Sbilanciamo l’Europa - L'economia com'è e come può...

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Audizione al Congresso Usa del- l’ex presidente della Federal Re- serve, Alan Greenspan, 23 otto- bre 2008. «Siamo nel bel mezzo di uno tsunami finanziario che capita una volta in un secolo. Le banche centrali e i governi sono tenuti ad adottare misure senza precedenti». Henry Waxman (deputato del Partito democratico): La mia do- manda è semplice: lei si è sbagliato? Greenspan: Parzialmente. Waxman: Questa è una sua di- chiarazione .«Io ho un’ideologia. Il mio giudizio è che il libero mer- cato di concorrenza sia di gran lunga il modo migliore per orga- nizzare l’economia. Abbiamo provato le regolamentazioni. Nessuna ha funzionato». La sua ideologia l’ha spinto a prendere decisioni che ora desidererebbe non aver preso? Greenspan: Ricordiamo che co- s’è un’ideologia, un quadro concet- tuale con cui le persone affronta- no la realtà. Ognuno ne ha una. La questione è se sia accurata o no. Quello che sto dicendo è che, sì, ho trovato un difetto. Non so quanto sia significativo o perma- nente, ma sono stato molto turba- to da questo fatto (…). Il difetto che ho trovato nel modello è nella struttura che definisce come fun- ziona il mondo, per così dire. Waxman: In altre parole, ha tro- vato che la sua visione del mondo, la sua ideologia, non era giusta, non funzionava? Greenspan: Questo è proprio il motivo per cui sono rimasto scioc- cato, perché sono andato avanti per 40 anni o più con considerevo- li prove che stava funzionando ec- cezionalmente bene (…) Ho com- messo un errore nel ritenere che gli interessi egoistici delle organiz- zazioni fossero erano tali da essere in grado di proteggere i propri azionisti e le loro azioni dell’azien- da (…). La mia fede nella capacità di Wall Street di autoregolarsi si basava sul presupposto che impre- se razionali non si esporrebbero a rischi autodistruttivi (…). L’intero edificio intellettuale (...) è crollato nell’estate dello scorso anno. La rilettura Ho trovato un difetto È la pena del contrappasso per Pierre Moscovi- ci, ex ministro delle Finanze francese nomina- to commissario agli Affari economici e finan- ziari. Compiacente con la City, a cui è stato affidato il controllo dei Servizi finanziari (al britannico euro- scettico Jonathan Hill) e con la lobby del petrolio (il Clima è andato allo spagnolo Miguel Arias Canete, che ha nel suo portafoglio privato investimenti in compagnie petrolifere), il democristiano Jean-Clau- de Juncker ha messo alla gogna Moscovici, che do- vrà sorvegliare e punire la Francia, da lui stessa la- sciata con un irrisolto deficit di bilancio. Per impedirgli di avere troppe esitazioni, Mosco- vici è stato circondato da falchi difensori dell’orto- dossia, dal finlandese Jyrki Katanien, potente vice- presidente alla testa del cluster economico con la sorveglianza della «crescita», al lettone Valdis Dom- brovskis, altro vice-presidente con la supervisione dell’euro, schieramento liberista completato dal trio Elzbieta Bienkowska (Mercato interno), Cecilia Malmström (Commercio) e Margrethe Vestager (Concorrenza), a cui si aggiunge l’occhio del tede- sco Günther Oettinger, altro esponente del centro- destra, all’Economia digitale. CONTINUA |PAGINA II Il moto immobile Sbilanciamo l’Europa Anna Maria Merlo La nuova Commissione europea del democristiano lussemburghese Jean-Claude Juncker si presenta con una formazione schierata a destra. E nonostante il francese Pierre Moscovici all’economia, con un presumibile continuismo rispetto alle attuali politiche macroeconomiche perseverare *** L e politiche di austerità hanno consegnato all’Europa sei anni di stagnazione e un quarto di anti- europeisti arrabbiati nel nuovo parla- mento di Bruxelles. Ora la nuova Com- missione europea del democristiano lussemburghese Jean-Claude Juncker si presenta con una formazione schie- rata a destra, con - nonostante Pierre Moscovici all’economia - un presumi- bile continuismo rispetto alle attuali politiche macroeconomiche. L’agitazione di Bruxelles sulla nuova configurazione di potere coincide con una confusione analoga in altri palazzi dell’economia. Christine Lagarde dal Fondo Monetario arriva a negare che ci siano oggi politiche di austerità in Europa. L’Ocse è confusa tra documen- tare che la precarietà fa male al lavoro e raccomandare ulteriori liberalizzazio- ni. A Francoforte Mario Draghi, gover- natore della Banca centrale europea, annuncia un’utile espansione moneta- ria sul modello anglosassone, ma pre- para una pessima offensiva contro le protezioni del lavoro. Draghi ha legato la coesione del- l’area euro alla possibilità di ogni pae- se di realizzare un elevato livello di oc- cupazione; l’occupazione si riaffaccia come obiettivo della politica economi- ca europea, ma viene posta in maniera distorta, da raggiungere attraverso la strada obbligata delle «riforme struttu- rali». Che vogliono dire riduzione delle tutele per i lavoratori, dell’imposizione fiscale sul lavoro (per imprese e dipen- denti), maggiore flessibilità sul merca- to del lavoro, fine del ruolo di rappre- sentanza del sindacato, salari bassi e potere delle imprese su tutte le condi- zioni di lavoro. Agli occhi dei confusi leader euro- pei, sarebbe questa la formula magica che permetterebbe all’Europa di usci- re dall’impasse costituta da una politi- ca monetaria generosa e una politica fi- scale immobile nell’austerità. Per il si- stema di offerta, il «tandem restrittivo» (parole di Draghi) di politica moneta- ria e politica fiscale non garantisce né la riduzione del costo del capitale, né la riduzione del premio sul rischio e l’allentamento del credit gap nei paesi in maggiori difficoltà. Gli investimenti non potranno quindi riprendere e tira- re fuori l’Europa dalla crisi e la politica della domanda resta il grande assente della politica europea. Solo con una po- litica fiscale espansiva (un’inevitabile spesa pubblica in deficit), la politica di finanziamento monetario del deficit potrebbe avere conseguenze effettiva- mente espansive e giocare, come pro- spetta Draghi, un ruolo centrale nella politica economica europea «per un esteso periodo di tempo». Non è chiaro se questa prospettiva di aggiustamento avanzata da Draghi incontrerà i favori della nuova Com- missione europea. Questa dovrà fare i conti con gli effet- ti della crisi occupazionale e di consen- so sociale che le politiche europee di ri- sposta alla crisi hanno ormai radicaliz- zato. Lo scontro prevedibile sarà tra la combinazione «tedesca» delle politi- che macroeconomiche (fiscale restritti- va e monetaria accomodante) e la com- binazione «anglosassone» di una politi- ca macroeconomica più flessibilmen- te espansiva sul terreno fiscale e una politica monetaria diversamente acco- modante. Un conflitto tra due prospettive di lungo periodo sulla gestione di merca- to della società. Ma entrambe - Draghi compreso - condividono la prospettiva di uno smantellamento delle istituzio- ni del lavoro e dell’intervento pubblico all’insegna delle «riforme strutturali». DIABOLICO VENERDÌ 12 SETTEMBRE 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚33 Alan Greenspan SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

