Saggi sulla conoscenza e l’insegnamento · Fisica formale e fisica intuitiva: il ruolo delle...

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Scienza ed educazione Saggi sulla conoscenza e l’insegnamento Graziano Cavallini

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Scienza ed educazioneSaggi sulla conoscenza

e l’insegnamento

Graziano Cavallini

Copyright © MMIXARACNE editrice S.r.l.

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via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–2526–0

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con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: maggio 2009

INDICE

Introduzione 7

Capitolo I

Conoscere il mondo con le scienze 27

Capitolo II

Comprendere la scienza per insegnarla 67

Capitolo III L’apprendimento delle scienze tra costruzioni personali e sociali

91

Capitolo IV

Il significato conoscitivo delle tecniche nella cultura e in

didattica 105

Capitolo V

Insegnamento scientifico e processi cognitivi 139

Capitolo VI Fisica formale e fisica intuitiva: il ruolo delle nozioni nei

processi cognitivi 227

Capitolo VII

Le valenze formative delle scienze sperimentali 263

Capitolo VIII

Riproporre Federigo Enriques 285

7

INTRODUZIONE

Gli scritti qui raccolti sono apparsi in forma di articoli dal 1987

al 2007. Tuttavia, ne scaturisce un discorso che si sviluppa con

continuità dall’uno all’altro, così che si possono leggere come i

capitoli in successione di un unico libro.

Infatti, pur essendo stati concepiti in origine ciascuno in au-

tonomia dall’altro, essi puntualizzano aspetti di una linea di ri-

cerca unitaria che ha guidato la mia attività professionale per

tutto quel periodo, e che la guida tuttora, anche oltre i temi qui

direttamente toccati. Subito di seguito delineo sinteticamente la

tematica complessiva di tale ricerca più ampia, la cui costruzio-

ne ed esposizione emerge dalla combinazione di tutti i miei libri

(indicati in bibliografia), i quali, appunto nel loro complesso,

forniscono il quadro organico in cui si inseriscono i testi presen-

ti, che li contestualizza e ne precisa il significato.

Stando ai reperti archeologici e paleontologici, e alle teorie ac-

creditate, per quanto riguarda la biologia, l’odierna specie uma-

na è l’esito di un’evoluzione da un progenitore ancestrale. Que-

sto, vissuto in un’epoca databile tra quattro milioni e due milio-

ni e cinquecentomila anni fa, lo abbiamo in comune con gli at-

tuali primati, con le scimmie antropomorfe quali nostri parenti

più prossimi (Eiseley 1975). Sulle stesse basi, si dà ormai per

certo che lungo la ramificazione che ha portato all’umanità non

ci sia stata una sola linea di discendenza da quel progenitore,

ma che si siano prodotte altre specie che si sono via via estinte

nel lontano passato.

In un periodo che, rispetto ai tempi dell’evoluzione biologi-

ca, risulta relativamente prossimo all’era storica, tra settantami-

la e trentamila anni fa, sono esistiti ancora due tipi umani ben

distinti tra di loro, tanto da non potersi stabilire se si tratti di due

varietà della medesima specie o di due specie diverse: i Nean-

derthaliani e i Cro–Magnon. Solo circa trentamila anni fa i Ne-

Introduzione

8

anderthaliani sono scomparsi, e i Cro–Magnon sono rimasti

l’unico ceppo umano sopravvissuto.

Una volta stabilito tutto questo, si impone però una precisa-

zione. Riconoscere come umana, sotto il profilo biologico, una

determinata specie, non equivale a identificarla con l’umanità

oggi conosciuta; né autorizza a farlo. Questa — intesa

nell’accezione più piena di tipo umano identificato per tutte le

sue qualità e comportamenti tipici — è caratterizzata dalla cul-

tura altrettanto che dalla sua natura biologica, secondo una fu-

sione dei due piani che li rende reciprocamente imprescindibili.

In altre parole, nella specie umana attuale la cultura e la psico-

logia prolungano la biologia in forme che risultano essenziali

perché gli individui si possano riconoscere come umani a pieno

titolo: vale a dire, normali rispetto alla specie. L’esperienza che

i bambini cresciuti per lungo tempo, in rapporto alla loro età,

allo stato selvaggio non abbiano potuto assumere in maniera

piena e stabile comportamenti umani convenzionali, non siano

riusciti — con l’educazione tardiva ricevuta —a inserirsi nelle

società che li aveva accolti, e siano morti in pochi anni (Itard

1995; Maturana e Varela 1987, cap. 6), documenta

l’affermazione.

Nemmeno i neonati di specie biologica umana corrispondo-

no a pieno titolo al tipo umano, quale lo intendiamo usualmente,

comprendendo nella sua identificazione le facoltà psicologiche.

In altri termini, nonostante siamo abituati a considerare i neona-

ti degli esseri pienamente umani — per ragioni affettive, e per-

ché interpretiamo i loro comportamenti come se corrispondesse-

ro agli schemi comportamentali dei nostri —, essi non lo sono

affatto. Il complesso dei caratteri che li contraddistinguono li fa

appartenere alla specie umana esclusivamente sul piano biolo-

gico, e non su quello completo caratterizzato anche, imprescin-

dibilmente, dalla psicologia (Kaye 1989).

