Sento…Sogno… · Sai, forse sento più di tutti voi messi insieme. Voi, nel vostro caos...
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Anno scolastico 2013-14
Maggio 2014
Numero III
L’Associazione A.F.I.A. (Famiglie Ipoacusici Abruzze-
si), con sede a Tollo, ha indetto il IV Premio di disegno,
musica, poesia e narrativa giovanile Gianluca Vitale. Il
tema del concorso è “Sentire.. sognare”, e prevedeva la
realizzazione di poesie, racconti editi ed inediti sul tema
della sordità. Molti studenti del nostro Istituto hanno pre-
so parte alla manifestazione.
A seguire, verranno presentati gli abstract degli elaborati
degli alunni del Gonzaga e, soprattutto, il componimento
poetico di Niccolò De Cecco della classe I A del Liceo
Socio-Psico-Pedagogico, che ha vinto il primo premio
nella sezione Poesia e narrativa giovanile.
A Niccolò vanno i complimenti di tutta la scuola!
I mesi sono volati
le stagioni sono passate
ed io non ho sentito.
Sono passate davanti ai miei occhi
feste, cerimonie e baldorie.
Quanto sarebbe bello sentire, udire e ascoltare….!
Qual è il danno che ho fatto
per portarmi appresso questo masso?
Per fortuna la scienza, la tecnologia e la chirurgia si sono
fatte avanti
ora posso sentire discorsi, schiamazzi e canti.
Senza gli aiuti forniti non vivrei,
non ce la farei a perdermi
tutto quello che porta, nel nostro mondo,
la gioia di sentire!
Ora posso sentire
ma, per mia sfortuna, sento cose sconcertanti,
che provocano molti danni
facendo vergognare tutto il mondo.
Comunque l’angoscia è passata:
posso sentire…..ma non smetto di sognare.
Sogno una vita migliore,
piena di gioia e senza dolore.
Sogno una vita di uguaglianza
fra giovani e vecchi, donne e uomini
fra sani e malati, ricchi e poveri
dove il potere non esiste
e viviamo tutti in pace e in armonia con la natura
sentendo i suoi suoni e ammirando la sua bellezza.
Sogno una vita migliore
dove viviamo tutti insieme con un senso di fratellanza.
Questo lo sogno……
questo lo sento.
Nicolò De Cecco classe 1A
Sento…...Sogno…...
Speciale concorsiSpeciale concorsiSpeciale concorsi
Sentire…sognare!
Caro amico,
quante ore, quanti giorni, quanti mesi passati a cercare di comprendere il mondo che ho intorno!
I miei primi dieci anni di vita sono stati così belli! Amavo la musica, la ascoltavo, la vivevo. Poi, quel giorno
maledetto di metà settembre. Qualcosa è andato storto durante lo scorrere della notte e quel mattino le
mie orecchie vedevano il buio. Ti starai chiedendo: come fanno le orecchie a vedere? Beh, sappi che vedo-
no e anche bene!
All’inizio di questi sei lunghi anni vedevano il vuoto, poi hanno incominciato a scoprire tanti colori. E sai
come? Proprio grazie alle persone che mi dicevano che ne sarei venuta fuori, che presto avrei potuto pas-
sare di nuovo ore ed ore vicino ad uno stereo a fantasticare; ma anche grazie a chi mi scriveva su un fo-
glio “Arrenditi, perché non puoi più sentire!”; oppure a chi di me ha visto solo la diversità; grazie a chi mi
ha lasciata sola e mi ha messa da parte con un
“Tanto sei sorda!”. Ma sorde erano proprio
queste persone, che non sentivano il mio gri-
do tanto forte da poter frantumare i vetri,
abbattere i muri, ribaltare i mondi. Grazie a
tutte queste persone, grazie alla musica ne sto
venendo fuori, nonostante la consapevolezza
di non poter più recuperare l’udito. Ma chi vi
assicura (dico a te e a tutta la gente) che io
non senta?! Le analisi cliniche? Sì, ma non ba-
stano! Sai, forse sento più di tutti voi messi
insieme.
Voi, nel vostro caos quotidiano, dimenticate
quanto è bello ascoltare il vostro cuore batte-
re, mentre scandisce ogni attimo della vostra
vita, un metronomo fisso che non vi abbandona mai! Quante volte vi dimenticate che toccare è sentire?
Che provare una sensazione di caldo, di freddo, di dolore, di rabbia, di amore è sentire? Quante volte
pensate che sfiorare un tavolo di legno o di metallo, un foglio di carta, una matita, una chitarra è sentire?
Sento che le persone fanno tanto rumore, con i profumi che si spruzzano sui vestiti e sul corpo, con le
strette di mano tra la folla in un treno, con le loro emozioni che faticano a contenersi in un corpo. Sento
il dolore di avere solo un ricordo delle voci amiche, sento la mancanza dei richiami di mia madre, sento di
essere di troppo quando bisogna spiegare che in fondo non sono “normale”.
Io sento! Sono in ascolto dentro! E sai, ogni giorno mi chiudo in camera, metto le cuffie nelle orecchie e
sento una musica che sovrasta il rumore della gente, che mi fa sentire viva! E il mio cuore e la mia mente
sognano, perché sento. E forse quel giorno di metà settembre non lo maledico più, perché sento. Perché
sentire è sognare!
Bacioni
Stella
Buccione Valeria Classe 3N
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Quel grande silenzio non c'è più. Le voci che non pote-
vo più ascoltare sono tornate. Intorno a me c'è un bel
prato verde da cui proviene una sinfonia di grilli che,
unita a quella degli uccelli, costituisce una vera e pro-
pria composizione musicale.
Nell'aria sento il tagliaerba di papà, le grida di mio fra-
tello, che sta facendo una partita a pallone con i suoi
amici e la conta di mia sorella, che sta giocando a na-
scondino con la figlia della vicina. Poi entro in casa e
sento qualcosa di incredibile: la voce di mia madre, al-
terata perché le si sta bruciando la torta! Non è possi-
bile! La mamma ci ha lasciati tanti anni fa e adesso è qui
di fronte a me: vedo il suo sorriso e ascolto la sua vo-
ce!
I nostri sguardi si incrociano per un momento, come se
in un attimo volessimo raccontarci tutti quegli anni pas-
sati senza di lei da quel giorno, da quel tragico giorno.
Tutto cominciò tanti anni fa quando un semplice ope-
raio, Gianni, incontrò una giovane commessa, Monica:
si innamorarono a prima vista e si sposarono. Poi ebbe-
ro Tom, me e mia sorella Susan. La nostra vita era feli-
ce: i miei genitori avevano un buon lavoro, io e i miei
fratelli eravamo bravi a scuola e, soprattutto, eravamo
una famiglia unita.
Purtroppo un giorno, però, le cose cambiarono. Era un
martedì, io mi sentii male a scuola e chiamai la mamma
perché mi venisse a prendere. Ma, uscite per andare
nel parcheggio, mentre attraversavamo sulle strisce
pedonali, un’auto che andava ad alta velocità ci investì.
Mamma per proteggermi cercò di farmi scudo e la
macchina la prese in pieno. In ospedale non mi resi
conto, ma in realtà intorno a me c'era solo silenzio.
Improvvisamente mi accorsi che papà, Tom e Susan
piangevano, ma non emettevano suoni. Poi chiesi come
stesse la mamma. Papà mi rispose, ma io non capii. Da
quel momento di una sola cosa ero certa: il mio mondo
sarebbe stato silenzioso per sempre. Cominciai a cam-
minare per il corridoio del reparto: i nonni piangevano,
gli zii piangevano e persino l’equipe medica aveva un'a-
ria commossa. A quel punto compresi che la mamma
non c'era più. Nei giorni successivi al funerale di mam-
ma provai un profondo senso di vuoto. Molte delle co-
se che faceva lei in casa dovetti farle io. La mia vita era
cambiata..
Quando tornai a scuola, se prima ero la migliore della
classe, ora mi ritrovai l'insegnante di sostegno. Se pri-
ma andavo a fare la spesa e la commessa mi diceva
quanto c’era da pagare, adesso dovevo leggere il prez-
zo sul display della cassa. Se prima mi accorgevo che la
lavatrice aveva ultimato il lavaggio dal piano di sopra,
perché non faceva più rumore, ora dovevo scendere
per vedere se la spia fosse rossa o verde. Ma soprattut-
to c’era l'angoscia di non poter sentire più la voce della
mia migliore amica, mia madre.
Poi un giorno mi sedetti e pensai che in realtà noi sia-
mo dotati di cinque sensi, a me ne erano rimasti quat-
tro, che non erano pochi e che, quindi, quindi mi sareb-
be bastato potenziare quei quattro per compensare il
quinto. Mi allenai e i risultati si videro. Per esempio un
giorno un uomo gettò nel giardino della vicina, pieno di
foglie secche, una cicca accesa di sigaretta ed io, appena
sentii l'odore del fumo, mi misi in allerta. Mio padre e i
miei fratelli, invece, dovettero aspettare le urla dei vici-
ni per capire cosa stesse succedendo.
Perdere l'udito mi aveva anche permesso di ascoltare
in un altro modo, di sentire con gli occhi e col cuore.
Infatti, avevo imparato a comprendere bene gli altri,
non solo quando parlavano, ma, in base alle loro
espressioni, sapevo cosa volessero dire anche quando
non si esprimevano. Per esempio, spesso papà non par-
lava, ma nei suoi occhi leggevo la mancanza della donna
che amava e la preoccupazione di crescere tre figli da
solo.
Così andavo da lui e lo abbracciavo per trasmettergli
tutto il mio amore.
La vita è stata dura per me da quel martedì, che giorno
dopo giorno mi sono portato sulla coscienza. Se non
mi fossi sentita male a scuola, mamma non se ne sareb-
be andata e io ... io sarei stata una ragazza serena e
spensierata! E’ questo ciò che ho pensato, ogni giorno,
in ogni situazione.
Ma ora mi trovo qui, finalmente di fronte alla mia mam-
ma, indaffarata ai fornelli. Sto per abbracciarla, è lì, ad
un passo da me. Una strana sensazione: cos’è che mi
tira via lontano da lei? E' mia sorella che mi sta stratto-
nando nel letto, perché è ora di andare a scuola. E' sta-
to solo un sogno! Ma io non dispero; so che il mio so-
gno presto diventerà realtà, perché è Dio stesso, nelle
Scritture (1), a promettermi che si realizzerà. Non ci
saranno più le malattie e io riavrò l'udito, potremo
riabbracciare i nostri cari che sono morti, poiché ver-
ranno risuscitati e godremo di una vita serena e piena.
Apocalisse 21:3,4; Isaia 33:24
Di Naomi Tortora Classe 3L
Sentire e sognare…
Una promessa
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Sentire….Sognare
“ Immagina che non ci sia il Paradiso. Prova, è facile. Nessun inferno sotto ai piedi, sopra di noi solo il cielo.
Immagina che la gente viva al presente. “ -
-- 12 novembre 2012.
In una fredda e piovosa giornata di novembre, me ne stavo seduta sul divano di camera mia, accanto alla
finestra. Ero sola, rimasta ad osservare uno scenario maledettamente triste. Pioggia incessante, che invece
di lavar via le memorie impresse nel marciapiede del mio cuore, non faceva altro che batterci sopra, come
per amplificare ogni mio dolore. Rimasi per parecchio tempo con uno sguardo assente a fissare il vuoto.
Distante sia dalla realtà che dalla fantasia e con un nodo alla gola che non mi permetteva di respirare, mi
sentivo come imprigionata in un mondo senza luce, sola e abbandonata. La mia vita era triste e monotona,
aveva bisogno di un senso, che non riuscivo a trovare. Armata di cuffie auricolari e un’infinita playlist di
canzoni dei Beatles, riuscii a calmarmi, uscii e dopo aver camminato per qualche minuto, mi sedetti su una
panchina gelida. La loro musica era la mia unica ancora di salvezza. Ogni volta che li ascoltavo mi sentivo
libera da ogni pensiero, preoccupazione, rimorso. Mi sentivo bene. Le loro parole e la loro musica entra-
vano a far parte di me e non potevo far a meno di sorridere e sentirmi viva. E me ne stavo seduta lì ad
ascoltarli sul mio mp3, mentre la pioggia iniziava a farsi sempre più fitta e il cielo a ricoprirsi di un manto
scuro e tenebroso. Mi incamminai per tornare a casa, quando improvvisamente incrociai lo sguardo di un
ragazzo. I suoi occhi erano marroni, i suoi capelli credo che fossero color castano chiaro. Non so il per-
ché, ma il suo sguardo aveva attirato la mia attenzione. I suoi occhi sembravano infinitamente profondi,
era come se mi ci stessi perdendo dentro. Tutto questo accadde però in un solo attimo e fu tutto così
fugace e inaspettato che non riuscii neanche a capire chi fosse. Tornai a casa e chiamai il mio gruppo per
provare. Ci chiamavamo i Reckless, ovvero gli spericolati. La nostra band si era formata da un anno. Erava-
mo in quattro. Ricky suonava la batteria, Alessandra la chitarra, Noemi al basso ed io ero la voce. Andava-
mo forte, ma fino ad allora non avevamo mai suonato davanti a molta gente, non eravamo mai riusciti ad
esprimere noi stessi davanti a delle persone. Ogni tanto componevamo canzoni di genere rock, ma solita-
mente facevamo cover. I nostri grandi ispiratori erano i Beatles, i maestri del rock, i nostri idoli. Era la pas-
sione per questo gruppo che ci aveva congiunti. Quando suonavamo, per ognuno di noi era come espri-
mere i propri sentimenti, gridare emozioni, gridare noi stessi.
