Sabato 1 febbraio 1958 L'ESPLORATORE...

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si a a 74 CORRIERE DELLA SERA Sabato 1 febbraio 1958 L'ESPLORATORE DELL'INFINITO ... in una camera d'albergo - e HiStel Cavour Milan - 29 mars 1913 ». E' per me impressio- nante che quando mi concen- tro per alcuni giorni in un pen- siero - grave, inspiegabilmente o aprendo un libro dimenticato o un cassetto tutto polvere, mi ven- gano alle mani foglietti ingial- liti, o lettere illeggibili da altri e che solo per me possono ser- vire di spunto e di richiamo di ricordi smarriti o di conversa- zioni coi morti. Così, questi ap- punti autografi del filosofo fran- cese Emile Boutroux, con cui ebbi dimestichezza in quei gior- ni e lunghi colloqui a Milano, dove lo avevo invitato per una serie delle « Letture Fogazza- ro > su Laicismo e Scientismo. Nella storia della filosofia mo- derna il Boutroux occupa un po- sto eminente come fondatore del «contingentismo > ossia di critica alla concezione meccani- ca e deterministica dell'univer- so; di quell'e indeterminismo », che ritrova la sua conferma nel- la teoria di Einstein e che sboc- cherà in una visione della vita come continua novità, sintesi sempre più alta, che implica un principio attivo di organizzazio- ne e di creazione: un atto di libertà. Caro uomo, dalla fisionomia singolare: un corpo angoloso, le spalle quadrate e troppo alte da cui veniva fuori una strana te- sta e un viso pallido di un pal- lor mortale, quasi sofferente per una vita troppo intensa e tor- mentata di pensatore, che si tra- duceva però in larga simpatia u- mana ed in bontà. Mi par di udi- re la sua voce discreta e pene- trante, che sviluppava il tema dello scientismo, che mi sembra attuale, e di cui mi è rimasta traccia in una di quelle note ine- dite: e Oggi è in vigore una dot- trina secondo la quale l'umani- tà è chiusa nei limiti della na- tura. La scienza si svolge secon- do un sistema, per il quale tut- to ciò che ci è accessibile è co- noscibile per mezzo della scien- za e di essa sola; di modo che, praticamente, la scienza, per noi, dovrebbe coincidere con l'esse- re: e questo è lo scientismo. Es- so rende logicamente impossibi- le, assurda e vana ogni religio- ne, riducendo la vita morale a non essere che una illusione, un fenomeno senza consistenza e senza influenza, poichè la religio- ne presuppone, evidentemente, la realtà della vita morale ›. Questo è uno dei suoi appunti di avvio. Ma per il Boutroux — lo sentiva — quei limiti della natura non riuscivano a conte- nere l'uomo nella sua e umani- tà propriamente detta », nel suo bisogno di superarsi, di rendersi conto del proprio destino, di sco- prire un punto d'appoggio che la scienza era insufficiente a in- dicargli. Per trovar luce fra quei pro- blemi, che sono, poi, ancora quelli di fronte ai quali ci tro- viamo noi, il Boutroux mi indi- cava quale guida spirituale un genio — un esploratore dell'in- finito ---di cui si esaltava par- landone: e Bisognerà tornare a Pascal ›. La conoscenza di lui — fatta attraverso le conversa- zioni di quei giorni, in quella brutta camera d'albergo, tutta dorature false e velluto color turchino — è uno dei più deci- sivi incontri della mia vita. rli 3 Che cosa sono io?... Il mio proprio mistero mi è intollera- bile... Il resto è inutile e frivo- lo e ridicolo. Questa la sin- tesi delle pagine: Grandeur et misère de l'homme, incancellabi- li dal pensiero umano così co- me alcuni brani dei Dialoghi di Platone, come l'Estasi di Ostia di Sant'Agostino e l'Infinito del Leopardi. La meditazione pascaliana parte dalle incredibili contraddi- zioni che sono nell'uomo e nel- la sua disproporzione sgomen- tante. Per cercar di ritrovare la sua misura vera, l'autore delle Pensées lo immagina di fronte all'universo: « Che l'uomo con- templi l'intera natura nella sua alta e piena