Sbilanciamo l’Europasbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/24Sbilanciamo_l_Europa... ·...

4
Quella che viviamo non è una crisi della democrazia, ma una sua nuova fase. Questa la dia- gnosi che faceva, circa trenta- cinque anni fa, Nicos Poulant- zas in L’État, le pouvoir, le so- cialisme (il libro non è tradotto in italiano). «Assistiamo a tra- sformazioni importanti dello Stato nelle società capitaliste oc- cidentali. Una nuova forma di Stato si sta imponendo: bisogne- rebbe essere ciechi per non ac- corgersene. Designerei questa forma di Stato con il termine, in mancanza di meglio, di sta- tualità autoritaria. La tenden- za generale di questo mutamen- to è data dall’accentramento, da parte dello Stato, dell’insie- me della sfera economico-socia- le articolata con il declino deci- sivo delle istituzioni della demo- crazia politica e accompagnata dalla restrizione draconiana, e multiforme, delle libertà cosid- dette ‘formali’, di cui, ora che si riducono, scopriamo l’impor- tanza». Per Poulantzas, il decli- no della democrazia si costitui- sce di alcuni elementi essenzia- li, tra cui vi è lo spostamento di potere dal parlamento al pote- re esecutivo; i partiti non sono più gli interlocutori privilegiati dell’amministrazione politica, che invece risponde a degli inte- ressi particolari; i mezzi di co- municazioni di massa, e non la scuola o l’università, diventano il luogo dell’egemonia cultura- le. Questi processi portano a nuove forme di consenso plebi- scitario unite a nuove forme di legittimazione tecnocratiche. In realtà, scrive l’autore, non siamo di fronte ad una crisi, al marcire della democrazia, né al ritorno dei fascismi. Lo Stato autoritario è la nuova forma de- mocratica degli stati capitalisti nella fase attuale. DEMOCRAZIA SVENDESI La rilettura Nicos Poulantzas e lo Stato autoritario D i recente, il sociologo tedesco Wolfgang Streeck ha argomentato che la fine del capitalismo può venire dalla debolezza, piuttosto che dalla forza, dell’opposizione anti-neoliberista. Lasciato a se stesso, senza limiti, l’ingordigia del capita- lismo porterebbe infatti alla distruzione (al momento in stadio avanzato) di quelle risorse umane a materiali di cui esso stesso ha bisogno per sopravvivere. Un argomen- to simile si potrebbe articolare anche rispetto alla Unio- ne Europea. All’indomani di elezioni che, per (mancanza di) partecipazione ed esiti hanno mostrato tutta la insof- ferenza dei cittadini europei rispetto a questa Europa, il Partito Popolare Europeo (principale perdente in termini di elettori in uscita) e, quel che è peggio, un Partito Socia- lista Europeo che non è riuscito a presentarsi come alter- nativa, procedono come se nulla fosse stato: con il soste- gno bi-partisan al Popolare Jean-Claude Juncker—Mister Crisi, nonché Mister Austerità—alla pre- sidenza della Commissione Europea e l’elezione (con ac- cordo di rotazione Pse-Ppe di Martin Schultz, Socialista criticato persino in patria per un peregrino poster eletto- rale dove si leggeva «solo se voti per Martin Schultz e l’Spd può un tedesco diventare presidente della Commis- sione Europea». In più, esponenti di entrambi i partiti vantano la salda maggioranza europeista nel parlamento europeo—rimuovendo la presenza, in quella presunta maggioranza, di presenze imbarazzanti e ben poco euro- peiste, da Forza Italia di Silvio Berlusconi al Fidesz di Victor Orban. Ppe, Pse e chi con loro sembrano avere fret- ta di dimenticare che, secondo i sondaggi dell’Eurobaro- metro, la percentuale dei cittadini che ha fiducia nella Ue è scesa dal 57% nel 2007 al 31% nel 2013. CONTINUA |PAGINA II Dove portano le riforme Donatella della Porta Il trentennio neoliberista ha divorato la democrazia liberale, facendo carta straccia dei diritti sociali, lasciando spadroneggiare la finanza e riducendo i poteri degli Stati. La questione democratica si ripropone con la partecipazione e la resistenza contro l'assolutismo dei privilegi Sbilanciamo l’Europa Claudio Gnesutta P erseguire l’eguaglianza politica tra individui che, dal punto di vi- sta economico, sono diseguali per fortuna, talenti e potere. È questa la contraddizione di fondo che segna il rapporto tra democrazia li- berale e capitalismo, al di là del loro co- mune riconoscimento dei diritti indivi- duali. Di qui la tensione ineliminabile tra la logica dell’efficienza produttiva (i va- lori dell’«economia») e quella dei biso- gni di solidarietà e giustizia sociale (i valori della «società»); la soluzione, fi- nora, l’ha offerta la «politica», con pro- poste di compromessi, socialmente ac- cettati, tra diritti sociali e necessità eco- nomiche. Tali compromessi assumono spesso un carattere «costituzionale», esplicita- ti nella legge fondamentale e incorpo- rati nelle istituzioni sociali e politiche. Nel dibattito recente la questione della democrazia è stata ridotta al mantra delle «riforme e governabilità» in no- me dell’efficienza. Siamo nel mezzo di una revisione «costituzionale» che vuole riformare la democrazia del welfare, cambiare le istituzioni esistenti per assicurare una maggior efficienza economica. è un processo che espropria il popolo dalla sovranità politica, non solo per il pote- re delle burocrazie di Bruxelles, ma per il «decisionismo» di Matteo Renzi e la marginalizzazione del Parlamento qua- le sede delle scelte collettive. La ritirata della democrazia apre nuovi spazi al mercato e a livello inter- nazionale gli assetti istituzionali vengo- no adeguati alle esigenze del potere fi- nanziario. Ovunque troviamo nuove norme e procedure in cui la contrattua- lità privata fa premio sulle decisioni pubbliche; il potere sanzionatorio vie- ne trasferito dallo Stato a sedi ad esso sovraordinate; si prefigura una subor- dinazione dei diritti sociali (dei deboli) a quelli economici (dei forti). Di fronte alle voci che denunciano tale deriva, la politica resta in silenzio. Si riduce il problema all’ onerosità dei diritti sociali, la cui soluzione consiste- rebbe nel loro ridimensionamento. Ma i costi del welfare sono l’altra fac- cia dell’organizzazione sociale e della struttura dell’economia, divisa tra pro- duzione tra merci vendute sul mercato e fornitura di beni pubblici (salute, istruzione, sicurezza sociale, etc.). È quest’ultima a essere sotto attac- co; i beni pubblici sono essenziali per il benessere delle persone, anche se il loro «valore» non sempre fa crescere il Pil. È su questi che si decide insieme, con gli strumenti della politica e della democrazia. Una riforma in senso pu- ramente efficientista riflette lo svuota- mento del processo democratico. La secca richiesta di governabilità per rea- lizzare tali riforme esprime la subalter- nità della politica all’egemonia cultura- le neoliberista. La liquidazione del welfare state di stampo europeo e delle prospettive di una piena cittadinanza rischia di intac- care le stesse basi sociali del sistema economico. Il capitalismo, in realtà, do- vrebbe temere più la debolezza che la forza del suo antagonista sociale. La questione democratica si pre- senta, di questi tempi, come ricer- ca di consenso (per lo più passivo) alle trasformazioni neoliberiste dai rilevanti contenuti costituzio- nali. Con i loro contenuti indefini- ti, i termini riforme e governabilità hanno la funzione di espropriare quell’aspirazione verso una demo- crazia sostanziale che ha costitui- to l’obiettivo politico del passato cinquantennio. Tener ferma quella visione della de- mocrazia resta il compito della politica. Teresa Pullano VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚24 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

