Sbilanciamo l’Europa

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Nelle società neoliberiste in cui viviamo, l’individuo è pro- dotto dall’incontro tra le tec- niche di governo politico, la disciplina morale e la razio- nalità economica. Ne parlano Laval e Dardot nel loro recente lavoro La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neo- liberista, di cui si è già discus- so su queste pagine. Nella fabbrica del soggetto neolibe- rista, l’io è spinto a «mutare per rinforzarsi e sopravvive- re nella competizione». Il sin- golo si trasforma così in «esperto di se stesso, datore di lavoro di se stesso, invento- re di se stesso, imprenditore di se stesso». Al valore della collaborazio- ne si sostituisce quello della competizione, e per restare appetibili sul mercato c’è biso- gno di continui investimenti su se stessi, in termini di edu- cazione e di formazione. È questo il famoso capitale umano di cui parla anche Vir- zì nel film omonimo. L’individualismo neolibera- lista è ben diverso dall’etica del sé protestante che era alla base del primo capitalismo. Il controllo sistematico del sé e la visione del lavoro co- me mezzo di salvezza nell’al- dilà lasciano il posto ad un modello fondato sul primato della libera iniziativa. Questa libertà è però al tempo stesso una prigione: «Non siamo usciti dalla ‘gabbia d’acciaio’ dell’econo- mia capitalista di cui parla- va Weber. Per certi versi, si do- vrebbe dire piuttosto che a ciascuno viene imposto di co- struire, per conto proprio, una piccola ‘gabbia d’accia- io’ individuale» (La ragione del mondo). Laval e Dardot si ispirano alla genealogia del liberalismo elaborata da Michel Foucault. In particola- re, è nella Nascita della biopo- litica, il corso al Collège de France del 1979, che il filoso- fo francese tratteggia la diffe- renza tra l’individualismo classico e quello neoliberista. CONTINUA |PAGINA II «DIS-CONNESSI» La rilettura Foucault e il governo degli individui L’ individuo, la sua idealizzazione quale soggetto so- vrano titolare di diritti è il sogno e il segno della modernità, dell’Illuminismo, della Rivoluzione francese. Individuo; ma capace anche, perché individuo e citta- dino, di essere in-comune con gli altri. Ma se l’Illuminismo sognava la liberazione dell’uomo dalle oppressioni del passato in nome del kantiano sape- re aude!, il capitalismo moderno e industriale – pure basa- to sugli interessi individuali e sulla loro libera o magica composizione – ne è la drammatica negazione e il lais- sez-faire e le retoriche individualiste nascondono un do- ver fare e una pesantissima mano, cioè produrre, consu- mare e soprattutto integrarsi nell’organizzazione di mer- cato, diventando tutti capitalisti (il sogno, oggi realizzato del neoliberismo; l’incubo, per gli altri). Il «soggetto di diritti» dell’Illuminismo è morto soffoca- to nella culla perché sopraffatto dal «soggetto economi- co», a sua volta presto declassato a «oggetto economico» (lavoratore, merce, imprenditore, nodo della rete). Sempre negando a ciascuno di poter essere soggetto in sé e per sé, ma imponendogli di essere oggetto utile e fun- zionale al sistema. Mentre il sovrano assoluto abbattuto dalla Rivoluzione rinasceva sotto forma di mercato, ridefinendosi però abil- mente come «legge naturale» e quindi immodificabile, cioè come verità da non contraddire. E dalla fabbrica di spilli di Adam Smith alla rete di oggi sempre si replica, nella modernità un doppio movimen- to: individualizzazione da un lato; e poi (come scriveva Foucault) totalizzazione, cioè ricomposizione delle parti, prima separate, nel tutto dell’apparato. CONTINUA |PAGINA II C’era una volta la società Sbilanciamo l’Europa Lelio Demichelis La sfiducia generalizzata è il precipitato di un lungo processo di desertificazione della società e dei suoi vincoli di reciprocità e solidarietà, l’esito di quattro decenni di egemonia neoliberista e dello scatenamento degli spiriti egoistici contro tutto ciò che è pubblico, in comune, statuale Duccio Zola N el 1987, in un’intervista conces- sa all’inizio del suo ultimo man- dato da Primo Ministro, Marga- ret Thatcher affermava candidamente che «non esiste la società. Esistono gli individui, uomini e donne, e le fami- glie». A distanza di quasi trent’anni, quella dichiarazione sembra aver as- sunto i contorni di una brutale profe- zia che si autoavvera. C’era una volta la società, verrebbe da dire. E con essa i suoi correlati nel campo della politica democratica: il patto di cittadinanza si- glato in nome dell’uguaglianza e dei di- ritti di tutti e di ciascuno, il welfare con la sua impronta solidaristica e univer- salistica, il nesso fiscale fondato sulla redistribuzione e la progressività, la partecipazione sociale e politica inner- vata dalla pluralità dei corpi intermedi e dalla faticosa, conflittuale ricerca e composizione del bene comune e del- l’interesse collettivo. Scorie da smaltire di un’epoca in cui, per riprendere le parole della Lady di Ferro, «a troppe persone è stato fat- to credere che se hanno un problema è il governo che deve risolverglielo». Or- pelli fuori moda, oggi, al tempo dell’in- dividuo in via di de-socializzazione e dei suoi tanto celebrati attributi di au- tonomia (sul mercato, nelle scelte di consumo) e responsabilità (giuridica e singolare, non certo etica), competizio- ne e concorrenza (tra attori che si per- cepiscono e agiscono come agenti eco- nomici in cerca della massimizzazione del proprio utile), merito (che premia chi parte già in una posizione di van- taggio) e talento (di alcuni, a discapito dei molti). Sarà forse per questo che siamo diventati cinici e diffidenti. A tal proposito, anche il recente Rapporto dell’Istat sul Benessere equo e sosteni- bile certifica per l’Italia – insieme al for- te aumento delle disuguaglianze tra classi, generi e territori dall’inizio della crisi economica – una condizione di cronica sfiducia nei confronti dei no- stri concittadini e delle istituzioni che dovrebbero rappresentarci, innanzitut- to i partiti, il Parlamento, le ammini- strazioni locali, il sistema giudiziario. Questa sfiducia generalizzata è il pre- cipitato di un lungo processo di deserti- ficazione della società e dei suoi vincoli di reciprocità, solidarietà, cooperazio- ne: quattro decenni di egemonia neoli- berista all’insegna dell’esaltazione del- le magnifiche sorti del mercato capita- listico e dello scatenamento degli spiri- ti egoistici e acquisitivi dell’individuo assoluto che lo abita, contro tutto ciò che è pubblico, in comune, statuale. Eppure, la realtà della crisi e delle po- litiche di austerità odierne ci restitui- sce l’immagine ben più prosaica di una società drammaticamente spere- quata, gerarchizzata e segmentata, che aderisce perfettamente al volto tecno- cratico, oligarchico e repressivo del- l’ideologia e della pratica neoliberiste. Soli, disuguali e pressoché impoten- ti – ma immancabilmente connessi in rete e in attesa di un riscatto tutto indi- viduale – di fronte allo smantellamen- to del lavoro e dei sistemi di protezio- ne sociale; all’inarrestabile concentra- zione della ricchezza e del potere; alla colonizzazione di sempre più ampie sfere e attività sociali e personali da parte degli imperativi della mercifica- zione, della privatizzazione, del profit- to (e della rendita); alla moltiplicazio- ne delle barriere materiali e immateria- li che separano e gerarchizzano esi- stenze e destini individuali e collettivi. Nella società dello homo homini lupus in cui siamo tornati a vivere, so- no davvero pochi coloro ai quali è con- cesso affermare la propria individuali- . A tutti gli altri non resta che ricono- scere la propria subalternità. E organiz- zarsi di conseguenza. Teresa Pullano VENERDÌ 18 LUGLIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚25 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