maestà; che allon- tani il suo sguardo dai bassi og- getti che lo circondano; che la terra gli sembri un punto; che la sua immaginazione vada ben oltre a ciò che vede, nell'esplo- razione dello spazio ». Nessuna idea si avvicinerà mai alla real- tà; le nostre concezioni non ge- nereranno che degli atomi al prezzo della realtà delle cose; noi ci sentiremo sempre sper- duti < in una sfera infinita il cui centro è ovunque, la circonfe- renza in nessun luogo). Pascal ci dà la vertigine dello spazio in cui errano « infinità di uni- versi, di cui ciascuno ha il suo firmamento, i suoi pianeti, la sua terra ». Tutto il mondo visi- bile non è per lui che un im- percettibile segno nel « vasto grembo della natura ». E se dal- la immensità senza limiti degli spazi interplanetari egli passa a considerare l'infinitesima picco- lezza di un corpuscolo animale: e le ciron », la sua immagína- zione arriva a uno e scorcio d'a- tomo » — un altro abisso. Solo un grande poeta come il Bau- delaire lo poteva capire: Pa- scal avait son gouffre, avec lui se mouvant. Hélas tout est a- bime ». e In questo infinito che cosa è l'uomo? », si domanda il Pa- scal. Per il corpo, per le sue proporzioni fisiche, un essere im- percettibile, infimo tra gli infi- mi, naufrago — risponde. Qua- lunque termine a cui cerchiamo di abbrancarci sfugge alla no- stra presa e in una fuga eterna; non vi è cosa che si arresti per noi ». Se cerchiamo una base ferma e per edificarvi una torre che si elevi fino all'infinito, o- gni nostro fondamento scric- chiola e la terra s'apre fino agli abissi ». E che dire delle mise- rie della nostra carne? Quando il Pascal considera questo lato della fragilità delle cose umane, egli tocca la perfezione -del ca- polavoro stilistico: Cromwell era sul punto di devastare l'in- tera cristianità; la famiglia rea- le era perduta e la sua per sem- pre potente, se non era un gra- nellino di sabbia... Roma stessa stava per tremare sotto di lui; ma quel calcoletto essendosi fic- cato là, egli è morto ». Le sorti degli imperi, dei regni possono essere alle dipendenze di un im- provviso malanno. E però questo scrutatore del- l'universo — questo intelletto so- vrano — questo matematico fra i massimi, che il D'Alembert ri- tiene fra i fondatori del calcolo infinitesimale; armato di rigore geometrico e di una stringente dialettica; capace di muoversi in tutti i sensi del pensiero, e di andare al fondo delle posi- zioni più opposte — Pascal — dopo aver esplorato invano la natura, rientra in sè e vi scopre la vera grandezza dell'uomo: e L'homme n'est qu'un roseau le plus faible de la nature, mais c'est un roseau pensant ». E' uno dei passi celebri, che segnano uno dei momenti supremi del soliloquio che si volge attraver- so i millenni nel segreto dell'uo- mo: « Non c'è necessità che l'u- niverso intero s'armi per schiac- ciarlo. Un po' di vapore, una goccia d'acqua basta per ucci- derlo. Ma quand'anche l'univer- so lo schiacciasse, l'uomo sareb- be ancora più nobile di ciò che l'uccide — perchè egli sa che muore — mentre del vantaggio dell'universo su di lui, l'univer- so non ne sa niente ». Ecco, Pascal ha scoperto ciò che oppone il proprio io alla materia, alla natura, ai mondi che non son che frammenti, pol- vere di Galassie erranti: la co- scienza. Nella stessa miseria l'uomo sa di essere miserabile — un albero non lo sa. Sono, anzi, le sue miserie, conosciute, che confermano la sua dignità vera, poichè e sono le miserie di un gran signore, le miserie di un re spodestato ». Con la coscienza comincia il dramma della vita spirituale dell' uomo, il suo distacco dal caos infor- me, dal fango originario, dagli strati inferiori dell'animalità e dell'istinto. Una voce viva par- la dai profondi in noi — anche nei più abbietti, nei più umilia- ti, nei più colpevoli — e talora la voce non è che un gemito o una