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La libertà, il male, Dio. Gli ultimi scritti di Luigi Pareyson. FRANCESCO RUSSO * Sommario: 1. Premessa. 2. La maturazione del pensiero tragico. 3. Ermeneutica dell’esperienza religiosa; una vecchia polemica. 4. Il mistero del male. 4.1. Un’apparente digressione. 5. L’ambi - guità della libertà nell’uomo. 6. Verso una libertà pura. 7. La libertà in Dio. 8. Filosofia dell’esse - re e filosofia della libertà. 1. Premessa Da tempo annunciato e atteso, agli inizi del 1995 è giunto nelle librerie il volu- me postumo di Luigi Pareyson Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza 1 , meti- colosamente curato da Giuseppe Riconda e da Gianni Vattimo, con la collaborazione di A. Magris e F. Tomatis. Il libro era stato progettato dallo stesso Pareyson, morto nel 1991, il quale ne aveva già anticipato per il pubblico alcuni saggi; agli scritti editi, ma non sempre facilmente rintracciabili, vengono qui aggiunti altri inediti, frut- to di lezioni e corsi tenuti dal professore valdostano negli ultimi anni di vita terrena. Il risultato finale è molto coerente nel suo disegno interno e permette di valutare nel loro insieme le riflessioni di Pareyson sugli argomenti che dovevano costituire per lui il coronamento del suo itinerario speculativo; coronamento non vuol dire, però, com- piutezza, giacché — come cercherò di mostrare — sono evidenti i segni di un proces- so di incessante maturazione e ripensamento. L’eco destata da questo libro 2 è stata considerevole sia per l’originalità, la ACTA PHILOSOPHICA, vol. 5 (1996), fasc. 1 - PAGG. 77-94 77 * Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo della Santa Croce, Piazza di Sant’Apollinare 49, 00186 Roma. 1 Einaudi, Torino 1995, pp. 478. Tale libro è stato preceduto da altri due volumi postumi: Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa (Einaudi, Torino 1993) e Prospettive di filosofia contemporanea (Mursia, Milano 1993), da me recensiti su «Acta Philosophica», I/3 (1994), pp. 175-176 e I/4 (1995), pp. 157-158. 2 Recentemente, in concomitanza con la comparsa degli scritti pareysoniani sul pensiero tra- gico, sono stati pubblicati numerosi saggi sul suo pensiero. Tra quelli che ho potuto prende-

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  • La libert, il male, Dio.Gli ultimi scritti di Luigi Pareyson.

    FRANCESCO RUSSO*

    Sommario: 1. Premessa. 2. La maturazione del pensiero tragico. 3. Ermeneutica dellesperienzareligiosa; una vecchia polemica. 4. Il mistero del male. 4.1. Unapparente digressione. 5. Lambi -guit della libert nelluomo. 6. Verso una libert pura. 7. La libert in Dio. 8. Filosofia dellesse -re e filosofia della libert.

    1. Premessa

    Da tempo annunciato e atteso, agli inizi del 1995 giunto nelle librerie il volu-me postumo di Luigi Pareyson Ontologia della libert. Il male e la sofferenza1, meti-colosamente curato da Giuseppe Riconda e da Gianni Vattimo, con la collaborazionedi A. Magris e F. Tomatis. Il libro era stato progettato dallo stesso Pareyson, mortonel 1991, il quale ne aveva gi anticipato per il pubblico alcuni saggi; agli scrittiediti, ma non sempre facilmente rintracciabili, vengono qui aggiunti altri inediti, frut-to di lezioni e corsi tenuti dal professore valdostano negli ultimi anni di vita terrena.Il risultato finale molto coerente nel suo disegno interno e permette di valutare nelloro insieme le riflessioni di Pareyson sugli argomenti che dovevano costituire per luiil coronamento del suo itinerario speculativo; coronamento non vuol dire, per, com-piutezza, giacch come cercher di mostrare sono evidenti i segni di un proces-so di incessante maturazione e ripensamento.

    Leco destata da questo libro2 stata considerevole sia per loriginalit, la

    ACTA PHILOSOPHICA, vol. 5 (1996), fasc. 1 -PAGG. 77-94

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    * Facolt di Filosofia del Pontificio Ateneo della Santa Croce, Piazza di SantApollinare 49,00186 Roma.

    1 Einaudi, Torino 1995, pp. 478. Tale libro stato preceduto da altri due volumi postumi:Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa (Einaudi, Torino 1993) eProspettive di filosofia contemporanea (Mursia, Milano 1993), da me recensiti su ActaPhilosophica, I/3 (1994), pp. 175-176 e I/4 (1995), pp. 157-158.

    2 Recentemente, in concomitanza con la comparsa degli scritti pareysoniani sul pensiero tra-gico, sono stati pubblicati numerosi saggi sul suo pensiero. Tra quelli che ho potuto prende-

  • seriet e il coraggio della sua proposta nel panorama filosofico contemporaneo, siaper il crescente affermarsi del suo prestigio, favorito anche dallattiva presenza diquella che pu essere definita, con una certa imprecisione, la sua scuola3. Dalcanto mio, in queste pagine desidero riflettere sulla pareysoniana ontologia dellalibert, cercando di metterne in luce alcuni elementi-chiave, le istanze da me ritenutepositive e quelle che mi appaiono impraticabili. Dovr necessariamente ricollegarmie rinviare a quanto avevo gi avuto modo di scrivere sul pensiero tragico diP a r e y s o n4, basandomi sui suoi articoli fino ad allora comparsi. tra i miei intentiquello di essere esplicito nellesposizione degli aspetti salienti del tema (disponendofinalmente di tutti i saggi in questione) e di evitare un discours ramass, un peu syn-cop, secondo la garbata osservazione del prof. Tilliette, al quale sono grato per losprone. Premetto, comunque, che le argomentazioni stratificate e composite delnostro autore e la complessit degli argomenti non rendono per niente facile e sconta-to tale compito.

    2. La maturazione del pensiero tragico

    Se gli ultimi anni di Pareyson sono stati contrassegnati dallinterrogazione sulmistero del male e sullabisso della libert, non certo dovuto a unansia di peculia-rit o di protagonismo, completamente assente dal suo temperamento schivo ealquanto austero. Alle origini di questo orientamento di pensiero si riscontrano diver-si motivi ispiratori, primo fra tutti la sua matrice esistenzialistica che lo ha tenutolontano, sin dagli inizi della sua formazione, da certe posizioni ripetutamente da luidefinite consolatorie e intimistiche, che conciliavano e stemperavano i caratteridrammatici dellesistenza umana. Molto significativamente e con tutta franchezza nel1983 Pareyson ammise: A quale origine se non allesistenzialismo da me allora nonsolo avvicinato, ma addirittura bevuto e respirato, devo far risalire lo spunto primodellintonazione sempre pi pessimistica (mi si passi limprecisa parola) della miaulteriore meditazione? in virt di quella mia originaria formazione naturalmentechiarita e decantata in s stessa, e motivata da nuove ispirazioni, oltre che accresciu-ta, allargata e approfondita per autonoma riflessione che tutto il mio itinerariointellettuale caratterizzato da una sempre maggiore attenzione al problema delnegativo, sia esso il male o lerrore o la sofferenza5.

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    re in esame, menziono soltanto: G. PENATI, La teologia esistenziale in Pareyson: essere elibert, Studium, 3 (1993), pp. 399-414; R. LONGO, Esistere e interpretare: itinerari spe -culativi di Luigi Pareyson, CUECM, Catania 1993; AA. VV., Luigi Pareyson, estetica eontologia della libert, Rivista di Estetica, 40-41, anno XXXII (1993), pp. 3-143 [consaggi di G. Vattimo, U. Eco, M. Perniola, C. Vicentini, S. Givone, G. Carchia, M. Ferraris,R. Salizzoni, L. Bagetto]; S. MA R Z A N O, Il sublime nellermeneutica di Luigi Pareyson,Rosenberg & Sellier, Torino 1994; V. PO S S E N T I, Dio e il male, in C. VI G N A (a cura di),Letica e il suo altro, Franco Angeli, Milano 1994, pp. 41-68; F. TOMATIS, Ontologia delmale. Lermeneutica di Pareyson, Citt Nuova, Roma 1995.