-- 24 gennaio 2013.
Era il gran giorno. Il giorno in cui finalmente avrei cantato con il mio gruppo davanti ad un vero pubblico.
Il giorno in cui insieme avremmo affrontato tutte le nostre paure, le nostre incertezze, cercando di espri-
merci e di emozionare chi ci avrebbe ascoltato. Lo zio di Alessandra aveva appena aperto il suo locale, e
ci aveva chiesto di fare un piccolo spettacolo per la sua inaugurazione. Eravamo eccitatissimi. Quando
Matteo, il proprietario, ci presentò alla gente, ero in ansia. Ma salii sul palco, chiusi gli occhi e incominciai
a cantare, e d’un tratto tutto passò. Lasciai uscire dalla mia anima ogni sentimento, ogni emozione. Mi di-
vertii come non mai. Era come se dentro ognuno di noi ci fosse un drago da liberare. Quella sera aprim-
mo i cancelli del nostro cuore e ci lasciammo andare. Arrivati a metà del nostro repertorio, facemmo una
pausa. Prima di riprendere però mi accorsi di uno sguardo familiare, tra la folla. Lo riconobbi solo quando,
mentre stavamo suonando ‘Allmyloving’, canzone dei nostri idoli rock, ritrovai quegli occhi color nocciola.
Era lui, il ragazzo che avevo incontrato in quella giornata maledettamente triste. Quel ragazzo che col suo
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Sentire … sognare.
Le grida, i sorrisi, le emozioni, gli applausi erano lì per me. Piena di sudore e affaticata avevo comunque
fatto sentire la mia musica a tutte quelle persone. Ogni passo era a tempo come ogni emozione arrivava ad
ogni plauso. Lì, in piedi, con il cuore in festa e i muscoli completamente distrutti, avevo solamente comin-
ciato a camminare per me ma in realtà mi sbagliavo.
Iniziato con un pezzo funk finii con grinta e potenza nella dubstep. Interpretare quella musica con le mie
sole sensazioni era talmente eclatante che mi commossi. Un solo essere umano capace di emozionare tanta
gente, in verità aveva fatto parlare la musica per tutti ma soprattutto per lei. Quell’essere umano sono io e
tutto questo era ciò che mi distoglieva dai problemi e dalle paure quando arrivò un uomo in camice bianco
e che con grande autorità disse a mia madre che avevo perso l’udito e che non avrei più potuto ballare.
Piansi giorno e notte come se fosse morta una persona cara, come se un padre avesse lasciato la propria fa-
miglia, come se un’amica avesse cercato di suicidarsi, come se un ragazzo avesse i minuti contati per una
malattia, come se… Mi chiedevo se ci fosse qualcosa di più brutto dell’aver perso la cosa più bella al mon-
do e se avessi fatto qualcosa di sbagliato per meritarmi un torto simile. Ero sorda non solo fisicamente ma
anche al mondo. Lui, che gridava dicendomi di rialzarmi, farmi forza, ricominciare perché poi un giorno
avrei rivisto quei sorrisi e tutte quelle persone in festa per me. Ero talmente sorda da non aver capito che
quello era solo l’inizio di un nuovo cammino da completare.
Passò un anno e non mi resi conto che ormai anche parlare era diventato impossibile. Il mio diciassettesimo
compleanno fu un totale disastro e non solo, a Natale mi chiedevano ancora che regalo desiderassi ma non
sguardo m’aveva fatto riflettere. Lo guardai bene e mi accorsi che era di una bellezza incredibile. Distratta
da cotanta meraviglia, non mi accorsi che anche lui mi stava guardando, e quando mi sentii talmente in
imbarazzo. Abbassai rapida lo sguardo, poi mi misi a pensare e mi accorsi di un leggero fastidio al petto e
di un tremolio alle gambe che non avevo mai avuto prima d’allora. Mi chiedevo come fosse possibile che
io provassi ciò per una persona che neanche conoscevo. Alla fine dello spettacolo andai a cambiarmi e,
una volta uscita dal camerino, mi precipitai sul bancone del bar per
bere qualcosa. Quando chiesi al barista il conto però, mi disse che
qualcuno lo aveva già pagato. Mi chiesi chi potesse essere stato,
poi mi voltai e vidi quel ragazzo sorridermi. Bizzarro il modo in cui
si accese in me una forte sensazione di felicità. Si avvicinò e inco-
minciammo a parlare. Ci guardammo negli occhi e solo allora co-
noscemmo bene i nostri volti ma non serviva, perché noi già ci
amavamo. Probabilmente passarono due ore prima che mi riac-
compagnasse a casa. Il suo nome era Marco. Aveva 19 anni e si era
da poco trasferito dalla Spagna. Parlammo in breve delle nostre vite, ci raccontammo l’essenziale. Entram-
bi amavamo la musica rock. Fu questo ad accomunarci maggiormente. Col tempo scoprii che era una per-
sona sensibile, romantica, dolce, ma col suo lato.. ‘rock’. Sapeva capirmi e starmi vicino. Sapeva farmi feli-
ce. Fummo ottimi amici, per un po’ di tempo, anche se sapevamo di appartenerci, sapevamo di provare
l’un per l’altro qualcosa di ben più profondo. Non pensavo di poter mai provare certi sentimenti per qual-
cuno, soprattutto durante quel periodo buio della mia vita. Provammo, a distanza di un anno e più, a scri-
vere una nostra storia d’amore nel destino. Eravamo felici, e lo siamo tutt’ora, a distanza di tanti anni, ri-
pensiamo a come una grande passione ci avesse uniti, facendoci scoprire nuovi orizzonti e nuove speran-
ze. Oggi, insieme, senza più timore di vivere, godendoci il presente, canticchiamo ‘All my loving’ e conti-
nuiamo a sognare che il nostro amore non finisca mai.
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sapevano che quello che volevo l’avevo perso. Il sedici giugno feci una sorpresa a Dario, il mio insegnante
di danza. Mi presentai al saggio però senza farmi vedere. Davvero stupendo lo spettacolo con quelle luci e
lui aveva ballato “non bene ma di più”, come diceva a lezione, e le mie amiche…mi avevano lasciata senza
fiato. Tutto spettacolare se non fosse per le mie orecchie. Quanto mi mancava la musica.
Entrai negli spogliatoi e tutte, piangendo, mi abbracciarono forte. Dario mi fissava, quasi come fosse spa-
ventato. Forse non sapeva cosa dirmi, o credo, come farmelo capire. Poi, all’improvviso, un brivido mi
passò per le vertebre fino alla testa quando mi abbracciò. Lui che mi aveva asciugato le lacrime quando era
necessario, che mi aveva insegnato tutto, anche a vivere. Lì, in quella piccola sala dove avevo scoperto me
stessa. Tra quelle mura piene di scritte colorate avevo imparato a convivere con me stessa e a sopportarmi
un po’ di più. Un abbraccio mai avuto prima che mi fece capire quanto fosse in pena per me. Ad un tratto,
mi prese per le mani e mi disse che sarei dovuta passare il martedì seguente a scuola perché mi avrebbe
dato una notizia importante.
Quel martedì mi presentai a scuola. Mi guardò e con un accennato sorriso mi fece gesto di seguirlo. Entrati
in sala mi diede l’ordine di ballare. Non capivo, o meglio, non volevo capire. Poi mi mise la mano sul cuo-
re e mi guardò negli occhi ordinandomi nuovamente di ballare. Chiusi gli occhi…stavo ballando.
Dovevo partecipare ad una gara, mi aveva chiesto Dario, così consegnai una scheda da compilare a mia
madre. Con un’occhiata violenta mi fece capire che
era contraria poiché mi riteneva ancora troppo fragi-
le e impotente. La feci sedere e le dissi: ” Io urlo,
ormai urlo da un anno. Non vi siete mai accorti
quanto stessi male. Non potevate capire quanto mi
mancasse. Adesso, ti prego, di appoggiarmi anche se
sei preoccupata per me. Se mi vuoi vedere felice
prendi questa penna e compila quel foglio”. Detto
questo, con molte difficoltà, prese a scrivere ed io a
provare il pezzo con Dario. Per capire la musica, mi
aiutava con le mani e la bocca. Non so come ma da
quei movimenti capivo tutto di quei suoni e più mi
allenavo e più miglioravo.
Arrivarono le gare e non ricordandomi come fosse
aspettare dietro il palco presi ad agitarmi. Lo stoma-
co mi si chiuse, la testa mi girava e le mie gambe non volevano smettere di tremare. Stare lì dietro era una
tortura perché non ci si aspetta mai tutto quel pubblico. Mancava una ragazza e poi sarei salita io. Non riu-
scivo a respirare. Visto il mio panico negli occhi, Dario mi guardò, sicuro che avrei fatto tutto come previ-
sto. Così, presa di coraggio, mi avvicinai, chiusi gli occhi cercando di ricordare ogni singolo passo. Quan-
do Dario mi fece cenno di salire ero ormai un’altra persona.
Meno trentotto secondi…meno venticinque secondi…meno due secondi e…quei volti sorridenti. Di nuovo
in piedi, tutti, uno a uno, per me. Di nuovo libera, finalmente. Mi ritrovai circondata dalle altre ragazze e
Dario che prese il microfono e parlò della mia situazione. I giudici si alzarono e, senza neanche esitare, mi
consegnarono la coppa del primo posto, riempiendomi di congratulazioni e abbracci. Ovviamente, non vo-
levo vincere in quel modo così lasciai il trofeo alla ragazza che aveva ballato prima di me e chiesi sola-
mente un ultimo saluto dal pubblico. Un ultimo grido, sorriso e applauso da quelle persone che con un solo
minuto avevo fatto emozionare, di nuovo.
Ilaria Pietrangelo Classe 3N
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Aprii gli occhi, quasi di scatto, e mi resi conto con
sorpresa che era già mattina. I timidi raggi del sole
penetravano dalla finestra socchiusa e donavano alla
mia camera mille sfumature pastello. Mi alzai leggia-
dra e mi affacciai alla finestra. Era primavera e chissà
che meravigliosi suoni echeggiavano nell’aria. Provai
ad immaginare i cinguettii allegri degli uccellini, il
ronzio musicale delle api a lavoro e il rumore della
brezza primaverile che si muoveva delicata tra le
foglie. Non avrei mai potuto contemplare piena-
mente quel paesaggio senza sentirne i suoni, ma al-
meno potevo arrivarci con la fantasia. Era un giorno
assai importante per me, un giorno che forse avreb-
be potuto cambiare la mia vita. Uscii dalla camera
diretta in cucina, dove mamma mi stava sicuramente aspettando per fare colazione. Appena varcai la so-
glia della porta, mamma mi salutò con la mano e mi
fece cenno di sedermi. La tavola era apparecchiata e
piena di tutti i miei dolci preferiti: pancake, muffin e
cioccolato. Dopo una colazione come quella avrei
potuto scalare anche il monte Everest senza mani.
Mamma prese il telefono ed iniziò a parlare, proba-
bilmente di lavoro, non so con chi. Mentre mastica-
vo, guardavo la sua bocca cercando di capire cosa
stesse dicendo poi, quando dedussi che non era nul-
la di interessante, tornai a fissare il cibo che mi si
poneva davanti. Iniziai a pensare alla voce di mia ma-
dre. Chissà com’era e chissà cosa poteva trasmet-
termi. Era dolce? Sì, sicuramente. Il mio sguardo si
bloccò in quel pensiero. Conoscevo tutto di mia
madre: le sue movenze, il modo di comportarsi, lo
sguardo … ma non conoscevo la sua voce. Non
l‘ho mai sentita dirmi “ti voglio bene”, ma ho potuto
dedurlo sempre dai suoi gesti. (…) Poi, quando le
chiesero che nome volesse darmi, lei rispose
“Hope, che significa speranza”, lasciando tutti i me-
dici allibiti. Amo mia madre e non riesco ad immagi-
nare la mia vita senza di lei. Inoltre se non fosse per
lei non avrei conosciuto la mia più grande passione:
la danza. Mamma era una ballerina ma, dopo aver
avuto me, aveva dovuto abbandonare i suoi sogni e
cambiare vita. Qualche anno dopo la mia nascita,
era riuscita ad aprire la sua scuola di danza avendo
molto successo. È lì che ho mosso i miei primi passi
ed è quello il luogo che mi è più caro, dopo casa mia. Mia madre mi ha insegnato tutto ciò che ha po-
tuto, facendomi diventare una brava ballerina. Con-
siderati i miei problemi ho sempre ballato con i suoi
“metodi speciali”. Erano passati ormai quattro mesi
da quando mamma aveva accettato, per la mia insi-
stenza, di portarmi in una nuova scuola nei pressi
della capitale. Mi ero preparata a fondo per quella
prova che la vita mi poneva davanti.
Avrei frequentato dei corsi con i migliori maestri
del mondo e, alla fine del semestre avrei avuto la
possibilità di fare un’audizione per la compagnia na-
zionale di balletto classico. Era tutto troppo impor-
tante e volevo che fosse perfetto. Dopo aver finito
di mangiare, corsi in bagno per una bella doccia ri-
lassante poi mi misi davanti allo specchio e pettinai
accuratamente i miei capelli color mogano, lunghi
fino alla schiena e li raccolsi in una perfetta crocchia
sulla cima della testa. Andai in camera e aprii l’arma-dio alla ricerca di quella bellissima busta rossa. Mesi
prima, infatti, io e mamma ci eravamo recate in uno
dei negozi di articoli per la danza migliori della zona.
