SABATO 10 AGOSTO 2019 CulturaeSpettacoli...Tg1, il premio «Pie-tro Bianchi» che da quarant’an-ni...

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L’ECO DI BERGAMO 35 SABATO 10 AGOSTO 2019 Il dialogo coi detenuti nelle tesi di laurea L’intervista. In 10 anni 80 lavori all’università di Bergamo. Il professor Lizzola porta i ragazzi a confrontarsi con reclusi e vittime: «Gli studenti chiedono conto dei gesti compiuti e ne escono provati. Il valore educativo è alto» sta insistendo moltissimo per in- centivare le relazioni con l’econo- mia locale e per ridare un senso alla pena carceraria. Si stanno in- tensificando i processi formativi e gli scambi fra esterni e gruppi di detenuti e forse i soggetti econo- mici potrebbero rispondere con maggiore forza». Comesicollocalagiustiziariparativa? «È fortemente intrecciata a que- ste dimensioni, perché ci si rende conto che per fare giustizia biso- gna recuperare i motivi del reato e lavorare sulle relazioni che sono state rotte. Non basta l’espiazione della condanna. Occorre aprire comunicazioni con (e tra) offen- sori e vittime, ma anche la comu- nità deve sentirsi responsabile. Le storie che portano in carcere e l’esposizione all’offesa delle vitti- me sono vicende che interpellano la comunità. La società è vittima e tuttavia non è innocente: ci sono ingiustizie, disattenzioni, fred- dezze e talora cinismi. L’obiettivo che Università, volontariato, Uffi- ci di mediazione e istituzioni si pongono è esattamente questo: riuscire a farsi luogo di trame di responsabilità, di riconciliazione dei legami, di ripartenza delle bio- grafie». Ègiàunpassosignificativocheigiudi- cidellaCortecostituzionale,ormaida alcuni mesi, entrino nelle carceri per illustrare la Costituzione. «È un passaggio bellissimo e i giu- dici saranno a Bergamo e a Brescia in autunno. Un segnale importan- te, da accogliere e rilanciare. La Consulta restituisce cittadinanza e una speranza ai reclusi con paro- le che possono suonare così: “Noi vi puniamo ed è giusto, ma colti- viamo una seria cura verso di voi. Ci interessate e vi rivogliamo in- dietro nella convivenza civile co- me persone nuove, attive e parte- cipi”». Un’immagine simbolica della cella di un carcere italiano sognosi esclusivamente di cura». Cheproblemiincontrateconidetenu- ti? «Alcuni usano immagini forti co- me “siamo una discarica sociale”. L’ottica è sanzionatoria e la corni- ce della convivenza funziona me- no, mentre certi comportamenti presi per tempo potrebbero dare esiti diversi. Ultimamente la po- polazione carceraria tende ad es- sere più giovane, più deprivata, gli immigrati in alcune aree geografi- che arrivano anche fino al 50%. Prevalgono le carcerazioni per piccoli reati e la pena carceraria breve contrasta con l’efficacia di una strategia di risocializzazione. Abbiamo visto che il padre in car- cere è uno dei capitoli più frequen- ti nelle tesi. La condizione di pa- ternità in cella è molto dura e non è indifferente che i nostri studenti incontrino adulti che potrebbero avere l’età dei loro padri. Ma in quelle mura si muovono nuovi at- teggiamenti anche verso le vittime e si riscontra una sorta di respon- sabilità nei confronti della comu- nità: cose che abbiamo visto e che possiamo testimoniare. Moltissi- mi detenuti sono smarriti, scossi da quello che hanno fatto e vorreb- bero rifarsi. Hanno bisogno di ap- poggiarsi a risorse comunicative che li rimettano in circuito. Nelle tesi si studia anche l’esperienza della malattia in carcere, una car- tina di tornasole a volte dramma- tica. Lo Stato ti punisce ma ti cura, ma tu devi avere cura di te stesso, renderti attivo: non sempre suc- cede. Non sono pochi quelli che ritengono di non meritarsi l’assi- stenza e vivono la malattia come una giusta espiazione, facendosi seriamente del male». Funzionano le misure alternative? «Funzionano sicuramente più della detenzione e nella stragran- de maggioranza dei casi, ma a pre- cise condizioni: che siano costrui- te dentro impegnativi progetti mi- rati sulla persona e con patti di relazione con interlocutori eco- nomici, sociali, educativi ed istitu- zionali. Il carcere di Bergamo, che ha una lunga tradizione in mate- ria, è un buon laboratorio e lo sta diventando sempre di più: la scuo- la funziona molto bene da tempo e c’è un rapporto soddisfacente con le comunità territoriali. L’at- tuale dirigente, Teresa Mazzotta, FRANCO CATTANEO È uno spaccato inedito, che segnala sensibilità umana e capacità d’indagine con- trocorrente: 80 tesi di lau- rea realizzate negli ultimi 10 anni da studenti dell’Università di Ber- gamo sul tema del carcere, del- l’esecuzione penale e della nuova frontiera della giustizia riparativa. Un percorso intenso, avviato nel Dipartimento di Scienze umane e sociali, sostenuto dal gruppo di lavoro del professor Ivo Lizzola, che ha portato ragazzi e ragazze ad ascoltare e a confrontarsi con de- tenuti e vittime di reati (alcune centinaia) in diverse carceri (Ber- gamo, Brescia, Mila- no, Busto