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Page 1: Sbilanciamo l’Europa - L'economia com'è e come può …sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/33Sbilanciamo_l... · la sua ideologia, non era giusta, nonfunzionava? Greenspan:

Audizione al Congresso Usa del-l’ex presidente della Federal Re-serve, Alan Greenspan, 23 otto-bre 2008. «Siamo nel bel mezzodi uno tsunami finanziario checapita una volta in un secolo. Lebanche centrali e i governi sonotenuti ad adottare misure senzaprecedenti».

Henry Waxman (deputato delPartito democratico): La mia do-manda è semplice: lei si è sbagliato?

Greenspan: Parzialmente.Waxman: Questa è una sua di-

chiarazione .«Io ho un’ideologia.Il mio giudizio è che il libero mer-cato di concorrenza sia di gran

lunga il modo migliore per orga-nizzare l’economia. Abbiamoprovato le regolamentazioni.Nessuna ha funzionato». La suaideologia l’ha spinto a prenderedecisioni che ora desidererebbenon aver preso?

Greenspan: Ricordiamo che co-s’è un’ideologia, un quadro concet-

tuale con cui le persone affronta-no la realtà. Ognuno ne ha una.La questione è se sia accurata ono. Quello che sto dicendo è che,sì, ho trovato un difetto. Non soquanto sia significativo o perma-nente, ma sono stato molto turba-

to da questo fatto (…). Il difettoche ho trovato nel modello è nellastruttura che definisce come fun-ziona il mondo, per così dire.

Waxman: In altre parole, ha tro-vato che la sua visione del mondo,la sua ideologia, non era giusta,non funzionava?

Greenspan: Questo è proprio il

motivo per cui sono rimasto scioc-cato, perché sono andato avantiper 40 anni o più con considerevo-li prove che stava funzionando ec-cezionalmente bene (…) Ho com-messo un errore nel ritenere chegli interessi egoistici delle organiz-zazioni fossero erano tali da esserein grado di proteggere i propriazionisti e le loro azioni dell’azien-da (…). La mia fede nella capacitàdi Wall Street di autoregolarsi sibasava sul presupposto che impre-se razionali non si esporrebbero arischi autodistruttivi (…). L’interoedificio intellettuale (...) è crollatonell’estate dello scorso anno.

Larilettura

Ho trovato un difetto

Èla pena del contrappasso per Pierre Moscovi-ci, ex ministro delle Finanze francese nomina-to commissario agli Affari economici e finan-

ziari. Compiacente con la City, a cui è stato affidatoil controllo dei Servizi finanziari (al britannico euro-scettico Jonathan Hill) e con la lobby del petrolio (ilClima è andato allo spagnolo Miguel Arias Canete,che ha nel suo portafoglio privato investimenti incompagnie petrolifere), il democristiano Jean-Clau-

de Juncker ha messo alla gogna Moscovici, che do-vrà sorvegliare e punire la Francia, da lui stessa la-sciata con un irrisolto deficit di bilancio.

Per impedirgli di avere troppe esitazioni, Mosco-vici è stato circondato da falchi difensori dell’orto-dossia, dal finlandese Jyrki Katanien, potente vice-

presidente alla testa del cluster economico con lasorveglianza della «crescita», al lettone Valdis Dom-brovskis, altro vice-presidente con la supervisionedell’euro, schieramento liberista completato daltrio Elzbieta Bienkowska (Mercato interno), CeciliaMalmström (Commercio) e Margrethe Vestager(Concorrenza), a cui si aggiunge l’occhio del tede-sco Günther Oettinger, altro esponente del centro-destra, all’Economia digitale. CONTINUA |PAGINA II

Il motoimmobile

Sbilanciamo l’Europa

Anna Maria Merlo

La nuova Commissione europea del democristiano lussemburghese Jean-Claude Junckersi presenta con una formazione schierata a destra. E nonostante il francese Pierre Moscoviciall’economia, con un presumibile continuismo rispetto alle attuali politiche macroeconomiche

perseverare

***

Le politiche di austerità hannoconsegnato all’Europa sei anni distagnazione e un quarto di anti-

europeisti arrabbiati nel nuovo parla-mento di Bruxelles. Ora la nuova Com-missione europea del democristianolussemburghese Jean-Claude Junckersi presenta con una formazione schie-rata a destra, con - nonostante PierreMoscovici all’economia - un presumi-bile continuismo rispetto alle attualipolitiche macroeconomiche.