Transcript of Sbilanciamo l’Europasbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/24Sbilanciamo_l_Europa... ·...

Page 1: Sbilanciamo l’Europasbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/24Sbilanciamo_l_Europa... · Quella che viviamo non è una crisi della democrazia, ma una sua nuova fase. Questa

Quella che viviamo non è unacrisi della democrazia, ma unasua nuova fase. Questa la dia-gnosi che faceva, circa trenta-cinque anni fa, Nicos Poulant-zas in L’État, le pouvoir, le so-cialisme (il libro non è tradottoin italiano). «Assistiamo a tra-sformazioni importanti delloStato nelle società capitaliste oc-cidentali. Una nuova forma diStato si sta imponendo: bisogne-rebbe essere ciechi per non ac-

corgersene. Designerei questaforma di Stato con il termine,in mancanza di meglio, di sta-tualità autoritaria. La tenden-za generale di questo mutamen-to è data dall’accentramento,da parte dello Stato, dell’insie-me della sfera economico-socia-le articolata con il declino deci-sivo delle istituzioni della demo-crazia politica e accompagnatadalla restrizione draconiana, emultiforme, delle libertà cosid-

dette ‘formali’, di cui, ora che siriducono, scopriamo l’impor-tanza». Per Poulantzas, il decli-no della democrazia si costitui-sce di alcuni elementi essenzia-li, tra cui vi è lo spostamento dipotere dal parlamento al pote-re esecutivo; i partiti non sonopiù gli interlocutori privilegiatidell’amministrazione politica,che invece risponde a degli inte-ressi particolari; i mezzi di co-municazioni di massa, e non la

scuola o l’università, diventanoil luogo dell’egemonia cultura-le. Questi processi portano anuove forme di consenso plebi-scitario unite a nuove forme dilegittimazione tecnocratiche.In realtà, scrive l’autore, nonsiamo di fronte ad una crisi, almarcire della democrazia, néal ritorno dei fascismi. Lo Statoautoritario è la nuova forma de-mocratica degli stati capitalistinella fase attuale.

DEMOCRAZIASVENDESI

Larilettura

Nicos Poulantzase lo Stato autoritario

Di recente, il sociologo tedesco Wolfgang Streeckha argomentato che la fine del capitalismo puòvenire dalla debolezza, piuttosto che dalla forza,

dell’opposizione anti-neoliberista.Lasciato a se stesso, senza limiti, l’ingordigia del capita-

lismo porterebbe infatti alla distruzione (al momento instadio avanzato) di quelle risorse umane a materiali dicui esso stesso ha bisogno per sopravvivere. Un argomen-to simile si potrebbe articolare anche rispetto alla Unio-ne Europea. All’indomani di elezioni che, per (mancanzadi) partecipazione ed esiti hanno mostrato tutta la insof-ferenza dei cittadini europei rispetto a questa Europa, il

Partito Popolare Europeo (principale perdente in terminidi elettori in uscita) e, quel che è peggio, un Partito Socia-lista Europeo che non è riuscito a presentarsi come alter-nativa, procedono come se nulla fosse stato: con il soste-gno bi-partisan al Popolare Jean-ClaudeJuncker—Mister Crisi, nonché Mister Austerità—alla pre-sidenza della Commissione Europea e l’elezione (con ac-cordo di rotazione Pse-Ppe di Martin Schultz, Socialistacriticato persino in patria per un peregrino poster eletto-

rale dove si leggeva «solo se voti per Martin Schultz el’Spd può un tedesco diventare presidente della Commis-sione Europea». In più, esponenti di entrambi i partitivantano la salda maggioranza europeista nel parlamentoeuropeo—rimuovendo la presenza, in quella presuntamaggioranza, di presenze imbarazzanti e ben poco euro-peiste, da Forza Italia di Silvio Berlusconi al Fidesz diVictor Orban. Ppe, Pse e chi con loro sembrano avere fret-ta di dimenticare che, secondo i sondaggi dell’Eurobaro-metro, la percentuale dei cittadini che ha fiducia nellaUe è scesa dal 57% nel 2007 al 31% nel 2013. CONTINUA |PAGINA II

Dove portanole riforme

Donatella della Porta

Il trentennio neoliberista ha divorato la democrazia liberale, facendo carta straccia dei dirittisociali, lasciando spadroneggiare la finanza e riducendo i poteri degli Stati. La questionedemocratica si ripropone con la partecipazione e la resistenza contro l'assolutismo dei privilegi

Sbilanciamo l’Europa

Claudio Gnesutta

Perseguire l’eguaglianza politicatra individui che, dal punto di vi-sta economico, sono diseguali

per fortuna, talenti e potere.È questa la contraddizione di fondo

che segna il rapporto tra democrazia li-berale e capitalismo, al di là del loro co-mune riconoscimento dei diritti indivi-duali.