Arsizio). Professor Lizzola, 80 tesi è un dato sorpren- dente. «No, francamente si sbaglia. Non c’è alcu- na sorpresa, perché questi studenti av- vertono un bisogno di senso profondo che li porta a fare i conti con il tema del- la giustizia: come essere buoni e giusti, perché è difficile esserlo, come possiamo aiutarci. Tutto questo è incoraggiante: i ragazzi hanno occhi esigentissimi quando incontrano gli autori di reato e so- no attentissimi con le vittime. Del resto giovani che si formano sulle professioni sociali non possono non misurarsi con queste questio- ni». Come operano i gruppi di lavoro? «Lavoriamo con un’attenzione prevalentemente educativa. Gli studenti entrano negli istituti di pena con alcuni di noi, docenti fa- cilitatori, come membri di una co- munità sollecita nei confronti del- le persone detenute ma che, nello stesso tempo, vanno a chiedere conto e a confrontarsi sulle scelte e sui gesti compiuti. Non siamo lì per comodità. Sono incontri mol- to esigenti: credo sia questo l’ag- gettivo più corretto». In che senso? «Gli studenti quando dialogano con gli autori di reato e le vittime sono provati rispetto al loro essere educatori e cittadini. Il tema edu- cativo, dinanzi alla colpa, alla pena e all’offesa recata viene provato e vissuto fino all’estremo. C’è l’evi- denza di tutto quello che nell’uo- mo è possibile e l’incontro con ina- deguatezze, ingiustizie, percorsi faticosi specie nell’area della mar- ginalità. Un detenuto, dopo i primi incontri, di fronte a dialoghi e domande esigenti, de- ve per forza dire: io c’ero, io ho voluto, o non sono stato quan- tomeno capace di evi- tare quel che ho fatto. Non è cosa da poco. I risultati ci sono: in molti reggono l’urto, diventano responsa- bili attraverso un nuo- vo rapporto con le vittime indiret- te, i figli e i famigliari, e dirette». Come vi muovete con le vittime? «Si tratta di un approccio molto delicato, un ascolto molto partico- lare insieme con le associazioni che assistono questa umanità, ma non solo con loro. Si entra in cam- po per fornire un luogo di raccon- to delle sofferenze ma anche della responsabilità, perché la fragilità dell’altro riguarda direttamente le vittime. Queste persone vengono accolte nelle loro narrazioni e nel- la loro speranza di ricostruzione e di relazioni future ancora aperte. La prospettiva è reinserirle in un contesto che non sia quello della “vittimizzazione”, di soggetti bi- Il professor Ivo Lizzola Cultura e Spettacoli [email protected] www.ecodibergamo.it IL CASO AL GIORNALISTA RAI IL «PIETRO BIANCHI» Grandi personalità del cinema Premiato Vincenzo Mollica Mollica in vacanza a Dorga V a quest’anno a Vin- cenzo Mollica, stori- co giornalista del Tg1, il premio «Pie- tro Bianchi» che da quarant’an- ni i giornalisti cinematografici consegnano a Venezia in omag- gio a una personalità del cine- ma. «Dedicargli il nostro omag- gio significa festeggiare il più gran- de di tutti noi - sottolinea il diretti- vo del sindacato -, che con la sua professionalità, il tratto di origina- lità e di competenza assoluta ci re- gala una lezione di giornalismo at- traverso uno stile inconfondibile e un racconto appassionato. Oltre il ruolo professionale, il “nostro” Vincenzo - nella tradizione dei “pionieri” di questo mestiere - è diventato attraverso le sue crona- che un vero e proprio archivio vi- vente di un mondo che continua a raccontarci con lo stesso entusia- smo del primo giorno da cronista. Ma soprattutto, riesce con la sua autorevolezza a conquistare l’at- tenzione e l’affetto del pubblico che anche grazie a lui impara ogni gior- no qualcosa in più sul cinema». Mollica ammette una certa emozione: «Quando Laura Delli Colli mi ha comunicato che avevo vinto il Premio Bianchi - commen- ta - ho provato un’emozione pura e una gioia schietta e naturale, co- me quando a scuola mi dicevano che ero stato promosso. So bene di non meritare questo premio, so- prattutto se penso ai grandi artisti che lo hanno ricevuto negli anni. Ma so anche che questo riconosci- mento arriva dall’affetto che tanti colleghi e tante persone mi dimo- strano ogni giorno, e proprio per questo lo accolgo con uno spirito di festa, e di estrema gratitudine per il Sindacato dei Giornalisti Ci- nematografici che ha pensato di attribuirmelo. Ho sempre lavorato cercando di mettere insieme tre elementi: fatica, passione e curiosi- tà e questo mi ha permesso di di- ventare un cronista impressionista e impressionabile». Intitolato alla memoria del cri- tico e giornalista Pietro Bianchi, il premio è andato in passato a prota- gonisti assoluti del cinema come Mario Soldati, Cesare Zavattini, Alessandro Blasetti, Mario Moni- celli, Luigi Comencini, Francesco Rosi, Dino Risi, Ettore Scola, i Ta- viani, Carlo Lizzani, Bertolucci, Antonioni, Alberto Sordi... Tra gli sceneggiatori lo hanno ricevuto Suso Cecchi D’Amico, Age e Scar- pelli e Tonino Guerra, e il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno.