preghiera, in un carcere. Con la coscienza penetra nel nostro essere un lume che non assomiglia a nessuna luce d'a- stro. E se altre stirpi, in altri mondi, dovessimo mai discopri- re (così mi pare si possa conclu- dere) le riconosceremmo affini, se scoprissimo sulle loro fronti il segno della regalità del pen- siero e indovinassimo nel loro cuore il travaglio della vita mo- rale. Ma Pascal — il genio dalle molte vie — pieno di apparen- ti contraddizioni, nelle Pensées che vanno interpretate come no- tazioni scritte a punta di ac- ciaio, lungo il suo cammino di ricerca della verità, ha momenti di smarrimento in cui la ragio- ne non gli basta più per pene- trare fino al centro della Real- tà vivente. Ha bisogno d'altro — non di scienza, non di filoso- fia. « Considerando la cecità e la miseria dell'uomo e avendo la visione di un universo muto di un essere senza luce, ab- bandonato a se stesso e quasi sperduto in quest'angolo dell'u- niverso, senza sapere chi ce lo abbia messo, ciò che vi è venu- to a fare, ciò che diverrà mo- rendo; incapace di ogni cono- scenza, io entro in uno stato di sgomento come di un uomo che avessero trasportato dormente in un'isola deserta e paurosa e che si svegliasse senza capire dove è — e senza modo di u- scirne. E' il preludio solenne, grave, di una sinfonia dell'angoscia — la confessione di uno stato d'a- nimo, potentemente descritto, perchè vissuto davvero. Che co- sa far di noi e miserabili sper- duti > in questo deserto? Mol- ti — osserva Pascal — si ac- quetano non pensandoci; e ve- dendo intorno a sè « cose pia- cevoli ›, se ne lasciano sedurre „per passare il tempo. Ma lui, no. « Per me non ho potuto la- sciarmene prendere » conside- rando quanto in quel mondo vi fosse di apparenza e come vi fosse ben altro da cercare di ciò che si vede. e Io ho cercato se questo Dio (della Rivelazio- ne) non avesse lasciato qualche traccia di sè ». Su quelle tracce egli avrebbe voluto ricondurre alla Realtà divina — alla reli- gione di Cristo — gli altri: gli increduli, gli scettici, i filosofi . , i mondani distratti, che alla vita dell'isola paurosa si erano or- mai adattati tanto bene che vi passavano il loro tempo diver- tendosi di tutto. Ma per sè, e non per le vie della ragione, e- gli aveva già trovato. Alla sua morte nell'abito che usava (uno solo per volta, fin- chè era logoro) i familiari ave- vano scoperto un foglietto mal cucito nella fodera — ora con- servato alla Biblioteca Naziona- le di Parigi, unitamente al manoscritto autografo dei Pen- sieri. Non sono che poche linee, scritte febbrilmente con una cal- ligrafia concitata, per fissare il momento di estasi che aveva mutato il corso della sua vita interiore: una gran luce, la fede religiosa, la certezza. « L'anno di grazia 1654 - Lu- nedì 23 novembre. Dalle dieci mezzo di sera circa fino pres- s'appoco a mezzanotte e mezzo - Fuoco - Dio d'Abramo, Dio "acca, Dio di Giacobbe - Non dei filosoti e degli scienziati - Certezza, Certezza - Sentimen- to, Gioia, Pace - Dio di Gesù Cristo - Oblio del mondo e di tutto, fuorchè Dio - Non lo si trova che per le vie insegnate dal Vangelo - Grandezza del- l'anima umana - Gioia, Gioia, Gioia, pianto di gioia. Rinunzia totale e dolce >. Due ore di rapimento in una specie di incendio, nella visione di un infinito che nulla ha a che fare con l'universo muto che impropriamente è chiamato in- finito; un genio che contempla in iscorcio i misteri di Dio, una delle rare esperienze, come quella di Dante, in cui si tocca- no i culmini religiosi e lirici del- lo spirito: ecco il segreto di que- sta paginetta in cui di lettera- tura non c'è più niente, ma che ci spiega il maggiore Pascal, il mistico che rinunzia alla gloria trova futile la matematica, proprio come lo definisce il Sainte-Beuve: Archimede in la- crime ai piedi della Croce. Tommaso Gallarati Scotti