Quanto incida sulla determinazione della natura umana la

componente psicologica, la quale esprime a livello individuale

quella che a livello sociale è la cultura di specie, lo indica il da-

to che uomini e scimpanzé hanno in comune più del novantotto

Introduzione

9

per cento del patrimonio genetico. Solo circa l’1,8 % di questo è

diverso tra essi e li distingue.

Il riconoscimento che la specie umana attuale è caratterizzata da

proprietà culturali congiuntamente a quelle biologiche, e a loro

prolungamento e sostituzione, è stato evidenziato quale criterio

di classificazione valido dal punto di vista delle teorie evoluzio-

nistiche da Wallace quando, per primo, riconobbe nello svilup-

po intellettuale un evento evoluzionistico che ha rotto il prece-

dente processo di pura trasformazione biologica progressiva.

Secondo Wallace, lo spostamento dell’evoluzione dal piano bio-

logico a quello intellettuale ha fatto sostanzialmente arrestare

l’evoluzione biologica della specie avendola resa superflua di

fronte alla portata infinitamente superiore di quella intellettuale

(Eiseley 1975). L’essenza della sua concezione è accolta nelle

teorie antropologiche oggi accreditate, che la riformulano

nell’affermazione che il sorgere della cultura costituisce

un’invenzione evoluzionistica che ha spostato i processi evolu-

zionistici dal piano endosomatico a quello esosomatico 1

.

L’espressione significa che l’evoluzione della specie, successi-

vamente alla comparsa della cultura, si è effettuata con

l’utilizzo di quest’ultima quale protesi, in dimensione amplifica-

trice delle funzioni corporee; e con la progressiva trasformazio-

1 Wallace formulò tale sua teoria in termini inadeguati, in quanto mistici,

che suscitarono la ripulsa di Darwin (Eiseley 1975). Ciò nulla toglie alla ge-

nialità della sua intuizione, alla correttezza di questa e alla sua importanza

fondamentale, una volta reinterpretata in termini naturalistici. D’altra parte,

anche Darwin, come qualunque grande innovatore del pensiero, incorse in

idee confuse, in dubbi e in posizioni divergenti altalenanti, in contraddizioni e

in ipotesi superflue e gratuite. Per quanto possa capirne io, la principale di

queste ultime è l’idea della funzione svolta nell’evoluzione dalla selezione

naturale attraverso la lotta per l’esistenza e la sopravvivenza dei più adatti, che

porterebbe a caratterizzare progressivamente la specie con la diffusione preva-

lente o esclusiva delle loro proli. Mi pare che l’isolamento riproduttivo tra va-

rietà intraspecifiche — comunque avvenga, per separazioni spaziali o di qua-

lunque altro genere — sia non solo un processo sufficiente a determinare le

speciazioni, ma anche il solo fondamentale (indipendentemente da quanto

possano influire altri che vi si sovrappongano).

Introduzione

10

ne della cultura stessa, anziché degli organismi (Bruner et al.

1973, Bruner e Sherwood 1988).

L’intero discorso fin qui svolto porta ad alcune conclusioni.

Una è che, quando parliamo di «umanità» intendendo la spe-

cie umana, a meno che non precisiamo diversamente il nostro

uso del termine, specificando che intendiamo indicarne esclusi-

vamente la natura biologica di specie animale, ci riferiamo alla

specie caratterizzata dalle facoltà psicologiche e, in definitiva,

dalla cultura, dal momento che le facoltà psicologiche sono un

derivato dell’acculturazione (Cavallini 2001 b e 2005

a, b). Questo

riferimento può essere inconsapevole, come in effetti di solito

succede; ma ciò non toglie che esso contraddistingue il modo

usuale di concepire l’umanità, identificata per il complesso del-

le proprietà appunto umane.

L’osservazione indica che, in genere, concepiamo l’umanità

pensandola, implicitamente, come tale a partire dal momento in

cui sono comparse le facoltà intellettuali. Possiamo anche im-

maginare che esse fossero iniziali, rozze e «assopite» (come le

definisce Marx); ma non che mancassero del tutto (la topica di

Marx è rivelatrice di quanto sia duro a morire l’innatismo psico-

logico anche da parte di coloro che per tanti versi hanno contri-

buito a sfatarlo, com’è il suo caso: dell’incapacità di concepire

che le facoltà psicologiche si producano come qualità nuove

mediante la riorganizzazione di quelle biologiche, senza esistere

prima ad alcun livello di sviluppo, e senza che quelle biologiche

ne costituiscano già una forma rudimentale o le prefigurino).

