DI TRE GENERAZIONI -...

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CORRIERE DELLA SERA Venerdì 1 gennaio 1960 L'ANSIA DI TRE GENERAZIONI Alcune settimane or sono ri cevetti da comuni amici la no tizia, che mi era sfuggita su giornali, della morte di An dreina Costa, vedova di uno de miei migliori amici di giovinez- za: Luigi Gavazzi. Si era spen- ta, ormai vecchia, santamente serenamente, col luminoso sor- riso della fede, assistita dal figlio padre Egidio Gavazzi, benedet- tino, Abate di Subiaco. L'an- nunzio di quel pio trapasso s ripercosse in me in modo parti- colare, perchè ridestava tutto un ribollire di passioni politiche e religiose del principio del seco- lo, cui avevo partecipato; e per la conoscenza diretta con le va- rie figure del dramma spirituale di cui la soave donna era stata il centro. Andreina era figlia di due autentici rivoluzionari: Andrea Costa e Anna Kuliscioff, che si erano incontrati nel 1877 a Zu- rigo e a Lugano, tra comunar- di, bakunisti internazionalisti e anarchici — perseguiti dalle questure — ora fuggenti, ora processati. Il loro libero amore era stato breve. Restava tra lo- ro Ninuccia che la madre si era presa con sè, preferendo gli sten- ti a una meno sincera conviven- za. Poi la nuova unione della Kuliscioff con Filippo Turati aveva dato un tetto e una pro- tezione paterna anche alla bim- ba, che era cresciuta in quella redazione di Critica Sociale, al secondo piano dei Portici della Galleria V. E. 23, che per tren- t'anni fu il massimo centro del socialismo italiano. Non eravamo in molti (Luigi Einaudi, Alessandro Casati, Don Ernesto Vercesi) che per ragioni culturali e interesse di problemi sociali, frequentassimo dopo il '900 quel mondo dipinto a fo- schi colori dai e moderati lom- bardi ». Su quello sfondo di li- bri, di carte, di giornali, si de- lineava la figura esile, pallidis- sima, vibrante della grande ri- belle russa, come l'ha fissata il pittore Rietti, nel suo magnifico ritratto a pastello, in cui la testa nobilissima dagli occhi cerulei. sognanti e fissi, dai capelli fulvi, emerge da un vestimento etereo d'aria e di fuoco. Già — quan- do la conobbi — la giovanile bellezza era sfiorita. Non era più la e vergine slava con le trecce lunghe... » che, sedicenne, a Zu- rigo, incantava tutti e che nel- l'azione trascinava alla rivolta con la sua stessa bellezza. La vita avventurosa della ribelle — le prigionie, gli stenti — e poi la malattia di petto e le fatiche professionali della « dottora » dei poveri, che andava su e giù per le scale delle più miserabili stamberghe della Milano intor- no al '90 — l'avevano logorata e scarnita — benchè la nativa signorilità e direi eleganza della persona, tradissero sempre la sua origine e la sua educazione. Ma le traversie e le lotte aveva- no affinato lo spirito e accresciu- to il calore della sua fiamma se- greta. Ciò che in lei rimaneva intatta era la passione per la causa di umanità che serviva — la grande ansia per un rin- novamento sociale nella giusti- zia — la fede combattiva nel trionfo delle classi diseredate. Eppure tra tanto tumulto di pas- sioni e di idee, che l'avevano fatalmente condotta alla violen- za, rimaneva intatto e vivo e dolorante il suo cuore materno. Ora il dramma di Anna Kuli- scioff — madre — si manifestò appunto in questo contrasto, quando sentì di dover decidere circa il destino di Andreina, in opposizione alla sua fede poli- tica e alla rivolta contro il mon- do borghese. La sua lettera del 27 marzo 1904 a Andrea Costa è alta- mente patetica. Andreina che ha ormai 22 anni ha trovato fin dai banchi del liceo l'amore, in un « giovine buono, simpatico, operoso, lavoratore.., e innamo- rato come vidi pochi