Lì avevamo acquistato due nuovi meravigliosi body e
scarpette da punta “Serenade”. Rovistai nell’arma-
dio con fare felino e, dopo alcuni minuti, riuscii a
trovare la busta. Infilai le calze rosa pelle, il body e
poi presi un vestitino primaverile da usare come
“copricostume”. Mi girai verso il letto dove troneg-
giava la mia grande valigia azzurra. In testa mi frulla-
vano mille domande “Sarò pronta a tutto questo”
mi chiesi. Andare in quella scuola voleva dire andare
via di casa e vivere da sola, responsabilizzarmi ed
affrontare la gente da cui mamma mi aveva sempre
protetto. No! Non potevo arrendermi, era convinta
di ciò che volevo ed ero pronta ad affrontare qual-
siasi cosa per ottenerlo. Presi la valigia dal letto,
scesi le scale e salii in macchina dove mamma mi
aspettava nervosa. La scuola distava quattro ore dal-
la nostra piccola villetta di periferia e qualcosa mi
diceva che mamma le avrebbe passate dandomi rac-
comandazioni su raccomandazioni. (…)
L’insegnante mi fece segno di andare da lui. Chissà
cosa voleva dirmi, non ero pronta ad affrontare altri
insulti. Mi impegnai a fondo per leggere il labiale,
anche se parlava troppo veloce “Tu sei Hope giu-
sto?” io annui “Sei scoordinata cerca di migliorare
altrimenti questo non è il posto giusto per te. Hai
l’apertura, la grazia, ma è come se non sentissi la
musica… ora vai”. Quelle parole mi fecero ancora più male. Come avrei potuto affrontare il semestre?
Mi recai nella mia stanza che si trovava nel plesso b
ANCHE I SOGNI SI AVVERANO (ABSTRACT)
Pag ina 8 La Voce del Gonzaga
della scuola. Una volta entrata mi buttai sul letto a
piangere. Dopo poco però una vocina nella testa mi
disse “Hope non devi arrenderti, è il tuo sogno e ce
la puoi fare”; e così smisi di piangere. Mi infilai sotto
le coperte calde, poiché ero stremata, e pregai il
Signore in un domani migliore (…). Nessuno sapeva
che non potevo né sentire né parlare, ma probabil-
mente molto presto mi sarebbe toccato confessare
il mio segreto.(…) “Come ti chiami?” io non risposi
perché non potevo e ogni parte del mio corpo si
era immobilizzata. “Io sono William e studio batte-
ria e chitarra al conservatorio; molto piacere!”. E
ancora: “Sei nuova qui? Non ti ho mai visto”. Aspet-
tava una risposta con occhi curiosi, ma non potevo
dargliela. “Ok, ho capito; sei una di poche parole. Ti va se scendiamo al bar a bere qualcosa, almeno ti
torna il sorriso, dai!”. Io annuii. Ci sedemmo ai tavo-
lini della caffetteria e lui iniziò a fissarmi ancora con
occhi curiosi e interessati. Quanto avrei voluto par-
largli, raccontargli la mia storia e i miei problemi. Ma
avevo paura che sarebbe scappato via. “Allora per-
ché non dici niente? Non ti mangio mica!” disse im-
paziente ed allegro. Raccolsi tutto il coraggio che
avevo nel mio gracile corpo ed iniziai a muovere le
mani sperando che conoscesse il linguaggio dei se-
gni. Inizialmente mi guardò incuriosito poi, quando
comprese la situazione, il suo volto si rabbuiò leg-
germente.
“Non conosco il linguaggio dei segni, mi dispiace“.
Poi prese un foglio dal suo quaderno e mi disse sor-
ridendo “Scrivi coraggio”. Non era scappato e ma
aveva capito tutto in pochi istanti. Presi il foglio
sgualcito e vi scrissi sopra il mio nome poi glielo
porsi con allegria. “Hope è davvero uno splendido
nome, mi piace molto” continuava a sorridermi in
modo incondizionato. Le mie guance scottavano e
sicuramente erano rosse come rose primaverili. “Le
tue compagne ti prendono in giro perché sei sor-
da?” io feci cenno di no e scrissi nuovamente sul
foglio e lui lesse curioso “Non sanno che sei sorda?
Ma perché non lo dici a tutti? Magari ti capirebbero
meglio”. Effettivamente aveva ragione. Se avessero
saputo del mio problema forse avrebbero capito
perché sbagliavo. William mi prese la mano e disse
“Vieni con me ti faccio visitare la scuola”. Così ci ritrovammo a girovagare insieme tra le numerose
aule dell’edificio. Ad un certo punto William si girò
e mi disse “ Ti faccio vedere una cosa”. Scendemmo
una scalinata e ci trovammo in una stanza buia. Wil-
liam accese le luci ed ecco la meraviglia. Quella stan-
za era piena di tutù e mi venne la voglia irrefrenabile
di provarli tutti. Mi chiesi come facesse ed avere il
permesso di stare lì, ma non mi importava più di
tanto. Rovistando tra i costumi, presi un tutù rosa e
bianco. Era ricamato in maniera impeccabile e sem-
brava uno di quei piccoli ciclamini che mamma met-
teva sul balcone d’estate. Lo indossai e William mi
guardò “ Wow ti sta veramente bene … ora fammi
vedere come balli” io feci cenno di no. Ero imbaraz-
zata, ma poi lui mi guardò dolcemente e allora, do-
po aver indossato le punte, iniziai a muovermi legge-
ra come una farfalla. Lui mi guardava estasiato in
piedi vicino alla porta. Ad un certo punto la punta si
bloccò su un chiodo del parquet e persi l’equilibrio.
Lui mi riprese al volo. Poi mi aiutò ad alzarmi e ci
guardammo intensamente negli occhi. Mi passò una mano sotto il mento ed esclamò “Sappi che d’ora in
poi se qualcuno ti dà fastidio io sono qui pronto a
difenderti”. I nostri volti si avvicinarono e ci baciam-
mo dolcemente. Era davvero stato un colpo di ful-
mine come quelli dei film. Ero finalmente felice e
non potevo crederci. Prima di tornare nella sua
stanza mi disse che il giorno successivo sarebbe ve-
nuto a vedere la mia lezione e che poi saremmo sta-
ti insieme. La mattina dopo la lezione andò molto
meglio del solito, forse perché William mi aveva re-
sa troppo felice. Il maestro si stupì e si congratulò
per i miei progressi. Uscita dall’aula, vidi William
correre veloce verso di me. Fermandosi giusto in
tempo mi disse “Ho una soluzione! Ho una soluzio-
ne! Vieni forza … o mio Dio sono troppo conten-
to!”. Mi portò nella sua stanza e accese le casse del-
la sua chitarra, poi mi si avvicinò e mi disse “metti la
mano qui”, indicandomene una. William inizio a suo-
nare e io, stranamente, riuscii a percepire il ritmo
della canzone. Mi guardò “La senti vero? Si, lo sape-
vo -aggiunse- Ho passato tutta la notte a fare ricer-
che”. Si bloccò e mi disse a gesti che era contento.
Finalmente avevo trovato la soluzione. Durante le
settimane che seguirono, migliorai sempre di più e i
maestri, dopo aver appreso della mia sordità, erano
molto più buoni e clementi con me. Nessuno mi
prendeva più in giro, anzi tutte mi guardavano con
rispetto. Passarono mesi bellissimi e William non mi
abbandonò. Ormai mancavano pochi giorni all’audi-
zione. Ripetevo la mia variazione venti o trenta volta al giorno, perché non ero mai soddisfatta. Volevo
che fosse perfetta ed impeccabile. (…). L’audizione
si sarebbe svolta nel salone principale della scuola.
Io, dato il mio cognome, sarei stata tra le ultime.
Quella mattina mi svegliai e mi preparai al meglio
alla sbarra, poi mi recai veloce nel salone. Indossavo
un tutù bianco molto semplice e una piccola tiara
Pag ina 9 La Voce del Gonzaga
sulla cima della testa. Quando arrivai mi misi in fila e
William era lì ad aspettarmi. Per tutto il tempo non
fece altro che rassicurarmi. Quando arrivò il mio
turno, entrai e i giudici accesero lo stereo ma, a
causa dell’agitazione, mi dimenticai del mio rituale
abituale. Iniziai a danzare e, dopo il primo fuettè,
caddi a terra. Mi rialzai e, con passo lento, mi avvici-
nai allo stereo e misi le mani sulle casse sotto lo
sguardo stupito dei giudici. La musica iniziò a risuo-
narmi in testa. Ballai benissimo quasi come fossi una
farfalla o una rosa delicata. Ero energia pura, spriz-
zavo elettricità. Quando ebbi terminato, uscii dalla
sala e mi sedetti vicino a William in attesa. Lui mi
disse “Sei stata meravigliosa, se non ti prendono
sono degli sciocchi”. Dopo pochi minuti uno dei giu-dici venne a chiamarmi. L’uomo, basso e tarchiato
sulla cinquantina, mi disse con il linguaggio dei segni
qualcosa di meraviglioso e impensabile. “Sei forse il
talento migliore di questa scuola e noi della Compa-
gnia Nazionale di danza, saremmo felici di averti nel-
la capitale il prossimo semestre. Congratulazioni
Hope, ce l’hai fatta!”. Mi strinse la mano e se ne an-
dò soddisfatto. William mi guardava preoccupato,
ma io gli corsi incontro e lo abbracciai forte. In fon-
do era tutto merito suo. “Sapevo che ce l’avresti
fatta. Sei la mia stella”. Alla fine ero arrivata in cima
e avevo ottenuto quel che volevo. Nessuno dei nu-
merosi ostacoli che avevo dovuto affrontare era
riuscito a fermarmi. Nonostante la mia sordità e i
miei problemi avevo coronato il mio sogno. Sarei
diventata una vera ballerina.
Rossana Vincitorio Classe 2L
BE THE LIGHT
Alcuni giorni passano semplicemente,
Altri sono indimenticabili.
Non possiamo decidere la ragione per cui sia così
Ma possiamo scegliere cosa fare
Dal giorno seguente.
Così con questa speranza,
con questa determinazione
Rendiamo l’oggi
Un giorno luminoso e migliore.
Ho letto queste parole nel testo di una canzone, alcuni
anni fa, eppure, non mi hanno mai abbandonato. Ci
sono frasi che si incastonano perfettamente nel nostro
cuore e che ci accompagnano per il resto della nostra
vita, chiare ed indelebili. Qualsiasi cosa abbia fatto que-
ste parole sono tornate a far capolino nella mia mente
e mi hanno dato coraggio, erano calde come i ricordi a
cui le associavo.
Nella mia vita non ho mai ascoltato la musica, non ho
mai potuto ed è per questo, forse, che la ritengo così
importante. La musica l’ho sempre creata dentro di
me ed anche per queste parole l’ho immaginata. Ades-
so il mio concetto di musica è così ben chiaro che non
vorrei mai sapere com’è in realtà, nel mio piccolo
mondo la musica è esattamente come la immagino io.
È così anche per le voci delle persone che amo, per i
rumori, per i suoni. Non ho mai conosciuto queste
realtà e, per questo, le ho immaginate, rendendole
mie.
Tutto questo può sembrare strano, ma è un principio
importante per raccontare la mia storia. Senza questo
aspetto di me, quello che tutti definiscono un handi-
cap, non sarei veramente e completamente io. Parlare
di questo nei primi anni della mia vita non è stato affat-
to facile ed odiavo la mia condizione. Era come se ve-
dessi una costante distanza tra me ed il resto del mon-
do. Fin da bambina avevo imparato che possedevo
qualcosa in meno degli altri, che ero in svantaggio.
Per un bambino accettare una cosa simile non è affatto
semplice e nemmeno per la mia famiglia lo era. Tutti
mi vedevano incompleta ed anch’io mi vedevo così,
semplicemente perché non mi era stato insegnato a
considerare la realtà da un’altra prospettiva.
In fondo, come può mancarti qualcosa che non hai mai
posseduto? A rivolgermi per la prima volta questa do-
manda fu un ragazzo che conobbi in un campo estivo e
questa domanda mosse in me il cambiamento. Ricordo
l’agitazione di quei giorni. Non ero mai stata per più di
un giorno lontana da casa e restare con i miei amici,
senza la mia famiglia, per ben due settimane, mi agitava
terribilmente.
Era un’esperienza nuova per me e mi stupivo per ogni
Pag ina 10 La Voce del Gonzaga
piccola cosa. Per la priva volta capii che la mia vita an-
dava avanti anche senza i miei genitori, riuscivo a ge-
stirmi da sola e a tenere in ordine la stanza senza bi-
sogno che fossero loro a ricordarmi di farlo. Mi senti-
vo forte, stavo crescendo.
Nessuna delle mie compagne di classe aveva voluto
condividere la stanza con me e quelle con cui ero ca-
pitata erano state scelte dalla professoressa. Leggevo
perfettamente la rabbia nei loro occhi. Mi vedevano
come un’intrusa e nessuna aveva mai provato a strin-
gere amicizia con me. Tutto questo mi faceva soffrire,
ma non dicevo niente. Ogni volta che aprivo bocca le
persone ridevano ed ero arrivata a credere che la mia
voce avesse un suono ripugnante. Per me era faticoso
parlare, sentivo soltanto le mie corde vocali vibrare e
non riuscivo a capire come dovessi moderare il tono
della voce.