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Nelle società neoliberiste incui viviamo, l’individuo è pro-dotto dall’incontro tra le tec-niche di governo politico, ladisciplina morale e la razio-nalità economica.

Ne parlano Laval e Dardotnel loro recente lavoro Lanuova ragione del mondo.Critica della razionalità neo-liberista, di cui si è già discus-so su queste pagine. Nellafabbrica del soggetto neolibe-

rista, l’io è spinto a «mutareper rinforzarsi e sopravvive-re nella competizione». Il sin-golo si trasforma così in«esperto di se stesso, datoredi lavoro di se stesso, invento-re di se stesso, imprenditoredi se stesso».

Al valore della collaborazio-ne si sostituisce quello dellacompetizione, e per restareappetibili sul mercato c’è biso-gno di continui investimenti

su se stessi, in termini di edu-cazione e di formazione.

È questo il famoso capitaleumano di cui parla anche Vir-zì nel film omonimo.

L’individualismo neolibera-lista è ben diverso dall’eticadel sé protestante che era allabase del primo capitalismo.

Il controllo sistematico delsé e la visione del lavoro co-

me mezzo di salvezza nell’al-dilà lasciano il posto ad unmodello fondato sul primatodella libera iniziativa.

Questa libertà è però altempo stesso una prigione:«Non siamo usciti dalla‘gabbia d’acciaio’ dell’econo-mia capitalista di cui parla-va Weber. Per certi versi, si do-vrebbe dire piuttosto che aciascuno viene imposto di co-struire, per conto proprio,

una piccola ‘gabbia d’accia-io’ individuale» (La ragionedel mondo). Laval e Dardotsi ispirano alla genealogiadel liberalismo elaborata daMichel Foucault. In particola-re, è nella Nascita della biopo-litica, il corso al Collège deFrance del 1979, che il filoso-fo francese tratteggia la diffe-renza tra l’individualismoclassico e quello neoliberista.

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«DIS-CONNESSI»

Larilettura

Foucault e il governo degli individui

L’individuo, la sua idealizzazione quale soggetto so-vrano titolare di diritti è il sogno e il segno dellamodernità, dell’Illuminismo, della Rivoluzione

francese.Individuo; ma capace anche, perché individuo e citta-

dino, di essere in-comune con gli altri.Ma se l’Illuminismo sognava la liberazione dell’uomo

dalle oppressioni del passato in nome del kantiano sape-re aude!, il capitalismo moderno e industriale – pure basa-to sugli interessi individuali e sulla loro libera o magicacomposizione – ne è la drammatica negazione e il lais-sez-faire e le retoriche individualiste nascondono un do-

ver fare e una pesantissima mano, cioè produrre, consu-mare e soprattutto integrarsi nell’organizzazione di mer-cato, diventando tutti capitalisti (il sogno, oggi realizzatodel neoliberismo; l’incubo, per gli altri).

Il «soggetto di diritti» dell’Illuminismo è morto soffoca-to nella culla perché sopraffatto dal «soggetto economi-co», a sua volta presto declassato a «oggetto economico»(lavoratore, merce, imprenditore, nodo della rete).

Sempre negando a ciascuno di poter essere soggetto in

sé e per sé, ma imponendogli di essere oggetto utile e fun-zionale al sistema.

Mentre il sovrano assoluto abbattuto dalla Rivoluzionerinasceva sotto forma di mercato, ridefinendosi però abil-mente come «legge naturale» e quindi immodificabile,cioè come verità da non contraddire.