giovini che siano capaci di esserlo ». Ma egli fa parte « del parentorio più nero del conservatorismo mila- nese ». Mai il destino avrebbe potuto tessere un più sconcer- tante intreccio di avverse fazio- ni. Lo posso dir io che li cono- scevo tutti fino a quell'ottimo Don Pietro Rusconi, mio pro- fessore di filosofia, che doveva preparare religiosamente Andrei- na, non ancora battezzata. Ma soprattutto interessante lo stato d'animo della Kuliscioff: « Mio caro Andrea, sì, hai ragione, è una gran malinconia di dover convincersi che noi non siamo i nostri figli... La malinconia non proviene da quel piccolo in- cidente del matrimonio religioso, ma dal fatto che nostra figlia non ha nè l'anima ribelle, nè il nostro temperamento di combat- tività... Essa non fu mai socia- lista nè miscredente... ». Questa era la constatazione di sua ma- dre, stupita. E a Costa svela che nel '98, di fronte ai pericoli cor- si da lei, la figliola aveva fatto un voto alla Madonna e, non esaudita, si era rivolta nella pre- ghiera a « un Dio astratto ». E d'altra parte nemmeno la Kuli- scioff poteva dirsi nello stretto senso della parola una « miscre- dente», poichè a Costa scrive- va: « Io però credo nell'al di là... ». Ed era convinzione che ripeteva spesso anche a me, qua- si con esaltamento. Nè lo stesso rito del matrimonio religioso le repugnava come ai laicisti ar- rabbiati del suo partito. Ad An- dreina aveva detto, scrive a Co- sta, « per parte mia odio tutte le formalità del matrimonio, ma in verità mi ripugna più l'atto commerciale del matrimonio ci- vile, poichè nel matrimonio reli- gioso, per un momento almeno, si ha la sensazione poetica della fusione delle anime ». D'altronde in nome di quale ragione, di quale principio avreb- be potuto opporsi a un matrimo- nio dove c'era la suprema giu- stificazione dell'amore — pro- prio lei che per la libertà aveva abbandonato — a Moskaya — la casa comoda e quieta di una famiglia nobile — con istitu- trici e domestici — per gettarsi come un arcangelo ribelle nella rivoluzione degli oppressi? E co- me avrebbe potuto lei interporsi nel raggiungimento della felicità e della pace della sua creatura: lei che aveva pensato seriamen- - te a sopprimersi perchè e le pie- - sunte colpe della madre, che i schiaffeggiava la società sotto - tutti i rapporti » non facessero i ombra a un giovane di famiglia borghese che intendesse sposar- la?... Questo che era stato < un incubo > ora si dissolveva nel calore del suo cuore materno. Pur tuttavia non poteva nascon- dere il suo profondo disingan- no: « E' stato un fallimento il i mio, come dici tu... Ninetta non è l'immagine nostra ». Tra madre e figlia era sorto qualcuno di paurosamente gran- de: il Signore delle anime. Ma l'intimo contrasto delle coscienze che aveva messo in subbuglio fazioni e famiglie del- la città, sul principio del seco- lo, non finiva là. Chi avrebbe detto allora ad Anna Kuliscioff che una voce cui nessuno può resistere con la logica e con l'in- telletto superbo, avrebbe chia- mato, per vie impensate, creatu- re del suo sangue a conclusio- ni apparentemente opposte alle sue? Alcuni anni fa, essendo invi- tato a un pranzo intimo al Qui- rinale da Luigi Einaudi, il Pre- sidente mi raccontò che la mat- tina stessa l'Abate di Subiaco gli aveva prestato il giuramento dei vescovi, e che avendogli ri- cordato le sue amicizie persona- li con membri della famiglia Ga- vazzi, « sì — aveva risposto il monaco — ma per parte ma- terna mio nonno era Andrea Costa e mia nonna Anna Kuli- scioff ». Questo franco richiamo alla verità storica e spirituale delle sue origini, era parso alta- mente significativo al Presiden- te della Repubblica, il quale ne rimase più