Salvo Andò.bak
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7/30/2019 Salvo And.bak
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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
dellUniversit Kore di Enna
EUROPA E POVERTSalvo And
Professore ordinario di Diritto comparato nellUniversit Kore di Enna
Nei giorni scorsi i sindacati hanno organizzato in tutti i Paesi dell'Unione europea
grandi mobilitazioni per la difesa del lavoro e del welfare. All'appello dei sindacati hanno
risposto moltissimi cittadini preoccupati sempre pi delle conseguenze che le politiche
dell'austerit producono sulle condizioni di vita dei cittadini. Ci troviamo di fronte a processi
di esclusione sociale di massa, tali da mettere seriamente in crisi quei principi di eguaglianza
e giustizia sociale su cui si sono fondate le democrazie emancipanti di questo dopoguerra. Le
nuove povert prodotte dalla perdita del lavoro e dalla sua sempre minore remunerazione
rischiano di creare contrasti sociali molto seri, se si considera che si allarga sempre pi la
forbice che esiste fra i redditi medi dei lavoratori e quelli di una ristretta casta fatta da top
manager, alti burocrati e professionisti di successo. Tutto ci comporta una crisi di quei valori
che hanno consentito il formarsi di forti legami sociali rivelatisi essenziali per fronteggiare le
diverse emergenze che hanno caratterizzato un difficile dopoguerra.
L'avvio del processo di integrazione europea attraverso le prime Comunit ha dato un
importante supporto all'estendersi ed al consolidarsi di un'economia sociale di mercato che,
attraverso la redistribuzione del reddito, ha creato un forte consenso sociale e ha cos
realizzato le condizioni perch le abitudini della democrazia potessero diffondersi anche in
Paesi privi di significative tradizioni democratiche. Non c' da sorprendersi se oggi i cittadini
europei, contestando l'Europa dell'austerit che si preoccupa soprattutto di difendere la tenuta
dell'euro, si schierino contro una visione dell'Europa che appare quanto mai lontana da quellaper la quale si batterono i Padri fondatori. Costoro non pensavano soltanto ad abbattere le
barriere doganali per far circolare ricchezza e consentire un pi facile accesso alle risorse a
Paesi che di essi erano sprovviste -facendo cos venire meno una delle cause delle tante guerre
europee-, ma miravano attraverso la collaborazione dei governi nazionali a promuovere forme
di lotta alla povert mai sperimentate a livello continentale, attraverso politiche di sostegno
allo sviluppo.
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In alcuni casi si trattava di estendere lo Stato sociale a Paesi che lo Stato sociale non
avevo mai conosciuto. In altri, occorreva invece consolidare quella esperienza in contesti
dove le ferite recenti della guerra erano ancora troppo profonde per permettere a ciascun
Paese di realizzare una politica della crescita che desse pari opportunit a tutti i cittadini e
privilegiasse la protezione dei non abbienti.
Nel momento in cui l'Europa appare ai suoi cittadini come una matrigna che smentisce
le tradizioni di solidariet che hanno costituito il costante punto di riferimento dell'intero
processo di integrazione, del tutto comprensibile che gli europei protestino e lamentino una
scarsa attenzione verso i problemi sociali e una ingiustificata preoccupazione verso i destini di
quei poteri forti che nell'immaginario collettivo sono i veri responsabili della crisi attuale.
Il mondo giovanile, in particolare, ritiene di dovere reagire con sempre maggiore
durezza alla crisi dello stato sociale, teorizzata come necessaria proprio da quel mondo
dellalta finanza che attraverso spericolate speculazioni ha prodotto il dissesto economico.
Crea reazioni sempre pi rabbiose il fatto che coloro i quali attraverso la speculazione
finanziaria hanno messo in ginocchio tanti Paesi in occidente oggi drenino risorse che
potrebbero essere destinate allo sviluppo, al finanziamento delle imprese, al sostegno delle
famiglie in difficolt, alla garanzia del diritto al lavoro o al mantenimento di un efficiente
sistema di ammortizzatori sociali.