Di qui la tensione ineliminabile trala logica dell’efficienza produttiva (i va-lori dell’«economia») e quella dei biso-gni di solidarietà e giustizia sociale (ivalori della «società»); la soluzione, fi-nora, l’ha offerta la «politica», con pro-poste di compromessi, socialmente ac-cettati, tra diritti sociali e necessità eco-nomiche.

Tali compromessi assumono spessoun carattere «costituzionale», esplicita-ti nella legge fondamentale e incorpo-rati nelle istituzioni sociali e politiche.Nel dibattito recente la questione dellademocrazia è stata ridotta al mantradelle «riforme e governabilità» in no-me dell’efficienza.

Siamo nel mezzo di una revisione«costituzionale» che vuole riformare lademocrazia del welfare, cambiare leistituzioni esistenti per assicurare unamaggior efficienza economica. è unprocesso che espropria il popolo dallasovranità politica, non solo per il pote-re delle burocrazie di Bruxelles, ma peril «decisionismo» di Matteo Renzi e lamarginalizzazione del Parlamento qua-le sede delle scelte collettive.

La ritirata della democrazia aprenuovi spazi al mercato e a livello inter-nazionale gli assetti istituzionali vengo-no adeguati alle esigenze del potere fi-nanziario. Ovunque troviamo nuovenorme e procedure in cui la contrattua-lità privata fa premio sulle decisionipubbliche; il potere sanzionatorio vie-ne trasferito dallo Stato a sedi ad essosovraordinate; si prefigura una subor-dinazione dei diritti sociali (dei deboli)a quelli economici (dei forti).

Di fronte alle voci che denuncianotale deriva, la politica resta in silenzio.Si riduce il problema all’ onerosità deidiritti sociali, la cui soluzione consiste-rebbe nel loro ridimensionamento.Ma i costi del welfare sono l’altra fac-cia dell’organizzazione sociale e dellastruttura dell’economia, divisa tra pro-duzione tra merci vendute sul mercatoe fornitura di beni pubblici (salute,istruzione, sicurezza sociale, etc.).

È quest’ultima a essere sotto attac-co; i beni pubblici sono essenziali peril benessere delle persone, anche se illoro «valore» non sempre fa crescere ilPil. È su questi che si decide insieme,con gli strumenti della politica e dellademocrazia. Una riforma in senso pu-ramente efficientista riflette lo svuota-mento del processo democratico. Lasecca richiesta di governabilità per rea-lizzare tali riforme esprime la subalter-nità della politica all’egemonia cultura-le neoliberista.

La liquidazione del welfare state distampo europeo e delle prospettive diuna piena cittadinanza rischia di intac-care le stesse basi sociali del sistemaeconomico. Il capitalismo, in realtà, do-vrebbe temere più la debolezza che laforza del suo antagonista sociale.

La questione democratica si pre-senta, di questi tempi, come ricer-ca di consenso (per lo più passivo)alle trasformazioni neoliberistedai rilevanti contenuti costituzio-nali. Con i loro contenuti indefini-ti, i termini riforme e governabilitàhanno la funzione di espropriarequell’aspirazione verso una demo-crazia sostanziale che ha costitui-to l’obiettivo politico del passatocinquantennio.

Tener ferma quella visione della de-mocrazia resta il compito della politica.

Teresa Pullano

VENERDÌ 11 LUGLIO 2014 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N˚24 SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO

Page 2: Sbilanciamo l’Europasbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/24Sbilanciamo_l_Europa... · Quella che viviamo non è una crisi della democrazia, ma una sua nuova fase. Questa

La sfiducia e il pessimismo dei cittadiniper questa Europa neoliberista

DALLA PRIMA PAGINADonatella della Porta

MOLTISSIME PERSONE SONO ORMAI CONSAPEVOLI DEL FATTO CHE L’ORIGINEDELLA CRISI DEI DEBITI SOVRANI NON RISIEDE NEL COMPORTAMENTO POCOVIRTUOSO DEI GOVERNI BENSÌ NELLA SPREGIUDICATEZZA DELLE BANCHE A CUISI È CONCESSO DI OPERARE IN UN CONTESTO DEL TUTTO DEREGOLAMENTATO

Thomas Fazi

Sulla relazione tra politiche econo-miche e fiscali europee e crisi del-la democrazia abbiamo rivolto al-

cune domande a Hugo Radice, docen-te all'Università di Leeds.

In che modo il Fiscal Compact puòrappresentare un problema per la de-mocrazia?I limiti all’esercizio degli strumenti

democratici di decisione e controllo inmateria di politica fiscale hanno co-minciato a materializzarsi in Europasin dalla sottoscrizione del trattato diMaastricht venti anni fa. In questo mo-do da un lato si è affievolita la capacitàdei parlamenti nazionali di gestire econtrollare i propri bilanci, dall’altro sisono cominciate ad adottare politichepromosse e garantite nella loro applica-zione da un organismo non elettivo, laCommissione Europea. Tuttavia, nellafase di vigenza dei vincoli di Maastri-cht i parlamenti nazionali manteneva-no la possibilità di coalizzarsi e contrat-tare all’interno della Commissione perindirizzare o bloccare decisioni ritenu-

te distanti dagli interessi dei propri elet-torati. In seguito alla crisi dei debiti so-vrani nell’eurozona, la Germania ed ipaesi ad essa alleati hanno ottenutoche i nuovi e più rigidi vincoli alla poli-tica fiscale degli Stati membri fosseroaccompagnati da una serie di strumen-ti sanzionatori azionabili dalla Com-missione. Il Fiscal compact autorizzala Commissione a ricorrere presso laCorte di Giustizia per obbligare ogniStato firmatario a rimanere entro ilnuovo limite, lo 0,5% per il cosiddettodeficit strutturale, pena la riduzionedei fondi europei assegnati o altre san-zioni.