E dalla fabbrica di spilli di Adam Smith alla rete di oggisempre si replica, nella modernità un doppio movimen-to: individualizzazione da un lato; e poi (come scrivevaFoucault) totalizzazione, cioè ricomposizione delle parti,prima separate, nel tutto dell’apparato. CONTINUA |PAGINA II

C’era una voltala società

Sbilanciamo l’Europa

Lelio Demichelis

La sfiducia generalizzata è il precipitato di un lungo processo di desertificazione della societàe dei suoi vincoli di reciprocità e solidarietà, l’esito di quattro decenni di egemonia neoliberistae dello scatenamento degli spiriti egoistici contro tutto ciò che è pubblico, in comune, statuale

Duccio Zola

Nel 1987, in un’intervista conces-sa all’inizio del suo ultimo man-dato da Primo Ministro, Marga-

ret Thatcher affermava candidamenteche «non esiste la società. Esistono gliindividui, uomini e donne, e le fami-glie». A distanza di quasi trent’anni,quella dichiarazione sembra aver as-sunto i contorni di una brutale profe-zia che si autoavvera. C’era una voltala società, verrebbe da dire. E con essai suoi correlati nel campo della politicademocratica: il patto di cittadinanza si-glato in nome dell’uguaglianza e dei di-ritti di tutti e di ciascuno, il welfare conla sua impronta solidaristica e univer-salistica, il nesso fiscale fondato sullaredistribuzione e la progressività, lapartecipazione sociale e politica inner-vata dalla pluralità dei corpi intermedie dalla faticosa, conflittuale ricerca ecomposizione del bene comune e del-l’interesse collettivo.

Scorie da smaltire di un’epoca incui, per riprendere le parole della Ladydi Ferro, «a troppe persone è stato fat-to credere che se hanno un problemaè il governo che deve risolverglielo». Or-pelli fuori moda, oggi, al tempo dell’in-dividuo in via di de-socializzazione edei suoi tanto celebrati attributi di au-tonomia (sul mercato, nelle scelte diconsumo) e responsabilità (giuridica esingolare, non certo etica), competizio-ne e concorrenza (tra attori che si per-cepiscono e agiscono come agenti eco-nomici in cerca della massimizzazionedel proprio utile), merito (che premiachi parte già in una posizione di van-taggio) e talento (di alcuni, a discapitodei molti). Sarà forse per questo chesiamo diventati cinici e diffidenti. A talproposito, anche il recente Rapportodell’Istat sul Benessere equo e sosteni-bile certifica per l’Italia – insieme al for-te aumento delle disuguaglianze traclassi, generi e territori dall’inizio dellacrisi economica – una condizione dicronica sfiducia nei confronti dei no-stri concittadini e delle istituzioni chedovrebbero rappresentarci, innanzitut-to i partiti, il Parlamento, le ammini-strazioni locali, il sistema giudiziario.

Questa sfiducia generalizzata è il pre-cipitato di un lungo processo di deserti-ficazione della società e dei suoi vincolidi reciprocità, solidarietà, cooperazio-ne: quattro decenni di egemonia neoli-berista all’insegna dell’esaltazione del-le magnifiche sorti del mercato capita-listico e dello scatenamento degli spiri-ti egoistici e acquisitivi dell’individuoassoluto che lo abita, contro tutto ciòche è pubblico, in comune, statuale.

Eppure, la realtà della crisi e delle po-litiche di austerità odierne ci restitui-sce l’immagine ben più prosaica diuna società drammaticamente spere-quata, gerarchizzata e segmentata, cheaderisce perfettamente al volto tecno-cratico, oligarchico e repressivo del-l’ideologia e della pratica neoliberiste.

Soli, disuguali e pressoché impoten-ti – ma immancabilmente connessi inrete e in attesa di un riscatto tutto indi-viduale – di fronte allo smantellamen-to del lavoro e dei sistemi di protezio-ne sociale; all’inarrestabile concentra-zione della ricchezza e del potere; allacolonizzazione di sempre più ampiesfere e attività sociali e personali daparte degli imperativi della mercifica-zione, della privatizzazione, del profit-to (e della rendita); alla moltiplicazio-ne delle barriere materiali e immateria-li che separano e gerarchizzano esi-stenze e destini individuali e collettivi.

Nella società dello homo hominilupus in cui siamo tornati a vivere, so-no davvero pochi coloro ai quali è con-cesso affermare la propria individuali-tà. A tutti gli altri non resta che ricono-scere la propria subalternità. E organiz-zarsi di conseguenza.

Teresa Pullano

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L’insostenibile narcisismodell’essere contemporaneoRenzi, cogliendo lo «spirito del tempo», conquistato il vertice Pd ha fattodella rottura tra libertà e uguaglianza il suo primo intervento pubblico.Cerchiamo di essere ancora, con Aristotele, «animali sociali»

DALLA PRIMA PAGINATeresa Pullano

DALLA PRIMALelio Demichelis

L’AFFERMAZIONE DELLA PROPRIA INDIVIDUALITÀ DEVE CEDERE IL PASSOALLA RICOSTRUZIONE DI IDENTITÀ COLLETTIVE RICOSTRUENDO LEGAMISOCIALI E POSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO: NELLE VITE INDIVIDUALI,NEI COMPORTAMENTI SOCIALI, NELLE SCELTE POLITICHE

Mario Pianta

«L’inferno, sono gli altri», scri-veva Jean-Paul Sartre nel1944 nell’opera teatrale «A

porte chiuse» su tre persone pronte atorture reciproche. A vedere molti com-portamenti sociali, sembra che questasia diventata la convinzione più diffu-sa. Si sfugge alle relazioni con gli altri inogni modo possibile: riducendo i rap-porti a un rassicurante circolo di perso-ne identiche a noi, viaggiando in altriluoghi per ritrovare gli stessi ambienti,piegati sul proprio smartphone, indiffe-renti agli estranei, diffidenti dei diversi.

Si direbbe che «le persone reagisco-no agli altri come se le loro azioni ve-nissero registrate e contemporanea-mente trasmesse ad un pubblico invisi-bile, o conservate per un attento esa-me in futuro. Le condizioni sociali esi-stenti hanno tirato fuori i tratti dellapersonalità narcisistica che erano pre-senti, in varia misura, in tutti: una su-perficialità autoprotettiva, la paura direlazioni vincolanti, la disponibilità astrappare le proprie radici quando ne-cessario, il desiderio di mantenere leproprie opzioni aperte, l’avversione adipendere da qualcuno, l’incapacità difedeltà e gratitudine».