L’agitazione di Bruxelles sulla nuovaconfigurazione di potere coincide conuna confusione analoga in altri palazzidell’economia. Christine Lagarde dalFondo Monetario arriva a negare checi siano oggi politiche di austerità inEuropa. L’Ocse è confusa tra documen-tare che la precarietà fa male al lavoroe raccomandare ulteriori liberalizzazio-ni. A Francoforte Mario Draghi, gover-natore della Banca centrale europea,annuncia un’utile espansione moneta-ria sul modello anglosassone, ma pre-para una pessima offensiva contro leprotezioni del lavoro.

Draghi ha legato la coesione del-l’area euro alla possibilità di ogni pae-se di realizzare un elevato livello di oc-cupazione; l’occupazione si riaffacciacome obiettivo della politica economi-ca europea, ma viene posta in manieradistorta, da raggiungere attraverso lastrada obbligata delle «riforme struttu-rali». Che vogliono dire riduzione delletutele per i lavoratori, dell’imposizionefiscale sul lavoro (per imprese e dipen-denti), maggiore flessibilità sul merca-to del lavoro, fine del ruolo di rappre-sentanza del sindacato, salari bassi epotere delle imprese su tutte le condi-zioni di lavoro.

Agli occhi dei confusi leader euro-pei, sarebbe questa la formula magicache permetterebbe all’Europa di usci-re dall’impasse costituta da una politi-ca monetaria generosa e una politica fi-scale immobile nell’austerità. Per il si-stema di offerta, il «tandem restrittivo»(parole di Draghi) di politica moneta-ria e politica fiscale non garantisce néla riduzione del costo del capitale, néla riduzione del premio sul rischio el’allentamento del credit gap nei paesiin maggiori difficoltà. Gli investimentinon potranno quindi riprendere e tira-re fuori l’Europa dalla crisi e la politicadella domanda resta il grande assentedella politica europea. Solo con una po-litica fiscale espansiva (un’inevitabilespesa pubblica in deficit), la politica difinanziamento monetario del deficitpotrebbe avere conseguenze effettiva-mente espansive e giocare, come pro-spetta Draghi, un ruolo centrale nellapolitica economica europea «per unesteso periodo di tempo».

Non è chiaro se questa prospettivadi aggiustamento avanzata da Draghiincontrerà i favori della nuova Com-missione europea.

Questa dovrà fare i conti con gli effet-ti della crisi occupazionale e di consen-so sociale che le politiche europee di ri-sposta alla crisi hanno ormai radicaliz-zato. Lo scontro prevedibile sarà tra lacombinazione «tedesca» delle politi-che macroeconomiche (fiscale restritti-va e monetaria accomodante) e la com-binazione «anglosassone» di una politi-ca macroeconomica più flessibilmen-te espansiva sul terreno fiscale e unapolitica monetaria diversamente acco-modante.

Un conflitto tra due prospettive dilungo periodo sulla gestione di merca-to della società. Ma entrambe - Draghicompreso - condividono la prospettivadi uno smantellamento delle istituzio-ni del lavoro e dell’intervento pubblicoall’insegna delle «riforme strutturali».

DIABOLICO

VENERDÌ 12 SETTEMBRE 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚33

Alan Greenspan

SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

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Il contrappassodi Moscovici

I ripensamentia metà della BceSecondo Draghi le stime della disoccupazionestrutturale sono circondate da considerevoleincertezza e la sua dimensione è sovrastimata

Paolo Pini

DALLA PRIMAAnna Maria Merlo

Appena nominato, Moscovi-ci si è precipitato ad affer-mare che «le regole vanno ri-

spettate». Contemporaneamente, aParigi, il ministro delle Finanze, Mi-chel Sapin, faceva sapere che laFrancia non avrebbe di nuovo ri-spettato l’impegno del rientro deldebito al 3%, malgrado i due anniin più di tempo che le erano staticoncessi da Bruxelles. A causa del-l’inflazione troppo bassa e della cre-scita zero, il deficit sarà del 4,4%quest’anno (in crescita rispetto al2013) e ancora del 4,3% nel 2015,con l’obiettivo di scendere al 3%nel 2017, data al di là di ogni possi-bile previsione. Parigi si giustificacon le «circostanze eccezionali» del-

la crisi che perdura. Ma il governoValls, in grandi difficoltà di fronte al-l’esame del voto di fiducia di marte-dì prossimo, con la maggioranzasempre più spaccata, non cambiaobiettivi: il calo di 40 miliardi neicontributi delle imprese (un «rega-lo senza contropartite» per gli oppo-sitori) sarà mantenuto, così come iltaglio di 50 miliardi nella spesa pub-blica in tre anni, a cominciare dai21 miliardi del 2015. Di fronte allederive del deficit pubblico, la destraurla al «rischio Argentina» per laFrancia, accusa il governo di imperi-zia. Il Pcf afferma, al contrario: «Hol-lande capitola» di fronte ai diktat diMerkel. L’ex ministro Arnaud Mon-tebourg, con la fronda socialista, af-ferma: «i francesi hanno votato perla sinistra e si ritrovano a subire lapolitica della destra tedesca».

