Samuel Colt - Armigeri del Piave · 2010. 12. 31. · 1847, nonostante fossero stati spediti il 28...

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97 N el corso della sua carriera Samuel Colt si trovò più volte nella condi- zione di dover difendere la propria idea di arma a rotazione dalle mire di alcuni costruttori suoi colleghi. Per quanto non risulti egli abbia mai espressamente dichiarato d’essere stato l’inventore del revolver (paternità inve- ce che i suoi avvocati erano soliti attribuirgli con forza ogni qualvolta si trova- vano di fronte a giudici e giurie), non si può negare che sia stato uno dei primi a individuare (e brevettare) gli elementi distintivi essenziali per il funzionamento ottimale di questa macchina, che con lui assunse indubbiamente una struttura moderna. 1 Nei decenni 1840-1850, risultava quindi assai problematico costruire un’arma a ripetizione (se non altro per gli evidenti vincoli imposti dal sistema di propulsione e accensione di allora), senza duplicare in modo più o meno in- tegrale non solo i particolari meccanici da lui messi su carta, ma soprattutto l’intero cuore del sistema in quanto tale, evitando quindi di violare la legge sui brevetti dell’epoca. All’inizio del XX secolo, quando ormai il revolver era giunto a definitiva maturazione, Charles W. Sawyer, autore di una delle prime monografie dedicate all’argomento, disse: “Egli risolse il problema così bene che nessun’altro trovò mai un metodo migliore del suo.” Ciò nonostante vi fu- rono parecchi fabbricanti contemporanei di Colt che si cimentarono in vari mo- di nello studio e nella realizzazione di armi con fasci di canne o culatte rotanti. 2 E in virtù del fatto che proprio il provvedimento che disciplinava i brevetti, involontariamente, ma frequentemente, apriva le porte ai doppioni e alle specu- lazioni, andrebbe spesa qualche parola su questa legge. Sia per inquadrare le circostanze che videro maturare il processo che ebbe protagonisti Colt e un suo concorrente, che per capire come mai, a partire dalla prima metà del XIX seco- lo, ed almeno fino al decennio 1860, vi furono negli Stati Uniti un numero così rilevante di cause giudiziarie in merito alle violazioni dei diritti di scoperta, riguardanti principalmente manufatti ma anche procedimenti chimici e tecnolo- gici applicati all’industria. IL SISTEMA DEI BREVETTI AMERICANO Dopo un paio di proposte di legge abortite ed alcune sessioni a vuoto del Congresso, la materia fu regolamentata per la prima volta con la Federal Patent Act del 10 aprile 1790 3 , la quale, nella sua essenzialità, non prevedeva Samuel Colt contro la Massachusetts Arms Co. GIORGIO CALORE

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    N el corso della sua carriera Samuel Colt si trovò più volte nella condi-zione di dover difendere la propria idea di arma a rotazione dalle mire di alcuni costruttori suoi colleghi. Per quanto non risulti egli abbia mai espressamente dichiarato d’essere stato l’inventore del revolver (paternità inve-ce che i suoi avvocati erano soliti attribuirgli con forza ogni qualvolta si trova-vano di fronte a giudici e giurie), non si può negare che sia stato uno dei primi a individuare (e brevettare) gli elementi distintivi essenziali per il funzionamento ottimale di questa macchina, che con lui assunse indubbiamente una struttura moderna.1 Nei decenni 1840-1850, risultava quindi assai problematico costruire un’arma a ripetizione (se non altro per gli evidenti vincoli imposti dal sistema di propulsione e accensione di allora), senza duplicare in modo più o meno in-tegrale non solo i particolari meccanici da lui messi su carta, ma soprattutto l’intero cuore del sistema in quanto tale, evitando quindi di violare la legge sui brevetti dell’epoca. All’inizio del XX secolo, quando ormai il revolver era giunto a definitiva maturazione, Charles W. Sawyer, autore di una delle prime monografie dedicate all’argomento, disse: “Egli risolse il problema così bene che nessun’altro trovò mai un metodo migliore del suo.” Ciò nonostante vi fu-rono parecchi fabbricanti contemporanei di Colt che si cimentarono in vari mo-di nello studio e nella realizzazione di armi con fasci di canne o culatte rotanti.2 E in virtù del fatto che proprio il provvedimento che disciplinava i brevetti, involontariamente, ma frequentemente, apriva le porte ai doppioni e alle specu-lazioni, andrebbe spesa qualche parola su questa legge. Sia per inquadrare le circostanze che videro maturare il processo che ebbe protagonisti Colt e un suo concorrente, che per capire come mai, a partire dalla prima metà del XIX seco-lo, ed almeno fino al decennio 1860, vi furono negli Stati Uniti un numero così rilevante di cause giudiziarie in merito alle violazioni dei diritti di scoperta, riguardanti principalmente manufatti ma anche procedimenti chimici e tecnolo-gici applicati all’industria.

    IL SISTEMA DEI BREVETTI AMERICANO Dopo un paio di proposte di legge abortite ed alcune sessioni a vuoto del Congresso, la materia fu regolamentata per la prima volta con la Federal Patent Act del 10 aprile 17903, la quale, nella sua essenzialità, non prevedeva

    Samuel Colt contro la

    Massachusetts Arms Co. GIORGIO CALORE

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    un’accurata valutazione tecnica delle domande né un ufficio apposito. Lasciava infatti ai funzionari incaricati il potere inappellabile di scelta e chi aveva neces-sità di garantirsi l’uso esclusivo di una propria idea (o di uno scritto) per un determinato periodo, non poteva far ricorso a nessun tribunale4. Agli albori dell’amministrazione americana chi sovrintendeva al rilascio delle patenti non era quindi una commissione dedicata allo scopo ma tre Ministri (bastavano in ogni caso due firme, oltre a quella del Presidente); il Secretary of State, al quale andava indirizzata la domanda, il Secretary of War e lo U. S. Attorney General. Quest’ultimo, malgrado il nome, non era un giudice (e non lo è tuttora) ma qualcosa di assimilabile al nostro Ministro della Giustizia, pur non esistendo ancora il relativo Ministero (Department of Justice), che fu infatti istituito solo nel 1870. Lo spessore culturale e la caratura morale di queste autorevoli perso-nalità, senza dubbio estranee a qualsivoglia questione tecnica, doveva in sé bastare a stabilire se la richiesta riguardava un’idea veramente nuova oltre che sufficientemente utile e importante quanto era necessario per meritare il sigillo del Governo. Naturalmente, dato il loro ruolo e i molteplici impegni, si occupa-vano di brevetti a tempo perso e si riunivano per lo scopo una volta al mese chiamando se stessi Commissioners for the Promotion of Useful Arts o più sem-plicemente Patent Board o Board of Arts. Benché la loro prima occupazione fosse la politica, alcuni di questi uomini erano in ogni caso dotati di notevoli capacità nei più svariati campi, non ultimo quello delle scienze applicate. Le decisioni di questa prima commissione erano essenzialmente vincolate ad una

    Il Blodgett Hotel a Washington fu la sede dell’Ufficio Brevetti dal 1810 al 15 dicembre 1836 quando un incendio lo distrusse quasi completamente, nonostante la caserma dei pompieri fosse a meno di 200 metri. Lo stabile era condiviso con il Washington Post Office

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    rigida morale più che a fattori tecnico-commerciali e il loro giudizio era duro e definitivo (tre brevetti rilasciati fino al dicembre del 1790, una trentina nel 1791, undici nel 1792, anche se queste cifre sono viziate dalla perdita di molti documenti). Una prima discriminante riguardava la descrizione dell’invenzione e il modello (o prototipo) i quali dovevano essere sufficientemente accurati da permettere ad un operaio esperto la sua riproduzione e il suo uso, di modo che alla scadenza della patente tutti potessero trarne beneficio. Un’altra legge però (la successiva Patent Act del 21 febbraio 1793, le cui radici si fondavano principalmente sul sistema inglese) si rese ben presto neces-saria, sia per l’insoddisfazione dei diretti interessati che per la concreta impos-sibilità dei tre Ministri di seguire personalmente il crescente numero di doman-de, nonostante ad un certo punto svolgessero il loro compito ognuno nel proprio ufficio, assistiti da un messo che correva a cavallo di un pony da una parte all’altra della capitale (in quegli anni ancora Philadelphia). Con le nuove norme si passò dalla massima rigidità all’estremo opposto, al punto che se la domanda era regolare nella forma (quindi con la richiesta giura-ta, la descrizione, il disegno, il modello e i due testimoni) non vi poteva essere rifiuto. Questa scelta si rivelò da subito inadeguata alla quantità e alla varietà delle domande che via via salivano di numero, portando ad un quadro globale caotico e mettendo in luce negli anni successivi tutte le sue lacune. Malgrado

    Colt Walker Whitneyville. Due esemplari fuori contratto di quest’arma - sembrerebbe senza matricola - arrivarono come dono personale di Colt al Capitano Samuel Hamilton Walker mentre era impegnato nei combattimenti contro le truppe regolari messicane. Il contributo di Walker allo sviluppo di questo particolare modello fu molto importante. I revolver erano arrivati in zona d’operazioni, al confine col Messico, ai primi di ottobre del 1847, nonostante fossero stati spediti il 28 luglio dal fratello di Colt, James B. e destaro-no grande interesse tra tutti gli uomini che ebbero modo di vederli. Le armi destinate alla Compagnia comandata da Walker arrivarono solo dopo la morte del Capitano, av-venuta il 9 ottobre 1847, benché la notifica della spedizione avesse la data del 8 luglio (Casa d’aste James D. Julia)

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    nel 1793 la Board of Arts fosse stata eliminata, il tentativo fatto per introdurre un organo tecnico fallì per almeno un paio di motivi; non si volle interferire con il libero sviluppo delle arti utili, né creare un nuovo ufficio che avrebbe necessariamente portato con sé altri dipendenti e altri stipendi (sic).5 Fu però aumentata la tassa per il rilascio che passò dai 4-5 dollari (a seconda di quanto era lunga la relazione che accompagnava i disegni o lo schizzo; 20 centesimi per cento parole) a 30 dollari. Una cifra molto alta per quei tempi, raggiungibile a fatica dai comuni mortali e che avrebbe sicuramente permesso all’Ufficio di navigare nell’oro. Ma nonostante gli introiti fossero sostenuti, ci furono sempre problemi finanziari dal momento che la tassa andava girata al Tesoro e per qualsiasi spesa si dovevano poi attendere gli speciali stanziamenti approvati dal Congresso (come aveva già previsto la Costituzione). Era abbastanza evidente che qualcosa non funzionava ma nonostante il suc-cedersi di un gran numero di processi, le richieste di molti parlamentari e le

    Particolare di una delle 1000 Colt Walker governative. Le armi arrivarono al deposito militare di New York in tre lotti tra il giugno e il settembre del 1847 e furono poi spedite agli U. S. Mounted Rifles e in parte ai Texas Mounted Volunteers, entro la fine dell’anno. Tenendo conto dell’armamento dell’epoca, l’impatto psicologico di questi potenti revolver dovette essere notevole, specialmente per quelli che li ebbero di fronte. Un esempio: ancora nel dicembre del 1846, ad un Reggimento a cavallo, istituito origi-nariamente per proteggere i coloni in viaggio sulla Pista dell’Oregon (nel nord-ovest degli Stati Uniti) ma subito inviato al confine col Messico per le necessità belliche, ven-nero consegnati, come dotazione individuale, un fucile Modello 1841 “Mississippi Rifle” e un paio di pistole a pietra Modello 1836 “Johnson” - fabbricate fino al 1844 (Casa d’aste James D. Julia)