Non c’erano né selfies né social me-dia quando Christopher Lasch scrive-va questa postfazione al suo libro del1979 La cultura del narcisismo. Il suosguardo anticipatore spiegava che «ilnuovo narcisista è ossessionato nondal senso di colpa, ma dall’ansia. Noninfligge agli altri le proprie certezze,ma cerca un significato nella vita. Libe-rato dalle superstizioni del passato, du-bita perfino della realtà della propria

esistenza (…). I suoi atteggiamenti ses-suali sono permissivi anziché puritani,ma la sua emancipazione da antichi ta-bù non gli offre pace sessuale. Feroce-mente competitivo nella sua ricerca diapprovazione e consenso, diffida dellaconcorrenza (…). Elogia cooperazionee lavoro di squadra quando ha impulsiprofondamente antisociali. Afferma ilrispetto delle regole nella segreta con-vinzione che non si applichino a sestesso. È acquisitivo, nel senso che lesue voglie non hanno limiti (…), maesige soddisfazione immediata e vivein uno stato di desiderio inquieto e pe-rennemente insoddisfatto». Che altroc’è da dire? Questi siamo noi. E lo sta-vamo diventando già prima del neoli-berismo, che certo ha fatto di tutto perrendere assoluta e universale questacondizione. Una condizione che rom-pe ogni legame sociale, frammenta isoggetti, cancella le identità collettive,rende difficilissimo il cambiamento.

Andiamo con ordine. Se l’identità in-dividuale è il valore assoluto, i rapporticon gli altri sono ridotti a strumento diautoaffermazione. I legami sociali so-no possibili solo a partire da valori con-divisi e da identità collettive, per quan-to parziali: possiamo essere europei,

cittadini italiani, lavoratori, abitanti diuna città, sensibili al problema x, dispo-nibili a impegnarci insieme sul proble-ma y. Ma dobbiamo vivere una condi-zione comune che ci trasformi in sog-getti collettivi. Persone che fanno lostesso lavoro ma con sei tipi di contrat-ti diversi – stabili o precari, con salaridiversi, in Italia o delocalizzati in Polo-nia – difficilmente si percepiscono co-me un soggetto sociale con uguali inte-ressi, la solidarietà è limitata, l’organiz-zazione sindacale impossibile.

Se siamo sensibili all’ambiente, ab-biamo bisogno di un’organizzazione –dal gruppo di acquisto solidale al Wwf– che usi le nostre energie, costruiscaun’identità collettiva e sappia tradurrein pratica i cambiamenti che progettia-mo. L’affermazione della propria indi-vidualità deve cedere il passo alla rico-struzione di identità collettive – conpratiche concrete – ricostruendo lega-mi sociali e possibilità di cambiamen-to: nelle vite individuali, nei comporta-menti sociali, nelle scelte politiche.Quanto sia difficile lo vediamo fin daivalori che vogliamo affermare. Siamoconcordi sul valore della libertà in Ti-bet, ma non sappiamo più – nonostan-te Norberto Bobbio – che posto dare al-

l’uguaglianza da noi. Non è un casoche Renzi, cogliendo lo «spirito deltempo», appena conquistato il verticePd abbia fatto della rottura tra libertà euguaglianza il suo primo interventopubblico. L’individualismo è una deri-va senza sbocco e il narcisismo è unamalattia mortale. Cerchiamo di essereancora, con Aristotele, animali sociali.

VENERDÌ 18 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚25 - PAGINA II

Per il secondo infatti «è ne-cessario che la vita dell’in-dividuo si inscriva non co-

me vita individuale all’interno del-la cornice di una grande attività,quale potrebbe essere un’impresao, al limite, lo Stato. Bisogna inve-ce che questa si possa inscriverenel quadro di una molteplicitàd’imprese diverse, articolate ed in-castrate l’una nell’altra» [trad. per-sonale, ndr].

L’individualismo contempora-neo presenta quindi il carattere del-la serialità e della molteplicità: ilsingolo è al tempo stesso imprendi-tore di se stesso e frammentato inun numero svariato di sé. Il lavora-tore non esiste più, perché il sala-rio è pensato come il ritorno di uninvestimento in capitale umano suse stessi. Foucault ci mette tuttaviain guardia dal leggere tali mutazio-ne come il prevalere di una razio-nalità fredda e calcolatrice, di tipostrettamente economico, sulla ne-cessità di aggregazione sociale e diappartenenza.

Al contrario, egli ci ricorda chel’ideale neoliberista di fare del rap-porto costi-benefici il modello ditutte le relazioni sociali («un model-lo dell’esistenza stessa, una formadi rapporto dell’individuo a se stes-so, al tempo, al suo entourage, al fu-turo, al gruppo, alla famiglia») miria ridurre l’alienazione e a forniredei punti di appoggio e dei valori“caldi” che compensino la portatadisaggregante della competizionestessa. Quest’ordine è, infine, la mo-dalità che assume, oggi, il governopolitico: «l’individuo diventa l’og-getto di governo, e questo riesce adavere presa su di lui, nella misurain cui, e solo nella misura in cui,egli è homo œconomicus».

La gabbia che ognuno di noi si co-struisce per sopravvivere nella so-cietà neoliberista non è dunque néun accessorio, né una conseguenzasecondaria del sistema di valori edi governo in cui siamo inseriti,bensì ne è il perno. La forma del-l’homo œconomicus è «l’interfacciatra l’individuo ed il governo». Il go-verno del collettivo si articola quin-di al governo dell’individuo, comeperaltro Foucault aveva spiegatonel corso del 1978, Sicurezza, terri-torio, popolazione, in cui indica nelpotere pastorale il modello del po-tere politico contemporaneo, ispi-rato all’immagine religiosa del pa-store che conduce il gregge gesten-do il movimento delle pecore unaad una, omnes et singulatim.

Bisognerebbe dunque partire daquesta lettura delle forme che il po-tere, politico e morale, prende og-gi per proporre un’articolazionedel singolare e del collettivo che ciaiuti ad uscire dalla gabbia in cuiognuno è imprigionato e che dà alcontempo la struttura della socie-tà nel suo insieme.