Hollande aveva scelto la politicadei piccoli passi, evitando lo scon-tro frontale con la Germania. Que-sta strada è fallita e adesso la Fran-cia rischia sanzioni per deficit ecces-sivo. Ma Michel Sapin pensa di ave-re ancora una freccia al suo arco.Oggi all’Eurogruppo a Milano (i 18dell’euro), assieme al tedesco Wol-gang Schäuble, il ministro presentaun progetto per stimolare la cresci-ta. L’ancora di salvataggio sarà laBei, la Banca europea di investi-mento nata con il Trattato di Romadel ’57, ma sottoutilizzata, benchéle agenzie di rating la premino conle 3A. L’Ue manca di investimenti:nel 2013 erano ancora complessiva-mente il 15% in meno rispetto al-l’inizio della crisi nel 2008. La Beidovrebbe venire spinta ad investirein progetti più rischiosi, a partiredalla ricapitalizzazione di 10 miliar-di avvenuta nel 2012, che le permet-te un «effetto leva» di 60 miliardi. Aquesta somma potrebbe aggiunger-si un nuovo fondo, garantito daglistati, che dovrebbe permettere di at-tirare investimenti privati. E’ da quiche dovrebbero venire i famosi 300miliardi promessi da Juncker, per fi-nanziare dei projet bonds nei setto-ri promettenti dell’energia, delle te-lecom, dei trasporti (per le infra-strutture la Commissione ha stan-ziato 26 miliardi per il periodo2014-2020, 11,9 già sbloccati). So-no piccoli segnali, qualcosa di muo-ve sul fronte dello stimolo, dopo leprese di posizione della Bce. Ma ilfondo resta lo stesso: i cittadini pa-gano il prezzo del rigore, non soloin Grecia ma anche in Francia lapovertà cresce, mentre le élitesnon vogliono vedere cosa succede.Come ha recentemente affermatola presidente dell’Fmi, Christine La-garde, nella zona euro «non c’è au-sterità», poiché la consolidazione fi-nanziaria si limita allo 0,3% del pil.E l’unico ostacolo per la vulgata del-l’ortodossia resta la regolamenta-zione del lavoro, che per Lagardeormai «bisogna prendere di punta»dove resiste ancora.

VENERDÌ 12 SETTEMBRE 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚28 - PAGINA II

SI DOVRÀ DARE RAGIONE, INFINE,A KRUGMAN QUANDO AFFERMACHE «QUANDO I MITI ECONOMICIPERSISTONO, DI SOLITO LA SPIEGAZIONERISIEDE NELLA POLITICA, ED IN PARTICOLARENEGLI INTERESSI DI CLASSE»?

L’Ocse nel rapporto annuale Em-ployment Outlook 2014 stimaun aumento della «disoccupa-

zione strutturale» con rischi di inflazio-ne perché non verrà riassorbita con ilritorno alla crescita. Già la Commissio-ne Europea allertava i paesi perifericieuropei, tra cui Spagna e Italia. Ma èun giustificato allarme? Tale aumentoha effetti di non poco conto sugliobiettivi di medio termine per consoli-damento fiscale e rispetto del FiscalCompact: Il gap tra disoccupazionestrutturale e ciclica si riduce e quindisi restringono i margini per la politicaeconomica keynesiana, per la doman-da pubblica e quindi per politiche distruttura sull’apparato industriale. Siazzerano strumenti fiscali e rimango-no sul tavolo solo ricette volte a menotasse e più tagli alla spesa ed al welfa-re, per soddisfare i vincoli di bilancio,e riforme strutturali del mercato dellavoro per più flessibilità. La politicaeconomica si risolve tutta qui: flessibi-lità del lavoro.

Sono però tempi di ripensamenti an-che nelle istituzioni. Dopo l’autocriticadel Fmi sui moltiplicatori fiscali, ora siaffacciano anche cautele e dubbi dellaBce: quanto sono affidabili le stime sul-la disoccupazione strutturale? Il Gover-natore Draghi al Jackson Hole Sympo-sium ha dichiarato che le stime delladisoccupazione strutturale sono cir-condate da considerevole incertezza,che la sua dimensione è sovrastimata,che occorrerebbe essere molto più cau-ti nel distinguere la disoccupazionestrutturale da quella ciclica. D’altra par-te, se la disoccupazione strutturale fos-se aumentata così tanto da ridurre ilgap con la disoccupazione effettiva,perché non vi sono pressioni verso l’al-to sui salari e sui prezzi, anzi siamo indeflazione?

Non vi è dubbio che Draghi abbiaqui segnato una discontinuità con il re-frain sulle riforme strutturali, afferman-do che l’Eurozona soffre di un proble-ma serio dal lato della domanda effetti-va e che interventi di sostegno pubbli-co su scala europea sono oggi impre-scindibili. Rimane però ambiguo suquali interventi dal lato della doman-da, mentre è esplicito su quelli sull’of-ferta. In politica monetaria dichiara diimpegnarsi (ma lo aveva già detto) percontrastare i rischi della deflazione(purtroppo la deflazione c’è già e laBce avrebbe dovuto anticiparne l’av-vento), inducendo anche l’importazio-ne dell’inflazione mediante il ribassodel valore dell’Euro, che aiuterebbe pu-re le esportazioni. In politica fiscale ri-chiama la necessità del coordinamen-to europeo sempre nel rispetto delle re-gole di bilancio, quelle regole che so-no causa del progredire della crisi.Si esprime a favore di un (ri)lan-cio di un piano europeo di in-vestimenti pubblici, ma lamen-ta che il budget europeo è irriso-rio ed afferma che comunque lepolitiche fiscali non possono tran-sigere dal pareggio di bilancio pub-blico, per cui meno tasse compensateda meno spese, anche se sa bene chequesto ha effetti recessivi. Nonostantei ripensamenti, la Draghinomics conl’enfasi sulla domanda non oscura af-fatto la dominanza dell’offerta; anzi sia

la modalità di intervento sulla doman-da, sia il rimarcare la irrinunciabilitàdelle riforme strutturali dimostranoquanto le azioni suggerite rimanganolontane dallo spirito keynesiano.

Ma ancora, il leit motive sulle rifor-me strutturali è sempre centrato sulmercato del lavoro. Le retribuzioni no-minali devono riflettere in tutto le con-dizioni di mercato, al livello più decen-trato possibile, l’impresa. Nessuno spa-zio è assegnato alla sfera distributivafuori dall’azienda, e di politiche re-di-stributive non vi è traccia. La contratta-zione ha ragion d’essere solo se ponein relazione salari, produttività e condi-zioni dei mercati del lavoro, con le ne-cessarie differenziazioni salariali tra la-voratori e tra settori. La flessibilità dellavoro, negli ingressi e nelle uscite, assi-curano quella mobilità dei fattori chele condizioni di domanda e di offerta ri-chiedono. L’idea del mercato del lavo-ro come istituzione sociale, in cui il la-voro non è una qualsiasi merce, al paridelle patate, da scambiarsi in base adofferta e domanda, con un salario cherisponde a norme sociali ed è superio-re a quello di equilibrio di mercato,non è quella del Governatore.