I giovani e gli altri esclusi ritengono, non a torto, che il neoliberismo sia la causa
principale di questo inarrestabile processo di impoverimento dei Paesi occidentali e ritengono
altres che i governi abbiano subito passivamente i diktat dei mercati senza fare nulla per
mettere sotto controllo le transazioni economiche. E questa la ragione di quel furto di futuro
denunciato dagli indignados, che ovunque attaccano con crescente violenza i simboli delpotere finanziario.
La difesa della moneta europea, in assenza di una politica sociale che comporti una
difesa dei diritti, rischia di produrre una vera e propria guerra tra le generazioni che si riflette
anche nella vita delle famiglie.
Com' stato giustamente osservato da tanti, il neoliberismo, dopo aver generato la crisi,
oggi pretende di esserne il rimedio e, con lassenso dei governi europei, pretende di teorizzare
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la dittatura del mercato come l'ultima grande ideologia delloccidente. Si fa sempre pi strada
lidea della necessit di una divisione, all'interno dell'Unione europea, tra Paesi ricchi che
devono guidare e Paesi poveri che devono subire decisioni spesso oggettivamente ingiuste.
I temi della giustizia sociale che negli anni della prosperit europea sembravano essere
un punto obbligato nell'agenda dei governi, che miravano a superare il modello della
cosiddetta societ dei due terzi per potere assistere anche quel terzo di societ degli esclusi,
paiono oggi travolti dalle polemiche contro lassistenzialismo nemico dello sviluppo. E ci
pur essendo in presenza di nuove frange di povert che colpiscono anche coloro che si
ritenevano ormai da anni al sicuro.
Di fronte al deperimento di quel sistema di diritti individuali e collettivi che hanno
costituito il vanto dello stato sociale europeo, il cittadino vive l'Unione europea come la causa
del peggioramento delle sue condizioni di vita e teme che la cessione di altre quote di
sovranit possa ulteriormente indebolire il sistema delle garanzie.
Di fronte a questa percezione di abbandono, l'Europa dei mercati si configura come
un'entit lontana e astratta che ha interferito con il patto tra capitale, lavoro e welfare e che
oggi intralcia il consolidamento del processo democratico. Il mercato cos vissuto il
protagonista della grande asimmetria democratica che si realizzata tra decisori e destinatari
delle decisioni e il suo potere d'imperio privo di contrappesi democratici rischia di far saltare
quel tavolo di compensazione dei conflitti che ha consentito di far convivere (in una societ
ben ordinata) classi deboli, ceto medio e classi dominanti sulla base di un patto che attraverso
la mobilit sociale garantiva ad un numero sempre pi alto di persone di potere accedere al
mondo del benessere.
Il rischio che avendo come unico obiettivo quello di salvare una moneta unica che divenuta il solo baluardo del processo di integrazione non si garantisce l'unit politica del
continente europeo e, mettendo a dura prova la coesione sociale degli Stati, si creino le
condizioni perch l'Europa sia sempre pi disunita.
L'Europa comunitaria non ha vissuto mai momenti cos difficili come quello attuale,
perch mai ha rischiato di perdere concretamente di vista quell'obiettivo di un'unit funzionale
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alla realizzazione di una vera giustizia sociale che possa creare solidariet tra gli Stati
prevenendo controversie e conflitti.
E se l'Europa appare lontana e ostile ai suoi cittadini del tutto comprensibile che
questi, sentendosi meglio garantiti dal proprio Stato, si mostrino sempre pi disinteressati ai
destini del processo di integrazione e sempre pi legati allo Stato nazionale anzich ad
un'Unione europea che non fa nulla perch essi siano cittadini europei optimo iure.
E, daltra parte, l'Europa ha fatto poco o nulla per assicurare una dimensione sociale al
processo di integrazione e per dare un senso allo status di cittadino europeo. In tale ottica,
pesa anche lassenza di partiti europei che si possano fare carico del problema agendo
autonomamente rispetto ai partiti nazionali.