Un sistema tecnico ed economico in-sieme che per il proprio migliore fun-zionamento individualizza, isola, sepa-

ra, rinchiude; de-struttura la società (e la de-mocrazia); liquefa le vecchie classi antagonistee ora pure il «suo» ceto medio; porta a nientevalori e socialità esaltando un individuo e unaindividualità che sono pure finzioni, utili peròa far agire al meglio la totalizzazione del merca-to. Tutto si de-struttura, ma non il sistema,che anzi (proprio perché sistema artificiale,quindi non naturale) struttura, integra, lega in-sieme, concatena e oggi mette in rete tutti eciascuno. Grazie a una infinità di poteri e sape-ri di integrazione e di connessione. Nessun: co-nosci te stesso. Ma sii imprenditore di te stesso.

E allora: questo individuo, questo mito dellamodernità è in realtà una grande illusione omeglio una Grande Allusione: un’allusione re-torica (ideologica) alla libertà individuale, allasoggettività, all’autonomia di ciascuno, prodot-ta dal capitalismo per mascherare la sua nega-zione di fatto. Fino alla rete, al dover essere sin-golarmente connessi, e alla stessa retorica del-la rete, che in sé sarebbe non solo democraticama soprattutto libera. E la pubblicità e ilmarketing: forme di propaganda del mercato(come diceva Anders) ma che agiscono singo-larmente su ciascun individuo, tanto che or-

mai mettiamo in vetrina anche noi stessi co-me oggetti economici in competizione con altriindividui-merce, perché il nostro capitale uma-no aumenta se sappiamo es-porci per vender-ci (individualmente) nel modo migliore. Ementre consumiamo individualmente prodot-ti tutti uguali credendo che siano fatti solo pernoi, in realtà entriamo sempre più (ancora ildoppio movimento) in una brand-communi-ty, e il marketing si fa sempre più emozionalee relazionale per far crescere la nostra identifi-cazione con il sistema e divenire meglio funzio-nali alla sua riproducibilità. Con il sistema cheoffre pure una compensazione emotiva (lacommunity, il social) all’isolamento che essostesso produce. E i mass-media. Di massa, masempre più individualizzati. Una vecchia sto-ria, perché dalla radio alla tv lo spettatore èsempre isolato e chiuso in casa – e il mondo vientra solo ri-prodotto e rap-presentato – inve-ce di essere lui il soggetto che esce a conoscereil mondo (e se stesso). Meccanismo che oggi sireplica appunto in rete, dove la casa è il perso-nal computer o lo smartphone individuale.Mentre anche i blog sono solo la somma dimolte individualità ma isolate.

Se l’Illuminismo sognava un individuo capa-ce di uscire dal girello per bambini in cui il po-tere lo teneva stretto impedendogli di cammi-nare sulle proprie gambe, oggi in realtà c’èqualcosa (la rete, un social network, i mercati,la pubblicità personalizzata) che pensa per noie si erge a nostro nuovo tutore. Ma individual-mente, per noi. La Grande Allusione continua.

«Sii imprenditoredi te stesso». Ovverola grande allusioneUn riferimento retorico alla libertà individuale,all’autonomia di ciascuno, prodotta dal capitalismoper mascherare la sua negazione di fatto

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P er vedere forme ed effettidell’individualismo nei pro-cessi di «modernizzazione»

del welfare guidati dall’Europa al-l’insegna della sostenibilità fi-nanziaria – con stillicidio di taglialla spesa pubblica e riduzionidelle protezioni sociali che durada vent’anni e passa – bisognamettere a fuoco il tipo di «indivi-duo» che si costruisce in questiprocessi.

La storia aiuta a riconoscernei tratti salienti. Cominciandocon il richiamare alla memoriala critica che ha accompagnatoil discorso ufficiale della «crisidel Welfare State» (sì, già daglianni ’80): burocratico, capacesolo di risposte standardizzatee indifferente alle differenze especificità individuali (e natu-ralmente costoso).

È questa la premessa della pa-rola d’ordine dell’«individualiz-zazione» (via programmi «perso-nalizzati» o «taylor-made», ecc.),una di quelle più usate nelle poli-

tiche sociali Europee degli ultimivent’anni. Incorporata in un si-stema che si vuole appunto «so-stenibile» questa parola d’ordineha finito per tradursi come sap-piamo: se si tratta di prendere inconto differenze e individualità,allora i servizi pubblici non sonole strutture più adatte; meglio ilmercato in cui si esprime libertàdi scelta, ed è via mercato – più omeno sociale, non profit – che ildispiegarsi di una grande varietànell’«offerta di servizi» ne garan-tisce l’individualizzazione; e sem-mai meglio il volontariato in cuil’impegno morale, strettamentepersonale, garantisce attenzioneall’altro come persona (e indivi-dualizza quest’ultima come sog-getto morale, responsabilizzato).

Nell’affermarsi di questa via al-l’individualizzazione (benché inmodo non univoco e con impor-tanti eccezioni) prende formaquello che Robert Castel ha defi-nito un «individuo per difetto».

Sullo sfondo della riduzionedel sistema pubblico di protezio-ni sociali su una base di diritto,l’individuo viene in evidenza

contro «il collettivo», dice Castel,e per sottrazione: di quelle prote-zioni e appartenenze sociali chehanno funzionato da supporti(una «proprietà sociale») al-l’emergere di individualità.

Un individuo povero d’identi-tà sociale, libero ma isolato co-me il consumatore atomizzato.

Ma, dice ancora Castel, questoindividuo per sottrazione è altret-tanto costituito «per eccesso»: so-vraccaricato dell’onere di realiz-zarsi, messo alla prova sulla ge-stione della propria vita, sottopo-sto a una «ingiunzione all’indivi-duazione».

Per eccesso e per difetto, que-sto individuo privo com’è delleinterdipendenze che lo suppor-tano e lo individuano, è sban-dato, non ha termini di misura.