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    continue lamentele dei primi interessati, ci vollero più di quarant’anni per un’importante legge di riordino. Fu infatti solo all’inizio del 1835 che il Senato nominò una commissione di studio, su richiesta del senatore del Maine John Ruggles (egli stesso interessato all’ottenimento di un brevetto), per capire lo stato in cui versava il settore. Il rapporto che ne venne fuori fu scoraggiante. Benché la legge del 1793 avesse previsto la carica di Director of Patents, la lettura tecnica dei documenti presentati e dei disegni era molto approssimativa e la concessione appariva poco più che una formalità (9957 furono i brevetti rilasciati nel corso della sua validità, dal 1793 al 1836). Il personale coinvolto, oltre al Direttore, comprendeva tre impiegati e un meccanico addetto alla ma-nutenzione e alla riparazione dei prototipi, ma risultavano comunque in forza al Department of State e naturalmente, escluso il Direttore, espletavano anche altre funzioni, almeno nei primi tempi. Lo stipendio del Direttore (o Superin-tendent) era composto in parte anche dalle tasse pagate per il rilascio dei docu-menti, ma egli non aveva ufficialmente titolo per rifiutare una domanda, né sui certificati vi era la sua firma. Il problema passava in seconda istanza alle Corti Circoscrizionali federali che dovevano occuparsi sia delle violazioni stretta-mente intese, che delle controversie tra i titolari dei brevetti che interferivano tra loro, dato che nessun filtro adeguato era posto in sede di valutazione tecni-ca.6 Ciò nonostante W. Thornton, Directors of Patents dal 1802 al 1828, esercitò un potere discrezionale veramente notevole, sebbene al Ministero il suo compi-to (relativamente ai brevetti) si limitasse appunto a quello dell’impiegato, per quanto di grado superiore. Egli fu oggetto di parecchie critiche, principalmente di natura parlamentare (anche per il fatto d’essere egli stesso titolare di un bre-vetto), ma il suo decisionismo si esprimeva anche in senso positivo. William P. Elliot infatti, all’epoca impiegato all’interno dell’Ufficio (che nel 1851 venne chiamato a testimoniare nel processo tra Colt e la Mass. Arms Co.), affermò dopo la morte di Thornton, di come il suo superiore non si facesse scrupolo a rilasciare brevetti anche senza il pagamento di alcuna tassa a quegli inventori che gli sottoponevano idee interessanti ma non disponevano di denaro suffi-ciente. Questo farebbe pensare che non si stesse troppo a controllare il rapporto tra i brevetti rilasciati e le tasse incamerate. Il risultato, messo ben in evidenza dalla relazione del senatore Ruggles, fu una proliferazione di certificati inutili e senza significato, spesso privi di valore e di interesse. Molti avevano contenuti non assoggettabili a nessun tipo di dirit-to. Ma quel che è peggio, ve n’erano in aperto contrasto senza che nessuno, al momento del rilascio, avesse avvisato i titolari richiedenti, col risultato che si può immaginare. Questa situazione, disse Ruggles, “[…] Comporta costi enor-mi per la comunità oltre ad essere avvilente per l’intero paese”. Nel periodo precedente l’approvazione della legge del 1836 (verosimilmente il pilastro legislativo del futuro sistema americano sulla prote-zione del diritto di scoperta), si assistette alla nascita di un commercio di bre-vetti. Bastava infatti cambiare qualche particolare marginale giocando in parti-

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    Brevetto n° 182 rilasciato a Daniel Leavitt il 29 aprile del 1837 “IMPROVEMENT IN MANY CHAMBERED CYLINDER FIRE ARMS”

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    colare sulle modalità descrittive, il nome del richiedente e dell’invenzione, pre-sentare la domanda e il gioco era fatto. Il nuovo titolare (al quale di solito non interessava produrre alcunché) vendeva tranquillamente i diritti del suo brevetto a qualcuno intenzionato a sfruttarlo ma ignaro della situazione, che si ritrovava col suo prodotto affiancato da oggetti simili o uguali e doveva intraprendere una costosa azione legale (a volte più d’una, tanto da sperperare un capitale) per proteggere quello che in buona fede credeva fosse esclusivamente di sua proprietà. Va da sé che il primo inventore, al quale era stata rubata l’idea, si trovava a sua volta denunciato, e ciò portava ad un circolo vizioso dal quale gli unici a trarre vantaggio erano gli avvocati. Il senatore Ruggles aveva stimato - non si sa come - in mezzo milione di dollari l’anno questo commercio truffaldi-no. La situazione cambiò in maniera apprezzabile con la legge approvata dal Congresso il 4 luglio 1836 che istituì per la prima volta, ma sempre sotto la giurisdizione del Dipartimento di Stato, un ufficio autonomo (Patent Office) con un proprio fondo (Patent Fund), gestito però attraverso il Ministero del Tesoro, oltre alla carica di Commissioner of Patents (3000 dollari l’anno di stipendio). La possibilità, da parte dell’Ufficio, di opporre un rifiuto al rilascio, fu compensata con la creazione di una Board of Examiners, composta da tre persone estranee ed imparziali nominate dal Secretary of State, la quale doveva anche occuparsi di risolvere i problemi dovuti a brevetti in contrasto tra loro. Naturalmente prima del rilascio. Alle dipendenze del Commissario c’era un impiegato capo (Chief Clerk) cui spettava l’effettivo controllo dei documenti registrati, dei prototipi e del sigillo ufficiale; un impiegato con funzioni di esaminatore (Examining Clerk); altri tre impiegati di grado inferiore (uno dei quali esperto disegnatore tecnico); un meccanico e un messo.7 I brevetti non vennero più firmati dal Presidente e da due ministri (prassi che allungava i tempi di rilascio in modo ormai insostenibi-le per i cittadini) ma dal solo Secretary of State e controfirmati dal Commissio-ner. Questi ultimi, assieme all’avvocato rappresentante il Ministero del Tesoro (Solicitor of the Treasury), formavano ora una commissione (abolita poi con la Patent Act del 1848) che tra le altre funzioni aveva il compito di concedere le extensions dietro pagamento di un’imposta uguale alla tassa di rilascio. Questa tassa rimase a 30 dollari per i cittadini americani e per chi risiedeva negli Stati Uniti da almeno un anno (o due, non è chiaro), ma lievitò a ben 500 dollari per i sudditi di Sua Maestà britannica e a 300 per i francesi e per tutti gli altri (cifre equiparabili a quelle che i cittadini americani pagavano per il rilascio di brevetti in quei paesi). Ai documenti venne assegnata da allora una matricola progressi-va a partire dal numero 1 (brevetto del 13 luglio 1836 del già visto senatore Ruggles, spesso considerato erroneamente il primo brevetto americano), siste-ma di numerazione mai più interrotto che lo U. S. Patent and Trademark Office conserva tuttora per quelli che vengono chiamati “utility patent”. Fino a quella data erano individuati solamente col nome dell’inventore e con una breve de-scrizione dell’invenzione stessa (anche se a volte, per esigenze meramente in-

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    terne, l’Ufficio vi si riferiva con un numero). Sono anche conosciuti come bre-vetti “name & date”. Il primo ad assumere la carica di Commissioner con la legge del 1836 era stato Henry Leavitt Ellsworth, già Sovrintendente dall’anno prima, proveniente da una famiglia molto blasonata. Il padre fu infatti alla Corte Suprema come Chief Justice e il gemello Governatore del Connecticut.

    Brevetto del 28 agosto 1849 n° 6669 di Edwin Wesson “METHOD OF CONNECTING THE HAMMER WITH THE CYLINDER OF A REVOLVING FIRE ARM”. Nel particolare la coppia conica che comandava la sola rotazione del tamburo. L’ingranaggio più gran-de ruotava sullo stesso asse del cane, quello più piccolo su quello del tamburo

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    I brevetti americani duravano in quel periodo 14 anni ma grazie ad alcune clausole - non presenti nella legge del 1790 - vi era la possibilità di ottenere un nuovo rilascio (reissue) o un’estensione temporanea (extension). Naturalmente quest’ultima doveva avvenire in prossimità della data di scadenza. Se il titolare dimostrava di non essere riuscito a realizzare in modo soddisfacente i guadagni che teoricamente quella scoperta gli poteva assicurare (per esempio se aveva perso tempo nell’allestire la produzione di un determinato prodotto prima di poterlo vendere con profitto oppure non l’aveva commercializzato per niente), poteva chiedere un’estensione che durava sette anni a partire dalla scadenza naturale. L’articolo recitava: “[…] An inventor who had lost the benefit of his invention during the continuance of the first term might have an extension”. Questa pratica ebbe inizio già dal 1807 e durò per parecchi anni. Diversamente, se riteneva di non aver descritto compiutamente qualche ca-ratteristica importante della sua invenzione, aveva l’opportunità di presentare un nuovo documento maggiormente particolareggiato e chiedere un nuovo rila-scio. “[…] An inventor who by reason of neglect or ignorance had not suffi-

    Un particolare del brevetto n° 7802 del 26 Novembre 1850 di Joshua Stevens che ri-guardava il sistema di blocco della canna sull’asse del tamburo, presente sul revolver Wesson & Leavitt. Il titolo del documento era: “IMPROVEMENT IN THE LOCKING AP-PARATUS OF REPEATING FIRE ARMS”

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    ciently described his inventing might surrender his patent and obtain a new one sufficiently describing it”. Con la Patent Act del 1861 la durata massima di tutti i nuovi brevetti fu por-tata a 17 anni senza più possibilità di proroga, tuttavia per un breve periodo dopo l’entrata in vigore della legge del 1836, la durata dei brevetti industriali (design patent) poteva essere rispettivamente di tre anni e mezzo, sette anni o quattordici anni a scelta dal richiedente e con tasse corrispondenti. Già a partire dall’agosto del 1836 vi fu una netta diminuzione del numero dei rilasci frutto dei nuovi regolamenti introdotti a luglio, principalmente per l’estrema cura con la quale ogni domanda veniva valutata. Nel 1837, anno in cui entrò a regime la legge, ci furono 435 rilasci a fronte dei 757 del 1835. Nei mesi compresi tra l’agosto e il dicembre del 1836, più dei due terzi delle domande presentate ven-nero respinte. Tenendo conto del fatto che le petizioni erano in costante e pro-gressivo aumento, si deve dedurne che il giro di vite fu sensibile. Colt, con l’abile assistenza dei suoi avvocati, sfruttò entrambe queste possi-bilità con successi alterni. In concomitanza con l’apertura della sua fabbrica in Pearl Street ad Hartford, chiese una reissue dell’originario brevetto del 1836, concessa il 24 ottobre 1848 col n° 124 e il 10 marzo dell’anno dopo gli venne concessa una extension fino al 1857, anche in virtù del fatto che la produzione delle sue armi si era fermata nel 1842 e non era ripresa fino alla primavera del 1847. Nel 1854 però i tempi erano ormai maturi perché l’idea venisse conside-rata di interesse nazionale e gli venne per questo motivo negata un’ulteriore estensione di altri sette anni. Il suo brevetto durò quindi 21 anni, fino al 25 feb-braio 1857 e gli dette un vantaggio formidabile sui concorrenti. Fatto interessante; la registrazione originale del primo brevetto di Colt andò a fuoco, assieme a tutte quelle raccolte a partire dal 31 luglio del 1790, durante l’incendio che la notte del 15 dicembre 1836 devastò l’hotel Blodgett nella E street di Washington. Si trattava di una costruzione risalente al 1793 (per qual-che tempo era stato anche il primo teatro della capitale) diventata la sede dell’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti dal 1810. In quello stesso periodo lo sta-bile era condiviso con l’ufficio postale della capitale e con il General Post Office, chiamato anche Post Office Department, anch’essi completamente di-strutti. Dei circa 10.000 brevetti andati persi (la cifra approssimativa viene fornita dall’attuale U. S. Patent and Trademark Office) solo 2845 vennero in seguito nuovamente registrati grazie alle copie che gli inventori avevano conservato o a nuove dichiarazioni che si rifacevano più o meno fedelmente ai precedenti do-cumenti. In anni recenti qualche casuale ritrovamento ha messo in evidenza come alcune delle ricostruzioni d’ufficio, successive al rogo, fossero state acco-modate con buona approssimazione rispetto dall’idea di base, in mancanza del documento originale, creduto perso (o tenuto nascosto dal titolare). Gli altri non vennero mai più ricuperati e il patrimonio perduto fu davvero notevole. Assie-me a quasi tutti i documenti andarono ridotti in cenere i preziosi prototipi im-magazzinati, circa 7000 pezzi, inclusi quelli depositati da Colt nel 1836 (una