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CORRIERE DELLA SERA

Sabato 1 febbraio 1958

L'ESPLORATORE DELL'INFINITO

... in una camera d'albergo - e HiStel Cavour Milan - 29 mars 1913 ». E' per me impressio-nante che quando mi concen-tro per alcuni giorni in un pen-siero -grave, inspiegabilmente o aprendo un libro dimenticato o un cassetto tutto polvere, mi ven-gano alle mani foglietti ingial-liti, o lettere illeggibili da altri e che solo per me possono ser-vire di spunto e di richiamo di ricordi smarriti o di conversa-zioni coi morti. Così, questi ap-punti autografi del filosofo fran-cese Emile Boutroux, con cui ebbi dimestichezza in quei gior-ni e lunghi colloqui a Milano, dove lo avevo invitato per una serie delle « Letture Fogazza-ro > su Laicismo e Scientismo.

Nella storia della filosofia mo-derna il Boutroux occupa un po-sto eminente come fondatore del «contingentismo > ossia di critica alla concezione meccani-ca e deterministica dell'univer-so; di quell'e indeterminismo », che ritrova la sua conferma nel-la teoria di Einstein e che sboc-cherà in una visione della vita come continua novità, sintesi sempre più alta, che implica un principio attivo di organizzazio-ne e di creazione: un atto di libertà.

Caro uomo, dalla fisionomia singolare: un corpo angoloso, le spalle quadrate e troppo alte da cui veniva fuori una strana te-sta e un viso pallido di un pal-lor mortale, quasi sofferente per una vita troppo intensa e tor-mentata di pensatore, che si tra-duceva però in larga simpatia u-mana ed in bontà. Mi par di udi-re la sua voce discreta e pene-trante, che sviluppava il tema dello scientismo, che mi sembra attuale, e di cui mi è rimasta traccia in una di quelle note ine-dite: e Oggi è in vigore una dot-trina secondo la quale l'umani-tà è chiusa nei limiti della na-tura. La scienza si svolge secon-do un sistema, per il quale tut-to ciò che ci è accessibile è co-noscibile per mezzo della scien-za e di essa sola; di modo che, praticamente, la scienza, per noi, dovrebbe coincidere con l'esse-re: e questo è lo scientismo. Es-so rende logicamente impossibi-le, assurda e vana ogni religio-ne, riducendo la vita morale a non essere che una illusione, un fenomeno senza consistenza e senza influenza, poichè la religio-ne presuppone, evidentemente, la realtà della vita morale ›. Questo è uno dei suoi appunti di avvio. Ma per il Boutroux — lo sentiva — quei limiti della natura non riuscivano a conte-nere l'uomo nella sua e umani-tà propriamente detta », nel suo bisogno di superarsi, di rendersi conto del proprio destino, di sco-prire un punto d'appoggio che la scienza era insufficiente a in-dicargli.

Per trovar luce fra quei pro-blemi, che sono, poi, ancora quelli di fronte ai quali ci tro-viamo noi, il Boutroux mi indi-cava quale guida spirituale un genio — un esploratore dell'in-finito ---di cui si esaltava par-landone: e Bisognerà tornare a Pascal ›. La conoscenza di lui — fatta attraverso le conversa-zioni di quei giorni, in quella brutta camera d'albergo, tutta dorature false e velluto color turchino — è uno dei più deci-sivi incontri della mia vita.

rli3 Che cosa sono io?... Il mio

proprio mistero mi è intollera-bile... Il resto è inutile e frivo-lo e ridicolo. Questa la sin-tesi delle pagine: Grandeur et misère de l'homme, incancellabi-li dal pensiero umano così co-me alcuni brani dei Dialoghi di Platone, come l'Estasi di Ostia di Sant'Agostino e l'Infinito del Leopardi.