    3 Se ne veda il quadro disegnato da M. RAVERA, Luigi Pareyson et son cole, Archives dePhilosophie, 57 (1994), pp. 45-54.

    4 Nel mio libro Esistenza e libert. Il pensiero di Luigi Pareyson, Armando, Roma 1993, pp.199-232.

    5 L. PAREYSON, Karl Jaspers, Marietti, Casale Monferrato 1983, p. XIX.

  • Allinterno di questo ambito di riferimento pi ampio possibile scorgere altrefonti, a cui attinse negli anni universitari. Innanzitutto, le opere di Piero Martinetti,alle quali si accost sin dal primo anno di universit (in particolare al saggioIntroduzione alla metafisica, del 1902-1904) e in cui era presente lacutissimo sensodel problema del male dolorosamente presente nel mondo6, con una realt irriduci-bile e terribile malgrado le operazioni dialettiche dellidealismo crociano e gentilia-no7. Andrebbe anche rilevata la frequentazione di Giacomo Soleri, ben attento alladrammaticit e alla radicale misteriosit del problema del male8, pur rapportatoallaffermazione di Dio e al positivo sfondo metafisico del reale.

    Volendo cedere ad un accanimento archivistico, si potrebbe analizzare ognuno deimoltissimi filosofi studiati o conosciuti da Pareyson (bisognerebbe cominciare, tra itanti, da Pascal, Kant, Schelling e passare ai romanzieri, quali ad esempio Dostoevskij,Isaac Bashevis Singer), ma mi interessava ravvisare qui solo alcune tracce lontane dellamaturazione del suo pensiero tragico, rimandando a dopo altri riferimenti.

    Daltronde, accanto alle fonti proprie dei suoi studi vanno messi in evidenzaanche motivi pi storici e personali, che non possibile trascurare. Da pensatorerigoroso e onesto, attento e partecipe alle vicissitudini dellumanit, Pareyson non si sottratto al rovello di unamara constatazione: Nel corso della seconda guerramondiale lumanit ha toccato il culmine della malvagit e della sofferenza, conforme assolutamente diaboliche di perversione, con spaventosi massacri e genocidiche hanno crudelmente decimato lumanit, con inaudite e orribili sofferenze inflittedalluomo alluomo, e soprattutto con fenomeni come lOlocausto, di fronte ai qualinon possibile che lumanit intera non si senta colpevole, sia per non averlo saputoprevenire o impedire, sia per non aver per conto suo sofferto altrettanto. Ebbene,trovo sconvolgente il fatto che in quel momento, quando lumanit stava appenauscendo dallabisso del male e della sofferenza in cui era precipitata, e ancora inseguito per alcuni decenni, abbiano avuto grande successo e rilevante diffusione filo-sofie impegnate in problemi tecnici di estrema astrattezza e sottigliezza, come il posi-tivismo logico e la filosofia analitica, forme di pensiero insensibili alla problematicadel male, e in generale poco interessate ai problemi delluomo e del suo destino9.

    Pi che un atto di accusa contro altri, di cui pur sono riconosciuti il merito elimportanza, si tratta della presa di coscienza di un compito impreteribile, verso ilquale si sentiva quasi destinato dalle vicende vissute. illuminante quanto affermnel 1979, ammettendo la propria diversit rispetto allinterpretazione della grecitproposta da Antonio Maddalena: Fu la lettura dei suoi ultimi scritti che mi rivelcome egli potesse essere tanto pi sereno di me, che mi trovo ad essere figlio delsecolo, cio dellangoscia e del dubbio, tormentato dalla tragedia della libert, allacui illimitatezza luomo affidato senza scampo10.

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    6 L. PAREYSON, Prospettive di filosofia contemporanea, o. c., p. 104.7 Ibidem, p. 113. Altrove, comunque, Pareyson prende le distanze dalla concezione martinet-

    tiana di libert: cfr. Ontologia della libert, o. c., p. 8.8 Cfr. Prospettive di filosofia contemporanea, o. c., pp. 329-330.9 Ontologia della libert, o. c., p. 156. Con parole pressoch simili, lo stesso interrogativo

    riemerge in un altro intervento del medesimo periodo: cfr. Pensiero ermeneutico e pensierotragico, in AA. VV., Dove va la filosofia italiana? (a cura di J. Jacobelli), Laterza, Roma-Bari 1986, pp. 137-138.

    10 Prospettive di filosofia contemporanea, o. c., p. 349.

  • 3. Ermeneutica del cristianesimo; una vecchia polemica

    La tragicit del pensiero di Pareyson consiste, dunque, nel consapevole con-fronto con gli interrogativi cruciali e temerari su Dio, sulluomo e sul suo destino,evitando di proposito le soluzioni rasserenanti della dialettica razionalista e anche laprospettiva metafisica, che supererebbe troppo agevolmente i conflitti e le angoscedei singoli. Lintento dichiarato dei suoi scritti in materia quello di interpellare, anzidi coinvolgere, credenti e non credenti, non partendo da un neutrale agnosticismobens indicando come ambito di riflessione un cristianesimo non consolatorio, tem-prato dal confronto con il nichilismo e lateismo.

    Come si accosta a questo terreno il pensatore valdostano? Senzaltro da filosofoche vive il cristianesimo, esplicitamente assunto nel proprio retroterra, incurante perdi far collimare le sue conclusioni con una formula aprioristica di filosofia cristiana.A tale riguardo la sua convinzione stata sempre la seguente: Non bisogna dimenti-care che una scelta personale e una Weltanschauung ispiratrice si trovano alla base diqualsiasi autentica filosofia, e non porta alcuna differenza il fatto chesse non possa-no caratterizzarsi con un nome o siano invece definibili come cristiane o altro chesia: ai fini della validit filosofica dun pensiero ci che conta la sua rispondenzaalla scelta e Weltanschauung di base. Per un genuino filosofo non caratterizzante ladenominazione di cattolico o cristiano, chegli pu avere in comune con non filosofio con filosofi di tendenze diversissime e magari opposte alla sua. Ci ch filosofica-mente rilevante la perfetta corrispondenza fra la domanda filosofica e la rispostareligiosa e fra lispirazione religiosa e lespressione filosofica: si spiega alloracomegli possa condividere con non cristiani la sua problematica filosofica, e come ilsuo pensiero religioso possa in quanto filosofico interessare anche un non cristia-no11.

    Se restasse ancora qualche dubbio su come Pareyson ripensa il cristianesimonella sua filosofia, dovrebbe bastare il seguente chiarimento: Il ricorso al mitoimplica il rinvio a unesperienza vissuta e a una convinzione esistenziale, e non ilriferimento a un fatto culturale, quale sarebbe una religione posta accanto a tutte lealtre, tutte esibite come possibilit equivalenti e indifferenti, e offerte a una scelta chein tali condizioni non potrebbe essere che estrinseca, arbitraria e relativistica. In que-sto senso lermeneutica della coscienza religiosa qui proposta suppone che la rifles-sione sia portata non su una scena culturale oggettivabile e astratta, ma su unespe-rienza esistenziale, concreta e personalmente vissuta. Considerata come un dato dicultura astratto e oggettivo, una religione cessa desser tale; fa parte dellessenzastessa della religione il suo nesso esistenziale con chi la professa. Per prospettarlanella sua vera natura bisogna vederla come assunta allinterno duna tradizione stori-ca e duna situazione personale, come adottata con una scelta esistenziale inseparabi-le dalla nostra sostanza personale e storica12.

    Come si vede, Pareyson non segue certo una strada agevole e pacificante, giac-

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    11 Prospettive di filosofia contemporanea, o. c., p. 188. Questo scritto risale al 1987, ma inunintervista di dieci anni prima aveva ampiamente spiegato la sua stessa visione della que-stione: cfr. Filosofia e verit, Studi cattolici, 193 (1977), pp. 173-175; questintervista parzialmente contenuta nellantologia, curata da M. Ravera, L. PA R E Y S O N, F i l o s o f i adellinterpretazione, Rosenberg & Sellier, Torino 1988, pp. 169-172.