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    pistola e un fucile costruitigli nel 1834 dall’armaiolo John Pearson di Baltimo-ra) e l’intera biblioteca tecnica in dotazione di circa 300 volumi. L’unica cosa che si salvò dal rogo fu un volume che uno degli impiegati si era portato a casa violando il regolamento. Si trattava di W. T. Steiger che con la benevola com-prensione del suo capo disegnava per conto terzi sfruttando l’esperienza acqui-sita all’Ufficio. Va ricordato ancora che diversi documenti, risalenti al periodo iniziale, an-darono persi o distrutti durante il raid inglese su Washington nell’agosto del 1814, avvenuto nel corso della guerra contro gli Stati Uniti del 1812-14, anche se, durante il saccheggio, l’unico edificio pubblico a salvarsi dagli incendi fu proprio il palazzo dove erano allora stipati i libri coi brevetti registrati e i mo-delli depositati. A questo proposito la leggenda vorrebbe che, davanti ad un Maggiore inglese che con la sua Compagnia aveva puntato un pezzo d’artiglieria sul palazzo per demolirlo, William Thornton, allora in carica come Director of Patents, gli si fosse piazzato di fronte dicendo con occhi fiammeg-gianti: “Siete inglesi o solo dei vandali? Questo è l’Ufficio Brevetti, depositario dell’inventiva e del genio americano, dove l’intero mondo civilizzato è rappre-sentato. Volete distruggerlo? Ebbene se è così dovrete sparare attraverso il

    Il gruppo di scatto e di blocco del tamburo concepito da Colt. Era protetto dal brevetto del 25 febbraio 1836

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    mio corpo”.8 Limitatamente al periodo precedente il processo del luglio 1851 e che qui interessa, il sistema di valutazione e concessione cambiò alcune volte. Per e-sempio, il preambolo del suo primo brevetto (legge del 1793) portava ancora la firma del Presidente (allora Andrew Jackson), e di due Ministri (John Forsyte, Secretary of State e Benjamin F. Butler, U. S. Attorney General). Per le exten-sions il compito spettava ad un’apposita commissione - formata dal Secretary of State, dal Commissioner of Patents e dal Solicitor of the Treasury - che pote-va sentire il parere (non vincolante) di un’altra commissione composta da De-putati della Camera dei Rappresentanti (pratica iniziata già nel 1807 anche se attraverso organismi differenti). Nel caso l’oggetto del brevetto potesse costitu-ire materiale d’armamento era necessario l’assenso del Ministero della Guerra. Nel 1849 tuttavia, quando Colt ottenne l’estensione che allungò la durata fino al 1857, la responsabilità ricadeva sul solo Commissioner (Patent Act del 1848) che si avvaleva di una relazione stilata dal Chief Clerk esaminatore addetto ad un determinato settore (legge del 1836). Per una maggiore comodità si era deci-so infatti di dividere i brevetti per classi - e sotto classi - di appartenenza, a se-conda del soggetto trattato. A partire dal 1849 l’Ufficio fu sotto la giurisdizione del Ministero degli Interni, creato in quell’anno anche, e soprattutto, per una più attenta gestione politica ed amministrativa delle Riserve Indiane.9 I brevetti rilasciati nel periodo compreso tra la prima Patent Act del 10 apri-le 1790 e l’approvazione della legge del 4 luglio 1836, sono ora archiviati e contraddistinti da una X (limitatamente a quelli ricuperati). Diversamente, quel-li depositati a partire dal n° 1 del 13 luglio 1836 fino al 15 dicembre dello stes-so anno, giorno dell’incendio, vennero tutti ricuperati e conservano tuttora la numerazione inizialmente assegnata. L’originario brevetto del 25 febbraio 1836, individuato anche col n° 138, è registrato attualmente col n° 9430-X. Di quelle gloriose invenzioni, ormai considerate alla stregua di reperti archeologi-ci, rimane naturalmente pochissimo, anche se all’epoca qualche soluzione fu davvero rivoluzionaria. Basti pensare alla sgranatrice di cotone di E. Whitney Senior (la famosa cotton gin copiata poi un po’ da tutti sebbene fosse brevettata dal 14 marzo 1794) e all’importanza che essa ebbe nello sviluppo dell’economia degli Stati del sud. Nonostante i brevetti fossero rilasciati dal Governo federale, che si limitava a schedarli e a garantirne, tramite la legge, lo sfruttamento esclusivo al titolare o ai suoi eredi o assegnatari se regolarmente registrati, rimanevano a tutti gli effetti dei documenti commerciali, quindi privati. (E come avrebbe potuto esse-re diversamente in quella che già allora era la patria del liberismo?) Fino a quando non intervenne il Secretary of State in persona (nel 1825), anche su parere dello U.S. Attorney General, i funzionari governativi non fornivano co-pie dei brevetti, nemmeno su specifica richiesta, neppure pagando i canonici 20 centesimi di dollaro per cento parole (solo nel caso in cui, nel corso di un pro-cesso, ve ne fosse stato bisogno, o su permesso scritto del titolare o se fossero scaduti). Nel periodo tra il 1790 e il 1793 invece - quando vi era Thomas Jeffer-

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    son a sovrintendere il rilascio - si fornivano copie dei documenti a pagamento e c’era la possibilità di studiare i prototipi (in verità ancora pochi). Naturalmente, durante i processi di quel primo periodo, era pressoché im-possibile conservare qualsiasi tipo di segreto e tutto diventava di dominio pub-blico. Proprio l’iniziale pratica di tenere segreti i brevetti (ciò avvenne con la legge del 1793) fu una delle cause che portò a doppioni di vario tipo dato che chi presentava una domanda (o semplicemente chi costruiva e vendeva qualco-sa senza preoccuparsi di brevettarla) non poteva avere cognizione di ciò che era già depositato e quindi protetto. Non aveva nemmeno la certezza matematica di essere avvisato nel caso egli stesso presentasse una domanda. Col tempo l’ufficio adottò una pratica (poi diventata legge) chiamata caveat system, attra-verso la quale si poteva depositare un’idea ancora in abbozzo, (pagando 20 dollari) che rimaneva segreta fin tanto che si metteva a punto e si presentava il

    In questo particolare del brevetto di Colt n° 1304 del 29 agosto 1839 “IMPROVEMENT IN FIRE ARMS AND IN THE APPARATUS USED THEREWITH”, la meccanica è sem-plificata rispetto al primo brevetto

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    progetto vero e proprio seguito dalla domanda di rilascio. Se entro un anno (ma il caveat era rinnovabile) qualcuno presentava una richiesta per qualcosa di simile, il primo richiedente veniva avvisato ed aveva la precedenza - nel caso avesse presentato la domanda definitiva entro tre mesi. Ma non sembrò servire a molto. Solo all’inizio del decennio 1840 l’Ufficio cominciò pian piano ad adottare una politica ispirata alla totale trasparenza collaborando col pubblico e con va-rie istituzioni tecniche, oltre che attraverso la diffusione di una pubblicazione periodicamente aggiornata in modo che qualsiasi cittadino potesse in ogni mo-mento sapere ciò che era protetto da diritti e ciò che non lo era.

    IL PROCESSO In questa situazione di estrema litigiosità (già nel decennio 1830 vi erano mediamente un centinaio di cause pendenti ogni anno su meno di 10.000 docu-menti rilasciati in totale), il 30 giugno 1851 si aprì a Boston, presso la Corte Circoscrizionale Federale (U. S. Circuit Court - District of Massachusetts) una causa civile che fece parecchio rumore negli ambienti armieri del New En-gland, non solo per il caso in sé (la sentenza sembrò al momento chiudere in modo univoco la questione di grande interesse sollevata dalla parte civile), ma soprattutto per le personalità coinvolte. La durata del dibattimento (la sentenza è del 5 agosto), il numero dei testimoni, l’importanza e il nome degli attori con-venuti, ne fecero un avvenimento la cui eco si sparse in tutto il pese. Il querelante (plaintiff) era Samuel Colt di Hartford, nel Connecticut, difeso da un collegio di tre avvocati; Gorge T. Curtis e Charles L. Woodbury di Bo-ston oltre a Edward N. Dickerson del New Jersey. Quest’ultimo, figlio di Phile-mon Dickerson, già Governatore dello Stato del New Jersey, cominciò a colla-borare assiduamente col suo cliente dall’inizio del 1849, dopo di ché seguì per-sonalmente per Colt tutte le questioni legate alle violazioni di brevetto. Le cro-nache dell’epoca lo descrivono come uno dei più esperti ed agguerriti Patent Attorney del New England. Malgrado nella loro corrispondenza si notasse una diversità di vedute nel modo di gestire il problema degli indennizzi chiesti ai costruttori concorrenti che violavano il brevetto, i due mantennero un ottimo rapporto ed ebbero una collaborazione proficua per diversi anni. Tuttavia alla prima richiesta di Colt, Dickerson mostrò una certo imbarazzo nell’accettare il caso, quasi certamente perché non era affatto sicuro che la violazione potesse essere provata facilmen-te davanti ad una giuria (questo la dice lunga sulla sempre sbandierata unicità del brevetto di Colt). Poi cedette, a patto che il suo cliente facesse un’unica e stringata dichiarazione su suo preciso suggerimento, dopo di che avrebbe dovu-to andarsene fuori città per non essere più citato. Evidentemente l’avvocato non si fidava di quello che avrebbe potuto dire in aula tanto che alla fine la di-chiarazione di Colt non vi fu per niente. Egli infatti non fu mai presente durante il processo.