impressionato quan- do gli dissi che anche la sorella di padre Egidio si era fatta suo- ra di clausura nelle Carmelitane scalze. Non so quali circostanze in- terruppero allora il discorso con Einaudi: cui non dissi ciò che rende, ritornando su quei lon- tani ricordi, pensosi: ossia che il dramma spirituale delle tre generazioni si era ripetuto iden- tico con Eleonora Duse — an- ch'essa figlia della tempesta — e della medesima età della russa (l'una era nata nel 1857, l'altra nel '58). Anche la Duse, un gior- no, si era trovata con la sua Enrichetta mutata, diversa, non più sua;' posseduta da una fede religiosa che non riusciva a com- prendere.da chi, da dove le fos- se venuta... E anche i due figli di Enrichetta — a vent'anni — erano stati chiamati dalla stessa voce, ed erano entrati nel me- desimo Ordine dei domenicani. Come in un Fioretto, il fratello aveva accompagnato la sorella fino alla soglia del suo mona- stero, poi — solo — si era av- viato al suo convento. Appartenevano entrambe, le due donne di passione — la ri- belle politica e la grande tra- geda — a una rivolta ideale che non può confondersi col socia- lismo scientifico, quale dottrina che tutto pretende spiegare co- me risultato di una evoluzione storica e un adattamento del- l'ordine sociale ai bisogni ma- teriali dell'uomo. La loro era una di quelle correnti ideali, sia pur minacciose e torbide, che attraversano un mondo soddi- sfatto che il Tocqueville dirà: « moderato in ogni cosa eccet- tuato il gusto del benessere e del mediocre ». Una di quelle rivoluzioni in cui il Lamartine, nella sua storia della Rivoluzio- ne del '48, riconosceva i carat- teri che attestano sia pure negli smarrimenti temporanei, una grandezza spirituale, e si mani- festano come il prodotto di una idea morale. « Ora — scriveva il poeta -- l'idea di popolo e l'elevazione regolare delle mas- se nella politica — qualunque siano le difficoltà che presenta agli uomini di Stato il fenome- no democratico... — questa idea, essendo una verità morale di tutta evidenza per lo spirito co- me per il cuore, la rivoluzione che porta e che muove questa idea nel suo seno è una rivolu- zione di vita e non di morte. Dio l'assiste ». Era il movimen- to degli spiriti che penetrava tutto il secolo XIX, coinvolgen- do la politica, la religione, la filosofia, la poesia, l'arte, il tea- tro. Fermento — tormento — ricerca a cui Cristo, anche se apparentemente rinnegato, non era estraneo, poichè ovunque vi è travaglio di coscienze ivi è implicita l'ispirazione cristiana. Dramma che ho potuto se- guir da vicino, partecipe appas- sionato ed attento del segreto processo delle idee e delle fedi attraverso ,tre generazioni. Con un senso quasi mistico del va- lore della rivolta ideale del suo tempo la Kuliscioff si era lan- ciata all'assalto di tutto il vec- chio mondo, persuasa che come da un grande incendio, sarebbe emersa alla fine una umanità purificata. Ma sul declino dei suoi giorni (interpretando alcuni suoi discorsi) mi parve comin- ciasse a dubitare che una fede cristiana ben intesa potesse dare agli uomini ciò che il socialismo non poteva dare... E della feli- cità interiore raggiunta da An- dreina si rallegrava come di co- sa sua, poichè — diceva — nel- l'educazione l'aveva sempre vol- ta verso idee di giustizia e di amore della verità e dei poveri, che sono la base stessa della vita cristiana. Poi venne la terza generazio- ne in cui le passioni e l'angoscia dell'ava si risvegliarono con ane- lito diverso. Era una generazio- ne tragica che nei migliori e più pensosi aveva sete di assoluto e di rinuncia. La ricerca ansiosa della verità continuava in essi, ma altrove era la loro pace. Tommaso Gallarati Scotti