    12 Ontologia della libert, o. c., p. 166.

  • ch mette in causa tutto se stesso ed esige dagli interlocutori una valutazione e nonunetichetta dufficio. Si comprendono, allora, i motivi di una vecchia polemica daquotidiani, esplosa (si fa per dire) nel 1993 dopo un convegno di studio sul filosofodi cui stiamo parlando. Notando il rinnovato interesse di molti studiosi cattoliciverso gli scritti pareysoniani, Gianni Vattimo intervenne su La Stampa (del12.10.1993) rilevando con lucidit alcuni punti problematici dellinterpretazionepareysoniana del mito e ricordando che gli itinerari di approfondimento percorsi dalsuo maestro, sebbene si sia sempre professato cattolico, lo collocano in una posi-zione del tutto originale e, forse, difficilmente riducibile a qualunque forma di orto-dossia. Esasperato da un titolo gratuito e strillato (Gi le mani da Pare y s o n), e dasbrigative frecciate polemiche nelle ultime righe, larticolo trov la risposta difensi-va di Pietro Prini su Avvenire (del 14.10.1993), il quale per non si addentr nellaquestione sollevata e si limit a qualche precisazione sulla teodicea in generale.Seguirono poi una replica di Vattimo purtroppo inficiata da uno stantio miscugliodi chiesa, politica ed etica sessuale e un attento giudizio di Roberto Righetto,sugli stessi giornali.

    A quale scopo ho rispolverato questa discussione tutto sommato poco approfon-dita? Perch, in un certo senso, chiamava in causa lesigenza di valutazione, richie-sta dallo stesso Pareyson, sulla corrispondenza fra lispirazione religiosa e lespres-sione filosofica: restando indiscussa la sua fede, di cui conservo qualche bel ricordo,occorre interrogarsi, e lo voleva lui stesso, sulla consonanza tra linsieme della tradi-zione religiosa cristiana, e specificamente cattolica, e le conclusioni da lui proposte.Posso affermare che era un suo desiderio perch me lo chiese personalmente ed daltronde ben evidente dal suo carteggio con p. Xavier Tilliette, pubblicato suAnnuario filosofico13.

    Senza risoffermarmi anche qui sul modo in cui concepisce il mito e lermeneu-tica dellesperienza religiosa, mi limito a ricordare che per Pareyson il mito pre-gnante ed inesauribile interpretazione della verit e lesperienza religiosa intesacome singolare ed esistenziale rapporto con la trascendenza, non rinchiusa in unadimensione soggettivistica o coscienzialistica, ma considerata al livello ontologicoprofondo delluomo. Operarne unermeneutica significa allora avviare una riflessionesenza pretese demitizzanti e razionalistiche, che, quale filosofia schietta e genuina,cerca di chiarire il dato esistenziale, elaborando pensieri che possano eventualmenteservire a renderlo pi comprensibile, e inoltre pu e deve dire che cosa significhi opossa significare per luomo decidersi per o contro Dio, avere una fede personaleintesa al tempo stesso come scelta umana e iniziativa divina, incontrare la divinitnellesperienza religiosa, parlare dellinoggettivabile in un linguaggio simbolico,avere rapporti con una trascendenza considerata al tempo stesso come assente e pre-sente, lontana e vicina, e cos via. Su questi punti la filosofia pu giungere a conside-razioni capaci di mostrarne linteresse per tutti, anche per i non credenti14.

    Come cercher di mostrare, nel tentativo di assolvere questo compito, Pareysonha offerto molti spunti fecondi e preziosi, ma ha dato anche diverse soluzioni che

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    13 Nel numero 9 (1993), pp. 27-34. In questo carteggio affiora il consapevole desiderio diPareyson di sviluppare la sua concezione del male e della libert entro le coordinatedellorizzonte del cristianesimo: cfr. pp. 31-32.

    14 Ontologia della libert, o. c., p. 148.

  • appaiono insoddisfacenti e a mio avviso non del tutto coerenti con lesperienza reli-giosa a cui fanno riferimento.

    4. Il mistero del male

    Abbiamo gi visto che tra i motivi che hanno indotto Pareyson ad adoperarsiper scandagliare la tragicit dellesistenza umana c la constatazione che la filosofiaha ripetutamente cercato di esorcizzare o accantonare il problema del male. I tentatividi soluzione sono stati molteplici: la dialettizzazione del male come momento neces-sario al trionfo del progresso; la chiusura intimistica allinterno del proprio io, resoi n d i fferente alle vicende dellumanit; la matematizzazione della realt, semprericonducibile a calcoli dal risultato prevedibile e positivo; lesaltazione di unimper-sonale volont di potenza o delle pulsioni inconsce, in cui sono diluite e sommerse leresponsabilit individuali; e cos via.

    Per una riflessione seria e globale sullargomento occorre poi evitare un altropericolo, particolarmente attuale dinanzi alliperproduzione di scritti e di dibattiti sullamorale o moraleggianti: Normalmente la filosofia confina il problema del malenellambito delletica, la quale in verit una sfera troppo ristretta per una questionecos immane e sconvolgente, e la cui riflessione appare del tutto inadeguata a un arg o-mento cos centrale e decisivo. Il male inteso come alternativa allopzione morale ocome disvalore riscontrabile su un piano assiologico un incidente anche gravissimonel cammino pur arduo della virt; e il dolore inteso come impedimento a quella feli-cit ch inseparabilmente connessa con la virt razionalmente concepita unavver-sit da domare e da vincere con un difficile esercizio di ascesi e di imperturbabilit.Ma una trattazione che si fermasse a questo livello sarebbe ben lontana dallessereesauriente e profonda, e anzi si lascerebbe sfuggire il centro stesso del problema1 5.

    Volendo addentrarsi nel cuore del mistero occorre allora una prospettiva filoso-fica originaria e integrale, ed quanto a pieno titolo compete alla metafisica, ma lesue versioni storiche destano molte perplessit. Pareyson ha frequentemente preso ledistanze dalla metafisica da lui definita ontica, oggettiva, speculare. A questo deno-minatore va senzaltro ricondotto, sulla base degli scritti pareysoniani, il razionali-smo metafisico che si dispiega da Cartesio a Hegel, passando attraverso le tappe diSpinoza e Leibniz: ridurre il male a un ente di ragione o presentare il nostro come ilmigliore dei mondi possibili una delle soluzioni che indurrebbe Ivan Karamazovalla ribellione e alla restituzione del biglietto dingresso in questo mondo, carico dis o fferenze raccapriccianti1 6. Non basterebbe neanche, e Pareyson lo ribadisce pivolte, la risposta classica secondo cui il male privazione di bene o assenza di esse-re: non si avrebbe il coraggio di ripeterlo, ad esempio, alle vittime dei quotidianiorrori nella guerra che tormenta almeno fino alla data in cui sto scrivendo lepopolazioni della ex-Jugoslavia.

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    15 Ibidem, pp. 151-152.16 Molto chiare, tra gli altri testi, le pagine in cui vengono criticati i diversi modi di sopprimere

    il male, riducendolo a momento negativo della dialettica, a limite inerente necessariamentealla finitezza della creatura, a prodotto dellambiente: Dostoevskij. Filosofia, romanzo edesperienza religiosa, o. c., pp. 60-64.

  • Ma qui nellargomentazione pareysoniana andrebbe introdotta una cesura, perchiarire che con il termine male ci si riferisce necessariamente a diversi livelli:ontologico, naturale, morale, esistenziale... possibile mettere sullo stesso piano,tanto per fare qualche esempio, una malattia e un crimine, uningiustizia e un terre-moto, un difetto involontario e una mutilazione, lomissione dovuta ad ignoranza elindifferenza cinica? Evidentemente no e la distinzione andrebbe fatta, ma Pareysonnon vuole attardarsi in classificazioni che considererebbe di stampo metafisico e cor-rerebbero il rischio di imbrigliare la forza del suo discorso; lascia al lettore il compitodi capire qual la sua peculiare visuale del problema. Tale scelta, a mio avviso, dadito a qualche confusione di piani, anche se lui stesso non manca di precisare:ontologicamente, il male nulla, non essere, inesistenza17, ma esercita la sua azio-ne disgregatrice nella sua esistenza parassitaria, cio prendendo sede e sostegnonella realt umana18. Sulla base della lezione di Dostoevskij, il male non soltantola debolezza e la fragilit delluomo, [...] la presenza efficace del demoniaco da unlato e la risoluta volont dellarbitrario dallaltro19.