Il comportamento della Bce che noncontrasta adeguatamente deflazione edepressione non sembra essere attribu-ibile semplicemente ad errori previsi-vi, oppure a suoi vincoli statutari, odancora al monitoraggio attivo esercita-to dalla Germania sull’operato della

banca centrale, se non anche a minac-ce tedesche - di dubbia credibilità - diabbandonare l’Euro. Una ulteriorespiegazione è forse la condivisione diuna visione della politica economica edell’intervento pubblico derivante da-gli schemi teorici fondanti il liberismo.

Quindi nulla di nuovo sotto il sole?No, tutt’altro; molto di nuovo. Una ul-teriore tappa nella rimessione dei pec-cati, del “mea culpa” da parte delle isti-tuzioni che sono complici della depres-sione e che l’hanno governata finan-che alimentata. Si giungerà ad un cam-biamento di rotta nelle politiche eco-nomiche? Si dovrà dare ragione a Key-nes quando affermava che la forza de-gli «interessi costituiti» è esagerata ri-spetto alla «progressiva estensione del-le idee» oppure ha ragione Krugmanquando afferma che «quando i mitieconomici persistono, di solito la spie-gazione risiede nella politica, ed in par-ticolare negli interessi di classe»?

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Andrea Baranes

Il «Mea culpa»del FmiL'austerità non rimette a posto i contipubblici e non diminuisce neppureil rapporto tra debito pubblico e Pil

Il decimocomandamentoCome, quando e dove? Nel documento«Sblocca Italia» sull’energia,non esistono «specifiche» sugli investimenti

Guglielmo Ragozzino

RIPENSARE LE SCELTEECONOMICHE, MONETARIEE FINANZIARIE SIGNIFICAFARE EMERGERE LE VOCICRITICHE E DISCORDANTI,CREARE CONSENSOE RIBALTARE L'IMMAGINARIOCOSTRUITO IN QUESTI ANNI

Tanto nei governi nazionali quan-to nelle istituzioni europee simoltiplicano le voci critiche o

per lo meno i dubbi nei confronti dellepolitiche di austerità. Se diversi econo-misti sottolineano da anni quanto talipolitiche siano sbagliate specialmentein una fase recessiva, il dibattito ha su-bito un'accelerazione ad inizio 2013,con lo «stupefacente mea culpa da par-te del capo economista del Fondo Mo-netario Internazionale», come aveva altempo titolato il Washington Post.

Riassumendo, nello studio «GrowthForecast Errors and Fiscal Multi-pliers», Olivier Blanchard assieme aDaniel Leigh analizza l'impatto dei pia-ni di austerità proposti, o meglio impo-sti, a mezza Europa. Pur tenendo con-to di differenze legate alla situazionedei singoli Paesi, le conclusioni sonopiuttosto nette: nella gran parte dei ca-si, l'austerità è un danno per l'econo-mia e l'occupazione.

Peggio ancora, non funziona nem-

meno per rimettere a posto i conti pub-blici, ovvero per diminuire il famigera-to rapporto tra debito pubblico e PIL,vero e proprio faro che guida le sceltepolitiche di tutti i Paesi occidentali.

Dimentichiamoci per un momentoche la crisi è stata causata da una gigan-tesca finanza privata fuori controllo, enon certo dalla finanza pubblica. Am-mettiamo che siano adesso gli Stati adovere rimettere a posto i conti pubbli-ci, e non delle banche private sommer-se di titoli tossici e che continuano a la-vorare con leve finanziarie degne di av-venturieri da casinò. Supponiamo an-che che lo stato di salute di un Paese va-da valutato in base al rapporto tra debi-to pubblico e Pil e non al benessere deicittadini o al tasso di disoccupazione,tanto per fare un paio di esempi.

Anche partendo da queste ipotesi,in realtà ampiamente criticabili se noncompletamente false, il pensiero main-stream assicurava che la strada mae-stra per «mettere a posto» i conti e ri-durre il rapporto debito/Pil era una so-la: piani di austerità, tagli alla spesapubblica, smantellamento del welfare.Analizziamo questo rapporto. Se si ta-glia la spesa pubblica, a parità di entra-te diminuisce il deficit e quindi tende amigliorare - o per lo meno a peggiora-

re di meno - il debito pubblico.C'è però una difficoltà: tagliare la

spesa pubblica vuole dire meno inve-stimenti, meno denaro per i dipen-denti pubblici, meno servizi e via di-scorrendo, ovvero una diminuzionedel Pil. Nel rapporto debito/Pil, quin-di, da un lato quindi i piani di austeri-tà fanno calare il numeratore, dall'al-tro però cala anche il denominatore.

Non c'è problema, sosteneva ilFmi. Abbiamo fatto i conti, e il debitodiminuisce più rapidamente del Pil.Nel complesso, quindi, il rapporto de-bito/PIL migliora. Certo, la ricchezzadiminuisce, tagli al welfare significa-no meno risorse proprio per le classipiù deboli, aumenterà la disoccupa-zione, nel breve si rischia di acuireuna recessione già in atto, cresconole diseguaglianze.

Sono però tutti prezzi da pagare. Nelsuo insieme, lo stato di salute del Pae-se migliorerà.

E invece no. Lo studio del 2013 se-gnala che tagliando la spesa pubblicail PIL diminuisce più rapidamente diquanto non diminuisca il debito. Il rap-porto continua a peggiorare. I piani diausterità non solo sono devastanti dalpunto di vista sociale, ma sono nocivianche da quello macroeconomico.