Una seconda conclusione consiste nel constatare che

l’umanità, intesa nel significato pieno della parola, non corri-

sponde a una specie naturale: vale a dire, a una specie formatasi

ed evolutasi esclusivamente sul piano biologico. Il termine «u-

manità» non indica una specie che esista in natura e che sia mai

esistita al puro stato naturale, alla quale a un certo punto si sia-

no aggiunte le facoltà psicologiche e la cultura, queste essendosi

poi via via accresciute e affinate.

La specie umana, l’umanità, quale la conosciamo effettiva-

mente, si è formata in conseguenza della produzione di quel

Introduzione

11

complesso di oggetti e di comportamenti legati al loro uso che

definiamo «la cultura». L’umanità continua a formarsi, epoca

per epoca, momento per momento, luogo per luogo, comunità

per comunità, gruppo sociale per gruppo sociale, diversamente

in ciascun ambiente culturale e famigliare, con

l’interiorizzazione da parte dei singoli che appartengono a cia-

scuno degli ambiti indicati, di una parte della cultura manifesta-

ta e disponibile in questi.

In sostanza, rispetto all’idea astratta di umanità, che si riferi-

sce idealmente all’intero complesso della cultura e delle facoltà

psicologiche prodotte storicamente e trasmesse o guidate a for-

marsi nei giovani dall’azione degli adulti, di generazione in ge-

nerazione, in concreto l’umanità si forma in continuazione, va-

riamente nei diversi ambiti culturali, per effetto della reale ac-

culturazione, e nella misura in cui questa avviene. Congiunta-

mente, coevolutivamente, si formano, in tal modo, sia gli indi-

vidui, sia i gruppi sociali e l’umanità complessiva: gli uni e gli

altri per effetto delle interazioni reciproche, le quali, nella loro

articolazione complessa, producono tanto le differenze tra indi-

vidui e tra gruppi quanto i tratti che li accomunano, sotto certi

profili, in una realtà unitaria.

La qualità della cultura trasmessa determina la qualità

dell’umanità via via formata, riguardo tanto ai singoli individui

quanto alle comunità di ogni genere e alla specie.

La cultura viene trasmessa fondamentalmente e principalmente

per vie indirette con la sua esposizione, attraverso il suo eserci-

zio effettivo da parte dei singoli e delle comunità, che dà modo

di assorbirla a quanti vi assistono, con la compartecipazione al

viverla e il coinvolgimento nelle attività culturali esercitate.

Tuttavia, un ruolo particolarmente incisivo nella trasmissione

culturale è svolto dall’insegnamento formale diretto, sia perché

è soprattutto questo a fornire i modelli, le concezioni e le con-

vinzioni consapevoli della realtà e della stessa cultura; sia per la

sua pervasività nelle società scolarizzate.

Quando, in riferimento a ciò, si analizza la qualità della cul-

tura trasmessa, emerge indiscutibilmente che questa, oltre a for-

Introduzione

12

nire strumenti favorevoli al successo delle nostre interazioni sia

materiali sia sociali, inculca anche visioni distorte che le ostaco-

lano entrambe. In definitiva, oltre a formare capacità di pensare,

anche ne impedisce e distrugge.

Una tale constatazione è documentata dalla larga parte avuta

nella formazione umana di ogni epoca, e tutt’ora, da sistemi di

idee che, alla luce sia della ragione e della scienza sia di cono-

scenze più ampie e profonde, risultano fuorvianti. Quei sistemi

sono stati e sono ancora oggi spesso imposti. Ma, anche al di

fuori delle imposizioni esplicite, essi incidono attraverso

l’imitazione, la soggezione, il credito concesso dalle persone in

qualunque stato di sudditanza a quelle per loro più influenti.

Non solo, relativamente all’Europa, in epoche quali

l’antichità, il Medioevo, il Cinque–Seicento controriformista; e

non solo, sull’intero pianeta, nei regimi manifestamente autori-

tari; ma anche oggi nei paesi che si proclamano civili, democra-

tici, politicamente e culturalmente liberi, i sistemi di idee infon-

date assorbiti dalla gente costituiscono una componente enorme

della cultura reale (vale a dire, delle concezioni che, indipen-

dentemente dal loro valore conoscitivo misurato dalle conferme

sia logiche sia empiriche, determinano i modi effettivi di conce-

pire le cose).

L’umanità si costituisce sulla base dell’acculturazione, e lo fa di

continuo in forme cumulative ma sempre nuove che la rendono

via via sempre diversa, pur conservando certe continuità di svi-

luppo e di caratteri. Ciò ha valenze pedagogiche, psicologiche e

morali essenziali.

Le valenze psicologiche attengono alla natura delle qualità

personali, che, fondamentalmente, e in misura incomparabil-

mente maggiore delle loro componenti genetiche, è culturale:

derivano dal tipo di formazione avuta. Che va tenuto conto di

questo indica le valenze morali conseguenti, attinenti

all’imperativo di comprendere le persone: di saper cogliere co-

me si sono formate, chi sono davvero e che cosa possono diven-

tare momento per momento in ragione delle condizioni nelle

quali vengono poste.