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    Il querelato (defendant) era la Massachusetts Arms Company situata a Chi-copee Falls, poco a nord di Springfield, nel Massachusetts, rappresentata allora da Frank e Daniel B. Wesson, fratelli ed eredi del loro primogenito Edwin, fon-datore dell’originaria azienda, deceduto due anni prima.10 Il collegio di difesa degli imputati non aveva nulla da invidiare a quello della parte avversa e schie-rava il meglio in fatto di Procuratori Legali. Era composto da Rufus Choate del Foro di Boston, l’avvocato più in vista della città in quel periodo che all’epoca di questo processo era già stato membro sia del Congresso del Massachusetts che del Senato Federale; da R. A. Chapman, un oratore formidabile, (colui che in realtà condusse il processo in aula nelle fasi più critiche, anche per la malatti-a che ad un certo punto colpi Choate e gli impedì di essere presente) e dall’Onorevole Gorge Ashmun, entrambi di Springfield. A presiedere la Corte vi era Levi Woodbury (Associate Justice), Giudice Aggiunto della Corte Supre-ma degli Stati Uniti e padre di Charles Levi Woodbury del collegio difensivo di Colt. La materia del contendere era contenuta nel brevetto rilasciato a Colt il 25 febbraio 1836 per un’arma a ripetizione - con alcune particolarità che vedremo - la cui intestazione era “Improvement in Fire Arms”,11 integrato poi col nuovo rilascio dell’ottobre del 1848 (col titolo “Improvement in Revolving Fire Arms”), la cui validità arrivava fino al 1857 grazie alla già citata estensione del

    Vista destra di un revolver Wesson & Leavitt (Casa d’aste Greg Martin)

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    marzo 1849. La proroga era stata concessa regolarmente dallo U. S. Patent Office ma venne messa in discussione senza fortuna dai querelati nel corso del processo. Choate e Chapman infatti, probabilmente sapendo di non avere molte speranze, cercarono più volte di distrarre la giuria con lunghe digressioni sulla presunta irregolarità del rilascio, evidenziando la poca chiarezza del procedi-mento e ipotizzando perfino strani rapporti tra Colt e il Commissioner of Pa-tents.12 Con le stesse intenzioni i due sollevarono dubbi sulle procedure adottate nell’assegnazione del brevetto fatta da Colt alla Patent Arms Manufacturing Co. nel 1836 e alla successiva ri-assegnazione a Colt nel 1849. A ciò seguivano le repliche a volte aggressive altre volte lungamente argomentate degli avvocati Curtis e Dickerson, i quali sostenevano che se non c’era una precisa denuncia in merito a comportamenti illeciti non aveva senso perdere tempo.13 Il giudice Woodbury registrò puntualmente le obiezioni della difesa (citando casi simili) ma bloccò quasi sempre la discussione, che spesso degenerava, sostenendo che la regolarità, o qualsiasi altra questione attinente l’estensione del brevetto, non era materia di quel processo. In quell’aula si sarebbe deciso solo se l’arma della Massachusetts Arms aveva violato il brevetto del querelante. L’accusa della parte civile (depositata il 28 settembre 1850) era naturalmen-te di aver violato la privativa nelle sue caratteristiche più importanti, alla quale seguiva la richiesta di bloccare la vendita del revolver (attualmente conosciuto dai collezionisti col nome di Wesson & Leavitt), messo in commercio già a par-tire dal 1849.14 Secondo gli avvocati di Colt il brevetto del loro cliente proteg-geva qualsiasi sistema meccanico di rotazione e blocco del cilindro (quindi il principio in sé, come ripeterono instancabilmente durante tutto il processo) mentre i legali della Mass. Arms sostenevano che solo il sistema lever and ra-tchet (la ruota dentata fissata al tamburo mossa da una leva fulcrata al cane) era in realtà brevettato. La linea di condotta che l’avvocato Dickerson seguì durante il dibattimento, manifestata nella sua prolusione iniziale (venti pagine fitte di relazione), si fon-dò su alcuni punti fermi irrinunciabili, la cui sintesi era questa: 1 - l’apparato di rotazione e blocco del tamburo e la sistemazione dei luminelli in appositi reces-si era un’invenzione del suo cliente (a questo proposito pur definendo il Sig. Colt come l’inventore della armi da fuoco a ripetizione, tenne a precisare: “[…] voglio parlare di presunto inventore unicamente per rispetto verso la contro-parte”.); 2 - la scoperta era registrata a norma di legge; 3 - l’estensione che ne aveva allungato la validità era a norma di legge; 4 - l’arma del querelato era del tutto simile a quella della parte civile e violava il brevetto. La sua fu una presentazione del caso che lascia tuttora sbalorditi, nonostante siano passati 150 anni. Vi inserì di tutto senza che nessuno lo interrompesse (tra le molte esternazioni ad effetto definì Samuel Colt ‘un poeta del legno e dell’acciaio’), dalla storia delle armi da fuoco all’eccezionale gradimento riser-vato alla sua invenzione, fino alle lodi smisurate per il suo cliente, che all’inizio della sua avventura era un giovane ingenuo e senza mezzi per far fruttare la sua scoperta, per chiudere con le tremende traversie dei titolari di un brevetto, con

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    vari esempi di inventori magnanimi verso i loro contemporanei, ai quali aveva-no donato scoperte sensazionali “[…] Voi tutti conoscete la storia di Goodye-ar!”, costretti poi a gettare al vento le loro fortune per difendersi da individui aggressivi e senza scrupoli. Si permise perfino di ironizzare sulla linea difensiva della controparte che affermava di conoscere fin troppo bene per averla vista all’opera molte volte: “[…] I°, L’accusato non ha violato alcun brevetto; II°, se lo ha fatto, il quere-lante non è l’inventore; III°, è lui stesso l’inventore.” Molto appropriata si rivelò la scelta di non chiedere i danni materiali relativi alle armi già prodotte (pur non escludendola a priori), mettendo quindi in se-condo piano l’elemento denaro. L’intenzione di Dickerson di puntare solamen-te alla questione di principio, cioè alla paternità dell’idea contenuta nel brevet-to, era chiara; far leva sulla sensibilità della giuria popolare evitando di presen-tarsi in aula chiedendo pubblicamente soldi. Infondo sembrava molto più op-portuna una transazione privata, discreta ma sostanziosa, successiva ad una netta vittoria sul piano processuale. Dickerson sapeva benissimo che battersi unicamente sulla paternità dell’idea era un azzardo, ma il rischio era certamente calcolato e un successo su questo terreno sarebbe servito da monito bloccando per qualche prezioso anno gli altri costruttori. L’avvocato di Colt entrò nei particolari già nell’introduzione e parlando delle armi a rotazione del suo cliente disse alla giuria: “[…] Richiamerò ora la vostra attenzione su cosa sia effettivamente l’arma del signor Colt. […] Un’arma che col minor peso possibile, con la minor complessità, produca il più grande effetto, è la più desiderabile e preziosa. […] Un moschetto è prefe-ribile ad un’arma a miccia, un’arma a ripetizione è preferibile ad una a colpo singolo e un meccanismo a ripetizione che si attivi con l’armamento del cane è preferibile a qualsiasi altra cosa!!.” Leggendo poi alcuni passi direttamente dal brevetto: “[…] La mia invenzione è relativa a quella classe di armi da fuoco nelle quali una serie di camere parallele per il contenimento delle cariche, è costituita da una culatta rotante posta in connessione con la canna, e la rota-zione di tale culatta presenta in successione le cariche in linea con la canna per lo sparo.” Era la descrizione di apertura che Colt aveva inserito nella se-conda versione del suo originario brevetto del 1836, cioè quella rilasciatagli come reissue n° 124 nel 1848, seguita poi da una precisa puntualizzazione sulle particolarità che distinguevano la sua pistola da quelle conosciute fino ad allora e sulle quali si imperniava gran parte della battaglia dei suoi avvocati: “[…] Il principio o il modo di funzionamento che distingue la mia invenzione da tutte quelle finora conosciute consiste, primo, nella combinazione tra la culatta ro-tante e il suo blocco in maniera tale che con l’azione dell’armamento del cane, la culatta ruoterà portando una dopo l’altra le cariche in linea con la canna per lo scoppio; secondo, nella combinazione tra la culatta rotante e il suo bloc-co a mezzo di un gancio, o suoi equivalenti, in maniera tale che con l’azione dell’armamento del cane, detta culatta rotante sarà sganciata da detto blocco e libera di girare, e quando ruoterà riattiverà il blocco tenendo una particolare

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    camera in posizione per lo scoppio; terzo, nella combinazione tra la culatta rotante e una serie di luminelli, uno per ogni camera e in asse con esse, atti a ricevere le capsule che una volta inserite proteggeranno i singoli foconi dal fuoco laterale e quando ciò sarà combinato col posizionamento dei luminelli stessi in appositi recessi, i foconi saranno ulteriormente protetti dall’effetto del fuoco laterale a mezzo di tali scomparti; quarto, nella connessione della canna con lo scudo di rinculo, situato dietro la camera rotante, per mezzo di un per-no, o asse, sul quale la culatta ruota, e un cuneo di chiusura, o suo equivalente, che permetterà senza difficoltà lo smontaggio e il rimontaggio delle parti; in quinto luogo infine, nella connessione della canna con lo scudo di rinculo tra-mite la piastra di scatto (lock plate) posta sotto la culatta rotante.” (Anche se di norma il termine lock plate è riferito alle armi con meccanismo side lock, in questo caso vi si faceva riferimento per quella parte di fusto sotto il tamburo dov’erano contenuti e imperniati i leveraggi di scatto.) La descrizione presente nel reissue del 1848 delle parti meccaniche, delle caratteristiche funzionali come pure del principio stesso era più completa e det-tagliata rispetto al primo brevetto del 25 febbraio 1836 e lasciava intravedere una mano esperta. Non erano descritti solamente i particolari meccanici e la loro funzione, ma si esprimevano ipotesi di modifiche immaginando forse le

    Il nome del fabbricante rullato sulla parte superiore del telaio (Casa d’aste Greg Martin)

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    future probabili violazioni. Nel presentare una richiesta di brevetto, chi non aveva mezzi si faceva spesso aiutare per descrivere la scoperta dagli impiegati dell’ufficio, ma rischiava di venire sorpassato da chi aveva per le mani qualco-sa di simile però meglio descritto. Al contrario, chi se lo poteva permettere, assumeva i cosiddetti Patent Agent o Solicitor of Patent, esperti nel settore e abilissimi nello schivare i tranelli tipici delle complicate descrizioni tecniche. Nello specifico caso di Colt, l’abilità si può riscontrare in più punti, quando si nomina prima un particolare, per esempio il gancio (chiamato spesso catch o lifter e attualmente hand) che impegna i denti della stella di rotazione (ratchet wheel) e la fa girare assieme al tamburo, e subito dopo aggiungere “o suoi equi-valenti”. E lo stesso riguardo alla zeppa di fissaggio tipica dei revolver di Colt: “wedge key or its equivalent”. O ancora, verso la fine delle specifiche, si può

    Oltre al chiavistello di serraggio e al tenone che evitava movimenti laterali della canna, si può notare la singolare raggiatura della faccia anteriore del tamburo. Tale caratteristi-ca, coperta dal brevetto n° 182 di D. Leavitt, serviva (o avrebbe dovuto servire) per scongiurare l’accensione delle camere contigue a quella allineata alla canna. Il fenomeno era descritto nelle specifiche in questo modo: “[…] The portion of the ignited charge which may escape will in this case fly off in a tangent to the spherical end of the cylinder, and cannot possibly come into contact with a lateral-charged chamber.” La culatta della canna, fatto salvo l’immancabile gap necessario alla rotazione, era sago-mata sulla sfericità della volata del tamburo e ciò avrebbe dovuto indirizzare i gas di sparo per la tangente!! (Casa d’aste Greg Martin)

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    leggere: “[…] E’ ovvio, come descritto in precedenza, che le parti della mia invenzione potranno essere variamente modificate. Per esempio, invece di co-struire la ruota dentata, con la quale si fa ruotare la culatta a più camere, in un pezzo separato e fissarla sulla culatta con un anello, la ruota dentata, o l’equivalente di ciò, potrà essere costruita come una proiezione della culatta, o in una cavità all’interno di essa, o in qualsiasi parte connessa con la culatta, come la convenienza potrà consigliare. - Oppure - […] Invece di vincolare la leva, che ruota la culatta a più camere, direttamente all’armamento del cane, essa può essere connessa tramite un’altra leva, o più leve intermedie, o da una articolazione intermedia, e questa leva secondaria può essere usata per azio-nare il cane, e invece di far ruotare la culatta a più camere da un movimento della leva verso l’alto, ciò può essere compiuto a rovescio.” E via elencando ipotesi, similitudini o equivalenze. Alla fine si può ancora leggere: “[…] Sebbe-ne io abbia descritto il cane (chiamato cock ndr) come azionato da una spor-genza diretta di esso, quando applicato a una pistola, e da una leva seconda-ria, quando applicato a un fucile (qui il riferimento era ai ring lever rifle sui quali l’armamento del cane avveniva tramite una leva ad anello ndr), non voglio limitarmi a questa disposizione delle parti […] E sebbene io abbia illustrato i