La meditazione pascaliana parte dalle incredibili contraddi-zioni che sono nell'uomo e nel-la sua disproporzione sgomen-tante. Per cercar di ritrovare la sua misura vera, l'autore delle Pensées lo immagina di fronte all'universo: « Che l'uomo con-templi l'intera natura nella sua alta e piena maestà; che allon-tani il suo sguardo dai bassi og-getti che lo circondano; che la terra gli sembri un punto; che la sua immaginazione vada ben oltre a ciò che vede, nell'esplo-razione dello spazio ». Nessuna idea si avvicinerà mai alla real-tà; le nostre concezioni non ge-nereranno che degli atomi al prezzo della realtà delle cose; noi ci sentiremo sempre sper-duti < in una sfera infinita il cui centro è ovunque, la circonfe-renza in nessun luogo). Pascal ci dà la vertigine dello spazio in cui errano « infinità di uni-versi, di cui ciascuno ha il suo firmamento, i suoi pianeti, la sua terra ». Tutto il mondo visi-bile non è per lui che un im-percettibile segno nel « vasto grembo della natura ». E se dal-la immensità senza limiti degli spazi interplanetari egli passa a considerare l'infinitesima picco-lezza di un corpuscolo animale: e le ciron », la sua immagína-zione arriva a uno e scorcio d'a-tomo » — un altro abisso. Solo un grande poeta come il Bau-delaire lo poteva capire: Pa-scal avait son gouffre, avec lui se mouvant. Hélas tout est a-bime ».

e In questo infinito che cosa è l'uomo? », si domanda il Pa-scal. Per il corpo, per le sue proporzioni fisiche, un essere im-percettibile, infimo tra gli infi-mi, naufrago — risponde. Qua-lunque termine a cui cerchiamo di abbrancarci sfugge alla no-stra presa e in una fuga eterna; non vi è cosa che si arresti per noi ». Se cerchiamo una base ferma e per edificarvi una torre che si elevi fino all'infinito, o-gni nostro fondamento scric-chiola e la terra s'apre fino agli abissi ». E che dire delle mise-rie della nostra carne? Quando il Pascal considera questo lato della fragilità delle cose umane, egli tocca la perfezione -del ca-polavoro stilistico: Cromwell era sul punto di devastare l'in-tera cristianità; la famiglia rea-le era perduta e la sua per sem-pre potente, se non era un gra-nellino di sabbia... Roma stessa stava per tremare sotto di lui; ma quel calcoletto essendosi fic-cato là, egli è morto ». Le sorti degli imperi, dei regni possono essere alle dipendenze di un im-provviso malanno.

E però questo scrutatore del-l'universo — questo intelletto so-vrano — questo matematico fra i massimi, che il D'Alembert ri-tiene fra i fondatori del calcolo infinitesimale; armato di rigore geometrico e di una stringente dialettica; capace di muoversi in tutti i sensi del pensiero, e di andare al fondo delle posi-zioni più opposte — Pascal — dopo aver esplorato invano la natura, rientra in sè e vi scopre la vera grandezza dell'uomo: e L'homme n'est qu'un roseau le plus faible de la nature, mais c'est un roseau pensant ». E' uno dei passi celebri, che segnano uno dei momenti supremi del soliloquio che si volge attraver-so i millenni nel segreto dell'uo-mo: « Non c'è necessità che l'u-niverso intero s'armi per schiac-ciarlo. Un po' di vapore, una goccia d'acqua basta per ucci-derlo. Ma quand'anche l'univer-so lo schiacciasse, l'uomo sareb-be ancora più nobile di ciò che l'uccide — perchè egli sa che muore — mentre del vantaggio dell'universo su di lui, l'univer-so non ne sa niente ».

Ecco, Pascal ha scoperto ciò che oppone il proprio io alla materia, alla natura, ai mondi che non son che frammenti, pol-vere di Galassie erranti: la co-scienza. Nella stessa miseria l'uomo sa di essere miserabile — un albero non lo sa. Sono, anzi, le sue miserie, conosciute, che confermano la sua dignità vera, poichè e sono le miserie di un gran signore, le miserie di un re spodestato ». Con la coscienza comincia il dramma della vita spirituale dell' uomo, il suo distacco dal caos infor-me, dal fango originario, dagli strati inferiori dell'animalità e dell'istinto. Una voce viva par-la dai profondi in noi — anche nei più abbietti, nei più umilia-ti, nei più colpevoli — e talora la voce non è che un gemito o una preghiera, in un carcere. Con la coscienza penetra nel nostro essere un lume che non assomiglia a nessuna luce d'a-stro. E se altre stirpi, in altri mondi, dovessimo mai discopri-re (così mi pare si possa conclu-dere) le riconosceremmo affini, se scoprissimo sulle loro fronti il segno della regalità del pen-siero e indovinassimo nel loro cuore il travaglio della vita mo-rale.