Perché il concetto di deficit struttu-rale può essere così pericoloso e inche modo è connesso al tema dellademocrazia?Non solo economisti radicali ma an-

che molti appartenenti al cosiddettomainstream neoliberale hanno eviden-ziato due elementi fondamentali legatiall’uso del deficit strutturale comeobiettivo di politica economica. Primo,il deficit strutturale non può essere mi-surato oggettivamente durante il pro-cesso di formazione del bilancio. Se-

condo, i sistemi di misurazione attual-mente in uso sono distorti: durante lerecessioni, vi è una sovrastima del defi-cit che conduce a tagli di spesa (o adaumenti delle tasse) forieri di un ulte-riore peggioramento delle recessionistesse.

Lei ha affermato che il Fiscal com-pact è un esempio perfetto di quellache definisce «la politica della depoli-ticizzazione». Cosa intende?La depoliticizzazione si verifica

quando il controllo delle politiche pub-bliche passa da organismi elettivi co-me i parlamenti a soggetti «esperti»non eletti. L’esempio più calzante èquello della politica monetaria, sottrat-ta quasi ovunque ai Ministri dell’Eco-nomia, tradizionalmente soggetti alcontrollo dei parlamenti, e attribuita al-le Banche Centrali ed ai loro governato-ri. Questo passaggio può sembrare po-co importante considerando che i go-vernatori delle Banche Centrali sono aloro volta nominati dai governi, tutta-via, il presupposto di questo trasferi-mento di poteri è stato esattamentequello di sottrarre ai parlamenti la pos-sibilità di adottare politiche fiscali e di

stimolo di breve termine in tutti i casiin cui queste fossero invise alla BancaCentrale.

Il premier Renzi è stato ampiamentelodato dalla stampa europea perchésembrerebbe volersi impegnare perottenere un approccio più flessibilealle regole di bilancio in Europa. Co-sa ne pensa?Questo riflette il crescente malcon-

tento pubblico rispetto alle politiche diausterità. Moltissime persone sono or-mai consapevoli del fatto che l’originedella crisi dei debiti sovrani non risie-de nel comportamento poco virtuosodei governi bensì nella spregiudicatez-za delle banche a cui si è concesso dioperare in un contesto del tutto dere-golamentato. L’attuale presa di posizio-ne di Renzi in Europa sembra esseremotivata principalmente dalla necessi-

tà di non perdere il proprio consensoelettorale, tuttavia, va comunque consi-derata una mossa positiva.

Cosa dovrebbe prevedere una realedemocratizzazione dell’Unione Euro-pea?Innanzitutto un’inversione della logi-

ca neoliberista che ha guidato le deci-sioni negli ultimi trenta anni. Questo ri-chiederebbe un riallineamento che ri-metta assieme i partiti di sinistra, quel-li ecologisti e le rimanenti componentiprogressiste. È necessario ripartire dal-le conquiste ottenute in questi annidai movimenti popolari e di base. Sisente il bisogno di una politica di spe-ranza che abbia l’ambizione di un radi-cale cambiamento dal basso. Ma altempo stesso sarebbe secondo me unerrore abbandonare il sogno di un Eu-ropa unita e pacifica.

VENERDÌ 11 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚24 - PAGINA II

Il Fiscal Compacte la depoliticizzazioneIntervista a Hugo Radice, docente all'Università di Leedssulle politiche economiche e fiscali europee: «È necessario ripartiredalle conquiste ottenute dai movimenti popolari e di base»

La percentuale di cittadini cheha una immagine positiva del-l’Europa è scesa nello stesso pe-

riodo dal 52 al 31% e quella di coloroche sono ottimisti rispetto ai futuri svi-luppi della Ue è crollata dai due terzi al-la metà della popolazione. E che, sequesti sono i valori medi, la situazioneè di gran lunga più drammatica nei pa-esi più colpiti dalla crisi. Questi dati ri-flettono una profonda crisi di respon-sabilità della versione politica del neoli-berismo, nella quale la Ue è considera-ta principale promotrice. NeL 1970,Habermas aveva collegato la crisi eco-nomica ad una crisi di legittimità, pro-dotta dalla incapacità dello stato di ri-solvere i problemi del mercato. Se Ha-bermas si riferiva allo stato interventi-sta della versione fordista, nel capitali-smo oggi l’effetto di delegittimazionedelle istituzioni politiche viene da unacrisi di responsabilità legata alla rinun-cia delle istituzioni politiche di garanti-re fondamentali diritti di cittadinanza.In estrema sintesi, mentre negli anni’80 gli Stati furono accusati di spende-re troppo e si allontanarono dalle poli-tiche economiche keynesiane di pienoimpiego, il post-fordismo ha portato auna riduzione del welfare e a un au-mento delle disuguaglianze sociali.

Deregolamentazioni, privatizzazionihanno rappresentato i principali indi-rizzi di policy giustificati dal bisogno diristabilire l’efficienza del mercato. Taliinterventi non hanno aiutato a miglio-rare la concorrenza, ma piuttosto in-centivato la concentrazione del poterenelle mani di poche multinazionali,con una conseguente crisi economicache affonda le sue radici non nella scar-sità o nell’inflazione, ma piuttosto inun processo di mancata redistribuzio-ne. Dal 2008, il debito pubblico è au-mentato, non a causa di investimentiin servizi sociali o a supporto di gruppi

sociali vulnerabili, ma piuttosto a cau-sa di ingenti iniezioni di denaro pubbli-co a favore di banche e istituzioni fi-nanziarie in dissesto finanziario cheavevano operato drastici tagli sulle tas-sazione dei capitali. Questo svilupponelle interazioni fra stato e mercato siè trasformato in corruzione della de-mocrazia rappresentativa attraverso lasovrapposizione fra potere economicoe politico. Dal punto di vista del siste-ma politico, questo comporta una ri-nuncia di responsabilità da parte delleistituzioni rappresentative di fronte al-le istanze dei cittadini.