    In definitiva, dinanzi alla societ gravida di misfatti Pareyson vuole ad ognicosto evitare e non gli mancano certo buone ragioni che il male venga cristal-lizzato in un concetto inerte e irreale: Il male non assenza di essere, privazione dibene, mancanza di realt, ma realt, pi precisamente realt positiva nella sua nega-tivit. Esso risulta da un positivo atto di negazione: da un atto consapevole e inten-zionale di trasgressione e rivolta, di rifiuto e rinnegamento nei confronti di una previapositivit; da una forza negatrice, che non si limita a un atto negativo e privativo, mache, instaurando positivamente una negativit, un atto negatore e distruttore. Ilmale va dunque preso nel significato pi intenso della ribellione e della distruzio-ne20.

    Si comprende allora che il male visto in queste opere come indissolubilmentelegato alla libert e originato da essa; sempre e soltanto come esistenzialmente vissu-to, subito o perpetrato dallindividuo; la sua energia dirompente, che affonda le radicinel cuore stesso della realt e delluomo, vividamente illuminata proprio per mette-re in scacco la razionalit oggettivante che vuol rendere tutto trasparente: la ragionedeve arretrare davanti alla sua invincibile opacit e fare ricorso al mito religioso, chepermette di accostarsi alla libert e a Dio senza pretese esaustive e riduzionistiche.

    4.1. Unapparente digressione

    Prima di esaminare come Pareyson sviluppa il discorso sulla libert delluomo e

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    17 Ibidem, p. 66.18 Ibidem, p. 58; cfr. anche ibidem, p. 126. 19 Ibidem, p. 29; i corsivi sono nel testo.20 Ontologia della libert, o. c., pp. 167-168. Ricordo che quando gli feci notare che un uomo

    non vuole propriamente il male come male (cfr. Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed espe -rienza religiosa, o. c., p. 45), Pareyson replic chiedendomi come potessi sostenere cidavanti alle perversioni e alle atrocit della storia dellumanit, tra cui il nazismo. eviden-te che lidea di ammettere una scelta del male sub ratione boni gli sembrava un ulteriorepericolo di minimizzare la tragicit della rivolta distruttrice delluomo: uno dei punti incui appariva chiaramente la sua decisione risoluta di non elaborare unantropologia metafi-sicamente fondata.

  • di Dio, desidero introdurre unosservazione motivata dal fatto che non mi ritengopersonalmente estraneo ad ogni metafisica e giudico che lapproccio esistenzialisticoai problemi filosofici (tra cui quello del male) non preclude di per s il rimando allivello metafisico di analisi. Pi sopra ho scritto che suonerebbe tristemente ironicospiegare alle vittime di un misfatto che il male soltanto privazione di bene: ma nad Agostino di Ippona n a Tommaso dAquino sarebbe venuto in mente di farlo,anche se bisogna riconoscere che lungo la storia del pensiero tale questione in molticasi stata affrontata troppo sbrigativamente. Penso, piuttosto, che la presenza di unametafisica consapevole dellessere e della Trascendenza possa contribuire a lasciare aquesti interrogativi tutta la loro crucialit, senza confinarli nellambito delletica odella dialettica formale, e a riconoscere con pi chiarezza, per, la distinzione tralanalisi esistenziale e quella ontologica, lapporto della fede e i confini della razio-nalit.

    Una conferma di quanto ho appena detto lho trovata, tra laltro, nella letturadelle seguenti riflessioni di Maritain: il male una privazione: la privazione di unbene che dovrebbe esistere in una cosa2 1. Questa dottrina spesso mal compresa.Qualche volta ci si immagina che essa [...] neghi o misconosca la realt del male,quando, al contrario, riposa interamente sulla realt della privazione o della lebbradellassenza. Dire che il male non un essere non in nessun modo dire che il malenon esiste, o che esso non che unillusione [...]. Il male esiste nelle cose22, ed esistein esse terribilmente. Il male reale, esiste realmente come una ferita o una mutila-zione dellessere [...]. Cos il male esiste nel bene, cio il soggetto o portatore delmale buono per quanto c di essere in lui23. E il male agisce attraverso il bene,perch il male, essendo in se stesso privazione o non-essere, non ha causalit pro-pria24. Il male cos efficace non per se stesso, ma per il bene che ferisce e di cui sifa parassita; vale a dire per il bene deficiente o deviato, la cui azione pertanto vizia-ta. Qual dunque il potere del male? il potere stesso del bene che il male ferisce edi cui si fa parassita. Pi potente questo bene, pi potente sar il male, non in virtdi se stesso, ma in virt di questo bene. Ed per questo che non c male pi potentedi quello del cattivo angelo. Se nel mondo doggi il male appare tanto potente, per-ch il bene di cui esso si fa parassita lo stesso spirito delluomo, la scienza stessa elideale corrotto dalla cattiva volont25.

    Se si raffronta questo brano a quelli di Pareyson sullargomento, emergono con-sonanze evidenti; ma appare chiaramente anche la differenza di fondo, dovuta pro-prio alla presenza di una metafisica creazionistica: in Maritain il male riconosciuto

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    21 Cfr. Summa Theologiae, I, q. 48, a. 1; De Malo, I, 1; Summa contra Gentiles, III, capp. 7, 8e 9; Compendium Theologiae, cap. 115.

    22 Cfr. Summa Theologiae, I, q. 48, a. 2 e ad 2.23 Cfr. ibidem, I, q. 48, a. 3.24 Cfr. ibidem, I, q. 49, a. 1.25 J. MARITAIN, San Tommaso dAquino e il problema del male, in Da Bergson a Tommaso

    dAquino, Vita e Pensiero, Milano 1980, pp. 208-209; la prima edizione in francese di que-sto libro del 1944; i riferimenti allAquinate e i corsivi sono nel testo. Anche C. JOURNET,in un saggio molto interessante, richiamandosi alle opere di Tommaso dAquino, spiega chenellordine dellessere il male non inesistente n impotente nellordine dellagire: cfr. Ilmale. Saggio teologico, Borla, Torino 1963, p. 48; osserva giustamente, tra laltro, che pro-prio laffievolimento del senso dellessere corrisponde ad un affievolimento del senso delmale.

  • nella sua misteriosit e terribilit, ma questa componente tragica non arriva ad esserepredominante nella visione del mondo, delluomo e di Dio.

    Desidero menzionare, infine, le riflessioni di Cornelio Fabro, anche per undovuto omaggio dopo la sua morte recente (avvenuta il 4 maggio 1995). Anchegliriconosce che nella storia della filosofia occidentale solitamente il problema del male restato tangenziale e afferma senza mezzi termini che in Agostino dIppona e inTommaso dAquino le risposte pi convincenti agli interrogativi sul male non sonoquelle date dalla prospettiva teologico-formale, che sembra ricorrere a sotterfugi dia-lettici se ci si mette nei panni di chi tormentato da una domanda assillante ,bens da quella morale-esistenziale, in cui luomo messo dinanzi agli effetti del suopeccato e alla passione redentrice di Cristo26. Mentre la filosofia formale, nella sferaontico-ontologica, offre una soluzione per cos dire consolatoria, trasponendo levicende delluomo nel cosmo e nella collettivit universale, solo nel pensiero che sispinge fino al vertice di Dio creatore e provvidente il problema del male esplode contutta la sua irruenza: tale enigma il problema esistenziale della crisi della stessalibert27 ed alla radice del mistero del dolore; questo il mistero che la filosofiaprospetta come apertura del passaggio al limite per trasmetterlo alla religione, laquale trascende lAssoluto statico della ragione e si volge a Dio come al Padre degliuomini ch il rifugio dei miseri e il consolatore degli oppressi col confortodellamore e della vita eterna essenziale28.

    Anche in questo caso affiorano pi punti di contatto con lanalisi pareysoniana,ma si rileva anche, tra le altre, una differenza rimarchevole: in Fabro il rinvio alpiano della religione orientato da una caratteristica fondamentale del Dio cristiano,che viene invece quasi del tutto lasciata in disparte nellermeneutica dellesperienzareligiosa proposta da Pareyson; tale caratteristica la paternit divina.

    Se ho inserito questapparente digressione, stato per mostrare da un lato alcu-ne singolari consonanze (emerse nei miei tentativi di cercare conferme alle critichepareysoniane) e dallaltro che lapertura alla metafisica permette, secondo me, di pro-seguire nellanalisi del mistero del male con maggiore linearit. Lo vedremo adesso,riprendendo largomentazione di Pareyson dove lavevamo lasciata: il rinvio al mitoreligioso per parlare della libert e di Dio.