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  • L’ECO DI BERGAMO 35SABATO 10 AGOSTO 2019

    Il dialogo coi detenuti nelle tesi di laurea L’intervista. In 10 anni 80 lavori all’università di Bergamo. Il professor Lizzola porta i ragazzi a confrontarsi con reclusi e vittime: «Gli studenti chiedono conto dei gesti compiuti e ne escono provati. Il valore educativo è alto»

    sta insistendo moltissimo per in-centivare le relazioni con l’econo-mia locale e per ridare un senso alla pena carceraria. Si stanno in-tensificando i processi formativie gli scambi fra esterni e gruppi didetenuti e forse i soggetti econo-mici potrebbero rispondere conmaggiore forza».

    Come si colloca la giustizia riparativa?

    «È fortemente intrecciata a que-ste dimensioni, perché ci si rendeconto che per fare giustizia biso-gna recuperare i motivi del reatoe lavorare sulle relazioni che sonostate rotte. Non basta l’espiazionedella condanna. Occorre aprire comunicazioni con (e tra) offen-sori e vittime, ma anche la comu-nità deve sentirsi responsabile. Lestorie che portano in carcere e l’esposizione all’offesa delle vitti-me sono vicende che interpellanola comunità. La società è vittimae tuttavia non è innocente: ci sonoingiustizie, disattenzioni, fred-dezze e talora cinismi. L’obiettivoche Università, volontariato, Uffi-ci di mediazione e istituzioni si pongono è esattamente questo: riuscire a farsi luogo di trame di responsabilità, di riconciliazionedei legami, di ripartenza delle bio-grafie».

    È già un passo significativo che i giudi-

    ci della Corte costituzionale, ormai da

    alcuni mesi, entrino nelle carceri per

    illustrare la Costituzione.

    «È un passaggio bellissimo e i giu-dici saranno a Bergamo e a Bresciain autunno. Un segnale importan-te, da accogliere e rilanciare. La Consulta restituisce cittadinanzae una speranza ai reclusi con paro-le che possono suonare così: “Noivi puniamo ed è giusto, ma colti-viamo una seria cura verso di voi.Ci interessate e vi rivogliamo in-dietro nella convivenza civile co-me persone nuove, attive e parte-cipi”».