Introduzione

13

In quanto alle valenze pedagogiche, nell’educazione e

nell’insegnamento si dovrebbe superare il pregiudizio atavico

che fa tradizionalmente capovolgere la relazione stabilita tra i

termini di ciò che ciascuno è e di ciò che egli può diventare.

Fondamentalmente, non sono una personalità e un’intelligenza

naturali (nell’accezione di naturalisticamente intese) a determi-

nare le possibilità di apprendimento; ma, all’inverso, è

l’apprendimento a produrre le personalità e le intelligenze che

via via si formano, e a determinare le successive possibilità di

ulteriore apprendimento. Questo vale in ogni settore di cono-

scenza, in specifico in ogni ambito disciplinare. In ragione della

specificità dei rispettivi linguaggi e impostazioni concettuali e

metodologiche, l’attrazione per una disciplina, e le capacità di

comprensione e di apprendimento nel suo ambito, si formano

nella misura in cui si viene esposti a essi e li si apprendono.

Attraverso la comprensione in generale del rapporto tra accultu-

razione e formazione intellettuale — o, semplicemente, umana

—, si arriva a un’ulteriore conclusione: le realtà, i contenuti di

conoscenza, sono determinati dalla cultura posseduta e utilizza-

ta: dai suoi linguaggi, dalle sue categorie concettuali, dagli

schemi mentali che induce.

La cultura, quale che sia, determina anche la realtà. Lo fa

capire il fatto che la realtà, in concreto, consiste per noi nelle

interazioni che attuiamo, e queste ultime, a loro volta, si con-

formano alle nostre idee della realtà: vale a dire, appunto, alla

nostra cultura. Gli stessi vincoli esterni alla nostra psicologia,

coincidenti con le presenze del mondo fisico nelle nostre espe-

rienze, vengono percepiti e concepiti solo nella misura e nei

modi in cui vengono organizzati in unità significative mediante

le idee che abbiamo.

La cultura trasmessa crea non solo l’umanità, ma anche la

realtà.

La dipendenza di questa, in ultima analisi, in una misura o

nell’altra dalle idee, ne indica la natura, in misura corrisponden-

te, sempre ipotetica (Duhem 1978, Einstein 1954 e 1988, Enri-

ques 1985). Ciò comporta che non dovremmo mai insegnare al-

Introduzione

14

cunché come si trattasse di una realtà sicura e indiscutibile, og-

gettiva nel senso di valida in assoluto anche al di fuori del si-

stema di idee nel quale rientra. La consapevolezza epistemolo-

gica della natura, in ultima istanza, ipotetica di qualunque cono-

scenza, e della sua validità relativa solo a un ambito di discorso

delimitato (concettualmente, culturalmente e storicamente) è

essenziale in didattica e in educazione. Essa ha le sue basi ini-

ziali nella consapevolezza della produzione evoluzionistica del-

la specie umana, e nella rottura provocata dall’invenzione evo-

luzionistica della cultura del meccanismo dell’evoluzione esclu-

sivamente o essenzialmente biologica. Infatti, la cultura si gene-

ra eminentemente con la formulazione di ipotesi, per quanto le

si possa poi verificare, ma pur sempre utilizzando idee e criteri

di natura ipotetica anche nelle verifiche. Perciò, la formazione

continua dell’umanità mediante la cultura implica che

all’origine di qualunque nostra proprietà intellettuale (compresi

i sentimenti), di ogni nostro schema di condotta, di ogni nostra

realizzazione e di ogni nostra convinzione, ci siano ipotesi la

cui validità è circoscritta alle nostre capacità storiche di verifica.

Riuscire a far corrispondere delle ipotesi a dei fatti non significa

averle accertate come sicure e definitive. Per ottenere un simile

risultato, bisognerebbe riuscire a travalicare all’infinito i limiti

tanto delle nostre idee quanto delle nostre esperienze.

Non potendo aspirare a realizzare questo obiettivo assurdo

per definizione, non ci resta che riconoscere che viviamo in una

realtà ipotetica, accettarlo come la sola condizione effettiva, e

essere soddisfatti della capacità di conseguire l’oggettività

all’interno dei sistemi conoscitivi che funzionano entro i limiti

delle esperienze attuate (quelli che corrispondono a queste in

misura adeguata ai nostri bisogni).

La consapevolezza della natura ipotetica della conoscenza va

congiunta alla consapevolezza che tale sua natura, tuttavia, non

ne riduce l’utilità e il valore tanto nella formazione umana

quanto nelle interazioni con l’ambiente. Lo fa capire

l’epistemologia della scienza, per la quale quest’ultima risulta la

forma di conoscenza più sicura disponibile. Infatti, essa esprime

Introduzione

15

al massimo grado noto la razionalità (Holton 1990, p. 11), men-

tre il ragionamento, a sua volta, costituisce l’unica forma rigo-

rosamente controllata e controllabile del pensiero, e il solo mez-

zo per controllarlo. Per questo, la scienza fornisce anche il crite-

rio di maggiore garanzia per valutare la qualità di una cultura.