Anche senza grandi analisi teori-che, sarebbe probabilmente stato suf-ficiente vedere cosa sta succedendoin tutti i Paesi che in questi anni han-no dovuto accettare le misure di auste-rità. Dall'Italia alla Spagna fino allamartoriata Grecia, non solo la disoccu-pazione è rapidamente aumentata,non solo si sono raggiunti livelli di po-vertà e di disuguaglianze intollerabili,ma persino il principale obiettivo daraggiungere, ovvero l'aggiustamentodei conti pubblici, si sta risolvendo inun fallimento, e il rapporto tra debitoe PIL continua a peggiorare.

Alla luce sia delle recenti teorie siadella situazione europea, sarebbe il ca-so di ridiscutere alla base le ricette dipolitica economica. Non solo riguardol'austerità. Lo stesso Fmi negli ultimitempi è arrivato a rimettere in discus-sione persino la libertà di movimentodei capitali, iniziando a riconoscere co-me alcuni controlli sui flussi finanziariin entrata e in uscita dai Paesi siano op-portuni, se non necessari.

Pur se con notevoli limiti ed eccezio-ni, è probabilmente un passo ancorapiù clamoroso di quello riguardante ilfallimento dell'austerità.

Segnali che il pendolo sta forse ini-ziando a tornare indietro, dopo la lun-ga fase di egemonia liberista. Analisi te-oriche ed evidenza empirica che nonsembrano però ancora portare a un'in-versione di rotta nelle politiche diun'Europa a dire poco in enormi diffi-coltà. Ripensare le scelte economiche,monetarie e finanziarie significa fareemergere le voci critiche e discordanti,creare consenso e ribaltare l'immagi-nario costruito in questi anni. La varia-bile fondamentale è il tempo a disposi-zione per trasformare i mea culpa indecisioni politiche ed effettuare una vi-rata non più rimandabile.

I l decimo comandamento per noiè «Non inquinare o almeno ripu-lisci». Il decimo e ultimo punto

del progetto «Sblocca Italia», annun-ciato all’inizio di agosto, è invece di-verso e la dice lunga sulle chiare pro-spettive dell’Italia stessa. Comincia-mo dunque con il leggerlo: 10) Sbloc-ca Energia: «Per sviluppare le risorsegeotermiche, petrolifere e di gas na-turale il progetto prevede investi-menti privati nazionali e internazio-nali per oltre 17 miliardi di euro, conun effetto sull'occupazione di 100mi-la unità e un risparmio in bollettaenergetica per 200 miliardi in 20 an-ni». Non c’è altro, nel senso che nonc’è alcun documento che mostri l’esi-stenza di uno studio in proposito,una carta con qualcosa di scritto: co-me e perché e quando e chi. Chi de-ve investire? Lo Stato, le regioni, i pri-vati? Gli italiani, gli stranieri? Subitoo quando? Si parla di 17 miliardi diinvestimenti, 100 mila nuovi posti dilavoro, 200 miliardi di risparmio eventi anni di tempo.

Sull’ultimo punto sembra di capi-re che nel corso di vent’anni ci sareb-be un risparmio di 200 miliardi di eu-ro per importazioni evitate. Non ci sidice quando il periodo dei vent’annipotrebbe cominciare, ma per farlasemplice potremmo supporre che inmedia investendo variamente 17 mi-liardi in tutto nel corso di qualche an-no si otterrebbe un vantaggio – la cuiforma è oscura – superiore al 100%ogni anno e questo per, appunto, 20anni. Calcolando in quattro milioni isenza lavoro italiani, si potrebbe ri-solvere la sorte di un quarantesimodi tutti i disoccupati, per un periodonon determinato.

Vi sono poi gli aspetti tecnici. Aparte la geotermia che ha limiti benconosciuti a Lardarello, la ricerca e lacoltivazione di idrocarburi riguarde-rebbe a conti fatti Regione Basilicatache conta per due terzi del petrolio eMare Adriatico che rappresenta granparte del resto. In Basilicata una par-te del ceto dirigente vorrebbe davve-ro mettere a frutto la “Bonanza” pur-ché una parte consistente del valore

degli idrocarburi rimanesse in Regio-ne. Solo così si potrebbe consentirelo sconquasso, forse irrimediabile, diVal d’Agri con la conseguenza di met-tere a rischio la vocazione alle attivi-tà agricole, culturali, e turistiche.Quanto varrebbe, in termini negati-vi, questa corsa al petrolio lucano eal gas, con pregiudizio per le spiaggee i borghi? Un miliardo, due miliardil’anno sottratti a buoni lavori? Quan-ti i posti di lavoro perduti?

Il caso dell’Adriatico è ancora som-merso. Ha cominciato Romano Pro-di a teorizzare, tra aprile maggio, il fa-moso principio delle «due cannuc-ce»; Con eleganza d’immagine, il pro-fessore sostiene che se la Croazia suc-chia petrolio in Adriatico con la suacannuccia devo poterlo fare anch’ioche sono l’Italia. I potenti italiani,rappresentati al governo dalla mini-stra per lo sviluppo economico Fede-rica Guidi sono stati più attenti e sisono molto emozionati per le dichia-razioni croate sulla ricerca petrolife-ra in mare, dalle parti dell’isola con-tesa di Pelagosa. Invece di ostacola-re con molte buonissime ragioniquelle iniziative, come hanno fattoNichi Vendola e Luca Zaia, presiden-ti della Puglia e del Veneto, il gover-no italiano, forse sospinto dalle lob-bies pagate dalle multinazionali delsettore, vuole partecipare alla ricer-ca di idrocarburi nel mare un temponostrum e cioè non solo risponderecolpo su colpo; ma anticipare le atti-vità altrui. È sicura la controversiacon i croati, che hanno anticipato lapropria volontà di ricerca; già si pre-figurano altri scontri con altri riviera-schi: gli sloveni, i montenegrini, per-fino gli albanesi. Che l’Adriatico, unmare stretto chiuso, molto delicato,il mare di Venezia e di Dubrovnik ,di Trieste e di Pola, del Gargano e diCherso, possa finire per rompersinon interessa ai governi. È un fattoperò che l’Adriatico non potrà regge-re centinaia, forse migliaia di pozzi,di strutture galleggianti, con decinedi navi per organizzare la produzio-ne, trasportare il petrolio e il gas. Sirenderebbe invivibile un mare bellocome tutti i mari, forse di più, ma dicerto molto fragile. Ora il nostro go-verno prende tempo; forse spaven-tato dai presidenti di Veneto e Pu-glia, emette alla fine di agosto un al-tro comunicato «Sblocca Italia» (?)(che si può leggere integralmente al-l’indirizzo…..) in cui trascura com-pletamente il problema dell’Adriati-co e si limita a strizzare l’occhio ver-so la Basilicata facendo capire chele royalities regionali potranno aggi-rare i vincoli di bilancio.