    Un’immagine simbolica della cella di un carcere italiano

    sognosi esclusivamente di cura».

    Che problemi incontrate con i detenu-

    ti?

    «Alcuni usano immagini forti co-me “siamo una discarica sociale”.L’ottica è sanzionatoria e la corni-ce della convivenza funziona me-no, mentre certi comportamentipresi per tempo potrebbero dareesiti diversi. Ultimamente la po-polazione carceraria tende ad es-sere più giovane, più deprivata, gliimmigrati in alcune aree geografi-che arrivano anche fino al 50%. Prevalgono le carcerazioni per piccoli reati e la pena carceraria breve contrasta con l’efficacia diuna strategia di risocializzazione.Abbiamo visto che il padre in car-cere è uno dei capitoli più frequen-ti nelle tesi. La condizione di pa-

    ternità in cella è molto dura e nonè indifferente che i nostri studentiincontrino adulti che potrebberoavere l’età dei loro padri. Ma in quelle mura si muovono nuovi at-teggiamenti anche verso le vittimee si riscontra una sorta di respon-sabilità nei confronti della comu-nità: cose che abbiamo visto e chepossiamo testimoniare. Moltissi-mi detenuti sono smarriti, scossida quello che hanno fatto e vorreb-bero rifarsi. Hanno bisogno di ap-poggiarsi a risorse comunicativeche li rimettano in circuito. Nelletesi si studia anche l’esperienza della malattia in carcere, una car-tina di tornasole a volte dramma-tica. Lo Stato ti punisce ma ti cura,ma tu devi avere cura di te stesso,renderti attivo: non sempre suc-cede. Non sono pochi quelli che

    ritengono di non meritarsi l’assi-stenza e vivono la malattia comeuna giusta espiazione, facendosiseriamente del male».

    Funzionano le misure alternative?

    «Funzionano sicuramente più della detenzione e nella stragran-de maggioranza dei casi, ma a pre-cise condizioni: che siano costrui-te dentro impegnativi progetti mi-rati sulla persona e con patti di relazione con interlocutori eco-nomici, sociali, educativi ed istitu-zionali. Il carcere di Bergamo, cheha una lunga tradizione in mate-ria, è un buon laboratorio e lo stadiventando sempre di più: la scuo-la funziona molto bene da tempoe c’è un rapporto soddisfacente con le comunità territoriali. L’at-tuale dirigente, Teresa Mazzotta,

    FRANCO CATTANEO

    Èuno spaccato inedito, chesegnala sensibilità umanae capacità d’indagine con-trocorrente: 80 tesi di lau-

    rea realizzate negli ultimi 10 annida studenti dell’Università di Ber-gamo sul tema del carcere, del-l’esecuzione penale e della nuovafrontiera della giustizia riparativa.Un percorso intenso, avviato nelDipartimento di Scienze umanee sociali, sostenuto dal gruppo dilavoro del professor Ivo Lizzola, che ha portato ragazzi e ragazze adascoltare e a confrontarsi con de-tenuti e vittime di reati (alcune centinaia) in diverse carceri (Ber-gamo, Brescia, Mila-no, Busto Arsizio).

    Professor Lizzola, 80

    tesi è un dato sorpren-

    dente.

    «No, francamente sisbaglia. Non c’è alcu-na sorpresa, perché questi studenti av-vertono un bisogno di senso profondo che li porta a fare i conti con il tema del-la giustizia: come essere buoni e giusti, perché è difficile esserlo, come possiamo aiutarci. Tutto questo è incoraggiante: i ragazzi hanno occhi esigentissimi quandoincontrano gli autori di reato e so-no attentissimi con le vittime. Delresto giovani che si formano sulleprofessioni sociali non possono non misurarsi con queste questio-ni».

    Come operano i gruppi di lavoro?

    «Lavoriamo con un’attenzione prevalentemente educativa. Gli studenti entrano negli istituti dipena con alcuni di noi, docenti fa-cilitatori, come membri di una co-munità sollecita nei confronti del-le persone detenute ma che, nello

    stesso tempo, vanno a chiedere conto e a confrontarsi sulle sceltee sui gesti compiuti. Non siamo lìper comodità. Sono incontri mol-to esigenti: credo sia questo l’ag-gettivo più corretto».

    In che senso?