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CORRIERE DELLA SERA

Venerdì 1 gennaio 1960

L'ANSIA DI TRE GENERAZIONI

Alcune settimane or sono ri cevetti da comuni amici la no tizia, che mi era sfuggita su giornali, della morte di An dreina Costa, vedova di uno de miei migliori amici di giovinez-za: Luigi Gavazzi. Si era spen-ta, ormai vecchia, santamente serenamente, col luminoso sor-riso della fede, assistita dal figlio padre Egidio Gavazzi, benedet-tino, Abate di Subiaco. L'an-nunzio di quel pio trapasso s ripercosse in me in modo parti-colare, perchè ridestava tutto un ribollire di passioni politiche e religiose del principio del seco-lo, cui avevo partecipato; e per la conoscenza diretta con le va-rie figure del dramma spirituale di cui la soave donna era stata il centro.

Andreina era figlia di due autentici rivoluzionari: Andrea Costa e Anna Kuliscioff, che si erano incontrati nel 1877 a Zu-rigo e a Lugano, tra comunar-di, bakunisti internazionalisti e anarchici — perseguiti dalle questure — ora fuggenti, ora processati. Il loro libero amore era stato breve. Restava tra lo-ro Ninuccia che la madre si era presa con sè, preferendo gli sten-ti a una meno sincera conviven-za. Poi la nuova unione della Kuliscioff con Filippo Turati aveva dato un tetto e una pro-tezione paterna anche alla bim-ba, che era cresciuta in quella redazione di Critica Sociale, al secondo piano dei Portici della Galleria V. E. 23, che per tren-t'anni fu il massimo centro del socialismo italiano.

Non eravamo in molti (Luigi Einaudi, Alessandro Casati, Don Ernesto Vercesi) che per ragioni culturali e interesse di problemi sociali, frequentassimo dopo il '900 quel mondo dipinto a fo-schi colori dai e moderati lom-bardi ». Su quello sfondo di li-bri, di carte, di giornali, si de-lineava la figura esile, pallidis-sima, vibrante della grande ri-belle russa, come l'ha fissata il pittore Rietti, nel suo magnifico ritratto a pastello, in cui la testa nobilissima dagli occhi cerulei. sognanti e fissi, dai capelli fulvi, emerge da un vestimento etereo d'aria e di fuoco. Già — quan-do la conobbi — la giovanile bellezza era sfiorita. Non era più la e vergine slava con le trecce lunghe... » che, sedicenne, a Zu-rigo, incantava tutti e che nel-l'azione trascinava alla rivolta con la sua stessa bellezza. La vita avventurosa della ribelle — le prigionie, gli stenti — e poi la malattia di petto e le fatiche professionali della « dottora » dei poveri, che andava su e giù per le scale delle più miserabili stamberghe della Milano intor-no al '90 — l'avevano logorata e scarnita — benchè la nativa signorilità e direi eleganza della persona, tradissero sempre la sua origine e la sua educazione. Ma le traversie e le lotte aveva-no affinato lo spirito e accresciu-to il calore della sua fiamma se-greta. Ciò che in lei rimaneva intatta era la passione per la causa di umanità che serviva — la grande ansia per un rin-novamento sociale nella giusti-zia — la fede combattiva nel trionfo delle classi diseredate. Eppure tra tanto tumulto di pas-sioni e di idee, che l'avevano fatalmente condotta alla violen-za, rimaneva intatto e vivo e dolorante il suo cuore materno. Ora il dramma di Anna Kuli-scioff — madre — si manifestò appunto in questo contrasto, quando sentì di dover decidere circa il destino di Andreina, in opposizione alla sua fede poli-tica e alla rivolta contro il mon-do borghese.