Era la vacanza dell’estate dopo l’esame di terza media.
Dopo quell’anno i miei compagni di classe non li avrei
più visti ed avrei avuto occasione di ricominciare la
mia vita daccapo. Inizialmente in vacanza non volevano
nemmeno invitarmi, ma si erano trovati costretti.
Quando tutti ballavano nella piccola sala vicino alla
mensa, io restavo immobile e li guardavo invidiosa. Io
non potevo sentire la musica e non sapevo come si
ballasse. Per le prime due sere me ne andavo in came-
ra e piangevo tutta sola nel buio, nascosta tra le co-
perte.
Conobbi quel ragazzo durante una lezione di canoa.
Era diverso dai ragazzi che avevo conosciuto fino ad
allora. Lui non aveva mai provato a ridere di me o a
prendermi in giro e questo mi apparve fin da subito
molto strano.
Anche lui non aveva un compagno per la canoa ed
andammo insieme. Non era bravo a remare ed io gli
insegnai come fare. In quell’occasione ero molto timo-
rosa e non volevo che sentisse la mia voce. Mi espri-
mevo a gesti e sorridevo, cercando di fargli capire che
ero felice di insegnargli come fare. Aveva capito che
fossi sorda, ma sembrò non importargli. Per lui sem-
brava non fare la minima differenza.
Di sera il ragazzo, vedendomi in disparte, mi afferrò
per un braccio e, senza dir niente, mi condusse verso
la mensa. Tutti i tavolini erano stati puliti e la stanza
era vuota. Ci accomodammo ad un tavolino e lui pre-
se dalla macchinetta due caffè.
Parlava lentamente ed io riuscivo a capire perfetta-
mente il suo labiale. Sorridevo e partecipai timidamen-
te al discorso.
-La tua voce è davvero molto bella – mi disse.
Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, anche i
miei genitori lo davano per scontato. Ma io avevo bi-
sogno di sentirmelo dire. Avevo bisogno che qualcuno
mi rassicurasse, volevo essere certa di non avere nulla
di diverso dagli altri.
Ripensare alla sua dolcezza mi colpisce ancora. A di-
stanza di anni rimango colpita da certi ricordi. Nella
vita si possono incontrare poche persone in grado di
cambiarcela per sempre ed io ero stata fortunata.
Era vero, il mio “problema” non poteva essere un far-
dello per sempre. Che io lo volessi o no, non sarei
mai cambiata e non dovevo rassegnarmi, dovevo sem-
plicemente dire a me stessa – Sono così, poco impor-
ta se gli altri sono diversi da me. –
Le chiacchiere di fronte ad un bicchierino di caffè con-
tinuarono quasi ogni sera, quando non eravamo impe-
gnati con le attività sportive. L’ultima sera, prima di
ripartire, offrii io il caffè e lo bevemmo sulla spiaggia,
seduti sulla sabbia.
Grazie a quell’incontro colsi l’inizio delle superiori per
migliorare. Non avevo più così paura della sordità, ci
convivevo da tutta la vita ed avevo appreso altri modi
per capire le persone, oltre che ascoltarle.
Gli occhi, ad esempio, parlano più di tutto il resto. E
poi ci sono i gesti, la frequenza del respiro.
Io e quel ragazzo restammo in contatto anche quando
la gita terminò ed io lo usai come espediente per im-
parare a decifrare le persone.
Di carattere non parlava molto ma il suo corpo, i suoi
piccoli gesti, i dettagli, comunicavano per lui. In questo
eravamo molto simili.
Nei pomeriggi in cui ci incontravamo era come se
scoprissimo il mondo insieme.
Più di tutto ricordo un pomeriggio d’autunno. Gli al-
beri del parco avevano le foglie di colori irreali. Noi
camminavamo lungo lo stretto viale di terriccio e le
foglie secche scricchiolavano sotto i nostri piedi. Mi
stringeva la mano e per me, ormai, era divenuto un
gesto naturale, colmo di una dolcezza infinta.
In quel momento, forse per la prima vera volta nella
mia vita, mi accorsi di quanto il mondo che abitavo
fosse silenzioso. Vedevo quei colori, sentivo il vento
soffiarmi contro il viso, ma, in fondo, era come se fos-
si ad anni luce di distanza da quel luogo. Appreso que-
sto mi bloccai. La mia mente girò a vuoto ed io, im-
mobile, sentii mancarmi il respiro.
“Com’è il mondo che gli altri vivono?” mi chiesi.
È una domanda banale per chiunque tranne che per
me. Mi vergognavo a chiederlo, avevo paura di sem-
brare stupida, eppure, non riuscii a trattenermi.
-Andrea, il tuo mondo com’è? – chiesi.
Immaginai come la mia voce fosse risuonata, come si
fosse congiunta al soffio del vento che l’aveva già por-
tata via.
Le parole non avevano senso. Io spendevo tanta fatica
per pronunciarle e loro volavano via. Non capivo pro-
prio perché gli altri le trovassero così importanti. Le
parole non sono fatte d’altro che d’aria e si dissolvono
Pag ina 11 La Voce del Gonzaga
prima che possano raggiungerci il cuore. Il mio univer-
so, ai miei occhi, era molto più infinito e sensato ri-
spetto a quello delle persone che avevo conosciuto.
Lui restò qualche minuto in silenzio. Mi sembrava di
vedere gli ingranaggi della sua mente girare per elabo-
rare una frase. Non ci aveva mai pensato al suo mon-
do, forse.
-Il mio mondo è vuoto ed io ci galleggio dentro. – ri-
spose semplicemente.
In quel momento compresi che lui era esattamente
come me. Forse tutti quei pensieri, quelle inquietudini,
perseguitavano anche lui. Ma lui aveva le parole, eppu-
re, non le usava.
-E ti basta vivere così? –
Lui mi sorrise. Il mio cuore sembrò svegliarsi ed agi-
tarsi.
-Mi bastava. Poi sei arrivata tu –
Le sue braccia strinsero la mia vita e mi baciò.
Era la prima volta che un ragazzo mi stringeva in quel
modo. Fu una sensazione che non dimenticherò mai, è
rimasta impressa sulla mia pelle. Il momento in cui il
ragazzo che stavo iniziando ad amare mi strinse per la
prima volta, io mi sentii infinitamente piccola. Mi senti-
vo come se quelle braccia non mi avrebbero mai la-
sciata cadere, ero sicura di questo. È una delle sensa-
zioni più simili all’amore.
Da allora compresi qualcos’altro di importante. La vita
non inizia il giorno della propria nascita, bensì nel mo-
mento in cui ci si rende conto di essere in vita, di ave-
re un cuore che batte coraggiosamente e di avere tut-
to il tempo e la forza per fare qualsiasi cosa.
La mia vita iniziò in quel momento. Non perché la mia
esistenza dipendesse da lui, no, ma perché avevo capi-
to di non essere la sola a galleggiare nell’universo.
La sera del mio compleanno entrò dalla finestra della
mia stanza, si accomodò sul mio letto e mi svegliò con
un bacio. Aveva lasciato una torta con le candeline
accese sul pavimento e lui era seduto di fianco a me,
con la chitarra fra le mani. La luce soffusa delle cande-
le illuminava parte del suo viso ed il resto era avvolto
dal buio.
-Ho scritto una canzone per te – disse.
Io sorrisi, era un’idea davvero romantica. Ero felice,
poi mi ricordai di chi fossi.
Lui iniziò a suonare ed io non sentivo niente. Niente,
esattamente niente. Il mio mondo era silenzioso come
al solito ed io non potevo fare nulla per alzare il volu-
me.
Iniziai a piangere, con disperazione, carica di ogni de-
lusione possibile.
Fu in quel momento che lui mi strinse a sé e guardan-
domi dritto negli occhi mi disse.
-Chiudi gli occhi, ascolta soltanto il tuo cuore e senti-
rai la mia canzone. –
Nessuno mi aveva mai detto qualcosa di così bello. Il
suo cuore aveva creato quella melodia ed anche se le
mie orecchie non potevano sentirlo, il mio cuore lo
avrebbe fatto.
Chiusi gli occhi e respirai lentamente. La musica la
sentii davvero e mi riempì il cuore di speranza.
Quando lui ascoltava la musica a me faceva leggerei
testi e mi diceva che avevo la fortuna di immaginarla.
Quei momenti erano gioiosi e mi facevano sentire
speciale. La mia vita appena iniziata sembrava piena di
belle aspettative.
Il tempo non può distruggere ricordi così belli. È vero,
le cose finiscono e ci si sta male, ma odiare il passato
semplicemente perché si è andati avanti è un crimine.
Anche la nostra storia finì. La vita è fatta anche di que-
ste cose e le storie d’amore, se ci si pensa, non fini-
scono mai per un motivo vero.
Credevo di morire senza di lui. Ero appena riuscita e
riemergere e stavo di nuovo affogando nel mondo. Ma
non sono morta, non potevo ora che avevo saputo
come fosse bello vivere.
Io non vedo più il mio “difetto” come un problema,
non dico che la mia vita sia semplice, ho tante difficol-
tà ma tutti le hanno. In compenso ho avuto una vita
tutto sommato tranquilla, ma ho amato con sincerità
e di questo, anche se spesso non è finita come avrei
voluto, non potrò mai pentirmi.
Quella felicità così pura e semplice non l’ho più vissu-
ta, solo lui poteva donarmela ed io non avrei mai pro-
vato a sostituirlo. Ogni esperienza è un caso a sé e
quando ci penso mi commuovo ancora.
Se lo rincontrassi lo abbraccerei e gli direi semplice-
mente : -Grazie – perché con lui ho imparato a vivere.
Benedetta Iezzi Classe 3E
Pag ina 12 La Voce del Gonzaga
IL SOGNO DELLA REALTA' (ABSTRACT)
Le pareti della mia cameretta sono di un rosa sbiadito dal tempo, il colore del soffitto è bianco con delle
venature che dimostrano come la vecchiaia marchi anche la semplice pittura bianca utilizzata tanto tempo
fa.
Mentre sto osservando attentamente quelle venature - distesa a pancia in su sopra al mio letto - immagi-
no figure che non ci sono e sorrido, sorrido in parte perché mi è sempre sembrato di vedere una princi-
pessa con una corona sul capo e il mento troppo grande per essere di un umano, e in parte perché mi
tornano in mente le parole della mia amica del cuore: "le rughe creeranno soltanto dei disegni sulla pelle
quando saremo anziane, le avremo anche noi, proprio come sul soffitto della tua camera ci sono le vena-
ture che "compongono" i disegni."
Sa quanto mi disgustano le rughe, non vorrei mai arrivare ad averle. Lei che prende tutto con filosofia s'è
inventata la storia dei disegni sopra la pelle per far sì che mi piacciano di più queste rughe, che le apprezzi
e le veda come una parte inevitabile e positiva della vecchia.
Come sempre quando penso alla mia amica, il cellulare vibra avvisandomi di un SMS in attesa di essere
letto: al solito è da parte sua.
Mi scrive: Sto arrivando. 5 min e sn lì.
Le invio un ok con tanto di faccina sorridente.
Sparse un po' sul muro, alla mia destra, sono attaccate col nastro adesivo le foto degli attimi passati con la
mia migliore amica o anche "amica del cuore". Le ripercorro una ad una con lo sguardo, giudicando più
belle le foto scattate in montagna. C'eravamo state per festeggiare il quindici agosto.
Non riesco mai a capacitarmi di quanto ci assomigliamo fisicamente. Anche in questo momento me ne sto
stupendo, come ci osservo nelle foto. Bussano alla porta della camera. Corro
ad aprire.
Eccola Anna, in piedi di fronte a me e sulla soglia della porta. La mia migliore
amica … se qualcuno sta cercando degli argomenti per giustificare la tesi che
afferma che le persone amiche hanno caratteristiche fisiche in comune, noi
possiamo essere giusto i due "argomenti" perfetti.
Stessa altezza, stessi occhi verdi e stessa misura del naso: piccolo e alla fran-
cese. Perfino la stessa espressione del viso ... l'unica differenza è il colore dei
capelli, ma a questo ho posto rimedio, appena l'anno scorso ho cambiato co-
lore, da bruna a rossa, proprio come lei.
D'istinto le porto dietro l'orecchio una ciocca di capelli lisci che le copre l'occhio destro, e tocco il suo
apparecchio acustico che le permette di sentire: Anna è sorda dalla nascita.
Ci accomodiamo sul letto e dice a fatica che si è preoccupata, perché per alcuni giorni non ho risposto ai
suoi messaggi. Non potendo sentire, Anna non ha imparato ad articolare bene le parole, così mi concen-
tro a capirla. Purtroppo conosco soltanto pochi gesti in lingua dei segni e quest'ultimi non sono sufficienti
a portare avanti un discorso, ma sto cercando d’imparare, piano piano.
La mia amica mi sta insegnando. Spero di riuscire prima o poi ad apprendere un vocabolario più vasto
possibile in modo da non farla affaticare.
(…) Mi ricordo la tenacia che Anna metteva nel provare ad integrarsi nel gruppo di bimbe che si era forma-
Pag ina 13 La Voce del Gonzaga
to in classe ai tempi delle elementari. Quella testardaggine mi infastidiva come non mai e infastidiva anche
le altre e per questo la isolavamo ignorandola, soprattutto quando cercava di dirci la sua.