Contro le promesse neoliberiste didifesa del mercato dallo stato, studiosidi varie discipline focalizzano l’atten-zione su due elementi. Da un lato, la se-parazione fra economia e politica èpresente raramente, i governi devonoinfatti rimediare la presenza di falli-menti del mercato, e i mercati hannobisogno di leggi. Dall’altro, la capacitàdegli stati di garantire i diritti dei citta-dini è drasticamente ridimensionatadalle politiche di privatizzazione, libe-ralizzazione, e deregolamentazioneche hanno permesso la concentrazio-ne del capitale attraverso legislazionifavorevoli. Gli stati sono accusati diabrogare i diritti sociali al fine di au-mentare i profitti e le rendite di pochiprivilegiati, poiché infatti il neoliberi-smo implica l’abolizione di molte leggie regolamentazioni orientate al con-trollo dell’economia. Inoltre, il neolibe-rismo si è fondato – e, come ColinCrouch ha sottolineato, è stranamentesopravvissuto alla sua stessa crisi- so-prattutto attraverso il trasferimento diun’ampia quantità di denaro dalle mul-tinazionali ai politici. Liberalizzazioni,deregolamentazioni e privatizzazionihanno infatti portato a corruzione elobby selvagge, anche a livello euro-peo. Allo stesso tempo così come le

multinazionali comprano le decisionipolitiche, emerge il tentativo di presen-tare queste stesse decisioni come «apo-litiche», con l’obiettivo di legittimarneil risultato come un benigno interven-to di regolamentazione che l’UE ha cer-cato di raggiungere. Lo spazio per le de-cisioni politiche è stato negato da poli-tici di differenti bandiere sulla base diun’assunta predominanza di «logichedi mercato», soprattutto nel caso deimercati internazionali. L’obiettivo de-mocratico di ottenere fiducia da partedei cittadini è stato, nei fatti, retorica-

mente sostituito dalla ricerca di una «fi-ducia del mercato», che è ottenuta an-che a spese di una insensibilità versole istanze dei cittadini. La responsabili-tà degli stati democratici di fronte ai lo-ro cittadini è stata rimossa in nome delrispetto di condizionalità esterne – in-cluse quelle imposte dall’Ue agli Statiper l‘accesso a prestiti- che hanno im-posto tagli alla spesa pubblica, conconseguenze drammatiche in terminidi violazioni dei diritti umani fonda-mentali quali diritto al cibo, alla salute,e all’abitazione. La responsabilità de-

mocratica è pertanto ridotta dall’irre-sponsabilità delle organizzazioni inter-nazionali che impone queste condizio-nalità, mettendo a repentaglio le sceltepolitiche. Senza controlli e limiti, la cri-si di responsabilità che investe le istitu-zioni politiche ai vari livelli in Europa èdestinata a incancrenirsi. È importan-te la capacità di opporsi a queste visio-ni di Europa da parte di quelle forzeche - anche nel parlamento (da Siryzaa Podemos, ai Verdi e anche, nonostan-te le stolide alleanze, il M5s - possonoessere portatrici di un’altra Europa.

Page 3: Sbilanciamo l’Europasbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/24Sbilanciamo_l_Europa... · Quella che viviamo non è una crisi della democrazia, ma una sua nuova fase. Questa

Chiamiamo abitualmente demo-crazia liberale il regime demo-cratico nel capitalismo. Si sono

sempre contrapposte, già nell'800, duetesi: la componente liberale consistesia nella convivenza con il capitalismosia nello stato di diritto.

Si tratta di fattori che devono limita-rei potenziali eccessi democratici. Neicasi migliori si immagina una felicecombinazione dei tre fattori socioistitu-zionali in gioco. L'altra tesi invece dapiù peso, coerentemente con il dettatodelle costituzioni più recenti, al fattoredemocratico e quindi in pratica ipotiz-za che lo stato liberale debba ed anchepossa - senza danno per il capitalismo,anzi salvandolo in un certo senso daisuoi eccessi – crescere fino a diventarestato sociale, come stato cioè in gradodi garantire pari opportunità ed espan-sione delle capacità e delle libertà.

Si accetta in questo caso, pur conqualche preoccupazione, l'aumentodel peso del prelievo fiscale, l'allunga-mento della lista dei diritti sociali e civi-li da soddisfare, insomma una espan-sione della funzione pubblica. Semprenei limiti comunque di quanto richie-sto dal processo di accumulazione. Lademocrazia liberale oscilla storicamen-te tra il polo di uno stato liberale ten-denzialmente minimale con una fun-

zione pubblica ridotta, e che lascia di-spiegarsi a pieno gli animal spirits ac-quisitivi e accumulativi, e il polo diuno stato sociale con funzione pubbli-ca estesa, centralità del nesso fiscale, eprove di governance del processo capi-talistico.

I puristi pensano che solo nel primocaso la dizione sia appropriata, mentreconsiderano il secondo polo come unadegenerazione pericolosa. Essi fonda-no il sociale demo-capitalistico (chia-miamolo così) su alcuni motivi essen-ziali: la brama di possesso o greed, o ilmotivo del profitto; l'autonomia del-l'individuo come monade asociale; lostato solo guardiano delle leggi essen-ziali. All'inizio questi argomenti aveva-no probabilmente una motivazioneprincipalmente ideologica, antisociali-sta insomma.

Oggi però si tratta di altro: alle spalledegli argomenti contro una funzionepubblica allargata c'è l'imperativo ma-teriale di aprire o costruire per il capita-lismo sempre nuovi mercati, e quindisempre nuove forme di merce. Nessunbene o risorsa può sfuggire: organi,prodotti culturali vecchi e nuovi, benivirtuali e digitalizzati, conoscenza, ca-pitale sociale, capitale umano anchenelle sue forme più intime e idiosincra-tiche, e naturalmente tutto ciò che fi-nora è rimasto “in comune”. Tutto de-ve essere spacchettato, spogliato dellasua veste sociale, e reso accessibile al

mercato. Il motivo di questa tendenzache non rifiuta carceri e magari penadi morte affidate ai privati, o formazio-ni militari mercenarie al posto del-l'esercito nazionale, o la corruzione sugrande scala per ammorbidire le ulti-me difese non solo dello stato socialema anche di diritto, è che una funzio-ne pubblica allargata sottrarrebbe trop-pi beni al mercato.