La sua lettera del 27 marzo 1904 a Andrea Costa è alta-mente patetica. Andreina che ha ormai 22 anni ha trovato fin dai banchi del liceo l'amore, in un « giovine buono, simpatico, operoso, lavoratore.., e innamo-rato come vidi pochi giovini che siano capaci di esserlo ». Ma egli fa parte « del parentorio più nero del conservatorismo mila-nese ». Mai il destino avrebbe potuto tessere un più sconcer-tante intreccio di avverse fazio-ni. Lo posso dir io che li cono-scevo tutti fino a quell'ottimo Don Pietro Rusconi, mio pro-fessore di filosofia, che doveva preparare religiosamente Andrei-na, non ancora battezzata. Ma soprattutto interessante lo stato d'animo della Kuliscioff: « Mio caro Andrea, sì, hai ragione, è una gran malinconia di dover convincersi che noi non siamo i nostri figli... La malinconia non proviene da quel piccolo in-cidente del matrimonio religioso, ma dal fatto che nostra figlia non ha nè l'anima ribelle, nè il nostro temperamento di combat-tività... Essa non fu mai socia-lista nè miscredente... ». Questa era la constatazione di sua ma-dre, stupita. E a Costa svela che nel '98, di fronte ai pericoli cor-si da lei, la figliola aveva fatto un voto alla Madonna e, non esaudita, si era rivolta nella pre-ghiera a « un Dio astratto ». E d'altra parte nemmeno la Kuli-scioff poteva dirsi nello stretto senso della parola una « miscre-dente», poichè a Costa scrive-va: « Io però credo nell'al di là... ». Ed era convinzione che ripeteva spesso anche a me, qua-si con esaltamento. Nè lo stesso rito del matrimonio religioso le repugnava come ai laicisti ar-rabbiati del suo partito. Ad An-dreina aveva detto, scrive a Co-sta, « per parte mia odio tutte le formalità del matrimonio, ma in verità mi ripugna più l'atto commerciale del matrimonio ci-vile, poichè nel matrimonio reli-gioso, per un momento almeno, si ha la sensazione poetica della fusione delle anime ».

D'altronde in nome di quale ragione, di quale principio avreb-be potuto opporsi a un matrimo-nio dove c'era la suprema giu-stificazione dell'amore — pro-prio lei che per la libertà aveva abbandonato — a Moskaya — la casa comoda e quieta di una famiglia nobile — con istitu-trici e domestici — per gettarsi come un arcangelo ribelle nella rivoluzione degli oppressi? E co-me avrebbe potuto lei interporsi nel raggiungimento della felicità e della pace della sua creatura: lei che aveva pensato seriamen-

- te a sopprimersi perchè e le pie-- sunte colpe della madre, che i schiaffeggiava la società sotto - tutti i rapporti » non facessero i ombra a un giovane di famiglia

borghese che intendesse sposar-la?... Questo che era stato < un incubo > ora si dissolveva nel calore del suo cuore materno. Pur tuttavia non poteva nascon-dere il suo profondo disingan-no: « E' stato un fallimento il

i mio, come dici tu... Ninetta non è l'immagine nostra ».

Tra madre e figlia era sorto qualcuno di paurosamente gran-de: il Signore delle anime.

Ma l'intimo contrasto delle coscienze che aveva messo in subbuglio fazioni e famiglie del-la città, sul principio del seco-lo, non finiva là. Chi avrebbe detto allora ad Anna Kuliscioff che una voce cui nessuno può resistere con la logica e con l'in-telletto superbo, avrebbe chia-mato, per vie impensate, creatu-re del suo sangue a conclusio-ni apparentemente opposte alle sue?

Alcuni anni fa, essendo invi-tato a un pranzo intimo al Qui-rinale da Luigi Einaudi, il Pre-sidente mi raccontò che la mat-tina stessa l'Abate di Subiaco gli aveva prestato il giuramento dei vescovi, e che avendogli ri-cordato le sue amicizie persona-li con membri della famiglia Ga-vazzi, « sì — aveva risposto il monaco — ma per parte ma-terna mio nonno era Andrea Costa e mia nonna Anna Kuli-scioff ». Questo franco richiamo alla verità storica e spirituale delle sue origini, era parso alta-mente significativo al Presiden-te della Repubblica, il quale ne rimase più impressionato quan-do gli dissi che anche la sorella di padre Egidio si era fatta suo-ra di clausura nelle Carmelitane scalze.