    5. Lambiguit della libert nelluomo

    Perch per parlare della libert, anche di quella umana, Pareyson consideranecessario ricorrere al mito? Perch ritiene che il discorso pi profondo che la filoso-fia possa fare sulla libert sia quello di arrivare a riconoscere nelluomo lidentit tradono e consenso: io sono dono di me a me stesso, donazione di libert e appello allalibert, essere principiato e consenso ad essere, massima recettivit o passivit e mas-sima attivit o iniziativa29. Ma giunto a questo punto, che daltronde gi implica il

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    26 Cfr. C. FABRO, Dio e il mistero del male, in Riflessioni sulla libert, Maggioli, Rimini 1983,pp. 316-318.

    27 C. FABRO, Luomo e il rischio di Dio, Studium, Roma 1967, p. 485.28 Ibidem, p. 488.29 Cfr. L. PAREYSON, Ontologia della libert, o. c., pp. 13-21; Esistenza e persona, Il melango-

    lo, Genova 19924, pp. 237-238 e 266-269.

  • rapporto ad un Altro o ad una trascendenza, ci si trova a dover riconoscere lillimita-tezza della libert, la sua insondabilit che non offre alcun fondamento rassicurante,il fatto che la libert un puro inizio ed preceduta solo da se stessa (nelluomo etanto pi in Dio): essa si presenta allora come un unico abisso vertiginoso, sullorlodel quale la mente umana vacilla; dentro il quale lo sguardo umano non si spinge senon perdendosi nelle tenebre pi fitte; dal quale il discorso non pu emergere se noncon accenti insoliti d u rus est hic sermo (J o h. 6, 60) , permettendo e persinosuggerendo anche un tolmers lgos (Plot. VI, 8, 7, 11), cio le espressioni pi teme-rarie30. Solo nellesperienza religiosa e nel suo racconto mitico la libert conserva leproprie caratteristiche di inizio assoluto e di reale ambiguit tra positivit e negati-vit.

    Proprio questa seconda caratteristica, rilevata in Dio e nelluomo, conferisce atutta largomentazione pareysoniana in proposito una notevole peculiarit che milascia in pi punti perplesso. Nulla da obiettare sulla intonazione volutamente tragicadelle riflessioni, nellintento di mostrare che il male si annida sempre nel cuoredelluomo e della realt stessa, e che non ci sono anime belle del tutto immunidalle insidie della negativit o ignare del conflitto tra malvagit e bont. Sotto questainquadratura si comprende perch, secondo limpostazione di Dostoevskij, si affermache non virt quella che non ha superato la prova del delitto, e non fede quellache non passata attraverso lesperienza del dubbio31; il bene inteso solo comevittoria sul male e suo superamento3 2 (vedremo pi avanti quali conseguenze ha,rispetto alla libert divina, tale concezione).

    Fin qui, ripeto, la scelta prospettica plausibile, soprattutto tenendo presentequali sono gli obiettivi polemici di tali sottolineature. Ma se ne colgono le conse-guenze problematiche quando si legge, passando dalle estenuate vicende dostoev-skijane alla riflessione filosofica, che la libert primaria nelluomo va concepitacome facolt di scegliere tra il bene e il male, di decidere tra la ribellione e lobbe-dienza, fra il rifiuto e laccoglienza dellessere. Fino a tal punto presa come esclusi-va o essenziale questa caratteristica della libert da affermare che la libert primarianon si pu negare come se fosse soltanto una libert formale: la libert di scelta frabene e male libert materiale, cio essa interviene non soltanto a qualificare lattodel suo esercizio, ma anche a costituire loggetto della sua scelta: cio a costituirecome bene loggetto chessa sceglie liberamente come tale33.

    Se si ricollega questa asserzione alla concezione su accennata della libert comeinizio assoluto, si coglie che qui quello che soltanto un aspetto dellazione liberanelluomo (cio il dover scegliere tra il bene e il male) assume un ruolo totalizzante:in effetti, se nulla precede la libert, nulla fonda la scelta che appare come criterio as stante. Ma cerchiamo di vedere meglio gli altri passaggi che conducono a questeconclusioni, che daltronde in altri brani degli scritti pareysoniani sembrerebberoessere contraddette o addirittura smentite.

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    30 Esistenza e persona, o. c., p. 27.31 Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, o. c., p. 121.32 Cfr. ibidem, p. 163. Ma altrove viene precisato che fondamentale non tanto lesperienza

    del male o del peccato, quanto lesperienza della libert, altrimenti si giungerebbe a consi-derare il male come necessario e si ricadrebbe nella sua dialettizzazione (cfr. i b i d e m, pp.108, 118, 130, 168-169).

    33 Ibidem, p. 119.

  • Nellintento di non sminuire in nulla il potere della libert e di non imporle nes-suna garanzia iniziale che la renda meno ambigua o ambivalente, Pareyson osserva:La libert ambigua: anzi, fra tutte le cose umane essa forse la pi ambigua ditutte. La ragione di questa sua ambiguit va vista nel fatto chessa originaria, equindi non presuppone nulla, nemmeno la ragione, che possa offrirle un criterio didistinzione fra bene e male [...]. Si tratta della libert che, ignorando preventivamenteche cos il bene e che cos il male, decide essa stessa che cos bene e che cosmale34. Nelle pagine a cui mi sto riferendo non viene semplicemente esposto il pen-siero di Dostoevskij (atteggiamento che del tutto estraneo allermeneutica pareyso-niana), ma se ne sottolinea un elemento che in piena sintonia con la visione dellalibert illimitata proposta da Pareyson: persino il ruolo della ragione deve passare insecondo piano per non limitare loriginariet dellatto libero. vero che, soprattuttonel volume su Dostoevskij, lesperienza della libert nelluomo rimanda allesperien-za pi originaria e profonda di Dio, del quale si dice che pu essere lunico fonda-mento e legge della libert, termine di unobbedienza primigenia e feconda, di unconsenso partecipe e iniziale35; ma si precisa subito che in tal modo la libert vieneresa ancor pi sconfinata, giacch quel potere illimitato di scelta in cui essa consisterisulta infinitamente potenziato nel suo esercizio e reso ancor pi tremendo nei suoieffetti quando abbia a oggetto addirittura Dio, da accogliere e riconoscere o da rifiu-tare e respingere a piacer suo; Dio esige che sia essa stessa a compromettersi per ocontro di lui, senzalcun suggerimento e alcuna spinta, giacch solo in tal modo essa veramente libera36.

    Solo se prendiamo queste precisazioni a piacer suo, senzalcun suggeri-mento e alcuna spinta e le raccordiamo alla completa assenza di presuppostirivendicata per latto libero, ci appare che questa concezione della libert di grandesuggestivit in ambito letterario (si pensi alle gigantesche figure di Dostoevskij) e diprorompente efficacia nella temperie esistenzialistica, ma risulta alquanto problema-tica dal punto di vista dellantropologia filosofica. Non si tratta qui di richiamare inballo la vecchia polemica tra volontarismo e intellettualismo, bens di considerareche se unillusione teorica esaltare il ruolo predominante di una ragione pura ana-lizzabile solo in laboratorio, altrettanto astratto concepire una libert pura comple-tamente autonoma e ininfluenzabile da qualunque motivazione. Nelluomo vivente econcreto la razionalit non potr mai prescindere assolutamente dallaffettivit edalla socialit, n lazione libera sar mai del tutto immune da valutazioni o anche dacondizionamenti; senza dimenticare, poi, che nella religione cristiana (e quindi nellasua ermeneutica) Dio non semplice spettatore della libera adesione delluomo alladivinit, ma vi interviene con la sua grazia.

    Sostenere che nella persona umana la libert senza legge razionale, senzalegge immanente e costitutiva37 la premessa indispensabile per aggiungere che lalibert comincia dal nulla: il nulla della libert. un puro inizio nel vuoto di tutto.Latto della libert (un evento, un fatto della libert) un atto di scelta a cui nulla

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    34 Ibidem, p. 132.35 Cfr. i b i d e m , pp. 135-136. Emergono qui esplicitamente gli influssi di Pascal e di

    Kierkegaard.36 Ibidem, p. 140. 37 Ontologia della libert, o. c., p. 29.