Venti secondi finali per due osser-vazioni. In primo luogo, orientareil sistema energetico italiano al pe-trolio invece che alle rinnovabili ealla riduzione dei consumi è un er-rore di civiltà. E questo vale, subi-to, per la Basilicata. Inoltre perfinoin Atlantico, alle Canarie, comehanno scritto Marina Turi e Massi-mo Serafini per Sbilanciamoci e sulmanifesto, c’è un movimento con-tro le trivelle. Occorre fare lo stessoin Italia e insieme negli altri paesibagnati dall’Adriatico. Anche danoi dovrebbe affermarsi una mobili-tazione e qualcosa che – con studiappropriati e progetti alternativi–mostri quanto è inutile e ridicolo ilsacrificio dell’Adriatico.

VENERDÌ 12 SETTEMBRE 2014SBILANCIAMO L’EUROPA

N˚33 - PAGINA III

RAPHAËL URWILLERSono suoi i colori e le forme dei disegni di queste pagine. Variopinti e fantasmagorici compagni di viaggio del Jabberwocky di LewisCarroll. In un paesaggio lunare, dove ogni cosa può sembrarne un'altra, dove sguardi sconosciuti ammiccano, qualcosa si nasconde.Attento, minuscolo re bambino, lo avvisa il vecchio saggio come fosse un padre, bada al "ciarlestrone"! Partire alla ventura perattraversare il bosco, tenersi lontano da terribili artigli e fauci fameliche, e soprattutto, sconfiggere quel mostro non è cosa da tutti.Armato della sua spada, il "brando vorpido" e di gran coraggio, il piccolo si inoltra. Ed ecco che alle sue spalle arriva "occhidibragia, ilciarlestrone". Lo scontro sarà duro ma alla fine - un dué un dué - quel re bambino vincerà sul mostro. Un'avventura dove tutto èpurissima invenzione, a partire dalla magica lingua creata dal grande Lewis Carroll e resa magistralmente in italiano da MasolinoD'Amico.Jabberwocky, Orecchio acerbo 2012, 28 pagine, 18 euro

www.orecchioacerbo.com

Page 4: Sbilanciamo l’Europa - L'economia com'è e come può …sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/33Sbilanciamo_l... · la sua ideologia, non era giusta, nonfunzionava? Greenspan:

Moneta morbida,lavoro duroA partire dalla crisi del 2008, le politichedell’eurozona sono state un fallimentosu tutti i fronti. Le due risposte di Draghi

Antonio Lettieri

CON LA CADUTA VERTICALE DEGLI INVESTIMENTI E DEI CONSUMI,IL PROBLEMA FONDAMENTALE NON È LA MANCANZA DI LIQUIDITÀ,MA LA SOSTANZIALE MANCANZA DELLA DOMANDA DI CREDITODA PARTE DELLE IMPRESE E DELLE FAMIGLIE

Apartire dalla crisi del 2008, le po-litiche dell’eurozona sono stateun fallimento su tutti i fronti.

Ora tutti gli sguardi sono rivolti al tem-pio della Banca centrale europea(Bce), in attesa di un miracolo del suosupremo sacerdote.

Dopo un dibattito, acceso quantoconfuso, durato due settimane, segui-to alla riunione dei capi delle banchecentrali a Jackson Hole nel Wyoming,su come si dovesse interpretare l’ora-colo di Mario Draghi, il responso è sta-to chiaro e inequivocabile.

Diamo uno sguardo alle due misureprincipali. La prima è un nuovo, sim-bolico, taglio di un decimo di punto(da 0,5 a0,05) del tasso di sconto princi-pale, avvertendo che questo è l’ultimo.

La seconda misura è centrata sul-l’acquisto di Abs, «Asset-backed Secu-rities»: in sostanza, obbligazioni emes-se dalle banche, sulla base di pacchet-ti di prestiti alle imprese e alle fami-glie. Questa misura, alla quale si ag-giungono il possibile acquisto di titoligarantiti dalle banche («covered secu-rities»), e la messa in atto dei prestitidiretti al finanziamento delle piccolee medie imprese, già decisa nei mesiscorsi, sono dirette a favorire l’espan-sione del credito.

I commentatori si sono chiesti sesi tratti del famoso «Quantitative ea-sing», sull’esempio delle Banche cen-trali degli Usa, della Gran Bretagna edel Giappone. E Draghi ha puntualiz-zato che è più corretto parlare di un«credit easing», dal momento chel’acquisto dei titoli bancari, a diffe-renza del «quantitive easing», impli-ca come garanzia i prestiti effettuatidalle banche in questione.

Draghi, tuttavia, non ha escluso chein futuro, se fosse considerato necessa-rio, il governo della Banca centrale po-trebbe prendere in considerazione l’ac-quisto diretto di titoli sovrani a lungotermine, che è il centro del «quantitiveeasing».

Dunque, Draghi, dopo l’icastico «todo whatever it takes», dell’estate del2012, quando annunciò la decisionedella Bce «di fare qualsiasi cosa per pre-servare l’euro», ha dato fondo alle con-crete possibilità di intervento della po-litica monetaria. Questa freccia è statascoccata. Importante per tagliare gli ar-tigli alla grande speculazione, ma nonè sufficiente a invertire la tendenza. Loha spiegato lo stesso Draghi, in occa-sione del discorso programmatico diJackson Hole, quando ha avvertito chenelle attuali circostanze di stagnazionee disoccupazione di massa «la politicamonetaria perde di efficacia nel gene-rare domanda aggregata».