Non so quali circostanze in-terruppero allora il discorso con Einaudi: cui non dissi ciò che rende, ritornando su quei lon-tani ricordi, pensosi: ossia che il dramma spirituale delle tre generazioni si era ripetuto iden-tico con Eleonora Duse — an-ch'essa figlia della tempesta — e della medesima età della russa (l'una era nata nel 1857, l'altra nel '58). Anche la Duse, un gior-no, si era trovata con la sua Enrichetta mutata, diversa, non più sua;' posseduta da una fede religiosa che non riusciva a com-prendere.da chi, da dove le fos-se venuta... E anche i due figli di Enrichetta — a vent'anni — erano stati chiamati dalla stessa voce, ed erano entrati nel me-desimo Ordine dei domenicani. Come in un Fioretto, il fratello aveva accompagnato la sorella fino alla soglia del suo mona-stero, poi — solo — si era av-viato al suo convento.

Appartenevano entrambe, le due donne di passione — la ri-belle politica e la grande tra-geda — a una rivolta ideale che non può confondersi col socia-lismo scientifico, quale dottrina che tutto pretende spiegare co-me risultato di una evoluzione storica e un adattamento del-l'ordine sociale ai bisogni ma-teriali dell'uomo. La loro era una di quelle correnti ideali, sia pur minacciose e torbide, che attraversano un mondo soddi-sfatto che il Tocqueville dirà: « moderato in ogni cosa eccet-tuato il gusto del benessere e del mediocre ». Una di quelle rivoluzioni in cui il Lamartine, nella sua storia della Rivoluzio-ne del '48, riconosceva i carat-teri che attestano sia pure negli smarrimenti temporanei, una grandezza spirituale, e si mani-festano come il prodotto di una idea morale. « Ora — scriveva il poeta -- l'idea di popolo e l'elevazione regolare delle mas-se nella politica — qualunque siano le difficoltà che presenta agli uomini di Stato il fenome-no democratico... — questa idea, essendo una verità morale di tutta evidenza per lo spirito co-me per il cuore, la rivoluzione che porta e che muove questa idea nel suo seno è una rivolu-zione di vita e non di morte. Dio l'assiste ». Era il movimen-to degli spiriti che penetrava tutto il secolo XIX, coinvolgen-do la politica, la religione, la filosofia, la poesia, l'arte, il tea-tro. Fermento — tormento — ricerca a cui Cristo, anche se apparentemente rinnegato, non era estraneo, poichè ovunque vi è travaglio di coscienze ivi è implicita l'ispirazione cristiana.

Dramma che ho potuto se-guir da vicino, partecipe appas-sionato ed attento del segreto processo delle idee e delle fedi attraverso ,tre generazioni. Con un senso quasi mistico del va-lore della rivolta ideale del suo tempo la Kuliscioff si era lan-ciata all'assalto di tutto il vec-chio mondo, persuasa che come da un grande incendio, sarebbe emersa alla fine una umanità purificata. Ma sul declino dei suoi giorni (interpretando alcuni suoi discorsi) mi parve comin-ciasse a dubitare che una fede cristiana ben intesa potesse dare agli uomini ciò che il socialismo non poteva dare... E della feli-cità interiore raggiunta da An-dreina si rallegrava come di co-sa sua, poichè — diceva — nel-l'educazione l'aveva sempre vol-ta verso idee di giustizia e di amore della verità e dei poveri, che sono la base stessa della vita cristiana.

Poi venne la terza generazio-ne in cui le passioni e l'angoscia dell'ava si risvegliarono con ane-lito diverso. Era una generazio-ne tragica che nei migliori e più pensosi aveva sete di assoluto e di rinuncia. La ricerca ansiosa della verità continuava in essi, ma altrove era la loro pace. Tommaso Gallarati Scotti