  • preesiste38. Ma ci possibile solo isolando asetticamente lazione libera dal suocontesto storico-esistenziale e dalla libert stessa da cui emerge, con una prospettivache diventa allora mi si passi laggettivo improprio trascendentale. Nellavicenda personale delluomo libero, invece, la libert si confronta sempre con unospunto dato, unalternativa offerta; altrimenti, che fine fa la stessa dialettica pareyso-niana di dono e consenso, o quellatto di rifiuto e rinnegamento nei confronti dunaprevia positivit, cui ho fatto riferimento poco pi sopra?39 Bisogna allora conside-rare questa libert alla stregua di una spontaneit pura, di un vitalismo irrazionale odi una cieca energia? Molti altri testi delle ultime opere di Pareyson ci impedisconodi farlo, proprio laddove, ad esempio, parla del legame o dellinseparabilit tra esseree libert, tale che il primo si consegna e si affida alla seconda come un appello e unaguida che richiede fedelt40. Restano, daltronde, le perplessit suddette, che emergo-no dalle pagine pareysoniane scritte con uno stile stringente, originale e a tratti avvin-cente, e ricche di tante riflessioni illuminanti. E se nel considerare la libertdelluomo questi momenti aporetici potrebbero ricevere qualche chiarimento aseconda delle angolazioni scelte, nel passare allanalisi della libert in Dio essimostrano tutta la loro portata enigmatica.

    6. Verso una libert pura

    Riprendendo i testi di un corso tenuto da Pareyson a Napoli nel 1988, possiamodistinguere nel fitto tracciato dellontologia della libert tre momenti concatenati e inpi punti sovrapposti, che ho menzionato entro ununica cornice nel paragrafo prece-dente. Il primo momento la concezione della libert umana in rapporto alla situa-zione data, concezione che di diretta derivazione esistenzialistica: Pareyson lacco-glie come un lascito da arricchire ulteriormente, nel confronto con altri filosofi qualiPlotino, Pascal, Fichte, Schelling, oltre ovviamente agli stessi esistenzialisti tra cuiKierkegaard, Jaspers, Heidegger4 1. In questa prima tappa la riflessione filosofica pur sempre condizionata dal fatto di considerare la libert solo in rapporto alla neces-sit, ma questo rapporto inteso da Pareyson nelluomo come iniziativa iniziata,esser principiato, sintesi di attivit e recettivit, corrispondenza tra dono e consenso;

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    38 Ibidem, p. 31. 39 A dire il vero, sono riscontrabili anche altre apparenti incoerenze nello sviluppo del discor-

    so. Ad esempio, mentre in un primo momento latto arbitrario considerato come sinonimodi ribellione (tra laltro, in Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, o. c., pp.29 e 136; il primo di questi due brani lho citato allinizio del quarto paragrafo), in seguitola libert illimitata viene giocoforza definita arbitraria sia in Dio sia nelluomo (tra laltro,in Ontologia della libert , o. c., p. 28); per poi cercare di spiegare che in Dio larbitrio non capriccio (cfr. ibidem, pp. 29, 124 e 279).

    40 Cfr. Ontologia della libert, o. c., pp. 17-19; Dostoevskij. Filosofia, romanzo ed esperienzareligiosa, o. c., pp. 63 e 73.

    41 Cfr. Ontologia della libert, o. c., pp. 8-9. Ma lo stesso Pareyson spiega che interpretaSchelling in modo non del tutto schellinghiano (cfr. ibidem, p. 9) e che si discosta dal suopersistente razionalismo e dal suo oscuro ma possente teosofismo (ibidem, p. 61). In unodei miei incontri con lui mi ripet che in Schelling aveva trovato non lispirazione ma unaconferma alle sue riflessioni (si veda anche L. PAREYSON - X. TILLIETTE, Una corrisponden -za filosofica, Annuario filosofico, 9 [1993], p. 30).

  • siamo qui a quella che lui considera la massima espressione filosofica del problemadella libert42. Proprio questa concezione, per, permette di accedere ad un secondolivello pi alto: con questa teoria del dono-consenso si apre uno spiraglio verso lalibert pura alla cui teoria aspiro quando parlo di ontologia della libert43.

    Il secondo livello dato dalla constatazione che il binomio essere-libert non affatto un fondamento in senso metafisico, ma sancisce anzi lassenza di fondamento,giacch la libert un abisso, una profondit insondabile: solo la libert pu prece-dere e seguire la libert. Solo la libert campeggia e domina la scena delluniverso.Luniverso, se si vada al suo cuore, alla sua estensione... lintera vicenda, linterarealt non che un solo atto di libert. [...] Tutto si riassume in questo: libertpura44.

    Raggiunto questo gradino superiore la filosofia barcolla, si accorge dellinsuffi-cienza dei propri strumenti di indagine e si ritiene necessario il ricorso allesperienzareligiosa, giacch solo in questambito, grazie alla sua narrazione mitica, il proble-ma centrale resta sempre quello della libert, dal principio fino alla fine; dove perprincipio e fine intendo appunto la vicenda delluniverso: quella prospettiva delluni-verso che si tratta di sostituire alla possibilit di concepirlo come un sistema chiusoattraverso momenti logici, argomentativi, attraverso dimostrazioni e cos via4 5.Lidea di libert che emerge dallermeneutica dellesperienza religiosa sarebbe quindilultimo e terzo livello, se consideriamo come secondo quello dello scacco alla ragio-ne filosofica assolutizzante.

    Penso che in fondo queste tappe erano gi individuabili in quanto ho scrittofinora, ma ho ritenuto opportuno metterle a fuoco separatamente perch sarebbelegittimo domandarsi qual lo scopo reale di Pareyson con lontologia della libert;mi si potrebbe cio obiettare che in questo stadio il filosofo valdostano vuol parlaredi una libert pura, ovvero di una libert presa come categoria interpretativa di tuttala realt e non come facolt delluomo o di Dio; quindi i miei precedenti rilievi distampo antropologico apparirebbero fuori luogo. Questeventuale obiezione sarebbevera solo in parte o, meglio, manifesterebbe il desiderio di arrivare dove Pareysonnon arriva e di dire ci che lui non dice.

    In effetti la sua ontologia della libert non mi sembra separabile dal binomioessere-libert colto nelluomo, tramite il ripensamento dellesistenzialismo, e in Dio,grazie allermeneutica dellesperienza religiosa. Penso pertanto che essa non sia assi-milabile al progetto heideggeriano proposto e rielaborato in tanti modi nella filosofiaodierna, anche se, non proprio arbitrariamente, Vattimo punterebbe proprio a questo,invitando a radicalizzare lontologia della libert lungo un itinerario di consuma-zione attraverso cui lessere finisce per darsi nella forma indebolita della traccia,della presa di congedo, della rimemorazione46.

    Daltronde lo stesso Pareyson che ci invita a non scindere lontologia della

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    42 Ibidem, p. 17.43 Ibidem.44 Ibidem, p. 22.45 Ibidem, p. 27.46 G. VATTIMO, Ermeneutica e secolarizzazione. A proposito di L. Pareyson, Aut-Aut, 213

    (1986), pp. 26-27. Giustamente Vattimo riconosce che questo sarebbe lesito pi coerentedello heideggerismo, volendo escludere la sola altra possibilit di una nostalgia impotentedellaccesso metafisico allessere.

  • libert dallintero contesto della sua speculazione e a non dimenticare che sostenereche lessere stesso libert cosa ben diversa che abbandonare lessere alla libert:abbandonare lessere alla libert significa abbandonare la libert a se stessa, e quindivotarla allautodistruzione47. Rivendicare linseparabilit o convertibilit di essere elibert significa concludere che la libert pu essere preceduta solo dalla libert equesta la libert pura, intesa come cominciamento assoluto, come illimitatezza chesi riscontra tanto in Dio tanto nelluomo, come potere di obbedire a Dio o di conte-stare Dio, di metterlo in questione e quindi di sconvolgere il mondo, e quindi poteredi onni- e autodistruzione, di scegliere linferno (cio di far essere linferno, cheovviamente non un luogo n una pena, ma uno stato e una scelta)48.

