa se diven-tiamo un pezzetto d’America?

La Transatlantic Trade and In-vestment Partnership rappre-senterà la più grande area di

libero scambio del pianeta in termi-ni di valore, rappresentando oltre il50% del Prodotto interno lordomondiale. Quanto sia alta la postain gioco è espresso dalla lettera con-giunta che Sharan Burrow, segreta-rio generale dell’Ituc; BernadetteSegol, segretaria generale di Etuc; eRichard Trumka, presidente di Afl-Cio, hanno inviato a nome dei sin-dacati globali nel dicembre scorsoalla Commissione Europea e all’UsTrade Representative per sottoline-are il rischio che i sistemi sanitari ei diritti dei pazienti possano sotto-stare alle leggi di mercato e a un’ec-cessiva tutela degli investitori.

Una lettera che è seguita al posi-zionamento di oltre cento organiz-zazioni non governative e movi-menti sociali di tutto il mondo, do-ve veniva sottolineato come le lob-by industriali, tra cui il TranstlanticBusiness Council, stiano spingen-do verso un’armonizzazione deglistandard, e un’integrazione deimercati, in modo per nulla traspa-rente e intelligibile da parte e citta-dini e società civile.

Sono molte le piattaforme e i co-ordinamenti nazionali che stannonascendo per opporsi al trattato. InFrancia, patria dell’opposizione edell’affossamento dell’AccordoMultilaterale sugli Investimenti,molti collettivi e comitati già coin-volti contro l’estrazione dello Shalegas e le grandi infrastrutture si stan-no coordinando per mobilitare ilPaese contro il trattato. Sono deci-ne gli incontri pubblici, le mobilita-zioni locali che fanno da tessutoconnettivo di una mobilitazioneche si rafforza giorno dopo giorno.

Non si contano ormai le centina-ia di realtà che sono direttamenteo indirettamente coinvolte nellamobilitazione: il primo appunta-mento europeo si è svolto a Bruxel-les il 12 e 13 dicembre 2013, doveoltre sessanta gruppi della societàcivile europea hanno delineato lastrategia dei prossimi mesi. I livel-li di azione saranno molteplici:l’asse istituzionale, che vede leprossime elezioni europee comeun buon campo di battaglia su cuiintervenire, per chiedere una chia-ra presa di posizione ai candidatie per lanciare una campagna dipressione sul nuovo Parlamento.Un’azione di lobbying che non so-stituirà le mobilitazioni territoria-li, che vedranno iniziative deloca-lizzate nei vari Paesi, un vero e pro-prio Global day of action contro ilTtip che coinvolgerà tutte le piatta-forme territoriali.

In Italia sono cominciati i primipassi della Campagna sul trattato,con un primo incontro il 5 gennaioscorso promosso da Comune-Info,Fairwatch, Scup e l’ex Colorificio li-berato di Pisa, e che ha visto adesio-ni da parte di diverse realtà tra cuiSbilanciamoci.info, Attac Italia, Al-tramente, Associazione Botteghedel Mondo e la Fondazione BancaEtica. Un primo passo in vista dellaprossima assemblea allargata chepotrebbe svolgersi nei primi giornidi febbraio a Roma.

La «guerriglia on line»che sconfisse l’AmiUna lezione per l’oggiAlla fine degli anni ’90 la mobilitazione di ong e movimenti fermòl’Accordo multilaterale sugli investimenti. Sul Ttip, invece, il silenzio

24 GENNAIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚1 - PAGINA 4

A.Z.

«MAI DIRE MAI»: CHI SIRICORDA QUESTO SLOGAN?FU UNA DELLE PRIMEBATTAGLIE VINTEDAL MOVIMENTOALTERMONDIALISTA, LA PRIMAVOLTA CHE L’OPINIONEPUBBLICA SI OCCUPÒDI UN ACCORDOCOMMERCIALE DI PORTATAMONDIALE. ORA SONOIN GIOCO LE «POLITICHENAZIONALI SUPERFLUE»

Luciana Castellina MOVIMENTI

Una giornataglobale d’azioneE in Italia si preparauna campagna