L'Europa che doveva diventare pi grande ed unita negli anni in cui fu guidata da una
grande personalit politica come Delors, appare oggi pi divisa e pi stretta, se si considera
che emergono all'interno di essa una parte dominante ed una parte dominata; una parte che
giudica un peso insostenibile le politiche solidaristiche e un'altra che ritiene la solidariet
essenziale perch il processo di integrazione prima o poi possa riprendere il suo corso.
La divisione che di fronte alla crisi si registra, per, una divisione che non pu solo
spiegarsi sulla base dei livelli di ricchezza prodotti e quindi redistribuiti, perch riguarda la
stessa filosofia dello stare insieme. L'Europa non pi unita nella diversit, ma disunita a
causa di essa, soprattutto in considerazione del diverso status che alcuni Paesi membri
vorrebbero imporre. E siccome i diritti costano, prescrivere, da un lato, standard ineludibili in
materia di funzionamento ottimale dello Stato di diritto e di svolgimento del processo
democratico, e poi, dallaltro, non fare in concreto nulla per farsi carico delle sfavorevoli
eredit storiche lasciate in alcuni Paesi dai vecchi regimi negatori di ogni libert, costituisceun atto di intollerabile ipocrisia.
L'Europa pi divisa che mai su questioni di fondo perch c chi ritiene - e non sono
pochi - che con la crisi i tempi sono divenuti maturi per definire un nuovo assetto dell'Unione
basato su un nucleo di Stati che decidono attraverso un direttorio ad hoc, considerando gli
altri Paesi come Paesi satelliti che eseguono. La funzionalit dellUnione dovrebbe insomma
essere assicurata dal principio di diseguaglianza tra gli Stati.
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Non questa l'Europa unita nella diversit sognata dai padri e cos definita nel TUE. La
diseguaglianza sarebbe il primo passo verso la paralisi del processo di integrazione che
dovrebbe portare l'Europa ad assumere tutti i connotati di una vera entit politica.
Sta accadendo che la divisione sempre pi profonda che si viene a verificare tra
un'Europa tutt'altro che solidale ed una Europa pi debole (che chiede comprensione e tempi
adeguati per rientrare nei canoni previsti dai custodi del rigore economico) produce conflitti
che non scaturiscono solo dal diverso potere economico degli Stati, ma anche dal diverso
modello di sviluppo che si vuole perseguire. Il fatto che la Germania e altri Paesi del Nord
Europa promuovano una campagna contro greci, spagnoli, italiani e altri paesi del Sud,
considerati la rovina dell'Unione europea perch incapaci di attuare politiche di rigore in
grado di difendere la forza delleuro, dimostra che la moneta unica in molti casi solo il
pretesto per spaccare il continente. Vi sono ragioni culturali che stanno alla base del conflitto.
La forza dell'Europa non pu venire dal fatto che essa si divida in gruppi omogenei a secondo
dell'ammontare del PIL nazionale, ma dalla capacit di fondere queste diverse realt tenuto
conto che le responsabilit della crisi non sono soltanto dei Paesi del Sud fiscalmente
irresponsabili, ma sono anche dei Paesi del Nord che a suo tempo hanno aggirato le regole
comunitarie rompendo nel 2003 il patto di stabilit e crescita.
Si trattato di scelte politiche che gli altri Stati europei sono stati costretti a subire.
L'attuale crisi figlia anche di questi strappi. Adesso alcuni studiosi e osservatori politici, per
giustificare la irreversibile rottura dell'Europa cos come , si sono spinti persino a spiegare
che le differenze tra i Paesi europei sono quasi disegnate dallo spartiacque tra
protestantesimo e cattolicesimo; si tratta dello stesso criterio usato da HUNTNIGTON che
individuava nella religione il fattore chiave che avrebbe creato nuovi conflitti di civilt suscala mondiale. Secondo questo punto di vista, le crisi di questi Paesi derivano dal fatto che il
Sud rimasto alieno alletica protestante del lavoro nel senso weberiano del termine1.