E naturalmente a sostegno di questatesi virulenta c'è l'argomento che ilmercato è il migliore allocatore di risor-se possibile. Per i beni in questione etanti altri analoghi per la verità non c'ètraccia di una possibile dimostrazionedella veridicità dell'assunto, né teoricané empirica.

Le condizioni che il mercato dovreb-be soddisfare per approssimare alme-no tale tesi sono troppo esigenti per es-sere relaistiche ed anzi sarebbero in di-retta contraddizione con gli imperativieffettivi di quello, anche per ridere enon solo piangere, chiamiamo turbo-capitalismo.

Al contrario si potrebbe segnalareche le privatizzazioni (spacchettamen-to di parti di funzione pubblica per ilmercato) sono state quasi ovunque unenorme affare per il capitalismo dellerendite e della finanza, con la creazio-ne di nuovi oligopoli, abusi di posizio-ne dominante e altre forme di commi-stione e corruzione specificamente delceto politico. C'è qui un paradosso in-

terno: si parla di mercato, ma in effettinon si sa bene come spiegare allora ilruolo militante del lobbismo, sia aWashington sia a Bruxelles, cioè la ne-cessaria esistenza di un mercato politi-co delle decisioni economiche, che sur-roga e sostituisce il mercato «libero».La corruzione diretta e indiretta dei de-cisori non è mai lontana e il capitali-smo mostra con ciò di dipendere dascelte pubbliche e da finanza pubbli-ca, non di essere capace di fare megliole cose, una dimostrazione impossibi-le nella maggior parte dei casi.

Piuttosto si parlerebbe di fallimentodel mercato: brutality (come diceSaskia Sassen), corruzione e distorsio-ne di risorse pubbliche sono la condi-zione per l'attività di mercati importan-ti, in ogni settore di attività.

Non si tratta di deviazioni dalla nor-ma o dalla normalità, ma di caratteriintrinseci non emendabili. In sostan-za, per avere nuovi mercati occorreavere non solo meno stato sociale maanche meno stato di diritto, e bisognaasservire il più possibile la politica alleesigenze della redditività privata.

Così il momento neolib è la confuta-zione delle premesse liberali, e mentreil neolib è un arma violenta per l'affer-mazione di una strategia alla fine anti-democratica, il pensiero liberale non èmai andato oltre una dignitosa difesadi principi, la correzione puntuale di«deviazioni» come mostra tutta la sto-

ria dell'antitrust.Ora si tratta di vedere fino a che pun-

to sia possibile destrutturare la funzio-ne pubblica e quindi tagliare beni es-senziali per lo sviluppo, per capacita-zioni, per stati di benessere senza dan-neggiare la democrazia stessa. È sem-plice immaginare che questa richiedala soddisfazione di livelli minimi essen-ziali di bisogni collettivi.

Altrimenti viola le proprie promessee premesse normative e costituzionali,come nei paesi oggi in Europa più de-vastati dalle terapie neolib di austerità.I livelli di diseguaglianza sempre mol-to alti e attenuati solo nel trentenniopostbellico per l'elevamento generaledei redditi e dei livelli di vita sono unforte limite per processi democraticinon meramente rituali e strumentali.Ridurre la funzione pubblica significaridimensionare la democrazia.

Questo alla fine il sogno non tantosegreto dell'ideologia neolib. Essa ren-de evidente l'ossimoro di una demo-crazia liberale che fallisce nel tentativodi trovare un equilibrio tra democraziae capitale.

La democrazia liberale diventa im-possibile e alla fine risulta indifferenteo inutile per il capitalismo.

La formula democrazia liberale si èdissolta nelle entropie della globalizza-zione e della mercificazione globale.Occorrerebbe trovarne un'altra. Per leragioni dette oggi la democrazia non èpiù liberale, e d'altra parte essa non ap-pare all'altezza delle sfide del globale edel tipo di capitalismo con cui dovreb-be convivere. La democrazia ha sensocome lavoro alla riduzione delle dise-guaglianze locali e globali, e come lavo-ro per rendere più umano – quale chesia poi la forma concreta - ogni proces-so, economico e non.

La ricostruzione su basi razionali diuna funzione pubblica è al centro diogni disegno di rilancio del processodemocratico, ormai di fatto già moltooltre il quadro di riferimento della de-mocrazia liberale. Che sarebbe statademocratica e liberale se fosse stata ca-pace di «domare il mostro» (Bobbio),ma è qui che è fallita.

ALLE SPALLE DEGLIARGOMENTI CONTROUNA FUNZIONE PUBBLICAALLARGATA C'È L'IMPERATIVOMATERIALE DI COSTRUIREPER IL CAPITALISMO NUOVIMERCATI E NUOVE FORMEDI MERCE. NESSUN BENEO RISORSA PUÒ SFUGGIRE:ORGANI, PRODOTTICULTURALI VECCHI E NUOVI,BENI VIRTUALI E DIGITALIZZATI

VENERDÌ 11 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPA

N˚24 - PAGINA III

Carlo Donolo

La morte annunciatadella democrazia liberaleC’è un’oscillazione storica tra il polo di uno Stato liberale tendenzialmente minimalecon una funzione pubblica ridotta, che lascia dispiegarsi a pieno gli «animal spirits»acquisitivi e accumulativi, e il polo di uno stato sociale con funzione pubblica estesa

Page 4: Sbilanciamo l’Europasbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2017/05/24Sbilanciamo_l_Europa... · Quella che viviamo non è una crisi della democrazia, ma una sua nuova fase. Questa

Per le multinazionali,diritti senza alcun dovereIl Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu ha votato una risoluzione storicaper l'avvio di un processo che porti a uno strumento legalmente vincolanteper il rispetto dei diritti umani da parte delle grandi corporations

Andrea Baranes

Lo scorso 26 giugno il Consiglioper i Diritti Umani dell'Onu havotato una risoluzione storica

per l'avvio di un processo che porti auno strumento legalmente vincolanteper il rispetto dei diritti umani da partedelle imprese multinazionali. La risolu-zione è passata con 20 voti a favore, 13astensioni e 14 contrari. Tra questi ulti-mi, l'Italia, intervenuta per conto del-l'Unione Europea, assieme a Francia,Germania, Inghilterra, Stati Uniti e al-tri Paesi del Nord del mondo.