E in questo è proprio l’oppo-sto di un altro tipo di individuoche vedo prendere forma dalterreno della riorganizzazionedel welfare.

I suoi tratti distintivi sono infat-ti l’esito dell’enorme esercizio dimisurazione a cui i sistemi diwelfare sono sottoposti, in tuttigli ambiti e coinvolgendo tutti,sempre nella cornice Europea. Èla «governance con i numeri», co-m’è stata chiamata, che con i nu-meri allinea e gerarchizza, valu-ta, conferisce posizioni, distribui-sce premi e punizioni (sempre al-l’ombra del principio di sosteni-bilità finanziaria).

Per dare solo un’idea: poichéin questo regime conta soltantociò che può essere contato, lastandardizzazione si esasperaestendendosi a tutte le pratichepiù minute di cui è fatto il welfa-re; e poiché i conti servono acontabilizzare, i minuti diventa-no la misura delle prestazionierogate: con il «minutaggio» –così si chiama ufficialmente – iltaylorismo è trasmigrato dallafabbrica ai servizi.

Da queste operazioni di abbi-namento di persone a numeri,l’individuo che prende formaconta come unità di conto, e co-me tale è molto importante.

Sempre guardando agli utentidestinatari del welfare: si è indivi-duati in quanto abbinati a unprotocollo, commisurati (il cor-po, la vita) a linee guida, rendi-contati nei risultati di prestazio-ni da rendicontare, conteggiatiin cluster o classi statistiche e co-sì via. Quanto alla personalizza-zione, il profiling ne è un inquie-tante simulacro.

Tra l’individuo senza misuraperché senza ancoraggi e l’indi-viduo standardizzato, tra la tota-le soggettivazione dell’uno el’oggettivazione dell’altro inun’unità statistica, qualcosa èscomparso. Manca il terzo. Man-ca, io direi, l’individuo «politi-co» – che si costruisce discuten-do di misure che lo riguardano.Il quale invece sarebbe essenzia-le per ripensare diversamente ilwelfare in Europa.

TRA L’INDIVIDUO SENZA MISURA PERCHÉ SENZA ANCORAGGIE L’INDIVIDUO STANDARDIZZATO, TRA LA TOTALE SOGGETTIVAZIONEDELL’UNO E L’OGGETTIVAZIONE DELL’ALTROIN UN’UNITÀ STATISTICA, QUALCOSA È SCOMPARSO

Ota de Leonardis

Gabriella Turnaturi

VENERDÌ 18 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPA

N˚25 - PAGINA III

Da molti anni ormai la nozione di in-dividualismo non gode di buona fa-ma e nel senso comune e nelle let-

ture della società contemporanee vieneidentificata con liquidità, nomadismo, nar-cisismo, egoismo e tutte le possibili decli-nazioni negative della soggettività.

Ad aver vinto sembra solo quell’indivi-dualismo della differenza che afferma ilprincipio della salvaguardia della propriaunicità e particolarità.

La fine di antiche solidarietà, il trionfodel liberismo economico, morale ed emo-zionale confermerebbero il trionfo di unacultura di negazione dell’altro e di afferma-zione solo di un sé ipertrofico.

Ma la moderna cultura dell’individuali-smo, che è alla base dei diritti, può essereridotta solo a questa visione e a questa let-tura della società?

E se provassimo a riaffermare un indivi-dualismo virtuoso e riconoscere un buonuso dell’individualismo?

Osservando le pratiche sociali, le intera-zioni della vita quotidiana, i nuovi movi-menti collettivi sembra che un altro indivi-dualismo sia possibile e in grado di recupe-rare i principi dell’autonomia individuale,del rispetto delle differenze, senza per que-sto approdare alla negazione di ogni for-ma di legame sociale.

Spaventati dalla fine delle ideologie edalla de-isituzionalizzazione che ha dissol-to nell’aria norme e valori morali validi pertutti, ci si è accaniti a creare argini al neoin-dividualismo rifugiandosi o nei comunita-rismi o nel rimpianto di un mitico passatodi solidarietà e altruismo.

Eppure Brecht ci aveva già ricordato che«non dobbiamo partire dalle buone vec-chie cose ma dalle cattive cose nuove».

Forse bisogna andare oltre le letture pes-simistiche del neoindividualismo e guarda-re agli aspetti postivi, ai lati generosi e vir-tuosi della declinazione dell’individuali-smo e dell’amore di sé.

Forse bisogna distinguere fra un amoredi sé auto-affermativo e un amore di sé co-me parte del mondo, quello che Tocquevil-le ha definito come «illuminato amore disé» e che mobilita passioni e ragioni per

l’affermazione di un sé non egoistico.La moderna passione per l’individualità,

il desiderio di autorealizzazione connessoal liberismo economico produce un amo-re di sé narcisistico che pretende riconosci-mento solo per sé, ma questo stesso desi-derio, proprio perché basato su una forte econsolidata affermazione dell’individuo, ri-chiede rispetto per tutte le forme d’indivi-dualità.

L’amore di sé nelle società democrati-che moderne è strettamente connesso aun’idea d’individuo come degno di rispet-to e come, almeno in principio, eguale.L’eguaglianza diviene una componentesempre più significativa nella costruzionedi sé e della propria autostima.

Probabilmente all’origine di molte nuo-ve forme di mobilitazione c’è una forte emodernissima nozione di sé, un virtuosoindividualismo, che denaturalizza disegua-glianze, ingiustizie e umiliazioni, che ponerispetto, riconoscimento, dignità, autono-mia alla base della vita propria e di tutti glialtri individui.

L’ira giusta, l’indignazione, la vergognadella disuguaglianza e dell’umiliazione,l’orgoglio di saper creare nuove immaginidi mondo sono moderne passioni dell’io,passioni timotiche che sempre più spessospingono donne e uomini a prendere la pa-rola, a essere con gli altri, a cercare intera-zioni non mercantili.