“Credo che non abbia..”, tentò di partecipare un giorno.
“Tu non c'entri niente!”, ricordo che la interruppe una bimba del gruppo. Come al solito al quel punto la
mia bocca si azionò prima che mettessi correttamente in funzione il cervello e ne approfittai per spararne
una delle mie: “Non sei entrata a far parte del gruppo. Devi andartene. Tu vai raccontando tutto a tutti e
qui diciamo cose serie.”
Le altre assentirono silenziosamente a ciò che avevo detto. Anna scoppiò in lacrime. Si allontanò, mortifi-
cata e in lacrime. Quel giorno lo ricordo particolarmente triste, dopo il suo pianto.
Il giorno seguente, la mamma di Anna mi incontrò per parlarmi di persona, per cercare di farmi capire che
dovevo smetterla di inveire contro e sulla sua bambina sorda, che tornava sempre a casa in lacrime dopo
essere uscita da scuola ed indicava me, come colpevole principale di ogni sua tristezza.
Mia madre, assistendo al rimprovero, a sua volta intervenne: “Se stai comportandoti male quella bimba,
Cory, smettila. Non tutti hanno un carattere forte come il tuo.”
Mi stupisco ora che nemmeno mia mamma avesse compreso la sofferenza di Anna. Non si trattava di ave-
re o meno un carattere forte!
Cavolo, la sua era veramente tenacia! Essere respinta e sentirsi rifiutata più e più volte, nonostante tutto
lo sforzo compiuto per poter essere accettata. E’ normale che sia frustrante fino alle lacrime: lei era forte.
Lo è e lo è sempre stata più di me.
Per cinque anni d'elementari, comunque, continuai a proteggermi a mio modo dalla paure: incosciente e
principalmente incurante d'ogni rimprovero.
Quando i miei compilarono il modulo d'iscrizione per iniziare a frequentare i tre anni delle medie, sapevo
che nello stessa scuola si sarebbe iscritta anche lei, Anna. Mi informai a proposito della sezione nella quale
si sarebbe ritrovata e scongiurai i miei genitori in ogni modo possibile, perché facessero in modo che non
venissi inserita nella sua stessa classe. E invece fecero esplicita richiesta proprio per quella che, purtroppo,
si diceva fosse la migliore sezione e lì c’era anche lei. Non contarono nulla le mie preghiere, i miei pianti
considerati stupidi e le storie che inventai su di Anna: andai a finire lo stesso in quella sezione.
Primo giorno di scuola. Cercai di non guardarla, ma le mie compagne di banco non facevano altro che
prenderla in giro mentre la osservavano e io mi adeguai molto facilmente.
I giorni e i mesi trascorsero e le cose rimasero più o meno le stesse: la mia paura era diminuita e crescen-
do e quindi maturando –come allora credevo- un po', ero arrivata a non considerarla nemmeno parte del-
la classe, perciò non inveivo più su di lei.
Ci fu quel sogno, poi –ancora non mi spiego perché- che mi indusse a modificare la visione delle cose e mi
cambiò la vita.
Da quel qualcosa in poi fu come se avessi un paio di occhi nuovi. Come se la persona che consideravo la
mia nemica, per me non rappresentasse più una fonte di preoccupazione, anzi. Fu come un campanello
d'allarme che disse: "Togli i paraocchi e tutto andrà più che splendidamente."
(…) “Era un sogno molto vivido, di emozioni che provavo per davvero. E’ iniziato che, come stavo facendo
nella realtà, dormivo …”
“La solita pigra.”, mi interrompe Anna. Io rido.
“Sì. Ad un certo punto però mi sveglio e, consapevole di dovermi alzare per andare a scuola, provo un
senso di agitazione come … paura. Cosa che sarebbe stata anche ordinaria, in caso di interrogazione ma
sentivo di non dover affrontare nessuna verifica a scuola quel giorno. Era come se fossi angosciata a causa
Pag ina 14 La Voce del Gonzaga
di qualcuno.
Mia mamma nel sogno mi prepara la colazione e, come vado per dirle di passarmi un cucchiaino, apro na-
turalmente le labbra, ma non sento la voce che percepisco passarmi per la gola! All'improvviso, nel mio
sogno, avevo perso l'udito. Non credo di essermi mai spaventata tanto. La mamma mi guardava con un'e-
spressione amorevole e allo stesso tempo triste nel vedermi in difficoltà. Poi veramente l’inverosimile.
Una voce diversa dalla mia parlò nella mia testa, la voce di mia mamma diceva: "Povera bimba mia, se non
fosse nata sorda ora non la vedrei sforzarsi così." Sorda io! Mi sentii offesa per il fatto che mia mamma mi
pensasse " povera ", solo perché non riuscivo in qualche modo a sentire più i suoni attorno a me. Insom-
ma, io non volevo fare compassione a nessuno, io rimanevo sempre Corinna, una persona come tutte le
altre.
Accompagnata a scuola da mio padre, riuscii a scoprire che il suo pensiero era più o meno lo stesso di
quello che aveva avuto mia madre e questo contribuì
ad abbattermi, ma anche a darmi la forza per affron-
tare la giornata scolastica, nonostante l'angoscia che
continuavo a sentire nei riguardi della scuola.
Entrando in classe, mi accorsi di riuscire a sentire
nella mente i pensieri di tutta la classe e per scioc-
chezza per cui sentivo i miei compagni lamentarsi, mi
veniva da pensare ancor di più al dramma che io sta-
vo vivendo. Mi sentii giudicata dagli altri, quando ri-
masi sola durante la pausa pranzo e triste, quando
vedevo tutti essere amichevoli con tutti tranne che
con me. Non era giusto, e proprio nel sogno riflette-
vo: "Ogni essere è diverso l'uno dall'altro e non è
certo perché la mia diversità è più evidente di quella
degli altri, che devo essere evitata. Anzi, è proprio
questo mio essere così che mi permette di capire
maggiormente le altre persone, riuscendo addirittura
ad ascoltarne pensieri." Lo so che la telepatia non è possibile, ma il sogno mi dimostrò che non sentendo
con le orecchie come tutti, avevo affinato una sensibilità più potente e sofisticata: quella di ascoltare con
la mente.
Risvegliandomi dal sogno, mi venne naturale riportarne il senso su di te, Anna: ti vidi per la prima volta,
per ciò che sei e capii che ciò che sei non doveva assolutamente turbarmi, anzi il contrario.”
Terminato di raccontare, Anna mi abbraccia. Il suo sorriso si riempie di luce e realizzo che sta per rivelar-
mi un pensiero profondo dei suoi.
Invece di parlare, decide di scrivere su un foglio bianco: " I sogni sono figli delle stelle." Le sorrido.
Nessuno sa realmente perché delle persone sono destinate ad incontrarsi ed altre meno. Credo che ab-
bia a che vedere con le stelle, appunto. Quando le costellazioni che ci rappresentano su nel cielo si incro-
ciano tra loro, il nostro destino è quello di incontrarci, prima o poi.
E se i sogni - come Anna afferma - sono figli delle stelle, il mio è nato da quella che mi ha portata a cono-
scere la mia migliore amica, per sempre.
Di Iorio Nadia Classe 5L
Pag ina 15 La Voce del Gonzaga
Si conclude il 27° Concorso scolastico europeo:
Strasburgo ospiterà di nuovo una nostra alunna!
Valeria Buccione della classe 3N del Liceo linguistico “I. Gonzaga”, si aggiudica il I° Premio del concor-
so organizzato dal Movimento per la vita, dal titolo: “Matrimonio: vuoi unire la tua vita alla mia?”. La nostra
alunna si recherà dal 17 al 20 dicembre 2014 a Strasburgo, sede del Parlamento Europeo, ospite dell’orga-
nizzazione del concorso. Il II° Premio, un buono spesa di 50 euro, è stato vinto da Filoso Mariagiulia e
Ricci Beatrice (III N), Cucchia Guido (IV C), Di Ruscio Michela (IIID).
Si sono, inoltre, distinti i seguenti alunni: Cocco Sara (IV C), Di Marcoberardino Laura, Di Salvo
Patricia, Di Vincenzo Sara, Primiterra Gloria (V D), Magliano Valeria (III D).
La premiazione è stata effettuata il 24 maggio nella Sala del Museo Universitario a Chieti e la cerimonia è
stata animata dai ragazzi musicisti del Gonzaga. Nel corso di questa manifestazione, è stata premiata anche
Pellegrini Benedetta della classe II D, che ha partecipato alla I° edizione del Concorso fotografico on
line, a “Iolanda Di Renzo”. A Benedetta, un buono acquisto di 200 euro.
A seguire, il testo di Valeria Buccione, vincitrice assoluta del Concorso scolastico europeo. Complimenti
ragazzi!
Marzo, il mare, i ciottoli, il sole, il vento gelido, la
testa piena di pensieri, il cuore pieno di emozioni.
Oggi è stata dura in classe, i miei alunni erano tutti
scossi dalla situazione di Tommaso. Avranno capito
la parabola? O meglio, chissà se mi stavano almeno
ascoltando! A dire il vero, però, neanche io sono
stata tanto brava. Pensavo solo: “Come dico al mio
piccolo Davide che il papà deve stare un altro mese
in Iran con gli altri militari?”
Tommaso. I suoi genitori “hanno litigato davvero”
come dice lui. La separazione è vicina. Tommaso e
Gaia, la sorellina di sei anni, non vedranno più il pa-
dre. L’amore di cui hanno bisogno questi bambini
dov’è adesso? Due nonni sono morti, gli altri vivono
in Australia, il papà cerca di comprarli solo con i giocattoli, la mamma lavora in tre luoghi diversi per
poter riuscire ad arrivare a fine mese, dato che il
papà è in cassa integrazione e non ha i soldi per pa-
gare gli alimenti e versare un assegno di manteni-
mento con regolarità.
Anna, la mia collega di italiano, mi ha fatto leggere il
tema che Tommaso ha scritto giorni fa. “Voglio un
abbraccio”, “Perché noi non siamo d’intralcio, ve-
ro?”, “Amore”. Queste parole mi hanno colpita nel
profondo. Poi è arrivato il colpo al cuore: “ Mam-
ma, papà e Gaia sono la MIA famiglia”.
Sento dei passi tanto pesanti e stanchi da rompere il
mio silenzio e da sovrastare il rumore dei miei pen-
sieri.
Ilaria si siede vicino a me. Lei è la mamma dei due
piccoli, è uscita prima dal lavoro perché oggi è la
festa della donna. Ha un’ora per sé prima di andare
a prendere i bambini e portarli in piscina. Ilaria, in
fondo, mi cercava. I suoi occhi gridavano aiuto.
“Perché sposarsi e unire due vite per sempre?”. La
sua domanda mi trafigge come la lama affilata di una
spada. Che tempismo! Mio marito è fuori da tre
mesi ed io ho il terrore che lì, in Iran, dove scoppia
una bomba ogni tre ore, lui possa morire. Provo a
rispondere con qualcosa che la rassicuri, ma cosa
dici a una donna in quelle condizioni?
Vedo il mio portachiavi: due pezzi di puzzle che rap-presentano il giorno e la notte e che si incastrano
perfettamente. “Ilaria, vedi questi due pezzi di puzz-
le? Prima di sposarti questi due pezzi combaciavano,
ma avevano un difetto: erano in bianco e nero. Con
il matrimonio questi si sono colorati.” Il silenzio era
più forte di qualsiasi grido. Continuo: “Adesso uno
dei punti di incastro si è rotto, ma non si è perso,
attenzione! Con un po’ di scotch o di colla, comba-
ceranno di nuovo, non credi?”. Quello scotch era
un po’ un cerotto, uno di quelli super resistenti, che
avrebbe funzionato praticamente sempre e che
avrebbe anche un po’ protetto dalla corrosione del
Due vite ed un puzzle. Per sempre.
Pag ina 16 La Voce del Gonzaga
tempo quei pezzi di cartone che si sarebbero logo-
rati cadendo, piegandosi e bagnandosi.
Ilaria aveva lo sguardo perso, i suoi occhi celesti
avevano preso il colore del mare e allo stesso tem-
po del cielo, annegavano e volavano nello stesso
tempo. E i minuti passavano, scorrevano inesorabil-
mente. La mia domanda, rimasta senza risposta, for-
se preferiva buttarla nel dimenticatoio. O forse
avrebbe voluto premere il tasto shuffle, non dell’i-
Pod bensì della sua vita.
“A cosa stai pensando?” mi chiede con voce rotta
dal un carico di emozioni. “A mio figlio. Ai tuoi fi-
gli.” Rispondo con fermezza. Uno sguardo a dir po-
co fulminante: “A cosa pensi?” ribatte. “Sai, ho mio
marito in missione in Iran, vivo con la paura che lui
non rientri a casa. Ho un figlio da crescere. Sono
una mamma che si deve mostrare forte, ma che de-
ve anche crescere insieme a lui. La parola madre
non vuole dire essere la donna che è chiusa in casa
a pulire, a cucinare, a stirare, a fare lavatrici. Essere
padre non significa portare soldi a casa a fine mese e
buttarsi in poltrona appena tornato dal lavoro. La
madre e il padre devono crescere una famiglia che
hanno deciso di creare nel momento in cui hanno
scelto di camminare insieme, per sempre. Essere
famiglia secondo te significa solo vivere in una casa
comune? Sai, non è così. Essere famiglia è mangiare
insieme, confrontarsi, preoccuparsi degli altri, amar-si, aiutarsi, lottare insieme e affrontare tutti i pro-
blemi essendo uniti. La famiglia è un nucleo compo-
sto da un uomo e una donna e dai figli, che bisogna
crescere con amore. E questi figli vanno educati.