    Il sistema di scatto e percussione delle Wesson & Leavitt non era all’altezza di quelli delle armi di Colt, certamente più innovative. Il cane laterale e la piastra di scatto non permettevano la compattezza tipica dei revolver concorrenti. La linea era mutuata dalle pistole monocolpo degli anni 1830-40

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    principi della mia invenzione come suscettibili di alcune modifiche, qui elenca-te, non voglio limitarmi a queste, essendo possibili altre modifiche.” E’ probabile che, al giorno d’oggi, nessun patent examiner accetterebbe specifiche così descritte. Sarebbe inaccettabile, del resto, con l’attuale legisla-zione statunitense, attraverso la quale è possibile - con gli opportuni paletti - far convivere due principi simili, brevettati entrambi, ai quali si sia arrivati con modalità differenti, proporre descrizioni imprecise e generiche al punto da inge-nerare dubbi interpretativi così pesanti da dover essere fugati da una giuria. Ma come dimenticare che da queste descrizioni è passato più di un secolo e mez-zo!? E’ evidente l’obbligatorietà di una simile prassi descrittiva nel caso si voles-se brevettare non solamente il pezzo, o i pezzi che lavoravano assieme con la loro funzione e scopo, ma l’intero sistema che derivava dalla loro interazione, con qualsiasi altro pezzo, o pezzi, o in qualsiasi altro modo, essa fosse stata

    Entrambe le concorrenti erano dotate di telaio aperto. Tra i due sistemi di smontaggio tuttavia, l’arma della Massachusetts Arms guadagnava qualche punto in quanto a solidi-tà su quella di Colt. Nei revolver di Hartford era facile perdere la zeppa di fissaggio e inoltre la sua sede, ricavata sul perno del tamburo, prendeva facilmente giochi. In que-sta foto si notano i luminelli ben incassati e divisi da una solida parete di metallo. Pecca-to che questa particolarità fosse già ben specificata nel brevetto di Colt del 1836.

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    compiuta. In poche parole si voleva bloccare a chiunque la strada per arrivare a quel determinato principio. Ed è oltremodo chiaro perché in quegli anni risul-tasse pressoché impossibile costruire un’arma simile senza incappare in una violazione di brevetto. Fu proprio quello che successe alla Massachusetts Arms col suo revolver e con la coppia conica (bevel gear) che comandava la rotazio-ne e il blocco sotto sparo del tamburo (blocco che in questo caso avveniva tra-mite un perno agente in orizzontale), considerata alla fine del processo simile al meccanismo di Colt. Naturalmente noi ci chiediamo ora: come poteva un orga-no non tecnico, com’era una giuria popolare, decidere in merito alla similitudi-ne di due sistemi, brevettati entrambi? E come mai i titolari di due distinti bre-vetti, per i quali il Governo, col suo Sigillo, si era fatto garante della novità, dell’unicità, dell’utilità, erano costretti a battersi in tribunale per difendere il proprio lavoro? Fin troppo facile dare una risposta a più di 150 anni di distanza; la legge non era perfetta!

    Sul retro del tamburo si notano lo scasso per la rotazione, i punti di fermo e la rullatura della data del brevetto di Leavitt. Il sistema che comandava il movimento del tamburo, regolato dalla coppia conica (bevel gear), era stato brevettato da Edwin Wesson il 28 agosto del 1849. Su tale marchingegno i difensori della Mass. Arms si dannarono contro interrogando in modo martellante tutti i testimoni dell’accusa, (e anche i propri, inciam-pando in qualche autogol) nel tentativo di sostenere che questa diversità dal meccani-smo di Colt ne faceva un’altra cosa. Inutilmente! (Casa d’aste Greg Martin)

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    Chapman, che aprì il caso per il querelato, si uniformò subito all’idea di Dickerson relativa al rimborso simbolico di un dollaro (in caso di buon esito per il querelante) adeguandosi ad una richiesta dei danni da formulare in un processo successivo. Che non vi fu, almeno per ciò che riguardava la richiesta di un indennizzo.15 A questo proposito, Dickerson dichiarò parlando diretta-mente alla giuria popolare: “[…] Siamo qui davanti a voi per una questione di diritto, per ribadire la proprietà di un titolo, e vogliamo rinunciare alla richie-sta dei danni. Considerato che ho visto spesso giurie in grande difficoltà al momento di stabilire l’entità del risarcimento, voglio subito rassicurarvi. L’unico punto sul quale la vostra attenzione dovrà concentrarsi è questo: il diritto di proprietà. […] Questo è un processo che riguarda un brevetto (patent suit ndr) e non è diverso dagli altri processi simili che hanno avuto e che hanno luogo in tutte le Corti degli Stati Uniti.” La presentazione di Chapman fu aggressiva quanto quella dell’avversario. Dopo una lunghissima esposizione sulle invenzioni e sulle scoperte, sulla loro continua evoluzione, sul fatto che niente nasce perfetto e che nel corso della storia tutto è stato migliorato, tutto si può migliorare, dichiarò: “[…] Questo vale anche per il moschetto. Nessuno lo ha inventato come lo vediamo ora ma migliaia di teste hanno speso la loro abilità per renderlo com’è adesso! L’intero sistema si affina senza sosta, si perfeziona continuamente e non è mai stato migliorato tanto come negli ultimi dieci anni. Chiunque sia appena infor-mato su come funzionano le cose in Arsenale a Springfield, sa che un moschet-to di cinque anni fa non passerebbe un’ispezione. […] Che un moschetto di quindici anni fa sembra una cosa da barbari.” Quando si dice, prenderla alla larga! […] E’ così anche per il Sig. Colt. Egli non ha inventato il revolver né ha avuto per primo l’idea del cilindro rotante per mezzo del movimento del cane, o del suo blocco al momento dello sparo. Non è stato nemmeno il primo ad

    Come si può notare, l’abitudine di confezionare pistole incise in cassette di legno non era certo una prerogativa di Samuel Colt

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    avere l’idea del cilindro. Queste invenzioni, come vi mostrerò, hanno avuto un percorso tortuoso attraverso altre menti. Sono arrivate da uomini attenti e competenti più di quello che il Sig. Colt era.” E poi: “[…] Io non chiedo favori per il mio cliente, chiedo giustizia e non credo che il querelante sia titolare di qualcosa.” (Durante tutto il processo gli avvocati della Mass. Arms agirono di fatto come se l’estensione concessa a Colt non fosse valida e quindi il suo bre-vetto fosse già scaduto). “[…] Questi imputati stanno usando un regolare bre-vetto che è stato rilasciato all’amministratore dell’inventore (il brevetto n° 6669 era stato rilasciato il 28 agosto del 1849 a nome di Edwin G. Ripley, am-ministratore di Edwin Wesson, morto in gennaio ndr) e i loro guadagni dipen-dono e dipenderanno dalla validità di ciò.” Ora le accuse: “[…] Il Sig. Colt è arrivato qui dicendo di poter spendere 50.000 dollari contro di noi, e se lo batteremo in questa causa minaccia di ab-bassare il prezzo delle sue armi e buttarci fuori dal mercato.” L’avvocato Cur-tis lo interruppe: “[…] Abbiamo fatto queste minacce? Io non sentito niente del genere in questo processo.” E Chapman: “In realtà è così.” Dickerson tagliò corto: “Non c’è niente agli atti.” Infine di nuovo Chapman: “Egli (Colt ndr) ha certo il diritto di venire qui ma noi chiediamo solo giustizia. Nessuno di questi casi nasce per compassione, sappiamo tutti perché ci sono questi processi.

    Un’altra vista del chiavistello che bloccava il gruppo canna-top strap. In queste armi le lavorazioni erano molto accurate

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    I TESTIMONI DI SAMUEL COLT Prima di chiamare i suoi testimoni, Dickerson volle ricordare una volta di più alla giuria come le armi del suo cliente fossero state usate con molto gradi-mento dai militari. Naturalmente, nel dipingere un ambiente entusiasta, si di-menticò di citare le pesanti critiche incontrate all’inizio dal Colonnello, in più di un’occasione.16 A proposito della guerra in Florida, egli disse: “[…] Voi vi ricordate quanto fu difficile e fastidiosa la guerra contro i Seminole. Vi ricor-date di come i selvaggi approfittassero per colpire nel momento in cui si cari-cavano le armi e si ritirassero poi in quelle tremende paludi. Ebbene quando i nostri soldati ebbero tra le mani le armi a ripetizione del mio cliente (in tutto 50 fucili dei quali probabilmente la metà mai arrivati in prima linea ndr) e pote-rono sparare tutti quei colpi senza doverle ricaricare, allora gli indiani si arre-sero o furono uccisi e la guerra finì immediatamente. Il mio cliente aveva co-struito delle armi così efficaci tanto da distruggere con le proprie mani il mer-cato per esse.” Certamente, all’epoca del processo le armi di Colt non erano più così costo-se e complicate come i modelli costruiti nella fabbrica di Paterson, derivanti direttamente dai suoi brevetti del 1836 e del 1839 (n° 1304 del 29 agosto 1839). Erano ormai revolver conosciuti ed apprezzati dai militari di cavalleria (allora

    Nello studio delle armi a rotazione, andrebbero annoverati tra i contemporanei di Colt anche i fratelli Barton e Benjamin Darling. Alcuni americani sono dell’idea che la loro pepperbox (probabilmente una delle prime costruite negli Stati Uniti) abbia preceduto la rivoltella di Colt, nonostante quest’ultimo avesse cominciato a farsi costruire i primi rudi-mentali prototipi già dal 1831 e l’anno dopo avesse depositato all’Ufficio Brevetti alcuni disegni e un modello (ottenendo un caveat). Il congegno di scatto ad azione semplice - qui illustrato in un particolare ricavato dal brevetto del 13 aprile 1836 - è simile a quello di Colt ma fu brevettato qualche settimana dopo. La leva comandata dal cane faceva ruotare un fascio di sei canne