Certamente, il pensiero va oltre i limiti del ragionamento, ot-

tenendo spesso risultati pienamente soddisfacenti e tali da reg-

gere alla prova dei fatti. Tuttavia, anche in tali casi, esso non

consente un controllo consapevole dei procedimenti seguiti, se

non nella misura in cui, nella loro analisi, si possa applicare il

ragionamento. Di conseguenza, per potente che possa essere il

pensiero non espresso in forme strettamente razionali, esso è

indecidibile altro che perché, a intuito e a sensazione, sembra

funzionare. Si può, cioè, constatare che, per gli scopi voluti e

per l’esperienza sia posseduta sia compiuta con esso, corrispon-

de ai fatti. Ma non si riesce a dominarlo in modo chiaro e pieno,

a ottenere la garanzia che esso sia davvero quello che sembra,

ad assicurarsi che non ci condurrà mai a conclusioni assurde e

ad azioni deleterie.

Il criterio migliore di valutazione della qualità di una cultura

sarebbe rifarsi alle forme di vita che essa produce. Ma il giudi-

zio su queste è troppo soggettivo, condizionato dai valori di cui

sono impregnate le personalità e le culture, per poter fornire un

riferimento oggettivo condivisibile universalmente.

Invece, la conoscenza scientifica raggiunge il massimo di

oggettività ottenibile, non solo e non tanto per la sua verificabi-

lità sia logica sia empirica, epoca per epoca e situazione per si-

tuazione; ma, principalmente, per la sua generatività progressi-

va e per la sua conseguente cumulatività, che le danno stabilità

anche attraverso le sue trasformazioni. Infatti, ogni nuova teoria

e ogni nuovo complesso di conoscenze scientifiche deve con-

frontarsi con le teorie e con le conoscenze precedenti, e vengo-

no accettati solo nella misura in cui sono in grado di spiegare i

fenomeni contemplati da queste, oltre a spiegarne di aggiuntivi

e di unificare il tutto con generalizzazioni superiori; mentre non

vale l’inverso: e, cioè, con le teorie e con le conoscenze prece-

denti non si riuscirebbero né a spiegare né a prevedere i feno-

Introduzione

16

meni aggiunti, né si riuscirebbe a unificare le concezioni perti-

nenti con generalizzazioni di pari comprensione.

La qualità indicata della conoscenza scientifica non la rende

la sola forma culturale valida, e nemmeno le conferisce una su-

periorità assoluta su qualunque altra, dal momento che esulano

dal suo ambito aspetti fondamentali della vita. Semplicemente,

la cultura scientifica e quelle di altro genere sono reciprocamen-

te incomparabili, quando ci si riferisca alla complessità delle

conoscenze di cui abbiamo bisogno e di cui costantemente ci

serviamo. Di conseguenza, in questo quadro complessivo, non

si può stabilire alcuna scala di valori tra diverse forme culturali:

si riesce, invece, a farlo rispetto ai criteri della razionalità e del-

la dimostrabilità.

Sotto quest’ultimo profilo, la cultura scientifica, pur non a-

vendo pregi né di unicità né di superiorità globale, rimane la so-

la completamente controllabile e affidabile, entro i limiti della

conoscenza. Per ciò stesso, essa costituisce anche il termine di

misura dell’attendibilità della cultura rimanente: non perché

possa stabilirne il valore in assoluto — il che è escluso da quan-

to appena detto —, bensì perché mette in grado di valutare la

fondatezza di qualunque affermazione 2

e il rigore di qualunque

procedimento conoscitivo.

Basta pensare che qualunque affermazione è tanto più opi-

nabile quanto meno è suffragata da conoscenze e da procedi-

menti scientifici: e, in linea di principio, è completamente inaf-

fidabile quando contrasta con essi. Quali che possano essere

delle ragioni (ad esempio che non si hanno conoscenze alterna-

tive) per darle ugualmente un qualche credito o anche solo per

2 Che un’affermazione risulti priva di fondamenti accertati non ne dimo-

stra né l’inconsistenza, né l’inutilità, e tanto meno, se non contrasta con prove

inoppugnabili (entro l’ambito delle concezioni scientificamente accreditate),

la falsità. Esclude, però, sia che si possa sostenerla come vera (potendola,

tutt’al più, proporre quale ipotesi meritevole di attenzione per qualche verso),

sia che se ne capisca tutto il significato e le possibili conseguenze della sua

adozione, al di là della misura e degli ambiti in cui queste sembrano verifica-

bili.

Introduzione

17

prenderla in considerazione, è necessario essere consapevoli di

questa sua aleatorietà, ed è opportuno dichiararla.

Va, però, anche considerato che idee che, allo stato delle co-

noscenze possedute, sono o sembrano prive di basi scientifiche,

o sono o sembrano addirittura smentite dalla scienza, potrebbe-

ro invece accordarsi con essa e venirne provate con la crescita

delle conoscenze o con interpretazioni corrette diverse della

scienza attuale. Episodi del genere si sono verificati ripetuta-

mente nel corso della storia 3.