Educati alla vita, al rispetto, all’amore. Io credo in
queste due parole: padre e madre.
Hai pensato ai tuoi figli quando hai minacciato di
togliere la tutela al padre? Hai pensato a cosa prova-
no loro? A quanto possa influire su di loro il peso di
vivere senza quella figura indispensabile chiamata
papà?”.
Ilaria, evidentemente toccata nel profondo, cerca di
dire qualcosa, ma le lacrime irrompono sul suo viso.
Dopo un abbraccio e qualche minuto di silenzio si
alza e propone di andare a prendere i bambini a
scuola. Decidiamo di saltare la lezione di nuoto e
andiamo tutti insieme al parco. Vedo Ilaria e Tom-
maso seduti su un cavallo con la molla. Insieme. Par-
lano, lei lo abbraccia, sorridono. Mentre gioco con
Davide e Gaia, si avvicinano. Squilla un cellulare, è suo marito. Lei risponde e gli propone di vedersi tra
dieci minuti al parco. Prendo i piccoli e li porto sulla
ruota panoramica. I due genitori si incontrano e non
so esattamente di cosa parlino. Intanto cerco di
spiegare a mio figlio che il papà tornerà più tardi,
esattamente con qualche giorno di ritardo. Lui mi
dice “Papà torna presto mamma, non ti preoccupa-
re! E poi, lui ti ama quindi farà di tutto per rivederti!
E noi…noi siamo la sua famiglia!”. Ora, onestamen-
te, da un bambino di dieci anni puoi aspettarti una
risposta del genere? Aveva capito tutto, più di quan-
to avessi capito io di me stessa. Dopo un abbraccio
di gruppo, scendiamo dalla ruota e torniamo dai ge-
nitori rimasti a terra. Gli occhi di Ilaria avevano un
colore diverso. Stavolta proprio il colore del cielo,
del cielo libero, senza un’ombra di nuvole! Entrambi
prendono i piccoli per mano e tornano a casa. Co-
me una famiglia!
Prendo mio figlio e decidiamo di andare a mangiare
una pizza, non prima di aver chiamato il suo papà.
In pizzeria mi arriva un SMS, sarà Ilaria? No. È mio
marito. Bene, chissà cosa sarà successo ora.
“Torno presto, ci sono comunque! Vite mie, vi
amo!”. Sto per piangere quando arriva un altro SMS.
“Noi non vogliamo rinunciare alla bellezza, alla gioia,
allo stupore del matrimonio. Rompere tutto que-
sto? No, non lo vogliamo! Grazie di cuore!”. Indovi-
na un po’?! Ilaria!
Non so cosa si siano detti i due sposi, ma spero che
questa unione duri per sempre!
Buccione Valeria 3N
Pag ina 17 La Voce del Gonzaga
In data 4 aprile, noi alunne della classe 4^M Elsa
La Cioppa, Lorenza Santella e Benedetta Trivel-
li, insieme a Matteo Sigismondi, Maria Giulia
Filoso e Maria Antonella Rosa (3^N), ci siamo
recate a Chianciano Terme (SI), accompagnate
dalla nostra professoressa di lettere Simona
D'Angelo. Questo viaggio ci ha permesso di par-
tecipare al Campionato Italiano di Cultura Gene-
rale e di ritirare l'attestato per il nostro Giornali-
no d’Istituto. In realtà, il campionato avrebbe
dovuto essere riservato ai fortunati ragazzi delle
diverse scuole italiane che si sono classificati
primi giocando sul sito Internet del rispettivo
campionato; il bravissimo vincitore della nostra
scuola è stato, appunto, Matteo, classificatosi
con tutte le risposte esatte! Nonostante ciò, i re-
sponsabili dell'associazione, chiamata
“Alboscuole”, hanno dato la possibilità ad altri
ragazzi di prendere parte ad un campionato pa-
rallelo.
Per raggiungere Chianciano, abbiamo preso l'au-
tobus da Chieti Scalo, per poi viaggiare in treno
dalla stazione Roma Tiburtina, dove abbiamo
incontrato un altro gruppo di ragazze provenienti
da Lanciano; dopo qualche ora, siamo finalmen-
te arrivati a destinazione. Il viaggio è stato al-
quanto faticoso, ma non ci siamo di certo an-
noiati tra foto, musica e tante risate! Da non di-
menticare i buonissimi panini alla “mortazza”
preparati dalla prof.!
Al nostro arrivo in albergo, dopo una veloce rin-
frescata, abbiamo raggiunto il PalaMontepaschi,
dove si sarebbero svolte le varie premiazioni. La
prima premiazione era riservata ai giornalini del-
le numerose scuole presenti; e proprio il nostro
giornalino, “La voce del Gonzaga”, si è classifi-
cato tra i migliori giornali cartacei di tutta Italia!
Meritatissimo, l’attestato di riconoscimento con-
segnatoci. Siamo molto fieri del nostro risultato,
dovuto soprattutto al grande contributo dato da
tutti gli alunni e da tutti i docenti nella realizza-
zione del giornalino. La serata si è poi conclusa
tra balli e tanto divertimento. La mattina seguen-
te si sono svolte le gare del campionato. Durante
il pomeriggio abbiamo approfittato del sole per
fare una piacevole passeggiata, ansiosi di sapere
l'esito della gara. La sera ci hanno finalmente
comunicato i risultati finali, che sono ora consul-
tabili nella bacheca della scuola. Ci sembra do-
veroso, però, rendere noto il super risultato della
nostra Benedetta Trivelli: è arrivata decima su
84 concorrenti! Complimenti Benedetta!!!
Dopo canti e balli, siamo tornati in albergo, poi-
ché al mattino seguente ci aspettava il viaggio di
ritorno. E' stato un viaggio piacevole, che diffi-
cilmente riusciremo a dimenticare. Abbiamo
avuto modo di metterci in gioco e di conoscere
persone nuove. Ringraziamo la nostra scuola per
averci dato l'opportunità di intraprendere questa
interessante esperienza; e complimenti di nuovo
a tutti i ragazzi che hanno partecipato!
Elsa La Cioppa, Lorenza Santella
e Benedetta Trivelli 4M
Matteo Sigismondi, Maria Giulia Filoso
e Maria Antonella Rosa 3N
Campionato Italiano di Cultura Generale
Il Gonzaga va a Chianciano Le “eccellenze” della scuola e la premiazione del Giornalino La Voce del Gonzaga
Pag ina 18 La Voce del Gonzaga
Razza: Americana
Mi presento: mi chiamo Andrea Katherine Ro-binson e ho diciassette anni. Come si può capi-re già dal nome, sono Americana e sono arriva-ta in Italia, senza alcun avvertimento, senza alcun addio, quando avevo sei anni. Pensavo fosse una semplice vacanza ed ero emoziona-tissima: che bella l'Italia, finalmente la visiterò anch'io come fece il mio fratellone!, pensavo. Non sapevo che sarei rimasta per sempre. Non sapevo che Alisha e Jimmy, i miei migliori amici, li avrei lasciati lì, con un semplice "Ci ri-vediamo quando torno, vi racconterò tutto!". Non sapevo che Granma Janet e Grampa Ron non li avrei più rivisti. Il mio cagnone Tommy fu stato dato via e, ov-viamente, io non ne sapevo nulla. Non sapevo che mio padre se ne sarebbe tor-nato in America dopo un mese, che i miei sta-vano separandosi. Avevo solo sei anni, ovvio che non lo sapevo. E il ricordo del giorno in cui il mio papà se ne andò per tornare in America è così vivido. Ri-cordo di quando mi rifiutavo di parlare l'inglese, arrivando al punto di dimenticarlo del tutto, per non sentire così fortemente la mancanza di mio padre e della mia famiglia. Durante tutto questo, per chi sa quale motivo, sorridevo sempre e amavo sempre di più l'Ita-lia. Amavo la gente, i sapori, gli odori, i paesag-gi, la lingua. Ma specialmente, amavo i miei compagni di classe, che mi accolsero come usa fare una famiglia. Non importava se ancora parlavo bene l'italiano, perché riuscivo a farmi capire. Mi riempivano di domande, che a loro volta venivano risposte con diverse domande. Volevano imparare tutto della mia cultura, e io non vedevo l'ora di conoscere l'Italia, di avere confidenza con Lei. Ma poi cominciai a notare una cosa, che acca-deva ogni giorno. Io non ero l'unica straniera in classe. Ricordo ancora il suo nome, ma non come si scrive. Valentina Ma-qualcosa. Questa era una bellissima bimba, dai capelli color cioccolato fondente 89%, la pelle oliva-stra, con gli occhietti da cerbiatta. Veniva dalla Jugoslavia ed era timida, riservata e nessuno aveva voglia d'imparare qualcosa del suo pae-se. Io e lei eravamo amiche, confrontavamo
costantemente le tradizioni che avevamo, era-no così tante che ogni giorno ce ne veniva in mente una, e ci insegnavamo parole a vicenda, come se ci arricchissimo reciprocamente di di-versità. E io amavo questa diversità, ma a quanto pare, gli altri si sceglievano quale acco-gliere. Col passare degli anni mi resi conto che non erano solo loro a voler imparare dell'America e non della Jugoslavia o dell'Albania. Perché, fi-nite le elementari, arrivai alla scuola media, e nella nuova classe erano presenti due ragazzi-ne albanesi, cugine: Kamilla e Sophia. La pri-ma era timida e introversa, come Valentina. La seconda era estroversa e affamata di amicizia, come me. Il suo problema fu che non riusciva a far incuriosire i nostri compagni. Non riusciva a farsi chiedere come si dice "sei uno scemo" in albanese, o come si mangia nel suo paese. Agli altri non interessava. Io ero sempre l'unica a voler sapere queste cose, ed ero sempre l'u-nica a rispondere alle solite domande. Tutto ciò non era giusto: la Jugoslavia e l'Alba-nia erano perfino più interessanti degli Stati Uniti. Ma io ero l'unica ad aver avuto il privilegio di saperlo. E, purtroppo, resterò sempre l'unica ad aver avuto interesse. A volte ripenso a loro, domandandomi se ora, arrivate alle superiori, hanno incontrato perso-ne incuriosite, se ricevono "l'intervista" che, in fondo, da sempre sognavano. Chi sa se sono felici e se ricordano la loro infanzia in Italia con tristezza, se non vedono l'ora di tornare nel loro paese, o se ci sono già tornate. Io non darei loro torto, se così fosse: il razzismo non è più tollerabile, ora persino i bambini ne sono "affetti". Dobbiamo cambiare il modo in cui pensiamo alla identità, a cosa significa davvero essere Italiani. Italiano non è un etnicità, è una cultura, un senso di esperienze condivise e valori co-muni e una lingua che riflette tutto ciò. Proprio come Jugoslavo e Albanese, o Mongolo e Viet-namita.
Robinson Andrea Katherine 3M
Pag ina 19 La Voce del Gonzaga
Chieti, 8 maggio 2014
Il Liceo Linguistico Gonzaga ospite dell’Ambasciata Britannica
Gli studenti del Liceo Linguistico Gonzaga ospiti dell’ambasciatore Britannico a Villa
Wolksonky a Roma. Grande l’emozione dei ragazzi della 3L coinvolti nel Progetto Read
On promosso dal MIUR in collaborazione con il British Council. Il video da loro realizzato
è stato premiato ed adottato dai promotori dell’iniziativa come spot del progetto e dif-
fuso in tutta Italia. Il Dirigente Scolastico Annunziata G. Orlando, con grande soddisfazio-
ne, aggiunge che per i ragazzi è stata una
grande opportunità poiché hanno potuto
mostrare i loro lavori alla presenza di per-
sone autorevoli del British Council, del
MIUR e del padrone di casa, l’ambasciatore
britannico Mr Prentice. Il progetto premia-
to prevede la lettura di cento audiolibri in
inglese in due anni da parte di ogni alunno
della classe e la realizzazione di produzioni cartacee e digitali per documentare il pro-
cesso di apprendimento linguistico. La classe III L si è distinta per l’originalità dei lavori e
per la padronanza linguistica acquisita, tanto che due studentesse, Alessia Galli e Virginia
D’Alessandro, sono state scelte come testimonial per concludere con un intervento la
manifestazione.
Prof.ssa Annalisa Settimio
Pag ina 20 La Voce del Gonzaga
Chieti-Bescanò
Bescanò, paesino che fa parte della Catalogna, conta all’incirca 3.309 abitanti. È lì che siamo arrivati dome-
nica 30 marzo alle ore 20:00 dopo essere partiti dall’aeroporto di Pescara alle ore 15:00. Lo scambio cul-
turale, ha reso partecipi di una esperienza indimenticabile, gli alunni meritevoli delle classi 2°A,C,D,E, M e
N dell’ Istituto “ Isabella Gonzaga”, accompagnati dalle prof.sse Marcantonio e Dossena, Siamo stati subito
accolti dalle famiglie e da lì è iniziata la nostra avventura! Il giorno seguente abbiamo fatto dei laboratori
linguistici per conoscerci meglio. Il secondo giorno ci siamo recati nella città di Barcellona e ne abbiamo
ammirato lo splendore. Il mercoledì siamo andati a Girona dove ci siamo divisi in gruppi e abbiamo parte-
cipato ad una caccia al tesoro per conoscere le sue strade e i suoi monumenti. Il giovedì eravamo tristi
per la partenza, ma l’unica cosa che ci ha rincuorati è stata la certezza che a maggio ci saremmo rivisti.