Insomma, siamo di fronte a una sorta di ellenizzazione del discorso economico
(KRUGMAN), quasi che il rispetto delle regole fissate a Maastricht sia in grado di prevenire
qualunque crisi economica, ovunque essa si produca e qualunque frattura essa determini. Ad
1 Per una efficace critica queste di queste teorie, si veda KUNDNAMI, Scontro di civilt in Europa, in Limes,2012, 3, pp. 9 - 16.
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aver prodotto la crisi, per, non solo il peso di unEuropa meridionale che ha infranto le
regole di Maastricht (gi fatte a pezzi da francesi e tedeschi), ma stato il rifiuto dei Paesi del
Nord ad accettare fino in fondo lo spirito dell'Unione europea e la scelta di curare lo stato di
salute dell'Europa monetaria senza perseguire l'obiettivo di realizzare gradualmente l'Europa
politica.
Sino alla crisi economica di questi anni, che ha rivelato la debolezza dell'euro di fronte
ad una speculazione finanziaria organizzata da ambienti che puntano molto sul fallimento
dell'Europa politica, le differenze in Europa riuscivano a coesistere e le differenze non erano
un problema per il futuro del processo di integrazione. Ma il rimedio a questi problemi non
pu venire da analisi affrettate che insistono sulle differenze culturali, bens risolvendo nodi
economici che hanno molto a che fare con il completamento del processo di integrazione. Si
tratta non solo di adottare meccanismi di aggiustamento della bilancia dei pagamenti, ma di
mettere a punto meccanismi di protezione dell'euro che riguardano un ripensamento delle
istituzioni comunitarie che non possono che passare attraverso il conseguimento di una
diversa identit politica dell'Unione europea.
La bagarre scatenata dalle misure imposte dall'Europa agli Stati membri per proteggere
l'euro, non ha nulla a che vedere con un conflitto di civilt del tipo di quello teorizzato da
HUNTINGTON all'indomani della fine della guerra fredda.
C' un'Europa che guarda allo stato di salute della finanza e che si vuole dissociare dai
Paesi che si dibattono nelle difficolt dell'economia reale per uscire dalla crisi. C' insomma
nel continente un duro conflitto tra chi si preoccupa della protezione dei mercati e che si batte
per la difesa dei diritti. Ebbene, l'Europa si limita a prendere atto delle tensioni esistenti senza
avere una strategia per venire a capo di essi.E un'Europa, quella attuale, che arretra di fronte alle grandi sfide che una crisi
economica cos difficile e prolungata impone e che non pare in grado di mettere in
discussione il proprio modello di sviluppo. unEuropa spaventata, nella quale si
moltiplicano sempre pi numerose le ossessioni securitarie. Essa non riesce a affrontare la
crisi ripensando il rapporto tra i Paesi del Nord e centro Europa ed i Paesi del Sud, cos come
non riesce a far sentire la propria voce di fronte ai preoccupanti segnali che emergono da
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alcuni Paesi in cui il rifiuto ad accettare i vincoli della democrazia comporta rischi di
involuzioni autoritarie. L'Europa prende atto per esempio delle riforme costituzionali che
stanno stravolgendo il tessuto democratico di Paesi come l'Ungheria e Romania che, pur a suo
tempo avendo accettato le regole del confronto democratico, adesso stracciano
disinvoltamente gli impegni sottoscritti.
Anche di fronte a questi problemi l'Europa, per paura, costretta a fare di necessit virt
dimostrando di non essere, in tempi di crisi, la casa della democrazia e dei diritti. Ben altra
reazione si avuta negli anni scorsi di fronte alle provocazioni di HAIDER, governatore della
Carinzia. Insomma, si parla di unit politica dellEuropa, ma concretamente ogni giorno si
possono misurare gli arretramenti che si compiono sul piano della cultura dei diritti e della
pratica democratica.
Ma l'Europa dimostra tutta la propria debolezza, tutta la propria impotenza anche in
politica estera.
L'Europa vent'anni fa, all'indomani della caduta del muro, inseguiva il sogno di
diventare attore globale, forte della conseguita unit tedesca e dell'allargamento dei suoi
confini verso i paesi dell'Europa dell'est.