    «Gli studenti quando dialogano con gli autori di reato e le vittimesono provati rispetto al loro essereeducatori e cittadini. Il tema edu-cativo, dinanzi alla colpa, alla penae all’offesa recata viene provato evissuto fino all’estremo. C’è l’evi-denza di tutto quello che nell’uo-mo è possibile e l’incontro con ina-deguatezze, ingiustizie, percorsifaticosi specie nell’area della mar-

    ginalità. Un detenuto,dopo i primi incontri,di fronte a dialoghi edomande esigenti, de-ve per forza dire: ioc’ero, io ho voluto, onon sono stato quan-tomeno capace di evi-tare quel che ho fatto.Non è cosa da poco. Irisultati ci sono: inmolti reggono l’urto,diventano responsa-bili attraverso un nuo-

    vo rapporto con le vittime indiret-te, i figli e i famigliari, e dirette».

    Come vi muovete con le vittime?

    «Si tratta di un approccio molto delicato, un ascolto molto partico-lare insieme con le associazioni che assistono questa umanità, manon solo con loro. Si entra in cam-po per fornire un luogo di raccon-to delle sofferenze ma anche dellaresponsabilità, perché la fragilitàdell’altro riguarda direttamente levittime. Queste persone vengonoaccolte nelle loro narrazioni e nel-la loro speranza di ricostruzionee di relazioni future ancora aperte.La prospettiva è reinserirle in uncontesto che non sia quello della“vittimizzazione”, di soggetti bi-

    Il professor Ivo Lizzola

    [email protected]

    IL CASO AL GIORNALISTA RAI IL «PIETRO BIANCHI»

    Grandi personalità del cinemaPremiato Vincenzo Mollica

    Mollica in vacanza a Dorga

    Va quest’anno a Vin-cenzo Mollica, stori-co giornalista delTg1, il premio «Pie-

    tro Bianchi» che da quarant’an-ni i giornalisti cinematograficiconsegnano a Venezia in omag-gio a una personalità del cine-ma.

    «Dedicargli il nostro omag-

    gio significa festeggiare il più gran-de di tutti noi - sottolinea il diretti-vo del sindacato -, che con la sua professionalità, il tratto di origina-lità e di competenza assoluta ci re-gala una lezione di giornalismo at-traverso uno stile inconfondibilee un racconto appassionato. Oltreil ruolo professionale, il “nostro” Vincenzo - nella tradizione dei

    “pionieri” di questo mestiere - è diventato attraverso le sue crona-che un vero e proprio archivio vi-vente di un mondo che continua araccontarci con lo stesso entusia-smo del primo giorno da cronista.Ma soprattutto, riesce con la sua autorevolezza a conquistare l’at-tenzione e l’affetto del pubblico cheanche grazie a lui impara ogni gior-

    no qualcosa in più sul cinema». Mollica ammette una certa

    emozione: «Quando Laura Delli Colli mi ha comunicato che avevovinto il Premio Bianchi - commen-ta - ho provato un’emozione purae una gioia schietta e naturale, co-me quando a scuola mi dicevano che ero stato promosso. So bene dinon meritare questo premio, so-prattutto se penso ai grandi artistiche lo hanno ricevuto negli anni. Ma so anche che questo riconosci-mento arriva dall’affetto che tanticolleghi e tante persone mi dimo-strano ogni giorno, e proprio per questo lo accolgo con uno spiritodi festa, e di estrema gratitudine per il Sindacato dei Giornalisti Ci-nematografici che ha pensato di

    attribuirmelo. Ho sempre lavoratocercando di mettere insieme tre elementi: fatica, passione e curiosi-tà e questo mi ha permesso di di-ventare un cronista impressionistae impressionabile».

    Intitolato alla memoria del cri-tico e giornalista Pietro Bianchi, ilpremio è andato in passato a prota-gonisti assoluti del cinema come Mario Soldati, Cesare Zavattini, Alessandro Blasetti, Mario Moni-celli, Luigi Comencini, FrancescoRosi, Dino Risi, Ettore Scola, i Ta-viani, Carlo Lizzani, Bertolucci, Antonioni, Alberto Sordi... Tra glisceneggiatori lo hanno ricevuto Suso Cecchi D’Amico, Age e Scar-pelli e Tonino Guerra, e il direttoredella fotografia Giuseppe Rotunno.