    In definitiva, ritengo che la libert pura non vuol essere una categoria astratta,in cui scomparirebbe ogni tragicit, ma un punto darrivo della riflessione, a cui sigiunge grazie allo sbigottimento dinanzi al kantiano baratro della ragione, ch lavertigine di fronte allinfinito, lo stordimento alle soglie delleternit, il capogirosullorlo della voragine4 9. Ma a questo stupore Pareyson arriva vedendo il poteredella libert nelluomo, come ho cercato di illustrare, e in Dio, come mi accingo amostrare di seguito.

    7. La libert in Dio

    Abbiamo gi visto quali caratteristiche presenta secondo Pareyson la libertpresa nella sua assolutezza; tali tratti possono essere riassunti cos: Il carattere dellalibert appunto questo: di non essere preceduta che dal nulla. [...] Non rientra in unsistema, non si aggancia a niente, non si concilia con niente, non fa sistema, quasiavesse degli addentellati con altre cose. [...] La libert nasce da se stessa, afferma sestessa, realizza se stessa. una creazione di s attraverso di s, unauto-creazione,unauto-posizione. Comincia nel suo atto dal suo stesso atto. La libert la sceltadella libert50.

    Con la forza del suo stile Pareyson sintetizza in questo brano tutto il suodiscorso temerario (come lui stesso lha definito) su Dio, che alla luce di quantoesposto sin qui appare quasi come una conseguenza coerente e inevitabile. Ma in checosa consiste la temerariet del discorso? Nel trasporre anche in Dio lambiguitdella libert magistralmente descritta nelluomo e nel proiettare nelleternit divinalatto con cui la libert si afferma scegliendo. Se vero che la libert non tale senzala possibilit del negativo, senza la capacit di scegliere il bene e il male, di sceglierelessere e il nulla, e se vero che questa la caratteristica essenziale della libert,non solo delluomo ma della libert pura, cio considerata in se stessa, allora ci valeanche per la libert divina ed possibile parlare, in modo certo scandaloso e scabro-so, di male in Dio, nel senso che Dio avrebbe esercitato la sua libert venendoallessere, scegliendo di esistere nelleternit; dire Dio esiste equivale ad affermare stato scelto il bene.

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    47 L. PAREYSON, Esistenza e persona, o. c., p. 268. Resta per il dubbio, come si vedr, chequesto pericolo sia stato realmente evitato.

    48 Ontologia della libert, o. c., p. 28.49 Ibidem, p. 464.50 Ibidem, pp. 31-32.

  • Davanti a queste incursioni nelleternit si istintivamente portati ad arretrare,a risparmiare alla ragione lavventura negli spazi inospitali e insondabili dellintem-poralit, dallapparente contraddittoriet. Ma per capire le argomentazioni pareyso-niane occorre evitare questa reazione sbrigativa e superficiale, e immergersi nellaloro trama; solo cos si vede che, ricondotte alle loro premesse, hanno una certa coe-renza e plausibilit, anche se personalmente non riesco a condividerle del tutto.

    Ma perch Pareyson vuole a tutti i costi addentrarsi nel luogo del pi fittomistero? Tra i principali motivi ne ricordo alcuni. Evitare limmagine di un Dioantropomorficamente definito buono (spesso per zittire la propria coscienza), ad usodi un atteggiamento dolciastro e confortante, pacificante e accomodante: questosarebbe il blando cristianesimo consolatorio, faccenda di anime oneste ma semplici,inconsapevoli della torturante durezza del cristianesimo, e soprattutto ignare di queldeserto della disperazione che sta in fondo alla coscienza contemporanea, e che deveperci esser ben presente a un cristianesimo in pari con lattualit51. Significativa-mente, come correttivi di tale stortura, vengono pi volte indicati soprattutto Pascal,Lutero, Kierkegaard52. C quindi un intento polemico nei confronti delle tendenzedominanti dellateismo e del nichilismo, il cui obiettivo la banalizzazione e la sop-pressione del male, perch questultimo impensabile senza Dio ed anzi indiziodella sua esistenza: se Dio non esistesse, parlare del male non avrebbe senso, tuttosarebbe permesso, come ammonisce Dostoevskij. Non manca inoltre il desiderio dismascherare lumanitarismo filantropico e idealistico di chi si nutre di sentimenticompassionevoli e chiude gli occhi dinanzi alla peccaminosit che si annidanellanimo umano.

    Nel mettere in risalto lenergia distruttrice del male, daltronde, Pareyson vuoleevitare la caduta in un nuovo manicheismo, considerando la negativit come un prin-cipio a s stante dotato di autonomia e attivit propria: ma dove cercare lorigine diquesta forza corrosiva che percorre tutta la storia? Non nelluomo, che s autore delmale ma non ne linventore: egli, per cos dire, lo trova nellalternativa che gli sipresenta tra la rivolta contro la positivit divina e la sua accettazione. Si deve risalire,allora, ancor pi a monte e cercare nellesistenza stessa di Dio quel fondo di ambi-guit che contraddistingue tutto il reale: lorigine del male starebbe allora nella esi-stenza stessa della divinit, che si afferma e si presenta come vittoria sulla possibilitdel nulla o del male.

    Cos mi sono ricollegato a quanto avevo detto poco pi sopra, arrivando allalibert in Dio a partire dalla libert delluomo: da entrambe le direzioni (la prima losviluppo coerente e necessario del modo di concepire la libert non solo nelluomoma in s e per s; la seconda la prosecuzione della polemica esistenzialistica e pro-pria del pensiero tragico contro lateismo e il nichilismo) si arriva a postulare chelatto libero con cui Dio avrebbe originato se stesso latto con cui stato da Luivinto il male. Il punto in cui si saldano i due itinerari la considerazione della libertcome inizio e come scelta: secondo Pareyson, inizio e scelta nellazione libera sonodue momenti indisgiungibili e cooriginari. La libert sempre inizio, come si pi

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    51 Ibidem, p. 232; cfr. anche p. 343. Pareyson rammenta spesso che nel parlare di Dio, secondoi termini dellesperienza religiosa, occorre conservare una certa dialetticit: Egli miseri-cordioso ma si accende anche dira, si mostra paziente ma anche terribile, benevolo mainesorabilmente giusto.

    52 Cfr. ibidem, p. 231.

  • volte visto, in virt della sua costitutiva illimitatezza: la libert non preceduta danulla; ma essa devessere anche scelta, altrimenti annoto io verrebbe meno latragicit dellintera impostazione: la possibilit del male deve incombere sempre, senon si vuol ridurre linizio della libert ad un momento scontato e ottimistico.

    Ma se far coesistere inizio e scelta nellazione libera delluomo pu esser possi-bile nella prospettiva del suo rapporto ontologico (anche se, come ho cercato di rile-vare, questa prospettiva appare persa e contraddetta nello sforzo per risalire allalibert pura), nella libert divina pu essere tentato solo ricorrendo a un ossimorosconcertante Dio prima di Dio53: il primo atto, sorgivo e primordiale, della libertdivina sarebbe quello con cui Dio ha voluto e originato se stesso ab aeterno. Al limi-te, ci potrebbe essere inteso, con le dovute riserve terminologiche, come latto eter-no con cui Dio conosce e vuole se stesso, ma questo modo di interpretare il misteroPareyson lo considererebbe frutto della metafisica e pertanto da scartare: Dio nonvuole se stesso con una necessit di natura ribadisce bens in virt della sualibert assoluta, ma siccome la libert devessere per forza sia inizio sia scelta, questoatto di libert va allora visto come vittoria sulla negativit.

    Quanto sia impervio raggiungere questa conclusione lo si pu vedere nel fattoche se da un lato si afferma che Dio lessere che ha voluto essere, e quindi vittoriasul nulla, [...] scelta del bene, e quindi vittoria sul male5 4, subito dopo diventanecessario spiegare: Non che Dio trovi davanti a s lalternativa bene-male, il dilem-ma essere-nulla, e di fronte a queste alternative gi definite si limiti a preferire luntermine allaltro, il bene al male, lessere al nulla. Egli libert, e la libert di per sambigua, nel senso che pu esser libert positiva o libert negativa, e quel dilemma frabene e male, essere e nulla, non fa che esprimere tale ambiguit. Non che il benepreesista alla scelta o sussista fuori della libert; non che il bene sia bene per sprima della scelta divina, o che come tale si offra e si proponga (o, peggio, simponga)alla scelta di Dio. Il bene la scelta fatta dalla libert positiva in alternativa alla libertnegativa, il bene scelto, cio latto stesso della libert positiva5 5.