Il voto contrario viene spiegato so-stanzialmente con tre argomenti: pri-mo, in ambito Onu esistono già delle li-nee guida su imprese e diritti umani,promosse nel 2011, e i due processi ri-schiano di sovrapporsi; secondo, spet-ta ai singoli Stati promuovere e fare ri-spettare le leggi; in ultimo tale provve-dimento si applicherebbe alle impresemultinazionali, mentre possono an-che essere imprese locali a violare i di-ritti umani.

Vediamo tali argomenti più da vici-no. Sul primo, le linee guida approvatenegli scorsi anni sono effettivamenteun primo passo per riconoscere una re-sponsabilità anche delle imprese nellatutela e rispetto dei diritti umani, manon hanno alcuna forza coercitiva. Almomento si possono equiparare aun'iniziativa di responsabilità socialedi impresa: dei principi del tutto condi-visibili ma non vincolanti, in assenzadi un potere di implementazione e san-zione in caso di violazioni. È parados-sale come le iniziative di responsabili-tà sociale, che per definizione dovreb-bero andare oltre le leggi esistenti, ven-

gano oggi all'esatto opposto sfruttateper cercare di indebolire e non adotta-re normative necessarie quanto urgen-ti. Secondo, sul fatto che la prima re-sponsabilità in materia di diritti umanispetti ai singoli Stati nulla da obiettare,ma è davvero difficile non riconoscerei limiti di leggi ferme alle frontiere e al-l'idea di Stato-nazione a fronte dellostrapotere di imprese multinazionali li-bere di muoversi nel mondo tra lun-ghissime catene di sub-fornitura esub-appalti, paradisi fiscali, societàanonime e scatole cinesi societarie.

Poco più di un anno fa il crollo delRana Plaza causava oltre 1.000 vittimein Bangladesh. Un solo, tragico esem-pio più che sufficiente per mostrare co-me le imprese inseguano le legislazio-ni più deboli in ambito di diritti del la-voro, ambientali o sui diritti umani perdelocalizzare le produzioni, mentre gliStati sono impegnati in una gara versoil fondo negli stessi ambiti per attrarreinvestimenti e capitali.

A oggi molti dei marchi del settoretessile coinvolti non hanno ancora ri-conosciuto le proprie responsabilità,né hanno contribuito al fondo per il ri-sarcimento dei parenti delle vittime. Ilmotivo è semplice: il risarcimento è ri-chiesto proprio in base alle linee guidaOnu su imprese e diritti umani, nonvincolanti, e lasciato quindi di fatto al-la buona volontà delle imprese di pa-garlo o meno.

Veniamo all'ultimo argomento: unmeccanismo vincolante penalizzereb-be le multinazionali mentre molte vio-lazioni sono commesse da imprese lo-cali. Se la legge deve essere uguale pertutte le imprese, sono le normative esi-stenti nei singoli Stati a dovere essereapplicate. Tutto questo mentre UE e

Usa sono attivamente impegnati nelnegoziato sul libero commercio transa-tlantico – Ttip. Uno dei capisaldi di ta-le negoziato è l'istituzione di un mecca-nismo di risoluzione delle dispute inbase al quale un'impresa può fare cau-sa a uno Stato tramite una sorta di tri-bunale speciale, composto da treesperti che si riuniscono a porte chiu-

se, e che decide senza appello se con-dannare un Paese sovrano. Disputeche possono riguardare anche richie-ste di rimborsi per potenziali profitti fu-turi che dovessero venire meno se ungoverno dovesse promuove una legge“eccessiva” in materia ambientale, so-ciale o sui diritti del lavoro. Un organototalmente a-democratico e al qualepossono rivolgersi unicamente gli inve-stitori internazionali, mentre le impre-se locali devono ricorrere ai tribunalinazionali e i cittadini non vi hanno ri-corso.

Nel difendere tale organo di risolu-zione delle dispute nel Ttip, la Com-missione ha sostenuto che fosse neces-sario perché alcuni investitori potreb-bero non sentirsi tutelati dai tribunalinazionali. In altre parole mentre sui di-ritti umani devono valere le leggi nazio-nali e si vota contro un percorso vinco-lante in sede Onu, per le multinaziona-li servono meccanismi ad hoc discussiin segreto su base bilaterale. Per i lavo-ratori del tessile nel Bangladesh sonopiù che sufficienti le normative locali,ma per le povere imprese multinazio-nali sono necessari tribunali sovrana-

zionali e su misura.Siamo oltre l'ipocrisia, oltre ogni de-

cenza. Questi sono oggi i rapporti dipotere tra «diritti» delle imprese tran-snazionali e diritti umani. Ttip da unaparte e voto all'Onu dall'altra rendonofin troppo evidente quanto ci sia da fa-re per ribaltare completamente le prio-rità e le politiche di questa Europa.

VENERDÌ 11 LUGLIO 2014SBILANCIAMO L’EUROPAN˚24 - PAGINA IV

Vincenzo Comito

Il blitzkriegfinanziario UsaAumentano i tentativi di Washingtondi applicare all’estero le proprie leggi

UN ANNO FA IL CROLLO DEL RANA PLAZA CAUSAVAOLTRE 1.000 VITTIME IN BANGLADESH. UN TRAGICOESEMPIO PER MOSTRARE COME LE IMPRESEINSEGUANO LE LEGISLAZIONI PIÙ DEBOLI IN AMBITODI DIRITTI DEL LAVORO O SUI DIRITTI UMANIPER DELOCALIZZARE LE PRODUZIONI. E GLI STATI SONOIN GARA PER ATTRARRE INVESTIMENTI E CAPITALI

Nelle ultime settimane le crona-che internazionali hanno regi-strato alcuni avvenimenti, che

hanno portato ad un nuovo livello iltentativo sempre più palese delle varieautorità statunitensi di spingere al-l’estremo l’applicazione extraterritoria-le delle proprie leggi in campo finanzia-rio. Si è messa in opera, con una spe-cie di blitzkrieg, una costruzione inedi-ta ed inaudita. Ricordiamo qui di segui-to in particolare tre episodi sul tema.