La cultura scientifica risulta, comunque, quella più sicura, e

componente imprescindibile della formazione umana: il suo nu-

cleo più coerente e più solido, sebbene non necessariamente il

più significativo sotto ogni riguardo. D’altra parte, è evidente

che, per capire che cosa può produrre la scienza ai fini della

formazione, e, cioè, di quali proprietà può fornire la natura u-

mana (o, detto altrimenti, quale tipo di psicologia può determi-

nare), e per decidere che cosa insegnarne, perché onsegnarla e

come insegnarla, bisogna capirne la natura e il significato. Ai

fini delle scelte educative generali e dell’impostazione

dell’insegnamento della scienza, la sua epistemologia è altret-

tanto essenziale della comprensione dei processi

dell’apprendimento.

Nella prospettiva pedagogica, si impone, poi, la seguente consi-

derazione di validità generale, che, pertanto, si applica anche

3 In chiave tecnica, il problema del valore delle prove scientifiche richia-

ma il principio del falsificazionismo, per il quale qualunque evidenza contra-

ria smentisce una teoria, mentre nessuna evidenza favorevole la conferma in

maniera sicura e definitiva (Popper 1970). Esso, in realtà, trova

un’attenuazione nel fatto che un’evidenza che può sembrare o essere effetti-

vamente contraria a un sistema di conoscenze, a un certo stato del sistema

stesso e con certe interpretazioni di esso, può non risultare affatto tale con il

progresso delle conoscenze o con l’adozione di interpretazioni alternative: per

cui, non è detto che nemmeno una smentita sia sicura e definitiva. Del resto,

lo stesso Popper lo riconosce, sia pure marginalmente. Duhem (1978) precisa,

inoltre, che, di fronte a un’evidenza contraria non si può mai sapere quale par-

te di una teoria ne venga smentita e quale ne resti intatta.

Introduzione

18

all’educazione scientifica, e, più precisamente, alla formazione

della mentalità scientifica in ogni ambito disciplinare.

Un tema centrale della pedagogia moderna è la critica alla

concezione libresca della cultura, con la sottolineatura di come

la cultura effettiva consista nel saper usare in qualunque situa-

zione le conoscenze, e nel saper comprendere ed esprimere la

realtà di ogni tipo, a partire dalla quotidianità, nel quadro di vi-

sioni le più organiche, estese e generali possibili.

Questa posizione viene precisata ricollegandola concettual-

mente alla nascita della scienza, o — più correttamente — alla

sua rinascita nell’epoca moderna. Non è a caso che a darle la

sua forma congiuntamente sperimentale e matematica oggi ri-

conosciuta sia stato Galilei, con il suo profondo interesse per

l’esperienza concreta e per l’attività pratica (attestato dalla sua

assidua frequentazione dell’arsenale di Venezia, allo scopo di

approfondire le sue conoscenze teoriche, come ne scrive in a-

pertura dei suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a

due nuove scienze; dalla sua attività, condotta fino all’ultimo

giorno della sua vita, di progettazione e costruzione di strumenti

scientifici destinati a usi pratici; dal suo costante impegno

nell’osservazione di fenomeni naturali e in attività sperimentali

e operative condotte personalmente 4

) unito a un’eccellente for-

mazione accademica. Questo dato attesta come, per produrre

cultura, sia indispensabile combinare l’esperienza empirica con

il sapere teoretico: nessuna delle due componenti, da sola, può

consentire di farlo. Attesta, inoltre, la stretta interdipendenza tra

scienza e visione moderna (nell’accezione di aperta e consape-

vole del significato e del valore di qualunque ambito di cono-

scenza) della cultura, come l’una sia evoluta con l’altra e

l’abbia alimentata, fin dagli albori del Rinascimento (ad esem-

pio con un Ruggero Bacone, con un Fibonacci) al Seicento e

4 Emblematico è l’episodio ricordato nell’epigrafe iniziale di Drake 1988,

di Galilei che, sorpreso da alcuni visitatori infaffarato, sudato e mal vestito a

curare l’orto, e richiesto da essi perché mai si sottoponesse a tale fatica, anzi-

ché incaricarne un lavorante, rispose che effettivamente non vi avrebbe preso

gusto, se avesse ritenuto che far fare fosse come fare.

Introduzione

19

oltre; e come — ovviamente — la loro coevoluzione e alimen-

tazione reciproca continui oggi.

Tanto nella concezione del significato e del valore della

scienza — e, cioè, che cosa essa dice, e che cosa conta nella vita

degli individui e delle società —, quanto nell’insegnamento, ci

si dovrebbe far guidare da quella consapevolezza come da un

criterio fondamentale.