Bescanò-Chieti
Domenica 11 maggio: i nostri amici spagnoli sono arrivati a Chieti intorno alle ore 15. Da lì è iniziata la
loro avventura! Li abbiamo accolti con grande gioia e li abbiamo fatti sentire come se fossero stati a ca-
sa loro, il tutto all’ insegna del “Porque mi casa es tu casa!”
In questi cinque giorni abbiamo visitato Fossacesia, Lanciano, San Vito Chietino. I nostri coetanei hanno
avuto modo di ammirare il centro storico di Chieti, i musei di Villa Frjgeri e della Civitella, la galleria d’ar-
te di Palazzo De Mayo e il Teatro Marrucino. Purtrop-
po il giorno degli addii è arrivato in fretta. Giovedì ci
siamo incontrati nell’atrio della scuola per darci gli ulti-
mi saluti. Tutti eravamo con le lacrime agli occhi …
Dopo vari inconvenienti sono partiti e hanno lasciato
dentro noi dei bellissimi ricordi accompagnati da un
po’ di malinconia.
L’esperienza vissuta è stata fantastica e ci ha dato mo-
do di fare nuove amicizie e di conoscere una nuova
cultura, ben diversa dalla nostra! Manterremo per
sempre questa amicizia perché sappiamo che:
“La distancia separa cuerpos, no corazones!”
Di Marcoberardino Luisa, Ialacci Vittoria,
Rocci Claudia e Varanese Federica 2D
Pag ina 21 La Voce del Gonzaga
Lo scambio culturale con il liceo linguistico Oscar-Von-Miller di Monaco di Baviera è stata un'esperienza
molto emozionante. Per molti di noi è stata la prima visione di un mondo che avevamo solo studiato sui
libri di scuola e su cui avevamo fantasticato molto,
senza mai davvero sapere come fosse. È stata un'e-
sperienza molto istruttiva, che ci ha fatto capire che
per imparare davvero bene qualcosa, oltre che a
studiarla con tanto impegno, bisogna soprattutto
viverla. È stata la prima volta che noi alunni abbiamo
applicato fattivamente nella vita reale i nostri studi e
ciò ci ha fatto sentire molto soddisfatti perché final-
mente abbiamo visto i risultati del nostro impegno
per lo studio della lingua che nel nostro Liceo è
molto importante, il tedesco. È stata anche un'espe-
rienza che ci ha fatto maturare, perché abbiamo
capito quanto è importante essere propensi all'adattamento in situazioni diverse da quelle della nostra vita
quotidiana. Infatti ci siamo inoltrati in un'altra quotidianità, fatta di tradizioni e modi di vivere diversi dai
nostri, da cui abbiamo colto le differenze non solo linguistiche ma anche culturali tra il nostro Paese e la
Germania. L'avere accanto, durante tutto questo
percorso, un partner è stato molto importante, so-
prattutto perché con loro e senza professori ci sia-
mo sentiti davvero dei ragazzi di Monaco di Baviera.
Abbiamo visitato i luoghi più importanti e più belli
della città, ci siamo divertiti veramente tanto e sono
nate delle bellissime amicizie vere che hanno dimo-
strato che non è assolutamente la differenza lingui-
stica che divide, anzi questa è stato proprio il moto-
re che ci ha spinto a comunicare con loro per am-
pliare le nostre conoscenze e le loro. Lo scambio
culturale è un'esperienza che tutti coloro che stu-
diano una lingua dovrebbero fare, sia perché è un
incentivo nello studio di quella lingua e sia perché ti
fa davvero capire cosa stai studiando e in che mondo ti ritroverai finiti gli studi. Un'esperienza piena di
novità, conoscenze, amicizia e divertimento, che noi abbiamo amato e che sicuramente vogliamo rifare.
Classe 2L
Scambio linguistico a Monaco
Pag ina 22 La Voce del Gonzaga
Il Prof. Philipp Volk ringrazia il Gonzaga
Austausch München – Chieti; Folge 2
Als 22 Schüler des Istituto Isabella Gonzaga in Chieti am 20. März 2014 in München eintrafen, kam
es allen fast so vor, als würde man sich schon eine halbe Ewigkeit kennen, obwohl die Schüler des Oskar-
von-Miller-Gymnasiums erst wenige Wochen vorher den Kontakt aufgenommen hatten. Die Partner wa-
ren von den Lehrern zugewiesen worden, was aber so gut wie keine größeren Probleme verursachte.
Die modernen Kommunikationsmedien waren jedenfalls schon optimal genützt worden.
Für die Deutschen war schon der Besuch der Italiener in München ein tolles Erlebnis, das große
Highlight sollte aber für uns der bevorstehende Besuch in den Abruzzen werden, dem alle nach der Ab-
fahrt der italienischen Gruppe aus München sehr ungeduldig entgegenfieberten.
Unsere Reise nach Italien vom 30. April bis 8. Mai 2014 war nach meiner Einschätzung ein grandio-
ser Erfolg. Es herrschte eine wunderbar freundschaftliche Atmosphäre und das Programm war in der be-
währten Weise von der sympathischen und engagierten Kollegin Frau Angela Natale zur vollsten Zufrie-
denheit von allen Beteiligten organisiert worden. Auch das Wetter, das vielleicht ein wenig kühler als er-
wartet war, konnte die Stimmung nicht stören und
schon gar nicht die Deutschen davon abhalten, sich bei
nur mäßig warmen Temperaturen in die Fluten der
Adria zu stürzen. Mir persönlich – wie sicher auch den
meisten Italienern – wäre das jedoch zu kalt gewesen!
Am Anfang war die Kommunikation im abruzzesischen
Alltag für manche doch eine gewisse Herausforderung,
und man bediente sich aller zur Verfügung stehenden
Sprachen, Italienisch, Deutsch und auch Englisch. Nach
einer gewissen Gewöhnungsphase gelang es aber dann
doch den meisten Schülern, ordentlich auf Italienisch
zu kommunizieren, was den Lehrer der Deutschen
natürlich sehr erfreute.
Insgesamt scheint es ein durchaus erfolgreiches Modell
zu sein, die Jugendlichen aus der deutschen Großstadt in die mittelitalienische „Provinz“ zu schicken. Bei-
de Seiten erfahren so nicht nur die grundsätzlichen kulturellen Unterschiede zwischen Deutschland und Italien, sondern erleben auch den Kontrast Großstadt – Kleinstadt, was durchaus interessant ist. Und es
ist aus meiner Sicht auch gerade gut, sich in diese vom Massentourismus noch wenig beeinflusste Gegend
zu begeben, da man so die Erfahrung einer authentischen italienischen Umgebung machen kann, was na-
türlich die unschlagbare italienische Gastfreundschaft mit einschließt. Jetzt wissen alle deutschen Teilneh-
mer des Austausches ganz genau, was ein trabocco ist, wie arrosticini schmecken und wo sich die Maiella
befindet.
Nach diesen ersten beiden erfolgreichen Jahren des Austausches kann man nur hoffen, dass unsere
Schulpartnerschaft noch möglichst lange bestehen bleiben möge, damit beide Seiten davon profitieren
können.
Schlussendlich geht mein ganz herzlicher Dank an alle in Italien und Deutschland, die dazu beigetra-
gen haben, diesen Austausch zu einem so großen Erfolg zu machen; an die beiden Schulleiter, die Schüler
und natürlich auch die überaus freundlichen Kollegen in Chieti. Last but not least verdienen aber auch
alle beteiligten Eltern - in Italien und Deutschland - Dank und Anerkennung. Nur durch ihre Bereitschaft
und Flexibilität kann eine solche Veranstaltung überhaupt zu einer so positiven Erfahrung für alle werden.
Der diesjährige Austausch war aus meiner Sicht absolut ideale Werbung für eine weitere, eventuell
vertiefte Zusammenarbeit zwischen dem „Oskar“ und dem Istituto Gonzaga.
Viva l’amicizia tra Monaco di Baviera e Chieti – e alla prossima!
Philipp Volk (responsabile per l’italiano all’Oskar-von-Miller-Gymnasium, Monaco di Baviera)
Pag ina 23 La Voce del Gonzaga
Traduzione a cura del gruppo di tedesco della classe 3N
Scambio culturale Monaco-Chieti
Quando i 22 studenti dell’Istituto Isabella Gonzaga di Chieti sono arrivati a Monaco il 20 marzo
2014,sembrava che si conoscessero da un’eternità, sebbene gli studenti dell’Oskar-von-Miller-
Gymnasium avessero preso i contatti soltanto
qualche settimana prima. I partner erano stati asse-
gnati dai professori, cosa che però non ha causato
grandi problemi. I moderni mezzi di comunicazione
erano stati tuttavia sfruttati al meglio. Per i tede-
schi la visita degli italiani a Monaco era già stata una
bella esperienza, anche se il momento forte sareb-
be stato l’imminente viaggio in Abruzzo, atteso
con impazienza dopo la partenza del gruppo italia-
no da Monaco. Il nostro viaggio in Italia dal 30 apri-
le all’8 maggio è stato, a mio avviso, un grande suc-
cesso. Regnava una fantastica atmosfera di amicizia
e il programma –come di consueto ben collaudato
- è stato organizzato dalla simpatica e impegnata
collega, professoressa Angela Natale, con grande
soddisfazione di tutti i partecipanti. Anche il tempo, un po’ meno caldo di quanto ci si aspettava, non è
riuscito a rovinare l’atmosfera e non ha impedito affatto ai tedeschi di tuffarsi nelle onde dell’Adriatico
nonostante le temperature moderatamente calde (per me, come anche per la maggior parte degli italia-
ni, sarebbe stato comunque troppo freddo.)
All’inizio la comunicazione nella vita quotidiana abruzzese è stata per alcuni una vera e propria sfida con il
ricorso a tutte le lingue a disposizione, italiano, tedesco ed anche inglese. Dopo una fase di adattamento
molti sono riusciti a comunicare in modo ordinato in italiano, cosa che ai professori tedeschi ha fatto
gran piacere.
Complessivamente appare senz’altro un gran successo mandare dei ragazzi di una grande città tedesca,
come Monaco, in una provincia dell’Italia centrale, come Chieti. Entrambi i gruppi dei ragazzi vengono a
conoscenza non solo delle basilari differenze tra la cultura tedesca e quella italiana, ma vivono anche il contrasto tra una grande ed una piccola, il che è senz’altro molto interessante. A mio avviso, è anche
molto positivo che ci si rechi in una regione che poco conosce il turismo di massa, poiché si può fare
un’autentica esperienza dell’ambiente italiano, il che naturalmente include l’insuperabile ospitalità italiana.
Adesso tutti i ragazzi tedeschi che hanno preso parte allo scambio sanno benissimo cosa sia un trabocco,
quanto siano buoni gli arrosticini e dove si trovi la Maiella.
Dopo questi primi due anni di successo dello scambio, si può solo sperare che il nostro gemellaggio pos-
sa durare il più a lungo possibile, affinché tutti i gruppi possano trarre profitto da questa esperienza.
E per finire, il mio più sentito ringraziamento va a tutti gli italiani e a tutti i tedeschi che ci hanno permes-
so di fare questo scambio di così grande successo; ad entrambi i Dirigenti Scolastici, agli studenti e natu-
ralmente ai colleghi estremamente cordiali di Chieti. Ultimo ma non per importanza, meritano un parti-
colare ringraziamento e riconoscimento anche tutti i genitori coinvolti in Italia e in Germania. Solo at-
traverso la loro disponibilità e la loro flessibilità, un tale evento può diventare un’esperienza così positiva
per tutti.
Lo scambio di quest’anno è stato una pubblicità ideale per un’ulteriore più approfondita collaborazione
tra l’Oskar-von-Miller Gymnasium e l’Istituto Gonzaga.
Viva l’amicizia tra Monaco di Baviera e Chieti – e alla prossima.
Philipp Volk (responsabile per l’italiano all’Oskar-von-Miller-Gymnasium, Monaco di Baviera)
Pag ina 24 La Voce del Gonzaga
GLI STUDENTI DEL LICEO LINGUISTICO GONZAGA E LA LORO ESPERIENZA IN COSTA AZZURRA
7 GIORNI TRA PROFUMI E COLORI DELLA PROVENZA CANNES, NIZZA, MARSIGLIA, ANTIBES E IL PRINCIPATO DI MONACO: QUESTE LE TAPPE PIU’ IMPORTANTI DELLO STAGE LINGUISTICO DEL GONZAGA
“Entusiasmante, divertente, formativa, ma troppo
breve…”: così definiamo la nostra esperienza estera
nella regione PACA, nel sud della Francia.
La sera del 16 febbraio 2014 siamo “sbarcati” in
questa terra dove regna sovrano l’immenso mare
blu. L’accoglienza e la gentilezza delle famiglie delle
quali siamo stati “figli” per una settimana, sono state
certamente due protagoniste della nostra perma-
nenza, nonché fattori contribuenti a rendere piace-
vole ed irripetibile il nostro viaggio.