Si candidava ad essere il laboratorio di un modello di governance parziale della
globalizzazione, in quanto macroregione in grado di fare coesistere diverse identit nazionali
allinterno di una organizzazione di Stati che tendeva a divenire un vero e proprio Stato
federale. LEuropa di ventanni fa, forte delle sue tradizioni di patria dei diritti, riteneva di
potere contaminare con la sua cultura costituzionale Paesi usciti da dittature durissime e
prolungate, riuscendo a conciliare libero mercato e tutela del lavoro, massima occupazione e
diritti dellambiente, stabilit politica e diritti della partecipazione democratica. Attraverso laCommissione di Venezia ha assistito i Paesi dellest che passavano dalla dittatura alla
democrazia senza assumere un piglio imperialista e senza pretendere forme di
assoggettamento politico dei nuovi regimi. E stato un momento magico questo per lEuropa.
Ogni traguardo sembrava a portata di mano.
Il grande contributo che essa dava ai Paesi dellest che venivano a ricongiungersi
allEuropa, non pareva peraltro doverla distogliere dai doveri storici a cui riteneva di dovere
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adempiere verso i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, soprattutto da quando essa si era
allargata verso Sud con lingresso prima di Spagna e Portogallo e poi della Grecia, di Malta e
di Cipro. Gli accordi di associazione con Paesi come la Tunisia e poi lavvio del processo di
europartenariato con la Conferenza di Barcellona (1995) sembravano peraltro gli atti concreti
di una politica mediterranea che assumeva i Paesi della sponda Sud come interlocutori
necessari (soprattutto in ragione dei forti storici legami da essi stabiliti con lEuropa) e non
dei normali partner da coinvolgere in un politica di vicinato che tendeva a coinvolgere Paesi
dellest non candidati ad entrare nellUnione europea. In questo senso lavvio della istruttoria
per lammissione della Turchia nella UE costituiva un atto dal forte valore simbolico
indirizzato allintero mondo musulmano.
Lattacco alle Due torri, la passiva condivisione delle politiche di Bush jr nelle guerre
per la democrazia, che dovevano rimanere atti di solidariet verso popolazioni oppresse e non
guerre imperiali e infine la crisi economica hanno visto il prevalere dellEuropa della paura
sullEuropa del coraggio e della grande progettualit. LEuropa, sentendosi aggredita nelle
sue certezze, si mossa rispondendo ad impulsi emotivi: la certezza di un benessere prodotto
da un capitalismo in grado di garantire processi di accumulazione inesauribili, la certezza di
una identit culturale in grado di assorbire le identit diverse delle comunit di immigrati che
sceglievano di vivere nei suoi territori e che adesso, al contrario, vengono vissute come una
minaccia, la certezza di potere usare i territori della sponda Sud come luoghi di sfruttamento
di materie prime acquisite a condizioni tali da consentire ai cittadini europei di vivere al di
sopra delle proprie possibilit.
LEuropa ha avuto paura di tante incertezze, di un destino oscuro, di tanti nemici
minacciosi che congiuravano contro la sua sicurezza dentro i propri confini e fuori di essi e,come sempre le capitato di fare nei momenti di difficolt, si chiusa al mondo esterno e al
mondo delle diversit che accoglie nel proprio seno, divenendo cos culturalmente pi povera,
mortificando le proprie tradizioni di libert e facendo prevalere le tendenze razziste
provenienti da una destra politica che alimenta a fini elettoralistici l'allarme sociale prodotto
dalla societ multietnica.
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La storia europea del secondo millennio insegna che proprio nei momenti di chiusura
l'Europa ha registrato una preoccupante decadenza creando le condizioni per l'emergere del
nazionalismo guerrafondaio e di una condizione di isolamento internazionale. I tempi di
splendore della civilt europea sono invece legati alle aperture che si sono avute nel
continente nei confronti delle altre civilt e che hanno consentito l'emergere di societ
pluraliste, la coesistenza pacifica di diverse religioni, in grado di garantire il progresso
culturale e lo sviluppo economico.