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    chiamati anche U. S. Dragoons). A partire da quelli costruitigli da Eli Whitney jr. nella sua fabbrica a Whitneyville, nei pressi di New Haven, nel Connecticut, (noti come U. S. Army Pistol Model of 1847 o Whitneyville Walker model) e in seguito da lui stesso nel primo stabilimento di Hartford (chiamati U. S. Army Pistol Model of 1848 o Dragoon model o ancora Whitneyville Hartford model), il Colonnello aveva fatto enormi progressi e le armi erano semplici e solide, oltre che parecchio potenti grazie ai sei colpi in calibro .44.17 Dal 1850 inoltre, erano già entrati in produzione i modelli Pocket in calibro .31 e Navy in cali-bro .36, due armi di enorme successo. Le dichiarazioni dei testimoni chiamati dall’accusa (ottimamente indirizzati da Dickerson) si focalizzarono su tre linee ben definite: l’ottima reputazione conquistata dalle armi di Colt (vennero chiamati un ufficiale di cavalleria e un ufficiale dello Ordnance Department); la primogenitura dell’idea di Colt (furono sentiti ingegneri, meccanici, armaioli, ex dipendenti dell’Ufficio Bre-vetti che avevano costruito, visto costruire, provato, visto i disegni dei primi prototipi di Colt); l’assoluta similarità del meccanismo progettato da Edwin Wesson (ingegneri, meccanici, dipendenti di Colt che a vario titolo avevano esaminato entrambe le armi). Per una migliore comprensione del quadro generale vogliamo proporre una sintesi di alcuni interventi che per motivi di spazio sarà necessariamente strin-gata. Nella traduzione dei dialoghi abbiamo creduto opportuno rendere moderni alcuni dei termini usati allora - soprattutto per evitare confusione - dato che la terminologia statunitense della metà dell’800 riguardante la meccanica applica-ta, era infinitamente meno specifica di adesso. Tanto per fare un esempio, il tamburo veniva spesso chiamato barrel. Ciò vale anche per le descrizioni dei brevetti. William Thornton, all’epoca del processo Maggiore dell’Ordnance Depar-tment, parlò del suo lavoro nella Commissione che valutava le armi. “[…] Co-nosco le armi del Sig. Colt da molto tempo, da prima di cominciare il mio la-voro di ispettore per l’Esercito dieci anni fa, forse dal 1836, quand’ero all’arsenale di Watervliet, ma ho cominciato ad esaminarle nel 1841. […] Co-me membro della Board of Ordnance per le armi da fuoco, lo scorso novembre venni chiamato a Washington e, assieme ad altri Ufficiali, esaminai alcune armi. Tra queste quelle del Sig. Colt e della Mass. Arms. Non ricordo quante centinaia di colpi sparammo. La Commissione adottò per il servizio quella del Sig. Colt.” Parlando poi delle ispezioni disse tra le altre cose: “[…] Tutti i tipi di armi da fuoco per il Governo passano sotto il mio controllo. […] Non so dire in che percentuale i fucili esplodano durante le prove ma indubbiamente è molto alta. Per esempio, di recente, su 500 carabine ne sono state eliminate 53.” Riferendosi poi ai revolver di Colt: “ […] Gli esperimenti a Washington ci hanno mostrato che con una pistola di questo tipo si possono caricare e spara-re sei colpi a piena carica in un minuto. Come precisione e penetrazione essa va ben oltre ciò che è necessario in una pistola. Personalmente non vorrei es-

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    sere ad un centinaio di yards da essa. Un cavalleggero la può usare mentre nell’altra mano tiene le briglie. […] Quando le ispezionai per la prima volta ebbi da obbiettare sul loro terribile peso ma ora sono state accorciate nella canna e nel telaio e rese più leggere. […] So che i Dragoni ne sono già in pos-sesso. Credo anche le altre truppe montate. […] Personalmente considero que-sta pistola, quando è nella mani di uomini che sappiano usarla, l’arma più terribile che possa usare chi si difende come chi attacca. Essa è molto migliore di un’arma ordinaria perché ha sei cariche invece di una.” L’avvocato Chapman gli chiese: “E’ questo il vantaggio delle pistole a rotazio-ne?” Thornton rispose: “Certo, di tutte le armi di questo tipo.” Poi accennò alle ispezioni da lui fatte sulle armi di Colt nel 1841 e nel 1847. Domanda di Chapman: “Queste ultime erano costruite a New Haven?” Risposta: “Si signore, dal Sig. Whitney, c’era il Sig. Warner (Thomas, ndr) allo-ra che seguiva i lavori col controllo diretto del Sig. Colt. Quelle armi erano molto pesanti e ingombranti ma funzionavano come quelle attuali.” D: “Erano già state modificate?” R: “No, non credo. Il grosso delle modifiche avvenne dopo, nel 1848, nel 1849 e nel 1850. Prima erano molto pesanti.” D: “Criticabili?” R: “Indubbiamente.” Forse a Chapman non pareva vera un’ammissione del genere. D: “Queste pistole erano criticabili?” R: “Mi spiego meglio. Erano criticabili in relazione al loro peso, non per pro-blemi costruttivi; erano efficienti come lo sono quelle attuali.” D: “Quindi un’arma può essere efficiente e malgrado tutto criticabile?” R: “Si signore.” D: “Queste armi sono migliori di quelle costruite a Springfield?” R: “Non lo so, non ho ispezionato le armi di Springfield.” D; “Chi era l’agente della Massachusetts Arms al tempo delle prove?” R: “Non lo ricordo. Forse fu il Sig. Ames che presentò le armi alla Commissio-ne. Se era lui fece una relazione per presentarle.” Il Capitano Charles A. May del 2° Rgt. Dragoni degli Stati Uniti, affermò che il suo squadrone ne era armato durante la Guerra col Messico (si trattava naturalmente del modello Whitneyville Walker in calibro .44 del primo contrat-to). Dichiarò l’ufficiale: “[…] Non ho esitazione nel dire che dieci uomini con le pistole di Colt alla cintura, a patto che ne conoscano l’uso, possono andare dappertutto e tenere a bada qualsiasi forza. Io stesso non esiterei, assieme a dieci uomini armati con queste pistole, ad andare ovunque attraverso le pianu-re.” E ancora: “[…] Esse possono essere usate mentre si è a cavallo a tutta velocità con grande precisione.” Ira Leonard, un operaio specializzato che aveva lavorato anche alla Patent Arms Mfg. Co., descrisse i meccanismi della due armi considerandoli sostan-zialmente simili: “[…] Ho esaminato le due armi e il brevetto di Colt del 1848. Mi pare che in entrambe sia usato lo stesso movimento per azionare il tambu-

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    ro, la differenza sta solo nei due ingranaggi conici della Mass. Arms che tra-smettono solamente il moto. Nella pistola di Colt il movimento del cilindro è dato da una ruota dentata agganciata da una leva comandata dall’arretramento del cane. Nell’arma della difesa il movimento del cane muo-ve un dispositivo che si aggancia ad un ingranaggio conico, questo fa girare un altro ingranaggio conico sistemato ad angolo retto che con una leva aggancia l’ingranaggio che fa ruotare il cilindro. […] Mi sembra che l’arma della Mass. Arms arrivi allo stesso effetto con un’operazione più rozza. Inoltre mi sembra che il meccanismo di Colt sia molto meno soggetto a essere riparato. […] En-trambe le armi hanno i luminelli protetti da un divisorio. L’unica differenza è nella loro inclinazione.” L’avvocato di Colt incalzò il suo testimone che non sembrava essere molto svelto con le parole: “[…] Se il Sig. Colt ha brevettato questa combinazione

    Questo particolare, tratto dal brevetto di David G. Colburn del 29 giugno 1833, dimostra la tenacia con la quale gli americani si applicavano sulle armi a ripetizione. Anche prima di Colt. Nel documento, intitolato “IMPROVEMENT IN GUNS”, l’inventore dichiarava tra le altre cose: “[…] Il miglioramento è fatto per sparare da tre a dodici colpi alla volta, caricati per mezzo di un cilindro o magazzino che ruota su un asse”. Alla fine delle specifiche, come di rito, riassumeva in poche righe le linee essenziali del principio per il quale chiedeva la patente: “[...] What I claim as my own invention is - All of the locks, and cocking and turning the magazine and priming at the same time by pulling the trig-ger.” Tradotto in termini comprensibili significa che Colburn voleva brevettare - oltre a tutti i meccanismi decritti - la combinazione dell’armamento, della rotazione del cilindro e dell’innescamento con la trazione del grilletto. Non siamo molto lontani dal sistema che Colt brevettò tre anni dopo

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    della culatta rotante col meccanismo in maniera tale che con l’arretramento del cane essa ruoti e si blocchi e si allinei alla canna per lo sparo, è o non è l’arma degli accusati sostanzialmente la stessa cosa?” Risposta: “[…] E’ prodotto lo stesso effetto ma con un maggiore numero di pezzi. In entrambe il movimento è dato da un ingranaggio e da un dente di ag-gancio.” Chapman, che lo contro interrogò, volle sapere quanto fosse abile nel suo lavoro e quanto ne capisse di meccanica: “[…] Sono operaio specializzato da circa vent’anni. Lavoro il ferro e l’ottone, principalmente, e ho lavorato su ogni tipo di macchinario; anche per il cotone, per la lana ecc. Per fabbriche, un po’ dappertutto. Sono stato sei mesi alla Patent Arms Mfg. dove costruivo soprattutto leve e attrezzature per la costruzione di vari pezzi. […] Ho lavorato anche per Allen & Falls a Springfield nel 1836 sulle armi a rotazione di Co-chran. Mi pare che ruotassero con l’operazione di armamento. Ma non ne sono sicuro, sono stato lì solo due o tre mesi.” Poi lo bersagliò con una serie di quesiti specifici: “Supponiamo che uno faccia ruotare il suo tamburo applicandogli una leva e un altro una ruota e un asse. Sarebbe la stessa cosa?” Risposta: “Se fossero usate assieme credo di si.” D: “Ma supponiamo che uno usi una leva solo e un altro una ruota e un asse, senza una leva?” R: “Credo sarebbe lo stesso.” D: “Ma allora tutti i principi di rotazione sono la stessa cosa?” R: “Mi pare che il Sig. Colt abbia dichiarato nel suo brevetto, a proposito di questo congegno, … ″o suoi equivalenti″ - ″la leva che lavora sulla ruota den-tata o suoi equivalenti″.” D: “Ma questo non risponde alla domanda. Dobbiamo assumere che il princi-pio stesso copra tutti i modi per arrivarci? Che qualsiasi meccanismo che ruoti e blocchi un cilindro sia uguale all’altro?” R: “Sarebbe la stessa cosa se il cilindro fosse mosso da una leva e una ruota dentata, o suoi equivalenti.” D: “Supponiamo che invece di armare il cane con la mano vi sia una leva ap-plicata ad esso, un qualsiasi altro meccanismo che generi il movimento, questo altererebbe il principio?” Risposta: “Credo di no.” D: “Per esempio; voi conoscete le carabine di Colt? Sapete come ruotano?” R: “Le ho viste un po’ di tempo fa. Mi pare che ruotino tramite una leva.” D: “Allora, considerando che anche col movimento di questa leva si può ruota-re il cilindro, ciò entrerebbe nel principio?” R: “Io credo di si.” Dopo un insistente batti e ribatti sulle diversità e sulle similarità dei meccani-smi, il teste dichiarò: “[…] Se il cilindro fosse mosso a mano, ciò non entrereb-be nel principio generale perché nessun meccanismo creerebbe il moto. Se il cilindro fosse mosso da un qualsiasi meccanismo, una leva, una serie di leve,

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    un ingranaggio, allora questo entrerebbe nel principio generale come è de-scritto nel brevetto di Colt.” L’ingegnere James J. Mapes, che sembrava sapere il fatto suo, dopo aver spiegato in maniera dettagliatissima perché riteneva simili i meccanismi dei due sistemi disse; “[…] Non tutti i sistemi meccanici, i meccanismi, richiedono un’invenzione quando sono applicati. Per la maggior parte dei casi basta un adattamento a sistemi già ben conosciuti. […] Il Sig. Colt, significativamente, usa nel suo brevetto la parola ″equivalente″, ″ tale congegno o suoi equivalenti″. Ebbene, nell’arma della Mass. Arms vi sono ″i suoi equivalenti″.” Chapman, dopo qualche innocua domanda, preferì non insistere. L’ingegnere William A. Bryant, con le sue dichiarazioni, riuscì a mettere in difficoltà Chapman. L’avvocato lo investì con una serie incredibile di domande formulate su questo tono: “[…] Se il meccanismo per la rotazione fosse diver-so, farebbe qualche differenza?” Bryant rispondeva così: “[…] Non capisco quale meccanismo. Dovreste dirmi quale meccanismo intendete.” Allora Cha-