Le giornate erano scandite in due momenti. La mat-
tina, dedicata allo studio, la trascorrevamo presso il
liceo internazionale “Pierre Overall”, che permette
agli studenti desiderosi di perfezionare il loro fran-
cese, di seguire lezioni tenute da professori madre-
lingua. Quest’ultime, basate sulla conversazione,
erano incentrate su tematiche diverse sulle quali
abbiamo discusso e espresso le nostre opinioni.
Il pomeriggio era interamente dedicato alla scoperta
della Costa Azzurra, dei suoi magnifici paesaggi e del
suo meraviglioso mare; accompagnati dalla nostra
prof.ssa di francese Rita Morelli, dalla lettrice Sylvie
Lecomte e dal dirigente d’Istituto prof.ssa Annunzia-
ta G. Orlando.
Cannes è stata la nostra prima meta, con il suo bel-
lissimo lungomare e il suo celeberrimo “Palais du
Festival”, al quale, nel mese di maggio accorrono
attori e attrici da tutto il mondo come in passato
fecero Sophia Loren, Angelina Jolie e Silvester Stal-
lone. A seguire Nizza con le sue vie affollate e piene
di colori grazie al carnevale, a tema gastronomico,
che dal 14 febbraio al 5 marzo ha rallegrato l’intera
città, snodandosi tra sfilate di carri e battaglie di fio-
ri. Infatti in Francia vi è una notevole produzione di
fiori, che la città di Grasse, sede della più antica
profumeria d’Europa, “Fragonard”, sfrutta sapiente-
mente per produrre profumi e saponi. Poi ancora
Marsiglia con i suoi antichi palazzi e la cattedrale di
“Notre Dame de la Garde” che dalla sommità di
una collina protegge tutta la città. Antibes rinomata
per essere stata per molti anni la casa di Pablo Pi-
casso, e che proprio per questo ospita diverse sue
opere. Ed infine Saint Paul De Vence, borgo medie-
vale, in cui la pietra grigia delle case si alterna a va-
riopinte gallerie d’arte.
L’esperienza, valida e formativa sia dal punto di vista culturale che educativo, è stata all’altezza delle no-
stre aspettative. Essa ha fortificato le nostre cono-
scenze linguistiche in francese, certificate tramite un
attestato di partecipazione. E’ importante ricordare
che lo stage è stato accessibile a tutti grazie alla re-
ferente prof.ssa Morelli che con prezzi abbordabili è
riuscita ad organizzare e pianificare il soggiorno con
un ottimo rapporto qualità prezzo.
Abbiamo lasciato a malincuore l’incantevole terra
francese, il suo mare, le sue distese di lavanda e fo-
reste di mimose portandoci nel cuore un ottimo
ricordo dell’esperienza e della meravigliosa acco-
glienza.
Classe 3L
Pag ina 25 La Voce del Gonzaga
NEL CASTELLO DELLA GRANCONTESSA
In un periodo storico dominato dall’accesa lotta per le investiture, spicca la figura di Matilde di Canossa,
arbitra nel continuo scontro tra papato e impero.
In seguito al ‘’Dictatus papae’’ di Gregorio VII, Enrico IV lo depone e lo stesso papa lancia poco dopo la
scomunica a al sovrano. Qui è determinante il ruolo del castello di Canossa, residenza di Matilde, fuori
dal quale nel Gennaio del 1077 Enrico IV rimase per tre gior-
ni e tre notti per chiedere la revoca della scomunica al papa.
Proprio per questo episodio il castello divenne famoso in
tutto il mondo e da qui nacque anche l’espressione idiomati-
ca ‘’andare a chiedere perdono a Canossa”. Noi alunni
delle classi 4c, 3C, 3D, 3E abbiamo avuto il piacere di visitare
il castello in questione. Esso sorge sostanzialmente isolato su
un’ampia distesa di colli, delimitata da una parte da un insie-
me di caratteristici calanchi che lo rendono un ambiente par-
ticolarmente evocativo, soprattutto se si pensa al trascorso
del luogo. Essendo posizionato, appunto, in una zona elevata
dell’appennino Reggiano, affinché fosse possibile scorgere da
lontano eventuali nemici, abbiamo affrontato una dura cam-
minata in salita per raggiungerlo: tra flora, fauna e paesaggi mozzafiato, siamo finalmente giunti di fronte a
quella che un tempo era l’entrata. Qui abbiamo incontrato una guida molto competente (che poi abbia-
mo scoperto essere di Chieti) che ci ha narrato, in maniera molto sentita, tutti gli avvenimenti più im-
portanti che ebbero come protagonisti Matilde e la sua reggia. Dopo aver apprezzato i cenni storici, sia-
mo entrati nella residenza vera e propria, nella quale abbiamo osservato il plastico dell’originaria tenuta
di Canossa, un reperto di una fonte battesimale di
origine Romanica e i vari arazzi della famiglia. Con-
clusa la visita e dopo un’ultima veloce occhiata al
panorama complessivo, siamo tornati sull’autobus e
abbiamo argomentato sui vari spunti offerti dalla
visita guidata. Siamo tutti rimasti affascinati dalla fi-
gura della contessa, essendo quest’ultima riuscita a
spiccare tra le due figure maschili del papa e dell’im-
peratore, che nel medioevo rappresentavano i punti
di riferimento per tutta la popolazione. E’ interes-
sante sapere come una donna sia stata capace, con
le sue sole forze, di diventare così influente e famosa in tutto il mondo. Non per nulla, la sua storia vie-
ne tutt’oggi studiata da noi alunni e in particolare da noi ragazze che vediamo in Matilde (come in altre
tante donne della storia) un punto di riferimento.
Danese Alessia Sammartino Vanessa 4C
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Visita alla
“Casa Mater Populi Teatini – Caritas Diocesana Chieti Vasto”
In questo anno scolastico, sulla base dei progetti inerenti l’ intercultura e la diversità, gli alunni delle
classi 3 sez A e 4 sez A, sono stati in visita nei centri di accoglienza per stranieri e per le persone in
difficoltà della città. Il giorno 31 gennaio accompagnati dai docenti prof.ssa Marulli e prof.ssa Di Cecco
ci siamo recati prima in “Curia” dove siamo stati accolti dal nostro Vescovo Padre Bruno, da Don Enri-
co responsabile della Caritas e dal sig. Olivieri responsabile della casa di accoglienza. La visita comin-
cia con la visione di un video molto interessante che spiegava la storia dell’immigrazione dagli inizi degli
anni 90’ ad oggi. Le statistiche sono aumentate negli ultimi anni, se agli inizi del 90’ si contavano circa
un milione di immigrati, oggi se ne contano più di 5 milioni. Le cause dell’immigrazione sono varie, dalle
persecuzioni, alle disagiate condizioni eco-
nomiche e politiche, alle violazioni dei dirit-
ti umani. Abbiamo riflettuto anche sul fatto
che molti di loro, non sono mai arrivati
perché dispersi nel Mar Mediterraneo. In-
fatti le cifre dei morti per emigrazione
sono drammatiche, centinaia di persone
muoiono perché affondati con le loro car-
rette o ammassati senz’aria nei Tir che
arrivano dall’Est dell’Europa. Il problema
dell’immigrazione in Italia è molto sentito e
solo uno sforzo unitario che coinvolge tutti
potrà essere in grado di migliorare questa
condizione per un futuro migliore. Bisogna accettare e convivere con tutte le differenze e questo rap-
presenta non un limite, bensì la vera ricchezza del nostro paese. La visita è continuata al “Centro di
Ascolto “ della Caritas dove alcuni volontari insieme a psicologhe ci hanno spiegato il loro compito
cioè quello di ascoltare i bisogni di chi si rivolge a loro. Spesso si ha paura di quello che non si cono-
sce, ma la storia ci suggerisce che il migliore antidoto alla paura è la conoscenza, l’incontro e il dialogo
con l’altro. Infine siamo arrivati alla “Casa Mater Populi Teatini” luogo di accoglienza per chi non ha
più una casa per motivi economici o sociali e non ha più un lavoro. Questa struttura accoglie anche
alcune persone che, usciti dal carcere, non sanno dove andare. Il tempo di accoglienza è di un mese e
la casa collabora in sinergia anche con i servizi sociali territoriali. Dopo questa visita, noi ragazzi ci sia-
mo resi conto che la nostra società è indifferente alle diversità, forse perché non conosce i veri proble-
mi di chi ci vive accanto, oltre ad essere incapaci di riconoscere i fondamentali valori e diritti umani.
Non esiste politica di immigrazione senza cultura dell’immigrazione e quindi del pluralismo e della com-
plessità multiculturale.
Di Renzo Sara e Sigismondi Lorenza 3A
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“Un nido, una scuola, luoghi speciali, in cui gli esseri umani sono invitati a crescere nella mente,
nella sensibilità e nell’appartenenza ad una comunità più ampia”
Jerome Bruner
LO STUPORE DEL CONOSCERE
Ogni anno Bruner si reca al centro internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia e lascia
una riflessione ai docenti, ai bambini, al mondo sociale e politico. Il 15 aprile noi alunni
delle classi 3C,3E,3D e 4C, abbiamo visitato il centro Reggio Children. Siamo stati accolti
da pedagogisti e psicologi che ci
hanno illustrato le motivazioni
teoriche che guidano le attività di
queste scuole. Non c’è stato diffi-
cile collegare quanto ascoltato, al
nostro percorso di studi. Successi-
vamente, abbiamo avuto la possibi-
lità di osservare tutte le attività
didattiche che si svolgono nelle
scuole comunali della città: abbia-
mo “vissuto” in prima persona i
laboratori sulla luce, sul suono e sul riciclo. Avevamo effettuato già una stage a Novembre
nelle scuole dell’infanzia della nostra città; abbiamo potuto constatare le differenze strut-
turali, ma soprattutto metodologiche fra le due scuole… Per molti di noi queste espe-
rienze hanno sollecitato ed aumentato la passione verso il mondo dell’infanzia.
Classe 3D
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Classe 3E
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Ammirate nel cielo
Le stelle che risplendono
Per voi , per Noi.
Questo è il momento
di viver d’Amore
per l’eterno andare
degli scompigliati astri
nel caotico frastuono
dell’insensata vita.
Seguite con gli occhi
Il buio dei sensi
E l’incertezza del cammino.
Voi guidate
Il vostro cuore
In taluni cunicoli
E tra l’oscuro
Lo perdete.
Non ascoltate
Le sue urla.
La puzza
Del suo cadavere
Ancora si sente.
Ingrati sporchi luridi,
vigliacchi innamorati,
luridi scampati
alla fine tragica
che l’amore ha promesso.
Leonardo Scogna 5M
(T)ERRORE
Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino ha
cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c’è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l’immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
Gli dicono insomma
che il cento non c’è.
Il bambino dice:
invece il cento c’è.
Loris Malaguzzi Fondatore del Centro
Internazionale “Regio Children”
Invece il cento c’è
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Ciao piccolo angelo, ci sembra strano parlarti attraverso queste righe e non averti vista entrare in classe questa mattina, sorridente come al solito… con i tuoi occhi azzurri come il cielo: li ricordiamo ancora, il primo giorno di scuola, pieni di lacrime. Forse eri spaventata o forse troppo emozionata, ma di certo desidero-sa di tornare a vivere tra i banchi di scuola. Ed è proprio lì che ci hai dato l’opportunità di scoprire la tua grande forza, spesso celata dal-la tua riservatezza e dalla tua debolezza. Perdonaci per non aver capito prima l’enorme sforzo che ogni giorno compivi per coltivare la tua grande passione: lo studio. Perdonaci per non esserti state abbastanza vi-cine, per non averti aiutata a superare – anche in minima parte – il grande ostacolo che ti ha portata via. Ci tornano in mente le tue battute durante le lezioni, che sdrammatizzavano le cinque ore di scuola… quando eri l’unica ad avere il corag-gio di rimproverare i professori perché spiega-vano troppo velocemente, e tu non volevi per-dere neanche una loro parola. Ricordiamo quando entravi in classe, tutta imbacuccata, col cappello di lana, gli occhiali da sole e la tua inconfondibile tracolla rosa. Come sempre, sedevi sulla morbida sedia che, con tanto amore, il personale della scuola ti aveva pro-curato per farti stare comoda, in quel banco vicino al termosifone che rimarrà per sempre tuo. Sei rimasta un esempio per tutte noi, di forza, costanza e impegno, ma soprat-tutto non dimenticheremo l’amore che mettevi in tutto ciò che facevi. Ci hai lasciato un grande insegnamento: affrontare la vita come se fosse una gara, con la voglia di vincere. Noi la vinceremo per te, consapevoli del fatto che, lassù, questa gara l’hai già vinta. Ti vogliamo bene, e te ne vorremo per sempre.
Le tue compagne e amiche
della classe 4 D
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I RINGRAZIAMENTI DELLA REDAZIONE
E’ doveroso ringraziare tutti gli studenti e i docenti che, nel corso di questo anno scolastico, hanno contribuito alla realiz-zazione del nostro giornalino d’Istituto. Ogni articolo è stato scritto con grande passione, impegno e senso di responsabili-tà. Sicuramente la strada per raggiungere la perfezione è an-cora lunga e tortuosa, ma il coraggio e la caparbietà non mancano affatto.
Crediamo fermamente di possedere gli ingredienti giusti, poi-ché…
…“un’idea mediocre, ma capace di generare entusia-smo, farà più strada di una grande idea incapace di generare emozioni “
Mary Kay Ash
Responsabile Grafica
Prof.ssa Lorella Frastornini
Direttore Responsabile
Prof.ssa Simona D’Angelo