paradossale che l'Europa disconosca le tradizioni dello Stato sociale nato nel
continente proprio nel momento in cui gli Stati Uniti del presidente Obama rifiutano i miti di
un neoliberismo egoista e si preoccupano di iniziare a dare protezione a chi non ha mai potuto
sperimentare il senso di sicurezza che solo uno stato compassionevole pu dare. Nella
campagna elettorale che l'ha visto opposto al liberista Romney, Obama ha spiegato che i
diritti sociali sono diritti fondamentali perch consentono all'individuo di realizzarsi non solo
nella sua relazione con gli altri esseri umani ma come membro di un gruppo sociale che va
salvaguardato nella sua articolazione; che i diritti sociali sono necessario complemento dei
diritti civili e delle libert dal momento che nessuno pu fruire di essi senza un minimo di
sicurezza sociale. Non c' una vera libert se si assume lo Stato come un antagonista che si
estranea dalla condizione umana, ma solo potendo contare sull'aiuto dello Stato.
Se l'austerit finanziaria dovesse essere fine a se stessa e non finalizzata alla crescita
economica nel contesto delle sistema europeo, il rischio che via via si rompano non
soltanto i paesi che dalle agenzie di rating vengono giudicati come paesi deboli e inaffidabili
ma anche i paesi che hanno un rating da tripla AAA. E a poco vale, sul piano internazionale, il
rafforzamento della fiducia nell'euro se all'interno degli Stati europei prevale il disordinesociale che inevitabilmente porta alla instabilit politica. Uno Stato sociale vitale essenziale
per la crescita che non pu venire soltanto dal rigore finanziario. La vitalit dello Stato sociale
che deve essere patrimonio comune di tutti i paesi europei costituisce un elemento, non
secondario, di impulso dello stesso processo di integrazione. Compito dell'Europa non
quindi quello di deprimere gli sforzi che gli Stati fanno per conseguire questi risultati,
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imponendo tagli regionali ragioneristici alla spesa sociale, ma di fornire adeguati sostegni a
quanto gli Stati gi fanno per garantire le politiche della solidariet.
LEuropa nei decenni scorsi si candidava al ruolo di attore globale, in grado di influire
sulle decisioni da cui dipendevano la pace e l'ordine sociale del pianeta, e soprattutto a fare
ci in primo luogo nella regione mediterranea .Oggi invece l'Europa nel Mediterraneo conta
poco pur in presenza di eventi che potrebbero avere conseguenze straordinarie sul futuro della
regione e del continente africano. Le rivolte per la libert verificatisi nei paesi della sponda
sud via via paiono ignorate, sminuite nel loro significato da uno scetticismo che porta a
guardare quel mondo utilizzando stereotipi che avevano ragion dessere ai tempi dei dittatori
amici dellOccidente. Nel momento in cui sembra prevalere nei paesi delle rivolte una sincera
voglia di libert e di apertura verso l'Occidente pi vicino, l'Europa si chiude, non erige ponti
che possono favorire il dialogo ma cortine per blindare le frontiere all'emigrazione illegale e
di quella legale. Il ricatto della destra populista ha buon gioco nell'imporre una politica ostile
al confronto tra le culture e al riconoscimento della identit. Non si parla pi di un'alternativa
mediterranea possibile al modello di sviluppo euroatlantico. LEuropa politica non in vista,
mentre si realizza un'Europa preoccupata di garantire l'ordine pubblico alle proprie frontiere,
di limitare la libert degli immigrati che sono diventati frattanto cittadini europei. La societ
europea ha paura di uno sviluppo dei paesi della sponda sud del Mediterraneo perch questo
sviluppo ci potrebbe rendere pi poveri.
Di fronte a questi fenomeni abbiamo bisogno di una paziente opera di ripoliticizzazione
della societ europea; da ci dipende il futuro dellEuropa. Ma se lEuropa soltanto una
potenza che da il meglio di se nella difesa di una moneta, molto difficile che essa possa
divenire pi sicura nellesercizio del proprio ruolo planetario, e soprattutto che i diritti deipropri cittadini possano essere difesi, in forme tali da farli sentire davvero cittadini europei.