    Questi tre pezzi di legno, conservati ora allo Wadsworth Athenaeum di Hartford, furono intagliati da Colt nel 1831 e, assieme ad alcuni disegni, furono la base di partenza per i primi prototipi costruiti dall'armaiolo Anson Chase (Grant)

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    pman insisteva: “[…] Se il movimento del tamburo fosse dato per esempio dall’arretramento del grilletto invece che da quello del cane, farebbe qualche differenza?” Oppure: “[…] Se il blocco del tamburo agisse sulla periferia inve-ce che sul retro, farebbe qualche differenza?” E ancora: “[…] Farebbe qualche differenza se il cilindro fosse mosso a mano?” Bryant si difese molto bene non rispondendo quando le obiezioni erano troppo generiche. Alla fine disse che la coppia conica di Wesson (il cui principio fu al centro della discussione per buo-na parte del processo) non era un’invenzione ma solo una modifica di ciò che Colt aveva inventato. Secondo lui infatti le armi erano del tutto simili e funzio-navano secondo lo stesso principio tranne per il fatto che Wesson aveva com-plicato le cose aumentando il numero dei pezzi necessari per trasferire il movi-mento del cane al tamburo e al suo blocco. Egli disse: “[…] La coppia conica, spesso usata per invertire il moto di un meccanismo, non dà il movimento, non lo crea, ma lo trasmette solamente e quindi non modifica il principio. Il princi-pio è “lo sblocco, la rotazione e il blocco del tamburo per mezzo dell’arretramento del cane”. Il modo differente col quale l’arma della parte avversa ci arriva non muta il principio perché fa parte di esso. Io non voglio dire che il meccanismo di Wesson sia inutile, anzi. Forse piazzare la chiusura in un altro posto può essere stato un vantaggio ma ciò non cambia il principio dell’arma di Colt nella quale il meccanismo è più diretto, più semplice. L’arma della Massachusetts è simile all’arma del Sig. Colt, solo più complicata.” La testimonianza dell’ingegnere William P. Elliot si incentrò sugli anni 1832-33 quando lavorava all’Ufficio Brevetti, il periodo nel quale Colt aveva fatto il primo tentativo di brevettare la sua arma a ripetizione. “[…] Sono inge-gnere civile, architetto e Solicitor for patents. Nel 1832 e 1833 lavoravo all’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti, quando lo guidava il Dr. John Craig. Il mio compito era allora di ricopiare brevetti, disegni, etc. Preparavo anche specifiche e disegni per gli inventori. […] Il Sig. Colt, allora un giovanotto, venne da me, non ricordo esattamente quando. Sicuramente prima del 1834, nel 1832 o forse nel 1833. Venne nella mia stanza indirizzato da qualcuno con un modello e con dei disegni che riguardavano alcune modifiche su un’arma da fuoco. Mi chiese di esaminarli per vedere se l’invenzione era nuova. Io co-noscevo bene tutte le armi depositate lì in ufficio. […] Quando vidi il modello gli dissi che non era nuovo, credo. Pensavo fosse solamente un’arma a culatta rotante. Avevo già visto questo tipo di armi e ne avevo una o due depositate in ufficio. Ero dell’idea che non ci fosse niente di nuovo in quel modello, finché egli non mi spiegò esattamente di cosa si trattava. Aprì il rotolo di fogli e io capii subito …” Chapman lo interruppe: “Come si può testimoniare in questo modo se poi non si possono esibire i documenti?” Dickerson replicò: “Avevo solo chiesto al testimone di descrivere ciò che il Sig. Colt gli aveva mostrato.” Elliot continuò: “[…] Il Sig. Colt mi disse che non si trattava solo di una culatta rotante ma dell’invenzione del suo movimento attraverso l’armamento

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    del cane, e mi descrisse questa meravigliosa invenzione. […] Allora mi accorsi della differenza tra la sua invenzione e quelle che conoscevo. […] Mi chiese di preparargli i documenti per il brevetto. […] Gli suggerii di brevettarla prima in Inghilterra perché le invenzioni, una volta brevettate da noi, non sarebbe stato più possibile brevettarle lì e lo consigliai di fare nel frattempo un ‘caveat’ e di tenerlo segreto fino a che non avesse ottenuto il brevetto inglese. Gli scris-si due righe e allegai un disegno anche se la legge di allora non prevedeva ancora la registrazione dei caveat. Era un’abitudine che esisteva dai tempi in cui Thornton dirigeva l’Ufficio. Thornton pensava che ci dovesse essere una legge su questa cosa. […] Tutti quei documenti andarono distrutti nell’incendio. Tutto quello che poteva bruciare, bruciò. Mi pare che dopo l’incendio trovammo tra la cenere il tamburo di una delle pistole di Colt. […] La caratteristica più importante che scrissi sul caveat era la rotazione della

    Samuel Colt fotografato da Mathew Brady nel 1861. Molti ritengono che il forte stress psicofisico cui fu sottoposto nell’ultimo periodo sia stato la causa dell’emorragia cere-brale che lo portò alla morte (Grant)

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    culatta con l’armamento del cane. Non credo di essere entrato nei particolari, di aver fatto una descrizione particolare. Nei disegni che mi portò Colt questa operazione poteva essere fatta in vari modi. […] Era generalmente il modo col quale scrivevo i caveat - non limitare gli inventori. Era un idea di Thornton, praticamente il padre dell’Ufficio Brevetti […] I ricordi non sono chiari ma questo era quello che appariva nei disegni.” Chapman gli chiese: “[…] Siete sicuro che il disegno che avete in mano ora sia uno di quelli che Colt vi portò allora?” R: ”[…] Sembrerebbe identico, i colori sembrano quelli di allora. Posso dire che è sostanzialmente identico anche se non potrei affermare che è lo stesso.” D: “ […] C’era una ruota dentata attaccata al cilindro o era separata?” R: “ […] C’era un congegno che si poteva staccare sul quale agiva un braccet-to per far ruotare il cilindro. C’erano una varietà di modi per fare ciò. Non saprei dire se c’erano dei perni o dei denti sul retro del cilindro. La ruota den-tata era nel disegno, ma Colt mi portò una mezza dozzina di fogli. […] Forse Colt mi diede qualcosa per avergli registrato il caveat. Presumo che mi abbia pagato qualcosa, ma non molto. Adesso c’è una legge su questo.” Le testimonianze di H. Belden, A. Goodwin e H. D. Meech si incentrarono sulle date di fabbricazione dei prototipi usciti dalla bottega di Anson Chase, un armaiolo di Hartford al quale Colt si era rivolto per primo con l’intenzione di farsi costruire l’arma che aveva in mente allora, sulla base di un modellino in legno e alcuni disegni. Belden era assolutamente digiuno di armi. Lui stesso ammise; “[…] Capi-sco di meccanismi quanto ne capisce la gente che normalmente usa armi da fuoco. Io le uso da quando avevo 12 anni. Le uso frequentemente tanto quanto la gente in genere. Non pretendo di essere un meccanico.” Non sapendo di ar-mi, di meccanica né avendo visto il prototipo o i prototipi, ma come lui disse: “[…] Vidi il lavoro che stava facendo (Chase ndr); vidi ‘a round cylinder’; vidi il Sig. Colt lì.” si concentrò unicamente sulle date. Secondo Dickerson era mol-to importante che i Giurati sapessero quando Colt aveva concepito il suo revol-ver. Belden espose quindi una sfilza impressionante di personaggi, luoghi, cose, situazioni, ricordi, spiegando perché riusciva a collocarli in quel preciso perio-do. Il tutto per confermare che aveva visto Colt nella bottega di Chase in quegli anni. A. Goodwin placcava oggetti (anche per Colt) mentre intorno al 1830-32 riparava orologi. “[…] Non conoscevo il Sig. Colt all’epoca ma conoscevo bene Anson Chase. Avevo la mia bottega in Main Street ad Hartford, giusto davanti a quella del Sig. Chase. Egli l’aveva affittata dal padre del Sig. Belden che ha testimoniato qui. Andavo spesso nella sua bottega nel 1830-31 e lui veniva nel-la mia. Mi pare che sia andato via da lì alla fine del 1832. Fu nel 1831 che vidi Chase e Rowe (un meccanico che aiutava Chase ndr) lavorare su un’arma a rotazione. Era una pistola a rotazione, aveva un’unica canna e alcune camere

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    William Thornton, ufficiale dello U.S. Army Ordnance Department, fu chiamato a depor-re da Dickerson perché conosceva molto bene i revolver di Colt (Serven)

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    che contenevano le cariche. C’erano due o tre sistemi per farla ruotare. Non molti sapevano di quell’arma. Avevo l’impressione che volessero tenerla segre-ta.” H. D. Meech gestiva da molti anni il museo di Albany (150 km da Hartford) e si ricordava di Colt nel 1833. “[…] Egli allora faceva delle dimostrazioni pubbliche col gas esilarante e aveva con lui una pistola a rotazione. Era il 1833. Me lo ricordo perché tengo un diario di tutte le manifestazioni del muse-o. Mi ricordo di quell’anno perché nello stesso periodo c’era un certo Sig. Ellis che mostrava la sua arma in pubblico e io confrontai le due armi. Per questo motivo mi ricordo bene di quella del Sig. Colt. Allora si faceva chiamare Dot-tor Colt. […] Forse ho visto Colt usare la sua arma ma non ne sono sicuro. Non potrei dire dove l’ho visto sparare. So solo che l’ho esaminata per un con-fronto con quella di Ellis.” Dickerson gli chiese: “[…] Avete detto qualcosa circa una domanda che Colt vi disse avrebbe fatto per un brevetto?” R: “[…] Forse Colt mi disse qualcosa del genere ma non posso essere molto preciso su questa cosa.” Chapman intervenne riferendosi ad una domanda pre-cedente: “[…] Quello che avevo chiesto al teste era se gli risultava che il Sig. Ellis avesse fatto una domanda per un brevetto e mi era stato risposto che forse anche il Sig. Colt l’aveva fatta.” Il Presidente li interruppe: “[…] Non potete provare dei fatti in questo modo. Dovete portare dei documenti.” Dickerson: “[…] Purtroppo l’Ufficio Brevetti ha preso fuoco, ma proveremo questa cosa con un altro testimone.” Anche Anson Chase testimoniò per Colt (benché nel 1833-34 avesse dovuto faticare per farsi pagare i lavori che gli aveva fatto). Nelle sue dichiarazioni vi è probabilmente la migliore e più interessante descrizione dei primi revolver di Colt che sia arrivata fino a noi: “[...] Ho conosciuto il Sig. Colt nel 1831 poco dopo essere arrivato ad Hartford, in primavera o all’inizio dell’estate. […] Venne da me per un lavoro. Aveva una specie di modellino e stava tentando di mettere a punto un’arma a ripetizione. […] Venne molte volte e voleva da me alcuni pezzi per perfezionarne il movimento.” E’ quasi certo che l’idea di bloc-care e sbloccare il tamburo col movimento del cane, gli venne in corso d’opera, mentre Chase stava lavorando sui primi prototipi. E’ più che probabile inoltre che Chase gli avesse dato dei suggerimenti, vista la scarsa conoscenza meccani-ca del giovanotto (Colt era nato nel 1814). Dalla sua testimonianza, e dalle po-che lettere rimaste, si deduce che l’armaiolo non aveva mai avuto a che fare con armi a rotazione, o a ripetizione in genere, prima di allora (comunque rarissime negli anni 1830-32). “ […] Lavorai per lui fino alla fine di quell’anno, credo. E anche nel 1832. Veniva molto spesso da me, anche due o tre volte in un giorno. […] Nel 1832 il primo prototipo era a posto. Io non ero presente quando sparò per la prima volta, lo vidi solo caricare. Mi pare che il primo o secondo proto-tipo, non ricordo quale, scoppiò e ci mettemmo a lavorare su un altro prototi-po.” Dickerson gli diede un disegno e la carcassa di un revolver: “[…] Questo