Ma Pascal — il genio dalle molte vie — pieno di apparen-ti contraddizioni, nelle Pensées che vanno interpretate come no-tazioni scritte a punta di ac-ciaio, lungo il suo cammino di ricerca della verità, ha momenti di smarrimento in cui la ragio-ne non gli basta più per pene-trare fino al centro della Real-tà vivente. Ha bisogno d'altro — non di scienza, non di filoso-fia. « Considerando la cecità e la miseria dell'uomo e avendo la visione di un universo muto

di un essere senza luce, ab-bandonato a se stesso e quasi sperduto in quest'angolo dell'u-niverso, senza sapere chi ce lo abbia messo, ciò che vi è venu-to a fare, ciò che diverrà mo-rendo; incapace di ogni cono-scenza, io entro in uno stato di sgomento come di un uomo che avessero trasportato dormente in un'isola deserta e paurosa e che si svegliasse senza capire dove è — e senza modo di u-scirne.

E' il preludio solenne, grave, di una sinfonia dell'angoscia — la confessione di uno stato d'a-nimo, potentemente descritto, perchè vissuto davvero. Che co-sa far di noi e miserabili sper-duti > in questo deserto? Mol-ti — osserva Pascal — si ac-quetano non pensandoci; e ve-dendo intorno a sè « cose pia-cevoli ›, se ne lasciano sedurre „per passare il tempo. Ma lui, no. « Per me non ho potuto la-sciarmene prendere » conside-rando quanto in quel mondo vi fosse di apparenza e come vi fosse ben altro da cercare di ciò che si vede. e Io ho cercato se questo Dio (della Rivelazio-ne) non avesse lasciato qualche traccia di sè ». Su quelle tracce egli avrebbe voluto ricondurre alla Realtà divina — alla reli-gione di Cristo — gli altri: gli increduli, gli scettici, i filosofi., i mondani distratti, che alla vita dell'isola paurosa si erano or-mai adattati tanto bene che vi passavano il loro tempo diver-tendosi di tutto. Ma per sè, e non per le vie della ragione, e-gli aveva già trovato.

Alla sua morte nell'abito che usava (uno solo per volta, fin-chè era logoro) i familiari ave-vano scoperto un foglietto mal cucito nella fodera — ora con-servato alla Biblioteca Naziona-le di Parigi, unitamente al manoscritto autografo dei Pen-sieri.

Non sono che poche linee, scritte febbrilmente con una cal-ligrafia concitata, per fissare il momento di estasi che aveva mutato il corso della sua vita interiore: una gran luce, la fede religiosa, la certezza.

« L'anno di grazia 1654 - Lu-nedì 23 novembre. Dalle dieci

mezzo di sera circa fino pres-s'appoco a mezzanotte e mezzo - Fuoco - Dio d'Abramo, Dio "acca, Dio di Giacobbe - Non dei filosoti e degli scienziati - Certezza, Certezza - Sentimen-to, Gioia, Pace - Dio di Gesù Cristo - Oblio del mondo e di tutto, fuorchè Dio - Non lo si trova che per le vie insegnate dal Vangelo - Grandezza del-l'anima umana - Gioia, Gioia, Gioia, pianto di gioia. Rinunzia totale e dolce >.

Due ore di rapimento in una specie di incendio, nella visione di un infinito che nulla ha a che fare con l'universo muto che impropriamente è chiamato in-finito; un genio che contempla in iscorcio i misteri di Dio, una delle rare esperienze, come quella di Dante, in cui si tocca-no i culmini religiosi e lirici del-lo spirito: ecco il segreto di que-sta paginetta in cui di lettera-tura non c'è più niente, ma che ci spiega il maggiore Pascal, il mistico che rinunzia alla gloria

trova futile la matematica, proprio come lo definisce il Sainte-Beuve: Archimede in la-crime ai piedi della Croce.

Tommaso Gallarati Scotti