Le nuove forme di legami sociali, di mo-bilitazioni collettive, credo che vadano let-te come manifestazioni del moderno indi-vidualismo e cercate in quegli spazi casua-li in cui il superamento delparticola–rismo è frutto dell’interazionefra gli individui, dei progressivi aggiusta-menti fra diversi ma non necessariamentecontrapposti interessi personali.

L’emergere di molteplici punti di vista edifferenziazioni può essere una risorsa co-me lo è l’esperienza dell’essere con l’altro,sia pure per fasi temporali brevi, o ancheperché accomunati da interessi settoriali.

La condivisione di forme di partecipazio-ne si presenta al moderno individuo comevalorizzazione di sé come parte di, spessocome fonte di senso e di gioia individualiz-zata e come apprendimento morale fonda-to sull’esperienza, piuttosto che solo sunorme.

Modernizzazione,«Welfare State»e sostenibilitàManca l’idea di singolarità «politica», strumentoessenziale per ripensare lo Stato socialein questa Europa che ci troviamo di fronte

Individualismodella differenzaBisogna andare oltre le letture pessimistichedel neoindividualismo e guardare agli aspettipositivi della declinazione dell’amore di sé

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Immaginiamo un treno lanciatoad alta velocità, una «freccia» di-visa in varie classi – ben oltre le

novecentesche prima-seconda-ter-za – che per un guasto o unblackout sia costretta a fermarsi inmezzo al nulla. Immaginiamo quin-di che i passeggeri di questo trenosiano costretti a scollegarsi dai pro-pri devices (tablet, smartphone ecomputer) e a cercare di capire co-sa sia successo.

Ebbene: quei passeggeri comuni-cherebbero tra loro?, si aiuterebbe-ro, magari dopo ore di isolamento,condividendo acqua e cibo? oppu-re terrebbero per sé le loro provvi-ste (i passeggeri «business» le han-no gratuite) e tenterebbero di so-pravvivere a scapito degli altri? Lasuggestiva metafora non è origina-

le, ma compare nell’ultimo Rappor-to Censis di inizio anno che, a que-ste domande, fornisce una rispostasostanzialmente ottimista: l’epocadell’egoismo vive una stanchezzadecisiva; dai campioni di intervista-ti emerge il ritorno all’altruismo, alsociale, al volontariato, al bisognodi aiutare gli altri. La società italia-na è un pendolo che sta cambiandodirezione.

È significativo, però, che nel Rap-porto le fasce d’età più «stanche»della nostra società dell’egoismo si-ano quelle più anziane (50-60 anni)e non le più giovani (20-30 anni). IlRapporto ci dice che se quel treno-Italia avesse a bordo soltanto pas-seggeri giovani, la risposta alla situa-zione di emergenza sarebbe certa-mente più individualista che solida-

ristica. I giovani d’oggi, educati neltrentennio televisivo craxian-berlu-sconiano, hanno interiorizzato la le-zione della lotta di tutti contro tuttiche mette in palio il consumo co-me unica ragione d’esistenza, non-ché il miraggio di un lavoro (la di-soccupazione giovanile, 15-24 anni,è intorno al 40% secondo gli ultimidati Istat).

Già Lu Xun, il padre della moder-na letteratura cinese, si interrogavaquasi cento anni fa sul perché i figlisiano portati a perseguire i fallimen-ti dei padri e sul motivo per cui, in-vece, le giovani generazioni non sia-no naturalmente portate a contesta-re le precedenti, cercando di cam-biare i dogmi in base ai quali sonostati allevati. Sono gli stessi nodiproblematici che ci orientano nellaredazione della rivista «Gli Asini»,bimestrale di educazione e inter-vento sociale dedicata ai temi del-l’infanzia e dell’adolescenza.

Crescere nell’assurdo, come dice-va il teorico del ’68 Paul Goodman,è ancora la cifra della questione gio-vanile, ma il disagio, la sofferenza ela rabbia dei giovani non sembranooggi essere canalizzabili nella prote-sta e in spinte riformatrici. Si trattadi una questione che è ricomparsadi recente al centro del dibattito cul-turale, come dimostra l’uscita di li-bri che assurgono a livello di best-seller: Gli sdraiati di Michele Serra(Feltrinelli, 2013) è stato il caso edi-toriale della scorsa stagione, unpamphlet reazionario che, auto-as-

solvendo la classe media dei padridalle proprie responsabilità, ha col-pevolizzato e biasimato l’abulia e lanon-partecipazione dei figli. Del re-sto, anche «sdraiarsi» può essereuna forma di contestazione e disob-bedienza civile rispetto alla crisi de-gli adulti, come scrive Stefano Laffine La congiura contro i giovani (Fel-trinelli, 2014), quasi un antidoto al-la retorica moralista dominante an-ti-giovanile. È difficile stabilirequando l’«essere giovani» sia diven-tata per il mercato e la cultura popl’unica condizione da desiderare eperseguire: una condizione identifi-cabile e spendibile in simboli e luo-ghi precisi del nostro immaginario– da Vasco Rossi a Berlusconi, pas-sando per Radio Deejay, le discote-che, i festival, la religione, lo sport e

la politica come racconta ClaudioGiunta in Una sterminata domeni-ca (il Mulino, 2013), viaggio post-moderno nell’Italia di oggi. Gli effet-ti di questa mutazione assurda delmercato sono però concretamenteverificabili: la giovinezza come idea-le mercificato è stata la migliore ar-ma contro le potenzialità contesta-trici e trasformatrici dei giovani.L’identificazione con i consumi – sipensi anche all’invenzione della no-stalgia – corrisponde a un conformi-smo consapevole, a una accettazio-ne acritica dell’esistente. L’aspettoparadossale è che, come sul Freccia-rossa, la nostra società si è via via ri-prodotta e frammentata in molteclassi e ingiustizie, mutando nel se-gno del rinnovamento giovanile.Contro i giovani e grazie a loro.

Le città in cui viviamo, attraversoil loro portato materiale e simbo-lico, ci parlano di noi; e ci raccon-

tano se e in che misura siamo dispostia condividere con l’altro, sia esso il vici-no simile a noi o il diverso, che ancoranon abbiamo il coraggio di chiamarecittadino.