I bond argentiniMolti anni fa, nel 2001, l’Argentina,

non più in grado di ripagare per interoil capitale e gli interessi sui titoli pubbli-

ci già emessi, chiese ai suoi creditori diaccettare una ristrutturazione dei paga-menti. Più del 93% degli obbligazioni-sti aderì a suo tempo all’offerta; ma al-cuni vulture fund statunitensi acquista-rono allora sul mercato a prezzi moltoridotti un certo numero di titoli e apri-rono una procedura legale negli StatiUniti pretendendo il pagamento deibond a valore pieno.

Dopo varie vicissitudini che sono du-rate circa 12 anni, la Corte SupremaUsa ha dato loro ragione ed imposto algoverno argentino di pagare per interoi fondi. In caso contrario, gli stessi fon-di citati potrebbero far sequestrare i be-ni dello stato argentino in qualsiasi par-te del mondo e le corti Usa potrebberoobbligare gli intermediari finanziari adaiutare i creditori ad impadronirsene.

La sentenza permetterebbe, tra l’al-tro, a quelli che avevano a suo tempoaccettato la ristrutturazione del lorocredito, di pretendere ora l’intero. E lerisorse che l’Argentina aveva deposita-to di recente nelle banche occidentaliper far fronte alle scadenze prossimecon tali creditori, potrebbero essere se-questrate e potrebbe essere ostacolatol’ordinato pagamento delle stesse. Co-sa che sembra accadere oggi: l’Argenti-na aveva depositato circa 500 milionidi dollari in una banca statunitenseper ripagare una rata relativa al vec-chio accordo di ristrutturazione, mal’operazione è stata bloccata da un al-tro giudice statunitense ed ora il paeseapparentemente potrebbe essere co-stretto a dichiarare il default. Ovvia-mente tale soluzione del caso potreb-be impedire in futuro qualsiasi ristrut-turazione del debito sovrano di qualsia-si paese. Perché i creditori dovrebberoaccettarla se possono poi rivalersi perintero sequestrando i beni del debito-re? Ne soffriranno evidentemente so-prattutto i paesi più poveri, più sogget-ti a crisi di pagamento, ma anche leipotesi di ristrutturazione del debitogreco, portoghese o italiano diventanoora più remote.

Tra l’altro, si impedisce di fatto aglistati di ristrutturare il proprio debitoquando invece tale tipo di operazioneè largamente permesso per le impreseprivate tramite le procedure fallimenta-

ri, molto benevole negli Stati Uniti. Gliinteressi degli investitori dei vulturefunds alla fine contano più di quelli diun paese sovrano e dei suoi cittadini.

L’esempio della Bnp ParibasLa Bnp Paribas, una delle banche

più grandi del mondo, è accusata dal-le autorità Usa di aver disobbedito al-l’embargo posto a suo tempo in esse-re dal governo nei confronti di alcunipaesi, Cuba, Iran, Sudan, avendo effet-tuato transazioni finanziarie con esse,in particolare nel settore dell’energia.Queste transazioni si sono svolte noncoinvolgendo in alcun modo le filialiUsa della banca francese. Ora le autori-tà di controllo impongono non solouna penalità di circa 9 miliardi di dol-lari alla banca e il licenziamento di unrilevante numero di dirigenti dell’isti-tuto, ma vietano alla banca di effettua-re per un anno transazioni finanziariein dollari per quanto riguarda certeoperazioni, provocandole rilevanti ul-teriori difficoltà. Infine, arrivano a met-tere la banca sotto tutela dell’Fbi i percinque anni, essendo l’istituto obbliga-to in tale periodo a fornire tutti i dati ele informazioni di qualsiasi natura ri-chiesti dai vari enti.

Il caso della FatcaDi recente il legislatore statuniten-

se, nell’intento di combattere l’evasio-ne fiscale off-shore dei suoi concittadi-

ni ha approvato tra l’altro una legge, ilForeign Account Tax Compliance Act(Fatca), che è entrato in vigore ai pri-mi di luglio.

L’obiettivo della legge è quello di as-sicurare che tutti i redditi ottenuti ognianno da un cittadino americano, inqualsiasi parte del mondo ed in qualsi-asi moneta, vengano dichiarati al fiscoamericano. Incredibilmente la legge in-tima a tutte le istituzioni finanziariedel mondo di informare gli Stati unitisu tutte le attività possedute dai cittadi-ni americani o di essere altrimenti sot-toposte a pesantissime penalità.

Come commenta sempre l’Econo-mist, gli Stati Uniti usano delle dure mi-nacce per ottenere così una specie digigantesco outsourcing delle proprieattività di polizia fiscale, tra l’altro coni costi scaricati sulle stesse istituzioni fi-nanziarie.

E, in effetti, più di 77.000 entità ope-ranti nel settore nel mondo si sono giàdichiarate disposte a passare le infor-mazioni in materia alle autorità fiscaliamericane.

Ma, naturalmente, i grandi evasori fi-scali e i criminali che dovrebbero esse-re perseguiti dalla norma troverannocertamente il modo di evaderla.

Basta ricordare che gli Stati Uni-ti sono invece tra i più solleciti pae-si al mondo nel fornire rifugio aglievasori nei paradisi fiscali del De-laware e del Nevada.

ISSUN BOSHI Mayumi Otero eRaphael Urwiller firmanocongiuntamente – Icinori – molti deilavori che insieme concepiscono erealizzano. Il più delle volte inserigrafia. Quelli di queste paginesono tratti da uno dei loro ultimilibri, Issun Boshi. È la storia di unsamurai in miniatura che a dispettodelle dimensioni sa resistere allesirene dei potenti, e non rinuncia asostenere i suoi valori, i suoiprincipi. Gli uni e gli altri gliconsentiranno di aver ragione deiprepotenti e di conquistare la giustadimensione, il giusto peso. IssunBoshi, Orecchio acerbo 2014, 32pagine a colori speciali, 16,50 euro// www.orecchioacerbo.com