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    l’ho fatto io. L’ho tenuto in uno scatolone fino al maggio scorso quando venne da me il Sig. Tuller (incaricato da Dickerson oltre che Ispettore nella fabbrica di Colt nel 1851 ndr) e mi chiese del mio lavoro di allora per Colt e cosa mi ricor-dassi. Doveva essere un fucile ma non è stato ultimato. […] Trovammo che il movimento con la ruota dentata era preferibile alla coppia conica.” Riferendo-si poi al disegno: “[…] Questo è stato in mio possesso fino al 24 maggio scor-so. Lo tenevo arrotolato assieme all’arma. L’ha fatto il Sig. Colt e credo sia molto simile all’arma. […] Io lavorai su quel disegno e alla fine furono pronti una pistola e un fucile. Preferimmo la ruota dentata alla coppia conica. […] Il Sig. Colt prese quelle armi e credo sia andato a Washington.” Dickerson gli chiese; “Sapete che cosa andò a fare?” Chapman si oppose alla domanda che venne ritirata. “[…] Questi pezzi li avete fatti voi?” gli chiese Dickerson mostrandogli alcune molle, leve, viti ecc. R: “[…] Si, erano per quelle armi. Li conservavo assieme all’arma e al disegno in una scatola. Quattro o cinque anni fa spostai quella roba in un’altra scatola ed ebbi modo di vederla dopo anni. […] Poi ho dato tutto al Sig. Tuller nel maggio scorso. Nella mia bottega non c’erano macchine. Si faceva tutto a ma-no.”

    Vista destra del revolver a pietra del bostoniano Elisha H. Collier - poi costruito anche a percussione - brevettato in Inghilterra il 24 novembre 1818. Gli avvocati della Mass. Arms chiamarono l’inventore come testimone per dimostrare alla giuria che l’arma di Colt non era una novità neanche nel 1836, anche se la sua deposizione finì per favorire più l’accusa che la difesa. Contro interrogato da Dickerson, Collier ammise infatti che il suo meccanismo di rotazione e blocco del cilindro tramite il movimento del cane, pur se previsto nel brevetto, dovette essere abbandonato quasi subito per la sua estrema de-bolezza in favore della rotazione manuale. L’arma della foto d’altra parte, non era mai stata brevettata negli Stati Uniti, nonostante il progetto di base di Collier ricalcasse gran-demente il brevetto americano del 10 giugno 1818 di Artemus Wheeler - vero ideatore del sistema (Casa d’aste James D. Julia)

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    Chapman: “[…] Come mai avete conservato queste cose e il disegno con così tanta cura per così tanto tempo?” R: “[…] Erano state fatte nella mia bottega. Pensavo fossero le prime armi a ripetizione mai costruite, questo è il motivo. Forse non avevano un gran valore ma credevo di essere stato il primo a costruire una cosa simile e volevo tenerla. Non avevo altro motivo. […] Non ricordo quanto mi pagò Il Sig. Colt per quel lavoro. Il Sig. Rowe lavorava per un dollaro e un quarto al giorno, credo. Io mettevo in conto due dollari al giorno.” William H. Rowe aveva abitato per qualche anno ad Hartford e conobbe Colt nel 1831. Lavorò per Chase un paio d’anni e fu il meccanico che material-mente costruì la maggior parte dei meccanismi - se non tutti - montati sui primi prototipi. “[…] Ho visto quel grande disegno (che Dickerson aveva portato in aula ndr) nella bottega di Chase. Non ne ho visti altri così. Il Sig. Colt aveva altri disegni ma erano più piccoli. Raffiguravano i particolari di una pistola. La prima arma ad essere costruita fu una pistola. Io lavorai sul disegno più grande. Avevamo disegni che mostravano i particolari e come andavano con-nessi tra loro per funzionare.” Chapman gli mostrò un cilindro di revolver che Colt produceva allora, forse un modello Dragoon: “[…] La ruota dentata era sul retro del tamburo come questa?” Rowe: “[…] Era la stessa cosa ma sul lato mi pare.” D: “[…] Il braccetto che provocava la rotazione era come questo?” R: “[…] Funzionava nello stesso modo.” D: “[…] Voi dite che l’arma ruotava per mezzo di una leva attaccata qui?” R: “[…] Era attaccata al cane. Non so quanto lunga fosse, non so se andava anche dietro al cane. L’ho costruita molti anni fa. Penso fossa attaccata nella parte posteriore del cane. Era attaccata nella parte inferiore, sicuramente. Era costruita per far ruotare il cilindro. Era costruita più o meno come questa leva (del modello Dragoon ndr). Era formata esattamente per lo scopo cui era stata pensata, per far ruotare il cilindro. […] Potrebbe non essere stata proprio co-me questa ma faceva il suo lavoro.” D: “[…] In che modo era differente da quella di quest’arma?” R: “[…] Ma non ha molta importanza, faceva il suo lavoro.”

    Nel contratto di Colt con l’Esercito del gennaio 1847, oltre ai 1000 revolver Walker, era-no compresi una serie di accessori, tra i quali i blocchetti fondipalle. Nella foto ne vedia-mo uno a sei cavità - dei 20 forniti in questo formato. Alla fusione ne risultava una palla di circa 220 grains senza solchi di ingrassaggio che i soldati spesso caricavano a rove-scio (Serven)

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    D: “[…] Deciderò io se è importante quando mi parlerete dei fatti.” R: “[…] Aveva più o meno questa forma. L’estremità era tagliente per aggan-ciarsi ai denti dell’ingranaggio. […] Quel gran disegno è quello che avevamo in bottega all’epoca, me lo ricordo bene perché vi lavorai molto e qualche vol-ta ci perdevo la pazienza.”

    I TESTIMONI DELLA MASSACHUSETTS ARMS CO. Chauncey Snell, meccanico e armaiolo, parlò in maniera abbastanza confusa di un modello in legno di arma a rotazione che il padre Elijah - morto verso la fine del 1834 - costruì nella sua bottega ad Auburn (Massachusetts) per David Colburn nel 1833. All’epoca aveva anche sentito dire che quest’ultimo aveva un brevetto. Egli stesso disse di aver contribuito, nell’autunno del 1833, alla costruzione di un esemplare di quest’arma - in metallo - nella quale il tamburo ruotava con la pressione di un grilletto, e lo sparo avveniva per mezzo di un secondo grilletto. Però non la vide mai sparare. Quell’arma era del tutto simile a quella che gli stavano mostrando in aula. Argulus Taylor, armaiolo, aveva lavorato negli anni 1833-34 nella bottega di Elijah Snell. Fu il periodo nel quale Colburn andò a Washington per il bre-vetto. Egli sapeva del brevetto, del viaggio a Washington e lavorò sull’arma. Isaac A. Bennet, operaio, fu il terzo teste a parlare del revolver di Colburn. Egli affermò: “[…] Sono a conoscenza di un modello in legno dell’arma di Colburn, lo vidi quando ero nella bottega del Sig. Downer perché me lo mostrò il figlio del Sig. Snell. Sono sicuro di aver costruito un tamburo per quell’arma - forse più di uno - il perno, forai le camere. Non nel 1833, quando vidi il mo-dello in legno, ma nel 1834 o 1835” Chapman aveva in aula un modello dell’arma di Colburn in metallo che faceva vedere ai meccanici, nel tentativo naturalmente di dimostrare alla giuria che vi erano armi a rotazione simili a quella di Colt già prima del 1836, ma sia Snell che Taylor e Bennet non sem-bravano del tutto sicuri che fosse esattamente la stessa arma che affermavano di aver visto più di quindici anni prima nella bottega di Snell padre. Dickerson ne approfittò per contro interrogarli. A Bennet chiese: “[…] Voi avete detto che si tratta della stessa arma di allora. Cos’è che vi rende così sicuro?” Risposta: “C’era un pezzo rotto, staccato, e ora lo vedo saldato.” D: “Allora riconoscete l’arma per via di questa saldatura?” R: “Si, l’arma era rotta e il cilindro è quello che ho fatto io.” D: “Siete assolutamente sicuro che il cilindro sia quello che avete costruito voi? Dopo 16 anni?” R: “ Credo di essere sicuro di questo.” D: “C’è qualche marchio, qualcosa di particolare che distingue questo cilindro da quelli costruiti in quel periodo?” R. “Non c’è niente di particolare ma non mi ricordo di averne costruiti altri di questo tipo. Solo questo. Lavoravo a giornata da Downer che fece questo lavo-

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    ro per il Sig. Snell. Il cilindro era per un’arma da caccia. Gli altri avevano una foratura diversa, da 3/8 di pollice.” Il brevetto di Colburn del 1833 prevedeva tra l’altro anche il montaggio di due canne lisce. Il meccanico John Vanderheyden aveva lavorato nella bottega di Snell fin dal 1818-20 disse: “[…] Conoscevo il Sig. Snell perché imparai il mestiere da lui e conoscevo anche il Sig. Colburn, sapevo che a un certo punto stavano trafficando su un’arma. La vidi costruire e aveva lo stesso cilindro di questa che vedo qui in aula. La esaminai spesso all’epoca - anche se non ci lavorai – perché ero interessato alle armi da fuoco, era il mio passatempo. […] Mi pare di averne viste due, una a due canne da caccia, alla quale non feci molta atten-zione, e una carabina a una canna.” Questi primi testimoni, pur ricordando in maniera approssimativa le caratte-ristiche e il funzionamento dell’arma di allora, vollero confermare che era del tutto simile a quella che gli avvocati della Mass. Arms avevano portato in aula. Soprattutto ribadirono che vi era il blocco del tamburo sotto sparo comandato da uno dei due grilletti. Pian piano però, a forza di contro interrogarli, Dicker-son mise in evidenza ciò che non quadrava. Nessuno sembrava aver più visto, o avuto a che fare, con quell’oggetto dal 1835, se non ché nelle ultime settimane - come d’incanto - era riapparso nelle mani di Thomas W. Carter (azionista ed agente della Massachusetts Arms Co.) il quale aveva fatto tornare loro a mente l’arma, il funzionamento, le caratteristiche. Un altro signore, di nome Babbitt, era stato incaricato di trovare armi a rotazione costruite prima di quella di Colt e di contattare gli inventori o chiunque avesse avuto a che fare con le invenzio-ni. Dickerson naturalmente li bersagliò di domande per far capire alla Giuria che l’arma di allora non funzionava esattamente come quella che Chapman aveva portato in aula. Non solo; voleva che i Giurati potessero avere più di un dubbio sulla buona fede dei testi e sul fatto che si ricordassero com’era l’arma primitiva solo perché qualcuno aveva loro rinfrescato la memoria qualche setti-mana prima del processo. A Vanderheyden chiese: “[…] Allora voi dite che l’arma aveva questo tipo di chiusura perché l’avete vista adesso? O perché ve la ricordate com’era allora?” Risposta: “[…] Entrambe le cose. Quello che so è che c’era questo strumento attaccato al grilletto che agiva sul cilindro e lo fermava. In quale preciso modo fosse attaccato non saprei dirlo esattamente, ma dopo aver visto quest’arma, adesso, so che era la stessa cosa perché l’avevo vista molte volte allora.” Anche Morgan L. Olmsted, meccanico e costruttore, parlò dell’esist