Non si capisce, poi, che cosa sono la scienza e la mentalità

scientifica, e che cosa valgono, quando si continua a identificar-

le, rispettivamente, solo con le discipline naturalistiche e solo

con l’impostazione mentale richiesta nel loro ambito. Una cor-

retta comprensione della scienza fa rivedere una tale concezione

obsoleta, e la connessa assurda separazione tra sapere scientifi-

co e sapere umanistico. La visione aggiornata della scienza

comprende la costatazione della sua estensione alla sfera tradi-

zionalmente definita, appunto, «umanistica». Attualmente, in

qualunque ambito disciplinare sono adottati impianti concettuali

e procedure scientifiche, e gli approcci, i metodi, le conoscenze

più attendibili e solidi sono, anche in tali ambiti, quelli di carat-

tere scientifico. Ciò vale per le discipline psicologiche, per

quelle sociali, per la storiografia, per la linguistica, e così via.

Corrispondentemente, nell’insegnamento e nelle attività di-

dattiche è indispensabile seguire indirizzi scientifici

nell’affrontare qualunque tema e qualunque situazione. Lo si

deve fare sia che si insegni storia o letteratura o grammatica; sia

che si analizzino le proprietà della lingua con l’esame riflessivo

di testi reali o di espressioni usuali o di modi di esprimersi di

chiunque; sia che si considerino vicende di vita quotidiana o si

commentino eventi e opinioni morali o politiche; sia che si di-

scuta di sentimenti e di abitudini o che si intenda valutare

l’affidabilità di affermazioni ideologiche e di fede di qualunque

genere, o di critiche estetiche.

In sintesi, nella condizione culturale odierna, per qualunque

ambito di esperienza e di vita, non ha senso credere di poter svi-

luppare cultura e promuovere formazione culturale — vale a di-

re, umana — prescindendo dalle basi scientifiche della cono-

scenza.

Introduzione

20

Uno dei difetti più deleteri dell'educazione tradizionale, la quale

persiste nelle pratiche scolastiche correnti prevalenti, è che con-

diziona le persone a vivere come colpa il non sapere qualcosa, e

le induce al costante timore del giudizio altrui che le rende re-

stie a prendere la parola in pubblico o tra estranei, insicure del

proprio valore e rinuciatarie all'affermazione dei propri diritti,

disposte alla delega passiva delle decisioni che riguardano la

vita collettiva (ma, spesso, anche la propria personale).

Al contrario, rifacendosi alla cultura scientifica quale riferi-

mento essenziale, si dovrebbe formare la consapevolezza che è

normale e universale sapere delle cose e non saperne altre, che

tutti hanno, congiuntamente, competenze e limiti di conoscenza.

Le lacune e gli errori, deleteri quando si pretenda di persistervi

e di affermare l'ignoranza come se fosse sapere, sono, invece,

occasioni e stimoli di progresso quando se ne prenda coscienza

e servano a riconsiderare le situazioni.

Gli stessi insegnanti e gli stessi esperti in ogni disciplina ne

ignorano infiniti contenuti e aspetti. La loro competenza specia-

listica ne riguarda solo certe parti, e solo i pregiudizi comuni dei

profani li fanno ritenere onniscienti in quell'ambito. Figuriamo-

ci, poi, la competenza di ciascuno di noi rispetto alla cultura nel

suo complesso!

Rientrano nella vera preparazione in ogni campo e nella cul-

tura generale questa consapevolezza e la serenità di giudizio,

priva sia di presunzione sia di soggezione magica, tanto riguar-

do a quello che si sa e sanno gli altri, quanto a quello che non si

sa e non sanno gli altri.

Quando un tale atteggiamento fosse diventato mentalità co-

mune, sparirebbero gli esibizionismi, la supponenza, il disagio e

l'ammirazione esagerata, persino le civetterie dell'ammissione di

ignoranza in forma quasi di vanto molto diffuse tra gli umanisti

a proposito della matematica o delle conoscenze naturalistiche,

come, pure, il senso di inferiorità ingiustificato che riscontro

talvolta tra i fisici a proposito delle capacità di espressione lin-

guistica.

Introduzione

21

Dalla presa di coscienza dei limiti di conoscenza di chiunque,

compresi gli insegnanti, non si deve trarre solo la convinzione

che occorra migliorare l'insegnamento: in specifico, per quanto

riguarda il nostro discorso, quello sccientifico. Ce n'è davvero

bisogno, ma, realisticamente, non si può credere che basterebbe

a colmare le lacune della cultura sia generale sia scientifica me-

dia né della gente comune né dei docenti neppure riguardo alla

loro preparazione specialistica.

Va anche considerato che le esigenze, le possibilità, il desi-

derio e le capacità di conoscenza, e la disponibilità a impegnarsi

per la propria crescita conoscitiva, sono commisurati alle condi-

zioni di vita di ciascuno. Mi ripugna ammettere l'inevitabilità

dei divari di formazione culturale. Ma, finché permarranno i di-

vari attuali economici, sociali, politici, esistenziali, sarebbe ipo-

crita ignorare che quelli conseguono da questi senza rimedio; e

sarebbe velleitario sperare di annullarli con la sola scolarizza-

zione. Demandare alla scuola il compito di rimediare ai guasti

del sistema sociale e delle condizioni di vita che esso produce,

come tanto spesso si fa e si invoca di fare, è un alibi per lasciare

tutto immutato, un'espressione della malafede con la quale si

finge di mettersi a posto la coscienza.