Costretti a vivere sulla superficie del-la terra, ed essendo la terra una risorsalimitata, le forme di ordinamento spa-ziale e di accesso all’uso dello spaziourbano e di tutte le dotazioni collettiveche su questo spazio insistono – le stra-de, le case, le scuole, i parchi, gli ospe-dali solo per citarne alcune – sono unaquestione centrale nel dibattito sull’or-ganizzazione sociale e la convivenza ci-vile. Ci mettono di fronte a un dato im-prescindibile, ovvero che viviamo insie-

me ad altri con i quali condividiamodei bisogni e che, di conseguenza, èpossibile esercitare il nostro interesseindividuale solo fino a quando que-st’ultimo non compromette l’interessecollettivo. Eppure il portato materialedella città sembra a tutti gli effetti tradi-re questa idea. I nuovi quartieri alleporte delle città, in cui molti cittadinisi sono trasferiti in cerca di un’abitazio-ne confortevole ed economicamenteaccessibile pagando il prezzo di un mu-tuo trentennale; i rioni dei centri stori-ci dai quali sono stati espulsi, più o me-no coercitivamente, gli artigiani e gliabitanti meno facoltosi; le periferie ur-bane cronicamente in sofferenza perdotazioni di servizi e meta di nuove mi-re speculative, ci parlano di un disar-mante cambiamento a cui assistiamoinermi: la riformulazione delle coordi-nate che identificano le forme di orga-nizzazione sociale fondate sullo spa-

zio, che sembra trovare una corrispon-denza elettiva nell’inesorabile ascesadell’individualismo e della sua doman-da di città. È noto che le forme di ordi-namento spaziale e di organizzazionesociale idonee a ospitare crescenti mas-se di cittadini siano oggetto di accesi di-battiti ideologi. Ormai lontani da unastagione culturale in cui si è cercato didare forma a un’idea di città solidale,le città sono oggi preda del neoliberi-

smo economico e campo di afferma-zione dell’assolutismo proprietario, asua volta espressione di comportamen-ti anti-sociali e anti-urbani, come lascelta sempre più ricorrente di viverein comunità chiuse, quartieri privati erecintati in cui i criteri di accesso ri-spondono a forme di appartenenzaelettiva. Il portato materiale dell’indivi-dualismo si misura però anche nell’at-mosfera dei quartieri popolari delle cit-

tà, in cui i ceti sociali emergenti si fan-no portatori di nuove disposizioni cul-turali e aspettative di consumo in gra-do di modificare l’anima dei quartieri,candidandoli alla peggiore delle sorti:la gentrification, e con essa la perditadell’anima che li rendeva, appunto, po-polari. Difficile da ricondurre a un uni-co gruppo sociale, la città degli indivi-dui sembra accumunata da una do-manda di urbanità a tutti gli effetti par-ziale, in cui si negozia la convivenza so-lo con chi è (culturalmente o per estra-zione sociale) simile a noi ed esprimedomande sociali simili alle nostre. Acontrobilanciare questa tendenza, gliultimi echi riformatori dei movimentidi inquilini sotto sfratto da Nord a Sud,che esprimono una domanda socialedi abitazioni e servizi in grado di farcivivere e abitare meno faticosamente.L’individuo, con cui un progetto di cit-tà dovrà inevitabilmente fare i continel prossimo futuro, è sempre più inte-so come centro di responsabilità e co-me portatore d’innovazione. Sarà dav-vero un agente sociale e di cambiamen-to in positivo, però, solo nella misurain cui saprà promuovere mutamenti enovità che soddisfino le domande el’interesse di tutti. E ciò equivale a chie-dersi se esista un individualismo soli-dale, capace di farsi carico della do-manda di città espressa da chi ha mi-nori possibilità. Fatti salvi alcuni esem-pi virtuosi, tutto ciò in Italia è ancorada provare. Non resta che chiedersiquale forma di convivenza potrà corri-spondere ad una urbanità fatta di indi-vidui che non pregiudichi l’universali-tà dei diritti di cittadinanza, e in parti-colare di tutti quei diritti che riguarda-no l’accessibilità e la vivibilità dellospazio urbano.

VENERDÌ 18 APRILE 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚13 - PAGINA IV

VENERDÌ 18 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚25 - PAGINA IV

Nicola Villa

GIÀ LU XUN, IL PADRE DELLA MODERNALETTERATURA CINESE, SI INTERROGAVA QUASICENTO ANNI FA SUL PERCHÉ I FIGLI SIANOPORTATI A PERSEGUIRE I FALLIMENTI DEI PADRI

La cittàdegli individuiLe forme di ordinamento spaziale e di organizzazionesociale idonee a ospitare crescenti massedi cittadini sono oggetto di accesi dibattiti ideologici

La stanchezzadell’«epoca egoista»I giovani d’oggi, educati nel trentennio televisivo craxianoberlusconiano, hanno interiorizzato la lotta di tutti contro tutti

Sandra Annunziata

IN FIN DEI CONTIFORTEMENTE PITTORICHE, LE IMMAGINI DIQUESTE PAGINE SONO STATE DISEGNATEDA MARTIN JARRIE PER UN TESTO DIREGIS LEJONC. NUMERI, PAROLE, COLORISI RINCORRONO E SI CONFONDONO INUNA CONTINUA GIOSTRA DI FANTASIA. UNGIOCO, UN PO’ SURREALE MASUGGESTIVO. IL PIÙ DIVERTENTE DEIGIOCHI. QUELLO DELLA CONOSCENZA,NEL QUALE OGNI SCOPERTA È RINNOVATACREAZIONE, CONTINUA INVENZIONE.SOGNO E IMMAGINAZIONE DANNO ANIMAE VITA AD ALBERI E COLORI,A NUVOLE E PUNTI CARDINALI.

IN FIN DEI CONTI, ORECCHIO ACERBO2003, 36 PAGINEA COLORI, 18,00 EUROWWW.ORECCHIOACERBO.COM