    Siamo quindi dinanzi ad una scelta (perch, ripeto, per Pareyson la libert essenzialmente libert di scelta) che per non pu essere propriamente tale, altrimentisi dovrebbe postulare un limite, un riferimento o unalternativa reale nei confrontidellazione libera; se cos fosse, per, la libert divina non sarebbe pi assoluta, illi-mitata e, come viene pi volte asserito, completamente arbitraria56.

    Potrei addurre altri testi per suffragare quanto ho detto (e ce ne sono in abbon-danza) o anche illustrare come lo stesso Pareyson ha cercato di rispondere alle obie-zioni che gli sono state rivolte dopo i suoi primi scritti sullargomento; ma il discorsosi dilungherebbe e appesantirebbe fin troppo, ben pi di quanto sia stato improbofinora. Mi limito invece a osservare anche qui5 7 che lunico modo per evitare

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    53 Cfr. ibidem, pp. 134 e 178. Un Dio che autore della propria autoposizione, autooriginazio-ne, autogenesi (cfr. ibidem, p. 35).

    54 Ibidem, p. 176.55 Ibidem, p. 177.56 Pareyson se ne rende perfettamente conto e distingue tra il nulla come negazione e il nulla

    come non essere iniziale della libert; questultimo sarebbe una semplice delimitazione,una frontiera di non essere, un non essere inerte da cui si tratta di uscire (ibidem, p. 471;cfr. anche p. 459).

    57 Cfr. F. RUSSO, Esistenza e libert. Il pensiero di Luigi Pareyson, o. c., pp. 224-226.

  • lincongruenza di un Dio che scelga di esistere prima di esistere mi sembra quello diricorrere alle categorie di cui Pareyson fa largo uso altrove: la gratuit e linfondatez-za, che sono aspetti della categoria modale della realt anzich di quella della neces-sit; in tal caso, anzich cercare di narrare la storia eterna di un Dio che perch hascelto di essere, ci si accosterebbe allinesauribile abissalit di Dio che perch :pur non volendo interpretare il famoso versetto dellEsodo (3, 14) in chiave metafisi-ca, si ricordi come Dio chiama se stesso Io sono e non certo Io voglio; questo, emolti altri elementi della Bibbia, riveste un ruolo importante proprio nellermeneuti-ca dellesperienza religiosa.

    Certo, a questo punto il compianto Pareyson mi ripeterebbe quanto gi mi disse:che io mi trovo nella filosofia dellessere e lui in quella della libert, in cui il nulla e ilnegativo esigono un posto originario rispetto a Dio. Ma ritengo che ci necessariosolo se il potere e la forza della libert sono ridotti a quello di scegliere: la libertnellatto stesso di cominciare si divide e si sdoppia, mostrando dessere libert solocome scelta, come decisione di unalternativa5 8. Penso, in effetti, che mettendo afuoco solo la scelta, per quanto rapportata allinizio, si dice troppo poco sulla libert.

    8. Filosofia dellessere e filosofia della libert

    Considero doveroso approdare ormai al punto finale di questo articolo. So beneche nella ricognizione degli ultimi scritti di Pareyson qui presentata ho lasciato daparte molti argomenti non secondari: il Dio sofferente e la lettura filosofica della cri-stologia; la forza di riscatto del dolore; la peculiare visione dellescatologia; il rap-porto tra eternit e storia. Sono consapevole di tale incompletezza, ma era perlappunto prevista e intenzionale: sarebbe stato necessario un discorso di ben altraampiezza per non tralasciare nulla.

    Mi rendo conto inoltre che avrei potuto facilmente limitarmi ad unesposizionepi distaccata e priva di interventi valutativi, ma se lo avessi fatto sarei stato un catti-vo ripetitore di Pareyson, che esigeva schiettezza e franchezza, alle quali sapevarispondere con vigore e combattivit. Daltronde, buona parte delle perplessitespresse in precedenza ritengo sia da attribuire al carattere di incompiutezza della suaultima proposta speculativa, che appare completa ma non conclusa; oltretutto, sonoquestioni sulle quali, spinto dalla lettura di queste opere, io stesso mi trovo tuttora ariflettere.

    Sono davvero radicalmente alternative la filosofia dellessere e la filosofia dellalibert? Penso di no e lo stesso Pareyson ha in fondo voluto congiungerle nella onto-logia della libert. opportuno per entrambe restare reciprocamente aperte e infeconda comunicazione, affinch la filosofia dellessere non si cristallizzi in concettilogorati dalluso e la filosofia della libert non si vanifichi nello sforzo di autopurifi-cazione da ogni presupposto. Quanto sia importante raccordare le due prospettive evidente nelle riflessioni sulla persona umana, la cui libert non pu costituire unpuro inizio se non recidendo il binomio essere-libert, che contraddistingue il perso-nalismo ontologico di Pareyson, e rinunciando alla tragicit della capacit di ribellio-ne e di rinnegamento del bene.

    Francesco Russo

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    58 Cfr. L. PAREYSON, Ontologia della libert, o. c., pp. 470-471; cfr. anche p. 459.

  • Ma ancor pi evidente limportanza del suddetto raccordo tra le due filosofienel concepire la libert di Dio. Pareyson si avvede bene di attribuire a Dio il liberoarbitrio umano59, ma, come ho accennato, lo fa perch mi sembra legato dalla suapremessa: la libert sarebbe essenzialmente una scelta. Ma lo stesso filosofo valdo-stano se da un lato cerca di mostrare lesistenza divina come una scelta di esistere (ilDio autooriginante), riconosce che la originaria libert divina indeducibile, indimo-strabile60: per questo che ho indicato come pi congruente il sostenere che Dio perch , senza dover imbastire una spiegazione della sua esistenza come vittoriasul nulla o sulla negativit. Certamente tra i problemi qui implicati c quello dicome concepire leternit e di come parlarne con i nostri concetti intrisi di storicit;ma prescindendo da ci, se la scelta arbitraria dovesse davvero caratterizzare lalibert divina sin nella sua stessa esistenza, non riesco a concepire un Dio arbitrarioche si interessa delle sue creature, che redime luomo, orgoglioso del suo peccato, eprende su di s i peccati e le sofferenze umane; e penso che proprio nel tentativo difugare limpressione che il Dio che sceglie se stesso sia in fondo un Dio egoista,Pareyson cerca di mostrare tale volont di essere come un atto di generosit61.

    Mi sembra, invece, che racchiuda contenuti molto pi profondi la concezionedella libert come inizio, che per applico a Dio nel senso appena detto: non avendoun fine che lo trascende, Dio non deve raggiungere con operazioni successive unbene o uno stato che non possegga di per s (la libert indica autopossesso); in Luinon c un momento inizialmente statico dellessere, che abbia poi bisogno di atti-varsi o di dispiegare le proprie potenzialit; la libert divina , pertanto, dinamismopuro, atto costitutivo e operativo al tempo stesso. In tal senso inizio assoluto, senzapremesse n presupposti; ecco perch anche Pareyson si richiama alle parole inizialidel Vangelo di Giovanni: In principio.

    Finalmente concludo. Gli ultimi scritti di Pareyson indicano molte strade dapercorrere e da vagliare, molte direzioni per lo pi trascurate nella filosofia recente.In queste pagine ho cercato di seguirne e ponderarne soltanto alcune, ricordandosempre con sincera stima la sua figura di filosofo.

    * * *

    Abstract: This article examines the last writings of Luigi Pareyson, in which heexpounds his ontology of freedom. First the development of his tragic thought, andthe meaning of his hermeneutic of Christianity, are analyzed; then his interpretationof the mystery of evil, in contrast with solutions which nullify or avoid it, is discus -sed. After explaining how Pareyson conceives the ambiguity of freedom in man, theauthor concentrates on the characteristics of Gods freedom and of His self-affirma -tion in eternity. The conclusion indicates the advantage of keeping the philosophy ofbeing and the philosophy of freedom united.

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    studi

    59 Cfr. ibidem, p. 297.60 Cfr. ibidem, p. 52.61 Cfr. ibidem, p. 315.