Oggi in Europa e in America la schiavitù è negata formalmente e di

nome, ma nella sostanza — lo sfruttamento di molti uomini da parte

di pochi — è rimasta (Mach 1982, pag. 79).

C'è, invece, un altro risvolto della constatazione dei limiti di

conoscenza degli insegnanti, come di qualunque professionista:

la normalità di questa condizione deve indurre a riconoscere che

la loro superiorità di preparazione culturale sia generale sia spe-

cialistica, di esperienza e di maturità, rispetto agli allievi, li met-

te comunque in grado di stimolare, promuovere e guidare lo svi-

luppo intellettuale e morale di questi. Complessivamente, un

tale divario vale a qualsiasi grado scolastico, a meno di limiti di

preparazione e di personalità di un docente che siano di gravità

eccezionale. Ma, poi, anche quando, come talvolta capita parti-

colarmente nelle scuole superiori, qualche studente possieda, in

Introduzione

22

qualche ambito particolare, conoscenze superiori a quelle dei

suoi insegnanti, la superiorità culturale complessiva di questi

ultimi consente loro di valorizzarle a vantaggio dell'intera clas-

se, e certamente di guidare anche l'interessato a contestualizzar-

le e a servirsene meglio di quanto sappia fare.

Questa considerazione dovrebbe rassicurare tutti gli inse-

gnanti, convincendoli che quello che sanno è sufficiente a svol-

gere dignitosamente il loro lavoro. All'opposto, molti di essi

soffrono di insucurezze che derivano da modelli culturali e pro-

fessionali distorti di onniscienza, i quali li inducono a sottovalu-

tare le conoscenze e le capacità possedute.

Una concezione corretta della cultura rende obsoleti e ridico-

li quei modelli. La cultura consiste nel saper seguire e formarsi

rappresentazioni di realtà adeguate ad affrontare le situazioni.

Nell'insegnamento, come in qualunque circostanza di vita, si

esprime e si produce cultura vera nella misura in cui ci si rifà

alle conoscenze e alle capacità possedute, ai contenuti e ai modi

di pensare e di fare che si utilizzano normalmente.

Il distacco dei contenuti e delle forme educative e didattiche

dalla vita personale dei docenti, e dalla quotidianità della gente

in generale, esprime l'incongruenza di base, rispetto alle esigen-

ze di socializzazione reali, e la vanità della massima parte delle

pratiche fomative tradizionali e della cultura scolastica domi-

nante. Che non si insegni tutto e solo quello che costituisce la

vita, per prima cosa personalmente di chi insegna e poi della

gente in genere, è un segno inequivocabile della falsità degli o-

biettivi e dell'azione della scuola (oltre che, solitamente, di

quella della famiglia).

Se si centrassero l'educazione e l'istruzione sulle conoscenze

e sulle pratiche culturali effettive della generalità della gente,

nessun docente potrebbe risultare impreparato a fare acquisire ai

suoi allievi visioni progressivamente più ampie, più organiche,

più profonde e più documentate di quelle da cui partono e di cui

sarebbero capaci da soli.

Più che di fornire nozioni sparse e appiccicaticce, il compito

degli insegnanti sarebbe quello di guidare a stabilire delle rela-

zioni tra le esperienze e tra le conoscenze già note, fino a pro-

Introduzione

23

durre concezioni sistematiche coerenti. Questo costituirebbe

l'introduzione più idonea ed efficace ai sistemi disciplinari, tale

da farli intendere in concreto quali estensioni e affinamenti del-

la ricerca usuale di comprensione delle cose che già ciascuno di

noi attua nella propria vita quotidiana. La stessa trattazione del-

le nozioni, in quanto indispensabili a capire, dovrebbe avvenire,

fondamentalmente, in quel contesto. Una tale pratica non esclu-

derebbe che se ne trattassero per semplice desiderio di conosce-

re, e per il piacere di conoscere e di far conoscere (anzi, una si-

mile abitudine si formerebbe certamente di conseguenza all'uso

reale delle nozioni), per colmare le lacune ai fini della sistema-

ticità, e per allargare e approfondire il sapere via via acquisito.

L'impostazione educativa qui indicata è tipica della pedago-

gia moderna, fin almeno da Rousseau, Pestalozzi, Tolstoj, De-

wey. Il riferimento alle pratiche scientifiche e alla natura della

scienza la legittima ulteriormente, la chiarisce e rafforza la con-

vinzione della sua validità (d'altra parte, gli autori citati e i tanti

altri che vi si potrebbero affiancare, sono giunti a formulare la

pedagogia moderna giusto in virtù di una sicura visione episte-

molgica della conoscenza e della scienza).

L’intero discorso esposto è il motivo conduttore degli scritti che

seguono, i quali lo approfondiscono, dettagliandone molti aspet-

ti; e, comunque, vi si rifanno, anche quando non viene espres-

samente esplicitato.

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