Non a caso, molti commentatorihanno notato che, con la caduta verti-cale degli investimenti e dei consumi,il problema fondamentale non è lamancanza di liquidità, ma la sostanzia-le mancanza della domanda di creditoda parte delle imprese e delle famiglie.Di fronte alla freccia spuntata della po-litica monetaria, Draghi evoca la secon-da freccia, la politica fiscale, la cui re-sponsabilità ricade sui governi nazio-nali. Misure di politica fiscale fonda-mentalmente dirette a ridurre le tasseche gravano sulle imprese.

Ma Draghi aggiunge una postillanon trascurabile: l’abbassamento del-le tasse deve avvenire «in a budget-neutral way», cioè nel rispetto deivincoli di bilancio imposti dalla Com-missione europea. Operazione com-plicata, riconosce Draghi, dal mo-mento che «l’alto livello del debi-

to…inevitabilmente riduce lo spaziodei bilanci pubblici».

Di fronte ai limiti della poltica mone-taria e fiscale, Draghi punta sulla terzafreccia: le riforme strutturali e, più pre-cisamente, la riforma del lavoro. Un te-ma presentato generalmente in modo

confuso e ingannevole, com’è il casodel «Jobs act» in Italia. Ma nella confe-renza stampa del 4 settembre a Franco-forte, rispondendo alle domande di ungiornalista, Draghi fa un’operazioneverità. Sentiamo. «Vi sono tre strumen-ti per rilanciare la crescita. Riformestrutturali, politica fiscale e politicamonetaria». La gerarchia degli stru-menti non è casuale. In testa vi sono leriforme strutturali. Infatti, Draghi chia-risce: «Durante la presentazione (dellenuove scelte della Bce), ho iniziato dal-la politica monetaria per passare aquella fiscale, ma ho poi concluso chenon esiste nessuno stimolo fiscale omonetario in gradi di produrre alcuneffetto senza ambiziosi, importanti eforti riforme strutturali.

Pertanto, in un certo senso, il puntochiave è l’attuazione delle riformestrutturali». Tra le quali, specifica, la«priorità» spetta alle riforme strutturalidirette all’eliminazione delle «rigiditàdel mercato del lavoro» (…). In parolepovere, la flessibilità verso il basso deisalari a livello aziendale; e la libertà dilicenziare per favorire la produttivitàaziendale.

Niente di nuovo, da questo punto divista, sotto il cielo dell’ortodossia neoli-berista. Ma la novità sta nell’esplicita-zione, dall’alto della cattedra dellaBce, del rilievo relativamente seconda-rio attribuito alle misure monetarie e fi-scali rispetto alla centralità nevralgicadella riforma del lavoro. Il discorso quiè chiaramente rivolto all’Italia e allaFrancia, dal momento che gli altri pae-si dell’eurozona si sono disciplinata-mente adeguati al dogma della derego-lazione delle condizioni di lavoro, delsalario e delle forme di occupazione.

Non a caso, Draghi fa l’elogio del-l’esperienza irlandese e spagnola. InSpagna, il governo di Mariano Rajoyha risolto la questione dando libertàalle aziende in difficoltà di cancellareil contratto nazionale di settore, po-nendo i lavoratori di fronte all'alterna-tiva fra la riduzione, fino al venti percento, del salario e l’auto-licenzia-mento. Eppure, la Spagna come mo-dello ed esempio da imitare, rappre-senta un paradosso assoluto. Conside-rate tre cifre che ci forniscono un’ideadella conclamata efficacia del model-lo. Prima della crisi, la Spagna avevaun debito di poco superiore al 40 percento del Pil, il più basso fra i grandipaesi dell’eurozona; nel 2014 si avvi-cina al 100 per cento. Il disavanzo dibilancio, inesistente prima della cri-si, per i 2014 è previsto intorno al 6per cento del Pil, pari al doppio diquello italiano. E la disoccupazioneha raggiunto, esattamente comequella greca, la spaventosa cifra del25 per cento Questo il modello che,in ultima analisi, Draghi in sintoniacon Berlino e Bruxelles, propone aItalia e Francia.

Eppure, Draghi e, per quanto ci ri-guarda, Padoan non esitano a ricono-scere che queste riforme del lavoro so-no destinate nel breve-medio periodonon a migliorare, ma ad aggravare lecondizioni di crescita e di occupazio-ne, dal momento che, inevitabilmen-te contribuiscono a ridurre la doman-da, sia dal lato dei consumi, che degliinvestimenti, in una lunga prospetti-va di stagnazione, sulla scia di quellache è considerata una forma di “giap-ponesizzazione” dell’economia del-l’eurozona.

Ma allora perché l’ossessiva insi-stenza sulla riforma del mercato del la-voro (che simbolicamente riappare inItalia con la definitiva cancellazionedell’art. 18)? Dal punto di vista struttu-rale, la riforma del lavoro indica uncambiamento a lungo termine, pro-fondo e radicale dei rapporti sociali dipotere. È l’affermazione di una gestio-ne autoritaria nei luoghi di lavoro, so-stanzialmente liberata dai vincoli dellacontrattazione collettiva e della funzio-ne di rappresentanza, di intervento edi controllo dei sindacati sulle condi-zioni di lavoro e salariali.

Un ritorno agli albori del XX secolo,spacciato come tributo da pagare allarivoluzione tecnologica e alla competi-zione globale del XXI secolo.

La versione completa di quest’artico-lo è su www.sbilanciamoci.info

VENERDÌ 12 SETTEMBRE 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚33 - PAGINA IV

DI FRONTE AI LIMITIDELLA POLTICAMONETARIAE FISCALE, DRAGHIPUNTASULLA TERZA FRECCIA:LA RIFORMADEL LAVORO